Antonio FiorellaAntonio FiorellaAntonio FiorellaAntonio Fiorella
IIIIIIIIllllllll llllllllaaaaaaaabbbbbbbbiiiiiiiirrrrrrrriiiiiiiinnnnnnnnttttttttoooooooo ddddddddeeeeeeeellllllllllllllllaaaaaaaa rrrrrrrraaaaaaaaggggggggiiiiiiiioooooooo
UUnnaa ccoossttrruuzziioonnee ddii mmaattttoonncciinn
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In copertina disegno di Antonio Tarantino (**)
Diritti riservati
(*) Prodotti derivati da libri (mattone) che valgono la pena di essere
letti almeno in forma ridotta
(**) Nato a Tripoli, figlio d’arte, sia nella maestria del percorrere
qualsiasi genere pittorico, sia nell’incorrere in alti e bassi – genere,
ottovolante...
http://www.provole.info/2008/03/28/19/#more-19
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Introduzione:
Le frontiere della conoscenza
1° parte:
Miti e reticenze della storia
1. La storia ai raggi X dell’analisi del linguaggio
2. Su i Borboni e i meridionali
3. L’ultimo rifugio
4. La storia, tra ideologia ed emotività
2° parte:
L’ora delle cassandre
5. L’ora delle cassandre
6. Oltraggio
7. Come è potuto accadere?
8. Decrescita: dalla globalizzazione al cortile di casa
9. Incerti spiragli di luce... Anzi no: buio
10. Il pensiero lungo
11. Il dispotismo ‘dolce’ - quasi da barzelletta...
12. Il modello America visto da due angolature
13. The Specter of Inverted Totalitarianism
14. Il disegno europeo
15. Viaggio all’inferno attraverso cinque continenti
3° parte:
Il labirinto della ragione
16. All’origine dell’homo sapiens sapiens moderno
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17. Il lato oscuro delle notizie
18. Una visione distaccata e fuori dal tempo
19. Una mente libera in un mondo controverso
20. Indietro tutta!
21. Il cervello del giocoliere
22. Il pensiero vegetale
23. Nature, norture
24. Il labirinto della ragione
Conclusione
Costruzione a mattoncini
Bibliografia
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Introduzione
Le frontiere della conoscenza
C’è un fil rouge che unisce le frontiere della conoscenza. Un filo esile
e vitale che percorre tutti i vasi sanguigni. Attraverso milioni di
cellule raggiunge i capillari nelle aree più remote del corpo, e del
genere, umano. E da esso si dipana per arrivare a comprendere, dal
latino cum-prehendere prendere insieme, (abbracciare) ogni attività
dell’uomo intrapresa dai tempi dei tempi.
La mente crea sviluppa e condiziona ogni passo di qualsiasi ordine e
grado; ogni passaggio culturale, religioso, umanistico e/o scientifico
è generato sotto influenze che si propagano, in mille direzioni, per
cerchi concentrici; la conoscenza dei traguardi della ricerca
scientifica conseguiti nell’ambito del cervello, rende possibile
l’osservazione delle altre discipline sotto una luce diversa e ne rivela
i limiti, tratteggiando i confini territoriali che circondano, nostro
malgrado, la vita.
La fantasia, qualità della mente che agisce da agente esploratore, è
capace di eseguire progressioni ardite; però salti rocamboleschi,
viaggi galattici sia nello spazio che nel mondo delle fiabe non sono
che voli pindarici. Tale affermazione, nell’armonia dello sviluppo
digitale, potrà suonare una stonatura; e nel tempio che ne ostenta i
traguardi più avanzati, addirittura come una bestemmia! Ma non è
così che procede la scienza, attraverso affermazioni e smentite?
Secondo Edgar Morin gli analfabeti del XXI sec. non sono quelli che
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non possono leggere e scrivere, bensì quanti non sanno apprendere,
disapprendere, riapprendere.
Le conquiste collettive (perché di civiltà si tratta: laddove ci sono
forti squilibri, prima o poi scoppiano disastri che annullano i
progressi raggiunti) progrediscono con ritmi non dissimili
dall’incedere delle radici di una pianta. Lo dimostrano i corsi e
ricorsi storici. Il fulcro delle correnti di pensiero rimane ancorato al
territorio per tempi prolungati. I legami ambientali hanno sempre
assoggettato, condizionato, sottomesso culture, idee e religioni che
a fatica si mescolano. E più che fondersi in una amalgama nuova
appaiono come liquidi di peso specifico diverso che, di continuo,
tendono invece a riprendere lo stato naturale che gli è proprio.
La conoscenza, che non si traduce in un comportamento coerente
(o quantomeno non diventa un arnese della cassetta degli attrezzi),
equivale a un corpo in stato vegetativo: pensiero vegetale.
Nello sfondo del percorso dell’umanità resta la frattura -
apparentemente incolmabile - tra progresso e civiltà, élite e masse,
sete di dominio e bisogni primari dei popoli. Ed è una frattura che
rappresenta una miccia sempre accesa capace di riportarci indietro,
di azzerare millenni di storia.
Benvenuti in tempi interessanti, titola la copertina di un libro di
Slavoj Zizek. Il quale spiega che per i Cinesi tempi cosiddetti
“interessanti” furono periodi di guerre e lotte intestine per il potere
che causarono tragedie e sofferenze a milioni di sudditi inermi.
Infatti la peggiore maledizione che un cinese possa esprimere
sembra essere quella di augurare a qualcuno: «Che tu possa vivere
in tempi interessanti!»
Ma è risaputo - costatazione universalmente accettata - che “la sto-
ria la scrivono i vincitori.” E allora può anche succedere che sia il
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romanzo, e non i libri di testo scolastici, a riempire i vuoti e le crepe
della storia (Novalis).
L’Ultimo incontro a Dresda, romanzo di Edgardo Cozarinsky, mostra
crepe, vuoti e capovolgimenti di parti, all’insaputa degli stessi
protagonisti. Parafrasando il pensiero dell’autore, dalla narrazione
emerge un quadro sufficiente a dimostrare che le vicende della vita,
e della guerra, “bastano e avanzano per pasticciare qualsiasi
identità, figuriamoci quella di gente anonima.”
Altre volte è il filologo a mettere la storia sotto i raggi X dell’analisi.
Emilio Michelone attraverso l’analisi strutturale sull’origine del lin-
guaggio fa a pezzi un caposaldo della storia moderna. La scoperta
dell’America, l’esistenza stessa di Cristoforo Colombo, vengono così
ridotte a mito. Quanto basta per sentirsi mancare il terreno sotto i
piedi.
La ripresentazione del passato, in chiave storica, diventa zona
sismica - soggetta a capovolgimenti - soprattutto quando si scopre
di ignorare persino la storia recente della propria terra.
Pino Aprile, in Terroni, confessa di avere appreso da letture non
scolastiche, successive, come il Sud fu annesso alla madre patria.
“Forse – senza forse – neanche i meridionali sanno più chi furono…
pensano che la nostra sia ‘storicamente’ terra di emigrazione; e
fummo sempre meno ricchi e attivi del Nord (e non è vero)… Ma chi
ci crede che non è vero?”
Nei sussidiari della nostra infanzia, commenta a sua volta Giovanni
Floris, non c’è traccia degli avvenimenti così come si sono svolti. E il
poco o quasi nulla che viene detto nelle scuole superiori, rimane
ammantato dall’aureola risorgimentale. Sarà una coincidenza?
In epoche di profondi cambiamenti è difficile prefigurare l’approdo
finale. La storia economica recente ha visto svilupparsi scenari di
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tipo giapponese, greco, argentino... Uno dei tanti scenari
comprende la scomposizione del Bel Paese; l’ipotesi neanche tanto
remota è che la penisola, che da millenni è stata un coacervo di
genti in conflitto tra loro, governata autonomamente o sotto
l’influenza di potenze straniere, ritorni ad essere la patria dei mille
campanili. E’ difficile immaginare un Nord Est che si allontani
dall’euro e dall’Europa per condividere le sorti del Sud, ed è
altrettanto difficile immaginare il Mezzogiorno che si adatti al rigore
teutonico (Antonio Costato). Quale migliore preludio a una
separazione, federale o consensuale che sia, da parte di chi non
gradirebbe affatto dover sopportare ulteriori sacrifici oltre agli
inderogabili costi di transizione?
Fuori da questa crisi, adesso! E’ l’accorata esortazione di Paul
Krugman, premio Nobel per l’economia. Possediamo sia le
conoscenze sia gli strumenti per mettere fine alla crisi economica,
ma non viene fatto abbastanza per affrontare con vigore la
recessione ed eliminare la sofferenza; la disoccupazione di massa è
una tragedia, ed è insieme fonte di povertà e causa del risorgere
degli estremismi.
Secondo Keynes è una pessima scelta quella di lasciare la gestione
delle politiche economiche alla mercé degli speculatori. Paul
Krugman punta l’indice anche contro il ruolo assunto da politici e
tecnocrati europei, Very Serious People, che dibattono il problema
partendo da “un falso resoconto delle cause della crisi.” Purtroppo,
lamenta, si è affermata la convinzione moralistica che la crisi
europea dipende dall’irresponsabilità nella gestione dei bilanci
pubblici. Avendo alcuni paesi fatto registrare deficit astronomici, si
sarebbe reso necessario imporre delle regole che prevengano il
ripetersi di questo ciclo perverso. La verità è che “le élite europee
erano così affascinate all’idea di creare un potente simbolo di unità
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(l’euro) da sovrastimare i benefici della nuova moneta unica e da
trascurarne le possibili (e significative) negatività.”
Dunque ecco prospettarsi un dedalo di vie d’uscita alternative.
Serge Latouche propone un salto all’indietro che dalla
globalizzazione riporta all’artigianato locale, all’imprenditorialità da
esercitare nel cortile di casa (Per un’abbondanza frugale).
Infatti l’ossimoro abbondanza frugale porta con sé l’atmosfera di
semplicità e rigore del primo decennio dopo la seconda guerra
mondiale, quando nelle province la vita di campagna non aveva
ancora conosciuto il forte richiamo della grande industria ad
abbandonare la terra. E l’affermazione del consumismo avvenuta in
seguito non era neppure immaginabile. Quel che è certo, sostiene
Latouche, è che non c’è niente di peggio di una società della crescita
senza crescita.
Come districare la connessione tra economia e politica? Michele
Ciliberto, in La democrazia dispotica, dimostra come negli ultimi
decenni si sia imposto un “dispotismo democratico di tipo nuovo”
manovrato dai media. In questi anni, sostiene, è andato
affermandosi un modello di leadership di tipo carismatico teso a
proiettare una condotta disinvolta verso le istituzioni. Sono stati
accantonati quei valori etici e sociali che dovrebbero rappresentare i
pilastri di una società democratica. Tutto ciò è stato “reso possibile
da una vera e propria egemonia culturale realizzata attraverso un
uso massiccio e spregiudicato dei mezzi di informazione di massa ...
Con un rovesciamento sistematico di ‘apparenza’ e di ‘realtà’, di
immaginazione e di essere reale, come vero e proprio strumento di
governo e di dominio.”
Altrettanto vigorosa si presenta l’analisi proveniente dall’altra parte
dell’Atlantico. Sheldom Wolin, in Democrazia Spa si domanda come
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sia possibile che il potere economico privato, laico, cinico,
materialista, si sia alleato con il cristianesimo evangelico? E’
perlomeno strana la commistione tra l’insegnamento evangelico
(distacco dalla vita terrena) e le mire espansionistiche di matrice
industriale e militare (che fanno incetta delle risorse del pianeta). Le
disparità di potere, le forti sperequazioni tra lavoratori e dirigenti
sono conseguenze dirette della visione distorta della democrazia
dominata dal mondo imprenditoriale. Il peso delle multinazionali,
dalle risorse che superano quelle di molti paesi, si manifesta in
patria (negli USA) e all’estero attraverso l’operato delle lobby. Nel
cosiddetto libero mercato (dove si esercitano i poteri forti dando
forma a prezzi e salari) viene ad essere determinata, fino alle
estreme conseguenze, sia la ricchezza dei pochi sia la povertà dei
più. Il destino di interi quartieri, città, Stato e nazioni dipendono
dalle decisioni prese nei consigli d’amministrazioni, nelle torri dei
grattacieli o in campi da golf, dove l’elettore conta meno del nulla.
Intanto nell’inferno della povertà ogni giorno è in gioco la mera
sopravvivenza per mancanza di acqua e cibo.
Martìn Caparròs ha viaggiato attraverso cinque continenti per
“scovare storie di giovani colpiti dalla più grande ipotetica minaccia
contro l’ecosistema: ... il riscaldamento globale.” Ne è nata una
riflessione che va ben al di là delle singole tappe; il tema di fondo, il
cambiamento climatico, si trova ad essere sorprendentemente
rivoltato e analizzato sotto la lente della storia e della giustizia
sociale. La narrazione di Contra el cambio (un iperviaggio
nell’apocalisse climatica) mette a nudo la visione di dominio del
potere politico-economico, che con i suoi tentacoli raggiunge, fino a
condizionarla, la vita dei reietti sparsi nelle periferie del mondo.
Le parole mutano di significato sotto lo sguardo disattento della
storia; i commerci si alimentano di luoghi comuni; la beneficenza
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viene spacciata per trarne sempre il massimo profitto. “I paesi ricchi
hanno già fatto la loro conquista della natura, il loro sviluppo
sporco. E il mondo è messo com’è a causa loro, ma ora si dedicano a
dettare norme ai paesi più poveri...”
La parola cambiamento è una bandiera che sintetizza tutti i
movimenti dei popoli in lotta. L’idea che il mondo debba cambiare.
Dal 1789 in poi “fu una parola della sinistra: l’effetto desiderato
delle rivoluzioni...” Com’è stato possibile che la parola cambiamento
sia andata a rifugiarsi nella casa di quelli che avevano sempre voluto
distruggerla? sintetizza Caparròs. Il cambio di barricata della parola
cambiamento, è una delle maggiori perdite di capitale simbolico che
ha subìto la sinistra in tutta la sua storia.
“E’ possibile che talune tra le trasmissioni decisamente brutte siano
tali di proposito, per dare maggiore forza di penetrazione agli inserti
pubblicitari?” Questo interrogativo se lo pose Vance Packard, autore
de I persuasori occulti, più di due generazioni fa, quando la tv era
soltanto ai primi passi.
Gli anni cinquanta, negli USA, segnarono un enorme balzo in avanti
nella ricerca di spregiudicate ‘tecniche di ammansimento’ dell’homo
sapiens sapiens moderno. Avendo scoperto che “gli spettatori
ridono più volentieri e si divertono di più se sentono ridere altre
persone“ vennero programmate “le risate in scatola”; ebbero inizio
quelle trasmissioni dove un pubblico inesistente sottolinea ogni
battuta inesistente con fragorose risate. Ne derivò la creazione di
congegni idonei a produrre applausi e risate a ripetizione. Ma c’era
e c’è ben poco da stare allegri.
L’avvento della televisione ha portato una ventata di modernità nel
mondo, compreso in quei paesi rimasti ai margini delle rotte del
progresso. In occidente, per le donne dai 12 ai 25 anni, la principale
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causa di mortalità sono i disturbi dell’alimentazione. Tali malattie
erano del tutto sconosciute nelle isole Fiji. Poi nell’arcipelago
proliferarono le antenne tv e le parabole satellitari sui tetti delle
case e ci fu l’adeguamento. Effetti collaterali.
I pericoli paventati mezzo secolo fa, della diffusione di una forma
mentis piegata alla cultura dominante (del mondo affaristico e del
potere consolidato) sono realtà. E l’ondata mediatica è andata via
via ingigantendosi alimentata dal diffondersi di mezzi di comuni-
cazione più sofisticati e pervasivi. Internet, carte di credito, cellulari
registrano ogni intercalare della nostra quotidianità, spiano i nostri
momenti di incertezza, e in tempo reale sollecitano il nostro istinto.
Osservare la crisi (economica e non solo) in cui siamo immersi
soltanto nell’ottica della eccessiva speculazione finanziaria è
alquanto miope. Ma è avvenuto anche questo.
Aldo Giannuli annovera la gestione e diffusione delle notizie alla
stregua di una guerra non convenzionale. Nel libro Come funzionano
i servizi segreti dichiara che sta al lettore dotato di lucidità mentale
districarsi nel ginepraio dei media, assumersi il compito di imparare
a leggere tra le righe, porsi degli interrogativi, scoprire ritocchi e lati
oscuri delle notizie. La sfida è la ricerca della sostanza sotto la patina
di vernice. Un po’ come l’esperto d’arte che sa riconoscere stile e
pennellate d’autore.
Da un lato il potere politico è direttamente interessato all’utilizzo
della propaganda, diventata una componente fondamentale del
condizionamento della gente, dall’altro le grandi corporazioni
mettono in campo mezzi ragguardevoli finalizzati a raggiungere i
loro obiettivi. Le multinazionali, con il 20-25 per cento dei bilanci
spesi in pubblicità commerciale, sono in grado di condizionare
persino gli Stati sovrani.
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La piramide sociale può essere disegnata attraverso l’approccio alle
fonti d’informazione. In cima si colloca un gruppo ristretto di
persone (politici, finanzieri, alti dirigenti, direttori di giornali e tv)
dotate di potere e di mezzi ragguardevoli. La punta estrema di
questo gruppo è costituita dai servizi segreti.
