Università degli studi di Torino
Facoltà di Agraria
Corso di Laurea in Scienze Forestali e Ambientali
Relazione finale
“Influenza dell’abete rosso sulle caratteristiche del
suolo: relazioni con clima, roccia madre, fattori
antropici”
Relatore: Prof. Eleonora Bonifacio
Candidato: Francesco Albano
Anno Accademico 2005-2006
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1. Introduzione
2. L’abete rosso
2.1 Areale di distribuzione di Picea abies (L.) Karsten.
2.2 Autoecologia
3. Caratteristiche generali dei suoli sotto abete rosso
3.1 I suoli delle peccete
3.2 Caratteristiche generali della lettiera
3.3 Tipo di humus sotto Picea 3.4 Processi pedogenetici a carico degli orizzonti minerali
4. Materiali e metodi
4.1 Reperimento dei dati 4.2 Analisi e trattamento dati
5. Risultati ottenuti e discussioni
5.1 Il set dei dati
5.2 Sostanza organica e indici di mineralizzazione
5.3 pH
5.4 Capacità di scambio cationico e cationi scambiabili
6. Conclusioni
7. Origine dei dati
8. Bibliografia
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1
Introduzione
Il suolo viene prodotto per interazione fra litosfera, atmosfera, idrosfera, biosfera,
attraverso numerosi processi chimici, fisici e biologici che, agendo
simultaneamente o avvicendandosi, operano sinergicamente o in opposizione. Esso
costituisce l'ambiente fondamentale in cui vive e si sviluppa l’apparato radicale
della totalità delle specie arboree d'interesse forestale.
Il suolo si sviluppa in un sistema a diverso grado di complessità grazie ai processi
pedogenetici, e l'ampia varietà di materiale litologico da pedogenizzare, il clima, la
forma del rilievo, il fattore tempo e quello biologico, convergono portando
all’evoluzione dei profili e alla presenza di tipi di suoli differenti distribuiti in tutto il
mondo.
E’ noto quanto i suoli che abbiano mantenuto a lungo la copertura forestale rechino
traccia di una pedogenesi ampiamente influenzata dalla presenza stessa del
soprassuolo boschivo. Questo lavoro concerne l'influenza dell'abete rosso, la
conifera di maggiore importanza forestale in Italia e in Europa, sulle caratteristiche
dei suoli in cui vegeta, al fine di identificare quali siano i casi più tipici e quali i
fattori che, congiuntamente al peccio, influenzano le proprietà pedologiche.
4
2.
L’abete rosso
2.1 Areale di distribuzione di Picea abies (L.) Karsten.
Il genere Picea è rappresentato da un elevato numero di specie (quasi 40), a loro
volta divise in sezioni, che differiscono fra loro a seconda dei criteri adottati dagli
autori. Tutte le specie che lo compongono si collocano in zone temperate e
temperato-fredde, soprattutto nel Nord America e in Asia; già solo in Cina è
presente un terzo di tutte le specie del genere, che in taluni casi arrivano a
costituire dei rari endemismi.
Sul territorio eurasiatico vegeta abbondantemente l’abete rosso (Picea abies)
suddiviso, secondo la Flora Europea (Tutin et al. 1964), in due sottospecie: P.
abies subsp. abies, e P. abies subsp. obovata. Esso è ascrivibile alla sezione
Eupicea, la più importante per quanto riguarda l’Europa. Nel nostro continente le
specie spontanee sono solo due: Picea abies e Picea omorika.
P. abies è nativo dell’Europa ed ha una estesa area di distribuzione naturale,
spontanea, che può essere divisa in diversi settori. Il più rilevante è il settore
baltico-siberiano, incredibilmente ampio, particolarmente omogeneo e ben
conformato, perché comprende quasi tutta la Scandinavia, i Paesi Baltici, la Russia
centro-settentrionale fino agli Urali, dove raggiunge l’areale di Picea abies subsp.
obovata. Esiste una sottile linea di separazione che divide il settore appena
menzionato da quelli centroeuropei, e consta di un corridoio nella Polonia
settentrionale, la cosiddetta "disgiunzione polacca", che distingue popolazioni
derivanti da rifugi glaciali russi ed asiatici da altre provenienti dai rifugi glaciali
sud-est europei. Segue poi il settore carpatico-danubiano, che comprende le Alpi
Transilvane, i Carpazi, i Sudeti, l’Ers-Gebirge e la Selva Boema espandendosi a
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Nord nella Polonia meridionale, nella Slesia e nella Sassonia; giunge fino all’Austria
superiore. Un terzo settore è quello alpino-balcanico che, dalle Alpi attraverso i
Velebiti e le Alpi Dinariche, si estende fino alla Macedonia. Sono inoltre presenti
aree frammentate nella Francia orientale (Giura) e nella Germania sud-occidentale
(Selva Nera), sicuramente frammentazioni legate ai fenomeni glaciali e alla
ricolonizzazione.
In Italia l’areale comprende le Alpi, anche se il peccio è scarso nelle Alpi
occidentali, soprattutto nelle Alpi Cozie e Marittime, più i popolamenti spontanei
relitti. L'I.F.N.(1985) ha individuato 262.800 ha di boschi a dominanza di abete
rosso abete rosso.
Nelle regioni alpine, la massima concentrazione si ha in Trentino Alto Adige, con
144.000 ha. Sull’Appennino i popolamenti relitti sono due: alla Foce di Capolino
nella foresta dell’Abetone (Chiangi, 1936; Giannini e Screm, 1977) e uno, più
piccolo, nell’Appennino reggiano al Passo del Cerreto (Chiangi, 1958). La sua
diffusione sul nostro territorio deriverebbe dalla ricolonizzazione, avvenuta dopo
l’ultima glaciazione, a partire appunto da stazioni-rifugio appenniniche.
L’uomo ha favorito Picea rispetto alle altre specie arboree, durante gli ultimi secoli,
perché questa ha una maggiore produzione; di conseguenza l’areale di questa
specie si è notevolmente allargato rispetto a quello spontaneo.
2.2 Autoecologia
Sandro Pignatti (1998) ha tracciato quelle che sono le condizioni per la formazione
di foreste naturali di Picea abies, evidenziando che l’area naturale appartenente
all’abete rosso è una fascia a spiccata continentalità, in cui la temperatura media
annua si aggira intorno ai 4-7°C. Nel nostro paese queste condizioni si hanno ad
una quota di circa 1500-1700 m (peccete subalpine). Solitamente lo si trova ad
altitudini di circa 1200-1500 m (peccete montane), può scendere sotto gli 800, ma
solo in condizioni particolarissime. L’area di vegetazione corrisponde alla zona
fitoclimatica del Picetum (Pavari), ma sono frequenti, come appena indicato, le
discese di peccio a quote inferiori (Fagetum, Castanetum) e anche più in basso, se
il clima è sufficientemente piovoso. Naturalmente, con l’aumentare della latitudine
il clima cambia, vi sono situazioni molto diverse, fino ad arrivare alla fascia boreale
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delle foreste di conifere di Russia e Scandinavia (dove Picea abies è assai diffusa).
