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Crimini internazionali commessi dagli individui e Tribunali penali internazionali Dott.ssa Elisabetta Bonomo 1. I Tribunali penali internazionali nella storia Storicamente, gli Stati si sono sempre dimostrati “gelosi” del proprio potere di esercitare la giurisdizione penale sui propri cittadini o sui soggetti che si trovino presenti nel proprio territorio. Questo potere, infatti, viene tradizionalmente considerato come una delle espressione dell’esercizio della sovranità da parte degli Stati. Proprio questa ritrosia che gli Stati hanno rispetto alla possibilità che altri soggetti (siano essi Stati o Tribunali internazionali) esercitino la giurisdizione penale e la mancanza di cooperazione a favore di questi soggetti terzi sono alla base delle difficoltà che si sono incontrate nello sviluppare il concetto di giurisdizione penale internazionale. Il primo tentativo concreto in questo senso, infatti, avvenuto a seguito della Prima guerra mondiale, mostra chiaramente le debolezze di un sistema giudiziario penale dal carattere internazionale. Nell’ambito dei Trattati di Versailles, le potenze vincitrici decisero di istituire un tribunale speciale che giudicasse l’imperatore Guglielmo II di Hohenzollern per l’offesa arrecata alla moralità internazionale e alla sacralità dei trattati, conseguente agli atti che provocarono la Prima guerra mondiale e la violazione delle leggi e dei costumi di guerra e delle leggi dell’umanità. Inoltre il Trattato imponeva al governo tedesco di riconoscere il diritto agli Alleati di portare di portare di fronte ai tribunali militari le persone accusate di violazione del diritto bellico e di consegnare quest’ultime agli Alleati affinché venissero giudicate. Le ragioni del fallimento vanno ricondotte alla mancanza di volontà dei

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Crimini internazionali commessi dagli individui e Tribunali penali internazionali

Dott.ssa Elisabetta Bonomo

1. I Tribunali penali internazionali nella storia

Storicamente, gli Stati si sono sempre dimostrati “gelosi” del proprio potere di esercitare la giurisdizione penale sui propri cittadini o sui soggetti che si trovino presenti nel proprio territorio. Questo potere, infatti, viene tradizionalmente considerato come una delle espressione dell’esercizio della sovranità da parte degli Stati.

Proprio questa ritrosia che gli Stati hanno rispetto alla possibilità che altri soggetti (siano essi Stati o Tribunali internazionali) esercitino la giurisdizione penale e la mancanza di cooperazione a favore di questi soggetti terzi sono alla base delle difficoltà che si sono incontrate nello sviluppare il concetto di giurisdizione penale internazionale. Il primo tentativo concreto in questo senso, infatti, avvenuto a seguito della Prima guerra mondiale, mostra chiaramente le debolezze di un sistema giudiziario penale dal carattere internazionale. Nell’ambito dei Trattati di Versailles, le potenze vincitrici decisero di istituire un tribunale speciale che giudicasse l’imperatore Guglielmo II di Hohenzollern per l’offesa arrecata alla moralità internazionale e alla sacralità dei trattati, conseguente agli atti che provocarono la Prima guerra mondiale e la violazione delle leggi e dei costumi di guerra e delle leggi dell’umanità. Inoltre il Trattato imponeva al governo tedesco di riconoscere il diritto agli Alleati di portare di portare di fronte ai tribunali militari le persone accusate di violazione del diritto bellico e di consegnare quest’ultime agli Alleati affinché venissero giudicate. Le ragioni del fallimento vanno ricondotte alla mancanza di volontà dei Paesi Bassi, che ospitavano l’imperatore tedesco, di consegnarlo agli Alleati, e quindi di cooperare per il funzionamento di questo organismo giurisdizionale internazionale.

Questa esperienza è comunque stata d’impulso in seno alla Società delle Nazioni per l’avvio di alcuni lavori per la redazione del progetto di un’Alta corte di giustizia internazionale, competente per ciò che concerne i crimini commessi in violazione dell’ordine pubblico internazionale e della legge universale delle Nazioni, oltre ad altri progetti che tuttavia non videro mai la luce.

La Seconda Guerra Mondiale fu, come è noto, scenario di enormi atrocità. Ancor prima della fine del conflitto, si sentiva la necessità di predisporre un meccanismo che permettesse la punizione dei responsabili di tali crimini.

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Il 13 gennaio 1942 i rappresentanti dei nove Paesi occupati adottarono la cosiddetta “Dichiarazione di Saint James” in cui si legge la volontà di punire i colpevoli dei crimini attraverso il canale della giustizia organizzata, mentre il 3 ottobre dello stesso anno venne istituita la “United Nations Commission for the Investigation of War Crimes”. Quest’ultima fu incaricata, in particolare, di studiare la creazione di un tribunale che giudicasse i crimini di guerra. Verso la fine del 1943 i Tre Grandi, Roosevelt, Stalin e Churchill, emisero una dichiarazione congiunta nella quale decisero che i militari tedeschi e i membri del partito nazista sarebbero stati portati nei Paesi in cui avevano commesso i crimini ad essi attribuiti e sarebbero stati puniti secondo la legge di questi; per quanto riguarda invece i maggiori responsabili, i cui crimini non erano riconducibili ad un territorio preciso, la pena sarebbe stata decisa in modo congiunto da parte degli Alleati.L’8 agosto 1945, ormai conclusa la guerra, venne firmato dalle potenze vincitrici a Londra l’Accordo per la punizione del maggiori criminali di guerra dell’Asse e ad esso venne annessa la Carta del Tribunale militare internazionale di Norimberga. Altri 19 Stati aderirono all’Accordo, ma essi non parteciparono attivamente ai lavori del Tribunale. Attraverso la creazione di tale Tribunale, venne finalmente proclamato il principio per cui “gli organi internazionali possono esercitare la loro autorità direttamente sugli individui, senza passare per gli Stati” e che “colpire gli autori di crimini contro la pace e l’umanità consiste non più nel punire gli Stati per conto dei quali quegli individui hanno agito (come membri dell´esercito, ministri della difesa, capi di Stato), ma nel chiamare quegli individui stessi a rendere conto”. Ciò che maggiormente interessa sono le categorie di crimini su cui la Corte limitò la propria giurisdizione e le principali problematiche che emersero dalla creazione del Tribunale.Innanzitutto, i soggetti vennero giudicati indipendentemente dal fatto che avessero agito come individui o come membri di un’organizzazione e non venne riconosciuta alcuna immunità legata alla carica ricoperta né l’esistenza di una causa di giustificazione data dall’esecuzione di un ordine superiore. I crimini di competenza del Tribunale vennero definiti “crimini contro la pace”, “crimini di guerra”, “crimini contro l’umanità” e per ciascuna categoria venne data una definizione1.