Il bailamme multimediale, sotto l’aspetto formativo, ci riporta
indietro alla cultura orale come in un giro di valzer. Lo scrivono, in
uno stile forbito, i cattedratici Mario Groppo e Maria Clara Locatelli
nel libro Mente e cultura. Oggi siamo immersi in un mondo di
immagini e di sonorità che ci accompagnano per l’intera giornata. I
bambini sostano lunghe ore davanti alla tv; i ragazzi vanno in giro o
studiano con l’iPod al seguito e auricolari incollati all’orecchio; lo
schermo tv, oltre ad avere ormai del tutto sostituito il focolare
domestico, è diventato ospite fisso durante i pasti in famiglia. Lo
strapotere dei nuovi media è un approdo recente, del tutto diverso
rispetto alla stampa.
Gutenberg ha determinato la diffusione della carta stampata. Con il
libro è andato affermandosi un modello lineare di organizzare la
conoscenza; l’ordine, la logicità e la compiutezza hanno
rappresentato una linea guida per il pensiero. “La forma del libro è
dunque diventata la forma del sapere”.
La parola scritta offre la possibilità di riflettere, di soppesare i
contenuti. La tv sollecita il coinvolgimento emotivo totale da parte
dell’utente che così si trova immerso nelle dinamiche di un
linguaggio breve, parcellizzato in sequenze strutturate in forma di
slogan. “Il codice audiovisivo... rappresenta una forma di aspre-
sione inadeguata quando il contesto di comunicazione è esclusiva-
mente verbale (Maragliano)”.
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I costi elevati del sistema dei nuovi media e l’esigenza di proporre
notizie in continuazione, pur di catturare l’attenzione del pubblico,
condiziona la qualità delle trasmissioni. Il rapido susseguirsi di
immagini e notizie in pillole fa sì che tutto, subito, viene soppiantato
e dimenticato.
Come “avviene davanti a uno specchio che ci fa vedere cosa indos-
siamo oggi, ma non ci dice nulla di ieri (Postman)” sembriamo es-
sere ripiombati nell’antichità. Quando era prevalente la cultura ora-
le e la memoria dell’uomo era la fonte della conoscenza, le espe-
rienze del passato erano necessariamente mediate dal presente.
“Oggi siamo i protagonisti involontari di un’oralità di ritorno!”
Cos’è l’informazione? Gregory Bateson (1979) la definisce: “qualun-
que differenza che produce una differenza.” Pertanto, può essere
definita vera conoscenza l’acquisizione di informazioni che non si
traducono in comportamenti coerenti? Il soggetto che non reagisce
è paragonabile a un corpo in stato vegetativo?
Secondo Nicoletta Cavazza, Comunicazione e persuasione, il
martellamento esteso di alcune notizie, ha fatto sì che il fenomeno
della criminalità sia percepito ben oltre i dati statistici. Inoltre se il
crimine avviene dove abitiamo o nelle vicinanze, l’impatto emotivo
assume la dimensione di una vera emergenza.
La pratica religiosa, quella sportiva, viene svolta con rituali
consolidati nel tempo che sfociano a valle in manifestazioni di
fervore fideistico. I comportamenti, se non sono mitigati dall’ester-
no, diventano euforici e si autoalimentano nell’intolleranza e nel
tifo, fino a raggiungere eccessi patologici.
Il pensiero dominante parte dalla conoscenza prima, passa poi al ra-
dicamento nella maggioranza che lo adotta. Per fasi successive, si
impongono alla massa determinati modi di vedere le cose. A un
certo punto l’atteggiamento sociale diventa tale da mettere in
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soggezione chiunque tenti di esprimere un parere contrario. Il pen-
siero vegetale, speculare a quello dominante, affonda le radici nel
conformismo da un lato, e dall’altro nell’atteggiamento passivo (o
complice), a sostegno della legge del branco.
Il fanatismo, una volta attecchito, si diffonde nel terreno per esten-
sione, invadendo spazi e impoverendo l’habitat circostante. Come la
gramigna.
Se si osserva le mappe geografiche con colorazioni diverse per co-
stumi, religione e cultura, si scopre quanto poco è cambiato nel cor-
so dei secoli. I popoli migrano da un continente all’altro con il loro
bagaglio di costumi e credenze.
Le risposte all’ambiente possono scaturire da stimoli dei quali non
siamo del tutto coscienti. Pertanto è plausibile dubitare di quanto
ognuno sia padrone del proprio comportamento.
L’assorbimento passivo di quanto è diffuso dai moderni mezzi di
comunicazione “tende ad aumentare pericolosamente il cervello
collettivo” portandoci a mangiare la stessa minestra “sensoriale e
culturale.”
“La globalizzazione del pensiero diviene una sorta di neuro-potere.”
Non vengono prodotti soltanto beni commerciali ma anche opinioni
che si convertono in idee comuni, in noduli nervosi. “Ne risulta una
rete nervosa nuova, di dimensione globale, che regola la vita della
società.” (Lamberto Maffei)
Le frontiere della conoscenza, tuttavia, mostrano ancora molti punti
oscuri, aree incolte, lati aperti da pattugliare, verificare e/o
riscoprire. Più il mondo scientifico s’inoltra nello studio del cervello
umano, più intricato appare l’intreccio fra mente, comportamento e
ambiente. L’avanzata di sempre nuove tecnologie impone un rapido
adeguamento a pressanti esigenze antiche e moderne.
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L’adattamento della mente umana è alla base della relazione tra
individuo e società. L’attenta osservazione dei comportamenti porta
a scoperte che qualche volta appaiono in conflitto con quanto gli
educatori ci hanno impartito. Pertanto lasciano a bocca aperta
affermazioni come “meno conoscenza è più“, “dimenticare fa bene
alla mente” (Gerd Gigerenzer). La nostra intelligenza inconscia ci
guida in molte più azioni della nostra quotidianità di quanto si voglia
ammettere. E spesso affidarsi ad essa è un bene, anche se occorre
comprendere e definire le circostanze in cui è meglio avvalersi del
talento innato, frutto del processo evolutivo dell’essere umano,
piuttosto che della laboriosa valutazione analitica dei pro e dei
contro.
Causa le forti disparità tra abitanti dello stesso pianeta, vorremmo
chiedere a Gerd Gigerenzer se, intuitivamente, intravede all’orizzon-
te probabili rotte di collisione tra ricerca scientifica e mondo reale.
Vorremmo chiederlo anche all’astrofisica Margherita Hack, già in
rapporti burrascosi con astrologi e ambienti clericali sui destini
dell’umanità. Dovremmo interrogarci tutti.
Ad ogni traguardo raggiunto, sembra corrispondere un rischio pro-
porzionalmente più alto, tale da mettere a repentaglio l’intera posta
in gioco.
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1° parte
Miti e reticenze della storia
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“Dalle deformazioni dei fatti e delle istantanee della storia, incluse
le riprese fotografiche - storiche - esposte nei musei, nascono giudizi
sommari che fanno orrore ai corpi martoriati rimasti sepolti sotto le
macerie.”
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1. La storia ai raggi X dell’analisi del linguaggio
Cristoforo Colombo, nato a Genova nel 1451, è colui che ha
scoperto il Nuovo Mondo. E’ il personaggio storico che più di ogni
altro incarna l’avventura, poiché va incontro all’ignoto quasi
solitario nella sua ferma determinazione; segna il passaggio tra
vecchio continente e nuovo, fissa la boa di svolta tra medioevo e
modernità. Così almeno è descritto nei libri di testo scolastici per
tutte le età. “Salpato da Palos de la Frontera il 3 agosto 1492,
Colombo giunse nell'odierna San Salvador il 12 ottobre dello stesso
anno,” fonte Wikipedia. Così è stato celebrato nel centenario della
scoperta dell’America.
Poi, visitando altri paesi e incontrando persone provenienti dalla
penisola iberica, accade che per caso uno possa sentirsi dire: era
nativo della Spagna. No, del Portogallo.
Quando infine ci si imbatte in un libro (neanche tanto corposo) che
reca il titolo Il mito di Cristoforo Colombo la misura sembra ormai
colma.
Emilio Michelone, con la paziente analisi del linguaggio (puntigliosa-
mente cita documenti e studi di altri autori) arriva a scomporre ogni
tassello dello storico mosaico che ci è stato tramandato, tuttora
carico del fascino epocale della svolta marcata nel lungo percorso
dell’umanità.
“Sono arrivato al decimo piano di un palazzo perché altri sono
arrivati ai primi piani ed altri hanno messo le fondamenta,” questo è
quanto riporta l’editore per illustrare il carattere e la metodologia
dell’autore.
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Non occorre necessariamente vivere in una zona sismica per sentirsi
mancare il terreno sotto i piedi. In senso figurato - frutto della
percezione - ciò avviene ogni volta che delle certezze vengono
messe in discussione, sconquassate da movimenti tellurici improv-
visi e inattesi o da una ricerca per noi nuova che sconvolge gli
equilibri esistenti. Più è radicata, diffusa e condivisa una convinzio-
ne, tanto più diventa sconcertante la verifica del contrario, in
contrasto con l’opinione diffusa.
Concesso che il senso comune del detto popolare “hai scoperto
l’America” sta a significare: “Cosa mi stai dicendo, quello che
affermi è cosa risaputa, la tua non è una scoperta!” Uguale conces-
sione accordata all’aneddoto “è l’uovo di Colombo!” Si narra che il
marinaio Colombo costrinse l’uovo a stare nella posizione verticale
schiacciando la parte svasata del guscio dell’uovo, così vinse la
scommessa. “Il valore proverbiale, oltre che la frase stessa ‘è l’uovo
di Colombo!’ sarebbe derivata dalla semplicità lapalissiana e
imprevedibile del gesto.” Il trucco travolge l’ordine esistente, alla
stregua del baro che rovescia il tavolo da gioco.
Dopo la lettura delle prime pagine, la reazione del lettore è quella di
abbozzare un sorriso d’incredulità e d’attesa, come a significare:
Caro autore, fin qui hai avuto intuito e vita facile. Ma, a partire da
queste osservazioni, passare a scomporre la storia - studiata in ogni
ciclo scolastico, celebrata di qua e al di là dell’Atlantico, - ce ne
corre!
Eppure l’opera demolitrice di Michelone continua imperterrita a
scomporre il mosaico un frammento dopo l’altro.
Il metodo della ricerca è quello comparativo, e consiste nel mettere
a confronto “componenti narrativi di altri temi mitologici.” Il lessico
è culturalmente elevato, ma non astruso. Alla portata anche di chi è
poco avvezzo alle erudizioni degli specialisti.
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In materia di luoghi comuni - e alcune vicende storiche lo sono, - la
cautela è d’obbligo e l’essere guardinghi ormai fa parte del nostro
DNA. Tuttavia a mano a mano che si procede lungo il percorso
dell’indagine, si diventa prigionieri del ragionamento che si snoda
sotto i nostri occhi come una matassa. Ed ecco l’iniziale scetticismo
cedere il passo alla naturale curiosità, che conduce diritto alle
sorprendenti conclusioni finali.
Cristoforo, tradotto dal greco significa “porto cristo.” E il nome già
racchiude in sé una missione. Diventa emblematico quindi che la
prima persona del Vecchio Continente a mettere piede nel Nuovo
Mondo non sia “un semplice uomo in carne e ossa, ma il segnacolo
più appropriato” della fede cristiana.
L’autore lo ammette “potrebbe trattarsi di una coincidenza,
senz’altro. Però non è isolata…” E infatti altri pezzi vengono ad
aggiungersi una pagina dopo l’altra alla tesi del libro.
Ai rischi intrapresi dall’autore, nel “disattendere i canoni culturali
dominanti,” si contrappone la sfida del lettore nel prestarsi alla
confutazione del fatto storico e nel decidere di andare fino in fondo,
per constatare di persona lo smembramento del sedicente mito.
Leggere per credere. Allegoria, cabala, numeri che ricorrono con
eccessiva frequenza, tutto porta a rivelare la materia pastosa delle
favole; i sottostanti simbolismi vengono riconosciuti e additati come
cartelli stradali; la dissacrazione del fatto storico diventa totale.
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2. Su i Borboni e i meridionali
1860. Prima dell’invasione delle Due Sicilie, il reame dei Borboni era
presentato alla stregua della negazione di Dio (benché il re di Napoli
fosse piuttosto bigotto). Suoi principali accusatori, piemontesi e
britannici, erano massoni e mangiapreti. I sudditi meridionali
venivano ritenuti oppressi da un regime oscurantista (ma l’esodo di
dimensioni bibliche avvenne soltanto dopo, e Napoli era punto di
riferimento culturale per il resto d’Europa). Il regno era
all’avanguardia in molti campi finché non arrivarono i liberatori.
Dopo la liberazione, in un secolo, milioni di meridionali emigrarono
all’estero; almeno 13 milioni, forse più di 20. Comunque “il più
grande abbandono che abbia conosciuto l’Europa.”
Pino Aprile, l’autore di Terroni, confessa di averlo scoperto quando
letture non scolastiche di storia gli rivelarono com’era davvero
avvenuta l’Unità d’Italia.
Il Sud fu derubato delle sue industrie, della sua ricchezza, amputato
delle sue istituzioni e della capacità di reagire; “infine, con una
operazione di lobotomia culturale, fu privato della consapevolezza
di sé, della memoria.”
Accadde, è accaduto, che i meridionali facessero propri “i pregiudizi
di cui erano oggetto. E che, per un processo d’inversione della
colpa, la vittima si sia addossata quella del carnefice. Succede
quando il dolore della colpa che ci si attribuisce è più tollerabile del
male subito.”
L’Unità d’Italia non cancellò, ma rigenerò, il fenomeno del
brigantaggio, “in una stagione di grande illegittimità e confusione,”
se non di autentica guerra civile. “Soldati del re napoletano e sudditi
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legittimisti, cafoni impoveriti e veri briganti” furono accomunati
rendendoli tutti briganti. Così si espresse l’invasore attraverso i suoi
libri di storia.
“Finora avevamo i briganti” scrisse Vincenzo Padula, cronista
dell’epoca, liberale, favorevole all’impresa unitaria... “ora abbiamo il
brigantaggio... Vi hanno briganti quando il popolo non li aiuta... e vi
ha il brigantaggio quando la causa del brigante è la causa del
popolo.”
Liborio Romano, nonostante fosse massone e liberale, fu nominato
da Francesco II prima ministro dell’Interno e poi viceré. Favorì
l’ingresso di Garibaldi in Napoli, convinto che la città non potesse
salvarsi e per scongiurare un bagno di sangue. Insomma traghettò il
Regno di Napoli nell’Italia unita; da ministro del re borbonico
divenne ministro con Garibaldi dittatore; governò la transizione, ma
dopo solo due settimane si dimise.
“Per sempre e per tutti, sarà l’uomo che assegnò incarichi di polizia
alla camorra.” Si giustificò, spiegando che gli parve l’unica possibile
mossa, durante l’interregno, per togliere i camorristi ‘al partito del
disordine’.
Non partecipò al governo di Luigi Farini, al quale “accreditò la mala
augurata idea che il governo centrale avesse il segreto intendimento
di piemontizzare l’Italia, trattar le provincie meridionali come paese
conquistato... e così spremere quanti più vantaggi e quattrini
poteansi.” Ad altri stati preunitari annessi, era stato concesso di
conservare parte dei loro ordinamenti, almeno nell’interregno; ma
ciò venne negato al Sud.
Alla Borsa di Parigi i titoli di stato del Piemonte quotavano il 30 per
cento in meno del valore nominale; quelli del Regno delle Due
Sicilie, il 20 per cento in più. E cioè nel Sud, con un terzo della
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popolazione totale, circolava ricchezza e quattrini più che nel resto
d’Italia. Il Nord invasore era pieno di debiti; il Sud pieno di soldi.
“Compiuta l’Unità, si fece cassa comune e con i soldi del Sud si
pagarono i debiti...: al tesoro circolante dell’Italia unita, il Regno
delle Due Sicilie contribuì con il 60 per cento dei soldi, la Lombardia
con l’1, il Piemonte con il 4 (ma oltre la metà del debito
complessivo).” Quando nella nascente Italia arrivavano i piemontesi,
spariva la cassa degli stati annessi; “ma nulla di paragonabile alle
razzie e ai massacri compiuti” nel Mezzogiorno d’Italia.
Anzi, i meridionali furono costretti a rifondere perfino le spese per la
loro liberazione. “Tanto agognata, che ci vollero anni di occupazione
militare, stragi, rappresaglie, carcere, campi di concentramento,
esecuzioni di massa e distruzione di decine di paesi.”
“Da un giorno all’altro, nelle Due Sicilie, le tante aziende che
lavoravano per lo stato perdono le commesse (tutte al Nord: dai
cannoni alle matite); le fabbriche coinvolte chiudono e si spara sui
dipendenti che protestano.”
Ci furono epurazioni, migliaia di impiegati pubblici vennero buttati
in strada, chiunque fosse stato sospettato di nostalgie borboniche
poteva essere incriminato.
“Chi aveva beni, per tentare di salvarli, doveva barcamenarsi fra
liberali, briganti, piemontesi e lealisti; magari finanziandoli tutti.”
Non solo. L’Italia appena nata cercò di “ricorrere al salasso etnico,”
per redimere la questione meridionale alla radice, magari sperando
così anche di “elevare la qualità della sua popolazione.” Luigi
Menabrea, ministro degli esteri, tentò di “farsi dare una landa
desolata,” per la deportazione di massa... “La cosa andò avanti con
tale petulanza e volgarità, che la diplomazia britannica ... invitò poco
diplomaticamente il nostro governo a non insistere.” Considerato
25
che i meridionali, mossi dalla disperazione, negli anni successivi
partiranno di loro iniziativa verso terre lontane forse sarebbe stato
un male minore.
Vittorio Daniele e Paolo Malanima, ne Il prodotto delle regioni e il
divario Nord-Sud in Italia (1861-2004), riportano: “A noi c’ha
rovinato la guerra ... perché non esisteva, all’Unità d’Italia, una reale
differenza Nord-Sud in termine di prodotto pro-capite.” Da notare
che i due ricercatori sono partiti dal 1861, quando il Mezzogiorno
era in stato di guerra già da molti mesi, e quindi sottoposto a razzie,
stragi e distruzioni.
