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N° 2/2021

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N° 2/2021

  

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Sommario

SAGGI E ARTICOLI

A. EDILIZIA

1. La Corte Costituzionale (sent. n. 9 del 29 gennaio 2021) ha “salvato” la L.R. Abruzzo n. 34/19

relativa alle norme per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

2. Circolare Ministero Delle Infrastrutture E Dei Trasporti Sulla Ristrutturazione Edilizia

3. L’edilizia residenziale pubblica, un tema in declino, il libro di Fontana e Manzo ricostruisce la lunga

vicenda istituzionale. (Il testo in PDF).

4. Il garante della Privacy sul tema dell’accesso civico ai provvedimenti edilizi.

5. La cassazione penale sull’incondonabilità degli abusi edilizi in zone vincolate di Niccolò Millefiori.

B. RIGENERAZIONE URBANA

6. CGIL, CSL, UIL: Rigenerazione Urbana e Politiche Abitative nella Next Generation Eu.

7. Le diseguaglianze fra centro e periferie: lo sguardo miope sulle città di Elisa Olivito

8. In discussione al Senato il disegno di Legge sulle Misure per la Rigenerazione Urbana.

C. CONSUMO DI SUOLO

9. Valorizzare L’esistente. Le leggi sul consumo di suolo di Matteo Boscolo Anzoletti.

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D. OPERE PUBBLICHE

10. Istituita Presso Il Ministero Delle Infrastrutture E Dei Trasporti La Commissione Nazionale per il

Dibattito Pubblico.

11. ANAC: Una Proposta di partnerariato Pubblico – Privato per la realizzazione delle opere pubbliche.

E. CONCESSIONI BALNEARI

12. La Giurisprudenza Sulla Proroga Della Concessioni Marittime Di Niccolo’ Millefiori

13. Il Consiglio Di Stato Sulla Vicenda Balneari: Premiare Il Progetto Non L’offerta Economica Di

Niccoló Millefiori.

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A. EDILIZIA

1. La Corte Costituzionale (sent. n. 9 del 29 gennaio 2021) ha “salvato” la L.R. Abruzzo n. 34/19

relativa alle norme per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

Nessuna discriminazione nei confronti dei cittadini stranieri che vivono in Abruzzo in merito all’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Così la Consulta si è pronunziata sul ricorso del governo (vedi art.   )  in merito alla legittimità della previsione della disciplina regionale che considera la residenza nella regione Abruzzo quale elemento rilevante per l’attribuzione di punteggi al fine della formazione della graduatoria di assegnazione degli alloggi. Secondo i giudici della Corte il punteggio aggiuntivo in graduatoria sulla base della residenza protratta per più di 10 anni è legittimo ma deve conservare un carattere meno rilevante sull’attribuzione del punteggio rispetto alle condizioni soggettive e oggettive di necessità da parte del richiedente. Pur essendo corretta la linea di principio, quindi, va rivisto il punteggio che in origine attribuiva un massimo di sei punti.Inoltre, se l’onere a carico degli stranieri di documentare l’assenza di proprietà nel paese di origine è stato ritenuto illegittimo in quanto tale adempimento è irrilevante rispetto all’effettivo bisogno di un alloggio in Italia, la Corte ha, comunque, ritenuto infondato e, dunque, respinto il ricorso dello Stato avverso quella parte della normativa regionale sull’edilizia residenziale pubblica che richiede per i cittadini extracomunitari l’obbligo di produrre la documentazione reddituale e patrimoniale del Paese in cui hanno la residenza fiscale (art. 5 comma 4.2. LR 96/1996).La Consulta, sul punto, ha infatti sottolineato che “l’obbligo di produzione della prescritta ulteriore documentazione può avere una ragionevole giustificazione, in quanto diretto a dare conto di una condizione reddituale e patrimoniale che, per il fatto di non avere il soggetto interessato la residenza fiscale in Italia, sfugge alle possibilità di controllo delle autorità italiane e in concreto alle verifiche previste dalla normativa in materia”. Rimane vigente anche la parte della legge n. 96 che inibisce la possibilità di ottenere un alloggio popolare alle famiglie i cui componenti hanno avuto condanne penali per svariate tipologie di reato, compresi quelli di vilipendio. 

Il Governo impugna la nuova legge Regionale dell’Abruzzo sull’assegnazione delle case popolari

La nuova legge della Regione Abruzzo sull’Edilizia Residenziale Pubblica (ERP), reca varie norme che violano i principi di ragionevolezza, di uguaglianza e non discriminazione di cui all’ articolo 3 della Costituzione, in particolare, laddove prevedeche per l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, i cittadini non comunitari devono produrre documentazione ulteriore rispetto a quella richiesta ai cittadini italiani e comunitari.Con queste argomentazioni, il Consiglio dei Ministri n. 20 del 21 dicembre scorso, ha deciso di impugnare la legge della Regione Abruzzo, n. 34 del 31 ottobre 2019, recante “Modifiche alla legge regionale 25 ottobre 1996, n. 96 (Norme per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e per la determinazione dei relativi canoni di locazione) e ulteriori disposizioni normative”. 

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La legge regionale impugnataL’art. 2 comma 1 della L.R. Abruzzo n. 96/1996 disciplina i requisiti per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica. In particolare tale articolo alle lettere d) ed f) specifica che l’interessato (inteso come nucleo familiare), a prescindere dalla cittadinanza, non deve essere titolare di alloggi in Italia o all’estero e avere un reddito, misurato in base all’ISEE non superiore a una data cifra (euro 15.853).La legge regionale n. 34 del 31 ottobre 2019, ha modificato diverse disposizioni della legge del 1996, tra cui l’art. 5 (Contenuti e presentazione delle domande) attraverso l’aggiunta dei commi 4.1 e 4.2. Il comma 4.1 stabilisce che “Ai fini della verifica del requisito di cui alla lettera d) del primo comma dell’art. 2, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea […] devono, altresì, presentare […] la documentazione che attesti che tutti i componenti del nucleo familiare non possiedono alloggi adeguati nel Paese di origine o di provenienza. La disposizione […]non si applica […] qualora convenzioni internazionali dispongano diversamente o qualora le rappresentanze diplomatiche o consolari dichiarino l’impossibilità di acquisire tale documentazione nel paese di origine o di provenienza”.Il comma 4.2 recita “Ai fini della verifica del requisito di cui alla lettera f) del primo comma dell’art. 2, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea […] devono, altresì, presentare […] la documentazione reddituale e patrimoniale del Paese in cui hanno la residenza fiscale. La disposizione […] non si applica […] qualora convenzioni internazionali dispongano diversamente o qualora le rappresentanze diplomatiche o consolari dichiarino l’impossibilità di acquisire tale documentazione nel paese di origine o di provenienza”. Le ragioni dell’impugnativaLe modifiche apportate dalle disposizioni appena menzionate sono state ritenute dal Governo suscettibili di determinare una disparità di trattamento tra cittadini italiani/comunitari e cittadini non comunitari, poiché viene richiesta solo a questi ultimi la produzione di documentazione ulteriore per l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica.Il Governo ha così deciso di impugnare, in quanto in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, l’articolo 2 della nuova legge regionale. La discriminazione fondata sulla nazionalità è stata altresì ritenuta in contrasto con l’articolo18 del Trattato di funzionamento dell’unione europea e l’articolo. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come evidenziato dalla Corte Costituzionale laddove ha censurato la discriminazione dello straniero con riferimento alle prestazioni sociali (cfr. sent. 187/2010).La decisione del Governo è in linea con la recente adozione del D.I del 21 ottobre 2019 sul reddito di cittadinanza (GU n. 285 del 5.12.2019), con il quale il Ministero del Lavoro, di concerto con il Ministero degli Affari Esteri, ha rilevato che nella maggior parte degli Stati extra Ue “non è possibile acquisire la documentazione necessaria alla compilazione della DSU ai fini ISEE, con particolare riferimento al patrimonio immobiliare” Di conseguenza si è ritenuto che, secondo le informazioni regolarmente raccolte dalla Banca Mondiale, gli unici Paesi extraUe in cui vi è un completo sistema di registrazione formale degli immobili privati sono: Bhutan; Repubblica di Corea; Repubblica di Figi; Giappone; Hong Kong; Islanda; Kosovo; Kirghizistan; Kuwait; Malaysia; Nuova Zelanda; Qatar; Ruanda; S. Marino; Santa Lucia; Singapore; Svizzera; Taiwan Regno di Tonga. Solo i cittadini di tali Paesi, pertanto, con riferimento al reddito di cittadinanza sono nelle condizioni di poter produrre la documentazione relativa al patrimonio immobiliare ivi posseduto.lr-n-342019.abruzzo pdf 

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2. Circolare Ministero Delle Infrastrutture E Dei Trasporti Sulla Ristrutturazione Edilizia

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Ministero per la Pubblica Amministrazione hanno emesso una circolare con i chiarimenti interpretativi sull’art. 10 dellalegge n. 120/2020 sulla “nuova” definizione della Ristrutturazione Edilizia. Circolare_edilizia_firmata

3. L’edilizia residenziale pubblica, un tema in declino, il libro di Fontana e Manzo ricostruisce la lunga vicenda istituzionale.

  Testo Scaricabile IndicePRESENTAZIONE DI ALFREDO ZAGATTI.   7Abitare come diritto universale 15NOTE 19PARTE PRIMA: LA STORIA 21La casa e il territorio1.1 Unrra e Unrra casas fra assistenza e ricostruzione 231.2 Il Piano Marshall 311.3 Il Piano Fanfani 361.4 La legge 18 aprile 1962, n. 167 e la legge 14 febbraio 1963, n. 60 531.5 La riforma mancata 701.6 La dimensione territoriale dello sviluppo 761.6.1Programmazione economica e pianificazione urbanistica 761.6.2Il Progetto ‘80 781.6.3La legge “Ponte” 811.7 Le sentenze della Corte Costituzionale 87NOTE 93La locazione 2.1 Il blocco dei fitti 1112.2 La legge 22 ottobre 1971, n. 865 1162.3 Dopo la legge n. 865/1971 1302.3.1La legge 28 gennaio 1977, n. 10 “Bucalossi” 137

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2.3.2La legge 5 agosto 1978, n. 457 “Piano decennale” 1412.3.3La legge 27 luglio 1978, n. 392 “Equo Canone” 1462.3.4 Dall’Equo canone alla legge 9 dicembre 1998, n. 431 157NOTE 186INDICEDalla storia alla cronaca 211PARTESECONDA: LACRONACAEL’ATTUALITÀ 215I nuovi temi 3.1 Le politiche di dismissione dei patrimoni ERP e degli Enti previdenziali 2173.2 Le risposte alle nuove forme del disagio abitativo e all’emergenza abitativa 2.0 2263.3 La Casa nel terzo millennio, gli scenari demografici ed economici 2453.4 Lo stock edilizio e abitativo tra vetustà, rinnovo e parcellizzazione 2563.5 La condizione abitativa nella UE e il prossimo settennio di programmazione europea 267NOTE 283Dalla cronaca all’attualità 299NOTA 303Rifondare il governo della casa pubblica 4.1 Rifondare il governo della casa pubblica 3054.2 Le politiche abitative nel terzo millennio 3124.3 La casa come “ponte” tra le politiche sociali e la rigenerazione urbana 3224.4 Linee di finanziamento interdipendenti e complementari 329NOTE 336Postcovid: una nuova semantica della casa 345NOTE 348BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE  349

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4. Il garante della Privacy sul tema dell’accesso civico ai provvedimenti edilizi

Garante-Privacy-Parere-952185

5. La cassazione penale sull’incondonabilità degli abusi edilizi in zone vincolate di Niccolò Millefiori

INCONDONABILITÀ DELLE COSTRUZIONI ABUSIVE IN ZONE VINCOLATE E INTERFERENZE CON IL DIRITTO ALLA CASA FAMILIARE-Cass. Pen., Sez. III, 20 gennaio 2021, sent. n. 2282- Con la sentenza numero 2282 del 20 gennaio 2021 la Terza Sezione della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in merito ai limiti di applicabilità del c.d. “Terzo Condono” (Legge n. 326 del 2003) ed al rapporto tra il diritto alla inviolabilità del domicilio, sancito dall’art. 8 della CEDU, e l’ordine di demolizione di un immobile abusivo.Nella fattispecie in esame era stato proposto ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Velletri – in funzione di giudice dell’esecuzione – di rigetto dell’istanza di revoca e/o sospensione della ingiunzione a demolire emessa nei confronti del ricorrente dalla competente Procura della Repubblica in applicazione della pena relativa al precedente processo per i reati di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c); L. n. 64 del 1974, artt. 17, 18 e 20; L. n. 1086 del 1971, artt. 2, 4, 7, 13, 14 e 17; D. Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 e art. 349 c.p., comma 2.In particolare, con il primo motivo di gravame il ricorrente aveva dedotto la mancanza di motivazione e la violazione dell’art. 117 Cost. e dell’art. 32, co. 25 e 26, L. n. 326 del 2003 (c.d. Terzo Condono). A sostegno di ciò, aveva addotto la perdurante pendenza della richiesta di condono edilizio che era stata formulata ai sensi dell’art. 9 della L. R. Lazio n. 12, recante i criteri per il recupero urbanistico degli insediamenti edilizi abusivi sorti spontaneamente. Secondo la tesi di parte, sul punto il giudice dell’esecuzione si sarebbe limitato a rilevare la presenza del vincolo paesaggistico e ambientale nell’ambito territoriale di riferimento.Con il secondo motivo di ricorso, invece, aveva eccepito che l’ordine di demolizione violava palesemente l’art. 8 della Convenzione EDU e i principi affermati dalla Corte di Strasburgo con la sentenza 21 aprile 2016, Ivanova e Cherzekov contro Bulgaria poiché avrebbe privato il ricorrente della propria casa familiare, interferendo illegittimamente con il suo diritto all’abitazione.Nessuno di tali motivi è stato ritenuto meritevole di accoglimento da parte del Collegio poiché riscontrati come manifestamente infondati alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi in merito ad entrambe le questioni di diritto sollevate dal ricorrente.In primo luogo, infatti, la Terza Sezione ha rilevato che l’operato del Tribunale si era svolto in piena conformità con l’orientamento giurisprudenziale che, in presenza di domande di sanatoria, riconosce al giudice dell’esecuzione un ampio potere-dovere di controllo sulla sussistenza dei presupposti di forma e di sostanza ai fini del corretto esercizio del potere di condono. Pertanto, l’ordinanza impugnata trovava legittimo fondamento nella non-condonabilità dell’abuso edilizio perché insistente in zona vincolata.Inoltre, tale ultima determinazione teneva conto di un ulteriore indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato e condiviso dal Collegio, richiamato nei relativi passaggi essenziali. In particolare, con riferimento al condono edilizio introdotto con la l. n. 326 del 2003, si è ripetutamente affermato in via pretoria che la realizzazione di nuove costruzioni prive di titolo edilizio in aree assoggettate a vincolo paesaggistico non è

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suscettibile di sanatoria (v. tra le più recenti, Sez. 3 n. 26524 del 24/6/2020, Carbone, non massimata; Sez. 3, n. 40676 del 20/5/2016, Armenante, Rv. 268079; Sez. 3, n. 16471 del 17/02/2010, Giardina, Rv. 246759, nonché ex. pl. Sez. 3, n. 35222 del 11/4/2007, Manfredi e altro, Rv. 237373; Sez. 3, n. 38113 del 3/10/2006, De Giorgi, Rv. 235033; Sez. 4, n. 12577 del 12/1/2005, Ricci, Rv. 231315).Il filone in questione – nell’ambito del quale la Corte ha anche avuto modo di confutare dettagliatamente le posizioni dottrinarie che avevano prospettato una interpretazione più permissiva delle disposizioni di interesse – trova inequivocabile riscontro anche nella Relazione governativa al D.L. n. 269 del 2003, a discapito delle diverse circolari interpretative di segno opposto (nella specie, la circolare ministeriale n. 2699 del 7 dicembre 2005 con la quale veniva riconosciuta la condonabilità delle nuove costruzioni a destinazione non residenziale, esclusa invece dalla L. n. 326 del 2003, art. 32). Ha ricordato il Collegio, infatti, come “la circolare interpretativa sia atto interno alla pubblica amministrazione e si risolva in un mero ausilio interpretativo, non esplicando, quindi, alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari, poiché non può comunque porsi in contrasto con l’evidenza del dato normativo”.Un ulteriore ed autorevole avallo della tesi propugnata dagli ermellini è nel tempo giunto anche da parte della Corte costituzionale, che – con ordinanza n. 150 del 2009 – ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, comma 26, lett. a), sollevata dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, riguardo alla condonabilità limitata ai soli “abusi minori” nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico secondo l’interpretazione, criticata dal giudice remittente, data con la menzionata sentenza n. 6431/2007 della Corte di Cassazione. Nel testo dell’ordinanza del giudice costituzionale si legge, infatti, che “l’interpretazione tracciata dalla Corte di cassazione, nelle molteplici sentenze in materia (e non nella sola sentenza considerata), appare del tutto conforme alle lettera della disposizione impugnata”.Esclusa pertanto ogni possibilità di sanatoria ai sensi della legislazione statale, il Collegio ha, poi, ritenuto priva di rilievo l’argomentazione del ricorrente secondo cui la richiesta di condono era stata presentata anche con riferimento alla Legge Regionale del Lazio n. 12 del 2004. La disciplina regionale, infatti, vieta parimenti la condonabilità degli abusi edilizi ricadenti in zona vincolata, allineandosi perfettamente a quella nazionale (cfr. Tar Lazio, Sez. II-bis, 9 marzo 2020, sent. n. 3057, con richiami anche ai precedenti); inoltre, “secondo quanto, in maniera condivisibile, è stato affermato dalla giurisprudenza amministrativa, la L. n. 47 del 1985, art. 29 nella parte in cui comprende l’adozione e l’approvazione di varianti agli strumenti urbanistici finalizzate al recupero urbanistico degli abusi, si riferisce agli insediamenti abusivi, con ciò intendendosi i nuclei di espansione di edilizia abitativa di una certa consistenza, cui si correla la difficoltà sociale di un ripristino generalizzato, e non alle situazioni di diffusione sul territorio rurale di piccoli abusi, ciò in quanto, la ratio della norma non è quella di imporre alle Regioni e alle Amministrazioni comunali, in sede di adozione e approvazione delle varianti generali agli strumenti urbanistici, l’obbligo di considerare gli insediamenti abusivi a fini del recupero, bensì quella di affiancare una speciale tipologia di variante a quelle già contemplate dall’ordinamento urbanistico, demandando alle Regioni la disciplina di dettaglio (così T.A.R. Puglia – Lecce Sez. 3, n. 625 del 12/4/2012)”.Analogo giudizio di inammissibilità ha, poi, sortito anche il secondo motivo ricorso. La questione posta dal ricorrente, infatti, non è affatto nuova, essendosi la Terza Sezione già pronunciata in casi sostanzialmente identici ed affermando principi che il Collegio ha ritenuto di condividere e ai quali ha dato continuità (in particolare, Cass. pen. Sez. III 06 maggio 2016, n. 18949; id. 24 marzo 2017, n. 14484; id 08 aprile 2019, n. 15141; id 20 agosto 2019, n. 36257; id 26 novembre 2019, n. 48021; id 13 gennaio 2020, n. 844; id 24 febbraio 2020, n. 7232, tutte diffusamente richiamate nel corpo della sentenza).In effetti, con le richiamate pronunce la stessa Corte di Cassazione aveva già marcato i confini operativi della decisione della Corte EDU nel caso Ivanova e Cherkezov contro Bulgaria citata nel ricorso.Al riguardo, la Sezione è ferma nel sostenere che l’art. 8 CEDU non riconosce alcun diritto assoluto ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare; né tantomeno può ritenersi che un simile diritto sia desumibile dalle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In vero, l’esecuzione

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dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato e non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio tutelato dalla convenzione EDU.Ciò che, invece, è stato dichiarato indefettibile dai giudici di Strasburgo è una valutazione, caso per caso, circa la possibilità che un provvedimento possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario al fine di bilanciare il diritto del singolo alla tutela dell’abitazione contrapposto all’interesse dello Stato ad impedire l’esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo.In altri termini, ha precisato il Collegio, il corretto precipitato della pronuncia in questione è che “deve essere il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se demolire la casa di abitazione abusivamente costruita sia “proporzionato” rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte EDU, che la normativa edilizia intende perseguire prevedendo la demolizione”.Nella specifica vicenda esaminata, considerato che il ricorrente si era limitato a sostenere di aver realizzato la costruzione abusiva e di averla destinata a sua unica residenza fin dalla sua costruzione (peraltro palesemente smentita da quanto affermato nell’ordinanza impugnata), il Tribunale ha correttamente ritenuto non adeguatamente dimostrato l’asserito stato di necessità sotteso all’abuso edilizio.cassazione-sentenza-2282-2021

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B. RIGENERAZIONE URBANA

6. CGIL, CSL, UIL: Rigenerazione Urbana e Politiche Abitative nella Next Generation Eu.

 

RIGENERAZIONE URBANA E POLITICHE ABITATIVE NELLA NEXT GENERATION EU

Le risorse di cui disponiamo, ad iniziare dal suolo, non sono infinite.

Partendo da questa consapevolezza assume sempre più rilevanza il tema della sostenibilità, soprattutto in ambito urbano, dove si pone un problema rilevante in relazione alla necessità di affrontare le numerose contraddizioni di un modello di sviluppo non orientato all’equità, alla diffusione del benessere sociale, dei servizi essenziali e più in generale dei diritti. Contraddizioni che la recente pandemia ha marcato ancora di più, accentuando disuguaglianze nella possibilità di accesso ai vari tipi di risorse, non solo economiche, ma anche spaziali, alle residenze, ai servizi e alle dotazioni urbane in generale.

Le misure conseguenti alla crisi sanitaria hanno anche modificato l’organizzazione e la modalità del lavoro e il rapporto tra lavoro e territorio portando a considerare, tra le opzioni possibili, forme di lavoro a distanza precedentemente poco diffuse. Il cambiamento delle logiche occupazionali potrebbe avere ricadute fondamentali sull’organizzazione delle città e sul rapporto delle stesse con il resto del territorio: le aree interne, i borghi diffusi, i piccoli centri urbani che nel nostro Paese rappresentano realtà ricche di storia, identità, legami e radici. Spesso la ricerca di un lavoro allontana i giovani dalle loro origini e crea, assieme all'opportunità lavorativa, costi sociali legati allo spopolamento delle aree rurali interne e dei piccoli borghi.

Risulta evidente la necessità di città più resilienti, meno vulnerabili di fronte alle crisi, con l’urgenza di individuare le priorità per affrontare le maggiori contraddizioni. L’approccio deve essere integrato e multilivello, guardando non solo gli aspetti fisici, ma anche quelli spaziali e funzionali e le relazioni tra le varie componenti urbane, perché a determinare lo sviluppo delle città, e contrastarne il possibile declino attraverso un accrescimento di resilienza, concorrono più fattori.

Le azioni dovranno avvenire con sempre maggior decisione attraverso processi di rigenerazione nelle città, per ricomporre le frammentazioni e promuovere nuove pratiche e sensibilità sociali, economiche e ambientali. La necessità è riconosciuta anche a livello centrale, tanto che più disegni di legge sul tema sono attualmente in esame.

CGIL, CISL e UIL, sono impegnate da tempo su questi temi. Lo scorso anno, abbiamo elaborato una Piattaforma Unitaria sul tema delle Città sostenibili, un manifesto in cui sono indicate le priorità per migliorare la qualità delle città, rispondere ai cambiamenti climatici, attrarre investimenti e fornire opportunità di lavoro. Nella piattaforma lanciata in occasione del cinquantennale dello sciopero per la Casa,

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abbiamo inoltre sostenuto la necessità di ricercare soluzioni abitative anche all’interno delle trasformazioni urbane, ponendo alcuni elementi come componenti essenziali nelle operazioni di trasformazioni stesse.

UNA NUOVA “QUESTIONE URBANA”

La centralità che assume il “territorio” nel determinare la qualità della vita porta alla necessità di una profonda riflessione sui processi di trasformazione urbana che hanno prodotto una progressiva erosione dei diritti sociali: rapporti tra spazi urbani e i legami sociali, cambiamenti delle funzioni tradizionali, una progressiva fluidificazione e frammentazione delle relazioni, cambiamenti demografici della popolazione, la transizione digitale, quella ambientale.

Di fronte a tali cambiamenti le città sono chiamate a modificarsi e riorganizzarsi in base a nuovi principi e a nuove logiche di sviluppo: in quest’ottica si aprono possibilità nuove che offrono l’opportunità di un’azione politica mirata a far si che la “questione urbana” diventi centrale nell’affrontare nuovi modelli di sviluppo economico-sociale.

Per CGIL, CISL e UIL è necessario pianificare un progetto complessivo che permetta di rivitalizzare città e contesti urbani, anche in risposta a nuovi bisogni e al crescente disagio abitativo, componente fondamentale del più ampio disagio sociale del paese, drammaticamente emerso come punta di un iceberg in questa fase pandemica. Occorre porsi la finalità di migliorare sia la qualità degli insediamenti che il benessere sociale delle comunità, identificando interventi che mirino anche a soddisfare le esigenze ambientali, di inclusione, di protezione e promozione della salute delle persone.

Nelle città, infatti, esistono criticità riguardanti lo stato del patrimonio edilizio, pubblico e privato, in chiave edilizia e funzionale, il riutilizzo di spazi e strutture dismesse, la riqualificazione di aree degradate (periferiche, ma non solo), la riconnessione funzionale tra parti di città, l'emergenza abitativa di fasce deboli di popolazione; si pone un problema di impronta ecologica impattante e di sostenibilità ambientale: uso del territorio e consumo del suolo, congestione, traffico, consumo di acqua e energia, qualità dell'aria, rifiuti; è necessario riconsiderare il rapporto tra urbano ed extra- urbano; è urgente una riprogettarazione in chiave di produzione intelligente. Ed è necessario rivitalizzare tessuti di relazioni sociali ed economiche.

In ogni caso, è necessario individuare soluzioni in cui trovino equilibrio gli obiettivi sociali, economici e ambientali. Di conseguenza, politiche e investimenti nelle città rappresentano dei punti cardine nel processo di transizione verso resilienza e sviluppo sostenibile.

L’AGENDA URBANA EUROPEA

Questi temi sono al centro del dibattito anche all’interno dell’Unione Europea che, con l’“Agenda urbana europea”, promuove il ridisegno e la modernizzazione dei servizi urbani, l’inclusione locale e lo sviluppo di attività innovative. Ed è uno dei cinque obiettivi delle politiche di coesione 2021- 2027, che con lo slogan “Europa più vicina ai cittadini”, intende promuovere lo sviluppo sociale, economico e ambientale nelle aree urbane e nelle aree interne, destinando almeno il 6% del totale delle risorse dedicate dai Fondo Strutturali e di Investimento Europei 2021-2027.

Il 14 ottobre 2020, inoltre, è stata lanciata l’iniziativa “Nuovo Bauhaus europeo”., con la quale si vuole lanciare un ponte tra il mondo della scienza e della tecnologia e il mondo dell’arte e della cultura, attraverso il miglioramento di oggetti, spazi, edifici e città, e che dovrà rappresentare un vero e proprio cambiamento

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del paradigma culturale e sociale attraverso i valori della solidarietà. La Commissione Europea intende utilizzare i fondi del Piano europeo di ripresa (Next Generation EU) per promuovere il rinnovamento per 35 milioni di edifici in tutta l’Unione Europea, costruiti a partire dalla seconda metà del XX secolo, che soffrono di problemi di comfort, isolamento termico e consumo energetico. Si tratta di un ambizioso investimento di denaro pubblico per rivitalizzare e rendere “green” il patrimonio immobiliare, con l’obiettivo di migliorare le prestazioni energetiche, raddoppiare il tasso di ristrutturazione degli edifici e migliorare la qualità dell’abitare.

CGIL, CISL e UIL indicano che la rigenerazione urbana e le politiche abitative dovranno essere tra i progetti trainanti all’interno non solo del Piano di Ripresa e Resilienza della Next Generation EU, ma anche dalle risorse per la coesione europee e nazionali 2021-2027, in un sistema di sussidiarietà e complementarità.

IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA

Nell’ultima bozza del Piano di Ripresa e Resilienza le risorse apposte per questi temi sono 10,4 miliardi: 2 miliardi di euro per il “Safe, green and social" per l'edilizia residenziale pubblica; 1,4 miliardi per l’efficientamento energetico e la riqualificazione degli edifici pubblici in aree metropolitane per utilizzi sociali; 730 milioni per programmi di housing temporaneo per singoli o nuclei familiari in difficoltà estrema e progetti dedicati a persone che versano in condizioni di marginalità estrema e senza fissa dimora; 2,8 miliardi per progetti di recupero territoriale e d’incremento della disponibilità di alloggi pubblici (Housing sociale) per sostenere persone vulnerabili e famiglie a basso reddito e investimenti per ampliare l’offerta di edilizia residenziale pubblica e di alloggi a canone calmierato, anche per studenti; 3,5 miliardi per interventi di rigenerazione urbana nelle Città Metropolitane mirati alla rigenerazione urbana e rifunzionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, con particolare attenzione alle periferie.

Risorse importanti alle quali si dovranno aggiungere quelle dei fondi europei della coesione (Fondi Strutturali e di Investimento Europei 2021-2027), quelle nazionali del Fondo Sviluppo e Coesione 2021-2027 da integrare con quelle ordinarie nazionali.