1 Art. 6 : « Le Tribunal établi par l'Accord mentionné à l'article 1er ci-dessus pour le jugement et le châtiment des grands criminels de guerre des pays européens de l'Axe sera compétent pour juger et punir toutes personnes qui, agissant pour le compte des pays européens de l'Axe, auront commis, individuellement ou à titre de membres d'organisations, l'un quelconque des crimes suivants. Les actes suivants, ou l'un quelconque d'entre eux, sont des crimes soumis à la juridiction du Tribunal et entraînent une responsabilité individuelle:(a) ' Les Crimes contre la Paix ': c'est-à-dire la direction, la préparation, le déclenchement ou la poursuite d'une guerre d'agression, ou d'une guerre en violation des traités, assurances ou accords internationaux, ou la participation à un plan concerté ou à un complot pour l'accomplissement de l'un quelconque des actes qui précèdent;

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Le critiche maggiori contro l’operato del Tribunale di Norimberga riguardano la sua costituzione ex post facto, contraria al principio del giudice precostituito, e la contrarietà al principio del nullum crimen sine lege. Quest’ultima critica fu respinta dagli stessi giudici del tribunale attraverso il richiamo alla Prima Convenzione dell’Aja del 18 ottobre 1907 e del Patto Kellogg-Briand del 1928 per i crimini contro la pace2. Inoltre, rimaneva controverso il carattere internazionale di tale Tribunale, in quanto istituito unilateralmente dalle potenze vincitrici e rappresentante solo una parte della comunità internazionale.Il 3 maggio 1946 venne istituito, in seguito all’approvazione del generale americano McArthur della relativa Carta, il Tribunale militare internazionale per il Lontano Oriente, allo scopo di punire i capi giapponesi per le stesse tipologie di crimini previste nella Carta di Norimberga. La differenza di questa Corte rispetto al Tribunale di Norimberga si può ravvisare nella maggiore rappresentatività dei diversi Stati nel collegio giudicante, dal momento che comprendeva giudici provenienti da undici paesi. Anche in questo caso, comunque, la maggior parte dei criminali venne punita dai tribunali nazionali dei Paesi asiatici.

L’importanza che ha avuto la creazione dei tribunali internazionali postbellici rileva in particolare per alcuni principi che furono in quelle occasioni sanciti. Per quanto riguarda la spinta alla creazione di una corte penale internazionale, è importante, in particolare, l’affermazione esplicita di una nozione “giuridica” di sovranità, che può essere riassunta in una frase della sentenza Görings e altri: “He who violates the laws of war cannot obtain immunity while acting in pursuance of the authority of the state if the state in autorising action moves outside its competence under International law”. Come è già stato sottolineato dunque, mentre in passato era configurabile sul piano internazionale

(b) ' Les Crimes de Guerre ': c'est-à-dire les violations des lois et coutumes de la guerre. Ces violations comprennent, sans y être limitées, l'assassinat, les mauvais traitements et la déportation pour des travaux forcés ou pour tout autre but, des populations civiles dans les territoires occupés, l'assassinat ou les mauvais traitements des prisonniers de guerre ou des personnes en mer, l'exécution des otages, le pillage des biens publics ou privés, la destruction sans motif des villes et des villages ou la dévastation que ne justifient pas les exigences militaires;(c) ' Les Crimes contre l'Humanité ': c'est-à-dire l'assassinat, l'extermination, la réduction en esclavage, la déportation, et tout autre acte inhumain commis contre toutes populations civiles, avant ou pendant la guerre, ou bien les persécutions pour des motifs politiques, raciaux ou religieux, lorsque ces actes ou persécutions, qu'ils aient constitué ou non une violation du droit interne du pays où ils ont été perpétrés, ont été commis à la suite de tout crime rentrant dans la compétence du Tribunal, ou en liaison avec ce crime. Les dirigeants, organisateurs, provocateurs ou complices qui ont pris part à l'élaboration ou à l'exécution d'un plan concerté ou d'un complot pour commettre l'un quelconque des crimes ci-dessus définis sont responsables de tous les actes accomplis par toutes personnes en exécution de ce plan. »2 Questo trattato internazionale, inizialmente previsto solo per i rapporti fra Francia e Stati Uniti e in seguito firmato da 65 Stati, prevedeva la rinuncia dell’uso della guerra come instrument of National policy. Prima di questo, il divieto di aggressione poteva essere stabilito solo tramite accordi bilaterali o multilaterali fra Stati.