Quando il professor Malanima, pisano, mise piede a Sud di Roma lo
fece, per la prima volta, per andare a insegnare a Catanzaro.
L’incontro con Vittorio Daniele lo indusse a immergersi nella
faccenda Nord-Sud, sulla quale c’erano opinioni divergenti e pochi
dati. L’origine del divario, indagato da un punto di vista storico,
comportava dei rischi. Per esempio, spiega: se il divario c’è adesso,
si tende a pensare che ci fosse già prima; e che sia stato
determinato dalle condizioni storiche precedenti; difatti alcuni lo
retrodatano al Medioevo; o ne individuano le origini perfino negli
assetti dell’impero romano...
“I divari regionali, assai modesti nell’immediato periodo post-
unitario, aumentano nettamente per quasi un secolo, riducendosi
solo nei due decenni dopo la Seconda guerra mondiale” (gli anni
della Cassa per il Mezzogiorno), sintetizzano, tra l’altro, Daniele e
Malanima.
Gli anni del fascismo si rivelarono nefasti anche per l’accelerata
depauperazione del Sud con il trasferimento al Nord di ricchezza e
infrastrutture. Pertanto nel 1950 la divisione tra Centro-Nord e
Mezzogiorno diventa ancora più marcata: ormai ci sono due Italia.
“Ci è voluto quasi un secolo, neh?, ma ce l’anno fatta: la regione più
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ricca del Sud, la Campania, ha un reddito appena superiore alla
metà di quello nazionale.”
Ne Il saccheggio del Sud Vincenzo Gulì descrive la situazione pre-
unitaria: i Meridionali da oltre una decina di secoli vivevano uniti,
pacifici come i popoli veramente civili; il sistema economico mirava
più al benessere sociale che al profitto di pochi, e l’amministrazione
pubblica era oculata. Nell’industria era, in molti campi, all’avanguar-
dia. Lo testimoniano la Mostra del 1856, di Parigi, dove il Sud era
stato premiato come paese più industrializzato d’Italia, terzo nel
mondo. La monarchia mirava al benessere del popolo contrastando
l’eccesso di potere della nobiltà, fornendo i servizi essenziali alla
gente più povera.
“Prima del 1860” dimostrò Francesco Saverio Nitti, al Sud “era più
grande la ricchezza che in quasi tutte le regioni del Nord.” Ma,
suggerisce Pino Aprile, fidiamoci più delle gambe che dei pur
rispettabili professori: negli anni precedenti l’invasione,
l’emigrazione dal Sud era pressoché nulla. “Soltanto dopo
l’occupazione, il saccheggio e l’inutile resistenza armata, i
meridionali cominceranno a emigrare, a milioni.”
Il meridione vantava alcuni primati quali: la prima ferrovia d’Italia, il
primo telegrafo elettrico, i primi ponti sospesi in ferro,
l’illuminazione cittadina a gas... La flotta mercantile era la seconda
in Europa, dopo quella inglese, e la flotta militare era terza.
I Borboni diedero la priorità alle rotte marine, invece di costruire
strade. Con l’Italia unita il Sud perdette le rotte e rimase senza
strade. Nell’Europa di oggi si parla di ‘autostrade del mare’ perché
ritenute più convenienti e meno inquinanti.
La seconda guerra mondiale finì, “le cose brutte” no. Ovvio, per il
Sud. I miliardi per gli indennizzi e il recupero del territorio meridio-
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nale devastato andarono al Centro-Nord. Nel Regno delle Due Sicilie
esisteva una specie di IRI (Istituto per la ricostruzione); protezione
che fu spazzata via con l’Unità d’Italia, “in nome del liberismo, salvo
ripristinarla pochi anni dopo, ma a beneficio dell’industria del
Nord.”
Ormai il sistema economico italiano era basato sulla “condizione di
minorità di una parte del paese rispetto all’altra”: l’assistenza era
votata affinché la funzione subalterna del Sud non fosse d’intralcio
alla parte produttiva.
Domenico Novacco, ne La questione meridionale ieri e oggi, ipotizza
che il sostegno fornito tramite la Cassa per il Mezzogiorno e la
riforma agraria “esprimerebbe un disegno mirante non già a
risolvere, bensì a stabilizzare il dualismo economico.” Almeno, è
quanto appare visibile da un’analisi a posteriori: “un Nord
industrializzato con una funzione propulsiva, un Sud esportatore di
manodopera a basso costo, ma dotato in loco di un’economia
agricola più efficiente..., che consentisse alle popolazioni locali
l’espansione del consumo dei prodotti del Nord.”
Finché il sistema non regge più. A partire dalla fine degli anni ’80 si
scopre che i conti non tornano, al Sud per ogni 100 lire prodotte, lo
stato centrale ne spende 73 (al Nord 46)... Comincia il ciclo perverso
che porta più debito e più tasse, e con esse il risveglio di spiriti
animali (e nuovi agitatori di masse) al Nord. “La prima cosa che
serve a chi fa politica è un nemico; il Nord lo trova nel Sud
fannullone.”
La Cassa per il Mezzogiorno venne abolita nel 1992. Era fonte di
sprechi. Come lo furono i soldi spesi in eccesso, per chilometro,
della metropolitana a Milano; come si scoprì con Tangentopoli, con
la TAV e altro ancora. Ma com’è che le infrastrutture nel
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Mezzogiorno sono inferiori del 30 per cento, se non di più per
rapporto al Nord? Come mai le cose vengono fatte al Nord,
s’interroga l’autore, senza né Cassa per il Settentrione né fondi
straordinari?
Gli Austriaci a Vienna, raccontano altri faldoni polverosi, “dopo aver
investito in terra lombarda, sino a nove volte quello che si spendeva
in altre regioni dell’impero,” erano arrivati a concludere che quelli (i
lumbard) appartenessero a un’etnia inferiore.
Scrisse Gaetano Salvemini, in tempi lontani dalla ‘scellerata
normativa leghista-tremontiana’: “Le leggi speciali sono sterili
inganni. Per un privilegio che otterrete a qualche angolo del
Mezzogiorno, vi sarà altrove chi penserà a ottenere per sé ... favori
ben più grandi.” Insomma, di infrastrutture ce n’è dal 30 al 60 per
cento in meno, accusava (o trattandosi di un terrone è più corretto
dire: lamentava?) l’ex presidente meridionale di Confindustria,
Antonio D’Amato. Non si costruisce quello che manca, si preferisce
indennizzare il Sud con patti territoriali, sgravi fiscali, prestiti
d’onore. Aggiungi che tutte le banche italiane hanno sede legale e
amministrativa al Nord; guarda caso, il 98 per cento delle erogazioni
ordinarie delle Fondazioni bancarie viene distribuito nelle 12 regioni
del Centro-Nord e solo il 2 per cento va alle 8 regioni del Sud.
Si può dire “che ogni contributo deciso dalla politica andrà
sostanzialmente a sostenere il Nord” scrive Giovanni Floris, in
Separati in patria.
E viene scoperto, nell’anno del Signore di Arcore (1996), che
l’Isveimer (la banca nata per aiutare lo sviluppo del Sud) finanziò la
Fininvest con 450 miliardi. L’Authority europea sull’alimentazione va
a Parma, mentre è la pizza, sono gli spaghetti alla napoletana, ad
essere portabandiera della cucina mediterranea nel mondo.
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L’impresa di spoliazione è continuata ininterrotta per un secolo e
mezzo... “Vogliamo dirlo con la monnezza? Spesa in conto capitale
nell’ambito dei rifiuti urbani: fra il 2000 e il 2006 sono stati spesi
ogni anno 138 milioni di euro al Sud e 574 al Centro-Nord!” riporta
Viesti in Mezzogiorno a tradimento.
“Se sei di Mongiana, ogni giorno vedi cos’eri e a cosa sei stato
ridotto” diceva Gambino, quando cerchi nei dintorni e non trovi
neanche un fabbro.
C’erano dai 1200 ai 1500 operai e tecnici siderurgici specializzati a
rendere autosufficiente l’industria pesante del Regno delle Due
Sicilie.
Gli stabilimenti di Mongiana (*) e dintorni fornivano l’acciaio al
regno borbonico rendendolo autonomo, nella produzione di travi
per la costruzione dei primi ponti sospesi in ferro d’Italia, nella
cantieristica della seconda flotta mercantile al mondo, dopo quella
inglese, e per la nascente industria ferroviaria napoletana. Nel 1861,
quando il futuro era già segnato, i suoi acciai ottennero un premio
all’Esposizione industriale di Firenze; l’anno dopo, all’Esposizione
internazionale di Londra.
Nella Calabria vi era anche l’industria della seta che esportava
all’estero damaschi pregiati.
In definitiva sotto i Borboni una gestione avveduta dava sufficiente
benessere alla popolazione del regno.
Mentre ad esempio, a fine ’800, lo sfruttamento irrazionale dei
boschi portò a un dimezzamento dell’estensione arborea, con
conseguente dissesto del territorio calabrese. Solo nel 1914 venne
ripristinata l’Azienda Forestale che ricalcava, a oltre un secolo di
distanza, le leggi in vigore sotto il Regno di Napoli per l’Amministra-
zione delle acque e delle foreste. Che i Savoia avevano soppresso.
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Una recente stima del fatturato mafioso è calcolato intorno ai 130
miliardi di euro, cioè il 7 per cento del PIL, in un anno.
Visto da un’angolatura storica e detto con le parole del filosofo
Denis Diderot: la voce della coscienza e dell’onore è ben debole
quando a parlare è lo stomaco vuoto.
“Una lettura [più] pericolosa, ma non infondata, è questa: a quei
protagonisti pronti a tutto, pur di emergere, l’unica via che venne
lasciata per esprimersi fu il crimine. E lì si son fatti valere,” secondo
Giacomo Mancini. Grande vecchio della politica calabrese, in una
intervista a Repubblica, parlò dei “leader della ‘ndrangheta’ come
una sorta di precursori di un capitalismo feroce, primordiale, ma
con dentro tutte le capacità e le intelligenze di quello civile... che, in
un paio di generazioni, sarebbero diventati indistinguibili dai
comendatur meneghini.”
Quando chiesero a Giovanni Falcone se fosse mai possibile
sconfiggere la mafia, rispose che se alcuni uomini l’hanno fatta, altri
uomini possono debellarla.
Secondo Amarta Sen, premio Nobel, ex-docente di Harvard:
“L’uomo è quel che gli viene permesso di essere.” Perché, si
interroga Aprile, se cambia il posto, cambiano i comportamenti e
l’irredimibile di Catanzaro o Caserta non è più tale a Monza o Pavia?
Piero Bocchiaro, ricercatore alla Stanford University, in Psicologia
del male analizza una serie di famosissimi esperimenti... “Il ruolo è
quello che ci viene assegnato..., [è il ruolo imposto] a generare i
nostri comportamenti...” Ricordate cos’è successo nel carcere
iracheno di Abu Ghraib?
Il Meridione si trova nella condizione della Lombardia prima
dell’Unità, quando gli austriaci spiegavano “il difetto di energia dei
lombardi” con l’inferiorità razziale. Succedeva soltanto che l’Austria
31
“assorbiva imposte dall’Italia e le versava al di là delle Alpi” ha
scritto Salvemini.
“Una legge universale che ho capito tardi” ammette Pino Aprile,
“dice che nessuno può farti più male di quel che gli permetti di farti.
Per il Sud la domanda è: fino a che punto, fino a quando?”
Intanto si rende necessario quanto suggerisce Predrag Matvejevic in
Mondo ex: “Prima di voltare pagina, bisogna leggerla.” La storia.
(*) La prima struttura industriale venne fondata nel 1768, nell’omonimo
villaggio di Mongiana in Calabria Ultra 2 (odierna provincia di Catanzaro)
nella zona di Serra di San Bruno, e potenziata nel 1814 dal Capo
dell’Amministrazione degli “Stabilimenti Calabresi per la Manifattura delle
Armi” - http://www.ilportaledelsud.org/mongiana.htm
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3. L’ultimo rifugio
Il romanzo nasce dai vuoti e dalle crepe della storia.
(Novalis)
L’Ultimo incontro a Dresda, romanzo di Edgardo Cozarinsky, mostra
crepe, vuoti e capovolgimenti di parti, all’insaputa degli stessi
protagonisti. Parafrasando il pensiero dell’autore, dalla narrazione
emerge un quadro sufficiente a dimostrare che le vicende della vita,
e della guerra, “bastano e avanzano per pasticciare qualsiasi
identità, figuriamoci quella di gente anonima.”
Il libro racconta, a pennellate veloci, le peripezie di una giovane
donna che nei primi giorni del 1945 attraversa i confini innevati, e
tante volte violati, dell’Europa centrale. Avvolta in un pastrano
malandato, appesantito da una ventina di chili di denti d’oro, con in
tasca un passaporto ebreo di cui si è impossessata, tenta di mettersi
in salvo dagli esiti inevitabili della guerra. Non si è mai interessata di
politica; della situazione bellica ha solo un quadro confuso; ma sa
per certo che le pedine, nello scacchiere manovrato dai potenti,
hanno scarse possibilità di cavarsela. Gli ebrei non avrebbero
dimenticato. I tribunali dei vincitori avrebbero preteso una quota di
vittime sacrificali. Cerca quindi scampo; tenta per tempo di lasciarsi
dietro il passato trascorso in quel campo di concentramento, dove
ha prestato servizio; ed è diretta a Vienna, sua città natale.
Confida di vendere il suo bottino all’orefice conosciuto sin
dall’infanzia, che sua madre sorridente accoglieva a casa. Ma
durante la sua assenza la città si è trasformata; adesso al posto della
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gioielleria c’è un altro negozio. Solo nel momento di uscire di nuovo
in strada le si affaccia nella mente il pensiero che, forse, il gioiellerie
presso il quale la madre aveva lavorato da domestica, fosse ebreo. E
come colpita da “una umiliazione retrospettiva” che turba innocenti
ricordi di bambina si allontana in gran fretta.
A distanza di una manciata d’anni, una quindicina, scopre che
Buenos Aires, oltre ad essere stata meta ambita e rifugio sicuro per
molti profughi come lei, è ormai diventata la sua nuova casa.
Sarà anche per questo che un giorno festivo, passeggiando lungo
avenida de Mayo, lo sgomento prenderà di colpo il sopravvento.
Quell’odore di carne alla brace che i chioschi agli angoli delle strade
di Buenos Aires diffonderanno nell’aria, le rammenterà l’estate del
1944, in Europa, quando i forni crematori, stremati, avevano smesso
di funzionare a dovere, rilasciando nell’aria il fetore insopportabile
di carne umana, bruciata, assieme alle ceneri che nel disperdersi
annerivano la campagna circostante. Così si materializzerà, nel
risveglio, improvviso il ricordo di un passato che credeva sepolto
negli anfratti più remoti della sua memoria.
Soffocati quei rari momenti fulminanti di pura angoscia, si dirà che
non ha più senso rimuginare su ciò che è rimasto indietro, neanche
per domandarsi cosa ne è stata della sua figlioletta abbandonata
nelle mani di contadini polacchi che, dopotutto, non sembravano
disdegnare l’occupante tedesco.
Per il resto, sotto copertura di un paio di false identità (Therese...,
alias Taube...), la vita della donna si svolgerà piuttosto monotona.
Prevarrà sempre la cautela. Lavorerà come aiutante nelle cucine alle
dipendenze di qualche connazionale tedesco. La dimora, presso la
pensione di Frau Dorsch, accoglierà altri naufraghi. Quando si
ritroveranno a tavola i temi d’intrattenimento eluderanno con cura
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l’attualità, salvo quei pochi casi che per l’enormità delle
conseguenze tracimeranno le normali difese, come la divisione di
Berlino e la costruzione del muro.
Per il resto la conversazione sarà infarcita di luoghi comuni, innocui
e condivisibili, quali: l’aver trovato, sotto lo stesso tetto, «una casa
lontano da casa...»; oppure, la costatazione universalmente
accettata che «la storia la scrivono i vincitori». Altre volte tra le
labbra s’insinuerà (in un accenno di confidenza appena sussurrata, a
mezza voce, tra pensieri di solitudine sopraffatti dallo scoramento),
la frase «la carità esiste»: richiamo alle vicissitudini trascorse,
all’aiuto insperato, alle connivenze caritatevoli di alcune gerarchie
ecclesiastiche, alle affinità politiche, alle testimonianze ideologiche
di solidarietà riscontrate durante la fuga.
Lo stupro, subìto nel rincasare la sera tardi dopo il lavoro, non
rappresenterà un vero dramma. La vita l’ha fagocitata in situazioni
peggiori. Federico, il frutto dell’agguato notturno, avrà il colorito
bruno della gente del luogo; assumerà presto un carattere taciturno
e indipendente; sembrerà, a lei che lo avrà accudito con amore (e
che ha imparato a schedare gli individui per quello che sono),
persino così strano... da provarne diffidenza.
La vita fascinosa che si presentava davanti agli occhi di Federico,
quand’era ragazzo, mentre osservava dal balcone di casa i passanti
giù in strada, volse presto a termine. Cambiarono repentinamente e
situazione familiare e scenario politico.
Alcuni anni più tardi le frequentazioni universitarie di Federico lo
portano a partecipare ai sommovimenti studenteschi. Ancora una
volta i disegni imperiali dei grandi della terra s’intrecciano con i
destini delle persone comuni. Quel percorso di militanza che altri
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hanno fatto sulle orme del marxismo, lui lo compie perché invaghito
di una coetanea, Mariana. In lei, per il suo diverso stato sociale,
ritrova quell’alone di mistero di cui si era nutrito da ragazzo nella
sala del cinema Cecil: tanto basta per confluire nel “caos di alleanze
paradossali e complicità del momento.”