Perché CGIL, CISL e UIL ritengono che la sfida per le politiche abitative e per la rigenerazione urbana, da qualche anno sia stata affrontata con lo spirito di dover fare “molto”, con “poche” risorse a disposizione. Diventa ora centrale orientare le risorse verso obiettivi convergenti, rispetto a una forse eccessiva frammentazione dei progetti e delle politiche di riferimento, che potrebbe porre dei limiti sulla possibilità di porre le innovazioni che si rendono necessarie. Manca infatti una politica urbana integrata, necessaria, anche per superare una frammentazione di responsabilità istituzionali, che nel passato ha inficiato spesso il raggiungimento di obiettivi credibili.

UNA STRATEGIA NAZIONALE SULLA RIGENERAZIONE URBANA

CGIL, CISL e UIL auspicano che si arrivi in breve tempo ad una legge quadro sulla Rigenerazione Urbana, per l’urgenza di definire un perimetro entro cui ancorare interventi che devono essere finalizzati al miglioramento delle condizioni abitative, sociali, economiche, nel rispetto dei principi di sostenibilità ambientale e di partecipazione sociale.

Un’urgenza che tuttavia si accompagna alla necessità di porre alcune priorità rispetto a paradigmi ancora troppo legati a modelli espansivi, e di attivare politiche efficaci del contenimento del consumo di suolo attraverso gli strumenti della pianificazione urbanistica. E’ necessaria, quindi, una legge nazionale in materia

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di consumo di suolo che dovrebbe accompagnare una efficiente politica di riqualificazione e rigenerazione della città costruita.

CGIL, CISL e UIL propongono un piano pluriennale per la Rigenerazione Urbana con finanziamenti ordinari ed europei, da attuarsi attraverso l’istituzione di un “Fondo per la rigenerazione urbana”, per consentire una programmazione continua nel tempo di interventi da parte degli Enti Territoriali, con una garanzia di organicità nel rispetto delle procedure. All’interno degli interventi di rigenerazione l’edilizia pubblica e sociale deve essere una componente fondamentale.

Per le nostre Organizzazioni una strategia nazionale sulla rigenerazione urbana deve dettare alcuni principi in grado di orientare la pianificazione locale. Deve fornire indicazioni sull’individuazione dei luoghi cui indirizzare politiche di rigenerazione, gli strumenti operativi più idonei, i caratteri che devono contraddistinguere gli interventi di rigenerazione. Deve essere chiaro il perseguimento di finalità sociali, come la realizzazione di attrezzature e spazi di interesse collettivo (welfare urbano) e un’eventuale quota, da stabilire nel limite minimo, da destinare all’edilizia residenziale pubblica e sociale, nonché gli elementi che perseguono obiettivi di miglioramento ambientale, anche in risposta agli effetti del cambiamento climatico, legati al benessere e alla salute, come le infrastrutture verdi e blu, le rinaturalizzazioni, la qualificazione degli spazi aperti. Questi devono essere considerati componenti essenziali nelle operazioni di rigenerazione.

Sarebbe opportuno integrare lo strumento urbanistico comunale con la banca del riuso del patrimonio immobiliare esistente e delle aree dismesse da riutilizzare, stante la necessità di perseguire gli obiettivi di rigenerazione attraverso il riuso e il recupero. In quest’ottica, beni situati in ambiti strategici, che alla collettività non forniscono più né ricchezza né utilità, se adeguatamente valorizzati e gestiti possono produrre benefici economici e sociali, rappresentando un patrimonio da utilizzare come volano strategico per attivare opportunità di sviluppo territoriale e locale.

Al fine di superare la frammentazione istituzionale, una regia nazionale avrebbe la capacità di sedimentare le procedure, correggere carenze in fase attuativa e monitorare l'efficacia. E’ tuttavia necessario anche un supporto tecnico, tramite una struttura dedicata, per supportare le amministrazioni locali, per la predisposizione dei progetti che necessitano di qualità e contenuti.

LE CITTA COME MOTORI DI SVILUPPO

CGIL, CISL e UIL ritengono che le Città dovranno essere i nuovi motori della strategia europea di sviluppo e dovranno essere in grado di supportare una crescita che sia intelligente, grazie a investimenti più efficaci nell’istruzione, nella ricerca, nell’innovazione e nell’inclusione sociale.

Le aree urbane rivestono un ruolo centrale nell'ambito dei grandi temi della sostenibilità e devono essere percepite come “grandi acceleratori” delle scelte politiche di un Paese.

E’ indispensabile un piano di agenda urbana coerente e che possa garantire programmi che superino l'attuale regime sporadico e frammentario degli interventi, in modo da porre le Città nella condizione di portare avanti politiche di sviluppo sostenibile.

L’ambizione è creare contesti urbani sostenibili attraverso un’economia a basse emissioni di anidride carbonica, dare competitività all’industria, essere solidali e, quindi, focalizzare le azioni sulla creazione di posti di lavoro di qualità, ridurre la povertà e aumentare il sostegno al welfare.

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Un impegno che impone l’attivazione di politiche efficaci anche per contrastare il dissesto idrogeologico e gli effetti degli eventi sismici. Va favorito l’adeguamento sismico del patrimonio edilizio esistente, anche attraverso interventi di demolizione e ricostruzione, qualora più efficaci nei risultati, mantenendo costante l’impiego di materiali ecocompatibili. Devono essere rese strutturali le attuali detrazioni per il recupero edilizio, la sua messa in sicurezza, la riqualificazione energetica e, rifinanziando anche con le risorse comunitarie per i prossimi anni, i Superbonus al 110%. Una misura quest’ultima che, nel caso dell’adeguamento sismico, non può tuttavia sostituirsi, nelle aree a più alto rischio, a un Piano Nazionale di Prevenzione contro i disastri naturali che deve essere assunto come priorità a livello centrale.

Per noi lo sviluppo di città sostenibili è uno degli ambiti prioritari su cui investire per garantire la ripresa, migliori condizioni di vita e di salute, occupazione stabile e di qualità.

La grande potenzialità nel modello delle città sostenibili è quella legata alla creazione di lavoro e sviluppo in tutti i settori, puntando su una formazione mirata e precisa per preparare la futura forza lavoro, ma soprattutto per non lasciare indietro quella occupata, il tutto nel quadro di quel processo economico noto come Giusta Transizione, che quindi diventa senza dubbio l’elemento portante della rigenerazione urbana.

IL TEMA DELL’ABITARE ALL’INTERNO DEI PERCORSI DI RIGENERAZIONE

All’interno dei piani di rigenerazione urbana si ribadisce la necessità di affrontare interventi volti a sostenere la strategia del contrasto alla povertà per persone che non hanno una casa e per le quali i costi dell’abitare sono insostenibili.

Il tema delle politiche abitative si colloca oggi nell'ambito di un processo di mutamento della società e di crisi del modello fondato sull'intervento pubblico il quale, seppure con molte distorsioni, ha dato risposte importanti, attraverso l'edilizia pubblica, al bisogno di casa dei ceti meno abbienti.

Nel corso degli ultimi anni si è assistito al passaggio da un progressivo disinvestimento nell'offerta di abitazioni sociali, a forme di contributo diretto alle famiglie in affitto in difficoltà, con risorse scarse, discontinue, non in grado di rappresentare una misura strutturale. La questione abitativa, si è nel tempo fortemente acuita, complici la perdurante crisi economica, l’assenza di adeguate politiche pubbliche e i mutamenti demografici e socioeconomici, che hanno accentuato disuguaglianze ed esclusione sociale.

L'accesso alla casa, come risposta ad un bisogno primario, è innanzitutto un tema di diritto. Una corretta politica abitativa, tuttavia, deve affrontare non solo condizioni di emergenza, ma i nodi strutturali. La necessità che si pone è quella di fornire risposte ai bisogni abitativi, alla necessità di più ampia inclusione sociale, con maggiore sostenibilità in termini di qualità e costi, guardando alla città già costruita e contrastando il consumo di suolo.

Per CGIL, CISL e UIL è necessario riaffermare una politica che agisca sia a livello centrale che locale, con alternative articolate, in riferimento alle diverse caratteristiche della domanda. Gli incentivi fiscali per la proprietà o per l'affitto, sia i bonus volti alla riqualificazione degli edifici, non possono rappresentare l’unica politica legata alla casa messa in campo a livello centrale.

Occorre incrementare l’offerta abitativa in affitto, con canoni commisurati ai redditi delle famiglie, articolando gli interventi in un percorso di sviluppo sostenibile del Paese, superando la tradizionale scissione tra politiche abitative e politiche di governo urbano.

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Per i nuclei a basso reddito la risposta può essere fornita in termini di edilizia pubblica, della quale è necessario incrementare lo stock, sia attraverso il recupero degli alloggi non utilizzati, sia attraverso nuove unità. Anche all’interno del PNRR non viene affrontano in maniera organica il disagio abitativo ed è sottovalutata la misura dell’intervento destinato all’incremento dell’edilizia residenziale pubblica, per il quale si fa esplicito riferimento all’attuazione del Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare sul quale CGIL, CISL e UIL, pur apprezzando lo spirito del programma, hanno espresso alcune perplessità circa l’esiguità degli stanziamenti, e investimenti di edilizia sociale agevolata.

CGIL, CISL, UIL ritengono necessario un nuovo programma pluriennale volto a incrementare lo stock di edilizia pubblica, con sovvenzioni dedicate, stanziate con continuità e di consistenza adeguata per rispondere al fabbisogno, da perseguire utilizzando anche le risorse del PNRR, dei Fondi Strutturali e di Investimento Europei 2021-2027, integrandole con quelle ordinarie nazionali e con i fondi di Cassa Depositi e prestiti.

E inoltre necessario rispondere alle necessità delle famiglie economicamente deboli per affrontare il mercato, ma oltre i requisiti per l’accesso all’edilizia pubblica. Un ruolo importante può essere svolto, come avviene da decenni in molti paesi europei, dall’edilizia sociale a costi sostenibili, che integra l’edilizia pubblica, e che deve trovare il suo spazio nella collaborazione fra soggetti istituzionali, imprenditoriali, associativi e cooperativi. Il cd. Housing Sociale, che nel nostro Paese non è ancora riuscito a fornire risposte socialmente significative, deve diventare al contrario un pilastro dell’offerta abitativa, perseguendo l’obiettivo di incrementare significativamente il comparto dell’affitto a prezzi calmierati. A tal fine CISL, CISL e UIL hanno condiviso la proposta di un Piano di Edilizia Sociale con programmazione pluriennale, che formula indicazioni su obiettivi e principi, nel tentativo di contribuire a delineare una possibile risposta sulla praticabilità di un intervento di ERS.

IL NUOVO CICLO DELLA CITTA COSTRUITA

Si sta sempre più diffondendo la consapevolezza che il ciclo storico caratterizzato dall’espansione si stia esaurendo. Ci troviamo di fronte a un nuovo ciclo nel quale si deve puntare al rinnovo e alla riqualificazione dell’esistente per non consumare ulteriore suolo, per dare soluzione ai problemi energetici, per rispondere ai bisogni sociali e abitativi, per tutelare il paesaggio e per rilanciare l’intera economia italiana.

Occorre intervenire con politiche che siano in grado di investire sia l’ambito legislativo, che quelli istituzionali ed economico-finanziari. Nell’affrontare i temi del recupero e della valorizzazione con programmi complessi, si dovranno perseguire obiettivi di riqualificazione diffusa degli spazi pubblici, di risanamento e ripristino delle aree degradate, d’inserimento di funzioni e attività per servizi collettivi ed attrezzature, volti a favorire i processi di inclusione e sviluppo sociale.

CGIL, CISL e UIL quindi ritengono che si debbano promuovere azioni concrete ed efficaci che siano in grado di trasmettere un nuovo concetto di urbanizzazione che non si rivolga solamente alla gestione dell’esistente, ma che abbia uno sguardo rivolto verso il futuro caratterizzato da interventi di elevata qualità edilizia e architettonica, ma che abbia anche degli standard innovativi dal punto di vista energetico, ambientale, della riqualificazione sociale e che fornisca una serie di servizi utili che consentano un miglioramento della vita delle persone all’interno delle aree urbane.

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CGIL, CISL e UIL ritengono che i programmi di rigenerazione urbana e di sviluppo delle politiche abitative si prestino a costruire partenariati dal basso e per questo ritengono sia utile rimettere in campo strumenti rinnovati di negoziazione programmata.

Un ruolo centrale, a nostro avviso, assume l’interlocuzione con gli Enti Locali, che dovranno assumere la rigenerazione come obiettivo strategico ed essere sollecitati alla predisposizione di una mappatura dell’uso del suolo e degli immobili (aree e edifici) dismessi, abbandonati e sottoutilizzati, da inserire nei programmi di recupero e riqualificazione, nell’ottica di un programma organico che punti sulla riprogettazione locale e che tenga conto delle comunità e del territorio, in vista di un rafforzamento sistemico e strategico volto al rilancio dell’economia e della protezione sociale e in grado di gestire ed accompagnare bisogni e mutamenti sociali.

CGIL CISL UIL - Rigenerazione urbana e Politiche abitative nella Next Generation EU – 27 gennaio 2021

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7. Le diseguaglianze fra centro e periferie: lo sguardo miope sulle città di Elisa Olivito

Fasc.2-2020-Olivito

8. In discussione al Senato il disegno di Legge sulle Misure per la Rigenerazione Urbana

Disegno di Legge: RIGENERAZIONE URBANA

C. CONSUMO DI SUOLO

9. Valorizzare L’esistente. Le leggi sul consumo di suolo di Matteo Boscolo Anzoletti.

Consumo di suolo

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D. OPERE PUBBLICHE

10. Istituita Presso Il Ministero Delle Infrastrutture E Dei Trasporti La Commissione Nazionale per il

Dibattito Pubblico.

https://www.pausania.it/wp-content/uploads/D.M.627del30.12.20Commissionedibattitopubblico.pdf

11. ANAC: Una Proposta di partnerariato Pubblico – Privato per la realizzazione delle opere pubbliche

Contratto-PPP-Cop  

E. CONCESSIONI BALNEARI

12. La Giurisprudenza Sulla Proroga Della Concessioni Marittime Di Niccolo’ Millefiori

Rassegna giurisprudenziale in materia di proroga delle concessioni demaniali marittimeGennaio 2021  

1- Corte costituzionale, 29 gennaio 2021, sent. nr. 10; 

2- Tar Campania – Sez. di Salerno, 29 gennaio 2021, sent. nr. 265 

3- Tar Toscana, 28 gennaio 2021, sent. nr. 136 

4- Tar Puglia – Sez. di Lecce, 15 gennaio 2021, sent. nr. 71 

5- Tar Lazio, 15 gennaio 2021, sent. nr. 616 

6- Tar Sicilia – Sez. di Catania, 14 gennaio 2021, sent. nr. 82 

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   Sentenza 10/2021 (ECLI:IT:COST:2021:10)Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALEPresidente: CORAGGIO – Redattore:  VIGANÒUdienza Pubblica del 12/01/2021;    Decisione  del 12/01/2021Deposito del 29/01/2021;   Pubblicazione in G. U.Norme impugnate:  Art. 1 della legge della Regione Calabria 25/11/2019, n. 46.Massime:Atti decisi: ric. 6/2020 PronunciaSENTENZA N. 10ANNO 2021 REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOLA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, ha pronunciato la seguenteSENTENZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 25 novembre 2019, n. 46, recante «Modifica alla lettera a), comma 2 dell’articolo 14 della legge regionale 21 dicembre 2005, n.17», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 23-30 gennaio 2020, depositato in cancelleria il 28 gennaio 2020, iscritto al n. 6 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2020.Visto l’atto di costituzione della Regione Calabria;udito nell’udienza pubblica del 12 gennaio 2021 il Giudice relatore Francesco Viganò;uditi l’avvocato dello Stato Paola Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020, e l’avvocato Domenico Gullo per la Regione Calabria;deliberato nella camera di consiglio del 12 gennaio 2021. Ritenuto in fatto1.– Con ricorso notificato il 23-30 gennaio 2020 e depositato il 28 gennaio 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 1 della legge della Regione Calabria 25 novembre 2019, n. 46, recante «Modifica alla lettera a), comma 2 dell’articolo 14 della legge regionale 21 dicembre 2005, n. 17», per violazione degli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera e), Costituzione.La disposizione impugnata modifica l’art. 14, comma 2, della legge della Regione Calabria 21 dicembre 2005, n. 17 (Norme per l’esercizio della delega di funzioni amministrative sulle aree del demanio marittimo), che nel testo anteriore alla modifica prevedeva: «Nelle

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more dell’approvazione del PCS [Piano comunale di spiaggia], in deroga a quanto disposto dal comma 1, possono essere rilasciate: a) concessioni demaniali marittime stagionali […]».L’impugnato art. 1 della legge Reg. Calabria n. 46 del 2019, da un lato, inserisce, dopo le parole «possono essere rilasciate», le parole «o comunque rinnovate»; e, dall’altro, sostituisce le parole «concessioni demaniali marittime stagionali» con le parole «concessioni demaniali pluriennali di natura stagionale».1.1.– Secondo il ricorrente, le modifiche apportate al testo originario dell’art. 14, comma 2, della legge reg. Calabria n. 17 del 2005 violano, anzitutto, la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.Il Presidente del Consiglio osserva che, nel contesto della legge regionale n. 17 del 2005, l’ipotesi del rilascio delle concessioni è regolata dall’art. 18, comma 3-bis, che subordina i relativi procedimenti – nelle more dell’emanazione di una organica disciplina della materia – al «rispetto dei principi di evidenza pubblica, parità di trattamento, non discriminazione, pubblicità, libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, ai sensi degli articoli 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dell’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, del parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, nonché in conformità al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, (Codice degli appalti), in quanto applicabile».A tale disciplina si sottrarrebbe invece l’ipotesi, introdotta dalla norma regionale impugnata, del rinnovo delle concessioni, che sarebbe «suscettibile di determinare un prolungamento del rapporto in favore del concessionario ancora perdurante, dando luogo, sostanzialmente, ad una proroga o ad un rinnovo automatico».La specificazione, anch’essa contenuta nella disposizione impugnata, che le concessioni demaniali marittime stagionali possano avere durata pluriennale lascerebbe poi del tutto indeterminata la durata di tale proroga o rinnovo automatico.Ciò determinerebbe una violazione della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, alla quale la giurisprudenza di questa Corte avrebbe costantemente ricondotto i criteri e le modalità di affidamento delle concessioni sui beni del demanio marittimo (sono citate le sentenze n. 1 del 2019, n. 221 e n. 118 del 2018). Tale giurisprudenza avrebbe, in particolare, ritenuto costituzionalmente illegittime leggi regionali che dispongano rinnovi o proroghe automatiche delle concessioni del demanio marittimo, «sia sotto il profilo della disparità di trattamento tra aspiranti concessionari e titolari che abbiano beneficiato della proroga automatica che sotto l’ulteriore profilo della barriera all’ingresso di nuovi operatori» (è citata la sentenza n. 171 del 2013).Dopo aver rammentato che, in passato, la materia delle concessioni demaniali marittime e le relative norme statali e regionali sono state oggetto di procedure di infrazione da parte dell’Unione europea, il ricorrente sottolinea inoltre che la materia è oggi regolata a livello statale dall’art. 1, commi da 675 a 685, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), che ha imposto una generale revisione del sistema delle concessioni marittime secondo modalità e termini da adottarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, demandando a un successivo d.P.C.m. la fissazione dei principi e dei criteri tecnici dell’assegnazione delle concessioni sulle aree demaniali marittime. La normativa regionale impugnata introdurrebbe invece una disciplina «propria e specifica» per la Regione Calabria, «in maniera indipendente da quella nazionale ed oltretutto, non conforme ad essa», ponendosi così in contrasto con la competenza esclusiva statale in questa materia, in ossequio alla quale «deve essere pur sempre la legge statale a stabilire se consentire il rinnovo, a quali condizioni e se ciò possa avvenire nel rispetto dei principi

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comunitari», «in modo che siano assicurate […] garanzie di coerenza e di uniformità in ambito nazionale».1.2.– Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata – consentendo il rilascio o il rinnovo di concessioni demaniali marittime pluriennali – si porrebbe, altresì, in contrasto con i principi di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.Sotto il primo profilo, il ricorrente ritiene che le modifiche introdotte all’art. 14 della legge reg. Calabria n. 17 del 2005 siano contraddittorie rispetto alla ratio della disposizione modificata, che detta norme di salvaguardia nelle more dell’entrata in vigore dei piani comunali di spiaggia, vietando in linea di principio il rilascio di nuove concessioni (comma 1) e consentendo soltanto, al comma 2 nella versione anteriore alle modifiche di cui è causa, il rilascio di concessioni strettamente temporanee, legate alla stagionalità propria del settore. La previsione, per effetto delle modifiche apportate all’art. 14 dall’impugnato art. 1 della legge Reg. Calabria n. 46 del 2019, di prolungamenti del termine di scadenza delle concessioni disciplinate dal comma 2 per periodi superiori all’anno, oltretutto senza che siano indicati precisi limiti temporali, finirebbe secondo la difesa statale per «vanificare l’intento di omogeneità e di razionalità dell’uso del demaniale costiero», determinando altresì una «irrazionale e poco efficiente gestione delle funzioni amministrative sul demanio marittimo». La disposizione impugnata introdurrebbe infatti «una serie di deroghe al sistema, tali, sostanzialmente, da vanificare» l’intento dello stesso art. 14 della legge reg. Calabria n. 17 del 2005 di «preservare l’esistente fino a che l’adozione dei singoli piani di spiaggia garantiscano ed assicurino l’utilizzo dei beni appartenenti al demanio marittimo secondo criteri di omogeneità e di efficienza in coerenza con le linee programmatiche regionali».Dal che l’asserito contrasto della disposizione impugnata con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della «violazione del canone di ragionevolezza per irrazionalità della disciplina e contrasto con la ratio legis» (è citata la sentenza di questa Corte n. 43 del 1997).Sarebbe, d’altra parte, violato anche l’art. 97 Cost., dal momento che «il rinnovo delle concessioni secondo principi di competitività è senz’altro più conforme al principio di buon andamento in quanto consente una maggiore efficienza del sistema, stimolando i nuovi entranti a svolgere un uso più efficiente del demanio marittimo o ad offrire canoni più elevati rispetto ai concessionari uscenti e, dunque, appare più vantaggioso, in termini generali, rispetto all’interesse pubblico sotteso all’affidamento in concessione».2.– Si è costituita in giudizio la Regione Calabria, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque infondato.2.1.– Argomenta la difesa regionale che le concessioni stagionali, cui si riferisce l’impugnato art. 1 della legge reg. Calabria n. 46 del 2019, avrebbero natura strumentale a concessioni demaniali marittime ordinarie, risultando perciò accessorie a queste ultime. L’obiettivo della disposizione impugnata, come risultante dalla relazione di accompagnamento alla relativa proposta di legge, sarebbe quello di «eliminare la limitazione di durata delle concessioni demaniali di natura stagionale e la preclusione del c.d. diritto di insistenza» stabilite dalla disciplina previgente, in particolare mediante la previsione della possibilità del rinnovo delle concessioni in essere per una durata anche pluriennale. Tuttavia, la novella legislativa in esame manterrebbe «invariate le garanzie e i principi in materia di rilascio/rinnovo delle concessioni demaniali suddette», le quali resterebbero soggette alla «disciplina ordinaria delle concessioni demaniali marittime di durata pluriennale», cui esse sarebbero accessorie.La stessa legge reg. Calabria n. 17 del 2005, al suo art. 10, comma 3, rinvierebbe d’altronde alla normativa statale quanto alla disciplina della durata e del rinnovo delle

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concessioni demaniali marittime. Tale normativa, che originariamente prevedeva una durata di sei anni, salvo rinnovo, delle concessioni medesime, sarebbe ora da rinvenirsi nella legge n. 145 del 2018, il cui art. 1, comma 682, ha previsto in via generale per tutte le concessioni vigenti la durata di quindici anni, con decorrenza dall’entrata in vigore della legge medesima, e il cui art. 1, comma 246, ha disposto che i titolari di concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo possano mantenere installati i manufatti amovibili fino al 31 dicembre 2020.La previsione dell’estensione pluriennale delle concessioni oggetto della disposizione regionale impugnata si inserirebbe dunque armonicamente nell’ambito della disciplina statale vigente; con conseguente infondatezza della censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.2.2.– Nemmeno sussisterebbe alcuna violazione degli artt. 3 e 97 Cost.Lungi dall’avere introdotto una disciplina arbitraria, il legislatore regionale avrebbe infatti mirato a coordinare la disciplina delle concessioni stagionali con quella delle concessioni marittime demaniali, già di natura pluriennale, e comunque avrebbe inteso perseguire la finalità – comune alla legislazione statale – di «tutelare, valorizzare e promuovere», nelle more di una compiuta riforma dell’intero settore, «il bene demaniale delle coste italiane, in quanto elemento strategico per il sistema economico, di attrazione turistica e di immagine del Paese», nonché a quella di «garantire l’occupazione e il reddito delle imprese», a fronte degli investimenti da queste effettuati, i cui benefici rischierebbero di essere vanificati dal rilascio di concessioni di breve durata. Considerato in diritto1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 1 della legge della Regione Calabria 25 novembre 2019, n. 46, recante «Modifica alla lettera a), comma 2 dell’articolo 14 della legge regionale 21 dicembre 2005, n. 17», per violazione degli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.L’impugnato art. 1 modifica l’art. 14, comma 2, della legge della Regione Calabria 21 dicembre 2005, n. 17 (Norme per l’esercizio della delega di funzioni amministrative sulle aree del demanio marittimo), che nel testo anteriore alla modifica prevedeva: «Nelle more dell’approvazione del PCS [Piano comunale di spiaggia], in deroga a quanto disposto dal comma 1, possono essere rilasciate: a) concessioni demaniali marittime stagionali […]».Essa da un lato (comma 1, lettera a) inserisce, dopo le parole «possono essere rilasciate», le parole «o comunque rinnovate»; e dall’altro (comma 1, lettera b) sostituisce le parole «concessioni demaniali marittime stagionali» con le parole «concessioni demaniali pluriennali di natura stagionale».1.1.– Secondo il ricorrente, l’art. 1 della legge reg. Calabria n. 46 del 2019 violerebbe, anzitutto, la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.Il legislatore regionale avrebbe, per un verso, inteso sottrarre l’ipotesi del rinnovo delle concessioni de quibus alla disciplina generale di cui all’art. 18, comma 3-bis, della legge reg. Calabria n. 17 del 2005, che subordina i procedimenti di rilascio di dette concessioni a procedure a evidenza pubblica, secondo i principi fissati dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) e dalla pertinente disciplina del diritto dell’Unione europea, introducendo così, di fatto, un meccanismo di proroga o rinnovo automatico delle concessioni in essere; e, per altro verso, avrebbe eliminato il previgente limite di durata annuale, lasciando del tutto indeterminata la durata della proroga.