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solamente una responsabilità da parte dello Stato, a partire dalla creazione dei due tribunali viene stabilita la possibilità di una responsabilità individuale di tipo penale.A seguito della costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e alla luce dei lavori svolti dai Tribunali post-bellici, in seno all’Assemblea generale (ris. 95 del 1946) si riconobbe la necessità di iniziare degli studi e fare delle raccomandazioni allo scopo di incoraggiare il progressivo sviluppo del diritto internazionale e della sua codificazione. Si prospettò la necessità di svolgere alcuni studi per la realizzazione di un codice penale internazionale fondato sui principi riconosciuti dalla Carta di Norimberga. Nello stesso momento vennero intrapresi i primi studi della Commissione del diritto internazionale per la realizzazione di un tribunale penale avente giurisdizione di tipo penale. Dopo solo quattro anni entrambi i lavori subirono una battuta d’arresto a causa della situazione creatasi in conseguenza della guerra fredda e per la necessità – espressa dall’Assemblea generale – che prima di proseguire fosse data una definizione al crimine di aggressione. Nonostante tale definizione venne data con la risoluzione 3314 del 1974 dell’Assemblea generale, solo nel 1989, su impulso dello Stato di Trinidad e Tobago, afflitto dal problema del traffico illecito di droga, l’Assemblea generale invitò la Commissione a riprendere in esame la questione della giurisdizione penale internazionale (Ris. 44 del 1989).Nel 1994 venne presentato all’Assemblea generale un Progetto di Statuto per una Corte penale internazionale. Alcune delle problematiche di maggior rilevanza affrontate, sia nella redazione del “Draft”, sia nel corso dei lavori svoltisi successivamente e che hanno poi portato alla Conferenza di Roma, riguardano la giurisdizione ratione materiae e ratione personae, e il rapporto tra la costituenda Corte e le giurisdizioni nazionali.

Gli anni Novanta hanno visto la creazione di altri due Tribunali penali internazionali, costituiti per il tramite di due risoluzioni del Consiglio di sicurezza, adottate ai sensi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. In entrambe le situazioni, infatti, il Consiglio di sicurezza aveva ravvisato che le situazioni nell’ambito delle quali punire i crimini internazionali commessi costituissero una violazione alla pace e alla sicurezza internazionale e che gli organi giurisdizionali nazionali non fossero in grado di agire giudizialmente in modo corretto e leale. Si tratta, come è noto, del Tribunale penale internazionale per la ex-Yugoslavia (costituito con la ris. 808 del 1993) e del Tribunale penale internazionale per il Ruanda (costituito con la ris. 955 del 1994).Questi sono due Tribunali ad hoc, ovvero costituiti per giudicare i crimini commessi nell’ambito di una situazione determinata nell’ambito delle risoluzioni che li hanno

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costituiti. Per tale motivo, questi Tribunali sono destinati ad esaurire le proprie funzioni al termine dell’ultimo procedimento penale intrapreso.Entrando nello specifico, il Tribunale penale internazionale per la ex-Yugoslavia ha giurisdizione nei confronti dei responsabili delle gravi violazioni del diritto internazionale commesse nei territorio della ex-Yugoslavia, in particolare le gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949, le violazioni delle leggi e delle consuetudini di guerra, il genocidio e i crimini contro l’umanità. Tale giurisdizione si estende sul territorio della ex Repubblica Federale Socialista di Yugoslavia, per i fatti avvenuti dal 1 gennaio 1991 (art. 8).Per quanto riguarda il Tribunale per il Ruanda, questo ha competenza per le violazioni dell’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra e del II Protocollo addizionale, il genocidio e i crimini contro l’umanità. La competenza ratione loci si estende al territorio del Ruanda, ed al territorio degli Stati vicini in caso di violazioni gravi del diritto internazionale umanitario commesse da cittadini ruandesi. La competenza ratione temporis, si estende al solo anno 1994.

Entrambi i Tribunali hanno una giurisdizione concorrente rispetto a quella degli Stati, caratterizzata dalla primazia su questi ultimi3. Tale primazia è espressione della fonte costitutiva dei Tribunali, ovvero la risoluzione del Consiglio di sicurezza. La natura dei Tribunali, infatti, fa sì che quanto assunto e stabilito in seno a queste sedi giurisdizionali abbia valore vincolante nei confronti degli Stati. L’espressione della concorrenzialità di questi Tribunali è ben definita dalla Rule 9 del Tribunale per la ex-Yugoslavia. In questa disposizione vengono definiti tre criteri per l’attivazione del procedimento da parte del Procuratore: il fatto è stato qualificato dal tribunale nazionale come crimine di diritto comune; la procedura non è imparziale o indipendente ed è effettuata con lo scopo di sottrarre dalla responsabilità penale; l’oggetto della procedura riguarda dei fatti che sono oggetto di indagine in seno al Tribunale internazionale.

La Rule 8 del Tribunale per il Ruanda prevede invece che, per avocare l’accusa nella giurisdizione internazionale il Procuratore debba considerare, inter alia (!), la serietà delle offese, lo status dell’accusato al momento dei fatti, la generale importanza delle questioni derivanti dal caso.

Entrambe le previsioni dimostrano come al Procuratore dei Tribunali ad hoc sia riconosciuta la massima discrezione nell’intraprendere le indagini e quindi l’azione penale,

3 L’art. 9 dello Stauto del Tribunale per la ex-Yugoslavia e l’art. 8 dello Stauto del Tribunale per il Ruanda recitano: “The International Tribunal and National courts shall have concurrent jurisdiction to prosecute persons […]. The International Tribunal shall have primacy over national courts […].”

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sempre nel rispetto dei criteri di giurisdizione stabiliti dai rispettivi Statuti. È il Procuratore il responsabile delle indagini da svolgere. Una volta terminate tali indagini, egli formula l’imputazione nei confronti dei sospettati, e l’invia alla Camera preliminare, la quale, sulla base dell’esposizione dei fatti, valuta se vi siano elementi sufficienti per l’accusa e quindi per confermare l’imputazione.

Come già accennato, la natura ad hoc dei Tribunali penali internazionali per la ex-Yugoslavia e per il Ruanda fa sì che la giurisdizione non possa essere estesa oltre i limiti stabiliti dalle risoluzioni costitutive. Questi Tribunali sono dunque destinati ad esaurire presto i lavori derivanti dal mandato conferitogli.

2. La Corte Penale Internazionale

Oggi, l’organismo internazionale avente giurisdizione sui crimini internazionali è la Corte Penale Internazionale. Prima di procedere all’analisi delle caratteristiche di tale tribunale è importante fare un’osservazione preliminare:

- Non è corretto affermare de plano che la giurisdizione penale internazionale è esercitata dalla Corte penale internazionale. Sono, infatti, gli Stati i principali detentori del potere giurisdizionale sui crimini internazionali. Questo non solo perché, come si vedrà meglio in seguito, la giurisdizione della Corte si basa su un principio di complementarietà, ma anche perché essa non comprende tutti i crimini internazionali, né ha carattere universale. Il Preambolo dello Statuto sottolinea tale principio nell’affermare che “è dovere di ogni Stato esercitare la giurisdizione penale nei confronti dei responsabili dei crimini internazionali”.