Sempre Pignatti descrive le caratteristiche di questi climi, dove la temperatura
media annua oscilla fra i 2-4°C, con precipitazioni medie annue comprese fra i
500-600 mm. La temperatura in inverno è molto bassa (fino a –30°C).
Come si è visto, il peccio è caratteristico di climi ad impronta continentale, le cui
escursioni termiche sono molto elevate, ma soprattutto è una specie microterma,
vale a dire che tollera senza particolari problemi temperature che scendono fino a
–35°C/-40°C. Se il limite di sopportazione si aggira attorno temperature medie
annue di 1-1,5°C, l'optimum invece è di 3, 6-7°C medi annui, a differenza di abete
bianco e faggio. Gli inverni miti oceanici, le estati calde dei climi montani
meridionali risultano deleteri. In questi climi il peccio presenta un legno tenero,
con anelli più larghi, soggetto a marciume e stroncamento. Questi sono i principali
fattori limitanti la sua diffusione.
Nei riguardi dell’illuminazione, la Picea è una specie di mezz’ombra, comunque
meno sciafila di Abies alba. Sopporta allo stato giovanile un ombreggiamento
prolungato, naturalmente in presenza di altri fattori favorevoli, come una adeguata
disponibilità di acqua. E in fatto di necessità idriche questa essenza arborea è
molto esigente e sensibile ai danni derivati da annate siccitose. Richiede piogge
frequenti durante il periodo estivo, comprese tra 350 e 500 mm.
Le caratteristiche fisiche delle radici associate al rifornimento di acqua a volte
possono rappresentare un problema; infatti, suoli che favoriscono una eccessiva
percolazione delle acque meteoriche e superficiali ostacolano l’approvvigionamento
idrico delle radici e mettono a dura prova la sopravvivenza del peccio, a meno che
l’umidità atmosferica della stazione non sia tanto favorevole da compensare tale
situazione. Questo è dovuto all’apparato radicale poco approfondito, che non
possiede un grosso fittone principale, bensì accresce le radici laterali di secondo e
terzo ordine che si approfondiscono debolmente, e a maturità si mantengono più in
superficie, mentre le radici di ordine inferiore scendono più in basso. Perciò la
potenza dell’apparato, intesa anche come capacità di trattenimento del suolo, e
nella fattispecie come capacità di ottimizzare l’utilizzo dell’acqua presente
nell’immediato, non è rilevante.
Si dimostra in tale maniera come l’abete rosso sia una specie poco elastica in fatto
di economia di acqua, soprattutto se confrontato con pino silvestre e larice. Ad
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esempio, Bernetti (1995) evidenzia quanto i boschi di abete rosso dimostrino una
traspirazione annua superiore a quelli di pino silvestre, in ragione di circa 390-450
mm, rispetto ai 240-300 mm delle pinete.
Dal punto di vista edafico è invece una specie plastica e può crescere bene su suoli
a reazione acida e su suoli carbonatici. Non tollera però i terreni troppo degradati,
paludosi (idromorfi), i substrati minerali non evoluti. Come mostrato da Giordano
(1999) Picea abies è in sintesi abbastanza indifferente ai diversi suoli (peccete
acidofile, basifile, mesotrofiche, ecc..), ciò nondimeno predilige i versanti esposti a
nord, proprio a causa del suo elevato fabbisogno idrico, e preferisce i suoli
tendenzialmente acidi, dove vi è minor concorrenza tra i vegetali.
Le tipologie forestali di abete rosso riscontrabili, almeno per quanto concerne il
territorio italiano, sono essenzialmente due: peccete montane e peccete subalpine.
Le prime sono particolarmente diffuse (tipicamente fra i 1300-1500 m), ma la loro
distribuzione è dovuta soprattutto all'uomo, che ha favorito la formazione di questa
associazione a scopo produttivo, a scapito di abete bianco e faggio. Le peccete
montane infatti generalmente occupano la fascia ecologica del faggio e quella dove
invece dovrebbero esserci boschi misti di abete bianco e faggio. Un altro motivo
che indirettamente ha favorito la diffusione di abete rosso a queste quote, è
dovuto ad attività forestali come la raccolta della lettiera, che ha causato un certo
impoverimento e acidificazione del suolo.
8
3
Caratteristiche generali dei suoli sotto abete rosso
E’ noto che la copertura forestale esercita una notevole influenza sulle
caratteristiche del suolo. Radici e lettiera determinano un aumento della porosità
del suolo, con una maggiore capacità di ritenzione idrica, propria degli orizzonti più
superficiali dei suoli forestali. L’apporto di sostanza organica abbondante fa sì che il
peso specifico apparente tenda a diminuire mentre si ha un aumento del grado di
struttura degli orizzonti superficiali, anche grazie all’attività della pedofauna.
Importantissima è soprattutto la formazione di determinati tipi di humus, poiché
ne deriva un diverso ruolo della sostanza organica nei vari processi pedogenetici.
3.1 I suoli delle peccete
Volendo tratteggiare a grandi linee le caratteristiche più frequenti del suolo di una
pecceta, in prima battuta va detto che, sotto peccio, lo sviluppo della lettiera e
dell’humus è elevato, la rinnovazione è lenta. Questa essenza, unitamente ad un
regime di umidità di tipo udico e ad un regime termico cryico e talvolta frigido-
cryico, favorisce una pedogenesi che tende alla podzolizzazione. Affinché il
processo sia pienamente espresso, occorre però considerare il tipo di substrato su
cui evolve il suolo e la conseguente tipologia di formazione vegetale.
Giordano (2002) elenca una ripartizione delle tipologie di peccete, individuando fra
esse le più importanti: peccete acidofile su substrati cristallini, e peccete basifile
su matrice carbonatica.
Per quello che riguarda le peccete acidofile, i suoli che si possono formare su rocce
silicatiche appartengono all’ordine degli Spodosuoli. Il profilo di uno Spodosuolo
tipico di un ambiente rappresentato da una vegetazione formata da peccio, o più
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generalmente da conifere con sottobosco di ericacee, e con precipitazioni medie
annue elevate, è per lo più costituito da un orizzonte O, da un orizzonte minerale
A, caratterizzato da bassi valori di pH e da un elevato rapporto C/N; segue un
orizzonte E di colore grigio cenere, e un Bs di colore rosso-giallastro dovuto
all’accumulo di ferro e alluminio complessati da sostanza organica. In condizioni
poco favorevoli alla podzolizzazione invece si trovano suoli bruni poco evoluti,
Ranker o suoli bruni colluviali, tutti riconducibili all’ordine degli Entisuoli. Quando
le condizioni stazionali permettono una maggiore evoluzione, ma non portano alla
podzolizzazione, i suoli presentano caratteristiche tipiche degli Inceptisuoli con
orizzonte A di tipo umbrico o ochrico.