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In ogni caso, la disciplina impugnata sarebbe distonica rispetto a quella stabilita dall’art. 1, commi da 675 a 685, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), che ha imposto una generale revisione del sistema delle concessioni marittime secondo modalità e termini da adottarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, demandando a un successivo d.P.C.m. la fissazione dei principi e dei criteri tecnici per l’assegnazione delle concessioni sulle aree demaniali marittime.1.2.– Sarebbero, altresì, violati i principi di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.Sotto il primo profilo, le modifiche introdotte dalla disposizione impugnata all’art. 14 della legge reg. Calabria n. 17 del 2005 dalla disposizione impugnata sarebbero contraddittorie rispetto alla ratio dello stesso art. 14, che detta norme di salvaguardia nelle more dell’entrata in vigore dei piani comunali di spiaggia, vietando in linea di principio il rilascio di nuove concessioni (comma 1), e consentendo soltanto, al comma 2 nella sua versione anteriore alle modifiche di cui è causa, il rilascio di concessioni strettamente temporanee, legate alla stagionalità propria del settore.La previsione di rinnovi automatici delle concessioni in essere lederebbe, d’altra parte, il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, il quale esigerebbe che ogni provvedimento di rilascio o rinnovo di concessioni demaniali avvenga a seguito di procedure a evidenza pubblica.2.– La questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., è fondata.2.1.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la disciplina delle concessioni su beni demaniali marittimi investe diversi ambiti materiali, attinenti tanto alle competenze legislative statali quanto a quelle regionali (sentenze n. 157 e n. 40 del 2017). Tuttavia, i criteri e le modalità di affidamento di tali concessioni debbono essere stabiliti nell’osservanza dei principi della libera concorrenza recati dalla normativa statale e dell’Unione europea, con conseguente loro attrazione nella competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che rappresenta sotto questo profilo un limite insuperabile alle pur concorrenti competenze regionali (ex multis, sentenze n. 161 del 2020, n. 86 del 2019, n. 221, n. 118 e n. 109 del 2018).Sono state, in particolare, ritenute invasive di tale competenza esclusiva discipline regionali che prevedevano meccanismi di proroga o rinnovo automatico delle concessioni (ad esempio, sentenze n. 1 del 2019 e n. 171 del 2013), una durata eccessiva del rapporto concessorio (così ancora la sentenza n. 1 del 2019, nonché la sentenza n. 109 del 2018), l’attribuzione di una preferenza al concessionario uscente in sede di rinnovo (sentenze n. 221 del 2018 e n. 40 del 2017).2.2.– L’art. 14 della legge reg. Calabria n. 17 del 2005 detta «[n]orme di salvaguardia» nelle more dell’adozione di un piano comunale di spiaggia, con il quale – ai sensi del combinato disposto dei precedenti artt. 8 e 12 – i Comuni sono tenuti, tra l’altro, a disciplinare e localizzare le attività dei complessi balneari realizzabili a cura dei Comuni stessi, degli esercizi di ristorazione e affini inseriti in tali complessi, di noleggio e rimessaggio di unità da diporto, di campeggi, attività ricreative, sportive e culturali, di soccorso a mare, di approdo con funzioni turistiche e da diporto. Sino all’adozione del piano, l’art. 14, comma 1, dispone che «non possono essere rilasciate nuove concessioni marittime, né essere autorizzate varianti sostanziali ai rapporti concessori in essere», all’evidente finalità di preservare e incentivare la potestà pianificatoria dei Comuni.In deroga a tale divieto generale, la versione originaria del comma 2 dell’art. 14 consentiva, alla lettera a), il rilascio di «concessioni demaniali marittime stagionali» a

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supporto di attività ricettive alberghiere, villaggi turistici, campeggi e altre strutture ricettive ai fini delle attività inerenti al servizio di balneazione, ovvero per l’installazione di piccoli punti di ormeggio, posa di gonfiabili, giochi smontabili per bambini, tavolini e sedie, nonché chioschi omologati (questi ultimi per una durata non superiore a centoventi giorni); e alle lettere b) e c) il rilascio di concessioni marittime in gran parte «suppletive» rispetto ad altre concessioni turistico-balneari già rilasciate.Le modifiche introdotte dalla legge reg. Calabria n. 46 del 2019, in questa sede impugnate, da un lato, affiancano all’ipotesi del rilascio di tutte le concessioni previste dal comma 2 quella del rinnovo delle concessioni stesse, e dall’altro consentono che le concessioni di cui alla lettera a) possano avere durata pluriennale, anziché stagionale come in precedenza previsto.2.3.– Mentre però l’art. 18, comma 3-bis, della legge reg. Calabria n. 17 del 2005 stabilisce espressamente che il rilascio delle «nuove concessioni demaniali marittime» debba avvenire «nel rispetto dei principi di evidenza pubblica, parità di trattamento, non discriminazione, pubblicità, libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi» stabiliti dalla pertinente normativa comunitaria e statale, la stessa legge regionale nulla prevede quanto all’ipotesi del mero rinnovo delle concessioni esistenti.L’affermazione della difesa regionale, secondo cui anche a tale ipotesi resterebbe comunque applicabile la disciplina dell’art. 18, comma 3-bis, appena menzionato, appare smentita non solo dal riferimento – contenuto in quest’ultima disposizione – alle sole «nuove» concessioni demaniali marittime, ma anche dall’intenzione, manifestata in sede di illustrazione del progetto di legge regionale poi sfociato nella disposizione impugnata (Relazione illustrativa alla proposta di legge n. 428/10), di eliminare, oltre alla temporaneità delle concessioni, «la preclusione del c.d. diritto di insistenza», che consiste nella preferenza, in sede di rinnovo, alle precedenti concessioni, già rilasciate, rispetto alle nuove istanze. Tale diritto, introdotto nell’art. 37 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Approvazione del testo definitivo del Codice della navigazione), dal decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, in legge 4 dicembre 1993, n. 494, era venuto meno nella legislazione statale per effetto dell’art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, in legge 26 febbraio 2010, n. 25, sì da permettere l’archiviazione di una procedura di infrazione a suo tempo avviata dalla Commissione europea contro l’Italia.La nuova ipotesi del rinnovo delle concessioni già esistenti – nel contesto, vale la pena di sottolineare, di una norma di salvaguardia mirante semplicemente a dettare una disciplina transitoria nelle more dell’adozione di un organico piano di spiaggia da parte del Comune – finisce così per essere sottratta alle procedure a evidenza pubblica conformi ai principi, comunitari e statali, di tutela della concorrenza stabiliti per le ipotesi di rilascio di nuove concessioni, e per consentire de facto la mera prosecuzione dei rapporti concessori già in essere, con un effetto di proroga sostanzialmente automatica – o comunque sottratta alla disciplina concorrenziale – in favore dei precedenti titolari. Un effetto, come poc’anzi rammentato, già più volte ritenuto costituzionalmente illegittimo da questa Corte.2.4.– La previsione, poi, della possibile durata pluriennale delle concessioni di cui alla lettera a) dell’art. 14, comma 2, della legge reg. Calabria n. 17 del 2005 – tutte relative ad attività di carattere intrinsecamente stagionale, e non accessorie ad altre concessioni come, invece, le ipotesi di cui alle successive lettere b) e c) – comporta la possibilità del rilascio (o del rinnovo) di tali concessioni per periodi del tutto indeterminati in favore di un unico titolare, che risulterebbe così ingiustificatamente privilegiato rispetto a ogni altro

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possibile interessato, in violazione – anche in questo caso – dei principi di tutela della concorrenza.2.5.– La circostanza, rilevata dalla difesa regionale, che la stessa disciplina statale più recente abbia previsto, nelle more della revisione del sistema delle concessioni marittime da parte di un d.P.C.m., il prolungamento della durata delle concessioni esistenti al 30 dicembre 2018 per quindici anni dalla data di entrata in vigore della legge n. 145 del 2018, non può d’altra parte legittimare le Regioni a dettare discipline che ad essa si sovrappongano, in un ambito riservato alla competenza esclusiva dello Stato.3.– Restano assorbite le censure formulate con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.Per Questi MotiviLA CORTE COSTITUZIONALEdichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 25 novembre 2019, n. 46, recante «Modifica alla lettera a), comma 2 dell’articolo 14 della legge regionale 21 dicembre 2005, n.17».Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2021.F.to:Giancarlo CORAGGIO, PresidenteFrancesco VIGANÒ, RedattoreRoberto MILANA, Direttore della CancelleriaDepositata in Cancelleria il 29 gennaio 2021.Il Direttore della CancelleriaF.to: Roberto MILANAPubblicato il 29/01/20211. 00265/2021 REG.PROV.COLL.2. 00545/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale della Campaniasezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 545 del 2020, proposto daMartur S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Brancaccio, Valentina Brancaccio, Pasquale D’Angiolillo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo, in Salerno, largo Dogana Regia, 15;controComune di Camerota, non costituito in giudizio;per l’annullamentodel provvedimento autorizzativo unico del 13.1.2020, prot. n. 198, nonché del provvedimento del 17.4.2020, prot. n. 7325, applicativo della sanzione ex art. 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001 e limitativo della durata della rilasciata concessione demaniale marittima al 31 dicembre 2020. Visti il ricorso e i relativi allegati;Visti tutti gli atti della causa;Visti gli artt. 84 del d.l. n. 18/2020, 4 del d.l. n. 28/2020 e 25 del d.l. n. 137/2020;Relatore nell’udienza del giorno 22 dicembre 2020 il dott. Olindo Di Popolo;

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Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO1. Col ricorso in epigrafe, la MARTUR s.r.l. (in appresso, M.) impugnava, chiedendone

l’annullamento: – il provvedimento autorizzativo unico (PAU) del 13.1.2020 prot. n. 198 (pratica SUAP n. 6408/19), emesso dal Responsabile dello Sportello Unico del Cilento (in appresso, SUAP Cilento), avente per oggetto il “parziale mantenimento delle strutture poste sull’arenile, a servizio dell’impianto produttivo denominato ‘Happy Village’ nel Comune di Camerota, frazione Marina”, nella parte in cui la relativa efficacia era stata subordinata al rilascio di apposito permesso di costruire; – il provvedimento del 17.4.2020 prot. n. 7325 (recante anche la concessione demaniale marittima n. 2, in pari data), emesso dal Responsabile del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Camerota, nella parte in cui era stata irrogata la sanzione pecuniaria ex art. 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001 ed era stata limitata al 31.12.2020 la durata della rilasciata concessione demaniale marittima n. 2 del 17.4.2020; – la nota del Responsabile del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Camerota prot. n. 3756 del 22.2.2020, recante la comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio demaniale; – la nota del Responsabile del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Camerota prot. n. 5665 del 17.3.2020, recante il rigetto delle osservazioni del 4.3.2020, prot. n. 4820; – la delibera della Giunta comunale di Camerota n. 52 del 6.4.2020, nella parte in cui era richiamata la condizione sospensiva dell’efficacia del PAU n. 198/2020; – la relazione di sopralluogo prot. n. 1441 del 22.1.2020; – la nota comunale del 3.10.2019, prot. n. 7444; – l’art. 7, commi 9 e 10, del Regolamento comunale recante “Norme di utilizzazione del litorale marittimo per finalità turistiche ricreative” (in appresso, Regolamento comunale), approvato con delibera commissariale n. 61 del 24.4.2012.

2. I manufatti controversi – di quali si era assunto come necessario dai provvedimenti impugnati il previo rilascio del permesso di costruire e, in mancanza di quest’ultimo, si era contestata l’abusività – erano ubicati sul tratto di arenile demaniale in località Capogrosso della frazione Marina del Comune di Camerota (in catasto al foglio 15, particelle 455-477), attribuito alla M., in qualità di gestore del complesso turistico-ricettivo denominato “Happy Village”, giusta concessioni demaniali marittime n. 6/2009, n. 53/2015 e n. 65/2015, e consistevano essenzialmente in un punto di ristoro attrezzato a servizio della spiaggia, costituito da un manufatto in legno, parzialmente chiuso, destinato a bar, wc e deposito (corpo 1) e da una pedana in legno, con sovrastante tettoia, completamente priva di chiusure laterali, adibita a zona d’ombra e ristorazione all’aperto (corpo 2).

Più in dettaglio, a tenore della nota p.e.c. dell’Ufficio Locamare Marittimo di Camerota prot. n. 3724 del 21 febbraio 2020, testualmente richiamata nel provvedimento del 17.4.2020 prot. n. 7325, si trattava di: «1) struttura chiusa, avvolta da un telo protettivo di colore verde a protezione da intemperie e altri fenomeni metereologici, avente dimensioni 20,00 m x 12,20 m circa ed altezza media circa 2,80 m circa, in concessione autorizzata come bar, preparazione, servizi igienici per il personale e per gli ospiti, deposito prodotti ed attrezzature, ed un’area per tavoli e sedie; 2) una struttura di fondazione intelaiata in acciaio, ancorata su travi in legno lamellare antistante la predetta struttura di dimensione circa 20,00 m x 7,60 m circa, in concessione, sulla predetta area, prevista una zona d’ombra e ristoro, priva di chiusure laterali (al momento smontata)».Ancora più in dettaglio, a tenore della relazione di sopralluogo prot. n. 1441 del 22.1.2020, si trattava di: «- struttura chiusa con pannelli prefabbricati, avente dimensioni 20,00 x

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12,20 m circa ed altezza di 3,00 m circa, adibita a bar, ristorante, con all’interno tutta l’attrezzatura necessaria quali cucine, frigoriferi, banconi frigo, forno per pizzeria; – struttura di fondazione intelaiata in acciaio, ancorata su travi in legno lamellate, antistante la predetta struttura, avente una dimensioni 20,00 m x 7,60 m circa; – tettoia con copertura in plexiglas, retrostante la struttura chiusa, avente dimensioni 5,00 m x 2,60 m circa; – vasca di raccolta reflui, seminsabbiata, ubicata sul retro della struttura chiusa».Tanto, con l’espressa precisazione che «sono stati effettuati sondaggi al fine di verificare se sotto le suelencate predette strutture risultavano presenti opere in cemento, constatando per quanto possibile, che le stesse risultano ancorate esclusivamente su travi in legno interrate, perpendicolari alle fondazioni in acciaio».

3. Tali strutture erano state assentite in favore della richiedente M., previo espletamento di apposita Conferenza di servizi, col PAU n. 198/2020, sotto la condizione sospensiva di efficacia del rilascio del permesso di costruire (a seguito della produzione, a cura dell’interessata, della documentazione recante l’adeguamento della concessione demaniale marittima, il pagamento degli oneri e dei diritti di segreteria a beneficio del Comune di Camerota).

Conseguentemente, col provvedimento del 17.4.2020 prot. n. 7325, il Responsabile del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Camerota, avendo rilevato che i manufatti de quibus risultavano non stagionalmente, bensì continuativamente mantenuti sul suolo demaniale senza il richiesto permesso di costruire e, quindi, in violazione dell’art. 7, commi 9 e 10, del Regolamento comunale («Tutte le strutture di cui al presente Regolamento potranno essere utilizzate per un periodo complessivo non superiore a 150 gg., dal 1 maggio al 30 settembre di ogni anno. E’ consentito iniziare il montaggio delle strutture – previa acquisizione di tutti i necessari titoli abilitanti – a partire dal 15 aprile di ogni anno; tutte le strutture dovranno essere integralmente rimosse entro il 15 ottobre di ogni anno, assicurando il ripristino dell’area in concessione e lo smaltimento di qualsiasi materiale di risulta»), individuava quale idonea misura repressiva dell’abuso accertato la sanzione pecuniaria ex art. 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001 («deve applicarsi il principio di conservazione dei mezzi giuridici, evitando inutili dispendi di energia, nonché deve sottolinearsi che, sebbene la fattispecie di abusivismo giuridico si fondi sul rapporto tra titolo edilizio ed opus realizzato, lo ius aedificandi rinviene la propria autentica fonte costitutiva nella pianificazione urbanistica e, quindi, negli strumenti urbanistici, per cui un manufatto può risultare, seppur contra ius o sine titulo, pienamente conforme agli strumenti urbanistici vigenti, tanto da apparire contraddittorio ordinarne la demolizione per poi operare una ricostruzione in maniera pressoché identica … alla luce di quanto innanzi che la fattispecie può essere assimilabile all’istituto dell’articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e s.m.i., costituendo in tal caso ipotesi di “sanatoria amministrativa”, ossia un provvedimento che presuppone l’invalidità dell’atto cagionata dalla mancanza, all’interno del procedimento finalizzato all’emanazione dell’atto medesimo, di un atto preparatorio, per cui il vizio può essere sanato attraverso l’intervento, necessariamente postumo, dell’atto mancante»). Nel contempo, in conformità alle disposizioni dell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009, conv. in l. n. 25/2010, così come modificato, dapprima, dall’art. 34 duodecies della l. n. 221/2012 e, poi, dall’art. 1, comma 547, della l. n. 228/2012 (cfr. circolare esplicativa del Ministero delle Infrastrutture n. 57 del 15 gennaio 2013), nonché dell’art. 1 della l. r. Campania n. 10/2012, limitava la durata della contestualmente rilasciata concessione demaniale marittima n. 2 alla data del 31 dicembre 2020.

4. Nell’avversare siffatte determinazioni, la ricorrente lamentava, in estrema sintesi, che: a) in violazione degli art. 7, comma 6, del d.p.r. n. 160/2010 e 14 quater della l.

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n. 241/1990, il PAU n. 198/2020 avrebbe subordinato la propria efficacia al rilascio di un successivo permesso di costruire, nonché all’adeguamento della concessione demaniale marittima ed all’esecuzione di meri adempimenti burocratici, nonostante la propria autoesecutività ed autosufficienza immediatamente abilitante; b) il provvedimento del 17.4.2020 prot. n. 7325, avrebbe sanzionato come abusivo il mantenimento continuativo (per l’intero anno solare) delle strutture in contestazione sia a dispetto della facoltà in tal senso prevista ex lege (sino al 31 dicembre 2020) dall’art. 1, comma 246, della l. n. 145/2018, nonché dagli artt. 1 della l. r. Campania n. 10/2012 e 1, comma 42, della l r. Campania n. 16/2014, sia a dispetto dell’efficacia immediatamente abilitativa del PAU n. 198/2020, sia a dispetto del mancato riscontro amministrativo in merito al proponimento di mantenere continuativamente in loco le strutture in parola, esternato dall’interessata nelle istanze del 27.6.2019, prot. n. 12293, e del 29.7.2019, prot. n. 6408; c) esso neppure avrebbe potuto considerarsi legittimamente adottato in applicazione della ‘clausola di stagionalità’ ex art. 7, commi 9 e 10, del Regolamento comunale, stante l’antinomia di quest’ultima con i citati artt. 1, comma 246, della l. n. 145/2018, 1 della l. r. Campania n. 10/2012 e 1, comma 42, della l r. Campania n. 16/2014; d) peraltro, i manufatti de quibus, per la loro natura precaria e amovibile e per la loro localizzazione in area aperta turistico-ricettiva, e siccome, quindi, riconducibili nelle categorie derogatorie di cui all’art. 3, comma 1, lett. e.5, del d.p.r. n. 380/2001, ai punti A17 e A.27 dell’Allegato A al d.p.r. n. 31/2017, alla Tabella A, Sezione II, n. 16, allegata al d.lgs. n. 222/2016 ed all’art. 8, comma 3, delle NTA del Piano del Parco del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni, neppure avrebbero necessitato di apposito permesso di costruire e di apposito titolo paesaggistico-ambientale; e) la sanzione pecuniaria ex art. 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001 sarebbe stata, poi, irrogata in via del tutto atipica rispetto alla fattispecie accertata, nonché in contraddizione con la ex ante ritenuta inapplicabilità della misura ripristinatoria (cfr. nota comunale del 23.4.2019, prot. n. 8175) e con la pure ex ante ravvisata possibilità di mantenimento continuativo in loco delle strutture (cfr. nota comunale del 13.9.2019, prot. n. 18172); f) la limitazione temporale della concessione demaniale marittima n. 2 del 17.4.2020 confliggerebbe con la proroga quindicennale prevista dall’art. 1, comma 682, della l. n. 145/2018; g) prive di pregio sarebbero le argomentazioni del rigetto delle osservazioni del 4.3.2020, prot. n. 4820, alla comunicazione ex art. 7 della l. n. 241/1990 di cui alla nota comunale del 22.2.2020, prot. n. 3756.

5. L’intimato Comune di Camerota non si costituiva in giudizio.6. All’udienza del 22 dicembre 2020, la causa era trattenuta in decisione.7. Venendo ora a scrutinare il ricorso nel merito, coglie nel segno la ricorrente,

allorquando denuncia l’ultroneità di un apposito permesso di costruire, predicato come necessario dall’amministrazione intimata, nonostante l’autoesecutività e l’autosufficienza immediatamente legittimante (anche sotto il profilo edilizio) del PAU n. 198/2020 (cfr. retro, sub n. 4.a).

In questo senso, depone, in primis, il tenore dell’art. 7, comma 6, del d.p.r. n. 160/2010 (Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008), ai sensi del quale il titolo in parola figura univocamente rilasciato: «il provvedimento conclusivo del procedimento, assunto nei termini di cui agli articoli da 14 a 14 quinquies della legge 7 agosto 1990, n.

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241, – sancisce la disposizione in parola – è, ad ogni effetto, titolo unico per la realizzazione dell’intervento e per lo svolgimento delle attività richieste».Nello stesso senso, così recita la disciplina compendiata nel d.p.r. n. 160/2020 in materia di Sportello unico per le attività produttive e di provvedimento autorizzativo unico:– il SUAP è da intendersi quale «unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva, che fornisce una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni, comunque coinvolte nel procedimento» (art. 1, comma 1, lett. m);– esso è l’«unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l’esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi, e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività, ivi compresi quelli di cui al decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59» (art. 2, comma 1);– il medesimo «assicura al richiedente una risposta telematica unica e tempestiva in luogo degli altri uffici comunali e di tutte le amministrazioni pubbliche comunque coinvolte nel procedimento, ivi comprese quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità» (art. 4, comma 1).– «le comunicazioni al richiedente sono trasmesse esclusivamente dal SUAP; gli altri uffici comunali e le amministrazioni pubbliche diverse dal Comune, che sono interessati al procedimento, non possono trasmettere al richiedente atti autorizzatori, nulla osta, pareri o atti di consenso, anche a contenuto negativo, comunque denominati …» (art. 4, comma 2);– «salva diversa disposizione dei Comuni interessati e ferma restando l’unicità del canale di comunicazione telematico con le imprese da parte del SUAP, sono attribuite al SUAP le competenze dello sportello unico per l’edilizia produttiva» (art. 4, comma 6);– «verificata la completezza della documentazione, il SUAP adotta il provvedimento conclusivo entro trenta giorni, decorso il termine di cui al comma 1, salvi i termini più brevi previsti dalla normativa regionale» (art. 7, comma 2).Al riguardo, Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2019, n. 1658 ha statuito che, «nell’ambito di un procedimento connotato dall’unicità e contestualità dell’istruttoria come quello svolto dallo Sportello unico, gli atti di assenso e i pareri comunque denominati, conclusivi delle relative fasi endoprocedimentali e perciò atti aventi rilevanza meramente interna, sono tutti confluiti nel provvedimento conclusivo del procedimento … costituente momento di sintesi e di raccordo dei singoli provvedimenti abilitativi e degli atti preparatori acquisiti dagli uffici comunali competenti e perciò integrante, ad ogni effetto, titolo unico per la realizzazione dell’intervento».Analogamente, Cons. Stato, sez. IV, 22 ottobre 2018, n. 5994 ha osservato che, «come evidenziato dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 376 del 2002, quelli che in precedenza costituivano autonomi provvedimenti, ciascuno di essi adottato sulla base di un procedimento a sé stante, diventano ‘atti istruttori’ al fine dell’adozione dell’unico provvedimento conclusivo, titolo per la realizzazione dell’intervento richiesto, di competenza del SUAP».A suffragio delle proposizioni attoree, milita, altresì, e in via ancor più dirimente, il ricorso al modulo procedimentale della Conferenza di servizi decisoria in forma semplificata e in modalità asincrona, prescelto dal SUAP Cilento.In subiecta materia, l’art. 14 quater della l. n. 241/1990 (espressamente richiamato dall’art. 7, comma 6, del d.p.r. n. 160/2010) stabilisce, infatti, che «la determinazione

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motivata di conclusione della conferenza, adottata dall’amministrazione procedente all’esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati» e che «i termini di efficacia di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell’ambito della conferenza di servizi decorrono dalla data della comunicazione della determinazione motivata di conclusione della conferenza».In tale prospettiva, non avrebbe avuto senso la partecipazione e il «parere urbanistico favorevole del Comune di Camerota» – sia pure acquisito per silentium – nell’ambito della Conferenza di servizi convocata con nota del 4.11.2019, prot. n. 8001, se, poi, la medesima autorità comunale, avrebbe dovuto ripronunciarsi nell’esercizio delle medesime competenze e in merito al medesimo progetto.

8. Fondati si rivelano essere anche gli ordini di doglianze rubricati retro, sub n. 4.b-c, segnatamente nella parte in cui viene denunciata la violazione degli artt. 1, comma 246, della l. n. 145/2018, 1 della l. r. Campania n. 10/2012 e 1, comma 42, della l r. Campania n. 16/2014, nonché la confliggenza dell’art. 7, commi 9 e 10, del Regolamento comunale con tali disposizioni legislative sovraordinate.

8.1. In dettaglio:– ai sensi dell’art. 1, comma 246, della l. n. 145/2018: «i titolari delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico ricreativo e dei punti di approdo con medesime finalità turistico ricreative, che utilizzino manufatti amovibili di cui alla lettera e.5 del comma 1 dell’articolo 3 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, possono mantenere installati i predetti manufatti fino al 31 dicembre 2020, nelle more del riordino della materia previsto dall’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25»;– ai sensi dell’art. 1 della l. r. Campania n. 10/2012, «per incentivare le attività turistico-balneari del litorale della Regione Campania ed incrementarne i livelli occupazionali, fermo restando gli obblighi previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), nelle more dell’approvazione del Piano di utilizzo delle aree demaniali (PUAD) e comunque fino al 31 dicembre 2020, è consentito ai titolari di concessioni demaniali marittime, l’uso degli stabilimenti balneari ed elioterapici oggetto della concessione e delle relative strutture per l’intero anno solare»;– ai sensi dell’art. 1, comma 42, della l r. Campania n. 16/2014, «nelle more dell’approvazione del piano di utilizzo delle aree demaniali (PUAD) e della legge regionale sul turismo, è consentita a tutti gli stabilimenti balneari del litorale regionale campano la permanenza delle installazioni e delle strutture rimovibili realizzate sull’area demaniale attribuita in concessione».8.2. In argomento, TAR Puglia, Lecce, sez. I, 1° febbraio 2020, n. 110 ha così diffusamente statuito:«La norma in questione [ossia l’art. 1, comma 246, della l. n. 145/2018], nella sua portata precettiva, si rivolge a due destinatari, in quanto da un lato attribuisce ai soggetti indicati la facoltà e il diritto di mantenere le strutture amovibili fino al 31.12.2020, dall’altro – correlativamente – impone alla Pubblica Amministrazione di astenersi da provvedimenti volti ad imporre lo smontaggio delle stesse fino alla data suindicata, in palese violazione del chiaro dettato normativo.

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Peraltro occorre rilevare che la facoltà o diritto di non procedere allo smontaggio delle strutture amovibili al termine della stagione estiva e solo fino al 31 dicembre 2020, attribuito ex lege ai titolari delle concessioni demaniali marittime cosi come individuati dalla norma, può essere fatto valere anche per così dire “in via di eccezione”, atteso che – non essendo previsto alcun procedimento o necessità di conseguimento di titoli e pareri – l’effetto sospensivo consegue ex lege ed in via automatica; non occorre pertanto alcuna previa dichiarazione o manifestazione della volontà di volersi avvalere dell’effetto previsto in via automatica dalla norma in esame.Del resto le amministrazioni o le autorità competenti possono in qualunque tempo procedere ad una verifica dello stato dei luoghi al fine di accertare l’eventuale difetto dei presupposti di applicazione della norma, quali il difetto della qualità di concessionario, la non corrispondenza delle strutture a quelle oggetto di autorizzazione e di titolo edilizio ovvero la non conformità rispetto ai criteri indicati nello stesso art. 1 co. 246, ecc.La lettura proposta lettura della norma appare anzitutto coerente con la sua ratio legis, atteso che il legislatore in una materia caratterizzata da rilevanti conflitti e da incertezze normative (anche relative al raccordo della normativa nazionale con quella dell’Unione Europea), nelle more del riordino della materia, ha inteso assicurare – ex lege appunto – il diritto alla conservazione o mantenimento delle strutture fino al 31.12.2020, ovvero per il tempo di due sole stagioni invernali.La norma di cui trattasi è anzitutto una norma statale e non regionale e si muove dunque nell’alveo delle competenze attribuite allo Stato.Inoltre, in quanto introduttiva di una deroga rispetto al procedimento ordinario, la stessa costituisce una legge speciale, in quanto tale prevalente sulla legge generale (lex specialis derogat generali).E’ necessario tuttavia a questo punto valutare se l’interpretazione proposta risulti o meno compatibile con la Carta costituzionale e con la normativa di derivazione unionale.Quanto a quest’ultima, si è già sopra evidenziata la totale estraneità di tale disposizione rispetto ai vincoli derivanti dalla direttiva Bolkestein, attesa la totale diversità dei presupposti di applicazione e della ratio; ed invero il mantenimento – rectius: mancato smontaggio nei mesi invernali delle strutture fino al 31.12.2020 nulla ha a che vedere con l’attribuzione di posizioni di vantaggio su servizi di limitata disponibilità per cause naturali o tecniche, né presuppone alcuna esigenza di procedimento ad evidenza pubblica per la selezione del contraente. L’assunto è così evidente che non necessita di ulteriori considerazioni.Quanto alla compatibilità dell’interpretazione proposta con i principi costituzionali, occorre considerare in particolare gli articoli 97, 9 e 117 della Carta costituzionale.Anche qui occorre sgomberare il campo da possibili equivoci, con riferimento alle sentenze della Corte costituzionale n. 40 del 24.2.2017 e n. 1 del 9.1.2019 (cui potrebbe aggiungersi la sentenza n. 221 del 5.12.2018, quest’ultima relativa tuttavia a profili differenti, quali criteri di determinazione di un indennizzo per perdita dell’avviamento e individuazione di particolari ipotesi di rilascio di concessioni in assenza di selezione del contraente mediante gara).Con la sentenza n. 40/17 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 8, seconda parte, e comma 9, della l. r. Puglia 10 aprile 2015 n. 17 (disciplina della tutela e dell’uso della costa).Con la sentenza n. 1 del 2019 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1, 2 e 3, e dell’art. 4 comma 1 della l. r. Liguria 10.11.2017 n. 26 (disciplina delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico ricreative).

