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Progetto Finestre Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (PCTO) La nostra scuola, in collaborazione con il Centro Astalli, ha proposto agli studenti di 12 classi un percorso di riflessione sul tema dell’esilio, in particolare attraverso il contatto diretto con i rifugiati e l’ascolto delle loro storie di vita. Incontrare per capire Ad oggi la “questione immigrazione” interessa tutti ed è sulle prime pagine di riviste e quotidiani, anche a causa del Decreto Sicurezza. Ma c’è bisogno di avere idee chiare e conoscenze fondate: è questo l’obiettivo del PROGETTO FINESTRE che la nostra scuola ha portato avanti in 12 classi. Abbiamo ricercato, studiato, scritto, letto… un percorso interessante e illuminante! Al cuore del percorso c’è stato l’incontro con i volontari del Centro Astalli (sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati), che hanno cercato di aiutarci a superare pregiudizi e luoghi comuni. Il colloquio si è aperto delineando la figura del “migrante forzato”, ovvero di colui che è costretto a scappare dal proprio paese perché perseguitato per la propria cultura, l’ideologia, l’appartenenza ad un gruppo sociale, oppure a causa di una calamità naturale.

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Progetto FinestrePercorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (PCTO)

La nostra scuola, in collaborazione con il Centro Astalli, ha proposto agli studenti di 12 classi un percorso di riflessione sul tema dell’esilio, in particolare attraverso il contatto diretto con i rifugiati e l’ascolto delle loro storie di vita.

Incontrare per capireAd oggi la “questione immigrazione” interessa tutti ed è sulle prime pagine di riviste e quotidiani, anche a causa del Decreto Sicurezza. Ma c’è bisogno di avere idee chiare e conoscenze fondate: è questo l’obiettivo del PROGETTO FINESTRE che la nostra scuola ha portato avanti in 12 classi. Abbiamo ricercato, studiato, scritto, letto… un percorso interessante e illuminante!

Al cuore del percorso c’è stato l’incontro con i volontari del Centro Astalli (sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati), che hanno cercato di aiutarci a superare pregiudizi e luoghi comuni.

Il colloquio si è aperto delineando la figura del “migrante forzato”, ovvero di colui che è costretto a scappare dal proprio paese perché perseguitato per la propria cultura, l’ideologia, l’appartenenza ad un gruppo sociale, oppure a causa di una calamità naturale.

Nell’articolo 14 della “Dichiarazione universale dei diritti umani” è espresso il diritto del fuggitivo a richiedere asilo e la possibilità di ottenerlo, dopo una lunga procedura burocratica che deve essere compiuta nella nazione in cui si fa domanda. Ma, come sottolineato dagli operatori del Centro e dalle varie testimonianze di chi ha vissuto sulla propria pelle questa esperienza, il viaggio è la parte più travagliata del percorso. Le condizioni nelle quali sono costretti a navigare nel Mediterraneo sono disumane: barconi affollati di uomini, donne e bambini in assenza totale di condizioni di sicurezza o igienico-sanitarie, con la paura e la possibilità di morire.

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È fondamentale non confondere rifugiato e clandestino: il primo, dopo aver ottenuto l’asilo politico, ha il pieno diritto di trovare riparo sul suolo del territorio ospite, mentre il secondo lo fa contro ogni norma o divieto.

Nella seconda parte dell’incontro si è lasciato spazio al racconto delle storie di persone che hanno trovato accoglienza in Italia e che ci tengono a condividere quella che è stata la loro esperienza e i motivi della loro fuga.

Uno di questi è Karamoko, uomo di circa trent’anni, originario della Costa D’Avorio che dopo anni è riuscito a lasciare il continente africano alla ricerca di una vita migliore. La sua epopea inizia con lo spostamento dalla propria terra di origine in un campo profughi in Liberia per seguire il fratello, colpevole di omicidio di un vicino casa, dopo una violenta discussione. Ma la permanenza viene interrotta dallo scoppio di un’epidemia di ebola: Karamoko decide quindi di lasciare ogni affetto, di cui non ha più notizie, per raggiungere la Guinea, poi il Mali e il Niger, prima di trovare finalmente un’occupazione a Tripoli. Racconta che ha lavorato duramente per mesi anche senza essere mai pagato; fin quando, una mattina, il capo lo sveglia e lo accompagna al porto: ha pagato per lui il viaggio che lo avrebbe condotto in Italia, realizzando il suo più grande sogno. L’esperienza nel barcone è stata terribile, ma lo sbarco forse ancora più traumatico: con un sorriso racconta di essere arrivato a Cagliari in pieno inverno con vestiti estivi e di aver patito un grande freddo. Successivamente si è trasferito a Roma dove ora lavora in un forno in cui realizza ogni giorno pasta all’uovo, la cosa che più apprezza del nostro paese, anche se continua a studiare perché il suo sogno è completare gli studi di ingegneria e laurearsi.

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Conoscere le vere storie e capire quale è la realtà dietro alle notizie che sentiamo quotidianamente, ci aiuta a liberarci da ogni forma di stereotipo e da infondate fobie di fronte al “diverso”, abbattendo i muri della discriminazione.

Caterina Badiali VB