Infatti: la Corte Penale Internazionale è stata costituita nel 1998 per il tramite di un trattato internazionale. Questo trattato è entrato in vigore nel 2002, a seguito del raggiungimento di 60 firme di ratifica. In quanto strumento di natura pattizia, lo Statuto ha effetti esclusivamente nei confronti degli Stati che ne sono parte, ad esclusione di alcune possibilità di ampliamento di tali effetti anche nei confronti di Stati terzi, come conseguenza delle decisioni assunte dal Consiglio di sicurezza ai sensi del Capitolo VII della Carta.

L’esercizio dell’azione da parte della Corte incontra molti limiti.

Prima di analizzare i crimini su cui essa esercita la giurisdizione, giova anticiparne gli aspetti ratione personae e ratione loci: l’art. 12 dello Statuto limita la giurisdizione della Corte ai crimini commessi dai cittadini degli Stati parti dello Statuto, oppure dai cittadini di Stati

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terzi che abbiano preventivamente accettato la giurisdizione della Corte (cfr. situazione della Costa d’Avorio), oppure ai crimini commessi nel territorio degli Stati parti anche da parte di individui aventi nazionalità anche di Stati terzi allo Statuto. I limiti territoriali e personali possono essere superati, qualora la situazione venga deferita per il tramite di una risoluzione del Consiglio di sicurezza (cfr. situazione del Sudan-Darfur e situazione della Libia).

La Corte penale internazionale è competente solo rispetto ai più gravi crimini di diritto internazionale (i c.d. “International core crimes”), in cui si verifichi una lesione particolarmente qualificata dei beni giuridici di volta in volta protetti. Come si è già accennato, l’estensione ratione materiae della giurisdizione della Corte è stata oggetto di ampio dibattito nel corso dei lavori preparatori e il risultato finale denota la volontà di attribuire un carattere eccezionale alla sua competenza. Le difficoltà maggiori nel giungere ad un accordo sul punto hanno essenzialmente due origini:

- Innanzitutto, considerata la propensione universalistica della giurisdizione della Corte, era necessario limitarne la portata ai crimini internazionali ritenuti di maggior rilevanza, per non oberare eccessivamente la Corte, e quindi rendere ineffettivo e inefficace il suo funzionamento.

- In secondo luogo, per alcuni crimini sorgevano alcune difficoltà connesse sia alla natura politica del crimine stesso, sia alla mancanza di una definizione universale che definisse la fattispecie in modo accettabile dalla comunità internazionale. Per tali ragioni non fu possibile ricomprendere nella competenza ratione materiae né il traffico internazionale di droga, né il crimine di terrorismo internazionale.

2.1 I crimini rientranti nella giurisdizione della Corte penale internazionale

Gli articoli da 5 a 8 bis dello Statuto dunque stabiliscono le fattispecie rientranti nei crimini di competenza della Corte Penale Internazionale. A tali disposizioni si aggiunge quanto stabilito nel documento redatto nel 2002 chiamato “Elements of crimes” (ai sensi dell’art. 21 dello Statuto a tutti gli effetti legge applicabile dalla Corte), che esplica e delinea gli elementi caratterizzanti i singoli aspetti ed elementi costitutivi. I crimini di competenza della Corte dunque sono:

1) Genocidio: è considerato il più grave crimine crimine internazionale. La definizione contenuta nello Statuto di Roma riprende alla lettera quanto previsto nella Convenzione

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per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948. L’art. 6 recita quindi come segue:

Ai fini del presente Statuto, per crimine di genocidio s'intende uno dei seguenti atticommessi nell'intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, e precisamente:a) uccidere membri del gruppo;b) cagionare gravi lesioni all'integrità fisica o psichica di persone appartenenti al gruppo;c) sottoporre deliberatamente persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali dacomportare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo stesso;d) imporre misure volte ad impedire le nascite in seno al gruppo;

e) trasferire con la forza bambini appartenenti al gruppo ad un gruppo diverso;

Gli elementi caratterizzanti il genocidio (che lo differenziano dai crimini contro l’umanità) risiedono nella massività della portata del crimine e – soprattutto – nella mens rea, ovvero nell’intento di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.

2) Crimini contro l’umanità: le fattispecie contenute nell’art. 7 presentano molti elementi comuni con il genocidio. Entrambi costituiscono delle violazioni degli aspetti fondamentali della dignità umana; non sono sufficienti fatti isolati, ma essi devono essere parte di un ampio contesto; generalmente (ma non obbligatoriamente) sono commessi da ufficiali dello Stato o per lo meno con la loro accondiscendenza. Gli atti devono essere parte di un attacco sistematico, della cui esistenza l’autore deve essere cosciente. Di conseguenza, ogni attacco isolato e sporadico che non sia posto come esecuzione di un disegno politico di uno Stato o di un’organizzazione, per quanto brutale possa apparire non potrà rientrare nella categoria di crimini contro l’umanità. Non è invece necessario che i soggetti colpiti dall’attacco siano in numero elevato. Le fattispecie che – nelle circostanze indicate - possono costituire crimini contro l’umanità sono (art. 7):

b) Sterminio;c) Riduzione in schiavitù;d) Deportazione o trasferimento forzato della popolazione;e) Imprigionamento o altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale;f) Tortura;

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g) Stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità;h) Persecuzione contro un gruppo o una collettività dotati di propria identità, inspirata da ragioni di ordine politico, razziale, nazionale, etnico, culturale, religioso o di genere sessuale ai sensi del paragrafo 3, o da altre ragioni universalmente riconosciute come non permissibili ai sensi del diritto internazionale, collegate ad atti preveduti dalle disposizioni del presente paragrafo o a crimini di competenza della Corte;i) Sparizione forzata delle persone;j) Apartheid;k) Altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all'integrità fisica o alla salute fisica o mentale.

