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V.morato Filosofia Della Mente 1

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Vittorio Morato - dispense di Filosofia della Mente

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Dispense di Filosofia della Mente

I Settimana

Vittorio Morato

Anno Accademico 2009-2010

1 Introduzione

Una delle distinzioni che ci appare piu chiara e sulla quale siamo, moltospesso, infallibili (anche se, di fatto, non sapremmo esattamente spiegare daquale nostra conoscenza specifica ci derivi questa apparente infallibilita) e ladistinzione che ci permette di distinguere un oggetto vivente da un oggettoche non e vivente.

Ci sono, ovviamente, dei casi limite in cui le nostre intuizioni, cosı fortinella maggiorparte dei casi, possono vacillare o addirittura ingannarci (si pen-si, ad esempio, a tutti i dibattiti bioetici sul problema della “fine della vita”,il problema, cioe, di definire quando un essere umano puo essere consideratonon piu un essere vivente). Ciononostante, anche se, di fatto, di fronte adalcuni casi particolari, non siamo in grado di applicare la distinzione, quelloche sappiamo fare e distinguere se un certo oggetto e un tipo di oggetto chepuo essere caratterizzato come vivente o meno.

Un’altra distinzione che spesso siamo in grado di applicare piuttosto benee quella che ci permette di suddividere ulteriormente il regno delle creatureviventi tra creature che hanno una mente e creature che non l’hanno.

Ad esempio, siamo istintivamente portati a credere (a meno di inclinazionimisticheggianti) che alberi e fiori non abbiano una mente, mentre saremmodisposti a credere che i cani e i gatti ne abbiano una. Normalmente, sia-mo disposti a credere che amebe o zanzare non abbiano una mente, mentresaremmo disposti ad attribuire delle capacita mentali ad un topo. Siamo,inoltre, soliti credere che la specie alla quale apparteniamo, sia, tra le specieviventi, quella che ha una mente piu sviluppata delle altre, quella che possiedemolte piu capacita mentali degli altri esseri viventi e molto piu sviluppate.

Da notare che “mente”, almeno per come la sto usando qui e per comeverra usato durante il corso, ha un significato un po’ piu ampio di un termine

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che forse siete piu abituati ad usare, ossia il termine “psiche”; allo stesso mo-do, l’espressione “vita mentale” si applica ad un maggior numero di fenomenidel termine “vita psichica”. Tutto cio che e psichico puo essere caratteriz-zato come mentale ma non tutto cio che e mentale verrebbe caratterizzatocome psichico. Normalmente, il termine “psiche” si applica a tutta una seriedi capacita mentali a volte definite “superiori” come le facolta conoscitive,intellettive e relazionali di un individuo. Come vedremo, invece, i fenomenimentali sono anche fenomeni di tipo “inferiore” come stati sensoriali (dolore)o percettivi (visione).

Le nostre intuizioni pre-teoriche ci guidano abbastanza bene nella mag-gioparte dei casi (o almeno nella maggiorparte dei casi in cui quel che ci vienechiesto e semplicemente di sostenere se una certa entita e dotata di mente).Del resto, tutti siamo dotati di una mente e tutti siamo quindi ben dotati diintuizioni pre-teoriche che la riguardano.

Lo scopo di queste prime lezioni e quello di esplicitare alcune di questeintuizioni preteoriche, di metterci un po’ d’ordine e, infine, di problematiz-zarle. Come vedremo, il tentativo di costruire un minimo di teoria sulla basedelle intuizioni, di razionalizzarle ed infine di integrarle con la nostra visionescientifica della natura, ci portera a dover affrontare un gran numero di pro-blemi e paradossi. La risoluzione di alcuni di questi problemi, come vedremo,ci portera a revisionare alcune delle intuizioni pre-teoriche piu inveterate cheriguardano la mente ed a rivedere la concezione di noi stessi come creaturedotate di “mentalita”.

Sono tali problemi e paradossi che hanno costituito e costituiscono ancoroggi l’oggetto della filosofia della mente

2 Mappare il territorio del mentale

Tutti siamo in un’ottima posizione per determinare quali sono le caratteri-stiche che distinguono una creatura dotata di una mente, una creatura per laquale abbia senso avviare una ricerca di natura psicologica (in senso lato), euna creatura che invece non ne e dotata. Tutti (almeno cosı sembra) abbia-mo una mente e tutti siamo portati a credere che uno strumento di indagineprivilegiato per lo studio della mente sia l’introspezione.