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Orbene in entrambi i casi la declaratoria di incostituzionalità ha riguardato norme regionali con cui si disponevano proroghe delle concessioni in essere per un determinato periodo di tempo, in quanto ritenute in contrasto con l’art. 117 Cost. avendo occupato spazi di legislazione riservati in via esclusiva allo Stato.Nel caso in esame, viceversa, anzitutto la norma – come già sopra evidenziato – non solo non attiene al tema della proroga delle concessioni, ma è una norma statale e non regionale.L’art. 1, comma 246, della legge di stabilità 2019 – come già più avanti evidenziato – è una norma statale speciale e derogatoria e, in quanto tale, prevalente sulle disposizioni generali che prevedono l’iter procedimentale ordinario.Siffatta specialità risulta evidente sia per il chiaro collegamento con l’esigenza del riordino della materia ex art. 1 comma 18 del d.l. 194/2009, convertito con modificazioni nella legge 26.2.2010 n. 25, sia con la previsione comunque di un termine di efficacia limitato alla dato del 31.12.2020.Occorre infine chiedersi se l’elusione del procedimento ordinario possa integrare di per sé una violazione delle competenze e delle prerogative delle diverse amministrazioni preposte alla cura degli interessi coinvolti (art. 117 Cost.) ovvero in particolare costituire pregiudizio delle competenze in materia di paesaggio (art. 9 Cost.) attribuite alla Soprintendenza B.A.A.P. e in materia edilizia attribuite ai Comuni.Ritiene il Collegio che l’art. 1 comma 246 della legge citata non realizzi alcuna violazione delle competenze paesaggistiche della Soprintendenza e della tutela del paesaggio ex art. 9, né delle competenze in materia urbanistica edilizia riservate nella specie ai Comuni e alla Regione, sotto vari profili.E ciò per le seguenti considerazioni.Anzitutto il mantenimento delle strutture fino al 31.12.2020 si riferisce non a nuove opere, bensì a strutture e manufatti già in essere e supportati – sia pure con prescrizione di smontaggio al termine delle stagioni estive – da titolo edilizio già rilasciato e da autorizzazione paesaggistica.In secondo luogo l’esercizio delle competenze delle amministrazioni che hanno già rilasciato i titoli e le autorizzazioni è fatto comunque salvo dalla piena possibilità di esercizio in qualunque momento dei poteri di controllo e di vigilanza, come già sopra rilevato.In terzo luogo è proprio la natura speciale della norma che conduce a ritenerne la piena conformità al dettato costituzionale, atteso che il previsto mantenimento delle strutture non solo risulta circoscritto ad un arco di tempo relativamente breve e con scadenza certa, ma altresì ancorato al tempo presunto necessario per l’approvazione della normativa di riordino della materia, nonché giustificato da una situazione presupposta evidentemente ritenuta prevalente dal legislatore nello specifico contesto giuridico-fattuale di riferimento.In tal senso appare significativo considerare, mutatis mutandis, i principi affermati più volte dalla Corte costituzionale in tema di norme speciali e derogatorie dispositive di proroghe e giustificate appunto – secondo il principio di ragionevolezza – da esigenze contingenti (“nelle more del riordino della materia”) e con una relativamente breve efficacia temporale (“fino al 31.12.2020”); così ad esempio nella sentenza Corte cost. 7.7.2016 n. 161, in cui – pur nella diversità della materia, vertendosi in materia sanitaria e trattandosi di norma regionale in presunto conflitto con la normativa statale – si riafferma il principio della compatibilità costituzionale della norma speciale e derogatoria rispetto al procedimento ordinario quando la stessa sia giustificata e circoscritta nell’efficacia temporale ad una data certa, secondo il principio di ragionevolezza desumibile dalla giurisprudenza costituzionale; si legge infatti: “tali peculiari caratteristiche (n.d.r.

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temporaneità della proroga e specialità) giustificano dunque, alla luce del principio di ragionevolezza, la proroga prevista dal legislatore regionale. Essa rispetta, inoltre, la condizione di temporaneità stabilità dalla giurisprudenza costituzionale, posto che non si estende indefinitivamente nel tempo. Infine la proroga va applicata alle sole unità in possesso dei requisiti strutturali e organizzativi, stabilita a garanzia del rispetto dei livelli essenziali di qualità e sicurezza nell’erogazione della prestazione fornita); ed ancora. “…la ragionevole delimitazione temporale della proroga rispetto alla scadenza del termine generale e l’osservanza dei requisiti strutturali e organizzativi consente di escludere che la disposizione regionale impugnata mascheri una inammissibile sanatoria di irregolarità e disfunzioni all’interno della Regione. Essa configura invece un’ipotesi di legittima deroga al termine statale”.Deve in proposito rilevarsi che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha più volte fatto applicazione del principio di ragionevolezza con riferimento alla valutazione di costituzionalità di norme recanti proroga di termini o deroghe a competenze ordinarie in ragione dell’esistenza di una adeguata giustificazione e con riferimento alla discrezionalità del legislatore statale, nonché in considerazione della natura transitoria e temporanea della norma di volta in volta esaminata; e ciò con riferimento alle più disparate materie.La reiterazione nel tempo dei principi affermati dalla Corte costituzionale induce a ritenere qualificabile il principio di ragionevolezza e di giustificazione in ragione della natura temporanea della proroga o della deroga come principio di carattere generale.Nell’ambito della copiosa giurisprudenza costituzionale in tal senso occorre distinguere nettamente tutte quelle pronunce relative alla violazione delle competenze, in particolare dello Stato, ad opera di leggi regionali, che in questa sede non appare rilevante, atteso che l’art. 1, comma 246, è una legge dello Stato.Il principio di cui sopra è stato infatti considerato come idoneo a garantire la compatibilità costituzionale della norma in numerose pronunce della Corte Costituzionale: 25 marzo 1980 n. 32; 20 maggio 1980 n. 71; 23 aprile 1986 n. 108; 26 gennaio 1988 n. 83; 16 ottobre 1990 n. 456; 21 luglio 1993 n. 323; 28 luglio 1995 n. 416; 11 luglio 2018 n. 151.Viceversa, il limite invalicabile di siffatta applicazione del principio di ragionevolezza come idoneo a garantire la compatibilità costituzionale della norma è stato individuato, ancora una volta, nell’esigenza di rispetto delle regole costituzionali di distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni, così ad esempio nella sentenza C. Cost. 7 giugno 2012 n. 148: (deve dunque essere ribadita l’inderogabilità dell’ordine costituzionale delle competenze legislative anche nel caso in cui ricorrano situazioni eccezionali).In sostanza, la Corte ha ritenuto compatibile con i principi della Carta costituzionale una norma statale che introduca proroga di termini o deroga alle competenze amministrative previste dalla legge ordinaria, in considerazione di una adeguata giustificazione, intesa come scelta di politica economico sociale e nell’ambito della discrezionale valutazione del legislatore, purché la deroga o proroga sia contenuta entro un ristretto spazio temporale.Occorre a questo punto considerare se la deroga ed esclusione del ricorso al procedimento ordinario previsto dalla norma statale speciale in esame risulti giustificata e contenuta in un arco di tempo limitato.Il tempo entro il quale si consente il mantenimento delle strutture già autorizzate è limitato in concreto al 31.12.2020 e, quindi si riferisce a sole due stagioni invernali.Quanto alla giustificazione economico-sociale, la quale integra peraltro l’essenza della ratio legis perseguita, appare evidente che il legislatore abbia inteso accordare una tutela alla categoria dei titolari delle concessioni demaniali marittime indicate nella norma per un tempo limitato in ragione di una discrezionale scelta di politica economico-sociale, trattandosi di una categoria di rilevante importanza sul piano della economia nazionale,

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penalizzata nello specifico contesto da una situazione di assoluta incertezza normativa e da rilevanti limitazioni dal punto di vista operativo e imprenditoriale.La situazione di incertezza normativa nel settore delle concessioni demaniali marittime è nota e non necessita di particolari considerazioni; in disparte la vicenda relativa alla normativa delle proroghe delle concessioni e alla sua inconciliabilità con la direttiva Bolkestein, che non appare conferente in questa sede perché del tutto estranea alla temporanea sospensione dello smontaggio stagionale delle strutture fino al 31.12.2020, come già sopra ampiamente evidenziato.L’incertezza normativa si ricollega invece proprio alle vicende relative allo smontaggio periodico delle strutture, sia in ragione della normativa vigente, sia in ragione delle diverse e a volte contrastanti pronunce giurisdizionali.Sia sufficiente in proposito considerare che l’auspicata normativa di riordino della materia potrebbe ad esempio individuare diverse tipologie di strutture destinate alla balneazione in ragione della diversa loro collocazione nelle aree del territorio costiero, a seconda dell’impatto ambientale-paesaggistico più o meno elevato, escludendo dall’obbligo di smontaggio stagionale tutte quelle strutture (come peraltro quella in esame) ubicate in pieno centro abitato nelle località costiere; in tal senso la norma di cui all’art. 1, comma 246, potrebbe definirsi come assimilabile ad una misura di salvaguardia» (sul punto, cfr. anche TAR Lecce, sez. I, 19 febbraio 2020, n. 239).8.3. Ciò posto, in virtù dei richiamati artt. 1, comma 246, della l. n. 145/2018, 1 della l. r. Campania n. 10/2012 e 1, comma 42, della l r. Campania n. 16/2014, il punto di ristoro controverso non poteva, dunque, considerarsi abusivo, in quanto rinveniva direttamente in esse – oltre ed a prescindere dal PAU n. 198/2020 – la fonte di legittimazione della sua installazione continuativa sul suolo demaniale marittimo. Del che – come pure fondatamente dedotto da parte ricorrente (cfr. retro, sub n. 4.e) – si era, d’altronde, avveduto – per poi, però, smentirsi – lo stesso Comune di Camerota, allorquando, nella nota del 25.9.2019, prot. n. 18172, aveva ritenuto che la tesi propugnata dalla M. nella propria relazione tecnica integrativa prot. n. 7191 dell’8.4.2019, circa la legittimità del mantenimento in loco dei manufatti de quibus ai sensi delle citate disposizioni di legge statale e regionale, «con particolare riferimento alla normativa statale e regionale, che di fatto consente il permanere delle strutture precarie di supporto alla balneazione sugli arenili, oggetto di concessione, è supportat[a] da argomentate motivazioni e, nei limiti di una corretta ermeneusi, condivisibili».Né un simile approdo può dirsi menomato dalla ‘clausola di stagionalità’ recata dall’art. 7, commi 9 e 10, del Regolamento comunale («Tutte le strutture di cui al presente Regolamento potranno essere utilizzate per un periodo complessivo non superiore a 150 gg., dal 1 maggio al 30 settembre di ogni anno. E’ consentito iniziare il montaggio delle strutture – previa acquisizione di tutti i necessari titoli abilitanti – a partire dal 15 aprile di ogni anno; tutte le strutture dovranno essere integralmente rimosse entro il 15 ottobre di ogni anno, assicurando il ripristino dell’area in concessione e lo smaltimento di qualsiasi materiale di risulta»), sulla quale fanno premio le antinomiche previsioni di rango primario dianzi richiamate.Al riguardo, è, infatti, appena il caso di sottolineare che, alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale improntato all’operatività del principio di gerarchia delle fonti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 29 aprile 2005, n. 2034; 2 marzo 2009, n. 1169; sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 812; sez. V, 28 settembre 2016, n. 4009; sez. VI, 24 ottobre 2017, n. 4894; sez. IV, 7 dicembre 2017, n. 5753; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 18 luglio 2017, n. 3838), la disciplina regolamentare in parola, ove interpretata nel senso di vietare ai concessionari il mantenimento continuativo delle strutture precarie installate sulle aree

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demaniali, si rende disapplicabile dall’adito giudice amministrativo, in quanto confliggente con le sovraordinate disposizioni di cui agli artt. 1, comma 246, della l. n. 145/2018, 1 della l. r. Campania n. 10/2012 e 1, comma 42, della l r. Campania n. 16/2014.

9. Dovendosi incidentalmente rilevare anche la denunciata atipicità dell’irrogata sanzione pecuniaria ex art. 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001 rispetto alla fattispecie con essa colpita, dacché non riconducibile alle ipotesi di interventi edilizi di cui al precedente art. 22, commi 1 e 2, eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA (cfr. retro, sub n. 4.e), l’accoglimento delle censure dianzi scrutinate consente, a questo punto, di assorbire quelle ulteriori (rubricate retro, sub n. 4.d e 4.g) rivolte sempre al PAU n. 198/2020, nella parte in cui ha subordinato la propria efficacia al rilascio di successivo permesso di costruire, ed al provvedimento del 17.4.2020 prot. n. 7325, limitatamente parte in cui ha irrogato la sanzione pecuniaria ex art. 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001.

10.Rimane, dunque, sa scrutinare il motivo di gravame rubricato retro, sub n. 4.f, secondo cui la limitazione temporale della concessione demaniale marittima n. 2 del 17.4.2020, sancita col provvedimento del 17.4.2020 prot. n. 7325, confliggerebbe con la proroga quindicennale prevista dall’art. 1, comma 682, della l. n. 145/2018.

Ebbene, esso non merita favorevole apprezzamento, alla stregua delle seguenti considerazioni.10.1. Come già annotato dalla Sezione in sede di sommaria delibazione cautelare (ord. n. 333/2020), la norma legislativa invocata da parte ricorrente si presenta confliggente con i principi euro-unitari sanciti dall’art. 12 direttiva 2006/123/CE (c.d. Bolkestein) («1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. 2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. 3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario»), così come interpretato dalla Corte di Giustizia UE, sez. V, nella sentenza 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15.L’assunto attoreo di avvenuta proroga automatica quindicennale del rapporto instaurato con le pregresse concessioni demaniali marittime n. 6/2009, n. 53/2015 e n. 65/2015 si infrange, pertanto, contro l’indirizzo giurisprudenziale disapplicativo delle norme legislative dilatorie emanate in subiecta materia, propugnato anche da questa Sezione nelle sentenze n. 1697 del 2 ottobre 2019 e n. 221 del 10 febbraio 2020, e ispirato all’arresto sancito in materia dalla Corte di Giustizia UE, sez. V, nella citata sentenza 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, a tenore della quale «l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale … che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati».

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10.2. In particolare, Cons. Stato, sez. VI, 18 novembre 2019, n. 7874 ha, di recente, così condivisibilmente statuito:«Da tale sentenza [ossia dalla citata sentenza della Corte di Giustizia UE, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15] si desume che la proroga ex lege delle concessioni demaniali aventi natura turistico-ricreativa non può essere generalizzata, dovendo la normativa nazionale ispirarsi alle regole della Unione europea sulla indizione delle gare.La Corte di Giustizia, più specificamente, chiamata a pronunciarsi sulla portata dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (cd. Bolkestein e Servizi) del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (direttiva servizi), ha affermato, in primo luogo, che le concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo rientrano in linea di principio nel campo di applicazione della suindicata direttiva, restando rimessa al giudice nazionale la valutazione circa la natura “scarsa” o meno della risorsa naturale attribuita in concessione, con conseguente illegittimità di un regime di proroga ex lege delle concessioni aventi ad oggetto risorse naturali scarse, regime ritenuto equivalente al rinnovo automatico delle concessioni in essere, espressamente vietato dall’art. 12 della direttiva.In secondo luogo, la Corte di giustizia ha affermato che, per le concessioni alle quali la direttiva non può trovare applicazione, l’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) osta a una normativa nazionale, come quella italiana oggetto dei rinvii pregiudiziali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentino un interesse transfrontaliero certo.Come è stato chiarito anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2018 n. 3600; Sez. VI, 10 luglio 2017 n. 3377 e 13 aprile 2017 n. 1763):– l’art. 1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194 (convertito, con modificazioni, dalla l. 26 febbraio 2010, n. 25) – come modificato dall’articolo 34-duodecies, comma 1, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221), e, a decorrere dal 1° gennaio 2013, dall’art. 1, comma 547, l. 24 dicembre 2012, n. 228 –, statuiva come segue: “Ferma restando la disciplina relativa all’attribuzione di beni a regioni ed enti locali in base alla legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché alle rispettive norme di attuazione, nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali con finalità turistico-ricreative e sportive, nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto, da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che è conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all’articolo 37, secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino al 31 dicembre 2020, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 3, comma 4 bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494. All’articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il secondo periodo è soppresso”;– pertanto, in seguito alla soppressione, in ragione delle disposizioni legislative sopra richiamate, dell’istituto del “diritto di insistenza”, ossia del diritto di preferenza dei concessionari uscenti, l’amministrazione che intenda procedere a una nuova concessione del bene demaniale marittimo con finalità turistico-ricreativa, in aderenza ai principi euro-

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unitari della libera di circolazione dei servizi, della par condicio, dell’imparzialità e della trasparenza, ai sensi del novellato art. 37 cod. nav., è tenuta ad indire una procedura selettiva e a dare prevalenza alla proposta di gestione privata del bene che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e risponda a un più rilevante interesse pubblico, anche sotto il profilo economico;– a fronte dell’intervenuta cessazione del rapporto concessorio, come sopra già evidenziato, il titolare del titolo concessorio in questione può vantare un mero interesse di fatto a che l’amministrazione proceda ad una nuova concessione in suo favore e non già una situazione qualificata in qualità di concessionario uscente, con conseguente inconfigurabilità di alcun obbligo di proroga ex lege o motivazionale dell’amministrazione;– ne deriva che l’operatività delle proroghe disposte dal legislatore nazionale non può che essere esclusa in ossequio alla pronuncia del 2016 del giudice euro-unitario, comportante la disapplicazione dell’art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009 e dell’art. 34 duodecies, d.l. 179/2012, di talché la proroga legale delle concessioni demaniali in assenza di gara non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento, come del resto la giurisprudenza nazionale ha in più occasioni già riconosciuto (cfr., per tutte e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 27 febbraio 2019 n. 1368).Del resto, più volte il Consiglio di Stato ha sancito in via generale l’illegittimità di una normativa sulle proroghe ex lege della scadenza di concessioni demaniali, perché equivalenti a un rinnovo automatico di per sé ostativo a una procedura selettiva. Inoltre, già decisioni precedenti della CGUE avevano affermato l’illegittimità di leggi regionali contemplanti, a talune condizioni, la proroga automatica delle concessioni del demanio marittimo al già titolare, evidenziando che proroga e rinnovo automatico, determinando una disparità di trattamento tra operatori economici mediante preclusioni o ostacoli alla gestione dei beni demaniali oggetto di concessione, violano in generale i principi del diritto comunitario su libertà di stabilimento e tutela della concorrenza.In conclusione, alla luce del prevalente indirizzo giurisprudenziale, non è in alcun modo riscontrabile una proroga automatica ex lege di una concessione demaniale marittima.Ciò significa che anche la più recente proroga legislativa automatica delle concessioni demaniali in essere fino al 2033, provocata dall’articolo unico, comma 683, l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021) che così testualmente recita: “Al fine di garantire la tutela e la custodia delle coste italiane affidate in concessione, quali risorse turistiche fondamentali del Paese, e tutelare l’occupazione e il reddito delle imprese in grave crisi per i danni subiti dai cambiamenti climatici e dai conseguenti eventi calamitosi straordinari, le concessioni di cui al comma 682, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, nonché quelle rilasciate successivamente a tale data a seguito di una procedura amministrativa attivata anteriormente al 31 dicembre 2009 e per le quali il rilascio è avvenuto nel rispetto dell’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 1952, n. 328, o il rinnovo è avvenuto nel rispetto dell’articolo 02 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, hanno una durata, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge, di anni quindici. Al termine del predetto periodo, le disposizioni adottate con il decreto di cui al comma 677 rappresentano lo strumento per individuare le migliori procedure da adottare per ogni singola gestione del bene demaniale” – è coinvolta, con le conseguenze del caso, nel ragionamento giuridico sopra esposto e ciò, non solo perché detta disposizione rievoca norme nazionali già dichiarate in contrasto con l’ordinamento euro-unitario dalla corte di giustizia nel 2016 (determinando una giuridicamente

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improbabile reviviscenza delle stesse) ma, a maggior ragione, dopo il recente intervento della Corte di giustizia UE che, nella sentenza 30 gennaio 2018, causa C-360/15 Visser, ha esteso addirittura la platea dei soggetti coinvolti dalla opportunità di pretendere l’assegnazione della concessione demaniale solo all’esito dello svolgimento di una procedura selettiva» (cfr., in senso adesivo, TAR Veneto, Venezia, sez. I, 3 marzo 2020, n. 218).10.3. La disapplicabilità dell’art. 1, comma 682, della l. n. 145/2018 è stata di recente propugnata anche dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella segnalazione AS1684 del 1° luglio 2020 nel parere AS1701 del 4 agosto 2020, ove ha stigmatizzato il contrasto dei provvedimenti amministrativi avallanti la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo con gli artt. 49 e 56 del TFUE, in quanto suscettibile di limitare ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno, nonché con le disposizioni normative euro-unitarie in materia di affidamenti pubblici, con particolare riferimento all’art. 12 della direttiva 2006/123/CE: «… è nell’interesse del mercato – recita il menzionato parere AS1701 del 4 agosto 2020 – effettuare un attento bilanciamento tra i benefici di breve periodo e i possibili costi che si potrebbero manifestare in un orizzonte temporale più ampio. La concessione di proroghe in favore dei precedenti concessionari, infatti, rinvia ulteriormente il confronto competitivo per il mercato, così impedendo di cogliere i benefici che deriverebbero dalla periodica concorrenza per l’affidamento attraverso procedure ad evidenza pubblica. Quindi, eventuali proroghe degli affidamenti non dovrebbero comunque eccedere le reali esigenze delle amministrazioni, per consentire quanto prima l’allocazione efficiente delle risorse pubbliche mediante procedure competitive. Di conseguenza, l’Autorità ritiene che, per le ragioni sopra esposte, codesto Comune avrebbe dovuto disapplicare la normativa posta a fondamento della determina dirigenziale … per contrarietà della stessa ai principi e alla disciplina euro-unitaria sopra richiamata. Le disposizioni relative alla proroga delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative contenute nel provvedimento amministrativo, integrano, infatti, specifiche violazioni dei principi concorrenziali nella misura in cui impediscono il confronto competitivo che dovrebbe essere garantito in sede di affidamento di servizi incidenti su risorse demaniali di carattere scarso, in un contesto di mercato nel quale le dinamiche concorrenziali sono già particolarmente affievolite a causa della lunga durata delle concessioni attualmente in essere».

11. In conclusione, essendosene acclarata la fondatezza quanto all’impugnazione del PAU n. 198/2020, laddove l’efficacia di quest’ultimo viene subordinata al rilascio di successivo permesso di costruire, e quanto all’impugnazione del provvedimento del 17.4.2020 prot. n. 7325, laddove viene irrogata la sanzione pecuniaria ex art. 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001, il ricorso deve essere accolto limitatamente a tali profili, con conseguente annullamento in parte qua dei provvedimenti anzidetti, mentre, stante la sua ravvisata infondatezza quanto all’impugnazione del provvedimento del 17.4.2020 prot. n. 7325, laddove viene limitata al 31.12.2020 la durata della rilasciata concessione demaniale marittima n. 2, il ricorso va respinto con riguardo a tale profilo.

12.La reciproca soccombenza giustifica la declaratoria di irripetibilità delle spese di lite nei confronti del non costituito Comune di Camerota.

P.Q.M.Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla in parte qua il provvedimento

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autorizzativo unico (PAU) del 13.1.2020 prot. n. 198 ed provvedimento del 17.4.2020 prot. n. 7325, mentre lo respinge per il resto.Spese irripetibili.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2020, svoltasi tramite collegamento telematico da remoto, ai sensi dell’art. 84, comma 6, del d.l. n. 18/2020, con l’intervento dei magistrati:Nicola Durante, PresidenteOlindo Di Popolo, Consigliere, EstensoreIgor Nobile, Referendario

L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE

Olindo Di Popolo   Nicola Durante

IL SEGRETARIO  Pubblicato il 28/01/20211. 00136/2021 REG.PROV.COLL.2. 01699/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana(Sezione Terza)ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 1699 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto daRiva dei Cavalleggeri s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Golini e Liberto Losa, con domicilio eletto presso lo studio Paolo Golini in Firenze, via Gino Capponi 26 e domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;controComune di San Vincenzo, rappresentato e difeso dall’avvocato Renzo Grassi, con domicilio eletto presso lo studio Luca Capecchi in Firenze, via Giorgio La Pira, 17 e domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;per l’annullamentodella deliberazione del Consiglio Comunale n. 54 del 26.6.2015, recante ad oggetto “Approvazione Piano di alienazione beni comunali. Atto di indirizzo sugli interventi di valorizzazione” in parte qua limitatamente alla parte del dispositivo così configurata: “Di formulare altresì i seguenti indirizzi per la valorizzazione delle altre aree comunali:…d) di valorizzazione le altre aree che, già in passato, sono state oggetto di affidamento in concessione di gestione, ricordate in premessa quali… l’area boscata a mare antistante il villaggio Garden Club …predisponendo appositi bandi pubblici per l’affidamento in concessione, per un periodo non superiore a 10 anni, che prevedano il mantenimento all’uso pubblico indifferenziato di tali aree, interventi di valorizzazione delle dotazioni di attrezzature di uso pubblico, l’ammodernamento delle strutture esistenti e canoni di gestione annuali commisurati con l’importanza economica delle attività previste. Stante l’ormai già avviata stagione turistica, ad approvazione del presente atto, e nelle more

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della pubblicazione dei relativi bandi pubblici, potranno essere paragonate per la stagione 2015, le concessioni recentemente scadute, previa determinazione dei canoni”;e per l’annullamento degli atti connessi, compresa la deliberazione di Giunta Comunale n. 158 del 16.6.2015, recante ad oggetto “Adozione Piano di Alienazione beni comunali – Atto di indirizzo sugli interventi di valorizzazione”, in parte qua limitatamente alle previsioni riguardanti “l’area boscata a mare antistante il villaggio Garden Club”;nonché per l’annullamento, chiesto con motivi aggiunti depositati in giudizio il 24.3.2016, della deliberazione consiliare n. 8 dell’8.1.2016 e del provvedimento datato 20.1.2016, col quale il Comune di San Vincenzo ha respinto la domanda di rinnovo o proroga della concessione di cui al rogito del 28.3.1990. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di San Vincenzo;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2021 il dott. Gianluca Bellucci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTORiva dei Cavalleggeri s.r.l. è proprietaria del complesso immobiliare alberghiero “Garden Club Toscana”, tra via della Principessa e la ferrovia nel territorio del Comune di San Vincenzo; gli ospiti del Garden Club, per raggiungere la spiaggia, devono attraversare un sottopasso stradale di via della Principessa e un sentiero interno ad un lecceto; in prossimità della fine del lecceto, vicino alla spiaggia, sono stati installati dalla ricorrente tre capanni in legno, destinati a servizi igienici, bar e attrezzature di cucina a supporto di un piccolo ristorante all’aperto.L’area in cui si trovano i suddetti manufatti era stata affidata in concessione dal Comune a Riva dei Cavalleggeri s.r.l. in forza di atto del 28.3.1990, con il quale era riconosciuto un uso delle aree complementare rispetto al centro turistico ricettivo e le parti perseguivano il dichiarato scopo di conseguire, mediante il corrispettivo della concessione, risorse economiche utili alla sistemazione del Parco comunale di Rimigliano e di consentire alla concessionaria la realizzazione di interventi di salvaguardia della vegetazione e dei valori ambientali presenti. Tale concessione è scaduta in data 28.3.2015.La convenzione accessoria alla concessione è stata integrata con atto del 6.5.1992, con il quale si dava atto che il Consiglio comunale aveva autorizzato il rilascio di concessioni edilizie in deroga (per intervento di interesse pubblico) alla società Riva dei Cavalleggeri per la realizzazione dei suddetti manufatti, in quanto la stessa aveva segnalato che la mancanza dei punti di servizio a mare avrebbe reso impossibile l’apertura del villaggio turistico, prevista per il 23.5.1992. Nell’atto integrativo i manufatti erano qualificati come strutture di servizio di interesse pubblico su area pubblica data temporaneamente in concessione, ed era presente la clausola di loro rimozione qualora non si addivenisse, entro 24 mesi, all’approvazione del piano dei servizi.La ricorrente, il giorno 13.2.2015, ha presentato istanza di rinnovo della concessione per uguale periodo e, in subordine, di proroga per 15 anni.Il Consiglio comunale del Comune di San Vincenzo, con deliberazione n. 54 del 26.6.2015, ha approvato il piano di alienazione dei beni comunali per 6 immobili, diversi da quello di interesse della società istante, ed ha dettato indirizzi per la valorizzazione delle altre aree comunali, tra le quali l’area boscata a mare antistante il villaggio Garden Club, stabilendo la necessità di predisporre bandi per affidamento in concessione per un periodo non

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superiore a 10 anni, tali da prevedere il mantenimento dell’uso pubblico, la valorizzazione delle dotazioni delle attrezzature di uso pubblico, l’ammodernamento delle strutture esistenti e canoni annuali commisurati all’importanza economica delle attività previste, con proroga per la stagione 2015 delle concessioni recentemente scadute, previa rideterminazione dei canoni.Avverso la suddetta deliberazione la ricorrente è insorta deducendo:1) Violazione del principio di buon andamento della P.A. ex art. 97 della Costituzione, violazione degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per violazione dei principi del giusto procedimento, difetto di istruttoria, difetto di motivazione e illogicità manifesta.L’art. 3 della concessione originaria prefigurava il rinnovo in caso di persistenza delle ragioni di pubblico interesse e in assenza di contenzioso tra le parti, e in base a tale norma l’interessata ha presentato richiesta di rinnovo sulla quale il Comune avrebbe dovuto emettere un provvedimento motivato. Se l’Amministrazione avesse condotto un’adeguata istruttoria, si sarebbe avveduta della necessità di pronunciarsi sull’istanza e della pregiudizialità della decisione sulla domanda di rinnovo rispetto alla scelta di emanare un bando pubblico per l’affidamento in concessione dell’area. Inoltre, manca la motivazione circa la scelta di emanare un bando e disattendere la domanda di rinnovo.2) Violazione del principio di buon andamento della P.A. ex art. 97 della Costituzione, violazione degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà e illogicità manifesta.La scelta del bando non tiene conto della convenzione stipulata il 28.3.1990, la quale riconosceva la complementarietà dell’area rispetto al vicino centro turistico ricettivo, complementarietà ribadita nell’atto integrativo del 6.5.1992, individuante le caratteristiche dei tre piccoli capannoni (PS1, PS2 e PS3) destinati a fornire i servizi a mare dell’albergo Garden Club Toscana. L’atto impugnato è in contraddizione con la riconosciuta esigenza dell’uso complementare, la quale ha determinato l’autorizzazione in deroga a realizzare tre capanni funzionali ai servizi a mare della struttura alberghiera, e con l’art. 3 della originaria convenzione, il quale condizionava il rinnovo alla persistenza delle ragioni di pubblico interesse e alla mancata insorgenza di controversie tra le parti, presupposti tuttora sussistenti, in quanto non sono mutate né le esigenze di salvaguardia della vegetazione e dei valori ambientali, enunciate nel punto 1.7 delle premesse della convenzione medesima, né la necessità dell’uso complementare delle aree, addotta nel successivo punto 2.3.3) Violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per violazione del giusto procedimento.La ricorrente, controinteressata nel procedimento di approvazione del bando, non è stata destinataria di alcuna comunicazione di avvio del procedimento.In pendenza del gravame il Comune di San Vincenzo, con determinazione del 20.1.2016, ha respinto l’istanza di rinnovo o proroga della concessione, opponendo il principio generale del ricorso alla gara pubblica, alla quale può partecipare anche l’ex concessionaria, e richiamando la deliberazione n. 8 dell’8.1.2016, con la quale il Consiglio Comunale dava atto che nel 2016 sarebbero state ultimate le procedure di alienazione e valorizzazione degli immobili inseriti nei piani 2014 e 2015 e non ancora definite. Il diniego era inoltre motivato precisando che la pronuncia sulla domanda di proroga era contenuta nella deliberazione consiliare n. 54 del 28.6.2015.In data 30.12.2015 è stato ceduto a Erredici s.r.l. il ramo d’azienda riguardante il complesso turistico Garden Club.