Le peccete basifile presentano un profilo molto influenzato da un orizzonte
umifero visivamente molto scuro, acido, che conferisce al suolo secondo una
vecchissima classificazione la denominazione di Tangel-rendzina. La
podzolizzazione nella fattispecie è contrastata dalla presenza del calcio, in quanto i
meccanismi che presiedono al processo di formazione di un Podzol sono scatenati
da una serie di condizioni favorevoli, fra le quali primeggia la roccia madre acida.
Invero è anche possibile la formazione di uno Spodosuolo a partire da una roccia
madre non acida, ma solamente in seguito a lisciviazione di cationi basici,
processo generalmente favorito da un clima freddo e fortemente piovoso.
Se dunque l’influenza che l’abete rosso esercita sulle caratteristiche del suolo
rappresenta l’oggetto di studio del presente lavoro, sarà opportuno inquadrare in
primo luogo le caratteristiche di ciò che al suolo perviene direttamente e che,
nell’ambito della trasformazione della sostanza organica, rappresenta la prima
“tappa”: la lettiera, e successivamente i processi che, anche grazie a tale lettiera,
avvengono negli orizzonti minerali.
3.2 Caratteristiche generali della lettiera
Ciò che partecipa alla costituzione della frazione organica del suolo si può
grossolanamente dividere in sostanza organica viva e morta (biomassa e
necromassa). Dal punto di vista pedogenetico è la sostanza organica morta la più
rilevante perché subisce delle importanti trasformazioni chimico-fisiche, mediate
da organismi, che permettono la riutilizzazione degli elementi nutritivi presenti
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nelle strutture organiche, e quindi il riciclaggio dei nutrienti organicati. La sostanza
organica morta si distingue a sua volta in: particolato (POM), sostanza organica
solubile in acqua (SOM), humus, frazione inerte (Baldock e Skjenstad, 1999)
Sotto il termine di sostanza organica particolata s’intendono i frammenti organici
con una struttura cellulare ancora riconoscibile. Le interazioni con la frazione
minerale sono praticamente assenti e, conseguentemente, la densità di questa
frazione è bassa e tale da permettere la sua separazione per flottazione in acqua.
La lettiera rappresenta il primo stadio di trasformazione della sostanza organica
dei vegetali. Consiste nello strato di materiali vegetali morti sopra la superficie del
suolo, vale a dire foglie, semi, ramoscelli. A grandi linee è possibile affermare che
il costituente più presente nella lettiera è la cellulosa, un polisaccaride organizzato
in microfibre e costituito da lunghe catene di polimeri di glucosio. Seguono le
emicellulose e le lignine.
L’abete rosso produce una lettiera che determina cambiamenti nell’acidità del
suolo, nella struttura, nelle forme di humus: tutti effetti comunemente attribuibili
alla lenta deteriorabilità degli aghi restituiti al suolo. Messo a confronto con una
lamina erbacea, il microfillo è sostanzialmente più ricco di lignina, di composti
polifenolici, di cere, di costituenti vegetali generalmente di difficile degradazione e
poco appetiti alla popolazione batterica, che privilegia materiali ricchi in cellulosa e
viene esaltata dalla disponibilità di azoto. Pertanto ne ricaveranno nutrimento i
funghi saprotrofi che meglio si adattano ad utilizzare un substrato povero di
cellulosa e che necessita di maggior consumo energetico per la demolizione.
Quello che resiste all’ossidazione costituisce fondamentalmente una frazione
ligninica, ed è a partire dalla lignina che si possono avere processi di
polimerizzazione o neosintesi.
La sostanza organica morta che non viene mineralizzata in tempi brevi fino a
composti molecolari e ionici, passa attraverso tappe intermedie, caratterizzate da
processi di risintesi e policondensazione, e viene trasformata in macromolecole di
neogenesi di natura chimica assai complessa comunemente indicate come
sostanze umiche. La velocità di mineralizzazione dipende dalle condizioni
ambientali e dalla stabilità strutturale dei costituenti i substrati organici: una
lettiera scarsamente decomponibile come quella del peccio, la cui restituzione al
suolo eccede la mineralizzazione, si altera lentamente e libera poco azoto dando
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origine ad un humus fortemente acido.
Un parametro utile a valutare il grado di alterabilità della sostanza organica è il
rapporto C/N che, da un lato, fornisce informazioni circa la percentuale di azoto
nei materiali organici, dall’altro tramite la valutazione del suo andamento, stima
l’anidride carbonica prodotta durante la mineralizzazione. Il rapporto C/N
rappresenta il grado di decomposizione della sostanza organica nel suolo e di
conseguenza la disponibilità di azoto fruibile per la pedofauna. Questo indica che,
ad esempio, materiali organici con un valore di C/N maggiore di 30, paragonati
con altro materiale con rapporto C/N pari a 20, sono caratterizzati da maggiore
quantità di azoto immobilizzato e non ancora fruibile per gli organismi fintanto che
il carbonio non viene ossidato.
Per una prateria o un incolto i valori di C/N si aggirano attorno a ∼15, rapporto che
si stabilizza quando mineralizzazione e umificazione si eguagliano. In questo
frangente rispetto ad un suolo forestale aumentano l’insolazione e l’aerazione degli
strati più superficiali; viene favorita quindi l’ossidazione. Sotto copertura di
latifoglie il rapporto sale a valori compresi tra 15 e 20 e nel caso dell’abete rosso il
valore di C/N può oltrepassare largamente 20, dipendendo fortemente dall’apporto
iniziale di sostanza organica e dall’alterabilità dei microfilli.
3.3 Tipo di humus sotto Picea
L’humus alla superficie del suolo presta il suo contributo alla creazione di
microhabitat collegati alla vita della pedofauna e a quella della vegetazione. E’
strettamente legato al suolo sottostante la lettiera e rappresenta, ecologicamente
parlando, un continuum tra orizzonti organici e minerali. Importante è soprattutto
il ruolo che l’humus svolge nella dinamica degli orizzonti organo-minerali: la
formazione dell’humus garantisce infatti un più graduale rilascio delle sostanze
nutritive nel suolo, evitandone perdite significative
Varie specie di funghi e di procarioti degradano i diversi componenti organici
scindendoli in sostanze più semplici: le proteine in aminoacidi, i polisaccaridi in
monosaccaridi, la lignina in chinoni. L’humus è una ricombinazione di polisaccaridi
con chinoni, aminoacidi, aldeidi, composti complessi di nuova sintesi operata da
microrganismi del suolo. I siti reattivi sono quelli che contengono i gruppi –COOH,
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--NH2, --OH e, grazie alla presenza di metalli polivalenti, sono possibili interazioni
con i colloidi argillosi.