3) Crimini di guerra: in questo caso l’elemento differenziale rispetto ai crimini contro l’umanità risiede nel contesto in cui le fattispecie sono poste in essere, ovvero quello dei conflitti armati internazionali o non internazionali. Anche in questo caso viene posta particolare attenzione all’elemento sistematico e al contesto in cui si inseriscono gli atti rilevanti. L’art. 8, infatti stabilisce che:

la Corte è competente a giudicare sui crimini di guerra, in particolare quando commessi come parte di un piano o di un disegno politico, o come parte di una serie di crimini analoghi commessi su larga scala.

Le fattispecie rientranti nei crimini di guerra sono numerose, per questo si rimanda alla lettura dell’art. 8 dello Statuto. In linea di massima, come affermato dalla stessa disposizione, rientrano in questa categoria le gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949 e le gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili, all’interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati internazionali (come definite nel dettaglio alle lettere (b) e (e) del par. 2). Come già accennato, perché si possa parlare di crimini di guerra è necessario che sussista l’elemento circostanziale, ovvero l’esistenza di un conflitto armato. L’art. 8 dello Statuto prevede espressamente la sua applicabilità anche ai conflitti non aventi carattere internazionale. Tuttavia essa esclusa nelle situazioni di mera tensione e di disordine interno, quali sommosse o atti di violenza isolati e sporadici (par. 2, lett. (f)).

4. Aggressione: questa fattispecie ha una natura complessa, per cui la sua definizione (e dunque la possibilità che rientrasse effettivamente nella giurisdizione della Corte) venne deferita alla Conferenza di Revisione dello Statuto che si svolse a Kampala nel 2010 (gli

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emendamenti allo Statuto tuttavia entreranno in vigore solo dopo la ratifica da parte di 79 Stati). Le difficoltà maggiori risiedono nel fatto che l’aggressione costituisce una violazione del diritto internazionale tradizionalmente riferibile esclusivamente ad uno Stato e non anche all’individuo, come si evince da quanto stabilito nella Ris. 3314/1974 dell’Assemblea generale. Perchè potesse rientrare tra i crimini internazionali era dunque necessario che fosse formulata una definizione ad hoc.

Questa è stata inserita nell’art. 8-bis dello Statuto, secondo il quale per crimine di aggressione si intende la pianificazione, la preparazione, il cominciamento o l’esecuzione, da parte di una persona che ricopre una posizione tale da esercitare un controllo effettivo sull’azione politica o militare dello Stato, di un atto di aggressione che, per le sue caratteristiche, costituisca una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite.

La definizione di aggressione riprende espressamente quanto definito nella ris. 3314 del 1974 e quindi comprende:

(a) The invasion or attack by the armed forces of a State of the territory of anotherState, or any military occupation, however temporary, resulting from suchinvasion or attack, or any annexation by the use of force of the territory ofanother State or part thereof;(b) Bombardment by the armed forces of a State against the territory of anotherState or the use of any weapons by a State against the territory of anotherState;(c) The blockade of the ports or coasts of a State by the armed forces of anotherState;(d) An attack by the armed forces of a State on the land, sea or air forces, ormarine and air fleets of another State;(e) The use of armed forces of one State which are within the territory of anotherState with the agreement of the receiving State, in contravention of theconditions provided for in the agreement or any extension of their presencein such territory beyond the termination of the agreement;(f) The action of a State in allowing its territory, which it has placed at thedisposal of another State, to be used by that other State for perpetrating anact of aggression against a third State;(g) The sending by or on behalf of a State of armed bands, groups, irregulars ormercenaries, which carry out acts of armed force against another State of suchgravity as to amount to the acts listed above, or its substantial involvement

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therein.

La natura dell’aggressione, costituente al contempo crimine per l’individuo e violazione delle norme di diritto internazionale per gli Stati, è tale per cui è stata prevista una peculiare disciplina in merito all’attivabilità della Corte nelle situazioni in cui si voglia procedere contro i responsabili di tale crimine e all’estensione della giurisdizione ratione personae e ratione loci. Nel caso in cui la situazione sia deferita da uno Stato, o le indagini vengano avviate dal Procuratore motu proprio, a differenza di quanto previsto dalla regola generale dettata dall’art. 12 dello Statuto, viene esclusa espressamente la giurisdizione nel caso in cui la responsabilità sia ascrivibile ai cittadini di uno Stato non parte, oppure sia stata commessa nel territorio di quest’ultimo. Inoltre, per poter procedere, il Procuratore dovrà prima verificare se il Consiglio di sicurezza si sia determinato nel senso dell’esistenza di un atto di aggressione da parte dello Stato. Tuttavia, qualora entro sei mesi dall’attivazione non venga ricevuta alcuna dichiarazione, sarà possibile procedere con le indagini, previa autorizzazione della Camera Preliminare.

2.2 L’attivazione della Corte e la complementarietà

Vi sono tre modi per attivare la Corte penale internazionale (i c.d. “trigger-mechanisms”), previsti dall’art. 13 dello Statuto. La situazione può essere sottoposta all’attenzione del Procuratore da parte di uno Stato parte dello Statuto (il quale chiede di indagare al fine di determinare se una o più persone debbano essere accusate di crimini che appaiono essere commessi nell’ambito di tale situazione). Oppure essere deferita da parte del Consiglio di sicurezza per il tramite di una risoluzione emessa ai sensi del Capitolo VII della Carta ONU. Si osservi che il Consiglio di sicurezza ha altresì il potere di bloccare il cominciamento o sospendere le indagini o l’azione penale per un periodo di 12 mesi rinnovabili, facendone richiesta tramite risoluzione (art. 16). La prassi mostra già l’esistenza due risoluzioni emesse a tale scopo (ris. 1422/2002 e ris. 1487/2003) con le quali è stata inibita la possibilità di iniziare le indagini relativamente a situazioni coinvolgenti personale militare di nazionalità di Stati terzi allo Statuto, relativamente ad atti commessi nell’ambito di operazioni stabilite o autorizzate dalle Nazioni Unite).Come si è già accennato, una delle caratteristiche peculiari della Corte penale internazionale, è quella di esercitare la propria giurisdizione sulla base del principio di complementarietà rispetto alle giurisdizioni nazionali. Ciò significa che essa interviene tramite l’azione penale solo qualora gli Stati che hanno giurisdizione sui crimini