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Avverso il diniego di rinnovo della concessione e la predetta deliberazione Riva dei Cavalleggeri s.r.l. e Erredici s.r.l. sono insorte con motivi aggiunti depositati in giudizio il 24.3.2016, deducendo:1) Quanto alla deliberazione consiliare n. 8 dell’8.1.2016: illegittimità derivata dalla deliberazione consiliare n. 54/2015.2) Quanto al diniego di rinnovo: illegittimità derivata dalle deliberazioni consiliari n. 54/2015 e n. 8/2016 e illegittimità per i seguenti vizi propri:1. I) Violazione dell’art. 42 del d.lgs. n. 267/2000; incompetenza; eccesso di potere per

contraddittorietà rispetto all’art. 3 della convenzione rep. N. 100/1990; contraddittorietà intrinseca.

Ai sensi dell’art. 42 del d.lgs. n. 267/2000 e dell’art. 3 della convenzione, competente a decidere sulla richiesta di rinnovo o proroga della concessione dell’area è il Consiglio comunale, mentre invece nel caso in esame il diniego di rinnovo è stato deciso dal dirigente.1. II) Violazione del principio di buon andamento della P.A. ex art. 97 della Costituzione,

violazione degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per travisamento, difetto dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà e illogicità manifesta.

La deliberazione n. 54/2015 non esprime una valutazione sfavorevole circa l’interesse pubblico al rinnovo concessorio ma ignora l’istanza della deducente, nemmeno menzionata, e quindi non può costituire l’atto conclusivo del procedimento. Nessuna delle due deliberazioni assunte dal Consiglio comunale reca un riferimento alla domanda di rinnovo.III) Violazione del principio di buon andamento della P.A. ex art. 97 della Costituzione, violazione degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990; violazione della convenzione rep. n. 100/1990; eccesso di potere per travisamento, difetto dei presupposti, di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà e illogicità manifesta.Il rigetto dell’istanza non trova valida motivazione nell’impugnato diniego del 20.1.2016, incentrato sulla regola dell’affidamento mediante gara, trattandosi di rinnovo richiesto prima della scadenza della concessione e conforme alle clausole della convenzione accessoria alla concessione stessa. Il principio della gara pubblica trova un limite nel contenuto della concessione stipulata e scaduta, la quale prevede il rinnovo (art. 3). Le ragioni di pubblico interesse enunciate nel punto 1.7 della premessa della convenzione (conseguire un corrispettivo economico utile a finanziare le spese di sistemazione del parco e consentire alla concessionaria la salvaguardia delle presenze arboree e dei valori ambientali) e la valutazione di opportunità di consentire un uso delle aree complementare al centro turistico rappresentano esigenze ancora attuali, tanto più che i capanni esistenti sulle superfici in concessione sono punti di appoggio a mare indispensabili per l’attività alberghiera (sussiste la duplice condizione dell’interesse pubblico e della mancanza di contenzioso che giustifica, ai sensi dell’art. 3 della convenzione, il rinnovo).1. IV) Violazione del principio di buon andamento della P.A. ex art. 97 della Costituzione,

violazione degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990 e della convenzione rep. n. 100/1990; eccesso di potere per travisamento, difetto dei presupposti, di istruttoria, di motivazione, contraddittorietà e illogicità manifesta.

Il Comune ha omesso di considerare il punto 2.3 delle premesse della convenzione del 28.3.1990, laddove si evidenzia che “la scelta del concessionario risulta altresì opportuna consentendo un uso delle aree complementare rispetto al centro turistico ricettivo”, il quale necessita di punti di appoggio a mare (chioschi per bar ristorante all’aperto e servizi igienici). Inoltre, la decisione doveva essere presa solo dopo avere valutato gli effetti del

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diniego sull’attività di un albergo con capienza di mille posti, rispetto alla quale attività era stata dichiarata la complementarietà dell’area.

2012. V) Violazione dell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009 e dell’art. 34 duodecies del d.l. n. 179/2012.

L’impugnato diniego contrasta con la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere alla data del 31.12.2009, ai sensi dell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009, come modificato dall’art. 34 duodecies, comma 1, del d.l. n. 179/2012 (i punti a mare in questione rientrano tra gli stabilimenti balneari, pur non essendo collocati sulla spiaggia).Si è costituito in giudizio il Comune di San Vincenzo.All’udienza del 14 gennaio 2021 la causa è stata posta in decisione.DIRITTO1. Con la prima censura la ricorrente deduce che il Comune ha omesso di pronunciarsi

sulla domanda di rinnovo della concessione dell’area, la cui decisione era pregiudiziale rispetto alla scelta del bando pubblico, e non ha motivato circa la decisione di emanare il bando e disattendere l’istanza di rinnovo.

La doglianza è infondata.L’Amministrazione, in base all’art. 3 della convezione del 1990 relativa alla concessione, aveva la facoltà di procedere o meno al rinnovo, senza nessun vincolo decisionale al riguardo: il presupposto configurato nella norma pattizia ai fini del rinnovo (esistenza di ragioni di pubblico interesse e assenza di controversie tra le parti circa il pregresso utilizzo degli immobili) era abbinato dalla norma pattizia alla possibilità per il Consiglio Comunale di decidere il rinnovo (“…la concessione può essere rinnovata con atto deliberativo del Consiglio Comunale per un periodo non superiore al precedente”).Infatti la scadenza della concessione di beni pubblici restituisce all’Amministrazione concedente i pieni poteri di godimento e di disposizione sui beni medesimi, fermo restando l’imprescindibile perseguimento dell’interesse pubblico, necessario a giustificare la scelta di procedere al rinnovo oppure la scelta di provvedere diversamente.L’impugnata deliberazione consiliare si pone in linea sia con l’obbligo del perseguimento dell’interesse pubblico sia con l’obbligo di darne contezza nella motivazione, in quanto esplicita l’obiettivo della valorizzazione delle dotazioni esistenti e di beneficiare di canoni proporzionati all’importanza economica delle attività previste.In tale contesto la domanda di rinnovo è stata implicitamente respinta, in quanto la decisione di indire una gara per l’affidamento in concessione delle aree, pienamente conforme ai principi di concorrenzialità di derivazione comunitaria e rispondente ai criteri di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 della Costituzione, è incompatibile con l’affidamento mediante rinnovo delle concessioni scadute o in scadenza.Pertanto da un lato la contestata deliberazione è debitamente motivata (la scelta di procedere mediante gara pubblica e il connesso, dichiarato obiettivo di valorizzare le dotazioni esistenti, di ammodernare le strutture e di introitare canoni più elevati, maggiormente in linea con i valori di mercato, giustificano l’implicito diniego di rinnovo), dall’altro la decisione di non riaffidare la concessione alla ricorrente risponde ai principi generali di valorizzazione del patrimonio pubblico, i quali escludono che sussista, a favore del concessionario di un bene pubblico, il diritto di insistenza, incompatibile con i principi comunitari di parità di trattamento, eguaglianza, non discriminazione, adeguata pubblicità e trasparenza e col principio costituzionale di buon andamento ex art. 97 della Costituzione. Vige infatti il principio di concorsualità tra gli aspiranti all’utilizzazione economica delle risorse, al quale fanno da corollario i principi di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza.

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L’impugnata deliberazione è infatti riferita a risorse naturali scarse ed economicamente sfruttabili per attività imprenditoriali, possibili occasioni di guadagno per tutti gli operatori del mercato di riferimento (e non solo per il titolare della concessione in scadenza): “un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, che trae origine dai principi di concorrenzialità di derivazione eurounitaria, impone che le concessioni demaniali o comunque relative al patrimonio pubblico, in quanto concernenti beni economicamente contendibili, siano affidate mediante procedura di gara” (Cons. Stato, A.P. 25/2/2013, n. 5; Sez. V, 23/11/2016, n. 4911 e 5/12/2014, n. 6029; Sez. VI 31/1/2017 n. 394; 4/4/2011 n. 2097; 30/10/2010 n. 7239 e 17/2/2009, n. 902, in veda anche Corte Giust. UE, Sez. V, 14/7/2016, in C-458/14, che ha ritenuto contraria al diritto dell’Unione la proroga automatica delle suddette concessioni –Cons. Stato, V, 11.6.2018, n. 3588-).Peraltro, alla gara che sarà indetta dal Comune potrà partecipare anche la ricorrente, che quindi, nonostante il mancato accoglimento della sua istanza, non è esclusa a priori dalla possibilità di vedersi affidato l’uso dell’area in questione.

2. La seconda censura si incentra sulla complementarietà dell’area già oggetto di concessione rispetto al vicino centro turistico ricettivo, complementarietà risultante dalla convenzione del 28.3.1990, dall’atto integrativo del 6.5.1992 e dalla concessione edilizia in deroga rilasciata per la realizzazione di 3 capanni nell’area stessa. La ricorrente evidenzia che non sono mutate le esigenze di salvaguardia della vegetazione e dei valori ambientali e la necessità dell’uso complementare dell’area, enunciate nella convenzione accessoria alla concessione del bene.

Il mezzo non può essere accolto.L’esigenza sottesa al rilascio della concessione edilizia in deroga si riferisce alla fase iniziale di avviamento della struttura alberghiera, e comunque le sue motivazioni non possono costituire la ragione di un vincolo permanente o di un sostanziale asservimento dell’area alla struttura stessa.In ogni caso, come risulta dai documenti depositati in giudizio (oltre che dal sito web del Garden Club Toscana), il centro turistico ricettivo in questione ha proprie strutture attrattive per i suoi ospiti (ad esempio piscina, teatro, campi da tennis, centro benessere, campo di calcetto) e, tramite sottopasso e sentiero attraversante il lecceto, consente di raggiungere a piedi la spiaggia in pochi minuti partendo dalla zona bar/piscina o campi da tennis e in qualche minuto in più partendo dagli alloggi più lontani dalla spiaggia. I tre capanni insistenti sull’area oggetto della concessione scaduta rendono certamente più gradevole il soggiorno degli ospiti, ma non si configurano attualmente come necessari o imprescindibili ai fini di una remunerativa attività del centro turistico ricettivo, il quale ha comunque un suo agevole collegamento con la spiaggia provvista di sdrai e ombrelloni (indicata nel sito web del Garden Club come distante circa 400 metri) e comprende varie strutture proprie per il tempo libero, come la piscina, i campi da tennis, il centro benessere, la piccola pineta vicina agli alloggi, ecc..3. Con la terza doglianza l’esponente lamenta la mancata comunicazione di avvio del

procedimento.Il rilievo non ha pregio.Una volta scaduta la concessione, l’ex concessionaria non costituisce parte controinteressata, talché il Comune non è tenuto a comunicare l’avvio del procedimento di adozione di atti relativi all’uso del bene oggetto della concessione scaduta. Inoltre, la gravata deliberazione consiliare prevede l’adozione di appositi bandi pubblici, i quali configurano atti generali che, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 241/1990, non soggiacciono alla normativa che impone la comunicazione di avvio del procedimento.

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4. Parimenti infondate sono le prime due censure dedotte con i motivi aggiunti, incentrate sull’illegittimità derivata.

Valgono sul punto le argomentazioni espresse nella trattazione del ricorso principale.5. Con la prima censura aggiunta riguardante i vizi propri del diniego di rinnovo, la

società istante deduce che la competenza a pronunciarsi sulla domanda di rinnovo della concessione fa capo al Consiglio Comunale, mentre invece l’impugnato diniego promana dal dirigente.

La doglianza non ha pregio.Il dirigente, con l’impugnato diniego di rinnovo, si limita a dare atto che la risposta alla domanda di rinnovo o proroga della concessione era insita nella deliberazione del Consiglio Comunale n. 54 del 26.6.2015, il quale come visto ha assunto una decisione incompatibile col rinnovo concessorio e, quindi, ha espresso un implicito rigetto dell’istanza della ricorrente.6. Con la seconda censura aggiunta l’esponente deduce che il Comune ha ignorato

l’istanza, mancando nelle sue deliberazioni un qualsivoglia riferimento alla domanda di rinnovo.

La censura non ha pregio.Il Comune ha espresso una scelta incompatibile con il rinnovo o con la proroga della concessione. Una volta scaduta la concessione, nessun vincolo può provenire dalla domanda di rinnovo, valendo soltanto il presupposto della piena disponibilità dell’area da parte dell’Ente pubblico e il principio fondamentale dell’affidamento mediante pubblica selezione, funzionale anche all’ottenimento di un canone effettivamente proporzionato al valore d’uso dell’area da cedere in concessione.7. Con la terza censura aggiunta la società istante sostiene che il principio della gara

pubblica trova un limite nel contenuto della concessione stipulata e scaduta (in particolare, nelle ragioni di pubblico interesse e di opportunità, tuttora persistenti, enunciate nella relativa convenzione).

Il rilievo non può essere accolto.La finalità di conseguire un corrispettivo economico utile a finanziare la manutenzione del parco e la finalità di consentire alla concessionaria la salvaguardia delle presenze arboree e dei valori ambientali hanno giustificato l’affidamento in concessione ma non vincolano al rinnovo. E’ vero che l’art. 3 della convenzione del 1990 ammette il rinnovo in caso di persistenti ragioni di pubblico interesse e in assenza di contenzioso tra le parti, ma è altrettanto vero che la norma pattizia rimette alla facoltà del Comune tale scelta, la quale è frutto di apprezzamento discrezionale, che può come nel caso in esame legittimamente concludersi col giudizio di preponderanza dell’interesse pubblico sotteso all’indizione di gara pubblica, tanto più che l’affidamento della concessione mediante selezione pubblica risponde ai principi fondamentali di parità di trattamento rispetto ad altri soggetti potenzialmente interessati all’utilizzo del bene, non discriminazione e trasparenza.Né risulta ostativo il già riconosciuto valore complementare dell’area in concessione rispetto al centro turistico ricettivo (valgono sul punto le considerazioni espresse nella trattazione della seconda censura in cui si articola il ricorso principale).

8. Con la quarta censura aggiunta la ricorrente lamenta che il Comune ha omesso sia di considerare il punto 2.3 delle premesse della convenzione del 28.3.1990 (“la scelta del concessionario risulta…opportuna consentendo un uso delle aree complementare rispetto al centro turistico ricettivo”, il quale necessita di punti di appoggio a mare) sia di valutare gli effetti del diniego sull’attività dell’albergo.

La doglianza non ha pregio.

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Vale sul punto il giudizio espresso nella trattazione della precedente censura e nei primi due motivi del ricorso introduttivo. Vale inoltre la considerazione generale secondo cui l’aspettativa del concessionario al rinnovo del rapporto non può configurare una sorta di diritto di insistenza del concessionario stesso, perché il rinnovo equivale ad un nuovo affidamento e, come è noto, ogni nuovo affidamento deve svolgersi mediante gara pubblica.9. Con la quinta censura aggiunta la società istante sostiene che l’impugnato diniego

contrasta con la proroga automatica ex lege riguardante le concessioni esistenti alla data del 31.12.2009, con conseguente violazione dell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009 e dell’art. 34 duodecies, comma 1, del d.l. n. 179/2012.

La doglianza è infondata.Premesso che gli atti impugnati riguardano una risorsa naturale scarsa, rispetto alla quale il numero di autorizzazioni disponibili è necessariamente limitato, la fattispecie non si sottrae all’applicazione dell’art. 12 della direttiva dell’Unione europea n. 2006/123 e l’operatività delle proroghe disposte dal legislatore nazionale non può che essere esclusa in ossequio alla pronuncia del giudice eurounitario (Corte di Giustizia, 14.7.2016, cause C-458/2014 e C-67/2015) comportante la disapplicazione dell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009 e dell’art. 34-duodecies del d.l. n. 179/2012: in altri termini, la proroga legale delle concessioni demaniali in assenza di gara non può avere cittadinanza nell’ordinamento nazionale, come del resto la giurisprudenza ha più volte precisato (Cons. Stato, sez. V, 27 febbraio 2019, n. 1368; id., 28 febbraio 2018, n. 1219; T.A.R. Toscana, sez. III, 21 maggio 2019, n. 750; Cass. pen., III, 6.3.2019, n. 25993).10. In conclusione, il ricorso ed i motivi aggiunti devono essere respinti.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo.P.Q.M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso ed i motivi aggiunti.Condanna la ricorrente a corrispondere al Comune di San Vincenzo la somma di euro 5.000 (cinquemila) oltre accessori di legge, a titolo di spese di giudizio.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in video conferenza secondo quanto disposto dall’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e dall’art. 4 del d.l. 28/2020, con l’intervento dei magistrati:Gianluca Bellucci, Presidente FF, EstensorePierpaolo Grauso, ConsigliereSilvia De Felice, Referendario

IL PRESIDENTE, ESTENSORE    

Gianluca Bellucci    IL SEGRETARIO  Pubblicato il 15/01/20211. 00071/2021 REG.PROV.COLL.

(In termini analoghi nn.: 165, 164, 161, 160, 156, 155, 75, 74, 73, 72)

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1. 01563/2020 REG.RIC.REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per la PugliaLecce – Sezione Primaha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 1563 del 2020, proposto daLucia Calabrese, rappresentato e difeso dall’avvocato Leonardo Maruotti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;controComune di Lecce, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Laura Astuto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via Rubichi 16;e con l’intervento diad adiuvandum:Federazione Imprese Demaniali, rappresentato e difeso dagli avvocati Federico Massa, Francesco G Romano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;per l’annullamento1. a) dell’atto del Comune di Lecce prot. n. 138980 del 23 novembre 2020;2. b) dell’atto del Comune di Lecce prot. n. 141580 del 27 novembre 2020;3. c) dell’atto del Comune di Lecce prot. n. 151945 del 17 dicembre 2020 ;4. d) nei limiti dell’interesse, della Deliberazione della Giunta comunale di Lecce n. 342

dell’11 novembre 2020;5. e) nei limiti dell’interesse, del permesso di costruire prot. n. 115158 del 27 luglio

2017, rilasciato dal Comune di Lecce, nella parte in cui indica come termine di validità il 31 dicembre 2020;

– di ogni altro atto ad esso presupposto, consequenziale o comunque connesso, ancorché non conosciuto, in quanto lesivo;nonché per l’accertamento del diritto della ricorrente:1. f) ad ottenere il formale rilascio del titolo demaniale;2. g) a mantenere montate le strutture facilmente amovibili assentite dai titoli edilizi,

fintantoché è titolare della concessione demaniale marittima n. 1 del 29 aprile 2008 o, in ogni caso, fintantoché è legittimata ad utilizzare l’area demaniale di cui alla citata c.d.m.

 Visti il ricorso e i relativi allegati;Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Lecce;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2021 il dott. Antonio Pasca e presenti per le parti i difensori come da verbale;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTOLa ricorrente, titolare di concessione demaniale marittima, esercita l’attività di stabilimento balneare in Lecce, località San Cataldo.In vista della scadenza del titolo concessorio alla data del 31.12.2020, la ricorrente ha proposto istanza al Comune di Lecce al fine di conseguire la proroga fino al 31.12.2033 ex art. 1 co. 682 della legge 145/18.

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Con l’impugnata delibera G.M. 342 dell’11.11.2020 il Comune di Lecce ha deliberato di esprimere diniego sull’istanza di proroga ex legge 145/18 e di rivolgere formale interpello al concessionario al fine di conoscere se lo stesso intenda avvalersi della facoltà di prosecuzione dell’attività ex art. 182 del DL 34/2020 convertito con legge 77/2020, con contestuale pagamento del canone per l’anno 2021 ovvero, in via alternativa, di non avvalersi di tale facoltà e di accettare una proroga tecnica della concessione per la durata di anni tre.Con tale delibera, in particolare, il Comune di Lecce ha previsto:1. che, nel caso di scelta per la prima opzione, la proroga annuale risulterebbe limitata al

titolo concessorio, con esclusione pertanto degli aspetti edilizi, attesa la scadenza di quelli in essere alla data del 31.12.2020, ponendosi a carico del concessionario l’obbligo di effettuare monitoraggio delle aree demaniali nei modi e nei tempi previsti dall’art. 17 NTA annesse al PCC in via di approvazione.

2. che, nel caso di scelta per la seconda opzione, la proroga tecnica triennale comporterebbe anche il rilascio del titolo edilizio per uguale periodo, il tutto subordinato tuttavia alla formale dichiarazione di rinuncia all’utilizzazione dell’area alla scadenza e fermo restando l’obbligo del monitoraggio dell’erosione dell’area demaniale.

Alla delibera di cui trattasi facevano seguito i provvedimenti dirigenziali con cui veniva respinta l’istanza di proroga e l’istanza di annullamento in autotutela della delibera medesima.La parte ricorrente, non avendo espresso preferenza per alcuna delle due opzioni offerte dal comune e ritenendo di avere diritto alla proroga della concessione fino al 2033 ex lege 145/18, ha proposto il ricorso in esame impugnando la delibera G.M succitata, nonché i provvedimenti dirigenziali conseguenti, chiedendone l’annullamento in una con la domanda di accertamento del diritto al conseguimento della proroga del titolo, deducendo i motivi di censura, che – per la comunanza delle questioni proposte – possono sinteticamente rappresentarsi come segue:1.2, 3.: violazione dell’art.1 co. 682 e ss L. 145/18 e dell’art. 182 co. 2 L. 77/2020, nonché eccesso di potere per erronea presupposizione in diritto, difetto di motivazione e di istruttoria;

4. 5.: violazione dell’art. 3 L. 241/90, violazione dell’art. 12 paragrafi 1 e 2 della direttiva 2006/123/CE del 12.12.2006, nonché violazione dell’art. 49 del T.F.U.E., nonché violazione del legittimo affidamento;

6.: violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, in particolare con riferimento alla mancata previsione di proroga anche dei titoli edilizi nel caso di scelta per l’opzione n. 1;7.: violazione L. 241/90 per omessa comunicazione del preavviso di rigetto ex art. 10 bis.La ricorrente ha chiesto altresì l’accertamento del diritto al rilascio della proroga, nonché l’accertamento del diritto al mantenimento delle strutture di facile amovibilità.Si è costituito in giudizio il Comune di Lecce contestando le avverse deduzioni e chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso ovvero, in subordine, pervenirsi alla reiezione dello stesso; in sede di memoria conclusiva il Comune di Lecce ha eccepito altresì l’inammissibilità dell’atto di intervento ad adiuvandum.La Federazione Imprese Balneari ha spiegato atto di intervento ad adiuvandum, chiedendo l’accoglimento del ricorso, con vittoria i spese di lite.Con decreto presidenziale n. 805/2020 è stata accordata tutela cautelare monocratica alla parte ricorrente.

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Alla camera di consiglio del 13 gennaio 2021, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, il Presidente ha reso edotte le parti dell’intendimento del Collegio di definire il ricorso nel merito con sentenza ex art. 60 c.p.a.In esito all’orale discussione mediante collegamento da remoto il ricorso è stato introitato per la decisione.DIRITTOI.ECCEZIONI PRELIMINARI IN RITO. INTERVENTO AD ADIUVANDUM.Occorre preliminarmente esaminare le eccezioni in rito sollevate dalla difesa dell’Amministrazione, che eccepisce anzitutto l’inammissibilità della domanda di accertamento del diritto di ottenere la proroga della concessione fino al 31.12.2023 nonché l’inammissibilità della domanda di accertamento del diritto a mantenere montate le strutture facilmente amovibili assentiti dai titoli edilizi per il tempo di titolarità della concessione demaniale e comunque per il tempo di utilizzazione dell’area demaniale medesima.Rileva il collegio che occorre scindere le due domande di accertamento del diritto formulate dal ricorrente, atteso che l’accertamento del diritto al rilascio della proroga risulta domanda ammissibile in quanto, oltre che essere correlata ad una espressa previsione di legge in tal senso, risulta connessa all’azione di annullamento degli impugnati provvedimenti, con i quali tale diritto risulta negato; viceversa l’eccezione di inammissibilità appare fondata con riferimento all’accertamento del diritto al mantenimento delle strutture di facile amovibilità.Ed invero tale petitum risulta del tutto estraneo all’azione impugnatoria ed ai provvedimenti impugnati, in quanto il diritto al mantenimento delle strutture si riconnette ai contenuti del titolo edilizio e alle eventuali condizioni limitative ivi previste, dovendosi conseguentemente dichiarare l’inammissibilità di tale domanda perché estranea al contesto del presente giudizio.Va invece disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Amministrazione Comunale in relazione alla impugnazione della delibera GM n. 342/2020, atteso che – pur trattandosi di atto infraprocedimentale, risulta comunque atto presupposto dei provvedimenti successivi che ne hanno costituito la fase applicativa.Deve ritenersi fondata l’eccezione di inammissibilità dell’azione impugnatoria proposta nei limiti dell’interesse nei confronti del permesso di costruire risalente a luglio 2017, in ragione della evidente tardività.Deve infine essere respinta e disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’atto di intervento ad adiuvandum della Federazione Impresa Demaniali, atteso che la citata associazione risulta fornita di legittimazione ai fini che qui rilevano, come si evince anche dall’esame dello Statuto, depositato in atti in data 6.1.2021, attesa la coerenza dell’oggetto sociale e delle finalità perseguite a tutela della categoria.II.PREMESSA.Rileva preliminarmente il Collegio che il thema decidendi proposto in via principale dal ricorso in esame concerne in via diretta la legittimità o meno del provvedimento dirigenziale (attuativo di atti di indirizzo di G.M.) recante offerta di proroga tecnica triennale condizionata con contestuale diniego della proroga automatica delle concessioni demaniali prevista dall’art. 1 commi 682 e 683 della Legge finanziaria 2019 in relazione alle prescrizioni contenute nella direttiva servizi o c.d. direttiva Bolkestein,In via indiretta le questioni proposte investono invece il rapporto tra norma interna e norme euro-unionali, in particolare con specifico riferimento alle direttive c.d. autoesecutive e, quindi, si inseriscono nel contesto dei rapporti tra ordinamento interno e

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ordinamento dell’Unione europea, trascendendo i limitati confini della materia di riferimento, ovvero quello delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico ricreativo e dei punti di approdo delle unità da diporto.Il tema in questione è stato già affrontato da questo Tribunale in quanto oggetto, di tre precedenti sentenze di identico contenuto, tra cui – ad esempio – la sentenza n. 1321/2020.La citata sentenza, le cui conclusioni sono comunque pienamente condivise dal Collegio, proprio in ragione del suo percorso motivazionale e della novità delle questioni trattate, ha determinato inevitabili commenti e riflessioni in un senso e nell’altro.Le riflessioni ulteriori, scaturite anche dal dibattito sviluppatosi a seguito della pubblicazione delle sentenze di cui trattasi, inducono tuttavia il Collegio, nel confermare l’orientamento già espresso e le relative conclusioni, ad evidenziare alcuni ulteriori rilievi motivazionali relativi a questioni e presupposti che nella precedente richiamata decisione erano dati per scontati o comunque non esaurientemente esplicitati.In particolare il Collegio ritiene opportuno ulteriormente esplicitare le seguenti questioni:1. a) direttive autoesecutive e legge nazionale; primazia del diritto unionale ; legittimità

o meno della disapplicazione/violazione della legge nazionale;2. b) concetto di disapplicazione in generale: disapplicazione in senso assoluto e in senso

relativo;3. c) natura autoesecutiva o meno della direttiva servizi o cd. Bolkestein.