Per iniziare la nostra ricerca, potremmo cominciare ponendoci la seguentedomanda:

Quali fenomeni contano come “mentali”, come segnalatori dellapresenza di una mente?

Sulla base della mia esperienza queste potrebbero essere alcune risposte:

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capacita di imparare consapevolezza sognare emozioniavere un punto di vista soffrire provare dei sentimenti ragionarecomprendere un linguaggio volere rabbia ascoltare un discodecidere amare capire una battuta desiderare una vacanzaricordare vedere un albero contare sentire un saporecostruire una sedia scegliere disegnare credereconoscere etc.

Tutte queste diverse attivita mentali si possono organizzare, grosso modo,in tre grandi categorie:

• Esperienze: essere coscienti, sentire un sapore, soffrire, vedere unalbero, etc.

• Atteggiamenti: desiderare una vacanza, credere, conoscere, etc.

• Azioni: costruire una sedia, disegnare, contare, ragionare, etc.

Mentre i termini “esperienza” e “azioni” sono termini dal significato usua-le, il termine “atteggiamento”, almeno per indicare uno stato mentale come“desiderare una vacanza” non e usuale. Esso e infatti un termine tecnico cheverra spiegato a breve.

2.1 Esperienze

La capacita di provare delle esperienze e forse il segno maggiormente distin-tivo della presenza di una mente. Sapere, ad esempio, che una certa creaturaprova dolore, ad esempio, e sufficiente per attribuirgli delle capacita mentali.

Dal punto di vista “interno”, avere delle esperienze e una stato mentaleaccompagnato da una certa consapevolezza. Si hanno delle esperienza, cioe,(pensate sempre al caso paradigmantico di “provare un dolore”) se si e in uncerto stato di consapevolezza.

Di solito, e questo stato di consapevolezza che viene a volte descritto comel’attivita centrale della mente.

Sostanzialmente, si possono distinguere due tipi di esperienze.Vi sono delle esperienze (e forse sono la maggiorparte) che hanno le se-

guenti due caratteristriche (i) sono l’esito di una qualche modificazione delnostro corpo e (ii) hanno una particolare “localizzazione”; il caso pradigma-tico di questo tipo di esperienze e, ad esempio, il dolore. Provo del dolore,quando, ad esempio, un oggetto esterno urta la mia gamba; l’esperienza deldolore e un’esperienza localizzata nel senso che il dolore ha una localizzazio-ne precisa nel mio corpo e di lı si irradia. Simile al dolore sono la visione, il

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gusto, etc. Tali stati mentali sono, a volte, chiamate “esperienze sensoriali”o percezioni.

Ci sono, pero anche degli stati mentali che potremmo classificare comeesperienze ma non sembrano dipendere (almeno in maniera diretta) da rela-zioni con oggetti del mondo esterno ne avere una particolare “localizzazione”;ne sono esempi, stati mentali come “provare dell’ansia”, “sentirsi felici”, etc..

Una caratteristica che accomuna entrambi i tipi di fenomeni, comunque,e il fatto che essi sono esperienze di quello che ci succede “all’interno” anchequando, come nel caso della percezione di tratta di uno stato mentale causatoda qualcosa di “esterno”.

2.2 Atteggiamenti

Normalmente, con “atteggiamento” intendiamo un modo di “atteggiare” lapropria persona, di disporsi. Di solito, ci si “atteggia” in un certo modoquando si dispone il proprio corpo (o parti di esso) in modo da esprimereun certo stato d’animo. In filosofia della mente, il significato del termine“atteggiamento” viene esteso anche alle disposizioni, agli “atteggiamenti”,per l’appunto, della propria mente.

Secondo la classificazione data sopra quando crediamo qualcosa, cono-sciamo qualcosa o desideriamo qualcosa, la nostra mente assume un certoatteggiamento.

Sono due le caratteristiche tipiche di questo tipo di stati mentali:

• un certo tipo di comportamento e generalmente associato a ciascunatteggiamento (se qualcuno desidera qualcosa, si comporta in un certomodo riconoscibilmente diverso dal comportamento di chi, ad esempio,crede qualcosa).

• gli atteggiamenti sono stati mentali direzionali (non si desidera, oconosce o crede “in generale”, ma si desidera qualcosa o che qualcosaavvenga, si conosce qualcosa o che qualcosa e vero, etc.).