Fanno parte della sostanza organica umificata gli acidi crenici e gli acidi
imatomelanici, che sono i precursori delle sostanze umiche (Duchaufour, 1983), gli
acidi fulvici, gli acidi umici, l’umina di insolubilizzazione e microbica, i complessi
umo-argillosi. In ordine decrescente di polarità, e in ordine crescente in
dimensioni, le sostanze umiche più rappresentate si distinguono in: acidi fulvici,
acidi umici, umina. Secondo una delle teorie accreditate, gli acidi fulvici si
ottengono per degradazione chimica degli acidi umici, sono più ricchi in ossigeno e
quindi più reattivi grazie alla maggiore presenza di gruppi carbossilici rispetto alle
altre sostanze umiche. Essi inducono una elevata mobilità dei cationi, inoltre si
dissociano facilmente e possono liberare quantità importanti di protoni.
Gli acidi umici hanno un peso molecolare più elevato, più nuclei aromatici rispetto
agli acidi fulvici, sono ottimi agenti aggreganti poiché interagiscono più facilmente
con le sostanze minerali. Il loro contributo all’acidificazione del suolo è modesto.
Le umine sono invece composti insolubili, strettamente associati alla frazione
minerale, con bassa acidità totale, dovuta prevalentemente a gruppi fenolici e
costanti di dissociazione acida molto basse.
Un altro importante parametro di caratterizzazione delle sostanze umiche,
riguarda il rapporto acidi fulvici/acidi umici. Gli acidi umici si formano soprattutto
in suoli ricchi di basi con pH da subacido ad alcalino. Gli acidi fulvici si formano ove
la decomposizione della materia organica è operata da funghi. Poiché si tratta di
acidi deboli, la loro dissociazione è controllata dal pH della soluzione.
L’humus che si sviluppa sotto peccio è tipicamente un Moder oppure un Mor, più
ricchi in acidi fulvici rispetto ad humus propri delle praterie, o dei boschi di
latifoglie, in cui prevalgono gli acidi umici. Va comunque detto che la stessa specie
può determinare effetti pedogenetici diversi a seconda di tutto l’insieme di
caratteristiche della stazione. Una ricerca condotta nella foresta di abete rosso di
Panaveggio, al fine di delineare l’evoluzione dei suoli e degli humus nei diversi
piani altimetrici e sulle differenti litologie (Mancini, 1959), fornisce alcuni dati
inerenti i tipi di humus che si possono rinvenire sotto peccio. In una pecceta su
porfidi quarziferi si hanno principalmente humus Moder con rapporto C/N > 20, e
pH mediamente intorno a 4,5-5,0, oppure humus di tipo Mor con rapporto C/N >
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30 e pH di 4,0-4,5 a formare una coltre nettamente separata dal suolo minerale,
fisiologicamente arido durante l’estate.
Quando il substrato è meno acido, si ha un humus di tipo Moder o un Mull
forestale caratterizzato da un rapporto C/N <20 e da un pH ∼5. In questi suoli vi è
inoltre un intimo mescolamento di parte organica e minerale, e la lettiera presenta
minori segni di accumulo.
Giordano (2002) afferma che con humus di tipo Mor, in cui la mineralizzazione
dell’humus è molto lenta e libera poche basi e poco azoto, viene favorita la
podzolizzazione. A causa della mineralizzazione lenta, gli orizzonti minerali si
impoveriscono gradualmente mentre il ciclo biologico si localizza sempre più nei
soli orizzonti umiferi superficiali.
3.4 Processi pedogenetici a carico degli orizzonti minerali
Generalmente sotto peccio si accerta la presenza di suoli acidi con orizzonte
spodico caratterizzato da accumulo illuviale di materiale amorfo ad elevata carica
pH-dipendente, costituito da complessi organo-minerali (Violante, 1996) .
Numerose sono le teorie che spiegano il fenomeno di eluviazione-illuviazione dei
complessi organo-minerali, ma certamente le variazioni di pH giocano un ruolo
fondamentale. I colloidi organici sono infatti maggiormente mobili alle condizioni di
maggiore acidità dell’orizzonte E, e possono venire immobilizzati a seguito di
leggeri innalzamenti di pH che si verificano più in profondità nel profilo. Una
ulteriore causa di immobilizzazione è dovuta alla saturazione del complesso
organo-minerale. Durante il processo di podzolizzazione ferro e alluminio si legano
con la sostanza organica, ma da principio in misura insufficiente a neutralizzare
tutte le cariche disponibili sulle molecole organiche, per cui i complessi organici
rimangono in soluzione. Man mano che i chelati sono traslocati in profondità
complessano altri cationi di ferro e alluminio, finché non raggiungono un rapporto
massa/carica tale per cui precipitano in un orizzonte Bs, nel quale si accumulano.
Gli Spodosuoli sono legati alla piovosità, al clima e possono localizzarsi alle
latitudini più disparate. Il primo carattere diagnostico che permette di riconoscere
tali suoli consta nella morfologia. L’orizzonte albico, o di eluviazione, ha un aspetto
che ricorda la cenere, è più chiaro, mentre l’orizzonte spodico è più scuro,
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rossastro. Nella maggior parte dei sistemi di tassonomia del suolo, il Bs è più
diagnostico rispetto all’orizzonte E, dato che quest’ultimo sovente può subire
l’influenza degli interventi in bosco, e può venire anche completamente asportato
in caso di schianti (Ugolini, 1982).
Sovente il processo di podzolizzazione si manifesta dopo fasi evolutive più
generiche, quali quelle visibili negli Entisuoli o negli Inceptisuoli. Quando, grazie
alla combinazione di vegetazione, roccia madre e clima, si verifica sia la
diminuzione di pH, sia la complessazione di ferro e alluminio rilasciati dalla frazione
minerale del suolo ad opera dei composti umici dissociati rilasciati dagli orizzonti
organici, l’orizzonte A incomincerà a subire un processo di eluviazione di chelati,
comparirà un orizzonte eluviale, e la tappa pedogenetica conseguente porterebbe
l’Inceptisuolo ad essere un Podzol.
Poi, a seconda delle peculiarità della stazione, le ulteriori evoluzioni che un Podzol
potrà intraprendere sono innumerevoli. Se il processo continua per tempi
sufficientemente lunghi, l’orizzonte A può scomparire e trasformarsi
completamente in E (Bonifacio et al, 2006) e l’orizzonte Bs può ulteriormente
differenziarsi in zone più o meno ricche di materiale organico illuviale (e.g. Bhs).
In Italia i casi simili sono abbastanza rari (Previtali, 2002).
15
4.