Il punto sub c) risulterebbe di per sé esaustivo sul piano motivazionale; e tuttavia proprio il citato precedente di questa Sezione impone alcune considerazioni e precisazioni al fine di evidenziarne la continuità logica con riferimento al punto sub a).Nella presente sentenza occorrerà peraltro di fatti e circostante sopravvenuti e richiamati nella motivazione dell’impugnato provvedimento, tra cui – in particolare – la richiesta di chiarimenti da parte della Commissione Europea allo Stato italiano e il probabile imminente avvio di procedura di infrazione, nonché infine le prospettive di risoluzione del problema con particolare riferimento alla idoneità o meno dei provvedimenti del tipo di quello impugnato ad assicurare esecuzione della normativa della Unione Europea e a costituire pertanto un esaustivo rimedio al paventato avvio della procedura di infrazione.Si ritiene pertanto di richiamare espressamente in questa sede la citata sentenza di questa Sezione n. 1321/20 per gli stralci ritenuti maggiormente significativi integrati dalle ulteriori considerazioni sopra menzionate.III.IL CONTESTO DI RIFERIMENTO.Appare innanzitutto opportuno un doveroso sintetico riferimento al contesto generale in cui si inserisce la presente controversia:La normativa in tema di concessioni demaniali ha subito negli corso degli anni rilevanti modifiche, dovute soprattutto all’esigenza di coordinamento della legislazione nazionale con la normativa comunitaria o euro-unionale.In particolare la direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, art. 12 paragrafi 1 e 2 relativa ai servizi del mercato interno ha dichiarato non compatibili i provvedimenti di proroga automatica delle “autorizzazioni” demaniali marittime destinate all’esercizio delle attività turistico-ricreative in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra gli aspiranti, integrando peraltro siffatta normativa violazione dell’art. 49 del T.F.U.E..L’art. 12 della predetta direttiva servizi trova applicazione in tutte le ipotesi in cui l’attività economica preveda l’utilizzo di risorse naturali scarse o comunque quantitativamente circoscritte o limitate e così dispone: “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle

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capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza e preveda, in particolare, una adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.A seguito dell’avvio della procedura di infrazione n. 2008/4908, lo Stato Italiano, nelle more di una preannunciata riforma del settore delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative, con l’art. 1 c. 18 del DL 194/2009, convertito con modificazioni con Legge 26.2.2010 n. 25, abrogava l’art. 37 secondo comma del Codice della Navigazione (relativo al cd. diritto di insistenza del concessionario), disponendo una proroga delle concessioni in essere fino al 31 dicembre 2015.La Commissione Europea, pur formulando ulteriori rilievi alla su citata normativa, prendeva atto e disponeva l’archiviazione della procedura di infrazione, ritenendo congruo il termine di proroga di sei anni per l’approvazione di una normativa di riordino del settore e di attuazione della direttiva Bolkestein.La normativa nazionale suindicata è stata ritenuta non compatibile con l’ordinamento dell’Unione Europea sia dalla Corte di Giustizia (decisione 16 luglio 2016) sia dalla Corte Costituzionale (C.Cost. 180/2010, relativa alla declaratoria di incostituzionalità di Leggi regionali dispositive di proroga o rinnovo automatico).Lo Stato italiano, al fine di evitare le conseguenze connesse all’apertura di procedura di infrazione, con l’art. 24 c. 3 –septies del D.L: 113/2016 convertito con legge 160/2016 ha previsto una sanatoria dei rapporti concessori in essere in via interinale e “nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea”.La nuova normativa volta a garantire compatibilità con l’ordinamento unionale non è tuttavia mai intervenuta e, approssimandosi la scadenza del 31 dicembre 2020, con l’art. 1 commi 682 e 683 della Legge 145/2018 ha disposto ulteriore proroga delle concessioni demaniali in vigore fino al 31 dicembre 2033.Il regime di proroga ulteriore introdotto con la Legge Finanziaria 2019 ed avente durata di 13 anni a decorrere dal 31 dicembre 2020, in assenza della approvazione di alcuna normativa di riordino della materia, integrando evidente violazione delle prescrizioni contenute nella direttiva servizi e in disparte la certa prospettiva della riapertura di procedura di infrazione, ha determinato uno stato di assoluta incertezza per gli operatori e per le pubbliche amministrazioni.Come già evidenziato in altre occasioni, nell’ambito del distretto giurisdizionale di riferimento di questo Tribunale, alcuni comuni hanno concesso la proroga fino al 31 dicembre 2033, altri hanno espresso diniego disapplicando la norma nazionale, altri ancora, dopo aver accordato la proroga, ne hanno disposto l’annullamento in autotutela, come nel caso in esame, altri infine sono rimasti inerti rispetto alle istanze dei concessionari (cfr. Relazione inaugurazione anno giudiziario 2020 TAR Sez. Lecce).1. DIRITTO UNIONALE E DIRITTO INTERNO: INTEGRAZIONE DEL SISTEMA DELLE FONTI

“E’ necessario a questo punto fare una ulteriore premessa e una riflessione di ordine generale.Il sistema di integrazione e di omogeneizzazione degli Stati nel contesto dell’Unione Europea è in una fase intermedia e probabilmente di transizione, una sorta di “terra di mezzo”, caratterizzata da incertezze nella fase della regolazione delle competenze, come si evince anche dal rapporto, a volte conflittuale, tra la Corte di Giustizia europea e le Corti Costituzionali nazionali.L’esigenza di certezza delle regole del diritto richiede tuttavia anzitutto una compiuta definizione del rapporto di gerarchia delle fonti.

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Ciò costituisce per l’interprete una assoluta priorità logica per la soluzione della questione proposta.Così ad esempio occorre stabilire l’esatta collocazione delle direttive (autoesecutive e non) all’interno del sistema delle fonti, che nel nostro ordinamento vede al primo posto le norme della Costituzione italiana.Secondo i principi generali, applicativi delle norme del trattato, a differenza di quanto previsto per i regolamenti U.E. (aventi diretta ed immediata efficacia vincolante), le direttive richiedono di regola il recepimento nell’ordinamento interno a mezzo di apposita legge nazionale (art. 249 del Trattato), in quanto obbligano lo Stato al conseguimento di un determinato risultato, lasciando tuttavia allo Stato medesimo di determinare autonomamente e liberamente gli strumenti e le norme necessari per il raggiungimento del fine, prevedendo all’uopo un congruo termine per l’adeguamento” (T.A.R. Sez. Lecce 1321/2020).1. LE DIRETTIVE AUTOESECUTIVE

“Fanno in certo senso eccezione le direttive c.d. auto-esecutive , per le quali appunto la giurisprudenza eurounionale ha previsto l’immediata efficacia nell’ordinamento interno per il caso di inutile decorso del termine assegnato allo Stato nazionale, ma sempre limitatamente a quelle statuizioni che risultino compiutamente definite e prive di condizione alcuna.Occorre a questo punto considerare l’esatta collocazione delle c.d. direttive autoesecutive nella scala di gerarchia delle fonti del diritto.Secondo la tesi largamente prevalente, la direttiva autoesecutiva al pari dei regolamenti, deve ritenersi come avente natura di legge ordinaria, ancorché rafforzata, atteso che la circostanza che la legge nazionale non possa derogarvi non ne modifica la sostanziale natura e forza di legge (in quanto tale idonea a determinare una regolazione – nell’ambito dello stato membro – dei rapporti tra i cittadini).La direttiva autoesecutiva, decorso il termine di moratoria e sempre limitatamente alle specifiche statuizioni compiute e dettagliate, ovvero quelle disposizioni che prevedano direttamente specifici obblighi o adempimenti e che non richiedano soprattutto l’esercizio di alcuna discrezionalità da parte del legislatore nazionale (C. G. U.E 25.5.93 causa 193/91), non richiede alcuna norma nazionale di recepimento, trovando immediata applicazione, con conseguente obbligo del giudice di disapplicazione della normativa nazionale con essa confliggente.(TAR Lecce – sentenza n. 1321/2020 del 27.11. 2020).Perché dunque una direttiva possa ritenersi autoesecutiva debbono inverarsi due presupposti: 1) l’inutile decorso del termine di moratoria concesso dalla U.E. allo stato nazionale; 2) un contenuto normativo della direttiva specifico e compiuto che non lasci alcuna discrezionalità e alcuno spazio di intervento al legislatore nazionale, risultando tecnicamente idonea a regolare direttamente i rapporti tra privato e pubblica amministrazione e/o tra i privati.Prima di valutare se la direttiva Bolkestein presenti o meno natura self-executing, appare opportuno soffermarsi in generale sul rapporto tra norma nazionale e direttiva autoesecutiva nell’attività amministrativa e, ancor prima, sul concetto di disapplicazione.1. LA DISAPPLICAZIONE DELLA NORMA

Appare quasi superfluo evidenziare che in generale disapplicazione della legge equivale a violazione della legge.Il termine disapplicazione può essere inteso in due modi: in senso assoluto o in senso relativo.

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La disapplicazione di una legge in senso assoluto integra semplicemente aperta violazione della legge e, come tale, risulta inammissibile sia per il dirigente dell’amministrazione, sia per il giudice.La disapplicazione di una legge in senso relativo, ovvero la disapplicazione di una legge finalizzata all’applicazione di altra legge, risulta invece logicamente inconcepibile ed inconsistente già sul piano terminologico.Ed invero, premesso che per il principio di completezza dell’ordinamento giuridico ogni fattispecie deve necessariamente trovare una sua disciplina normativa, il momento disapplicativo di una norma risulta in tal caso mero presupposto per l’applicazione di altra norma, pertanto – in tale ipotesi – ciò che dovrebbe venire in rilievo sul piano definitorio – prima che sul piano della logica e del buonsenso – non è tanto la presupposta disapplicazione di una norma, quanto l’applicazione dell’altra norma, quella prevalente e idonea a regolare la fattispecie.In definitiva il concetto di disapplicazione in senso relativo risulta perfettamente inutile ed anzi fuorviante, in quanto ciò che viene in rilievo è in definitiva l’applicazione della norma prevalente, da individuarsi attraverso i noti e consolidati canoni ermeneutici deputati a dirimere il concorso di norme, tenuto conto della scala di gerarchia delle fonti del diritto.VII. LE SENTENZE C.G.U.E. NEL SISTEMA DELLE FONTI DEL DIRITTO UNIONALETrattando della scala di gerarchia delle fonti del diritto, appare opportuno altresì, considerare – limitatamente a tale profilo – la natura e gli effetti sul diritto unionale derivanti dalle sentenze ordinarie della C.G.U.E..Si ritiene in proposito opportuno richiamare espressamente la citata sentenza di questa sezione n. 1321/20:“Occorre altresì considerare la natura e l’efficacia delle sentenze della Corte di Giustizia nell’ambito della scala di gerarchia delle fonti del diritto.La Corte Costituzionale, già con le sentenze nn. 113/85 e 39/89 ha riconosciuto il principio della immediata efficacia e vincolatività delle “statuizioni risultanti dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia”, al pari di quanto statuito con riferimento alle direttive autoesecutive (C. Cost. 2 febbraio 1990 n. 64 e C. Cost. 18 aprile 1991 n. 168).Nella presente fase di transizione, la Corte di Giustizia – che non può intervenire ed incidere direttamente sul diritto interno – non conosce un procedimento giurisdizionale e una tipologia di pronunce assimilabili alle sentenze della Corte Costituzionale nazionale e non può pertanto dichiarare l’abrogazione di norme nazionali in conflitto con la normativa euro-unionale.Le sentenze della Corte di Giustizia non sono quindi sussumibili tecnicamente tra le fonti del diritto e il riconosciuto effetto vincolante risulta circoscritto alle sole sentenze interpretative del diritto unionale, dovendosi pertanto ritenere, se non fonti del diritto in senso tecnico, tuttavia vincolanti quanto all’interpretazione e, pertanto fonti di integrazione del diritto unionale, del quale esprimono interpretazione autentica.Quanto sopra premesso consente di definire gli esatti termini per la soluzione delle questioni proposte con il ricorso in esame.Anzitutto può dunque ritenersi che il provvedimento amministrativo adottato in conformità alla legge nazionale ma in violazione di direttiva autoesecutiva o di regolamento U.E., secondo l’orientamento giurisprudenziale largamente prevalente, costituisca atto illegittimo e non già atto nullo, con conseguente sua annullabilità da parte del Giudice Amministrativo (previa disapplicazione della norma nazionale), su eventuale ricorso che potrà essere proposto da un soggetto per il quale ricorrano i presupposti della legittimazione e dell’interesse a ricorrere.

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Per il caso di conflitto della norma nazionale con norma comunitaria immediatamente efficace ed esecutiva deve quindi ritenersi sussistere l’obbligo di disapplicazione della norma interna in favore di quella U.E., interpretata nel senso vincolativamente indicato da eventuale sentenza della C.G.U.E..Così in proposito deve ricordarsi che la Corte di Giustizia con sentenza del 16 luglio 2016 ha fornito interpretazione vincolante dell’art. 12 paragrafi 1 e 2 della direttiva Bolkestein: “l’art. 12, paragrafi 1 e 2 . della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come di quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico ricreative, in assenza di qualsivoglia procedura di selezione tra i potenziali candidati; l’art. 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che preveda una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo”.Tale pronuncia costituisce all’evidenza tipica espressione di esercizio della funzione di interpretazione autentica vincolante per il giudice dello stato membro” (T.A.R. – Sez. Lecce sent. n. 1321/2020). (T.A.R. Sez. Lecce 1321/2020).VIII. LA PRIMAZIA DEL DIRITTO UNIONALE E L’AZIONE AMMINISTRATIVAIn generale nel diritto unionale e nella stessa giurisprudenza della C.G.U.E. il compito di garantire il primato del diritto U.E. sul diritto interno è stato anzitutto riferito al Giudice nazionale, cui è stato riconosciuto il potere-dovere di disapplicare la norma interna per applicare la norma unionale prevalente, anche – in ipotesi – previo ricorso agli istituti processuali della sospensione del giudizio con rimessione degli atti alla Corte Costituzionale (che per certi aspetti ha rivendicato la propria competenza a statuire sulla compatibilità o meno di norme nazionali con il diritto U.E., soprattutto in tema di diritti fondamentali) ovvero alla sospensione del giudizio con rinvio pregiudiziale alla stessa C.G.U.E..L’interpretazione della norma giuridica deve essere effettuata secondo precisi e consolidati canoni e deve tendere alla individuazione della ratio legis, ovvero della volontà perseguita dal legislatore e non può spingersi fino alla abrogazione o cancellazione della norma dall’ordinamento vigente (interpretatio abrogans), atteso che l’interpretazione abrogante non è consentita al Giudice e neanche alla Pubblica Amministrazione, se non in casi eccezionali e fatto salvo l’eventuale previo ricorso alla Corte Costituzionale ovvero al rinvio pregiudiziale alla C.G.U.E., nel reciproco rispetto dei ruoli e della separazione dei poteri.Sotto tal profilo il riferimento al giudice nazionale risulta logicamente coerente con il sistema delle tutele, in specie con riferimento all’ipotesi della direttiva self executing o presunta tale, potendo solo il giudice nazionale disporre del potere di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale ovvero del rinvio pregiudiziale alla C.G.U.E..In tal senso sembra opportuno richiamare la giurisprudenza della Corte Costituzionale; in tal senso C. Cost. 14 dicembre 2017, n. 269 (nonché n. 284 del 2007, n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 75 del 2012), in cui si afferma che «conformemente ai principi affermati dalla sentenza della Corte di giustizia 9 marzo 1978, in causa C-106/77 (Simmenthal), e dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, segnatamente con la sentenza n. 170 del 1984 (Granital), qualora si tratti di disposizione del diritto dell’Unione europea direttamente efficace, spetta al giudice nazionale comune valutare la compatibilità comunitaria della normativa interna censurata, utilizzando – se del caso – il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, e nell’ipotesi di contrasto provvedere egli stesso all’applicazione della norma

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comunitaria in luogo della norma nazionale; mentre, in caso di contrasto con una norma comunitaria priva di efficacia diretta – contrasto accertato eventualmente mediante ricorso alla Corte di giustizia – e nell’impossibilità di risolvere il contrasto in via interpretativa, il giudice comune deve sollevare la questione di legittimità costituzionale, spettando poi a questa Corte valutare l’esistenza di un contrasto insanabile in via interpretativa ed eventualmente, annullare la legge incompatibile con il diritto comunitario (nello stesso senso sentenze n. 284 del 2007, n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 75 del 2012)» ; “pertanto, ove la legge interna collida con una norma dell’Unione europea, il giudice – fallita qualsiasi ricomposizione del contrasto su base interpretativa, o, se del caso, attraverso rinvio pregiudiziale – applica direttamente la disposizione dell’Unione europea dotata di effetti diretti, soddisfacendo, ad un tempo, il primato del diritto dell’Unione e lo stesso principio di soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.), dovendosi per tale intendere la disciplina del diritto che lo stesso sistema costituzionale gli impone di osservare ed applicare.Viceversa, quando una disposizione di diritto interno diverge da norme dell’Unione europea prive di effetti diretti, occorre sollevare una questione di legittimità costituzionale, riservata alla esclusiva competenza di questa Corte, senza delibare preventivamente i profili di incompatibilità con il diritto europeo. In tali ipotesi spetta a questa Corte giudicare la legge”Come è noto, tuttavia, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in una sentenza relativamente recente – la sentenza c.d. “promo-impresa” ha affermato il principio secondo cui la primazia della norma unionale su quella nazionale deve essere assicurata e resa effettiva dallo stato membro “in tutte le sue articolazioni”, ovvero sia da parte del giudice che da parte della pubblica amministrazione.Nella citata sentenza di questa Sezione si esclude in proposito la portata vincolante della predetta affermazione della C.G.U.E.:“Occorre anzitutto chiarire che tale statuizione della C.G.U.E. non può ritenersi – a differenza della precedente – di natura strettamente interpretativa di una specifica direttiva o regolamento U.E. e che comunque, a prescindere da ogni altra considerazione, tale statuizione risulta erronea e non vincolante.Ed invero per norma interpretativa del diritto dell’Unione non può che intendersi una norma volta a chiarire la portata e la ratio legis di una statuizione specifica e non già una statuizione di carattere generale volta a condizionare in senso vincolante e limitativo l’attività decisionale del giudice interno, che comunque risponde a regole processuali inderogabili interne allo stato” (T.A.R. – Sez. Lecce sent. n. 1321/2020).1. LEGGE NAZIONALE E DIRETTIVA AUTOESECUTIVA

Si ritiene in proposito di confermare e tuttavia integrare la motivazione espressa sul punto nel citato precedente sentenza 1321/2020, aprendo una incidentale riflessione sotto due profili: uno generale relativo al rapporto tra diritto interno e diritto unionale con specifico riferimento alla ipotesi della direttiva self- executing o presunta tale; l’altro relativo alla ragionevole interpretazione della predetta statuizione della CGUE.Quanto al primo profilo, deve in proposito anzitutto evidenziarsi che non si pone alcun problema con riferimento ai provvedimenti legislativi della U.E. immediatamente esecutivi negli ordinamenti interni (cosi come individuati nel Trattato U.E.), come ad esempio i regolamenti, idonei a costituire momento di regolazione dei rapporti tra privati e tra privati e pubblica amministrazione, essendo ovvio che alla relativa immediata applicazione debba necessariamente provvedere anzitutto la pubblica amministrazione.Come già evidenziato, infatti, a differenza di quanto previsto per il regolamento U.E., che ai sensi dell’art. 298 co. 2 del Trattato “è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”, con riferimento alle direttive

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l’art. 291 TFUE prevede: “gli stati membri adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l’attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione Europea”; appare quindi evidente in via generale che l’ottemperanza alle prescrizioni della direttiva non possa che realizzarsi attraverso una attività normativa ad opera dello stato nazionale.La differenza non è di poco conto perché nella scala di gerarchia delle fonti la direttiva, in quanto non immediatamente e direttamente applicabile nello stato interno, è in posizione subordinata rispetto alla legge nazionale, mentre la direttiva autoesecutiva, in quanto immediatamente applicabile, pur avendo natura di legge, si colloca al di sopra della legge nazionale in quanto norma rafforzata, nel senso che la legge ordinaria non può modificarne o derogarne il contenuto.Il problema si pone pertanto proprio ed esclusivamente con riferimento alle direttive c.d. self executing, istituto di creazione pretoria, atteso che – da un lato – la direttiva auto esecutiva non si caratterizza per alcuna formale “bollinatura” che ne attesti in modo obiettivo ed incontrovertibile tale specifica qualità, ovvero l’auto esecutività e- dall’altro – che proprio l’attività interpretativa che dovesse culminare con il convincimento della natura auto esecutiva comporterebbe – come naturale corollario – la disapplicazione ovvero la violazione della legge nazionale, inverandosi la fattispecie della interpretazione abrogativa o “interpretatio abrogans”.In conseguenza di quanto sopra risulta illogico rimettere alla soggettiva e personale valutazione del Dirigente la qualificazione della direttiva come autoesecutiva o meno, in quanto in tal modo si consentirebbe all’amministrazione di violare la norma di legge nazionale, salvo che nell’ipotesi in cui la natura self executing della direttiva risulti dichiarata con provvedimento giurisdizionale efficace erga omnes.Diversamente opinando si consentirebbe alla pubblica amministrazione e, nella specie, al dirigente comunale, di violare la legge nazionale – che peraltro, per quanto di seguito si dirà, costituisce l’unica legge applicabile nel caso in esame – sulla base di un soggettivo quanto opinabile personale convincimento circa la natura autoesecutiva o meno della direttiva.Pertanto – in via generale dovrebbe nettamente distinguersi la direttiva autoesecutiva dai regolamenti unionali e dagli altri atti immediatamente efficaci nello stato membro, ovvero ritenersi che l’accertamento della natura self executing della direttiva debba essere riservato solo al giudice e che la pubblica amministrazione sia in tal caso anzitutto tenuta all’osservanza della norma nazionale di certa applicabilità (e, peraltro, nel caso di specie l’unica applicabile, per quanto appresso si dirà). E ciò sul piano generale (e quindi al di fuori della materia dellle concessioni demaniali, oggetto del presente giudizio) e proprio al fine di assicurare certezza e parità di trattamento nell’attività amministrativa.Deve pertanto ritenersi che l’amministrazione sia certamente tenuta ad assicurare la prevalenza della normativa unionale, ove immediatamente applicabile, su quella nazionale, conformando alla prima i propri provvedimenti, dovendo viceversa – nel caso di una direttiva – attenersi all’applicazione della norma nazionale, di certa ed immediata esecutività, non potendosi consentire la violazione della legge certa ed applicabile alla fattispecie, sulla base di un soggettivo quanto opinabile convincimento della natura self executing di una direttiva comunitaria, attraverso una interpretazione abrogante nella specie non consentita.Ciò ovviamente sul piano meramente deontologico atteso che l’amministrazione è, per essa, il Dirigente può comunque diversamente discernere ed operare, ferma restando in tal caso la successiva valutazione della legittimità o meno dell’attività amministrativa in tal modo posta in essere e la natura self –excuting della direttiva riservata al giudice.

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Ciò ovviamente su un piano meramente deontologico, atteso che l’amministrazione e, per essa, il dirigente può diversamente ed autonomamente determinarsi, ferma restando comunque la successiva valutazione della legittimità o meno dell’attività amministrativa in tal modo posta in essere (e relativa alla sussistenza o meno della natura autoesecutiva della direttiva), riservata in via esclusiva al giudice.1. IMMEDIATA ESECUTIVITA’ DELLA NORMATIVA UNIONALE COME PRESUPPOSTO DELLA

DISAPPLICAZIONE DELLA NORMA NAZIONALE.Quanto al secondo profilo e “melius re perpensa”- ritiene il Collegio che l’affermazione della Corte di Giustizia, secondo cui “la primazia del diritto unionale deve essere assicurata dallo stato nazionale in tutte le sue articolazioni” ovvero sia dal giudice sia dalla pubblica amministrazione, fermo restando in generale il convincimento della sua estraneità alla materia dell’interpretazione autentica del diritto unionale (come ritenuto nel citato precedente di questa Sezione sent.N.1321/2020), appare in realtà perfettamente condivisibile (ed anzi financo ovvia) ove correttamente interpretata, atteso che il presupposto logico della stessa è costituito dal fatto che entrambe le norme che concorrono a regolare astrattamente la fattispecie, ovvero quella nazionale e quella unionale prevalente, siano immediatamente applicabili ed esecutive (circostanza che si verifica – ad esempio – per i regolamenti U.E., la cui primazia o prevalenza sul diritto interno va certamente e doverosamente assicurata anzitutto dalla pubblica amministrazione ancor prima che dal giudice nazionale).L’immediata e diretta applicabilità della normativa eurounionale come presupposto della disapplicazione della norma interna con essa confliggente risulta peraltro evincibile dalla stessa giurisprudenza della CGUE, nonché da varie pronunce del Consiglio di Stato che ad essa si richiamano; così ad esempio: “qualora, pertanto, emerga contrasto tra la norma primaria nazionale o regionale e i principi del diritto eurounitario, è fatto obbligo al Dirigente che adotta il provvedimento sulla base della norma nazionale o regionale di non applicarla (in contrasto con la norma eurounitaria di riferimento), salvo valutare la possibilità di trarre dall’ordinamento sovranazionale una disposizione con efficacia diretta idonea a porre la disciplina della fattispecie concreta” (CDS Sez. V 5/3/2018 n. 1342; CDS Sez. VI 18/11/2019 n. 7874).1. LA DIRETTIVA BOLKESTEIN NON E’ SELF EXECUTING.