Fuga precipitosa del giovane, nuove identità, dubbi sul passato di
sua madre e di conseguenza sul proprio, e poi l’approdo in Europa,
le attività di lavoro che lo portano da un paese all’altro, tutto
concorre ad ampliare il divario, tra bianco e nero, in
“numerosissime, ingannevoli sfumature di grigio, ma pur sempre
retto da menzogne malcelate.”
Dresda, come Coventry, come Guernica. Il romanzo, Ultimo incontro
a Dresda, si presenta come il drammatico capolavoro di Picasso.
Dalle deformazioni dei fatti e delle istantanee della storia, incluse le
riprese fotografiche - storiche - esposte nei musei, nascono giudizi
sommari che fanno orrore ai corpi martoriati che sono rimasti
sepolti sotto le macerie. “Perché i morti tornano sempre, e le
vittime sono morti molto tenaci.” Ma un male peggiore è inferto ai
sopravvissuti. Vittime ignoranti del proprio passato, impossibilitate
a ritrovarne il filo, continuano inconsapevoli a essere manovrate, se
non aizzate, le une contro le altre.
Nello sfondo del quadro gigantesco della Storia, la saga di una
donna in fuga dal proprio passato è testimonianza verosimile della
storia minore di gente comune dove le identità si confondono.
Pertanto i pregiudizi espressi, le deformazioni assimilate, benché
attenuati dall’incedere dell’età, diventano ancora più assurdi e
paradossali.
Unico rifugio, per gli sconfitti invecchiati e stanchi relegati ai margini
della vita, è il silenzio.
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4. La storia, tra ideologia ed emotività
“Già prima dell’osservazione di Madame Lefèvre avevo percepito
che la storia mi incalzava. Tutto era iniziato nel 1989...”
Feliks, da quando aveva cominciato a pubblicare una guida turistica
sui paesi del Blocco sovietico, la Guide Jaune, non si era fermato
nell’appartamento di Madame Lefèvre più a lungo di sei mesi di fila.
Poteva mai considerare quella, la sua casa? E Parigi la sua città?
Ogni anno, da marzo a settembre, si recava nei paesi dell’Est per
aggiornamenti e approfondimenti. Finché arrivò quell’anno, a dir
poco sbalorditivo, a scombinare assetti politici e convinzioni
sedimentate. Da giovane, rammentava, era stato un “indomito
cacciatore di cambiamenti.” Poi aveva preso ad accettare la realtà
per com’era (o per come si presentava!). Ma in fatto di convinzioni
politiche aveva i suoi punti fermi.
Il Muro costituiva un argine contro il “caos frammentario delle idee
deperibili;” aborriva ogni sorta di relativismo; infondeva la “certezza
assoluta” del dogma.
Ed egli in una Europa divisa, lavorava durante alcuni mesi al di qua
della cortina di ferro, e trascorreva il restante periodo dell’anno a
Parigi. In pieno territorio nemico, almeno nella visione coerente di
quand’era un comunista convinto.
Per fare la frittata è il romanzo che coglie, come uno spartiacque, la
linea di demarcazione, conflittuale, tra la passione ideologica e il
mondo dei sentimenti. Percorrendo le tappe fondamentali della vita
del protagonista, attraversa buona parte dei drammi storici del ‘900,
vissuti nel cuore dell’Europa.
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Jim Powell ha conseguito un Master in Storia. Dopo la laurea ha
lavorato nel campo pubblicitario; ha iniziato un’attività nella
ceramica; è stato attivista politico e consulente commerciale. Con
un tale bagaglio di conoscenze ha espresso al meglio il suo talento in
un romanzo dal titolo Per fare la frittata... il che è tutto dire.
Per fare la frittata - recitava eloquente un motto attribuito a Lenin -,
il comunismo aveva dovuto imporre sacrifici. E Stalin non aveva
lesinato a imporne, mietendo milioni di vite umane. “Sotto Stalin
potevi essere punito anche se in riga ci restavi. Persino le leggi di
causa ed effetto erano state abolite.”
E’ il messaggio che, della storia recente, lo storico Jim Powell affida
all’umanità: tra ideologie guerre e stravolgimenti soltanto il fronte
dei sentimenti può alleviare la condizione umana.
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2° parte
L’ora delle cassandre
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“Gli economisti si danno un compito troppo facile e troppo inutile se nelle
stagioni tempestose sono in grado di dirci soltanto che quando la tempesta
è passata da un pezzo il mare torna calmo.” (John Maynard Keynes)
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5. L’ora delle cassandre
“Dicono che in Cina, se si odia veramente qualcuno, lo si maledice
così: «Che tu possa vivere in tempi interessanti!»
E Benvenuti in tempi interessanti, titola la copertina di un libro di
Slavoj Zizek.
Il filosofo spiega che, per i Cinesi, tempi cosiddetti “interessanti”
furono periodi di guerre e lotte intestine per il potere che causarono
numerose tragedie coinvolgendo milioni di sudditi inermi. Storica-
mente i periodi di instabilità politica hanno sempre implicato soffe-
renze maggiori per le popolazioni innocenti; le guerre oltre che
mietere vittime con le armi, uccidono per penuria di cibo e carestie
che colpiscono i più deboli.
Oggi che alle turbolenze economiche si sommano i problemi legati
all’ecologia, all’equilibrio del pianeta Terra, bisogna iniziare a porci
le domande fondamentali. Dove porta la corsa all’accaparramento
di materie prime? Si aggiunga l’esigenza di maggiore energia per
paesi, come la Cina, in pieno sviluppo; e come porsi di fronte alla
diseguaglianza e penuria di beni primari per soddisfare i bisogni
minimi di larghi strati della popolazione mondiale?
Affermare che d’ora in poi occorre perseguire uno sviluppo
sostenibile, che bisogna contenere gli eccessi speculativi, che si
devono emanare regole più stringenti, porta in realtà ad eludere i
problemi, ad enunciare soluzioni ovvie che poi restano inapplicate.
Se eliminiamo gli eccessi, le speculazioni, ne soffre la produzione. E’
questa “la lezione del capitalismo.”
Il pensiero occidentale ha attraversato tre grandi momenti storici
che sono stati momenti di rottura con il passato: “la rottura della
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filosofia greca con l’universo mitico; ... il cristianesimo con l’universo
pagano; e la rottura della democrazia moderna con l’autorità
tradizionale.” Saprà reindirizzare il proprio cammino?
“C’è solo una cosa peggiore del non avere ciò che si vuole, e cioè
arrivare ad averlo,” dice un vecchio adagio.
Se la moglie scompare lasciando campo libero all’amante, il marito
infedele per quanto tempo ne trarrà giovamento? E’ quanto sta
succedendo agli accademici di sinistra; sta arrivando il momento
della verità: “volevate un cambiamento vero, ora l’avrete!”
George Orwell (1937) descrisse in Strada di Wigan Pier tale
atteggiamento. «Ogni opinione rivoluzionaria attinge parte della sua
forza alla segreta certezza che nulla può essere cambiato». Se ci
deve essere una rivoluzione, meglio che accada “a distanza di
sicurezza: a Cuba, in Nicaragua, in Venezuela... e così, mentre mi
scaldo il cuore pensando agli eventi che accadono lontano, posso
continuare a promuovere la mia carriera accademica.”
Invece sembra giunto il momento di “mobilitare l’uso pubblico della
ragione” per tutti, accademici, artisti, politici, religiosi, scienziati,
dirigenti, operai, imprenditori e sindacati inclusi.
Il dilemma di fondo è che i problemi sono connessi; siamo in bilico
tra la minaccia di catastrofe ecologica irreversibile e la possibilità
che accada proprio nulla. Il non-evento, mentre minaccia di ridicolo
le cassandre, rischia di spingere l’umanità su un pendio ancora più
rovinoso! Insomma, se la catastrofe non ha luogo c’è la beffa, se
non facciamo nulla il rischio è di perdere tutto.
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6. Oltraggio
Oltre l’austerità (ciò che il titolo dell’ebook curato da Sergio
Cesaratto e Massimo Pivetti non dice espressamente) c’è
l’informazione parziale, l’omissione di interventi alternativi, la
malafede... o la presa per i fondelli (secondo quanto avrebbe
confessato uno degli autori a una platea più ristretta).
La rivelazione (per i non addetti ai lavori) da parte di alcuni studiosi
ed economisti che della crisi non solo non ci è stato raccontato
tutto, ma che deliberatamente si cerca di fare passare misure
draconiane come inevitabili, dovrebbe catturare la nostra
attenzione almeno quanto (o forse più) degli stessi provvedimenti di
austerità. Che concorrono a sviare l’attenzione dalle finalità estreme
che vorrebbero smantellato lo stato sociale, a ridimensionare i
diritti conquistati nei decenni successivi al dopoguerra, a riportare
stipendi e salari a livelli di impoverimento. Senza considerare lo
stuolo, in aumento, dei senza lavoro e senza diritti.
All’arrivo della crisi finanziaria e all’acuirsi della recessione “ci si
sarebbe aspettato che venisse subito avviato in Europa un
coordinamento di politiche economiche espansive...” in ossequio a
un percorso già intrapreso da una comunità di nazioni, che si sono
messe insieme per raggiungere una convergenza comune
nell’ambito politico amministrativo ed economico. Invece i (17)
paesi dell’eurozona che hanno rinunciato alla loro sovranità
monetaria si sono trovati e si trovano sprovvisti della principale leva
del potere economico, per fare fronte alla speculazione e alla
disoccupazione di massa. La Banca Centrale Europea non ha i poteri
44
d’intervento che hanno le altre banche centrali, ossia la completa
gestione della politica monetaria. Le industrie dei paesi periferici
non trovano finanziamenti, la produzione di beni e servizi
diminuisce, lo stato sociale arretra, perché mancano le risorse
finanziarie. E si è continuato sulla strada del rigore con l’imposizione
di avanzi primari (eccedenze delle entrate sulle spese pubbliche, al
netto di quella per il pagamento degli interessi sul debito pubblico),
con l’obiettivo di ridurre il rapporto debito pubblico/PIL. “In nessun
conto viene tenuto il fatto che né la teoria economica né
l’esperienza concreta consentono di stabilire un limite oltre il quale
tale rapporto diventerebbe insostenibile.” Si osservi il 220% del
Giappone, il 120% dell’Italia, il 70% della Spagna. (Pivetti)
Quando è l’individuo a fare sacrifici, spiega De Vito, questi si
traducono per lui in un pari ‘gruzzoletto’ per ridurre il debito. Ma
quando i sacrifici sono imposti a una collettività, in pratica la società
si scopre appiedata, impedita a produrre beni e servizi, ciò che non
genera alcun risparmio. L’improduttività diminuisce il reddito e
falcidia il risparmio che si era accumulato.
L’Europa si trova in una situazione in cui i paesi in difficoltà si
scoprono a metà del guado: né falliscono , né vengono aiutati a
risolvere la crisi, ossia con sacrifici ma accompagnati da prospettive
di crescita.
Anzi, secondo Maffeo, il mancato intervento della BCE nel sostegno
dei debiti sovrani appare “funzionale alle politiche di austerità volte
a smantellare le conquiste sociali realizzate nei primi decenni del
dopoguerra.”
L’origini della crisi va fatta risalire agli anni ’80 quando si è affermata
la nuova dottrina neoliberista che si fondava nell’assunto (che ebbe
nell’economista e premio nobel Robert Mundell il sommo
45
sacerdote, e nel presidente Reagan il suo oracolo) che meno tasse,
meno stato, più mercato avrebbero liberato risorse (improduttive e
mal gestite dalla pubblica amministrazione) e rilanciato l’economia.
“Quel che è certo, afferma Zezza, è che questo modello di crescita
ha portato il mondo alla Grande Recessione iniziata nel 2007: il
periodo di declino più lungo nel secondo dopoguerra e che lo
spostamento verso l’alto nella distribuzione dei redditi non ha
comportato una crescita generalizzata del benessere.” A trarne
beneficio sono solo una ristretta minoranza: l’1% detiene il 38%
della ricchezza mondiale.*
La crisi europea viene qui interpretata come quella “tipica tra paesi
centrali e periferici una volta che questi ultimi instaurino regimi di
cambio fisso con i primi.” Le liberalizzazioni finanziarie e la moneta
unica hanno generato squilibri commerciali tra i paesi dell’Eurozona,
aumentato il debito estero, ridotto la competitività degli stati
periferici a causa dell’aggravarsi dei costi di finanziamento.
“E’ naturalmente responsabilità della nostra classe dirigente
nazionale, quella ancora del potere, aver condotto l’Italia in un
accordo monetario in cui il mercantilismo tedesco si dispiega senza
rimedio.” (Cesaratto)
Le elite dominanti del centro e della periferia si trovano così in parte
a combattere con armi impari, in parte accomunate da vantaggi
reciproci a discapito delle masse: “le une mosse dall’obiettivo di
catturare i mercati periferici, le altre da quello di importare la
disciplina dei paesi più forti.” Tanti saluti al sogno europeo di creare
pace sociale e benessere diffuso per tutti.
Intanto diventa sempre più incerto l’approdo a una soluzione della
crisi condivisa dall’insieme dei paesi dell’Eurozona, anche sulla
scorta dell’impostazione mercantilistica dell’economia dominante,
quella tedesca.
46
Il caso della Germania mette in evidenza l’asimmetria tra l’economia
tedesca e le altre economie europee. “Bismark non è passato invano
nella storia della Germania!” La politica autoritaria fondata sulla
disciplina cattura l’opinione pubblica e incontra un “rinascente
senso di autostima nazionale.”
Tuttavia scrive Bagnai: “Nella favola dei media il cattivo è il bilancio
pubblico.” Anche quando si apprende che “in realtà sono le banche
private che hanno prestato molto e male: ma la soluzione ideologica
viene additata nella riduzione dell’impronta di Stato, che deve fare
un passo indietro, così che al prossimo giro la banche possano
prestare troppo e peggio!” In quanto agli industriali che siano del
centro o della periferia, ognuno ha il suo tornaconto: “quelli del
centro lucrano profitti vendendo beni alla periferia, e quelli della
periferia ... ricorrono allo spauracchio del vincolo esterno per
disciplinare i sindacati.”
Pertanto spetta ai “paesi massacrati quotidianamente dalla linea
della austerità” fronteggiare il paradosso che la creazione di
liquidità è ritenuta dannosa se viene generata da politiche di deficit
spending, mentre può diventare illimitata quando serve a salvare
banche o permettere di continuare impunemente la speculazione.
(Paggi e D’Angelillo)
Un susseguirsi di manovre restrittive crea, nella questione dei debiti
sovrani e delle politiche di abbattimento dei rapporti debito/PIL, il
rischio di un trend perverso con conseguenti cadute sia dei livelli di
produzione sia dell’occupazione. (Ciccone)
“Nell’interpretazione della crisi come dovuta fondamentalmente
alla spesa pubblica c’è, naturalmente, non solo ignoranza, ma anche
malafede.” Interpretazione, come si è detto, utilizzata dalle classi
dominanti per erodere i diritti sociali conquistati, per avere la
meglio nei confronti dei concorrenti industriali e disporre di lavoro a
47
buon mercato. Ad ogni modo se il ricorso all’espansione della spesa
pubblica è indispensabile per innescare la crescita e l’occupazione,
diventa ancora più critico l’attacco al servizio sanitario nazionale. I
numeri: la spesa in Italia ammonta al 9,5% del PIL, inferiore a quella
della Germania, Francia e Regno Unito; nella patria della dottrina
neoliberista, gli Stati Uniti, è a quota 17,4% del PIL (con circa un
quarto della popolazione priva di copertura sanitaria). Quando si
sente parlare di tagli alla sanità è bene conoscere che la posta in
gioco è “una delle maggiori conquiste di civiltà della nostra
esperienza repubblicana.” (Gabriele)
Significativa la ricostruzione della crisi greca, dal ruolo tenuto dalla
Banca Centrale Greca (prima e dopo che venissero adottate le
misure di austerità), ai drammatici effetti economici e sociali
prodotti dalle cure della troika nei due anni di austerità imposta al
paese. (De Leo)
Ci sono e quali sono le vie di fuga? E’ auspicabile, praticabile e/o
perfino necessaria la fuoriuscita dall’euro di uno o più paesi
dell’Eurozona?
Gli effetti di un’uscita dall’euro non sono preventivabili come una
equazione matematica sebbene, dal crollo della lira nel ’92 e
conseguente uscita dallo SME al default argentino, non manchino i
casi di crac finanziari e crisi economiche che hanno coinvolto degli
stati sovrani. Ovviamente occorrerebbero misure straordinarie di
natura monetaria, il ritorno al controllo dei movimenti di capitali.
Ma gli effetti per quanto gravi potrebbero essere assorbiti più
agevolmente di “quelli prodotti da anni di continue politiche fiscali
recessive.” (Levrero)
48
L’esperienza dell’euro ha innescato un processo deflazionistico della
politica economica. E le politiche economiche dell’austerità fin qui
adottate non hanno fatto altro che inasprire tale fenomeno. Invece i
provvedimenti intrapresi concorrono “a mettere i popoli in
competizione gli uni con gli altri, ad uniformare verso il basso le
condizioni di vita e di lavoro e i sistemi di protezione sociale.”
Si rende quindi necessario intraprendere una lotta decisa e
prolungata. Da parte della sinistra europea sarebbe utile un
ripensamento sulle politiche di assecondamento sin qui adottate,
soprattutto negli anni in cui era maggioritaria in Europa, per
rompere la tenaglia delle elite dominanti che dall’interno e
dall’estero premono per comprimere gli spazi di sopravvivenza.