Per quanto riguarda il secondo punto, da notare che il modo in cuiesprimiamo linguisticamente i nostri atteggiamenti e per mezzo di enunciaticome:

(1) Enrico crede che il suo telefono non funzioni

(2) Luisa desidera un’automobile nuova

(3) Marco intende sostenere l’esame

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Tali enunciati sono caratterizzati dal fatto di essere composti da una pri-ma parte che segnala il tipo di atteggiamento rilevante (“Enrico crede che”,“Luisa desidera”) ed una seconda parte che specifica il “qualcosa” verso cuil’atteggiamento e rivolto (nel primo caso la credenza di Enrico e che il suo

telefono non funzioni, il desiderio di Luisa verso una nuova automobile, l’in-tenzione di Marco verso il sostenimento dell’esame Rubando un termine allagrammatica, possiamo chiamare cio verso cui un atteggiamento e rivolto, ilcomplemento dell’atteggiamento. Se preferiamo usare un termine che non ab-bia assonanze grammaticali (in fiin dei conti essere in un certo atteggiamentoe uno stato mentale e non ha necessariamente a che fare con il linguaggio),cio verso cui un certo atteggiamento e diretto si potrebbe chiamare anchecontenuto.

Alcuni enunciati che servono ad esprimere i nostri atteggiamenti prendonocome complemento interi enunciati (come (1) il quale ha come complementol’enunciato “il suo telefono non funziona”), altri dei termini (come (2) cheha come complemento “un’automobile nuova”. In (2) il desiderio di Luisanon e rivolto ad un termine, ossia ad un’espressione linguistica; Luisa nondesidera il termine “un’automobile”; quel che desidera Luisa e l’oggetto a cuiil termine si riferisce. Allo stesso modo, in 1, Enrico non crede all’enunciato“il mio telefono non funziona” quanto piuttosto a cio che l’enunciato esprime.

La tesi secondo cui cio verso cui e diretto un atteggiamento come “crede-re”, ad esempio nel caso di (1), e cio che l’enunciato esprime e non l’enunciatostesso puo essere difesa nel seguente modo. Un parlante italiano, come En-rico, che dicesse “io credo che il mio telefono non funzioni” ed un parlanteinglese, ad esempio John, che dicesse “I believe that my phone is not wor-king” possono essere descritti come due individui che hanno lo stesso tipo diatteggiamento, ossia come due individui che, nel momento in cui pronuncia-no questi enunciati, sono nel medesimo stato mentale. Ma se cio verso cuie diretto l’atteggiamento “credere che” o “believe that” fossero enunciati,dovremmo anche sostenere che Enrico e John non sono nello stesso tipo distato mentale poiche uno ha un atteggiamento verso un enunciato della linguaitaliana e l’altro verso un enunciato della lingua inglese. Cio e ovviamenteassurdo; John e Enrico hanno un atteggiamento verso cio che c’e di comunea “il mio telefono non funziona” e “my phone is not working” e cio che essihanno in comune e che essi esprimono la stessa cosa. D’ora in poi, chiamere-mo cio che due enunciati come quelli sopra esprimono ed hanno in comune,proposizione; “my phone is not working” e “il mio telefono non funziona”sono due enunciati che esprimono la stessa proposizione. E proprio percheessi esprimono la stessa proposizione che John ed Enrico sono nel medesimoatteggiamento mentale quando dicono “Io [Enrico] credo che il mio telefonosia rotto” e “I [John] believe that my phone is not working”. L’oggetto verso

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cui e diretta la credenza di Enrico in (1) e quindi la proposizione espressada “il mio telefono non funziona”. Questo e il motivo per cui atteggiamentiespressi da enunciati come (1) sono detti atteggiamenti proposizionali.

C’e da tenere presente che enunciati come (2) possono essere facilmentetrasformati in enunciati che esprimono atteggiamenti proposizionali. “Luisadesidera un’automobile”, infatti, puo essere facilmente trasformato in “Luisadesidera avere un’automobile”.

Quali che siano le loro caratteristiche, comunque, (tema su cui ritornere-mo spesso durante il corso) e indubbio che l’insieme dei nostri atteggiamenti,proposizionali e non, l’insieme, cioe, delle nostre credenze, conoscenze, de-sideri, intenzioni, pensieri puo essere caratterizzato, almeno tanto quantol’insieme delle nostre percezioni, come il tratto tipico del mentale.

La nostra visione intuitiva del mentale, quindi, ha gia individuato due“centri”: da una parte c’e il “flusso dell’esperienza cosciente”, dall’altro c’ela serie dei nostri atteggiamenti.