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internazionali che appaiono esser stati commessi falliscano di procedere avverso i responsabili. La ragioni della scelta della complementarietà sono molteplici: innanzitutto, vi sono ragioni di economia dei lavori, in secondo luogo ragioni di effettività ed efficacia dei lavori (un numero troppo elevato di procedimenti rischierebbe di inficiare uno spedito ed efficace svolgimento delle indagini e delle operazioni processuali). Un’ulteriore ragione della scelta della complementarietà risiede nella natura convenzionale dello Statuto della Corte: L’art. 17 dello Statuto di Roma stabilisce disciplina l’ammissibilità di un caso sulla base del principio di complementarietà.

1. Con riferimento al decimo comma del preambolo ed all'articolo primo del presente Statuto, la Corte dichiara improcedibile il caso se:a) sullo stesso sono in corso di svolgimento indagini o provvedimenti penali condotti da uno Stato che ha su di esso giurisdizione, a meno che tale Stato non intenda iniziare le indagini ovvero non abbia la capacità di svolgerle correttamente o di intentare un procedimento;b) lo stesso é stato oggetto di indagini condotte da uno Stato che ha su di esso giurisdizione e tale Stato ha deciso di non procedere nei confronti della persona interessata, a meno che la decisione non costituisca il risultato del rifiuto o dell'incapacità dello Stato di procedere correttamente;c) la persona interessata é già stata giudicata per la condotta oggetto della denunzia e non e non può essere giudicata dalla Corte a norma dell'articolo 20, paragrafo 3;d) il fatto non é di gravità sufficiente da giustificare ulteriori azioni da parte della Corte.2. Al fine di decidere se ricorre in specifiche fattispecie il difetto di volontà dello Stato, la Corte valuta se, avuto riguardo alle garanzie giudiziarie riconosciute dal diritto internazionale sussistono una o più delle seguenti circostanze:a) il procedimento é o é stato condotto, ovvero la decisione dello Stato é stata adottata, nell'intento di proteggere la persona interessata dalla responsabilità penale per i crimini di competenza della Corte indicati nell'articolo 5;b) il procedimento ha subito un ritardo ingiustificato che, date le circostanze, è incompatibile con il fine di assicurare la persona interessata alla giustizia;c) il procedimento non é stato, o non é condotto in modo indipendente o imparziale, ed è stato, o é condotto in modo tale da essere - date le circostanze- incompatibile con il fine di assicurare la persona interessata alla giustizia.

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3. Al fine di decidere se ricorre in specifiche fattispecie l'incapacità dello Stato, la Corte valuta se, a causa di un totale o sostanziale collasso ovvero della indisponibiIità del proprio sistema giudiziario interno, lo Stato non abbia la capacità di ottenere la presenza dell'imputato o le prove e testimonianze necessarie, ovvero sia in qualunque altro modo incapace a svolgere il procedimento instaurato.

In breve, si può quindi ritenere che la Corte possa procedere solo qualora lo Stato che avrebbe giurisdizione sul caso si dimostri “unwilling” o “unable” di procedere in modo corretto (“genuinely”) contro i presunti responsabili dei crimini rientranti nella sua giurisdizione. La regola della complementarietà non conosce eccezioni. L’art. 19 (secondo il principio chiamato “Kompetenz-Kompetenz”) stabilisce che la Corte debba accertare la propria competenza rispetto ad ogni caso portato dinnanzi ad essa. Inoltre, non vi sono eccezioni al principio stabilito al par. 2 del medesimo articolo, per cui la Corte può verificare d’ufficio l’ammissibilità del caso secondo le regole della complementarietà. Ciò significa che anche nel caso in cui il deferimento avvenga su disposizione del Consiglio di sicurezza, sarà necessario verificare che siano soddisfatti i criteri di giurisdizione materiale stabiliti dallo Statuto.

Senza entrare nel merito dello svolgimento del processo dinnanzi alla Corte penale internazionale, preme sottolineare alcune regole peculiari che sono presenti nello Statuto.- Come regola base, i responsabili sono puniti solamente per i crimini commessi con dolo (intenzione e colpevolezza, come prescritto dall’art. 30). Tuttavia, l’art. 28 prevede un’eccezione a tale norma, nel riconoscere la responsabilità dei comandanti e dei superiori gerarchici. Si tratta dunque di una responsabilità per culpa in vigilando, sulla base della quale possono essere perseguiti penalmente e dunque puniti per i fatti commessi da forze poste sotto l’effettiva autorità e controllo, quando risulti che il comandante non abbia esercitato adeguatamente il controllo. Le condizioni perché sia accertabile la responsabilità penale sono che il comandante fosse nelle condizioni per cui egli sapeva o avrebbe dovuto sapere che le forze stavano commettendo i crimini, e che egli abbia omesso di prendere tutte le misure necessarie e ragionevoli per prevenire o reprimere tale commissione, o che non abbia sottoposto la questione alle autorità competenti per l’inchiesta o l’azione giudiziaria.- I crimini sui quali la Corte ha giurisdizione sono imprescrittibili (art. 29).

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- Diversamente da quanto avviene negli ordinamenti interni, la giurisdizione della Corte penale internazionale può essere esercitata su qualunque soggetto, indipendentemente dalla sua qualifica ufficiale. Ciò significa dunque che non valgono di fronte a tale Tribunale le regole dell’immunità personale riconosciute ad alcuni soggetti, come i Capi di Stato e i Ministri degli Esteri. L’art. 27 dello Statuto specifica infatti, in particolare, che la qualifica ufficiale di capo di Stato o di governo o di un parlamento non esenta in nessun caso dalla responsabilità penale dinnanzi alla Corte, né costituiscono di per sé motivo della riduzione della pena. - Esiste la causa di giustificazione consistente nell’esecuzione dell’ordine del superiore.