La sinistra francese ha portato avanti un programma che mira al
distacco dal liberismo, ad aumentare l’occupazione, alla presa di
coscienza di essere “proprietari di sovranità politica.”
Dall’introduzione di Sergio Cesaratto e Massimo Pivetti raccogliamo
dunque l’invito rivolto alla sinistra italiana di apportare un ri-
orientamento idoneo ad arginare “le devastazioni economico-sociali
e politiche dell’austerità. E’ allora ragionevole domandarsi se il
ritorno ad una maggiore autonomia economica e monetaria
nazionale, pur se provocato da circostanze esterne al nostro paese,
non potrebbe risparmiarci una buona parte di quelle devastazioni.”
Perché a tempo debito non si abbia anche a dire: oltre il danno,
l’oltraggio della menzogna.
* (fonte http://denaroedintorni.blogspot.it/2011/10/credit-suisse-
dice-l1-della-popolazione.html)
49
7. Come è potuto accadere?
Possediamo sia le conoscenze sia gli strumenti per mettere fine alla
crisi economica, secondo Paul Krugman, ma non viene fatto
abbastanza per affrontare con vigore la recessione ed eliminare la
sofferenza; la disoccupazione di massa è una tragedia, ed è insieme
fonte di povertà e causa del risorgere degli estremismi.
Come è potuto succedere? Si chiede l’autore, premio Nobel per
l’economia, nel libro Fuori da questa crisi, adesso! E’ un’esortazione
a fare presto.
E a quanti propongono di “focalizzarsi sul lungo termine,” risponde
con le parole di John Maynard Keynes:
“Questo lungo termine è una guida fallace per gli affari correnti. Nel lungo
termine saremmo tutti morti. Gli economisti si danno un compito troppo
facile e troppo inutile se nelle stagioni tempestose sono in grado di dirci
soltanto che quando la tempesta è passata da un pezzo il mare torna
calmo.”
All’epoca della Grande depressione, le conoscenze non erano quelle
attuali: nessuno era in grado di comprendere la dinamica
perdurante della crisi e suggerire il da farsi. Invece “i leader di oggi
non hanno quest’attenuante.”
E’ istruttivo il caso della cooperativa di baby-sitting. Lo studio
Monetary theory and the Great Capitol Hill Baby-sitting Coop crisis
fu pubblicato nel 1978. In pratica le coppie che si associavano
ricevevano 20 buoni (ognuno dei quali corrispondeva a mezz’ora di
baby-sitting); quando uscivano dalla coop dovevano restituirne il
medesimo numero. L’accaparramento dei buoni da parte di alcune
coppie (per necessità future, o in vista del momento di lasciare)
50
portò alla paralisi. La quale fu superata solo quando “gli economisti
del gruppo” convinsero i dirigenti a stampare altri buoni.
“La cooperativa di baby-sitting di Washington era una vera e propria
economia monetaria, ancorché in miniatura... I grandi problemi
economici possono avere una soluzione molto semplice.”
In conclusione, il problema della crisi era ed è causato da una
domanda insufficiente.
Quando i debitori si trovano nell’impossibilità di spendere di più,
anzi, sono indotti a ripagare i propri debiti, e nello stesso tempo, i
creditori non sono disponibili a incrementare la loro spesa, ne
consegue una fase recessiva nell’economia. Ciò è quanto è successo
negli USA e all’economia mondiale.
Non solo: nonostante le immissioni di denaro da parte della FED i
privati non aumentano i consumi; si è caduti nella cosiddetta
“trappola della liquidità.”
“La combinazione tra la trappola della liquidità ... e il peso di un
indebitamento eccessivo ci ha portato in un mondo di paradossi, in
cui la virtù è vizio e la prudenza è follia, e la maggior parte delle
soluzioni che ci propongono gli ‘esperti’ può solo incancrenire la
situazione.”
Come il ‘paradosso del deleveraging’, enunciato da Minsky: il
comportamento prudente, degli individui e delle imprese, finisce
per accentuare le difficoltà economiche anziché risolverle.
Un altro economista americano, Irving Fisher, ha osservato e poi
descritto il fenomeno della ‘liquidazione’ dei beni aziendali (asset),
per ridurre i debiti. Se troppi operatori si trovano nella medesima
necessità, i loro sforzi per arginare la situazione diventano contro-
producenti e autolesionistici.
Queste dinamiche appaiono ovvie, e ci sarebbe pure la soluzione,
ma il problema di fondo è che tante persone influenti (che l’autore
51
sarcasticamente definisce Very Serious People) si rifiutano di
prenderla in considerazione.
Come si è arrivati a una tale situazione? In una economia in crescita,
il leverage (l’indebitamento che sale) assume una connotazione
espansiva: in pratica tira aria di ottimismo e più o meno tutti
vogliono approfittarne; ciò induce a prendere rischi, finché accade
qualcosa d’imprevisto, l’arresto momentaneo dell’economia o lo
scoppio di una bolla; se di colpo i debitori sono costretti a correre ai
ripari, collettivamente, si mette in moto la spirale deflazionistica,
che trasforma lo scenario, prima roseo, in incubo.
La deregolamentazione ha favorito lo sviluppo di un sistema
bancario ombra (dove hanno una sede privilegiata derivati e finanza
creativa), che avrebbe dovuto essere assoggettato alle medesime
regole che disciplinano le banche tradizionali. “Il mancato adegua-
mento delle normative ha avuto un peso determinante nella
crescita esponenziale del debito e nella crisi che ne è seguita.” Il
crollo della fiducia, soprattutto verso le attività bancarie, porta alla
corsa agli sportelli; una volta che il panico si è diffuso, la situazione
degenera e diventa “una profezia che si autoavvera.”
“Ma vi sarà capitato di sentire tutta un’altra storia, come per
esempio quella raccontata da Michael Bloomberg...” Secondo la
destra repubblicana l’eccesso dei debiti sarebbero dovuti a “una
sinistra dal cuore troppo tenero,” alle “agenzie governative,” che
avrebbero spinto le banche a prestare soldi e a concedere mutui
ipotecari senza adeguate garanzie. La verità è che i conservatori,
ogni volta che sono andati al potere, “hanno smantellato molte
delle tutele introdotte all’epoca della Depressione,” lasciando le
masse in braghe di tela.
52
“Nel 2006, i 25 gestori di hedge fund meglio pagati si sono messi in
tasca 14 miliardi di dollari, ovvero tre volte gli stipendi di tutti gli 80
mila insegnanti di New York messi insieme.” Ciò che appare in
aperto conflitto con quanti sostengono che la forte sperequazione
dei livelli retributivi sia determinata dal divario dei livelli di
istruzione. Gli insegnanti hanno quasi tutti una laurea, ma non
godono neanche lontanamente degli incrementi di reddito dei top
manager, CEO e gestori di fondi.
A partire dal 1980, negli USA, nel Regno Unito e successivamente in
altri paesi ha soffiato il vento del cambiamento. La destra politica ha
introdotto la riduzione delle aliquote fiscali per i redditi più alti,
spazzando via il cosiddetto “vincolo dell’oltraggio,” portando cioè il
differenziale tra le retribuzioni più basse e quelle più elevate a livelli
mai visti in tempi recenti, almeno nei paesi democratici avanzati.
La “perniciosa combinazione tra politica e trionfo della sociologia
accademica” ha determinato la scomparsa della civiltà economica
che si era affermata nella seconda metà del secolo scorso.
Negli ambienti conservatori si è instaurata una visione strumentale
del pensiero keynesiano che identifica lo stesso con “la pianifica-
zione centralizzata” e la redistribuzione del reddito alle classi non
meritevoli.
Secondo Keynes è una pessima scelta quella di lasciare la gestione
delle politiche economiche alla mercé degli speculatori. Infatti
sosteneva: “quando lo sviluppo del capitale di un paese diventa un
sottoprodotto dell’attività di un casinò, è probabile che si tratti di un
lavoro malfatto.” Invece negli ultimi decenni si è imposto il dogma
che devono prevalere le leggi di mercato. Spesso artefatto.
Quello che dicono i numeri... I dati indicano che negli USA, se si tiene
conto di coloro che non cercano più un lavoro e di quanti hanno
53
ripiegato su uno part-time, i disoccupati arrivano al 15 per cento
circa della forza-lavoro: il doppio di quelli registrati prima della crisi.
Il perdurare della situazione depressiva conduce alla stagnazione e
allo scoramento; molti dei disoccupati si vedono costretti ad
accettare un’occupazione meno qualificata; è questo il caso anche
dei neolaureati. Sono competenze che vanno in fumo. Infine il calo
degli investimenti mette a repentaglio le possibilità di sviluppo
futuro.
Gli USA producono beni e servizi intorno a 14/15 trilioni di dollari
l’anno. Il piano di stimolo della domanda di 787 miliardi di dollari,
considerando l’affacciarsi della crisi di una durata ipotetica di 3 anni,
avrebbe mirato a rivitalizzare un’economia pari a 45 trilioni... Uno
stimolo quindi che rappresenta più o meno il 2 per cento del totale
preso in considerazione. A questo punto non sembrano così tanti,
vero? Fa osservare Krugman, il quale aggiunge che per una serie di
ragioni, Obama avrebbe fatto la cosa giusta, ma purtroppo su scala
ridotta.
(Altri numeri: il debito complessivo USA - tra governo federale,
statale e amministrazioni locali - è pari al 93,5 per cento del PIL -
fine 2010).
Considerato che nell’ordinamento economico-legislativo degli Stati
Uniti esiste già il fallimento pilotato (Chapter 11), pur di sbloccare lo
stallo economico, converrebbe riscrivere i contratti dei mutui
ipotecari e implementare dei piani di rinegoziazione del debito.
In sintesi, la mancanza di posti di lavoro provoca danni certi mentre
il deficit di un paese, come l’America, rappresenta un danno preva-
lentemente ipotetico. Ovviamente stampare moneta mette in moto
un processo che genera inflazione. Ma questo non accade quando ci
si trova nella trappola della liquidità.
54
L’ammontare del debito non è tragico, sempre che non aumenti più
in fretta dell’inflazione e della crescita economica messe insieme.
Pertanto “i moniti su una presunta crisi del debito si basano sostan-
zialmente sul nulla” - a condizione che il paese abbia sovranità sulla
propria moneta.
Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone hanno una propria divisa.
Invece Italia, Spagna, Grecia e Irlanda, hanno perso la loro sovranità
monetaria; essendo i loro debiti espressi in euro, si scoprono
vulnerabili e in balia degli attacchi speculativi.
“Le élite europee erano così affascinate all’idea di creare un potente
simbolo di unità da sovrastimare i benefici della nuova moneta
unica e da trascurarne le possibili (e significative) negatività.”
Nell’interscambio commerciale ci sono dei costi reali nell’utilizzo di
più valute di cambio, cosa che l’adozione di una moneta comune
(l’euro) ha superato. Ma un paese che cede la propria sovranità
monetaria perde difatti la possibilità di ricorrere alla svalutazione, di
adottare stimoli alla crescita... e di altre misure economiche che
aiutano ad affrontare le turbolenze economiche.
Inoltre la svalutazione della moneta si configura come la via maestra
per intaccare il valore reale dei salari senza dover intavolare
estenuanti negoziati con le controparti. Milton Friedman ricorreva al
paragone con l’ora legale. “Non è assurdo tirare indietro le lancette
di un’ora d’estate, quando si potrebbe ottenere esattamente lo
stesso risultato convincendo tutti gli individui a modificare le
proprie abitudini?”
Le retribuzioni possono essere diminuite quasi da un giorno all’altro,
e con limitati problemi di ordine pubblico, attraverso la svalutazione
della moneta: recentemente è accaduto in Islanda.
Ma non può essere fatto, senza ripercussioni, nei paesi dell’euro.
55
Vale anche per l’Europa il ruolo assunto da politici e tecnocrati, Very
Serious People, che dibattono il problema partendo da “un falso
resoconto delle cause della crisi.” Nei fatti ostacolano le soluzioni
davvero efficaci e perseverano con “politiche destinate a peggiorare
ulteriormente la situazione.” Purtroppo si è affermata la convin-
zione, moralistica, che la crisi europea dipende dall’irresponsabilità
nella gestione dei bilanci pubblici. Avendo alcuni paesi fatto
registrare deficit astronomici, si sarebbe reso necessario imporre
delle regole che prevengano il ripetersi di questo ciclo perverso.
Prima della crisi Irlanda e Spagna avevano un debito basso; il debito
dell’Italia era elevato, ma era stato contratto negli anni ’70 - ’80, e
negli ultimi anni era in calo. Ed era in progressivo calo la media
ponderata del debito, in percentuale sul PIL, dei cosiddetti PIIGS
(Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna). Soltanto in seguito alla
crisi il debito si è ingigantito ed è diventato un fattore destabi-
lizzante per la zona periferica dell’euro.
Ciò nonostante politici e funzionari europei continuano a propu-
gnare politiche di austerità. Il problema viene enunciato in termini
morali. I paesi che si trovano in difficoltà, perché non hanno mante-
nuto in regola i loro conti, hanno peccato, e ora sembra giusto che
ne paghino le conseguenze, che non devono ricadere sui paesi
virtuosi.
Confrontando Europa e Stati Uniti, sotto il profilo del debito
pubblico e di quello dei privati, l’Europa complessivamente si trova
meno esposta. Purtroppo il fatto che il Vecchio continente non sia
un “aggregato omogeneo” e che ogni paese abbia il suo bilancio e il
proprio mercato del lavoro, ma non la propria moneta, rende
l’intera area geografica più esposta.
La logica economica indica che la politica fiscale deve andare
controcorrente, imponendo tagli alla spesa pubblica quando i tempi
56
lo permettono. Poiché l’austerità deprime ancora di più le economie
che rallentano, rigore e incrementi d’imposte dovrebbero quindi
essere pianificati nel lungo termine, e in presenza di una ripresa
effettiva.
La logica del potere, invece, asseconda altre priorità.
“Quel che è certo, comunque, è che non c’è niente di peggio di una
società della crescita senza crescita.” (Serge Latouche)
57
8. Decrescita: dalla globalizzazione al cortile di casa
Dovessi scegliere un titolo alternativo al libro Per un’abbondanza
frugale di Serge Latouche (o sottotitolo, per non eccedere neppure
nell’immaginario in smodate fantasticherie di crescita - personale)
lo inquadrerei in una definizione che partendo dalla globalizzazione
arriva al cortile di casa.
Infatti l’ossimoro abbondanza frugale mi richiama alla mente il
primo decennio dopo la seconda guerra mondiale, quando nelle
province del meridione la vita di campagna non aveva ancora
conosciuto il richiamo della grande industria ad abbandonare la
terra e a emigrare al nord. Ha un sapore anni cinquanta che evoca i
sapori della fattoria. Tra l’orto e il pollaio c’era quanto bastava per
assicurare due pasti al giorno a un’intera famiglia. Certo, da ragazzi
si subiva lo tsunami (l’abbondanza appunto!) di verdure che dall’or-
to arrivavano sulla tavola, fresche e copiose, più o meno come
un’angheria esercitata dai grandi sui piccoli. E poiché l’orticultura
all’aria aperta, in ogni stagione, esaurisce un ciclo e dà in sovrab-
bondanza nuove varietà, un moto di ribellione ci induceva a
sbuffare al protrarsi di ogni tornata: sempre la stessa minestra!
Al che faceva eco l’abituale risposta, pronta a ricondurre alla cruda
realtà e all’ordine: ringrazia dio perché ci sono famiglie che non
sanno cosa inventarsi, la mattina, da mettere nel piatto la sera!
“Quel che è certo, comunque, è che non c’è niente di peggio di una
società della crescita senza crescita.”
I governi per fronteggiare la crisi economica si dibattono tra
l’austerità, nel tentativo di contenere il debito pubblico, e il rilancio
58
dei consumi con l’auspicio di rimettere in moto l’economia.
L’austerità accentua la miseria delle classi più povere della
popolazione; la rincorsa dei consumi accelera la depauperazione del
pianeta terra.
La ricetta della decrescita mira a risolvere i problemi degli Stati
attraverso una fiscalità indiretta a partire dai “beni di lusso” al
“cattivo uso delle risorse naturali.” Le tariffe dei servizi per l’acqua,
il gas, l’elettricità ... dovrebbero colpire il sovra-consumo. “Una
tassa significativa sul patrimonio ... completerebbe il dispositivo per
limitare le eccessive differenze di ricchezza.”
In linea teorica l’indebitamento degli Stati sovrani è un problema
relativamente più facile da risolvere per rapporto allo squilibrio
mondiale della finanza causato dagli eccessi della speculazione.
I prodotti derivati avevano raggiunto quota 600 mila miliardi di
dollari nel febbraio del 2008, ossia da 11 a 14 volte il PIL mondiale
(fonte: Banca dei regolamenti internazionali di Basilea). Per ridiscen-
dere da tali vette a valle, più che un atterraggio morbido, c’è da
attendersi una rovinosa caduta!
La transizione verso una economia rispettosa dell’ambiente
dovrebbe comunque perseguire l’obiettivo della “piena occupazione
per rimediare alla miseria di una parte della popolazione.”
Bisognerà provvedere alla “rilocalizzazione sistematica delle attività
utili, una riconversione progressiva delle attività parassitarie, come
la pubblicità, o nocive, come il nucleare o l’industria degli arma-
menti, e una riduzione programmata e significativa dell’orario di
lavoro.”
Paesi come la Grecia (o l’Irlanda) dovrebbero uscire dall’euro, ritor-
nare alla vecchia moneta nazionale, e riprendere in mano il
controllo nazionale delle prerogative di ogni stato indipendente: dai
cambi fino al ristabilimento delle dogane.