Materiali e metodi
4.1 Reperimento dei dati
Il reperimento di dati si è concretizzato principalmente tramite consultazione di
pubblicazioni relative a diverse riviste scientifiche, accessibili in internet solo
mediante i terminali della Facoltà. Per quanto riguarda le pubblicazioni antecedenti
la metà degli anni Novanta, non essendo possibile accedervi mediante internet, si
è dovuto ricorrere alla consultazione di raccolte di pubblicazioni inerenti le
medesime testate scientifiche, presenti nelle biblioteche dei dipartimenti di
Facoltà.
Il criterio generale con cui è stata condotta la ricerca ha comportato, in primo
luogo, l’esame sommario dell’introduzione degli articoli, questo per accertare che
essi costituissero effettivamente lavori inerente stazioni di Picea abies per lo più in
purezza. Secondariamente si è passato alla ricerca dei dati analitici connessi
rigorosamente alle proprietà del suolo, questo perché nella maggior parte dei casi
essi si riferivano all’analisi della soluzione del suolo, parametro di difficile
comparazione tra stazioni diverse e metodologie di estrazione diverse, oppure
della necromassa.
Successivamente si è creato un data base di partenza convertendo le unità di
misura, fortemente disomogenee nei lavori, in quelle peso/peso normalmente in
uso in ambito pedologico. Nel data base sono state inserite inoltre le variabili
stazionali più indicative del tipo di pedogenesi, come roccia madre e parametri
climatici. Qualora il lavoro scientifico non riportasse i dati climatici, essi sono stati
valutati tramite l’Agro-climatic Atlas of Europe, (Thran e Broekhuizen, 1965) e il
sito della FAO, che però ha fornito solo dati di massima.
16
4.2 Analisi e trattamento dati
I dati inseriti nel foglio di calcolo sono stati sottoposti ad analisi statistica uni e
multivariata utilizzando le procedure previste dal package SPSS.
Le analisi hanno previsto sia valutazioni descrittive, inerenti quindi la valutazione
di medie e dispersione delle variabili, sia procedure più complesse che miravano,
tramite regressioni, ad individuare e a confermare relazioni di dipendenza o
associazioni tra variabili.
Ulteriori valutazioni sono poi state effettuate tramite analisi della varianza in modo
da individuare diversità tra gruppi di casi in funzione di caratteristiche podologiche,
quali ad esempio la tipologia di orizzonte, o stazionali, come il substrato litologico o
la piovosità.
In tutti i casi è stata valutata la significatività statistica delle analisi effettuate,
tramite i test normalmente usati.
17
5.
Risultati e discussione
5.1 Il set dei dati
Il data set si presenta costituito da 33 siti distribuiti fra la Russia e tutta l’Europa
de Nord, oltre a due siti negli stati nordamericani dell’Illinois e del Connecticut.
Gran parte di essi è situata in Repubblica Ceca, Svezia, Germania, Danimarca,
Russia, Alpi Orientali, Austria (figura 1).
Figura 1: dislocazione dei siti
Per ognuno di essi si hanno informazioni riguardo parametri climatici: regime
idrico, regime termico, piovosità, temperatura; litologia, età media del
popolamento arboreo di peccio, descrizione del profilo pedologico: profondità,
spessore dell’orizzonte, tipo di orizzonte. La tabella 1 mostra il numero e i tipi di
orizzonte riscontrati.
18
23%
29%7%
33%
8%
OAEBC
Tipo di orizzonte casi
O 79
A 67
E 21
B 92
C 18
Totale 277
Tabella 1: Numero e tipi di orizzonte Figura 2: Percentuale e tipi di orizzonte
Considerando che ad ogni sito possono corrispondere più profili di suolo, la
valutazione ha compreso un totale di 52 pedon. I dati disponibili sono relativi a
pH, carbonio e azoto, rapporto C/N, calcio e alluminio solubile, densità, calcio e
alluminio scambiabili, rapporto Ca/Al, calcio e alluminio totali, capacità di scambio
cationico (Tabella 2). Negli articoli utilizzati tali caratteristiche chimiche erano
espresse, nella maggior parte dei casi in concentrazioni (p/p), solo in pochi casi
venivano utilizzati i valori espressi in massa/unità di superficie (kg/ha); in tal
caso è stata operata una conversione, utilizzando il dato di densità riportato
nell’articolo, mentre non è stata possibile la conversione inversa, anche se di
notevole interesse da un punto di vista ambientale, in quanto i dati di densità
erano comunque poco frequenti (Tabella 2).
19
Tabella 2: Parametri statistico descrittivi delle variabili disponibili
Per quanto riguarda il fattore litologico, nel data set erano originariamente presenti
molteplici tipologie di roccia madre; al fine di permetterne l’analisi, si è provveduto
alla classificazione del substrato in roccia madre acida, basica e a litologia mista,
raggruppando, sotto la categoria delle rocce acide, gli gneiss e i graniti; sotto la
categoria roccia basica sono state raggruppate le rocce carbonatiche e le
serpentinitiche, mentre sotto il raggruppamento delle rocce a litologia mista sono
stati inseriti, ad esempio, i substrati di origine morenica, fluvioglaciale, i Loess, le
formazioni a molassa (tabella 3).
Parametri Totale
casi
Media Range Dev.std
Temperatura °C 260 5,3 0-11,6 2,7
Piovosità mm 274 965,1 500-1600 314,4
Età popolamento anni 249 92,7 1,0-200 57,5
pH 244 4,6 2,7-8,0 0,9
C % 206 13,5 0,03-58,2 17,4
N % 183 0,5 0,01-2,3 0,6
C/N 197 21,1 3,6-51,0 10,5
CSC meq/100 g 152 16,2 1,7-69,3 14,7
Calcio scambiabile meq/100g 164 3,0 0-17,5 4,1
Alluminio scambiabile meq/100g 75 4,0 0,04-10,1 2,4
Ca/Al 65 0,4 0-7,05 0,9
Alluminio totale 12 0,3 0-0,9 0,3
Calcio solubile ppm 6 44,5 8,2-76,0 29,7
Alluminio solubile ppm 6 127,3 10,9-264 119,5
Densità 18 0,9 0,20-1,59 0,4
20
Substrato litologico Casi
Granito 8 Litotipo acido
Gneiss 6
Carbonati 4 Litotipo basico
Serpentino 1
Arenarie 3
Morene 12
Fluvioglaciale 10
Molassa 1
Glaciale 2
Flysch 2
Loess 1
Litotipo misto
Scisti 2
Tabella 3: Raggruppamento del substrato
5.2 Sostanza organica e indici di mineralizzazione
L’andamento del carbonio organico in funzione della tipologia di orizzonte evidenzia
un netto accumulo nell’orizzonte O (37,7%), che risulta significativamente diverso
(p<0,001) dagli orizzonti minerali sottostanti, i quali non mostrano differenze tra
loro (figura 3): il carbonio decresce con la profondità, passando da valori medi di
poco superiori al 5% in A, a valori inferiori a 1% negli orizzonti C.