Tuttavia la sua operatività è limitata. L’art. 33 dello Statuto esclude che la responsabilità

possa venir meno quando il fatto sia stato commesso in esecuzione di un ordine di un

governo o di un superiore, a meno che:

a) la persona avesse l’obbligo giuridico di obbedire agli ordini;

b) la persona non sapesse che l’odine era illegittimo e;

c) l’ordine non fosse manifestamente illegittimo.

Rispetto ai crimini di guerra, compiuti quindi da militari, è sicuramente soddisfatto il primo

requisito, poichè il subordinato è sempre tenuto a eseguire l’ordine del superiore. Deve

quindi dimostrare che non conosceva l’illegittimità dell’ordine e che questo non fosse

manifestamente illegittimo. E’ soprattutto quest’ultimo requisito ad essere difficilmente

realizzabile, dal momento che vale sempre il principio ingnorantia legis neminem excusat.

Tuttavia, alla luce del fatto che i tecnicismi della legge penale internazionale possono

rendere difficile la comprensione dell’illiceità di un fatto. Questo è conforme all’art. 4 l.

382/1978 che obbliga il militare a non eseguire un ordine quando questo costituisca

“manifestamente reato”.

Art. 4 l. 382/1978: Il militare al quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto

contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente

reato, ha il dovere si non eseguire l’ordine e di informare al più presto i superiori.

Lo stesso secondo l’art. 25 del Regolamento di disciplina militare, che impone il dovere di

non eseguire un ordine quando l’esecuzione sia manifestamente criminosa.

Art. 25: Il militare al quale venga impartito un ordine che non ritenga conforme alle norme

in vigore deve, con spirito di leale e fattiva partecipazione, farlo presente a chi lo ha

impartito dichiarandone le ragioni, ed è tenuto ad eseguirlo se l'ordine è confermato.

Secondo quanto disposto dalle norme di principio, il militare al quale viene impartito un

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ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce

comunque manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l'ordine ed informare al più

presto i superiori.

- Non è ammesso il procedimento in contumacia dell’imputato. La norma, dettata dall’art.

63 dello Statuto, oggi si è dimostrata costituire un limite importante allo svolgimento dei

procedimenti di fronte alla Corte penale internazionale. Infatti, non disponendo di forze di

polizie proprie essa deve necessariamente affidarsi alla cooperazione da parte degli Stati,

sia nella raccolta di prove, sia nella cattura dei criminali, la cui presenza è obbligatoria nel

corso del processo. Oggi è possibile osservare come proprio la mancanza di cooperazione ai

fini della consegna abbia costituito un ostacolo al cominciamento del processo nei

confronti dell’ugandese Joseph Kony e del presidente sudanese Al-Bashir (caso ICC-02-05).

Nonostante siano stati emessi contro quest’ultimo due mandati di arresto (datati

rispettivamente 4 marzo 2009 e 12 luglio 2010), né il Darfur, né gli Stati africani (a cui si

aggiunge la Cina) in cui Al-Bashir si è recato negli ultimi anni hanno eseguito il mandato

d’arresto, bloccando così la possibilità di procedere. Come previsto dall’art. 98 dello

Statuto, infatti, la Corte non può formulare richieste di consegna o assistenza che

implichino agli Stati un venir meno ai loro obblighi di diritto internazionale in riferimento

all’immunità diplomatica di una persona di uno Stato terzo, salvo il previo ottenimento

della cooperazione da parte di tale Stato.

2.3 La cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale

Proprio in stretta connessione a quanto appena osservato, è importante sottolineare alcune peculiarità in materia di cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale. Poiché, come già detto, la Corte non dispone di un organo di polizia giudiziaria propria, per lo svolgimento delle indagini e la raccolta di prove è necessaria l’interposizione degli Stati, a cui la Corte invia le richieste di cooperazione. Questa è fondamentale per uno svolgimento efficace delle funzioni nelle diverse fasi processuali e, successivamente, nell’esecuzione delle sentenze. Nel corso della fase investigativa, infatti, la cooperazione diventa fondamentale non solo per la ricezione di documenti, ma anche per lo svolgimento delle indagini nei territori coinvolti. Lo Statuto, infatti, consente al Procuratore di svolgere indagini dirette in loco solamente nei casi in cui queste non comportino l’uso di mezzi coercitivi (art. 99, par. 4. Si noti che il significato di tale espressione è molto ampio e