59
“Come un ciclista, il sistema (capitalistico) si mantiene in equilibrio
soltanto pedalando continuamente. Il dinamismo della vita econo-
mica viene a cozzare con ... la finitezza della natura: l’insufficienza
delle terre fertili, l’esaurimento delle risorse minerarie, i limiti del
pianeta.”
Non è da confondere il “progetto di una società della decrescita”
con la crescita economica negativa. Primo presupposto della decre-
scita è l’affrancamento dalla società dei consumi. “Al limite, si
potrebbe parlare dell’opposizione tra decrescita scelta e decrescita
subita.” La scelta da compiere è quella di intraprendere volonta-
riamente una sapiente condotta di vita per il raggiungimento del
proprio benessere, in una dimensione armonica, con una società
che sappia rinnovarsi. E avviare un processo di deindustrializzazione.
La deindustrializzazione va realizzata “grazie a utensili tecnicamente
complessi ma conviviali,” dando “prova che si può produrre
diversamente - riciclando, riparando, trasformando.” Gran parte
della produzione di quanto è necessario a una comunità può essere
realizzabile in autonomia. Secondo Granstedt, una ‘crescente
capacità di autorganizzazione sociale permetterà a ciascuna
comunità o regione di controllare il proprio divenire sociale e di
inventare una propria originalità, rimanendo al tempo stesso aperta
sul mondo.’
I 4 punti o pilastri a sostegno del progetto sono: 1) “una riduzione
della produttività tecnica globale... 2) la rilocalizzazione delle attività
e la fine dello sfruttamento del Sud, 3) la creazione di posti di lavoro
a contenuto ecologico in tutti i settori di attività, 4) un cambiamento
di modo di vita e la soppressione dei bisogni inutili (‘dimagrimenti’
consistenti nella pubblicità, turismo (*), trasporti, industria automo-
bilistica, agro business, biotecnologie ecc.).”
60
Il progetto politico, altresì definito “utopia concreta della decre-
scita,” si configura in 8 R (rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare,
rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare).
Occorre ripartire dai concetti base delle parole stesse e ridare loro
un valore assoluto rispettoso dell’ambiente. “Rivalutare significa
rivedere i valori in cui crediamo”, quelli che mettiamo alla base della
nostra vita, assicurandoci che non portino al disastro. “L’altruismo
dovrà avere la meglio sull’egoismo, la cooperazione sulla concor-
renza sfrenata, l’importanza della vita sociale sul consumo illimitato,
il locale sul globale, l’autonomia sull’eteronomia.” Il prometeismo
della modernità, così come fu espresso sia da Cartesio (l’uomo
padrone della natura) sia da Bacone (asservire la natura), deve
essere divelto e superato.
C’è del vero quando viene suggerito che la decrescita, (evocando la
magrezza dovuta alla penuria di cibo, e non l’eleganza filiforme delle
modelle anoressiche in passerella), non sarebbe trendy. Come
aspettarsi un commento diverso da una società che spinge
l’individuo, a tutti i costi, a competere e superare se stesso?
La parola decrescita, ammette l’autore, è “sicuramente il termine
peggiore per descrivere il progetto di democrazia ecologica e di
società di abbondanza frugale... In quanto slogan, il termine
decrescita è tuttavia una trovata retorica piuttosto felice.” E citando
l’allegoria del torrente, che dopo essere straripato rientra negli
argini, auspica che l’economia faccia altrettanto.
E’ opinione diffusa che il mondo informatico, incorporando soprat-
tutto materia grigia, dovrebbe essere friendly verso l’ambiente.
Invece viene calcolato che “la fabbricazione di un solo computer,
per esempio, consuma 1,8 tonnellate di materiali, di cui 240 chili di
energia fossile, e un chip di due grammi ha bisogno di 1,7 chili di
61
energia, nonché di una enorme quantità di acqua” (rapporto per
l’ONU Ordinateur et environnement, Kluwer Academic Publishers).
Altro aspetto controverso, poiché entrano in campo elementi
notoriamente sensibili quali le credenze profonde e i sentimenti
religiosi, è il sovrappopolamento del pianeta. Per alcuni la soluzione
del problema sarebbe quella del ‘laissez faire’, cioè di permettere
che la povertà, le differenze nord-sud, facciano il loro corso
diminuendo per così dire il numero degli ‘aventi diritto’. E’ la
soluzione inconfessata ma gradita ai grandi della Terra, poiché non
altera i rapporti di forze esistenti né il sistema vigente. Non pochi
rappresentanti dell’oligarchia vedrebbero di buon occhio il controllo
delle nascite come la soluzione principe.
Henry Kissinger, nel ’74 scriveva: “Per conservare l’egemonia
americana nel mondo e assicurare agli americani il libero accesso ai
minerali strategici dell’insieme del pianeta, è necessario contenere,
o ridurre, le popolazioni dei 13 paesi del mondo (India, Bangladesh,
Nigeria...) il cui peso demografico li condanna, per così dire, a
svolgere un ruolo di primo piano in politica internazionale” (rappor-
to sulla Incidenza della crescita della popolazione mondiale).
E Maurice King, uno dei responsabili delle politiche demografiche, si
esprimeva né più né meno allo stesso modo: “Tentare la pianifica-
zione familiare, ma se questo non funziona, lasciare morire i poveri,
perché sono una minaccia ecologica.”
Un autore americano, William Vogt, già negli anni cinquanta aveva
invocato una riduzione della popolazione per mezzo di una guerra
batteriologica su vasta scala che, se condotta energicamente,
avrebbe restituito al pianeta le foreste e i pascoli. Era uno che
teneva così tanto alla Natura da propugnare la soluzione finale.
62
Ovviamente la posizione degli obiettori di crescita non è questa. La
riduzione massiccia della popolazione è agli antipodi del progetto
della decrescita.
Nuovi studi vengono elaborati di continuo, segno che l’ansietà ha
motivo d’esistere. Si calcola che la produzione di un contadino
francese, nel 1960 copriva il fabbisogno di 7 persone; nel 2000 ne
nutriva 80: un exploit che avrebbe fatto impallidire Malthus (**). Un
agricoltore americano produce una quantità di mais, oggi, 350 volte
superiore a quella degli indiani cherokee! Preoccupazioni eccessive
dunque?
Queste e numerose altre cifre che periodicamente vengono diffuse,
a ondate, possono dare le vertigini, ma bisogna fare in modo da non
perdere la trebisonda.
Il problema sussiste poiché la complessità di predire il futuro è
dimostrata; inoltre la posta in gioco, quello di alterare irrimedia-
bilmente il decorso della natura, è troppo importante per non
affrontare il tema dello sviluppo con le dovute cautele.
”Quello che la decrescita mette in discussione è in primo luogo la
logica della crescita per la crescita della produzione materiale,” che
sembra essere il mantra preferito degli economisti, prima ancora di
soffermarsi a dare una giusta ponderazione all’abbondanza degli
uomini.
Insomma c’è da considerare che anche con una popolazione ridotta,
la crescita esponenziale dei bisogni comporta una devastazione
ecologica eccessiva. “L’Italia è un buon esempio di questa situazione
paradossale. La popolazione diminuisce, ma ... la produzione, il
consumo, la distruzione della natura e dei paesaggi, l’erosione del
territorio... , la cementificazione, non smettono di crescere.”
63
Se la tendenza è quella di imitare tenore di vita e consumo medio di
un americano, siamo già in una situazione di sovrappopolamento.
Mentre “la dieta di base del burkinabé ci darebbe ancora un ampio
margine di manovra.” Il naturalista Jean Dorst rilevava, con
malcelato umorismo, che sarebbe stato comunque più gradevole
non essere costretti a mangiare in piedi!
Il progetto della decrescita, partendo dalla necessità di affrontare i
problemi delle disuguaglianze planetarie, raccomanda agli abitanti
dei paesi poveri di preservare il loro patrimonio naturale, di “uscire
dalle fabbriche... per tornare all’agricoltura di sussistenza.”
Promuovere l’artigianato, il piccolo commercio, riprendere in mano
il proprio destino, creando piccole comunità autosufficienti. Nei
paesi del Terzo mondo, per favorire l’agricoltura intensiva, il
contadino povero è espulso dalla sua terra. Mentre la produzione
familiare tradizionale assicurava alle popolazioni che la praticavano
una vita semplice ma dignitosa, le colture su vasta scala destinate
alla produzione industriale, trasformano la povertà secolare in
miseria. “La povertà era tradizionalmente caratterizzata dall’assenza
del superfluo: la miseria è l’impossibilità di procurarsi il necessario.”
Gli esclusi, i dannati della terra, non hanno altra alternativa se non
quella di riuscire a coniugare la tradizione perduta con piccole
iniezioni di modernità, in una visione territoriale e comunitaria, con
una produzione che guarda ai bisogni essenziali della collettività. In
contrapposizione alle oligarchie economiche e finanziarie che
svuotano la politica della sua sostanza e nei fatti impongono la loro
volontà.
“Il lavoro di auto-trasformazione in profondità della società e dei
cittadini ci sembra più importante e promettente delle scadenze
elettorali.” Occorre puntare dunque su un cambiamento a livello
locale, anche attraverso la creazione di monete di scambio
64
alternative, sui comuni virtuosi, slow cities ... La marcia per imporre
soluzioni di decrescita a livelli superiori è lunga.
L’autore, nelle battute finali, si pone l’interrogativo se, per
raggiungere lo scopo, bisogna spingersi fino ad inventare una nuova
religione. Non mancano, come s’è visto, gli adoratori di Gaia; i
seguaci della deep ecology, organizzati in sette, addirittura celebra-
no cerimonie pseudoreligiose. “Noi,” riprendono quota stato
d’animo e ragionamento “siamo diventati degli atei della crescita,
degli agnostici del progresso.”
L’utopia della decrescita è rivolta alla parte nobile del genere
umano. La scommessa quindi è nell’uomo, nella sua capacità di fare
fronte agli eventi e ravvedersi. O, se è necessario, invertire la rotta.
(*) I turisti internazionali sono passati da 25 milioni nel 1950 a più di 700
milioni nel 2008.
(**) Wikipedia - Thomas Robert Malthus (1766–1834)
Nel 1798 pubblicò An essay of the principle of the population as it affects
the future improvement of society (Saggio sul principio della popolazione e
i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società), in cui sostenne che
l'incremento demografico avrebbe spinto a coltivare terre sempre meno
fertili con conseguente penuria di generi di sussistenza per giungere
all'arresto dello sviluppo economico, poiché la popolazione tenderebbe a
crescere in progressione geometrica, quindi più velocemente della
disponibilità di alimenti, che crescono invece in progressione aritmetica
(teoria questa che sarà poi ripresa da altri economisti per teorizzare
l'esaurimento del carbone prima, e del petrolio dopo).
65
9. Incerti spiragli di luce... Anzi no: buio
Il Nord si mosse contro il Sud; il Sud assetato, come il Nord, a
sfavore di una parte del Sud; il Nord-Est contro il Centro (del
potere), Roma.
Round Trip è un ebook di Antonio Costato. Vice presidente della
Confindustria dal 2008 al 2012, imprenditore rappresentante della
‘società dei comandati’. Il quale così identifica il suo Veneto: “unica
regione al mondo da 200 miliardi di PIL senza una capitale e dove la
gente come saluto dichiara la propria incondizionata obbedienza
(‘comandi’!).”
E in circa 200 pagine di articoli pubblicati su vari quotidiani racconta,
come eloquentemente dichiara il sottotitolo, Cronache di un lustro
speso a capire perché a 146 anni dall’annessione per i veneti Roma è
ancora una capitale straniera.
“Nulla è perpetuo e nel caso del sistema italico il tema non è ‘se’
finirà ma semplicemente ‘quando’. Perché un’entità economica
quando è gestita male e coltiva al suo interno asimmetrie e
ingiustizie di ogni tipo alla lunga non può reggere.”
Quello che più rattrista (e stupisce talvolta, ma sempre meno) è
quanto poco apprendiamo dalla storia. Eppure siamo un paese che
di storia ne ha tanta da esserne immerso: da vedere, toccare,
trafugare, esporre nei musei di mezzo mondo, da leggere e
studiare... Ecco, ciò che ci fa difetto è imparare. I segnali ci sono, e i
rischi sono altrettanto evidenti.
Ma “agli italiani ... piace l’inconsapevolezza.”
66
Quel diffuso consenso, generalizzato, verso “politiche scellerate”
protratte per decenni non si può spiegare in altro modo. “Come
tollerare che la corruzione, vero problema del nostro sistema, sia
accettata come endemica?” Che si sia annidata in un Parlamento
chiamato a legiferare, “lo stesso in cui siedono i responsabili del
misfatto? Che l’eccezionale venga sdoganato per normale?”
Se la scuola si soffermasse ad analizzare quanto accade nella storia
moderna, da tempo avrebbe dovuto metterci in guardia sul fatto
che la fase di benessere, di crescita politica e sociale, iniziata con le
rivoluzioni del ‘700 è in forte declino.
In Italia abbiamo assistito a un avvicendamento nella gestione di
credito, energia, comunicazioni, infrastrutture, assistenza e
previdenza. Allo Stato, che aveva la missione di diffondere il
benessere sociale senza fini di lucro, si sono avvicendati alcuni
gruppi di affaristi, che invece coltivano l’obiettivo di trarne profitto.
Ecco, “al netto della cattiva gestione,” l’operato dello stato mirava
allo sviluppo del paese.
Invece a partire dagli anni ’80 “con la scusa della ricerca della
maggiore efficienza,” si è propagata la convinzione che la gestione
dei servizi in mano ai privati dovesse eliminare le sacche di cattiva
gestione a beneficio di tutta la comunità. E così il patrimonio
pubblico è stato smembrato e assegnato ai privati.
“Lo Stato si fece garante che le società privatizzande avrebbero
guadagnato grazie a regole e leggi designate in una certa maniera.”
Nuove regole, authority, concorrenza. Le banche finanziarono gli
assegnatari e il gioco fu fatto. Peccato che il giochino, dice l’autore,
che sembrava a somma zero contenesse un vulnus imperdonabile,
trasformando il rischio da mercantile in regolatorio. “Invece di
affrancare la società dagli umori della politica, crea i presupposti per
un cortocircuito ancora peggiore dell’originale.”
67
In definitiva la politica si ritrova “più debole e sottomessa alle
lobby.” E la società, una privatizzazione dopo l’altra, è indietreggiata
verso una situazione che si pensava ormai superata e relegata ai
libri di storia.
Come può l’economia nostrana qualificarsi economia di mercato
quando “lo Stato intermedia oltre il 60% del PIL emerso?” Inoltre
del restante 40% una fetta non trascurabile è soggetta a “regole che
si traducono non in prezzi ma in tariffe. Ecco spiegato il miracolo di
un paese in recessione dove, invece di calare, le tariffe ...
aumentano anche in assenza di domanda.”
Nella società medioevale prevaleva un sistema di imposte indirette.
I sudditi pagavano per attraversare un ponte, un confine, per
l’utilizzo di un terreno o un pascolo. I feudatari “avevano come
obiettivo primario il loro benessere e la compiacenza del
concedente. Il tutto era poi condito da odiosi privilegi.”
Gli Stati moderni, dall’800 in poi, sono passati a un sistema
d’imposizione diretta, sul modello di ‘chi più ha più corrisponde’.
Quest’approccio, senza essere messo in discussione come principio,
viene alterato nei fatti a cominciare dagli anni ’70-80 del secolo
scorso.
“In epoca di Robin Hood Tax risulta naturale ampliare l’allegoria, e
guardare come nel tempo le municipalizzate siano diventate i feudi
di una Casta di amministratori che assomiglia in maniera
drammatica ai Signori che nei tempi che furono presidiavano le
acque, le cave, i boschi, i pascoli ecc. e che vivevano sfruttando in
maniera indiscriminata i cittadini dalla posizione assegnata dal loro
principe.” Siamo o no retrocessi, un passo alla volta, a una sorta di
neofeudalesimo?
Ma il buon senso, la storia insegnano che un gradino alla volta si
arriva anche alla rottura dell’equilibrio sociale complessivo.
68
L’Italia dei tanti localismi registra negli anni più recenti un calo
demografico, generale, che dovrebbe far riflettere (e meriterebbe di
essere trattato a parte e in profondità). “I governi di questi anni ci
stanno regalando proletari senza prole.” E ai fini della sicurezza,
diventa poi “inutile riempire le piazze con presidi di polizia; ci
vogliono grembiuli, non divise.”
Per fortuna, aggiunge Costato, gli imprenditori della penisola (e dei
mille campanili) sono più stabili che altrove. L’Irlanda ad esempio
dipende “in maniera maggiore dalle decisioni di multinazionali
continuamente alla ricerca di contesti più favorevoli.”
Ma perché, chi ha voglia di investire dovrebbe venire da noi, se per
avviare un’azienda, è richiesto più tempo e più capitale per ottenere
meno profitti? “A percorrere le tortuose strade della burocrazia
nostrana rimangono quindi (un po’ per scelta e un po’ per obbligo)
solo gli imprenditori autoctoni,” confida l’autore, che dopo averli
qualifica appartenenti a una “razza indomita e indefessa (ma non
immune al rischio estinzione!)” esterna la sua contrarietà di fronte a
certi episodi, e alla narrazione che i media fanno dei protagonisti.