21
b
a
b b b0
10
20
30
40
50
60
O A E B C
C%
Figura 3: Valori di C% negli orizzonti.
Lettere differenti corrispondono a gruppi significativamente diversi con p<0,05.
Per evidenziare se l’accumulo di sostanza organica nell’orizzonte O fosse legato a
parametri climatici, si è provveduto a cercare eventuali correlazioni tra la piovosità
media annua e il contenuto in carbonio organico. Come visibile dalla figura 4,
nell’orizzonte O non è presente alcuna correlazione, e alla stessa piovosità media
possono corrispondere orizzonti con contenuto di carbonio variabile da 20 a 50%.
La medesima situazione si verifica negli orizzonti A, E, e C, mentre una debole, ma
altamente significativa correlazione è stata evidenziata per l’orizzonte B (r=0,376,
p<0,001).
0,00
10,00
20,00
30,00
40,00
50,00
60,00
70,00
0 500 1000 1500 2000
Piovosità
C%
Figura 4: Valori medi di C% negli orizzonti O in relazione alla piovosità media annua
22
Ciò potrebbe essere legato a fenomeni di eluviazione-illuviazione nell’orizzonte
spodico, dove vi è accumulo illuviale di complessi metallo-organici. La presenza di
Spodosuoli nel database utilizzato è infatti notevole, con il 22,8% degli orizzonti B
rappresentati da B spodici (figura 5), e il fenomeno di accumulo di complessi
organo minerali nell’orizzonte Bs, fino a trasformarlo in Bhs, avviene dove la
quantità di acqua disponibile per la traslocazione dei complessi è abbondante. E’
ovvio che precipitazioni abbondanti non sono di per sé sufficienti, ed è
fondamentale che ad esse sia abbinato un drenaggio non impedito, ma non è
stato possibile con i dati a disposizione evidenziare anche questo parametro.
6,50%
16,30%
77,20%
BshBsBw, Bt, BC
Figura 5: orizzonti Bs e Bhs sulla totalità degli orizzonti B
Successivamente è stato preso in considerazione l’effetto della roccia madre sulla
concentrazione di carbonio organico, al fine di comprenderne l’influenza nell’ambito
dei vari orizzonti. L’effetto è statisticamente significativo (p<0,01) negli orizzonti O
e B, è evidente dai dati riportati in tabella 4 che: maggiori contenuti di sostanza
organica sono presenti in suoli che si sviluppano su roccia madre acida, a conferma
di quanto riportato in letteratura circa la minore attività degradativa in ambiente
fortemente acido.
23
Orizzonte O N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 44 40,0 12,0 58,2 10,7
Roccia madre basica 5 39,7 32,3 45,8 5,8
Litologia mista 15 30,3 17,8 44,7 8,1
Orizzonte A N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 15 6,8 1,4 18,7 4,9
Roccia madre basica 3 2,5 1,8 3,24 0,7
Litologia mista 29 4,7 0,7 14,6 3,7
Orizzonte E N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 7 2,0 1,0 4,9 1,4
Roccia madre basica - - - - -
Litologia mista 10 2,3 0,3 6,6 2,5
Orizzonte B N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 20 2,8 0,60 11,6 2,6
Roccia madre basica 6 0,6 0,04 2,5 0,9
Litologia mista 13 0,8 0,03 4,2 1,0
Orizzonte C N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 6 1,0 0,6 2,3 0,7
Roccia madre basica 0 - - - -
Litologia mista 3 0,1 0,1 0,2 0,05
Tabella 4: Carbonio organico in relazione alla litologia e al tipo di orizzonte
Il rapporto C/N è un buon indice di mineralizzazione-umificazione della sostanza
organica, in quanto si abbassa con l’ossidazione del carbonio e la conseguente
emissione di CO2. Come è evidente dalla figura 6, il rapporto C/N ha un andamento
molto meno regolare di quello del contenuto in C: valori elevati sono presenti,
come atteso, negli orizzonti O, ma anche nell’orizzonte E, e queste due tipologie di
orizzonte sono significativamente diverse dalle altre (p<0,001). I dati ottenuti
suggeriscono che nel data set sono presenti podzol ad elevato grado evolutivo,
quindi in base al processo descritto nel paragrafo 3.4 di pagina 12, l’orizzonte E
costituisce il primo orizzonte minerale. In Italia Nord Occidentale tale situazione
non è presente, ma è piuttosto comune in molte zone dell’Europa centrale.
24
a
aba
b b
0
10
20
30
40
50
O A E B C
C/N
Figura 6: Valori medi di C/N negli orizzonti
Lettere differenti corrispondono a gruppi significativamente diversi con p<0,05.
Successivamente è stato preso in esame l’andamento del rapporto C/N in funzione
della piovosità media annua. Se si considerano gli orizzonti O, è presente una
correlazione negativa, altamente significativa; se però dall’analisi vengono esclusi i
siti russi e siberiani, caratterizzati da livelli di piovosità estremamente bassi di un
clima continentale freddo, la significatività della correlazione scompare (p=0,494,
figura 5). I valori elevati di C/N nei siti russi e siberiani sono presumibilmente
causati dalle basse temperature, che limitano l’alterazione della sostanza organica,
e forse anche dal fatto che buona parte delle precipitazioni potrebbe essere di tipo
nevoso.
0,00
10,00
20,00
30,00
40,00
50,00
60,00
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800
Piovosità
C/N
Figura 7: Valori medi di C/N negli orizzonti O in funzione della piovosità media annua
25
La tabella 5 mostra il rapporto C/N in relazione alla litologia, che evidenzia
differenze significative negli orizzonti A e B. E’ però da notare come un valore
particolarmente elevato nel caso di litologia mista possa alterare la bontà
dell’analisi.
Orizzonte O N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 39 24,9 16,3 44,0 5,2
Roccia madre basica 3 29,3 29,0 30,0 0,6
Litologia mista 24 26,9 16,3 46,2 4,6
Orizzonte A N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 15 15,0 7,1 21,0 3,7
Roccia madre basica 2 11,7 9,9 13,4 2,4
Litologia mista 32 21,2 7,0 41,0 8,8
Orizzonte E N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 5 18,0 11,2 24,7 6,3
Litologia mista 14 26,9 3,6 51,0 10,7
Orizzonte B N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 18 15,4 7,6 26,3 4,3
Roccia madre basica 5 6,5 4 8,2 1,7
Litologia mista 33 17,4 9,4 38,0 6,6
Orizzonte C n media minimo massimo Dev.std
Roccia madre acida 5 12,8 8,4 16,0 3,7
Roccia madre basica 0 - - - -
Litologia mista 1 16,7 16,7 16,7 -
Tabella 5: Rapporto C/N in relazione alla litologia e al tipo di orizzonte
5.3 pH
L’andamento del pH in funzione degli orizzonti (figura 8) mostra una forte
acidificazione della sommità del profilo: per gli orizzonti organico ed eluviale il
valore medio del pH è praticamente identico, e corrisponde a 4,2, mentre il valore
relativo all’orizzonte C è quello che si discosta da tutti gli altri, salendo a 5,5.