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ricomprende anche i casi in cui si debbano esumare dei cadaveri), oppure – previa autorizzazione della Camera preliminare – quando lo Stato richiesto non sia in gradi di darvi seguito a causa dell’indisponibilità dell’autorità a darvi esecuzione (art. 57, par. 3, lett. d). In tutti gli altri casi, saranno le autorità locali a procedere.Il Capitolo IX dello Statuto di Roma, intitolato alla Cooperazione ed assistenza giudiziaria internazionale, sancisce, all’art. 86, un obbligo generale per gli Stati parti dello Statuto di cooperare pienamente nelle inchieste e nelle azioni giudiziarie. Le richieste di cooperazione possono essere trasmesse agli Stati per via diplomatica, oppure utilizzando qualunque canale scelto dagli Stati, purchè questo sia appropriato allo scopo. Con la legge di attuazione dello Statuto (l. 237/2012), l’Italia ha stabilito la competenza esclusiva del Ministro di giustizia per la ricezione delle richieste di cooperazione, le quali vengono poi attuate secondo la procedura prevista dal Codice di procedura penale in materia di cooperazione giudiziaria internazionale. Solo gli Stati parti sono obbligati a cooperare con la Corte. È tuttavia possibile che gli Stati terzo sottoscrivano una convenzione ad hoc con la Corte, assicurando la cooperazione nei termini pattuiti. La natura pattizia dello Statuto, infatti, fa sì che solo gli Stati che l’abbiano ratificato siano tenuti al rispetto degli obblighi ivi previsti. Si osservi come tale caratteristica differenzi la Corte penale internazionale dai Tribunali ad hoc. Data la natura di questi ultimi, infatti, l’intera comunità internazionale è tenuta all’adempimento delle richieste di cooperazione. Tale obbligo è stabilito nell’art. 29 dello Statuto del Tribunale per l’ex-Yugoslavia e nelll’art. 28 dello Statuto del Tribunale per il Ruanda, e nelle risoluzioni costitutive emesse dal Consiglio di sicurezza: quest’ultimo – si legge – “decides that all the States shall cooperate fully”. Nel report del Segretario generale dell’ONU emesso con riferimento alla ris. 808/1993 che istituisce il Tribunale per l’ex-Yugoslavia, si legge inoltre, al par. 125, che: “[...] the establishment [...] on the basis of a Chapter VII decision creates a binding obligation on all State to take whatever step are required to implement the decision”.Il valore coercitivo delle richieste di consegna da parte dei Tribunali ad hoc è invece chiaramente espresso nella risoluzione del Consiglio di sicurezza contenente lo Statuto del Tribunale per l’ex-Yugoslavia (UN Doc. S/25704 par. 126), in cui si legge che“[...] an order by the Trial Chamber for the surrender or the transfer of persons to the custody of the International Tribunal shall be considered to be application of an enforcement measure under Chapter VII of the Charter of the United Nation”.

3. Panoramica delle situazioni e dei casi attualmente di fronte alla Corte penale internazionale

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A 11 anni dall’entrata in vigore dello Statuto della Corte, e dunque della sua operatività, sono state portate di fronte alla Corte 18 casi, afferenti a 8 situazioni.

Situazione dell’Uganda . Deferita per “self-referral”, ovvero autodichiarazione dello Stato di incapacità a procedere, nel 2005. Nell’ambito di tale situazione, i due casi principali sono quelli contro Joseph Kony, leader della Lord’s Resistant Army, e contro Vincent Otti, vice di Kony, sui quali pendono 12 capi d’imputazione per crimini contro l’umanità e 21 per crimini di guerra. La mancanza di attuazione dei mandati d’arresto emessi, rende attualmente improcedibili le cause.

Situazione del Congo : deferita tramite self-referral nel 2004. Il caso principale è quello nei confronti di Thomas Lubanda Dyilo, in quanto attualmente è l’unico caso che sia giunto ad una sentenza di condanna (emessa il 14 marzo 2012). Lubanga Dyilo è stato condannato a 15 anni di reclusione per l’arruolamento e l’utilizzo di minori di 12 anni nell’ambito del conflitto dell’Ituri (crimini di guerra ai sensi dell’art. 8 par. 2, lett. e, n.7).

Situazione del Sudan-Darfur : deferita tramite la ris. 1593/2005 dal Consiglio di sicurezza. I casi principali sono quelli contro Ahmad Harun e Ali Kushayb, contro i quali vi sono rispettivamente 22 capi di imputazione per crimini contro l’umanità, e 22 e 28 capi di imputazione per crimini di guerra. V’è poi il procedimento contro Al Bashir, contro il quale si aggiungono il capo d’imputazione di genocisio tramite uccisione, il causare gravi danni fisici e mentali, e la sottoposizione a condizioni di vita dirette a causare la distruzione fisica dei soggetti.

Situazione della Repubblica Centr’africana : deferita tramite self-referral nel 2005, la decisione di aprire le indagini è stata emessa nel 2007. Jean-Pier Bemba Gombo è imputato per crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

Situazione della Repubblica del Kenia : iniziata su iniziativa motu proprio del Procuratore e successiva autorizzazione della Camera preliminare, emessa il 31 marzo 2010. I tre imputati, William Samoei Ruto, Joshua Arap Sang e Henry Kiprono Kosgey sono imputati di crimini contro l’umanità per omicidio, deportazione o trasferimento forzato della popolazione e persecuzione.

Situazione della Libia : deferita dal Consiglio di sicurezza con ris. 1970/2011. Il procedimento contro Muammar Gheddafi è stato dichiarato estinto il 22.11.2011 a seguito del suo decesso, mentre procede contro il figlio Saif Al-Islam Gheddafi e Abdullah Al-Senussi per crimini contro l’umanità (uccisione e persecuzione) commessi nel corso della repressione della rivolta della popolazione libica contro il regime.

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Situazione della Costa d’Avorio : questo Stato non è parte dello Statuto. Il procedimento è stato avviato a seguito dell’accettazione, datata 18 aprile 2003 e rinnovata a seguito dell’elezione del nuovo Presidente, da parte dello Stato della giurisdizione della Corte. Il 3.10.2011 la Camera preliminare ha autorizzato il Procuratore ad iniziare le indagini. L’ex Presidente della Costa D’Avorio Laurent Gbagbo e Simone Gbagbo sono quindi imputati per crimini contro l’umanita: uccisione, violenza sessuale, persecuzione, altri atti inumani, commessi nell’ambito delle violenze avvenute a seguito delle elezioni avvenute nel dicembre 2010 nel territorio ivoriano

Situazione del Mali : la Camera preliminare ha autorizzato in data 16 febbraio 2013 l’apertura delle indagini. Queste sono state avviate su iniziativa del Procuratore, che ritiene che, nell’ambito di conflitti iniziati a partire da gennaio 2012 siano stati commessi i seguenti crimini rientranti nell’ambito dei crimini contro l’umanità: omicidio, mutilazioni, trattamenti crudeli e tortura, attacco intenzionale contro obiettivi protetti, emissione di sentenze e messa in esecuzione in assenza di un previo procedimento pronunciato da una corte irregolare, violenza sessuale.

Inoltre, l’ufficio del Procuratore sta conducendo delle verifiche preliminari su diverse situazioni, fra qui quelle dell’Afghanistan, la Georgia, la Colombia, l’Honduras, la Corea e la Nigeria.