Non basta la frustrazione di svolgere il proprio operato in condizioni
svantaggiate, viene a sommarsi anche “la quotidiana umiliazione di
vedere qualificati da giornali e TV personaggi alla Tarantini come
imprenditori.” Di qui l’adesione “all’appello fatto [proprio]... perché
i vari Tarantini, Lavitola, Anemone e compagnia cantando vengano
qualificati per quello che sono ovvero dei faccendieri, categoria che
comprende quella pletora si soggetti che frequenta a vario titolo la
capitale.” Ritorna la centralità del potere di Roma e il ruolo di quei
personaggi che, muovendosi tra Stato e parastato come mosche
attratte dallo stallatico, “sono il veleno dell’impresa.” Poiché con il
loro operato “alterano i meccanismi di mercato e, invece di
69
costituire l’esempio di come con ingegno e onestà si possa
emancipare se stessi e la società, sono all’opposto intralcio e sabbia
negli ingranaggi della concorrenza.”
La storia dell’uomo è anche quella della sua posizione nella società.
L’evoluzione dei ruoli comincia con la generazione, l’accaparra-
mento e lo scambio di beni. La creazione di un surplus consente ad
alcuni di “sottrarsi alle attività di produzione diretta per assurgere a
ruoli di comando.”
Il potere della forza e dell’intelletto, differentemente miscelati,
hanno condotto il genere umano ad assetti sociali alquanto diversi
che tuttavia mantengono nel tempo la medesima essenza di base. Si
è arrivato così alla formazione di strutture sociali di tipo sempre più
“complesse rette da un sistema di governo che, a prescindere
dall’epoca e dalla localizzazione geografica, è alla fine gestito da due
caste: una che si occupa della tutela dell’ortodossia (sacerdoti,
senatori, bramini o mandarini) ed una che si occupa
dell’imposizione dell’ortodossia stessa (con una componente
militare e una deputata all’esazione).”
I popoli, intesi come sistemi sociali, sono andati in crisi quando si è
infranto “il punto di equilibrio tra le pretese dei governanti e le
possibilità dei governati.”
Dalla caduta del Muro di Berlino si è imposto una specie di ‘pensiero
unico’ che ha preso il nome di mercato. Dove, stranamente non ha
assunto il ruolo di protagonista chi, producendo beni, rischia in
proprio, ma coloro che muovono capitali: la finanza insomma. “Oggi
economisti e banchieri sono i custodi dell’ortodossia” che ha nella
finanza il fulcro principale.
Solo loro i sacerdoti che “sollecitano l’imposizione di sacrifici
sempre più gravosi per prolungare la vita di un sistema dal destino
70
segnato.” E che nei momenti di massima allerta traggono i massimi
profitti.*
Parafrasando Charles Caleb Colton, prelato e scrittore inglese, tanto
vale ammettere che ci sono tentazioni così ben congegnate che
sarebbe stupido non cascarci dentro. E infatti l’uomo moderno è
blandito e assoggettato con mezzi di persuasione tanto sofisticati da
rendere quasi ridondante l’uso della forza da parte delle elite al
potere. Tuttavia le blandizie trovano un limite di rottura di fronte
alla necessità delle persone di soddisfare i bisogni primari.
“Il collasso delle civiltà passate è stato causato dalla pretesa”
eccessiva di quanti erano in posizioni avvantaggiate rispetto alla
“capacità di sopportazione dei sudditi.” Un’economia sostenuta “da
poco più di 15 milioni di soggetti impiegati in settori market” non
può reggere una massa di dipendenti pubblici di 3,5 milioni.
(Mario Sechi, Panorama, 7/8/08)
Turbina. Alternatore. Trasformatore. Bolletta. Messa così, la strada
della produzione di energia elettrica appare diritta e senza ostacoli,
ma come diceva Ennio Flaiano: “In Italia la linea più breve tra due
punti è l’arabesco” e dunque il sentiero è tortuoso e costoso.
La bolletta energetica italiana infatti non è uguale per tutti: i
megawatt di elettricità prodotto nel Settentrione il 10 luglio scorso
costava 106,66 €, al Centro e nel Meridione 123,29, in Sardegna
113,06 e in Sicilia toccava la stratosferica cifra di 171,09 euro.
Incredibili asimmetrie di prezzo che si spiegano così: alcune zone
dell’Italia non sono collegate alla rete nazionale e questo crea una
serie di disfunzioni nella distribuzione di energia.
Terna, per le resistenze e i veti degli enti locali non riesce a posare i
cavi necessari per distribuire l’elettricità.
71
Antonio Costato: “Gli amministratori regionali, grazie alla riforma
del titolo V della Costituzione, hanno una capacità di interdizione
alla costruzione di qualsiasi tipo di infrastruttura... Io sono un
federalista, ma un conto è il perimetro politico e fiscale, un altro è il
perimetro economico dove l’ambito è addirittura sovranazionale.”
Prossimamente vedremo quali riforme saranno messe in cantiere
nel nostro paese. Il percorso accidentato sul quale la Grecia è
incamminata punta verso l’ignoto; ciò dimostra come i confini
dell’Europa siano ormai confusi. Il rigore chiesto dall’Europa
implicitamente ci spinge a costruire il vero federalismo. Altrimenti
“ci troveremmo tutti sul Titanic e rischieremmo di finire contro
l’iceberg.” (Eugenio Bruno, Il Sole 24 Ore, 1/10/10)
Il modello centralizzato, con Roma capitale, ha fallito se è vero
(come viene dimostrato) che dall’Unità ad oggi il reddito medio pro
capite del Sud è passato dall’85% rispetto al Centro-Nord all’attuale
55%.
“Come andrà a finire: certamente non con una rivoluzione.”
L’autore ne è convinto e la cosa non può che confortarci (i Balcani
sono troppo vicini in senso non solo geografico per non temere
scenari imprevedibili). Gli argomenti, che fugano l’idea di una
rivoluzione non mancano. Infatti Costato argomenta che mai nei
secoli in Italia è stata fatta una rivoluzione. “Anche nei momenti più
bui, come peraltro sono i nostri giorni, i palazzi romani sono protetti
da una fascia di pasciuti notabili e di popolino al quale non viene
fatto mancare di che vivere e divertirsi.” Sarebbe impensabile
dunque “immaginare una presa del Quirinale o cose simili come già
accadde invece per la Bastiglia o il Palazzo d’Inverno.”
72
Ciò non esclude che ci saranno profondi cambiamenti. Anche se è
piuttosto difficile prefigurare l’approdo finale, sulla base
dell’esperienza si possono solo fare ipotesi e immaginare percorsi
evolutivi della situazione. La storia economica recente ha visto
svilupparsi scenari di tipo giapponese, greco, argentino...
“Un altro scenario comprende la scomposizione del Paese. La storia
racconta di una penisola che nei millenni è stata un coacervo di
popoli retti in forma autonoma o etero governati...”
Ecco dove si annida il vero pericolo (mai espressamente citato,
quantunque presente): la balcanizzazione dei conflitti e delle
divisioni (nord-sud), a causa degli interessi e dei fronti contrapposti
(evasori e non evasori), delle posizioni svantaggiate contro quelle
dominanti delle caste e delle varie categorie.
“Difficile immaginare un Nord Est che si allontani dall’euro e
dall’Europa per condividere le sorti del sud. E altrettanto difficile è
immaginare il Mezzogiorno che si adatti al rigore teutonico, inutile
per gli obiettivi di benessere che i suoi cittadini inseguono e che
tutto sommato hanno da sempre avuto ... senza sottostare a
modelli comportamentali imposti dal nord e che non solo non
hanno funzionato ma hanno distrutto quel tanto di buono che nei
secoli si era costruito se è vero (e lo è) che l’uomo si è inurbato e ha
prosperato prima e molto più a lungo a Siracusa che nel
Magdedurgo.”
Quale preludio a una separazione, federale o consensuale che sia,
(da parte di chi non gradirebbe affatto dover sopportare ulteriori
sacrifici oltre agli inderogabili costi di transizione), le parole finali
suonano, in linea con i punti trattati, perfettamente ben calibrate.
73
Bell’e pronte per essere spese davanti a un giudice (di pace, si
spera).
E pertanto Antonio Costato così conclude:
Se come immagino i tedeschi non accetteranno di essere
annacquati in salsa mediterranea, da veneto non mi resta che
sperare in un’OPA la meno ostile possibile nei confronti di quella
parte della penisola che più considerano prossima e che nel
recente passato già è stata estensione e sbocco a mare degli
Asburgo. Un po’ come quella che coraggiosamente fece Kohl sui
fratelli dell’Est. Un sussulto di lucidità politica li induca a
comprendere nel loro perimetro economico anche dei lontani
cugini. E a quel punto non potremo che accoglierli con il saluto di
sempre: “comandi!”
(*) Rapporto di Tax Justice Network: "Nel mondo nascosti al fisco tra
i 21 e i 32mila miliardi di dollari" (Fonte: Il Fatto Quotidiano)
Per un rapido confronto il PIL degli USA si aggira intorno ai 14,5 mila
miliardi (Wikipedia)
74
10. Il pensiero lungo
Alfredo Reichlin, nel libro “il midollo del leone”, indica essere
l’assenza di un “pensiero lungo” alla base della crisi della politica
odierna. Una sana politica non può fare a meno di una visione
lungimirante del futuro. Oggi manca un disegno comune che tenga
ancorato l’individuo alla società in una prospettiva collettiva di
sviluppo.
La riflessione dell’autore parte dal ventennio fascista. Rammenta le
condizioni economiche nell’anteguerra, le abitazioni dei contadini
pugliesi che condividevano pochi metri quadri di casa con gli animali
da cortile, (quando la piccola borghesia trovava dignitoso portare
dal sarto un abito smesso per farlo rivoltare). Narra la passione
politica che, nei decenni successivi, puntando all’emancipazione
delle masse ha favorito il miracolo economico.
Facendo un rapido raffronto di quegli anni con la precarietà
dell’oggi si ripropone - nel contesto contemporaneo di un’acuta crisi
economica - l’assillo di mettere insieme il pranzo con la cena. Un
esempio toccante di pensiero, forzatamente, di corto respiro;
l’esatto opposto di quella condizione di benessere che sembrava
alla portata di tutti. Inoltre, accanto ai bisogni reali, ci sono i bisogni
indotti che producono altrettante situazioni dove l’individuo e la
società nel suo insieme si perdono in un orizzonte limitato. Lo
sguardo è più attento all’appuntamento settimanale sportivo e ad
obiettivi di breve termine. I profitti di spericolate operazioni
finanziarie, i guadagni drogati da una gestione speculativa del
territorio, sono aspetti di un modo di vivere che, mirando
75
all’immediato, tendono a minare i valori profondi di una società e
finiscono con il determinare lo scollamento complessivo.
L’autore, nel sancire che la storia del PCI è storia conclusa, e che un
tale progetto si è dimostrato irrealizzabile, ne descrive tuttavia le
tappe salienti. Ne rivendica i meriti e ne analizza gli errori. Non per
attenuare le responsabilità, ma nell’intento di voler condurre il let-
tore a una lucida riflessione sul presente.
“Chi come me viene dalla sinistra storica non può sentirsi innocente
se il nuovo soggetto politico in cui siamo confluiti sembra così
incerto, quasi senz’anima e privo di un pensiero lungo sul futuro.”
Nei secoli passati le persone colte non avevano difficoltà a parlarsi,
mentre a livello popolare la gente comune si esprimeva soltanto nel
dialetto locale. Dopo l’unità d’Italia, quando i giovani venivano
chiamati alla leva del nuovo esercito, stentavano a capirsi. Il gior-
nale del PCI “l’Unità”, prima ancora della TV, contribuì a diffondere
la stessa lingua nel paese e a parlare alle masse. Certo, era un
giornale di partito. Un episodio del ’45: un corteo di ragazzi delle
scuole manifestò a Roma per Trieste italiana; fu fronteggiato rude-
mente da squadre di operai della Federazione comunista… “In
perfetto stile stalinista” riporta l’autore (con il senno di poi e una
dose di tardivo umorismo) “l’Unità uscì il giorno dopo con il titolo:
Operai e studenti fraternizzano a piazza Esedra.”
L’800 e il ‘900 vedono socialisti, cattolici e repubblicani affiancati
nella critica radicale dello Stato sabaudo. Le forze politiche si orga-
nizzavano per dirigere le classi sociali emergenti. I leader politici non
si “vergognavano” di sventolare ideali e visione del mondo. “La poli-
tica vera, la sostanza della nostra storia, la forza della sinistra è stata
questa: la formazione del popolo italiano.”
Purtroppo la storia del nostro Paese è attraversata anche dal ricorso
sistematico alla violenza. La mafia, il terrorismo, le associazioni
76
segrete (P2) hanno disseminato di ‘misteri’ le epoche passate con
attentati e delitti, senza che mai si sia riusciti a fare piena luce sugli
intrecci e sui mandanti. Ciò si spiega solo “con l’esistenza di un
livello oscuro del potere” e la minaccia latente di guerra civile.
Trascorrono pochi anni e il miracolo economico tramonta. Sulla
scena appaiono nuovi soggetti (Bossi e B) che rappresentano la rot-
tura con i valori risorgimentali. Intanto la borghesia italiana rimane
arroccata in se stessa ancora una volta incapace di farsi interprete
dell’interesse generale.
A un certo punto a noi comunisti è mancata la capacità di leggere gli
eventi. A livello mondiale si stava organizzando una straordinaria
combinazione tra potere economico e potere della comunicazione.
“Il pensiero dominante non si formava più all’interno delle vecchie
strutture dello Stato-nazione.” Il che ha spiazzato la sinistra lascian-
dola frastornata senza un vero programma di governo. Si è affer-
mato il lato deteriore dell’Italia. La parte ricca del Paese è diventata
insofferente verso i mali che affliggono le regioni più povere. Si assi-
ste pertanto a una sorte di depressione, che dando vita a crescenti
fenomeni di corruzione, viene percepita come una caporetto dello
Stato di fronte al potere delle mafie.
Le forze dominanti dispongono oggi di mezzi più pervasivi del “vec-
chio potere padronale di impadronirsi del surplus prodotto dall’ope-
raio.” Entrano direttamente nelle case e nel profondo della vita
quotidiana. Si determina così un nuovo sfruttamento dell’uomo; la
creatività è finalizzata al servizio dei poteri forti, moltiplicando le
fonti di condizionamento.
Il fondamentalismo del mercato, sulla scia della rivoluzione dei
media, ha creato una specie di pensiero unico. Il sistema dell’infor-
mazione e della comunicazione ha infranto il diaframma che divide-
va il vero dall’inverosimile. La finanza, sfuggendo a ogni controllo
77
pubblico, ha travolto i confini degli stati sovrani e ha sorpassato ogni
argine dettato dal buon senso.
La riflessione a tutto campo tocca le intuizioni di Berlinguer, il
compromesso storico e l’allora famoso duello a sinistra con Craxi.
“Ma era un duello vero,” si chiede l’autore, “o eravamo come i polli
di Renzo?”
La crisi epocale che stiamo vivendo non è più leggibile all’interno
dei vecchi antagonismi, destra e sinistra, stato o mercato. Certo,
ammette, la nostra visione era classista, ma nello stesso tempo agi-
vamo mossi dalla passione di promuovere “quella rivoluzione intel-
lettuale e morale che l’Italia moderna non aveva conosciuto mai.”
Adesso affiora il bisogno di riuscire a interpretare “la nuova strut-
tura del mondo.”
La modernizzazione del paese è avvenuta con la contiguità di
‘fenomeni barbarici’ come l’estensione del potere mafioso e le con-
nivenze tra poteri economici e politici che hanno distorto lo sviluppo
economico. Arriviamo alla fine del ‘900 e osserviamo impotenti: il
raddoppio del debito pubblico, il crescente parassitismo, le privatiz-
zazioni e l’accaparramento della ricchezza pubblica da parte di una
ristretta oligarchia economica. La grande mutazione di fine secolo in
Italia, oltre a demolire la partitocrazia, si fonde con quel crogiolo di
forze che non hanno mai accettato i principi di legalità, l’uguaglianza
con annessi diritti e doveri.
Occorre l’apertura a un vero dialogo tra la sinistra e quelle “forze
cristiane” indirizzate verso la ricerca, come spinta alla pace e alla
convivenza tra gli uomini. Tutt’altro che questi giochi di potere e
questa corsa al denaro. Bisogna altresì diventare consapevoli che la
nuova demarcazione della società è tra i pochi che manovrano il
volano della conoscenza e quanti si trovano in posizioni subalterne.
78
La politica vista come “strumento della lotta che l’uomo ha ingag-
giato da secoli per la sua progressiva liberazione da tutti i servaggi,
le credenze, le paure più ancestrali” deve farsi carico di interpretare
questi fenomeni, di sanare queste fratture e di creare una nuova vi-
sione del mondo.
L’autore, sulle orme di un passaggio di Italo Calvino, conclude indi-
cando ciò di cui c’è davvero bisogno: “… in ogni poesia vera esiste
un midollo di leone, un nutrimento per una morale rigorosa, per
una padronanza della storia.”
79
11. Un dispotismo dolce, quasi da barzelletta
Le persone dedicano alla politica un interesse marginale; sono di
continuo sollecitate da necessità più impellenti, essenziali per il
percorso intrapreso sia professionale che affettivo; sono immerse in
una marea di stimoli che condizionano la loro vita relazionale; a
infrangere il ritmo quotidiano acquisito ne va del loro equilibrio
complessivo.
“Costruire ‘istituti’ e legami politici nell’epoca moderna è perciò
assai arduo, come sapeva Machiavelli e sa anche Tocqueville, da
una antropologia debole scaturisce la fragilità della politica.”
Michele Ciliberto, ne La democrazia dispotica, fornisce una interpre-
tazione del presente attraverso una rilettura filosofica e politica
degli ultimi due secoli.