Questo è da imputarsi principalmente all’effetto della roccia madre e all’effetto
26
della lisciviazione che, in ambiente ben drenato, determina un tipico andamento di
pH crescente con la profondità (Chersworth, 1992).
ab
bbb
0
1
2
3
4
5
6
7
8
O A E B C
pH
Figura 8: Valori medi di pH negli orizzonti
Lettere differenti corrispondono a gruppi significativamente diversi con p<0,05.
In secondo luogo è stato esaminata la tendenza del pH in funzione della piovosità
media annua. Dai risultati è emersa una significativa correlazione (p<0,001), che
indica come ad un aumento della piovosità media annua corrispondano valori di pH
tendenzialmente più bassi. In generale ciò è dovuto indirettamente al fenomeno di
lisciviazione dei cationi basici, lungo il profilo di suoli situati in climi a piovosità
elevata, che porta ad un certo abbassamento del pH.
La tabella 6 riporta il pH in relazione alla litologia. Globalmente è possibile
osservare un certo effetto della roccia madre sui valori dell’attività idrogenionica.
Infatti, nell’orizzonte O non si notano differenze fra valori medi in relazione alla
roccia. In A vi è un effetto della roccia (p<0,001) sul pH, con valori più alti su
roccia madre basica, mentre gli altri due tipi litologici mostrano pH molto simili.
Per quanto riguarda l’orizzonte di eluviazione, ovviamente non vi sono Podzol su
roccia basica, e perciò vi sono unicamente dati riguardanti roccia acida e mista,
senza che vi sia differenza alcuna. Nel caso dell’orizzonte B, vi sono differenze di
pH con valori maggiori su roccia madre basica (p<0,001). In ultimo vi è l’orizzonte
C, con valori rispettivamente pari a 7,6 su roccia madre basica, 5,1 su suoli a
litologia mista e 4,5 su roccia acida, che mostrano differenze molto marcate.
27
In sintesi, l’effetto della lettiera acidificante di abete rosso si manifesta negli
orizzonti organici in modo tale da superare l’effetto della roccia madre, mentre in
quelli minerali l’influenza del substrato litologico è sempre chiaramente evidente.
Orizzonte O n media minimo massimo dev.st
Roccia madre acida 29 4,1 3,5 5,3 0,5
Roccia madre basica 7 4,6 3,8 6,4 0,8
Litologia mista 24 4,2 3,0 4,8 0,4
Orizzonte A n media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 16 4,2 3,5 5,2 0,6
Roccia madre basica 6 6,2 4,3 7,7 1,4
Litologia mista 39 4,1 2,7 6,3 0,7
Orizzonte E n media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 6 4,0 4,0 4,17 0,1
Litologia mista 16 4,3 3,2 5,0 0,4
Orizzonte B n media minimo massimo dev.std
Roccia acida 22 4,6 3,8 5,7 0,5
Roccia basica 7 6,6 5,6 8,0 0,8
Litologia mista 57 4,7 3,4 7,5 0,7
Orizzonte C n media minimo massimo dev.std
Roccia acida 6 4,5 4,1 4,6 0,2
Roccia basica 4 7,6 7,5 7,7 0,1
Litologia mista 5 5,1 4,3 7,7 1,4
Tabella 6: Valori di pH in relazione alla litologia e al tipo di orizzonte
5.4 Capacità di scambio cationico e cationi scambiabili
Prendendo in esame l’andamento della capacità di scambio cationico in funzione
degli orizzonti (figura 9), si notano differenze altamente significative con un
andamento analogo a quello ottenuto per il carbonio. Il dato ottenuto per
l’orizzonte organico, intorno a 42,7meq/100g, è diverso da tutti gli altri orizzonti,
suggerendo che la capacità di scambio sia principalmente imputabile alla frazione
organica. La correlazione tra CSC e carbonio organico è infatti altamente
28
significativa con r=0,41. Anche negli orizzonti minerali si osservano però valori
piuttosto elevati, con medie superiori a 10 negli orizzonti del solum, e inferiori a
10 solamente nell’orizzonte C. Se nel caso dell’orizzonte B valori elevati di CSC
erano attesi, sempre in relazione alla traslocazione di complessi organo-minerali e
quindi alla sostanza organica presente, sono però inattesi i valori elevati riscontrati
in E, probabilmente sempre imputabili alla presenza di Podzol a stadio evolutivo
avanzato, e quindi ad E superficiali.
bbbb
a
0
10
20
30
40
50
60
70
O A E B C
CSC
(meq
/100
g)
Figura 9: Valori medi di CSC negli orizzonti
Lettere differenti corrispondono a gruppi significativamente diversi con p<0,05.
L’andamento per orizzonti degli elementi scambiabili, non ha mostrato differenze
sostanziali lungo il profilo per quanto concerne l’alluminio e il rapporto Ca/Al
mentre, come si può vedere dalla figura 10, vi è un contenuto di calcio scambiabile
molto più elevato nell’orizzonte O (5 meq/100 g) e diverso rispetto a quanto
presente in E (0,46 meq/100 g). I vegetali possono limitare fortemente la
lisciviazione del calcio, mediante il cosiddetto fenomeno di biocycling, come nel
caso di suoli su rocce serpentinitiche, eccedenti in magnesio e povere di calcio
(Bonifacio, 2005), del quale le piante hanno un fabbisogno sicuramente più elevato
rispetto al magnesio, e che tendono a recuperare mettendo in atto differenti
strategie biologiche. Lo stesso fenomeno si può verificare in situazioni di carenza in
fatto di calcio legate all’acidità.
29
ab
ab
b
ab
a
0
1
2
3
4
5
6
O A E B C
Ca
(meq
/100
g)
Figura 10: Valori medi di calcio scambiabile negli orizzonti Lettere differenti
corrispondono a gruppi significativamente diversi con p<0,05.
L’analisi relative alla capacità di scambio cationico e all’alluminio scambiabile, in
funzione della piovosità, non hanno fornito relazioni significative, mentre per
quanto riguarda il calcio scambiabile in relazione alla piovosità, si è evidenziata
una correlazione negativa (r= -0,40, p<0,01)da imputare al fenomeno di
lisciviazione dei cationi basici lungo il profilo. In ultimo va aggiunto che il rapporto
Ca/Al non risulta correlato con la piovosità.