2.3 Azioni

Molto spesso le azioni (costruire una sedia, disegnare, contare) sono conside-rate attivita troppo fisiche per essere considerate “mentali”. Questo percheuna delle intuizioni piu forti che abbiamo sulla dimensione mentale e cheessa sia una dimensione “interna”. A volte, invece, si pensa all’azione co-me ad una sorta di cambiamento nel mondo fisico. Per mettere in dubbioqueste sicurezze, si immagini un artigiano mentre sta costruendo una sedia.Nessuno negherebbe che quello a cui stiamo assistendo e una serie di azio-ni che collettivamente formano un’azione che saremmo disposti a chiamare“costruzione di una sedia”. Si immagini ora la stessa scena ma si immaginiche l’artigiano sia invisibile; si immagini cioe di osservare tutti i pezzi che,pian piano, vanno a formare una sedia. La domanda e: un testimone che os-servasse da fuori quest’ultima scena, direbbe che quello a cui sta assistendoe un’azione? Direbbe cioe che quello che sta vedendo e un’azione? Coloroche sostengono che l’azione sia soltanto una modificazione del mondo fisicodovrebbero rispondere affermativamente; cio, pero, non sembra molto intui-tivo. Non diremmo che qualcosa e un’azione a meno che non ci sia un agente.Per vedere un’azione dobbiamo anche vedere l’agente.

Inoltre, sembrano esserci una serie di azioni che non implicano una modi-ficazione del mondo fisico. Si pensi a quando facciamo una somma o compia-mo una qualsiasi operazione matematica. L’azione di sommare due numeri(mentalmente) non sembra provocare dei cambiamenti nel contesto fisico incui essa viene compiuta, sembra essere un’azione ed un’azione totalmente“mentale”.

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3 Criteri di comparazione

Le esperienze, gli atteggiamenti e le azioni sembrano quindi essere tre trattidistintivi del mentale. Per mezzo di queste tre categorie buona parte di (senon tutto) cio che definiremmo come “mentale” puo essere classificato.

Quello di cui abbiamo bisogno a questo punto e di avere dei criteri dicomparazione. Anche perche ci saranno dei fenomeni mentali che non sapre-mo se classificare come “atteggiamenti” o come “esperienze”; si consideri, adesempio, la rabbia: e un’esperienza o un atteggiamento?

Le categorie alla luce delle quali possiamo analizzare i vari fenomeni men-tali al fine di assegnarli con maggiore sicurezza ad una delle tre categoriefondamentali sono:

• Osservabilita

• Accessibilita

• Espressibilita

• Direzionalita

• Teoreticita

3.1 Osservabilita

La domanda fondamentale per comprendere questo criterio di valutazione e:

Di fronte ad una creatura dotata di capacita mentali, quantoe facile capire se essa stia provando un’esperienza, avendo unatteggiamento o compiendo un’azione?

Normalmente si ritengo le azioni piu osservabili delle esperienze. Sem-bra, infatti, che a volte siamo in gradi di nascondere cio che proviamo (farfinta di non sentire dolore) ma le nostre azioni sembrano avere un effettosull’ambiente circostante che le rende immediatamente “visibili”.

Tuttavia, sembrano esserci anche delle esperienze altrettanto visibili delleazioni ma anche azioni per niente osservabili. Vedere, ad esempio, una per-sona cadere rovinosamente dalla bicicletta spesso significa vedere anche l’e-sperienza di dolore che tale persona prova. D’altra parte l’azione di sommaredue numeri sembra essere un tipo di azione non facilmente osservabile.

In ogni caso, l’approccio standard vuole che le esperienze siano, in gene-rale, poco osservabili mentre le azioni molto osservabili. Di solito e solamenteil soggetto di una certa esperienza (chi sta provando dolore o chi sta vedendo

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un albero) ad essere in grado di discernere con estrema precisione l’esperien-za che sta vivendo. Tutti, pero, sembriamo essere in grado (se messi nellaposizione rilevante) di discernere e riconoscere azioni.

Cosa si potrebbe dire degli atteggiamenti? Quanto e facile riconoscereuna persona come una persona che, ad esempio, desidera un gelato? Percheun certo atteggiamento sia riconoscibile ed osservabile dall’esterno, un certogrado di comportamento deve essere manifestato. Si pensi ad un bambino dipochi anni che protesta con tutte le sue forze perche i genitori non voglionocomprargli un giocattolo. In questo caso, gli atteggiamenti del bambino(desiderare un giocattolo) e chiaramente accompaganto da comporatmentiche lo rendono evidente per un osservatore esterno. Molto spesso, pero, cisono degli atteggiamenti che non sono accompagati da un sufficiente “massacomportamentale”: si pensi ad una persona che sta guardando assorta fuoridalla finestra. Quale comporatmento potra mai rivelare i suoi pensieri?