Nel caso di specie tuttavia, anche a prescindere da quanto sopra rappresentato con riferimento alle specifiche criticità che presenta l’ipotesi del conflitto tra norma interna e direttiva “self-executing”, appare dirimente la circostanza che la direttiva servizi o Bolkestein non può qualificarsi come self-executing in quanto non possiede i requisiti oggettivi dell’ auto-esecutività e non è pertanto – per quanto di seguito evidenziato – immediatamente applicabile, in assenza di una normativa nazionale di attuazione.In tal senso si è espressa la giurisprudenza del Consiglio di Stato con la sentenza Sez. VI 27.12.2012 n. 6682: “la richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati, previa diretta disapplicazione dell’art. 1 comma 18 del DL 194/2009, come convertito in legge 25/2010 (ovvero sia pure implicitamente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia) per incompatibilità di tale disposizione con le norme ed i principi del diritto comunitario, non può trovare accoglimento sia perché la procedura di infrazione è stata archiviata,…ma soprattutto perché la direttiva 123/06/CE che integra i principi di diritto comunitario non è di diretta applicazione” (CDS VI n. 6682/2012)Occorre in proposito esporre alcune considerazioni che, ad avviso del Collegio rendono evidente – anche sotto altro e diversa angolazione visuale – la natura non self executing della direttiva servizi:

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a).Il principio di completezza dell’ordinamento richiede anzitutto che ogni fattispecie debba necessariamente trovare una norma di regolazione e, pertanto, per quanto sopra già evidenziato, la disapplicazione (in senso relativo, ovvero disapplicazione norma interna / applicazione norma U.E.) della norma interna si può ritenere giustificata laddove la fattispecie possa e debba essere regolata dalla norma concorrente superiore, secondo la scala di gerarchia delle fonti.Orbene, la cosiddetta “disapplicazione” (rectius: violazione) della Legge nazionale 145/18 non realizzerebbe l’adempimento degli obblighi dello Stato Italiano rispetto agli impegni euro-unionali e non risulterebbe – ad esempio – idonea a paralizzare l’avvio della procedura di infrazione.b).Inoltre, l’adempimento degli obblighi inerenti l’adesione al trattato U.E. implica necessariamente che lo Stato Italiano debba garantire l’uniforme applicazione della direttiva sull’intero territorio nazionale.c). Necessità di abrogazione/riforma di norme nazionali vigenti, obiettivamente non compatibili con l’applicazione diretta ed immediata della direttiva servizi e con i principi espressi dalla stessa C.G.U.E..Così ad esempio appare necessaria e preliminare una previa modifica delle norme del codice della navigazione e in particolare degli artt. 42 e 49, anche con riferimento alla previsione di indennizzo in favore del concessionario uscenteL’art. 42 cod. nav. per il caso di revoca discrezionale della concessione demaniale per ragioni di pubblico interesse, cui appare riconducibile per analogia la fattispecie in esame, esclude espressamente la previsione di indennizzo in favore del concessionario uscente.Occorre in proposito considerare preliminarmente che le concessioni demaniali marittime, così come configurate tradizionalmente nell’ordinamento interno, nel quale era assolutamente prevalente, se non assorbente, una connotazione “pubblicistica”, hanno subito una profonda trasformazione proprio per effetto delle indicazioni emergenti dall’ordinamento euro-unionale, che ha invece in particolar modo evidenziato il profilo economico delle concessioni demaniali, per la loro idoneità a costituire fonte di reddito per il concessionario.Proprio in virtù di tale ritenuta preminenza dell’aspetto privatistico ed economico inerente la concessione demaniale, nonché sulla base della ritenuta limitatezza della risorsa costiera, è stata adottata la direttiva servizi includendovi l’attribuzione dei titoli concessori solo attraverso gare ad evidenza pubblica, anche al fine di garantire tutela ad interessi transfrontalieri, ritenendo altresì la direttiva Bolkestein ostativa a disposizioni legislative di proroga automatica in favore dei titolari di concessioni.La mutata concezione della concessione demaniale, intesa ora prevalentemente come risorsa economico produttiva, non appare compatibile con la espressa esclusione della corresponsione di un indennizzo in favore del concessionario uscente, perché ciò realizzerebbe una violazione di diritti che trovano tutela sia nella Costituzione, sia nello stesso trattato U.E., quali la libertà di stabilimento e la tutela del diritto di proprietà.Deve infatti considerarsi che l’indennizzo risponde a esigenze di equità, atteso che il concessionario in essere con la sua opera e con propri investimenti, nonché attraverso la realizzazione delle opere legittimamente autorizzate, ha determinato un incremento di valore del bene demaniale, che – una volta rientrato nella giuridica disponibilità dell’amministrazione, determinerà un più o meno rilevante incremento del canone a vantaggio della pubblica amministrazione e in danno del privato; ovvero – per l’ipotesi in cui il canone a carico del nuovo concessionario dovesse restare invariato – un trasferimento di ricchezza legato alle maggiori caratteristiche di redditualità – in favore del nuovo concessionario e in danno del concessionario uscente; ricorrendo pertanto in

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entrambe le ipotesi un trasferimento di ricchezza privo di causa in violazione pertanto di diritti garantiti dalla Costituzione Italiana e dal Trattato U.E..d).A ciò deve aggiungersi una ulteriore considerazione: la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ancorché con statuizione non vincolante sul punto, ha in più occasioni ribadito la compatibilità con la direttiva servizi di una norma nazionale di attuazione che tuteli le aspettative ed illegittimo affidamento con riferimento a rapporti di concessione demaniale sorti in epoca antecedente rispetto alla data di adozione della direttiva Bolkestein.e).Appare inoltre necessario che una normativa nazionale stabilisca regole specifiche ed uniformi, anche al fine di evitare disparità di trattamento, relativamente all’espletamento delle gare ad evidenza pubblica, non apparendo applicabile alla fattispecie la normativa prevista in materia di appalti, bensì quella prevista dal codice della navigazione.f).Ad evidenziare il fatto che il provvedimento di diniego della proroga prevista dalla legge nazionale da parte del dirigente comunale costituisca un mero atto illegittimo e che lo stesso non possa integrare in alcun modo una attuazione della Bolkestein, sarebbe sufficiente il considerare che il diniego di proroga delle concessioni sul territorio nazionale a “ macchia di leopardo” non eviterà l’imminente ed altamente probabile avvio della procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, che resterà inadempiente in assenza dell’approvazione della normativa di riordino della materia e di attuazione della direttiva.g).Al fine di assicurare ottemperanza alla direttiva e di scongiurare l’avvio della procedura di infrazione, che costituisce la naturale conseguenza della richiesta di chiarimenti rivolta allo Stato Italiano dalla Commissione Europea, occorrerebbe la tempestiva approvazione di una normativa che preveda, oltre ad una preliminare proroga tecnica delle concessioni in atto per almeno un triennio, regole uniformi per l’intero territorio nazionale che stabiliscano – per le nuove concessioni da attribuirsi a seguito di gara ad evidenza pubblica:1) la durata delle stesse (che dovrà essere tale da garantire l’ammortamento degli investimenti effettuati);2) la composizione delle commissioni di gara;3) i requisiti soggettivi e oggettivi di partecipazione;4) le forme di pubblicità (anche a tutela degli interessi transfrontalieri);5) i criteri di selezione (atteso che la giurisprudenza amministrativa ha già evidenziato l’illegittimità del riferimento normativo al codice degli appalti, dovendosi avere a parametro il Codice della Navigazione); In tal senso la recente sentenza del Consiglio di Stato Sezione V 9.12.2020 N. 78376) la modifica delle norme del Codice della Navigazione in tema di indennizzo;7) la previsione di un procedimento amministrativo che consenta di quantificare, in contraddittorio e secondo regole certe, il relativo importo per ciascuna concessione;8) la previsione di norme a tutela del legittimo affidamento per rapporti concessori sorti in epoca precedente alla data di adozione della direttiva servizi.In sede di normativa di riordino del settore, sarebbe peraltro auspicabile prevedere il necessario ed inscindibile collegamento tra concessione e titolo edilizio, abbandonando – anche sul piano delle competenze – il doppio e parallelo procedimento e prevedendo una autorizzazione integrata demaniale con valenza edilizia e paesaggistica.Tutto quanto sopra del resto è perfettamente noto da tempo, atteso che – in disparte il D.Lgs. 59/2010 (che già conteneva delega al governo per il riordino della materia), in data 26 ottobre 2017 la Camera dei Deputati aveva approvato il disegno di legge A,C. 4302-A (presentato in data 15/2/2017), recante delega al governo alla revisione e al riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico

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ricreativo nel rispetto della normativa europea, prevedendo all’art.1 comma 2 l’intervento di decreti legislativi di attuazione; in tale disegno di legge si prevedeva, tra l’altro, il riconoscimento del principio del legittimo affidamento, un periodo transitorio per le concessione rilasciate entro il 31/12/2009, la previsione di indennizzo e la articolazione a tal fine delle aree demaniali in tre fasce a seconda della loro valenza turistica, la previsione di criteri di premialità per i concessionari virtuosi, il miglioramento dell’offerta turistica, altro).Occorre del resto ricordare che anche la CGUE non ha mai affermato la natura self-excuting della direttiva Bolkestein, atteso che la natura vincolante della direttiva nulla a che vedere con l’autoesecutività o immediata e diretta applicabilità.Per tutte le considerazioni che precedono deve pertanto ritenersi la natura non esecutiva della direttiva servizi e la conseguente necessità di una legge attuativa, legge attuativa peraltro intervenuta in tutti gli altri paesi dell’unione europea.XII. CONSIDERAZIONI ULTERIORIOsserva il Collegio (per mero dovere di completezza, non risultando dedotto specificamente il vizio di eccesso o difetto di delega e di incompetenza) che appare evidente, proprio in ragione della caotica situazione in atto (caratterizzata da un dilagante aumento del contenzioso avviato dai titolari di concessioni demaniali e financo dall’Anti-Trust), che l’attuazione della direttiva Bolkestein nella specifica materia non possa che realizzarsi attraverso la previa approvazione di una preliminare normativa che preveda l’immediata revoca – ancorché temporanea – della delega originariamente attribuita alle regioni e poi ai comuni per la gestione delle attività amministrative connesse alle concessioni demaniali in questione, e ciò al fine di pervenire ad una disciplina unitaria e coerente idonea ad evitare ingiustificata disparità di trattamento da comune a comune ed al fine di arginare l’inevitabile proliferare del contenzioso.In proposito deve aggiungersi che, quandanche volesse ritenersi che l’attività di attuazione della direttiva possa rientrare nelle ordinarie attività amministrative connesse alla gestione delle concessioni e oggetto della delega conferita a regioni e comuni (circostanza della quale può seriamente dubitarsi, trattandosi di attività straordinaria connessa all’adempimento di obblighi U.E. e quindi ultronea rispetto all’ambito della delega conferita), occorre ricordare che proprio l’esigenza di assicurare l’adempimento di obblighi derivanti dall’adesione alla U.E. o da accordi internazionali costituisce – secondo il nostro ordinamento costituzionale – limite oggettivo alla stessa potestà legislativa delle regioni e financo di quelle ad autonomia differenziata. Ciò induce a ritenere che difetti in capo al singolo comune e al Dirigente comunale il potere di provvedere in materia.XIII. CONCLUSIONIConclusivamente, quando al petitum principale, l’impugnato provvedimento è illegittimo perché in palese violazione della legge nazionale 145/2018, ovvero l’unica normativa che possa applicarsi nella specie, attesa la prevalenza della legge nazionale sulla direttiva Bolkestein, che non è self-executing e pertanto non è suscettibile di diretta ed immediata applicazione per difetto dei presupposti, necessitando di apposita normativa nazionale attuativa e di riordino del settore e traducendosi in tal modo la cd disapplicazione in evidente mera violazione della legge (disapplicazione in senso assoluto).Né può avere rilevanza in senso contrario la palese violazione da parte dello Stato Italiano degli obblighi derivanti dalla sua adesione al Trattato U.E., atteso che la fattispecie in esame attiene al rapporto Stato/cittadino, diverso e parallelo rispetto al rapporto Stato/Unione europea.Da quanto sopra discende l’illegittimità degli impugnati provvedimenti sia con riferimento al diniego della proroga ex lege, sia con riferimento alla cd. proroga tecnica condizionata,

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dovendosi conseguentemente dichiarare il diritto della parte ricorrente di conseguire la proroga del titolo concessorio in essere per la durata prevista dalla legge nazionale n. 145/2018, ovvero fino al 31/12/2033, atteso che il diritto alla proroga risulta direttamente sancito dall’art. 1 commi 682 ss della legge 145/2018 (CDSAssorbiti i restanti motivi di censura.La novità delle questioni trattate, nonché la parziale soccombenza giustificano ampiamente l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra tutte le parti.P.Q.M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti di cui ai punti sub a), b), c) e d)dell’epigrafe e dichiara il diritto della ricorrente di conseguire la proroga del titolo concessorio fino al 31/12/2033 ex art. 1 comma 682 della Legge 145/2018; in parte lo dichiara inammissibile relativamente al petitum di cui ai punti e) e g), nei sensi di cui in motivazione.Spese interamente compensate tra tutte le parti.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2021 con l’intervento dei magistrati:Antonio Pasca, Presidente, EstensoreEttore Manca, ConsigliereSilvio Giancaspro, Referendario

IL PRESIDENTE, ESTENSORE    

Antonio Pasca    IL SEGRETARIO   Pubblicato il 15/01/20211. 00616/2021 REG.PROV.COLL.2. 01918/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio(Sezione Seconda)ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 1918 del 2016, proposto da Soc La Bonaccia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Zunarelli, Vincenzo Cellamare, con domicilio eletto presso lo studio legale Zunarelli e Associati in Roma, piazza SS. Apostoli, 66;controRoma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Guglielmo Frigenti, domiciliata ex lege in Roma, via Tempio di Giove, 21;Agenzia del Demanio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;Regione Lazio non costituito in giudizio;

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per l’annullamento– del provvedimento di rigetto dell’istanza di rideterminazione della durata della concessione demaniale avanzata dal ricorrente adottato dal Comune di Roma Capitale in data 16 novembre 2015, prot. n. 134514, conosciuto in data 19.11.2015;– di tutti gli atti presupposti consequenziali e connessi a quelli impugnati. Visti il ricorso e i relativi allegati;Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e di Agenzia del Demanio;Visti tutti gli atti della causa;Visto l’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla 18 dicembre 2020, n. 176, e successivamente modificato dall’art. 1, comma 17, del decreto legge 31 dicembre 2020, n. 183, disciplinante le udienze da remoto;Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2021 il dott. Luca Iera e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO1. La ricorrente è titolare della concessione demaniale marittima con finalità turistiche n.

9 dell’11-3-2004 rilasciata dal Comune di Roma (ora Roma Capitale) per la durata di sei anni, con validità dal 1-1-2002 al 31-12-2007. Con provvedimento n. 7 dell’8-4-2009 ha ottenuto il rinnovo del titolo concessorio dal 1-1-2008 al 31-12-2013. Con un successivo provvedimento n. 846 del 24-3-2014 ha beneficio di una nuova proroga del titolo fino al 31-12-2020 disposta ai sensi dell’art. 34-duodecies del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. dalla legge del 17 dicembre 2012, n. 221.

In concomitanza del rinnovo ottenuto fino al 2020, la ricorrente, con istanza del 27-7-2015, ha tuttavia richiesto, ai sensi del comma 4-bis dell’art. 03, comma 4-bis, d.l. n. 400 del 1993, conv. con modificazioni, dalla l. n. 494 del 1993 (come successivamente modificata), aggiunto dal comma 253 dell’art. 1, legge 27 dicembre 2006, n. 29603, all’amministrazione concedente la rideterminazione della durata della concessione per un periodo di ulteriori venti anni a far data dal rilascio del titolo pluriennale, assumendosi l’impegno di valorizzare il bene in concessione e di realizzare opere di interesse pubblico.Con provvedimento n. 134514 del 16-11-2015, impugnato con l’odierno ricorso, l’amministrazione ha tuttavia respinto la domanda del 24-7-2015 richiamando in proposito la disciplina europea recata dall’art. 12 della direttiva 123/2006 (c.d. direttiva Servizi), nonché il disposto normativo dell’art. 53-bis, comma 3, della l.r. 6-8-2007, n. 17, introdotto dall’art. 5 della l.r. 26-6-2015, n. 8, ai sensi del quale “ i comuni sono tenuti ad attivare procedure di evidenza pubblica ai fini del rilascio di nuove concessioni, nonché nei casi di affidamento ad altri soggetti delle attività oggetto della concessione e di subingresso ai sensi, rispettivamente, degli articoli 45-bis e 46 del codice della navigazione e successive modifiche” e quello dell’art. 47 della predetta l.r. n. 17-2007, modificato sempre dalla l.r. n. 8-2018, ai sensi del quale “la durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistiche e ricreative è stabilita in conformità alla normativa statale vigente in materia”.Nel rigettare l’istanza di proroga, l’amministrazione procedente ha precisato che la domanda del concessionario imponeva di “operare scelte di carattere significativo in ordine alla concreta valorizzazione” del bene demaniale che dovevano passare in ogni caso “per il tramite di procedure ad evidenza pubblica”. Quindi ha prospettato due strade attraverso cui si sarebbe potuto pervenire al successivo affidamento del titolo concessorio: a) tramite un avviso di evidenza pubblica sulla base della proposta dell’attuale concessionario seguendo una procedura assimilabile alla finanza di progetto in cui sarebbe

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stata valorizzata la finalità turistica-ricreativa dell’uso dell’area (art. 278 del d.p.r. n. 207-2010 e art. 30 del d.lgs. n. 163-2006); b) tramite una procedura di evidenza pubblica attraverso cui affidare uno o più titoli relativi al litorale, anche in favore di un unico operatore, prevedendo la possibilità di un partenariato per realizzare lavori pubblici di rilevante complessità (ad esempio quelle relative al ripascimento del litorale), in cui sarebbe stato privilegiato l’interesse pubblico al reperimento di capitali privati.

2. La ricorrente ha affidato il ricorso ha quatto motivi.Con la prima censura si evidenzia la violazione del principio di specificità e soggettività del provvedimento che sarebbe stato adottato indistintamente verso ventinove concessionari.Con la seconda censura si afferma che la disciplina della rideterminazione della durata delle concessioni troverebbe fondamento unicamente nell’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, come peraltro sarebbe evidente alla luce dell’art. 47, comma 3, della l.r. n. 13-2007, modificato dall’art. 2, comma 3, della l.r. n. 8-2015, e non già nell’art. 12 della direttiva 123/2006 o nella direttiva 2014/23/UE sulle concessioni o nella disciplina recata dalla l.r. n. 13-2007 come modificata dalla l.r. n. 8-2015.Con la terza censura si lamenta l’eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione e dello sviamento.Con la quarta censura si deduce la violazione dell’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, non avendo l’amministrazione posto la ricorrente “in condizioni di poter interloquire”.Nel costituirsi in giudizio, l’amministrazione comunale ha replicato alle censure sollevate chiedendo il rigetto del ricorso.

3. All’udienza del 13 gennaio 2021, la causa è stata trattenuta in decisione.Prima di esaminare i motivi di ricorso è necessario premettere una breve ricostruzione del quadro normativo che riguarda la disciplina del rilascio delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.Con la della direttiva 123/2006, l’Unione Europa ha dettato le “disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi” (art. 1, paragrafo 1). La direttiva si applica ai “servizi” forniti da qualsiasi persona fisica o giuridica stabilita in uno Stato membro, laddove per “servizi” si intende “qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 50 del trattato fornita normalmente dietro retribuzione” (art. 4, n. 1).L’art. 12 della direttiva sancisce che “1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.

2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.

3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”.

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Page 65:  · Web viewN° 2/2021. N° 2/2021. N° 2/2021. Sommario. SAGGI E ARTICOLI. EDILIZIA. La Corte Costituzionale (sent. n. 9 del 29 gennaio 2021) ha “sa. lvato” la L.R. Abruzzo n

Come ha espressamente ribadito la Corte di giustizia la disciplina recata negli articoli da 9 a 14 della direttiva 123/2006 costituisce oggetto di “armonizzazione esaustiva” a livello dell’Unione, sicchè le disposizioni nazionali introdotte in tale settore devono essere direttamente valutate in rapporto alle disposizioni della disciplina di armonizzazione. Ne deriva che gli articoli da 9 a 13 della direttiva 2006/123, laddove prevedono una serie di disposizioni che devono essere rispettate dallo Stato membro qualora l’attività sia subordinata al rilascio di un’autorizzazione, assumono prevalenza rispetto alle stesse disposizioni europee del diritto primario (cfr., Corte di giustizia, 14 luglio 2016, causa C-458/14 e C-67/15).In ambito nazionale, l’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, stabilisce che le concessioni “rilasciate o rinnovate con finalità turistico-ricreative” di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei “possono avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni”.L’art. 1, comma 18, del d.l. 30-12-2009, n. 194, conv. in legge 26-12-2010, n. 25, prevede che “ferma restando la disciplina relativa all’attribuzione di beni a regioni ed enti locali in base alla legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché alle rispettive norme di attuazione, nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che è conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all’articolo 37, secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino a tale data, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494. All’articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il secondo periodo è soppresso”.In seguito l’art. 34-duodecies del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. dalla legge del 17 dicembre 2012, n. 221, ha modifico l’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194-2009, che nel nuovo testo emendato ora prevede, per quanto qui interessa, che “il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino al 31 dicembre 2020, fatte salve le disposizioni di cui all’ articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494”.In ambito regionale, il legislatore della Regione Lazio, nel recepire le disposizioni su richiamate, ha stabilito con la l.r. n. 8-2015 di modifica della l.r. n. 13-2007 che “i comuni sono tenuti ad attivare procedure di evidenza pubblica ai fini del rilascio di nuove concessioni, nonché nei casi di affidamento ad altri soggetti delle attività oggetto della concessione e di subingresso ai sensi, rispettivamente, degli articoli 45-bis e 46 del codice della navigazione e successive modifiche” (art. 53-bis, l.r. n. 13-2007) ed ha quindi previsto che “la durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistiche e ricreative è stabilita in conformità alla normativa statale vigente in materia” (art. 47, comma 3, l.r. n. 13-2007).

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Occorre peraltro evidenziare che successivamente all’adozione del provvedimento impugnato con la ricordata sentenza 14 luglio 2016, causa C-458/14 e C-67/15, la Corte di giustizia, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali per attività turistico-ricreative rispetto alla disciplina europea (art. 1, comma 18, del d.l. n. 194-2009, come modificato dall’art. 34-duodecies del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. dalla legge del 17 dicembre 2012, n. 221), ha dichiarato, in particolare, che “l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati”.

4. Così ricostruito il quadro normativo che interessa ai fini della presente decisione, si possono esaminare le censure sollevate dalla ricorrente, propiziando dal secondo e dal terzo motivo di ricorso che, introducendo vizi di carattere radicale, possono essere tratti congiuntamente.

Entrambe le censure sono infondate.Il titolo concessorio che fa capo alla ricorrente è, non solo nominativamente, ma anche sostanzialmente una concessione demaniale marittima rilasciata per finalità turistica-ricreative. La concessione rilasciata è infatti volta a riservare l’uso di un bene pubblico (demanio marittimo) in favore del concessionario dietro corresponsione di un canone – precludendo così il libero uso del bene da parte della collettività – al fine di consentire al concessionario di sfruttare l’area demaniale per realizzare una determinata attività di rilevanza economica.Sotto il profilo dell’inquadramento giuridico, la concessione de qua rientra a pieno titolo nella categoria giuridica dell’”autorizzazione” disciplinata dall’art. 12 della direttiva 123/2006 che ricomprende tutte le “autorizzazioni … per svolgere una determinata attività” il cui rilascio risulta essere “limito in virtù della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili”.L’”autorizzazione” prevista dall’art. 12 della direttiva 123/2006 si contraddistingue perché riguarda l’atto di assenso, comunque denominato, volto a consentire l’esercizio di una qualsiasi attività economica che richiede necessariamente per il proprio svolgimento l’utilizzo di limitate risorse naturali o capacità tecniche. Poiché l’autorizzazione non riguarda una prestazione di servizi determinata dall’ente aggiudicatore, essa non rientra nella categoria delle concessioni di servizi disciplinata dal codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 163-2006). Peraltro, lo stesso considerando 57 della direttiva 2006/123 precisa che le “disposizioni della presente direttiva relative ai regimi di autorizzazione dovrebbero riguardare i casi in cui l’accesso ad un’attività di servizio o il suo esercizio da parte di operatori richieda la decisione di un’autorità competente. Ciò non riguarda … la conclusione di contratti da parte delle autorità competenti per la prestazione di un servizio particolare, che è disciplinata dalle norme sugli appalti pubblici, poiché la presente direttiva non si occupa di tali norme”.Ne deriva che all’autorizzazione prevista dalla direttiva 2006/123 non sono applicabili né la disciplina delle concessioni di servizi pubblici né quella degli appalti pubblici di servizi stabilite dalla disciplina europea.

5. Sotto il profilo della disciplina giuridica applicabile all’autorizzazione, l’art. 12 della direttiva 123/2006 prevede: a) al paragrafo 1, che “gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di

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imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”; b) al paragrafo 2, che “nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami”; c) al paragrafo 3, che “gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”.

6. Il provvedimento richiesto dalla ricorrente all’amministrazione ha tutte le caratteristiche per essere considerata un’”autorizzazione” ai sensi dell’art. 12 della direttiva 123/2006: a) è finalizzato a svolgere un’attività economica rappresentata dalla gestione di uno stabilimento balneare; b) riguarda una risorsa naturale in quanto l’area demaniale che l’istante necessita di avere in concessione per esplicare l’attività è situata sulla costa marittima; c) la risorsa naturale si caratterizzata sotto il profilo della scarsità poiché le aree che possono essere oggetto di tale sfruttamento economico sono in numero limitato e ha carattere escludente in quanto preclude, una volta concesso l’uso, la possibilità che lo stesso bene possa essere sfruttato economicamente da altri operatori.

La concessione demaniale marittima della ricorrente può quindi essere qualificata come “autorizzazione” ai sensi delle disposizioni della direttiva 2006/123 in quanto costituisce un “atto formale”, nei termini precisati dal diritto europeo, che il prestatore deve ottenere dall’autorità concedente per poter esercitare l’attività economica.

7. Occorra ora verificare se la disciplina recata dall’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, nella parte in cui prevede una proroga ex lege della data di scadenza delle autorizzazioni, sia conforme, o meno, alla disciplina europea sopra richiamata.

L’art. 03, comma 4-bis, in parola, nella parte in cui prevede una proroga ex lege della data di scadenza delle autorizzazioni equivale a un loro rinnovo automatico, rinnovo automatico che si pone frontalmente in contrasto con la disciplina che l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123, stabilisce per le “autorizzazioni … per svolgere una determinata attività” che si caratterizzano per la circostanza per cui il loro rilascio risulta essere “limito in virtù della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili” (come nel caso di specie).Al fine di assicurare l’effetto utile del diritto europeo e quindi applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità, di trasparenza e in particolare di un’adeguata pubblicità, la disciplina recata dall’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, va disapplicata in quanto si pone in evidente contrasto con l’art. 12 della direttiva 123/2006, come interpretato dalla Corte di giustizia nella sentenza 14 luglio 2016, causa C-458/14 e C-67/15.

8. Ne consegue che l’amministrazione concedente, nel respingere la domanda di rideterminazione della concessione della ricorrente, ha correttamente operato poiché ha fondato la propria decisione sulla corretta interpretazione delle fonti europee e nazionali. Il provvedimento di rigetto è dunque logicamente e adeguatamente motivato.

Né invero assume rilievo la “tutela del legittimo affidamento” dedotta dalla ricorrente secondo cui la proroga ventennale avrebbe la sua ratio nella “garanzia del rientro degli investimenti inteso anche come remunerazione del capitale”.

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Basti osservare al riguardo nel momento in cui la ricorrente ha chiesto ed ottenuto il rinnovo del titolo concessorio dal 1-1-2008 al 31-12-2013 con il provvedimento n. 7 dell’8-4-2009 non era (neppure) entrata in vigore la disciplina dall’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, che consentiva in ipotesi di beneficiare di un ulteriore periodo di rinnovo (poi giunto fino al 2020). Ne consegue che alla data (2015) in cui è stata presentata la nuova domanda di (ulteriore) proroga ventennale la ricorrente non aveva di certo realizzato investimenti tali da dover essere tutelati o contemperati in occasione della valutazione della proroga.Peraltro, lo stesso rinnovo della concessione del 2009 è avvenuto quando già in ambito europeo era chiaro che i titoli concessori come quello di causa dovevano essere obbligatoriamente assegnati nel rispetto di procedure ad evidenza pubblica, salvo le eccezioni previste dallo stesso art. 12 della direttiva 123/2006.Dalla ricostruzione dei fatti di causa si deduce che la ricorrente non solo al momento della presentazione della domanda di proroga non ha effettuato investimenti tali da potersi legittimamente aspettarsi il rinnovo del proprio titolo, ma l’eventuale affidamento non poteva neppure ritenersi legittimo.

9. Il primo ed il quarto motivo di ricorso possono essere esaminati contestualmente.Entrambe le censure, al di là della loro genericità, sono infondate.Il provvedimento impugnato ha natura di provvedimento plurimo ad effetti scindibili in quanto ha come destinatari una pluralità di soggetti che sono incisi dagli effetti dell’atto ognuno in via autonoma in quanto ogni soggetto è titolare di una propria posizione giuridica che, sebbene identica sotto il profilo sostanziale a quella degli altri soggetti interessati, ne rimane distinta sotto il profilo soggettivo.Attesa l’identità sostanziale delle posizioni giuridiche dei destinatari, l’amministrazione ha redatto la motivazione del provvedimento in modo simile per tutti i soggetti interessati. In tale operato non vi è alcuna illegittimità.Né del resto la ricorrente ha specificato in che modo l’amministrazione non avrebbe, erroneamente, proceduto al “confronto con la motivata differenziazione contenuta nelle differenti istanze di rideterminazione della durata delle concessioni”, né ha evidenziato la peculiarità della propria posizione che avrebbe per ciò solo richiesto la dedotta differenziata motivazione del provvedimento.Non ricorre neppure la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 dal momento che il provvedimento impugnato ha natura vincolata in quanto il rilascio di concessioni demaniali marittime rientranti nel campo di applicazione dell’art. 12 della direttiva 123/2006, oltre che nell’art. 53-bis, comma 3, della l.r. 6-8-2007, n. 17, non poteva che avvenire mediante procedure ad evidenza pubblica. Trova dunque applicazione la previsione dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241-1990, secondo cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

10. In conclusione, il ricorso non è fondato e va, pertanto, respinto.La condanna alle spese di giudizio segue la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.P.Q.M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune di Roma Capitale che liquida complessivamente in Euro 1.500,00, oltre Iva, Cap, ed accessori di legge; compensa integralmente le spese tra le altre parti del giudizio.