La tabella 7 mostra il calcio scambiabile in relazione alla litologia, l’unico parametro
per il quale vi sono differenze significative. Se nell’orizzonte O, inspiegabilmente
risulta elevato il calcio scambiabile su litotipo misto, nell’orizzonte A si vede come i
suoli sviluppatisi su roccia madre basica siano più ricchi di questo elemento
(p<0,001). Non vi suono invece differenze significative nell’orizzonte E e
nell’orizzonte C, mentre gli orizzonti B dei suoli su roccia madre acida sono più
poveri in calcio scambiabile.
30
Orizzonte O N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 14 2,5 0,2 7,7 2,1
Roccia madre basica 2 4,4 3,8 5,0 1,0
Litologia mista 14 7,6 1,5 14,0 4,0
Orizzonte A N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 10 1,0 0,1 4,7 1,4
Roccia madre basica 3 4,8 0,4 10,3 5,0
Litologia mista 29 2,0 0,02 17,5 3,5
Orizzonte E n Media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 7 0,2 0,1 0,5 0,1
Litologia mista 15 0,5 0,1 1,9 0,5
Orizzonte B N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 20 1,0 0,1 6,7 1,8
Roccia madre basica 6 9,0 0,4 14,4 4,8
Litologia mista 36 4,6 0 15,4 5,1
Orizzonte C n media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 7 1,3 0,1 8,0 3,0
Roccia madre basica 0 - - - -
Litologia mista 1 1,1 1,1 1,1 -
Tabella 7: Valori di calcio scambiabile in relazione alla litologia e al tipo di orizzonte
Le tabelle 8 e 9 mostrano i valori medi di alluminio e del rapporto Ca/Al nei vari
orizzonti in funzione della litologia, ma non sono state evidenziate differenze
significative. Purtroppo per queste variabili i casi presenti erano piuttosto limitati,
con un massimo di 20 casi per Ca/Al negli orizzonti B. E’ però da notare come,
soprattutto nell’orizzonte eluviale, il rapporto sia molto più alto nei suoli che si
sviluppano su litologia mista
31
Orizzonte O N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 10 3,7 1,1 9,6 2,6
Roccia madre basica 2 4,6 4,5 4,7 0,1
Litologia mista 2 5,1 0,04 10,1 7,1
Orizzonte A N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 11 4,1 1,5 9,4 2,6
Roccia madre basica 1 2,2 2,2 2,2 -
Litologia mista 10 4,3 0,3 10,0 3,4
Orizzonte E n Media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 6 2,2 0,8 3,0 0,9
Litologia mista 1 0,3 0,3 0,3 -
Orizzonte B N media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida 19 3,9 0,5 8,2 2,0
Roccia madre basica 1 1,5 1,5 1,5 -
Litologia mista 7 5,0 2,8 7,7 2,0
Orizzonte C n media minimo massimo dev.std
Roccia madre acida - - - - -
Roccia madre basica - - - - -
Litologia mista - - - - -
Tabella 8: Valori di alluminio scambiabile in relazione alla litologia e al tipo di orizzonte
32
Orizzonte O N media minimo Massimo dev.std
Roccia madre acida 10 1,3 0,2 7,0 2,1
Roccia madre basica 2 1,0 1,0 1,1 0,1
Litologia mista 1 0,3 0,3 0,3 7,1
Orizzonte A N media minimo Massimo dev.std
Roccia madre acida 9 0,1 0,03 0,5 0,1
Roccia madre basica 1 0,2 0,2 0,2 -
Litologia mista 10 0,2 0,0 1,4 0,5
Orizzonte E n Media minimo Massimo dev.std
Roccia madre acida 6 0,2 0,04 0,4 0,2
Litologia mista 1 1,4 1,4 1,4 -
Orizzonte B N media minimo Massimo dev.std
Roccia madre acida 16 0,1 0,02 0,2 0,07
Roccia madre basica 1 0,3 0,3 0,3 -
Litologia mista 3 0,1 0,0 0,5 0,2
Orizzonte C n media minimo Massimo dev.std
Roccia madre acida - - - - -
Roccia madre basica - - - - -
Litologia mista - - - - -
Tabella 9: Rapporto Ca/Al in relazione alla litologia e al tipo di orizzonte
33
6.
Conclusioni
Con questo lavoro sono state evidenziate le caratteristiche chimiche tipiche dei
suoli che evolvono sotto abete rosso.
La presenza di podzols è certamente la caratteristica più attesa, ma la notevole
acidificazione indotta da questa essenza si manifesta negli orizzonti più superficiali
anche su litotipi basici dove il pH più elevato, legato alla roccia madre, si mantiene
solo negli orizzonti minerali.
Il forte apporto di sostanza organica difficilmente degradabile ha permesso di
evidenziare una notevole discontinuità tra l’elevato contenuto in carbonio
nell’orizzonte O e i valori molto più modesti, e omogenei lungo il profilo, degli
orizzonti minerali.
Poiché dalla sostanza organica dipende, almeno parzialmente, la CSC, un
andamento analogo è stato riscontrato anche per questa caratteristica di primaria
importanza edifica: valori molto alti in superficie e nettamente più bassi in
profondità. L’andamento è però parzialmente mitigato dalla minore umificazione
della sostanza organica degli orizzonti O, evidenziata dal rapporto C/N più elevato.
L’interazione con gli altri fattori di formazione del suolo è manifesta, oltre che nel
già citato effetto della roccia madre sul pH, tramite una notevole influenza
climatica sul ciclo degli elementi. Il calcio ben esemplifica questa tendenza, poiché
l’elevata piovosità ne favorisce la lisciviazione e la copertura arborea si
contrappone a questo processo determinando un certo accumulo negli orizzonti
maggiormente interessati dagli apparati radicali.
Purtroppo nel data set utilizzato erano pochi i casi in cui ad una completa
caratterizzazione del suolo si erano abbinate informazioni rilevanti circa i disturbi
antropici; pertanto l’azione di tale fattore non è stata indagata, ne è stato possibile
evidenziare quanto l’uomo interagisca con i fattori classici della pedogenesi.
34
7.
Origine dei dati
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2. Berger T. W, Neubauer C, Glatzel G. 2002. Factors controlling soil carbon and nitrogen stores in pure stands of Norway spruce (Picea abies) and mixed species stands in Austria. Forest Ecology and management 159, 3-14.
3. Bergkvist B. 1987. Leaching of metals from forest soils as influenced by tree species and management. Forest Ecology and Management 22, 29-56.
4. Binkley D, Valentine D. 1991. Fifty-year biogeochemical effects of green ash, white pine, and Norway spruce in a replicated experiment. Forest Ecology and Management 40, 13-25
5. Bonifacio E, Falson G, Simonov G, Trofimov S. 2006. Discontinuities in albeluvisols: evidences from mineralogical and chemical data. 43 Clay Mineral Society Meeting.
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7. Brandtberg P.-O, Lundkvist H, Bengtsson J. 1999. Changes in forest-floor chemistry caused by a birch admixture in Norway spruce stands. Forest Ecology and management 130, 253-264.
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