Gli atteggiamenti sembrano essere non tanto osservabili quanto le azionima nemmno cosı poco osservabili come le esperienze.

3.2 Accessibilita

La domanda fondamentale per comprendere questo criterio di valutazione e:

Quanto facile e per noi stessi capire se stiamo provando qualcosa,se siamo in un certo atteggiamento o se stiamo facendo qualcosa?

Siamo sempre consapevoli di quello che stiamo provando, facendo o cre-dendo?

Nel caso degli atteggiamenti e delle azioni non sembra che sia semprecosı chiaro. Ad esempio, saremmo spesso disposti a sostenere che stiamoaiutando qualcuno per generosita di cuore; altri, pero, sarebbero disposti asostenere che lo facciamo solamente per dimostrare la nostra superiorita neiconfronti della persona che stiamo aiutando. Non sempre abbiamo un accesso

immediato alle nostre credenze e azioni.Nel caso delle esperienze non sembra essere cosı: di norma, riteniamo

che tutte le nostre esperienze sensoriali siano altamente accessibili. Anzi,riteniamo addirittura impossibile provare una certa sensazione senza essernecoscienti. Non sembra infatti che sia possibile provare dolore senza essernecoscienti: e stato a lungo dibattuto se questa forma di immediata accessibilita(per esempio alle nostre sensazioni di dolore) sembra essere costitutiva dellenostre percezioni. Se non sia cioe parte del significato di “dolore” quello diessere accessibile al soggetto che lo prova.

Normalmente, siamo disposti a riconoscere un maggior grado di accessi-bilita ai nostri atteggiamenti rispetto alle nostre azioni. Abbiamo cioe un

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miglior accesso, un miglior grado di consapevolezza, a quello che intendiamo

fare rispetto a quello che stiamo facendo. Questo perche le azioni richiedono,per cosı dire, la “collaborazione del mondo esterno”. Il “mondo esterno”,pero, puo essere una fonte di errore.

Il caso dei sogni e abbastanza rivelatore: quando sognamo non ci sba-gliamo sugli atteggiamenti che abbiamo (quando, ad esempio, sogniamo dicostruire una sedia, probabilmente siamo negli atteggiamenti mentali giu-sti per costruirla (vogliamo costruirla, desideriamo che sia fatta in un certomodo, etc.) ma ci sbagliamo sulle azioni che stiamo compiendo: quandosogniamo di costruire una sedia non stiamo in realta costruendo una sedia.

3.3 Espressibilita

Sebbene sembriamo essere in grado di comunicare a qualcuno che stiamoprovando del dolore, sembra essere assai difficile comunicare a qualcuno cosasignifica provare il dolore che stiamo provando. Si ritiene cioe che sia moltodifficile comunicare le proprie esperienze, in particolare quelle percettive.Sembra sempre esserci qualcosa che ci sfugge. Le esperienze, quindi, hannoun basso grado di espressibilita.

Nel caso di atteggiamenti ed azioni le cose sembrano andare un po’ meglioma anche in questo caso sembrano esserci dei problemi.

Normalmente, sembra facile esprimere linguisticamente quello che stia-mo facendo ma ci sono azioni che difficilemente riusciremmo a descrivere indettaglio. Non sembra pero esserci nulla in una azione che la rende inesprimi-bile, come nel caso delle esperienze. Quel che rende inesprimibile un’azionee semmai la poverta dei mezzi espressivi.

Anche gli atteggiamenti sembrano essere tanto esprimibili quanto le azionianche se a volte sembra difficile trovare gli strumenti linguistici adatti peresprimerle (si pensi a quando ci aspetta che qualcosa succeda; e chiaramenteun atteggiamento ma a volte e difficile trovare le parole per descrivere ilcontenuto dell’aspettativa).

3.4 Direzionalita

La direzionalita e una caratteristica che caratterizza innanzitutto gli atteg-giamenti. Come abbiamo visto, gli atteggiamenti (come credere, conoscere,desiderare) sono caratterizzati dal fatto di essere rivolti verso un certo con-tenuto. Si prenda il caso del desiderio: non possiamo dire di aver descrittoil desiderio di qualcuno in maniera completa almeno fino a che non abbiamospecificato cio verso cui il desiderio e diretto. Si pensi invece ad una persona

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vanitosa; una persona vanitosa e sicuramente una persona in un certo sta-to mentale; tuttavia, la vanita di una persona non e uno stato mentale chee necessariamente rivolto a qualcosa, la vanita puo non essere rivolta versoqualcosa.