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Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2021 con l’intervento dei magistrati:Francesco Riccio, PresidenteEleonora Monica, Primo ReferendarioLuca Iera, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE

Luca Iera   Francesco Riccio

IL SEGRETARIO  Pubblicato il 14/01/20211. 00082/2021 REG.PROV.COLL.2. 02147/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per la Siciliasezione staccata di Catania (Sezione Terza)ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 2147 del 2011, proposto daGerob S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fichera Francesco e Mirone Russo Antonino, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Catania, via Vecchia Ognina, 142/B;controCapitaneria di Porto di Catania, in persona del Responsabile pro tempore;Assessorato Regionale al Territorio ed Ambiente, in persona dell’Assessore legale rappresentante pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, ed ivi domiciliati in via Vecchia Ognina, 149;nei confrontiLa Tortuga S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Comandè Carlo’ e Pitruzzella Giovanni, con domicilio eletto presso lo studio Floridia Daniela in Catania, via Acicastello, 30;per l’annullamentodella concessione demaniale marittima n. 91/2011 rilasciata alla società “La Tortuga s.r.l.” dal dirigente generale dell’ARTA – dipartimento dell’ambiente, n. 3083 il 13.4.2011;di ogni altro atto antecedente, successivo e comunque connesso ivi compresi tutti i provvedimenti lesivi menzionati nel corpo del presente atto e quelli richiamati nei provvedimenti espressamente impugnati ed in particolare, ma soltanto ove occorra, della nota dell’ARTA del 25.3.2010 n. 21528. Visti il ricorso e i relativi allegati;Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Assessorato Regionale al Territorio ed Ambiente e della Capitaneria di Porto di Catania e di La Tortuga S.r.l.;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell’udienza del giorno 13 gennaio 2021 il dott. Gustavo Giovanni Rosario Cumin;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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 FATTO e DIRITTOLa società “La Tortuga” s.r.l. aveva conseguito in data 14/12/2007 il rilascio della concessione demaniale marittima n. 573 all’interno del Porticciolo di Ognina, quartiere del Comune di Catania, riguardante complessivamente 5.184 mq., comprensiva di 3.187 mq. di specchio acqueo. La predetta concessione veniva prorogata con provvedimento n. 91/2011 del 13/04/2011 del Dirigente Generale dell’Assessorato Territorio e Ambiente della Regione Siciliana per il periodo dal 01/01/2010 al 31/12/2015, senza esperire alcuna gara pubblica, e ciò malgrado le attività che il rilascio della concessione avrebbe consentito di esercitare fossero suscettibili di apprezzabilissimi ritorni economici per il concessionario – con conseguenti vantaggi anche per l’Amministrazione concedente, in ragione della maggior misura del canone concessorio che si sarebbe potuta ottenere ove si fosse svolta una selezione pubblica fra i più soggetti interessati a conseguirla.La società GEROB s.r.l., già presente nel settore della nautica da diporto in esito alla gestione, dal 27/05/2010 al 30/09/2010, del porto turistico Portorosa, in A.T.I. orizzontale (e per la quota del 20%) con le società Sicily By Sea s.r.l., Marina Yachting s.r.l. e Porto Rosa Village s.n.c. di Meola Baldassarre e C., impugnava tale provvedimento con ricorso trasmesso per la notifica il 13/06/2011, notificato il 14/06/2011, depositato in segreteria il 24/06/2011.Si costituiva in giudizio per l’Amministrazione intimata la difesa erariale, con memoria meramente formale. Si costituiva parimenti in giudizio la società controinteressata, che invece proponeva una molteplicità di eccezioni in rito, oltre che argomenti contro la fondatezza nel merito delle censure proposte dalla società ricorrente.Con comunicazione di cortesia della segreteria si chiedeva al ricorrente di manifestare il proprio perdurante interesse alla definizione della presente controversia, con l’avvertenza che in caso contrario sarebbe stata dichiarata la perenzione del ricorso in epigrafe. Circostanza, quest’ultima, che non si verificava in concreto, poiché alla predetta comunicazione faceva seguito la dichiarazione di perdurante interesse alla decisione di cui all’atto depositato in segreteria il 30/09/2020.Il giorno 13/01/2021 si svolgeva – concretamente in assenza della discussione da remoto da parte dei patrocinatori delle parti, sebbene la possibilità di ciò fosse stata garantita dall’operare delle previsioni di cui al primo comma dell’art. 4 del D.L. n. 28/2020, così come richiamato dall’art. 25 del D.L. n. 137/2020 – l’udienza pubblica per l’esame del ricorso in epigrafe, che veniva trattenuto in decisione.I.1 – La società controinteressata ha preliminarmente eccepito la irricevibilità per tardività del ricorso in epigrafe perché notificato il termine di 60 giorni dalla data di adozione della concessione demaniale marittima n. 91/2011. Osserva però in contrario il Collegio che alla data di trasmissione per la notifica del ricorso in epigrafe erano sì passati 61 giorni: ma che il sessantesimo giorno, ovvero il 12/06/2011, era una domenica: con la conseguenza che il termine ultimo per la notifica del gravame sarebbe venuto a scadere soltanto il 13/06/2011 in base all’applicazione del terzo comma dell’art. 155 c.p.c. E quindi dovendo essere respinta la formulata eccezione di irricevibilità per tardività del ricorso in epigrafe in base al consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui la notifica del ricorso si perfeziona, per il notificante, con la consegna dell’atto da notificare – qui avvenuta appunto il 13/06/2011 – all’ufficiale giudiziario (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26 settembre 2013, n. 4821).I.2 – la irricevibilità per tardività del ricorso in epigrafe è stata eccepita dalla società controinteressata anche con riferimento all’impugnazione della nota ARTA Dipartimento Ambiente Servizio 9 – Demanio Marittimo prot. 21526 del 25 Marzo 2010, con riguardo alla

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conoscenza che di tale atto avrebbe avuto sin dal 25/10/2010 il Sig. Eduardo Capizzi, il quale rivestirebbe (a dire della società controinteressata) all’interno della Gerob S.r.l.la qualifica di socio di maggioranza. Ma a parte la contestazione da parte della società ricorrente qualità della partecipazione sociale del dott. Capizzi, che essa rappresenta essere “un mero socio (di minoranza) di una società di capitali”, quel che risulta essere dirimente, in quanto fatto mai specificamente contestato dalla società controinteressata, è la circostanza che egli risulta comunque “privo di poteri di rappresentanza e persino di amministrazione, poteri spettanti esclusivamente al signor Maio nella qualità, dichiarata in ricorso e non contestata, di amministratore unico”. Di tal chè non può ipotizzarsi alcuna trasmissione della scienza privata del Dott. Edoardo Capizzi alla società Gerob s.r.l. circa nota ARTA Dipartimento Ambiente Servizio 9 – Demanio Marittimo prot. 21526 del 25 Marzo 2010, in assenza da parte del primo di un “mandato ad hoc” o della titolarità di “una carica sociale che consenta di ritenere che la conoscenza da parte dello stesso possa esser(le) riferito”(cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 27/09/2005, n. 6319). Quanto così stabilito implica anche il rigetto della eccezione di inammissibilità del proposto gravame per mancata tempestiva impugnazione dell’atto presupposto, rappresentato giustappunto dalla nota ARTA Dipartimento Ambiente Servizio 9 – Demanio Marittimo prot. 21526 del 25 Marzo 2010.I.3 – Per quanto invece attiene alla eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione della Circolare del 30/03/2010 dell’Assessorato regionale Territorio e Ambiente della Regione Siciliana, osserva il Collegio come, secondo consolidata e condivisa giurisprudenza, per la Circolare, in quanto atto “privo di effetti esterni … non essendo considerabile quale atto presupposto del provvedimento applicativo ritenuto lesivo (,) non sussiste l’onere della sua impugnazione” (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. III, sent. 26 ottobre 2016, n. 4437). La mancata specifica contestazione della predetta Circolare potrebbe dunque astrattamente nuocere alla società ricorrente soltanto in relazione al contenuto ed al segno della decisione di merito che il Collegio dovrà assumere: e non certo quanto alla possibilità, per il giudice adito, di procedere allo scrutinio delle censure proposte con il ricorso in epigrafe.I.4 – Per quanto infine riguarda l’eccepito difetto di legittimazione processuale attiva della ricorrente, ciò discenderebbe, a dire della società controinteressata, dal fatto che “la Gerob S.r.l., invero, non fornisce alcun elemento idoneo n giustificare I’esistenza in capo alla stessa di un interesse al ricorso avverso il rinnovo della concessione demaniale marittima n. 573/2010”. Tuttavia una tale opinione – in particolare con riguardo al suo essere più specificamente sviluppata affermando che “per quanto è dato evincere dalla visura storica della società ricorrente, la Gerob S,r.l,. nel porto turistico di “Portorosa” ha esercitato solo ed esclusivamente l’attività di bar-ristorante, tavola calda, Pizzeria e rosticceria” -, oltre ad essere contestata da parte della società ricorrente, non trova alcun supporto in documentazione prodotta dalla società controinteressata. A differenza di quanto invece per la gestione del porto turistico Portorosa, in A.T.I. orizzontale (e per la quota del 20%) con le società Sicily By Sea s.r.l., Marina Yachting s.r.l. e Porto Rosa Village s.n.c. di Meola Baldassarre e C. affermata dalla società ricorrente, che trova conforto nelle produzioni documentali del 13/07/2011 – e più in particolare nel contratto rep. N. 31353 del 26/05/2010, dove si dà atto della aggiudicazione del servizio di gestione del porto turistico di Portorosa alle società sopra indicate in esito ad aggiudicazione in occasione della gara espletata il 25/05/2010 dinnanzi al Tribunale di Messina – II Sezione Civile – Ufficio Fallimenti, e nella istanza del 25/05/2010 rivolta all’indirizzo del giudice Delegato nell’ambito del Fallimento n. 15/94 R.G.F. c/o il Tribunale di Messina, dove si precisa come le più imprese sopra indicate si sono impegnate “alla costituzione di associazione

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temporanea di imprese di tipo orizzontale”, con l’impegno per ciascun partecipante al raggruppamento di svolgere, sia pure in percentuale differenziata, tutti i servizi relativi alla gestione del porto turistico di Portorosa.II – Si può quindi passare all’esame dei due gruppi di censure secondo le quali si articolano le doglianze della società ricorrente.In primo luogo la società ricorrente lamenta la violazione dei principio, anche comunitario, dell’obbligo dell’evidenza pubblica in materia di affidamento di beni pubblici di interesse economico.Lo stato attuale della materia, invero, è il risultato di ripetute proroghe ex lege di concessioni demaniali marittime ancora efficaci anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 194 del 2009: il primo comma del cui art. 18 ne prevedeva una proroga fino al 31 dicembre 2015; termine poi prorogato sino al 31 dicembre 2020 per effetto della successiva L. n. 228 del 2012. Rispetto ad un tale stato della normativa nazionale, dopo lo scadere del termine fissato per l’attuazione della direttiva 123/06/CE – e segnatamente del suo art. 12, alla cui stregua “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami” -, ci si è dovuti interrogare circa la compatibilità con il diritto comunitario delle proroghe ex lege delle concessioni demaniali marittime via via succedutesi (da ultimo sino al 31/12/2033, ad opera dell’art. 1, commi 682 e 683, della L. n. 145/2018). Dell’opinione che ha prevalso in giurisprudenza immediatamente a ridosso della adozione della predetta Direttiva, bene è espressione la sentenza 27 dicembre 2012, n. 6682, della VI Sez. del Consiglio di Stato, secondo la quale “L’art. 12 della direttiva 123/06/CE …, nel suo complesso, non presenta i caratteri della direttiva dettagliata e particolareggiata e, dunque, self-executing. In tale situazione, la specifica quantificazione della durata dell’autorizzazione spetta al legislatore nazionale e, dunque, non può parlarsi di immediata operatività della disposizione comunitaria, occorrendo il necessario recepimento, attraverso disciplina concreta e specifica, da parte dello Stato membro”.Si può tuttavia dubitare – secondo le argomentazioni che seguiranno – del fatto che la normativa vigente già non contenesse, in nuce, le potenzialità per garantire, in modo pieno e comunitariamente conforme, la effettuazione di “una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento” per la proroga di concessioni demaniali marittime già rilasciate.Circa la necessità di attuare una tale garanzia, il Collegio ritiene innanzitutto di dover apprezzare e far proprie le conclusioni cui è giunta la Corte Costituzionale nella sentenza 25 maggio 2010, n. 180, laddove, con riguardo a leggi regionali di proroga ex lege di concessioni demaniali marittime, ha ritenuto che “la previsione di una proroga dei rapporti concessori in corso, in luogo di una procedura di rinnovo che «apra» il mercato, è del tutto contraddittoria rispetto al fine di tutela della concorrenza e di adeguamento ai principi comunitari”. Dopo lo scadere del termine concesso al legislatore nazionale per l’attuazione della Direttiva CE n. 123/06, quella “contraddittorietà”- e segnatamente, rispetto al contenuto del suo art. 12 – non poteva quindi più essere, né ignorata, né tollerata.

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Passando al piano dei rimedi, occorre segnalare come lo stesso Consiglio di Stato, (non soltanto) con ordinanza 14 agosto 2015, n. 3936 della sua V Sez., abbia ritenuto di dover intraprendere la via del rinvio pregiudiziale per violazione degli artt. 49, 56 e 106 del Trattato EU alla Corte di Giustizia.Il Collegio, tuttavia, ritiene che la valorizzazione dell’art. 18 del Regolamento di Attuazione al Cod. Nav. possa condurre ad individuare, mediante una disapplicazione per così dire “chirurgica” e circoscritta, una soluzione tale da garantire che la proroga di concessioni demaniali marittime già rilasciate avvenga sempre in base ad “una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.In base al primo comma dell’art. 18 del Regolamento di Attuazione al Cod. Nav., “quando si tratti di concessioni di particolare importanza per l’entità o per lo scopo, il capo del compartimento ordina la pubblicazione della domanda mediante affissione nell’albo del comune ove è situato il bene richiesto e la inserzione della domanda per estratto nel Foglio degli annunzi legali della provincia”. Il procedimento che parte dalla pubblicazione della domanda di concessione trova, nella normativa interna, una limitazione quanto alla “particolare importanza per l’entità o per lo scopo” del titolo concessorio del cui rilascio (o rinnovo) si tratti. Secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa, la valutazione della “particolare importanza per l’entità o per lo scopo” della concessione demaniale marittima del cui rilascio (o rinnovo) si tratti costituisce espressione dell’esercizio di un potere discrezionale da parte dell’amministrazione competente – anche se non di incondizionata e “pura discrezionalità dell’amministrazione, dovendosi apprezzare l’importanza della concessione secondo criteri obiettivi, da esternarsi compiutamente, onde consentire il sindacato del g.a. in ordine al corretto esercizio del potere amministrativo”( Consiglio di Stato , sez. VI , 26/10/2006 , n. 6421). Orbene: è soltanto quel potere di apprezzamento discrezionale, piuttosto che l’intero art. 18 del Regolamento di Attuazione al Cod. Nav., ad essere “del tutto contraddittori(o) rispetto al fine di tutela della concorrenza e di adeguamento ai principi comunitari”. Cadendo quello, la (temuta, in ordinanza 14 agosto 2015, n. 3936, della V Sez. del Consiglio di Stato) “sottra(zione) al mercato, per un periodo tutt’altro che esiguo, (di) concessioni di beni di rilevanza economica, (che)  incide in modo eccessivamente pregiudizievole e, pertanto, sproporzionato nella sfera giuridica degli operatori del settore, cui è preclusa la possibilità di conseguire simili utilità, nonostante l’assenza di ragionevoli e concrete esigenze a fondamento della reiterazione della proroga” viene meno, risultando generalizzato l’obbligo di pubblicazione e scrutinio comparativo delle più domande (eventualmente) presentate di rilascio (o di proroga) di concessione demaniale marittima: senza che si debba temere alcun horror vacui per la mancanza di una “disciplina concreta e specifica, da parte dello Stato membro”, così come invece aveva paventato la giurisprudenza del Consiglio di Stato già richiamata.Dato quindi che nel caso di specie la proroga ex lege (in alternativa alla revoca) della concessione demaniale marittima qui in specifica considerazione è avvenuta in base alla L.R.. n. 15/2005, il cui comma 3 dell’art. 1 dispone che “…le concessioni quadriennali in corso di validità al momento dell’entrata in vigore della presente legge sono alla scadenza rinnovate per sei anni, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 42 del codice della navigazione, subordinatamente al pagamento dei canoni determinati dal decreto di cui all’articolo 3, comma 2…”, si deve concludere che erroneamente l’Amministrazione intimata non abbia, all’opposto, avviato – previa disapplicazione, per contrasto con l’art. 12 della direttiva 123/2006 UE, del terzo comma dell’art. 1 L.R. n. 15/2005 e dell’art. 18,

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primo comma, del Regolamento di Attuazione al Cod. Nav .- il procedimento di pubblicazione ed esame comparativo delle più domande (eventualmente) presentate a norma del(la residua parte)l’art. 18 del Regolamento di Attuazione al Cod. Nav.III – Tenuto conto del fatto che la società ricorrente ha lamentato soltanto in subordine l’omessa pubblicità in occasione del rinnovo della concessione demaniale marittima in favore della società “La Tortuga” s.r.l. con provvedimento n. 91/2011 del 13/04/2011 del Dirigente Generale dell’Assessorato Territorio e Ambiente della Regione Siciliana, il Collegio, legittimamente prescindendo dall’esame di tali censure per il vincolo di subordinazione espressamente posto dall’attore, accoglie il ricorso in epigrafe, e per gli effetti annulla – non sussistendo la necessità di uno specifico intervento anche sulla nota dell’ARTA del 25.3.2010 n. 21528 per una tutela effettiva delle ragioni della società ricorrente – esclusivamente il provvedimento n. 3083 il 13.4.2011, con il quale la concessione demaniale marittima n. 91/2011è stata rilasciata alla società “La Tortuga s.r.l.” dal dirigente generale dell’ARTA – dipartimento dell’ambiente.Stante l’elevatissimo grado di incertezza circa la compatibilità della normativa interna in materia di concessioni demaniali marittime con i principi di diritto comunitario, il Collegio ritiene che ciò costituisca un giustificato motivo per compensare interamente fra le parti le spese di lite.P.Q.M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) accoglie il ricorso in epigrafe, e per gli effetti annulla la concessione demaniale marittima n. 91/2011 rilasciata alla società “La Tortuga s.r.l.” dal dirigente generale dell’ARTA – dipartimento dell’ambiente con provvedimento n. 3083 il 13.4.2011.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2021 con l’intervento dei magistrati:Daniele Burzichelli, PresidenteGiuseppa Leggio, ConsigliereGustavo Giovanni Rosario Cumin, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE

Gustavo Giovanni Rosario Cumin   Daniele Burzichelli

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13. Il Consiglio di Stato sulla vicenda balneari: premiare il progetto non l’offerta economica di Niccoló Millefiori.

L’evidenza pubblica dei procedimenti di assegnazione delle concessioni demaniali marittime al vaglio del Consiglio di Stato (V Sez., 9 dicembre 2020, sent. n. 7837)Consiglio di Stato, Sez. V., 9 dicembre 2020, sent. n. 7837: L’evidenza pubblica prescritta ai fini dello svolgimento di procedure di assegnazione delle concessioni demaniali marittime non può essere ragguagliata alla sola disciplina del Codice dei Contratti Pubblici esaurendosi in essa; la medesima esigenza è, infatti, ugualmente garantita dal modello procedimentale previsto dagli artt. 37 del Codice della Navigazione e 18 Reg. att., perché soddisfa gli obblighi di trasparenza, imparzialità, rispetto della par condicio e confronto concorrenziale attraverso il meccanismo pubblicitario e gli oneri istruttori e motivazionali.1. Con la recente sentenza 9 dicembre 2020 n. 7837 il Consiglio di Stato – Sez. V ha

avuto modo di rendere importanti chiarimenti in merito alle procedure di assegnazione delle concessioni demaniali marittime nelle more della (ormai indifferibile) riforma della specifica materia da parte del Legislatore statale. In particolare, l’attenzione dei Giudici di Palazzo Spada si è focalizzata sulla idoneità o meno della disciplina posta dall’art. 37 del Codice della Navigazione e dall’art. 18 del relativo regolamento attuativo a garantire e soddisfare le finalità della evidenza pubblica in maniera conforme ai principi euro-unitari.

La controversia oggetto di esame ha avuto origine dalla procedura di assegnazione della gestione di un “Punto Blu” – consistente nell’attività di noleggio lettini, ombrelloni e attrezzature sportive per attività balneari nelle porzioni demaniali della costa specificamente individuate dall’autorità concedente – avviata dal Comune di Piombino mediante Avviso Pubblico del 29 gennaio 2018 e conclusa con l’impugnato provvedimento del Dirigente del Demanio Marittimo del 29 giugno 2018.Al riguardo, mette conto segnalare che la procedura de qua è stata svolta alla stregua della disciplina contenuta nel Regolamento comunale per l’uso del Demanio Marittimo (Delibera di Consiglio Comunale 23 maggio 2017, n. 46), a sua volta dichiaratamente ispirata al modello codicistico di cui ai citati articoli, caratterizzandosi per: a) la possibilità di attivazione della procedura ad istanza di parte; b) la pubblicazione integrale all’Albo Comunale e sul sito internet delle domande pervenute, con formale invito a tutti i soggetti interessati che possono avervi interesse a presentare osservazioni, opposizioni ed eventuali domande concorrenti; c) la necessaria partecipazione dell’Ufficio Urbanistica, dell’Ufficio Commercio e degli altri Uffici comunali competenti in relazione allo scopo della concessione; d) in caso di concorso di più domande, la indizione di una conferenza di servizi tra le Amministrazioni competenti al fine di individuare, secondo quanto stabilito dall’art. 37 Cod. Nav., l’istanza maggiormente rispondente alla proficua utilizzazione del bene demaniale.

2. All’esito dello svolgimento della procedura appena descritta, l’operatore economico classificato in seconda posizione in graduatoria – su istanza del quale era stata avviata la procedura – ha proposto ricorso dinanzi al T.A.R. per la Toscana avverso gli atti di gara per contestare l’operato dell’Amministrazione Comunale.

In particolare, i motivi di illegittimità prospettati dal ricorrente sono stati incentrati sulla violazione del principio della evidenza pubblica in relazione a due specifiche scansioni

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procedimentali: le proposte concorrenti non erano state presentate in busta chiusa e avevano addirittura costituito oggetto di pubblicazione in forma integrale all’albo pretorio e nel sito Internet comunale; la conferenza dei servizi aveva determinato e specificato i criteri di valutazione delle istanze soltanto a seguito della presentazione e pubblicazione delle domande, così formando la legge di gara quando le proposte erano già note.Con la sentenza 11 febbraio 2019, n. 215 il T.A.R. toscano ha accolto tali censure sviluppando la propria decisione in tre distinti passaggi logici sequenziali.In primo luogo, infatti, è stata richiamata la consolidata giurisprudenza formatasi in materia secondo cui in base al principio comunitario di concorrenzialità le concessioni demaniali, concernendo beni economicamente contendibili, devono essere affidate mediante procedura di gara.Successivamente, prescindendo dalla nota questione giuridica riguardante l’inapplicabilità del Codice dei Contratti Pubblici ai rapporti amministrativi in esame, è stato rilevato che nel caso di specie è lo stesso Regolamento comunale di Piombino (art. 24, co. 2) a prevedere espressamente che la realizzazione dell’attività dei “Punti Blu” avvenga “previa istanza e procedura di assegnazione con evidenza pubblica per la scelta del soggetto gestore”.Pertanto, in applicazione di tale disposizione il Comune è vincolato “a procedere secondo i principi di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento propri dell’evidenza pubblica, tra i quali non possono non essere ricompresi quelli che l’Amministrazione intimata non ha rispettato nel caso di specie, ovvero la ricezione delle proposte in busta chiusa e la previa determinazione dei criteri prima della loro apertura”.L’annullamento degli atti della procedura ha conseguentemente comportato l’obbligo per la Pubblica Amministrazione di rieditare l’assegnazione conformemente ai principi sopraindicati.

3. In sede di appello della sentenza di primo grado, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha correttamente inquadrato la questione giuridica sottoposta al proprio esame come verifica della sussistenza in capo al Comune di Piombino dell’obbligo di applicare il modello di procedura competitiva degli appalti pubblici ai fini della concessione delle aree demaniali marittime in parola. L’oggetto del giudizio è stato così incentrato, sotto altro punto di vista, sulla concreta configurabilità di un modello di evidenza pubblica alternativo a quello disciplinato dal D. Lgs. n. 50/2016.

È bene premettere che, nel risolvere un simile quesito di diritto, il Collegio ha inteso richiamare le conclusioni raggiunte nell’ambito di un proprio precedente avente medesimo oggetto (sentenza 16 febbraio 2017, n. 688) e, nello specifico, il rapporto tra le garanzie tipiche dell’evidenza pubblica e la predeterminazione dei criteri di valutazione delle offerte.In quella occasione era stato affermato che le domande per il rilascio dei titoli concessori de quibus si differenziano ontologicamente rispetto all’ipotesi tipica dei contratti pubblici sul rilievo che proprio il presupposto applicativo dell’art. 37 del Codice della Navigazione – “(n)el caso di più domande di concessione…”- implica la provenienza della domanda dal mercato, al contrario dei casi in cui è l’amministrazione stessa a rivolgersi a quest’ultimo.In tal senso, pertanto, l’applicabilità e la portata del principio della previa definizione dei criteri di valutazione delle offerte nella specifica materia di riferimento è stata valutata alla luce della norma speciale da ultimo richiamata, giungendo alla conclusione per cui “la concomitanza di domande di concessione prevista dall’art. 37 determina già di per sé una situazione concorrenziale che preesiste alla volontà dell’amministrazione di stipulare un contratto e […] pertanto non richiede le formalità proprie dell’evidenza pubblica”,  in

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quanto “la fissazione dei criteri in questo caso non (assolve) alla sua funzione tipica di assicurare un confronto competitivo leale, perché (viene) fatta quando le proposte di affidamento sono già state presentate”.Nel caso di specie, il Giudice ha poi effettivamente riscontrato la speciale condizione appena descritta, nonostante il fatto che la procedura indetta dal Comune di Piombino fosse stata preceduta da un avviso pubblico. Si era, infatti, trattato di un atto meramente propulsivo, incapace di orientare o conformare la platea dei partecipanti e le proposte di gestione, “(c)on l’effetto di lasciare al mercato una libertà di adesione all’avviso che è estranea alla fattispecie in cui è l’amministrazione che a esso si rivolge, fissando con il bando le modalità di partecipazione sotto ogni aspetto, anche temporale, nonché la specifica utilità che si intende ottenere”.        3.1. Oltre a ciò, secondo l’interpretazione dei giudici di Palazzo Spada, non può ritenersi che l’utilizzabilità del modulo procedimentale del Codice della Navigazione sia preclusa dalla previsione contenuta nel regolamento comunale secondo cui il gestore del bene demaniale marittimo deve essere individuato mediante “procedura di assegnazione con evidenza pubblica”.Contrariamente a quanto affermato con la sentenza di primo grado, l’evidenza pubblica non può essere ragguagliata al solo modus procedendi della contrattualistica pubblica; invece, un tale “richiamo intende garantire il corretto esercizio del potere pubblico, e questo è assicurato anche dal modello procedimentale previsto dagli artt. 37 Cod. nav. e 18 reg. att., cui si è attenuto lo stesso regolamento ancorché con i mutamenti derivanti dalla sua necessaria attualizzazione, che, come chiarito dalla ridetta sentenza della Sezione n. 688/2017, soddisfa gli obblighi di trasparenza, imparzialità, rispetto della par condicio e confronto concorrenziale, attraverso il meccanismo pubblicitario e gli oneri istruttori e motivazionali”.Tutto ciò in dichiarata continuità con l’indirizzo espresso già da tempo in materia di concessioni del demanio marittimo dal medesimo Consiglio di Stato (Sez. VI, 26 giugno 2009, n. 5765), secondo cui gli obblighi appena citati sono pienamente soddisfatti “da un efficace ed effettivo meccanismo pubblicitario delle concessioni in scadenza, in vista del loro rinnovo in favore del miglior offerente … all’evidente fine di stimolare il confronto concorrenziale tra più aspiranti …, da un accresciuto onere istruttorio in ambito procedimentale, nonché motivazionale in sede di provvedimento finale … ai fini di rendere effettivo il confronto delle istanze in comparazione … da cui emergano in modo chiaro, alla luce delle emergenze istruttorie, le ragioni ultime della opzione operata in favore del concessionario prescelto, in applicazione del criterio-guida della più proficua utilizzazione del bene per finalità di pubblico interesse”.3.2. Alla luce di tali argomentazioni, la V Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto di censurare la tesi del T.A.R. Toscana, il quale aveva imposto, come già esposto, al Comune di Piombino di ripetere la procedura di assegnazione mediante la coniugazione della disciplina del Codice della Navigazione con i principi della segretezza delle offerte e della predeterminazione dei criteri valutativi.La soluzione sarebbe, in vero, sostanzialmente impraticabile per un duplice ordine di considerazioni. Da un lato, la pubblicazione dei soli elementi identificativi (nome del richiedente, area richiesta in concessione, scopo) delle istanze di concessioni pervenute al Comune precluderebbe a chiunque vi fosse interessato di presentare opposizioni e osservazioni relativi alla dimensione progettuale delle domande; dall’altro, criteri di valutazione previamente determinati rispetto alla presentazione delle domande, “calandosi in una fattispecie non orientata”, non potrebbero che essere del tutto astratti e, quindi, insufficienti rispetto alla reale valutazione delle proposte concorrenti.

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Da tali considerazioni discende evidentemente, come rilevato dal Collegio, che “la strada prescelta dal primo giudice comporta non la coniugazione di principi desumibili da due diversi ordinamenti di settore dal medesimo prospettata, bensì la sostituzione del modello procedimentale del Codice della navigazione con quello regolato dal Codice dei contratti pubblici”.

4. In conclusione, è bene evidenziare che (come affermato anche nel richiamato precedente del 2017) la conformità del modello codicistico al diritto euro-unionale secondo la tesi propugnata dalla V Sezione risulta comprovata anche dal provvedimento della stessa Commissione europea di archiviazione della procedura di infrazione EU pilot n. 7019/14/Mark – Concessioni Porto di Trieste.

In quella occasione, infatti, la Commissione, dopo aver chiesto informazioni dettagliate alla Autorità Portuale di Trieste sulle procedure di evidenza pubblica svolte ai fini del rilascio di alcune specifiche concessioni demaniali, aveva avuto modo di accertare con cognizione di causa che la disciplina di cui agli artt. 36 e ss. del Codice della Navigazione e del relativo Regolamento di attuazione applicata nel caso di specie dall’Ente concedente soddisfa effettivamente le esigenze imposte dall’ordinamento UE.Alla luce di quanto sopra, la sentenza in commento è quindi destinata ad integrare un autorevole referente teorico-operativo per le Amministrazioni incaricate della gestione del demanio marittimo nella (persistente) attesa di una organica riforma della materia da parte del Legislatore statale; ovviamente, in esito alla rimozione del divieto imposto –  al dichiarato fine di contenere i danni, diretti e indiretti, causati dall’emergenza epidemiologica da COVID19 – dall’art. 182, co. 2, del D.L. n. 34 del 2020 “di avviare o proseguire … i procedimenti amministrativi … per il rilascio o per l’assegnazione, con procedure di evidenza pubblica, delle aree oggetto di concessione”.Resta così superata l’empasse amministrativa spesso riscontrata presso diversi Comuni che, pur avvertendo l’esigenza dell’evidenza pubblica per il rilascio dei titoli concessori, si sono ritrovati ad operare nelle ritenuta mancanza di una corrispondente disciplina procedimentale.Cons. Stato, V Sez, n. 7837 del 09.12.20

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