La caratteristica della direzionalita sembra essere del tutto assente dalleesperienze. E certo vero che, come abbiamo visto, il dolore ha la caratteristicadi essere localizzato ma non diremmo mai che il dolore riguarda qualcosacome diremmo, invece, che il desiderio riguarda qualcosa. Il dolore, comequalsiasi altro stato percettivo, non ha quindi un contenuto.

Attenzione: si consideri il caso della visione; quando fissiamo un albero,ad esempio, potremmo dire che la visione ha un oggetto, e diretta versoqualcosa, ossia l’albero che sto fissando. Questo senso di direzionalita, pero,non e quello rilevante; quando percepisco un oggetto, qualcosa accade nel mio“flusso percettivo” ma e completamente distinto dall’oggetto che lo provoca.A riprova di questo c’e il caso delle illusioni: l’illusione di vedere un albero edel tutto simile, dal punto di vista percettivo, alla visione di un albero veroe proprio; nel primo caso, pero, non c’e alcun oggetto verso cui la visione ediretta ma ciononostante la qualificheremmo ugualmente come un’esperienza.

L’azione ha alcuni elementi di direzionalita; quando firmo un assegno,l’azione non e caratterizzata da dei movimenti sconnessi; c’e un certo fineche voglio ottenere (la firma dell’assegno) e delle azioni che convergono tutteverso questo fine. La direzionalita delle azioni, comunque, potrebbe esseresemplicemente un fenomeno per cosı dire “parassitico” al fatto che l’azionee sempre accompagnata da degli atteggiamenti.

In generale, comunque, si puo dire che gli atteggiamenti hanno un altogrado di direzionalita, le azioni uno medio mentre le esperienza uno basso.

3.5 Teoreticita

Ci sono delle entita la cui esistenza viene postulata perche sono direttamenteosservabile, ma ci sono anche alcune entita la cui esistenza e postulata permotivi teorici, poiche la loro esistenza e necessaria per far funzionare unacerta teoria che riteniamo vera. Si pensi al caso degli elettroni. Gli elettroniesistono, fanno parte delle teorie fisiche standard ma essi non sono delle entitache possono essere direttamente osservate. Di solito, il grado di teoreticita diuna certa entita e inversamente proporzionale al suo grado di osservabilita.Tavoli e sedie sono altamente osservabili e quindi sono entita con un bassogrado di teoreticita; non postuliamo l’esistenza di tavoli e sedie (e in generaledi tutti gli oggetti tipici della nostra esperienza quotidiana) per motivi teorici.

Come stanno le cose per gli stati e le entita del mentale?

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Normalmente si pensa che le esperienza abbiano un basso grado di teo-reticita. Dolori e percezioni in generale ci sembrano essere immediatamente“osservabili”; non consideriamo il dolore semplicemente come un’entita chesiamo costretti a postulare al fine di far funzionare bene la nostra teoria delmentale. In filosofia c’e stata per molti secoli la tendenza a considerare inostri dati di senso, le nostre percezioni, come le entita piu osservabili ditutte; la cui esistenza e piu salda di quella di oggetti come tavoli e sedie.

Per quanto riguarda gli atteggiamenti, essi non sembrano condividere conle esperienze un alto grado di osservabilita diretta (e quindi tenderemmo aconsiderarli come entita piu teoriche). Come abbiamo visto non e spesso faci-le, per noi, capire quali siano i nostri atteggiamenti ma nemmeno per gli altri(anzi, a volte succede che un nostro atteggiamento sia piu facilmente indivi-duato dagli altri, a causa di un certo nostro comportamento associato, cheda noi stessi e viceversa). In questo senso l’attribuzione di un atteggiamentoad un’altra persona sembra essere il risultato di un’attivita di interpretazionedel suo comportamento e quindi sembra essere un’attivita altamente teorica.

Per le azioni, la situazione e complicata: da un certo punto di vista leazioni sono immediatamente visibili ma, come abbiamo visto, da una parte leazioni non sono descrivibili solo descrivendo i movimenti, i cambiamenti nelmondo fisico che le caratterizzano; dall’altro semnbrano esserci delle azionipuramente “mentali” come contare o fare un’inferenza che non hanno alcungrado di osservabilita diretta.

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