Tocqueville (1805-1859) nei suoi scritti denuncia la presenza di un
nuovo dispotismo basato sul consenso, che definisce: dolce,
previdente, mite. Esso trova origine nello stesso sviluppo della
democrazia, scaturisce dalla “progressiva riduzione della politica ad
amministrazione, sulla distruzione dei poteri [cosiddetti] secondari a
cominciare da quello giudiziario...” Il libero arbitrio è stato scalzato e
“soppiantato da nuove forme di sottomissione servile.” Si è molto
interrogato su come “costruire una reale democrazia politica in una
storia come quella europea, caratterizzata dall’accentramento
amministrativo,” dopo l’esperienza della Convenzione, paventando
che la ‘nuova razza di rivoluzionari’ abbia reso ineludibile un tipo di
dispotismo sia pure diverso dal passato. In Democrazia in America
80
indica come, per “limitare il nuovo dispotismo su base popolare”,
occorra rafforzare l’esecutivo e il bicameralismo.
Nell’800 sono in molti a interrogarsi sui temi della libertà politica,
religiosa e sull’eguaglianza sociale.
Secondo Bauer, non è possibile per gli ebrei riuscire a emanciparsi
dallo Stato cristiano, poiché “dove c’è religione c’è sempre
discriminazione.” Ciò vale sia per i cristiani che per qualsiasi altra
religione; ognuno nel professare la propria fede crede di essere nel
giusto. “Dunque per avere libertà ed emancipazione bisogna
liberarsi della religione: o si diventa atei o si trasforma la religione in
un atto privato.”
Marx (1818-1883), nella Questione ebraica, critica la posizione di
Bauer in quanto “lo Stato politico non garantisce né libertà né
emancipazione, perché al citoyen al livello dello Stato si contrap-
pone il bourgeois a livello della società civile.” Marx aborrisce la
politica astratta; osserva che dalla declamata uguaglianza, nel
campo della politica, si materializza “la dis-uguaglianza effettiva a
livello di società civile, il luogo effettivo degli antagonismi e delle
diseguaglianze, che lo Stato non è in grado di superare ed
armonizzare, e che anzi occulta e mistifica con il suo universalismo.”
Le disuguaglianze nella società restano insuperabili, anzi i diritti civili
sono una illusione teorica (frutto “dell’astrazione politica ... espressa
in modo compiuto ... nel Contratto sociale di Rousseau”) che serve a
mascherare gli egoismi dei singoli individui.
“I cosiddetti diritti dell’uomo, i droits de l’homme, come distinti dai
droits du citoyen, non sono se non i diritti del membro della società
civile, vale a dire dell’uomo egoista, dell’uomo scisso dall’uomo e
dalla comunità...”
81
Nel differenziare la sua posizione da Bauer, Marx cita Tocqueville e
Beaumont, suo compagno di viaggio in America. “Negli Stati Uniti
non esiste né una religione di stato, né una religione ufficiale della
maggioranza... Infatti la Costituzione non impone le credenze
religiose e la pratica di culto come condizione dei privilegi politici.”
Ma è anche difficile che un uomo senza religione sia considerato
onesto.
Nella contrapposizione ‘Stato’ e ‘società civile’ il pensiero di Marx
viene ad affiancarsi, paradossalmente, a quello di Tocqueville, oltre
che per l’accentuato rilievo dato ai ‘legami’, anche per il giudizio
sulla monarchia assoluta, che “si configura a livello sociale più ricca
di legami di quanto non sia accaduto dopo, con l’affermarsi della
rivoluzione politica.” Tuttavia, a differenza di Tocqueville, “non parla
positivamente dei ‘contrafforti nobiliari’ che hanno contenuto il
potere politico [del] sovrano,” non condividendone la visione
aristocratica.
Nella Questione Marx sottopone la politica a una critica radicale,
evidenziando i limiti della rivoluzione francese. La rivoluzione
politica da un lato ha avuto il merito di mettere fine all’epoca
feudale, dall’altro nel dare più libertà alla sfera privata ha di fatto
permesso alla borghesia di affermarsi a discapito delle masse.
“Stato e società civile si sono contrapposti...” Da un lato mette
l’idealismo dello Stato, dall’altro il materialismo della società civile.
Insomma questa politica, per come si è imposta, si è rivelata “al
tempo stesso una via sbagliata e una scorciatoia.”
Si esce pertanto dall’accentramento amministrativo, analizzato da
Tocqueville, applicando “in modo radicale la democrazia diretta ed
eliminando ogni forma di rappresentanza.” Ne è un esempio la
Comune di Parigi.
82
Sul fronte opposto si situa Thomas Mann (1875-1955) con il suo
libro, Considerazioni di un impolitico. “E’ un documento eccezionale
per la lucidità con cui avverte la fine di un mondo e l’estrema
difficoltà di contrastare il nuovo.” Lo sfondo è quello del conflitto
tra la Francia e la Germania che coinvolge il destino dell’intera
Europa. C’è del nuovo nell’aria che mette ansia alle persone di alto
lignaggio - e ben a ragione, dopo gli eccessi della rivoluzione
francese. “Un nuovo terrore (per utilizzare un termine usato da
Tocqueville di fronte all’avanzare della democrazia) ... che nasce
dalla percezione delle masse, della loro potente organizzazione
politica e sociale, di ciò che esse rappresentano per il mondo da cui
egli proviene.”
Benedetto Croce (1866-1952) ritenne che le posizioni sostenute
dall’amico Mann “peccavano di astrattezza teorica e di inconsi-
stenza politica... e che, per la rigida distinzione posta fra aristocrazia
e volgo, finivano per apparire una sorte di sermone moralistico
privo di conseguenze pratiche.”
In quanto alla posizione di Marx, Benedetto Croce vedeva “nel
concetto di lotta di classe” più una visione della vita di tipo
darwiniana che una linea culturale teorica e politica. In questa
specie di lotta biologica vi sarebbe “connesso il continuo formarsi di
nuove aristocrazie, compresa l’aristocrazia lavoratrice generata
dalla sua critica al concetto di eguaglianza e dalla sua azione di
agitatore politico.”
Per Croce c’era “una opposizione frontale fra il socialismo marxista
e l’astrattismo della mentalità massonica, di matrice illuminista.” La
quale semplificava storia, filosofia, la stessa morale in nome della
ragione, della libertà. Riconosceva tuttavia che il socialismo aveva
avuto nella storia dell’umanità il merito di “ostacolare l’insorgere di
83
nuove guerre in Europa, favorire la legislazione del lavoro e
l’innalzamento delle condizioni di vita della classe operaia sia sul
piano materiale che su quello intellettuale.”
Mentre Mann opponeva rigidamente aristocrazia e volgo, Croce da
un lato criticava l’uguaglianza, dall’altro elaborava un concetto di
aristocrazia concepita in modo aperto “in un continuo rinnova-
mento, i cui componenti, compiuta l’opera loro, muoiono o tornano
nelle fila.” Secondo quello che era un suo metodo di ragionare, le
posizioni estreme erano entrambe da criticare, rifiutando sia l’idea
mistica della massa che si è andata formando in Occidente, sia l’idea
irrazionale che vede nella massa il mostro da schiacciare.
Bisognava invece educare. “E qui la critica della eguaglianza s’intrec-
cia a una visione liberale.” La quale bandisce rigide gerarchie sociali
e intellettuali; è invece a favore di “una forte apertura nei confronti
della società civile e anche dell’azione che oltre alla scuola, possono
svolgere, nell’opera di educazione delle masse, associazioni operaie,
camere di lavoro, sindacati...” D’altronde Croce nell’ultimo governo
Giolitti era stato ministro della Pubblica Istruzione.
Max Weber (1864-1920), come Croce, rifiuta in maniera categorica
la impoliticità espressa dal suo conterraneo Thomas Mann nelle
Considerazioni di un impolitico. Indica in essa il vuoto, la debolezza
dell’eredità lasciata da Bismarck alla Germania. La quale potrà
risollevarsi “solo eliminando le derive di tipo autoritario... provoca-
te da quel dominio della burocrazia reso... possibile dalla miseria e
dall’assenza della politica.” Dove manca la politica viene a inserirsi
“la forza dura e ottusa, strutturalmente autoritaria, della burocrazia,
pretendendo di assumersi la direzione dello Stato, cosa di cui essa è
incapace per natura, funzione e anche per cultura.”
84
Democratizzazione e demagogia sono due aspetti della stessa
medaglia, e di questo la politica deve tenerne in debito conto.
Secondo Weber ci sono tre tipi di potere legittimo: razionale,
tradizionale, carismatico. Quest’ultimo “poggia sulla dedizione
straordinaria al carattere sacro o alla forza eroica o al valore
esemplare di una persona, e degli ordinamenti rivelati o creati da
essa.” L’obbedienza al leader carismatico (diremmo oggi, ma Weber
per carisma intendeva qualità straordinarie, in origine riscontrabili
nei profeti, negli individui dotati di capacità terapeutiche e
giuridiche, nei condottieri e negli eroi) avviene “in virtù della fiducia
personale nella rivelazione, nell’eroismo e nella esemplarità”
(Economia e società). Vi sono quindi nella concezione weberiana
della carismaticità una complessità di aspetti religiosi, politici,
filosofici, magici. “L’originalità... sta nella messa a fuoco della
tensione fra potere carismatico e potere burocratico, nella capacità
del portatore di carisma di costruire nuovi legami... in grado di
contenere e ricondurre all’ordine il potere burocratico.”
In Italia la partecipazione democratica si sviluppa nel 2° dopoguerra
con la nascita dei partiti politici - eccezione fatta del partito
socialista -, ossia con l’avvento della Repubblica.
Gramsci (1891-1937), in un discorso alla Camera dei Deputati, aveva
sottolineato come, data la modalità in cui si era realizzata l’Unità
d’Italia e la debolezza della borghesia capitalistica, la massoneria era
stata l’unico vero partito della borghesia stessa, per lungo tempo.
“In Gramsci la carismaticità viene criticata quando si risolve in
demagogia deteriore e sul piano di un potere personale incapace di
pensare al futuro.” (Non c’è dubbio che qui vi possa essere sia un
elemento di riflessione verso la politica interna sia una vis polemica
contro Stalin).
85
Nel passato come nel presente, il dispotismo su cui Tocqueville si è
soffermato a puntualizzare porta a dividere “gli individui, li chiude
nel loro particolare, e in questo modo, li rende deboli, dipendenti,
fino a trasformarli in servi.”
L’aspetto dispotico, nel panorama politico attuale - imperniato
intorno alla figura di Berlusconi, - è reso tangibile da una serie di
fatti di estrema gravità che vanno dal conflitto quotidiano contro
“l’autonomia del potere giudiziario, alla vera e propria lotta alla
libertà d’informazione... [fino al] diffondersi attraverso i media una
immagine del paese illusoria, senza alcun rapporto con la realtà.”
Si è andato imponendo un “dispotismo democratico di tipo nuovo”
anche a causa “della fine delle forme della politica di massa proprie
del Novecento.” Hanno avuto un peso determinante la televisione e
i mezzi di comunicazione di massa. Non sono state da meno “nuove
forme di individualismo che si sono affermate negli ultimi anni a
tutti i livelli ... frutto della lunga crisi italiana.”
La crisi della politicizzazione di massa ha inizio negli anni in cui il
Partito comunista conseguiva i maggiori successi elettorali. La
separazione dalla società italiana “avviene proprio sul terreno della
concezione dell’individuo e del suo significato sia sul piano politico
sia su quello sociale.” Mentre governanti e governati si distanziano
da un terreno che prima era comune, e i militanti cominciano a
disperdersi per cercare altri orizzonti e luoghi dove ritrovarsi, il
partito comunista “non riesce a immettere le nuove tematiche
dell’individuo e dell’individualità nel proprio codice genetico.”
Poi è successo di tutto, dal crollo del muro di Berlino e dei “blocchi
storici” contrapposti alla disgregazione delle classi sociali; le vecchie
distinzioni, quale operai/impiegati (tute blu/colletti bianchi), sono
venute meno mentre sono emerse forme nuove di parcellizzazione
del lavoro e conseguenti sacche di povertà. In tale contesto “tutto è
86
diventato dinamico ... la Democrazia cristiana ha chiuso i battenti ...
il partito comunista è venuto assumendo vari e indefiniti colori,
senza riuscire a trovare una fisionomia in cui trovare pace e
consistenza.”
Benché la sinistra non abbia saputo cogliere e interpretare “le
trasformazioni profonde della società italiana ... sul piano storico ci
sono responsabilità comuni.” La società tutta intera si è chiusa in se
stessa avendo cura soltanto dei propri interessi; i politici a loro volta
si sono mossi come una corporazione (o una casta, per usare il
linguaggio corrente), “in un ceto che si riproduce secondo logiche
autistiche, senza contatto con il mondo grande e terribile.”
“Nella sua azione politica, ormai quasi ventennale, Berlusconi su un
punto è rimasto sempre costante: ha sostituito alla legge l’arbitrio,
secondo un principio classico di ogni dispotismo. Dai suoi valvassori
ha fatto varare in Parlamento almeno 37 leggi ad personam ... ha
subordinato in modo sistematico l’attività legislativa ai suoi interessi
personali in un crescendo inarrestabile, con un uso privatistico dello
Stato ... tipico del dispotismo classico.”
In questi anni, accanto a un “acuirsi delle diseguaglianze, una
strutturale riduzione e livellamento verso il basso dei redditi
popolari,” si è vista l’incapacità di operare in profondità - per il bene
del paese. Mentre è andato affermandosi un modello di leadership
di tipo carismatico teso a proiettare una condotta disinvolta verso le
istituzioni e quei valori etici e sociali che dovrebbero rappresentare i
pilastri di una società democratica. Tutto ciò è stato “reso possibile
da una vera e propria egemonia culturale realizzata attraverso un
uso massiccio e spregiudicato dei mezzi di informazione di massa ...
Con un rovesciamento sistematico di ‘apparenza’ e di ‘realtà’, di
immaginazione e di essere reale, come vero e proprio strumento di
87
governo e di dominio ... in rotta di collisione anche con la Chiesa
romana.”
Sono nate nuove forme di razzismo; è emerso un individualismo,
dalla connotazione cinica, “pronto ad abdicare ai diritti individuali e
alle libertà collettive, pur di difendersi dall’estraneo” e di
rimpinguare le proprie finanze.
Ciliberto mostra come il berlusconismo sia riuscito a dare forma, in
chiave reazionaria, alle esigenze di mutamento e di rinnovamento
insorte a livello di massa di fronte alla crisi della Prima Repubblica;
come abbia frantumando le identità collettive presenti nella società
italiana e distrutto la religione civile dell’antifascismo su cui l’Italia
era riemersa dalle macerie del dopoguerra.
Tocqueville, Marx, Weber e Gramsci, hanno focalizzato la loro
attenzione sull’importanza dei rapporti sociali, nelle società
democratiche, evidenziando quanto i ‘legami’ e i ‘vincoli’ siano
fondamentali sia sul piano politico che su quello civile e sociale.
Negli ultimi due decenni invece nel paese si sono affermati falsi
valori (di elusione dei doveri civili), è stata alimentata la paura del
diverso, si è creata una sterile contrapposizione tra Nord e Sud,
“individuato come un peso morto di cui liberarsi, senza capire che
dall’Unità, in Italia, Nord e Sud sono due facce dello stesso processo,
e che in questo intreccio è stato sempre il Sud a rimetterci.”
Una democrazia matura presuppone quindi che i cittadini “si
riapproprino delle forze proprie di cui sono stati spossessati.” Ieri
come oggi, l’antipolitica, la passività degli individui sono causa ed
effetto di ogni dispotismo.
Troppo a lungo ci si è lasciati imbonire da un dispotismo dolce -
quasi da barzelletta... “E il naufragar” è stato fatale nel mare del
voyeurismo televisivo.
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12. Il modello America visto da due angolature
Quel sistema americano che ci è stato decantato per decenni,
proposto a modello da corrispondenti e imprenditori europei, viene
messo in discussione da un professore di scienze politiche
dell’Università di Princeton. La maggioranza straordinaria richiesta
dall’art. V della Costituzione per l’approvazione delle modifiche
costituzionali nei fatti assegna una “smaccata attribu-zione di
potere a delle minoranze”. Il che finisce con capovolgere “l’enfatico
preambolo democratico” se una minoranza elitaria lo usa come
strategia per arroccarsi in una “democrazia gestita dall’alto.” Le
masse popolari ai livelli più bassi vivono nella realtà quella che si
potrebbe definire una “democrazia scoraggiata” con oltre la metà
degli elettori che non si reca neppure alle urne. Le forze antitasse e
antispesa sociale, affermatesi a partire della seconda metà del XX
secolo, ne sono l’esempio principe.
Mentre la spesa militare è lievitata fino a quattro volte quella
destinata ai programmi sociali, nessuno dei due partiti (repub-
blicano o democratico) mette nel suo programma l’obiettivo di
porre un freno alla spesa militare: “meglio proibire il matrimonio tra
persone dello stesso sesso.” (Sheldom Wolin)
“Nel 1978, un movimento antitasse partito dalla California [ottenne]
una maggioranza cruciale”, approvò la Proposition 13, imponendo
“un limite stringente alle tasse sui patrimoni immobiliari”.
Federico Rampini, nel suo libro Alla mia sinistra, osserva come gli
avversari nella destra abbiano studiato più a fondo “Gramsci e il suo
concetto di egemonia culturale” di quanto abbiano fatto gli
89
esponenti della sinistra. La svolta conservatrice non era granché
visibile allora, ma così aveva inizio un lento e progressivo
“impoverimento della scuola pubblica e di tanti servizi sociali che ha
segnato profondamente la società americana.”
Negli anni successivi il capitalismo americano cominciava la
delocalizzazione interna delle industrie manifatturiere sradicandole
dove la presenza sindacale era giudicata forte, per impiantare la
produzione nelle aree del paese dove la manodopera era meno
sindacalizzata. “In America, ancora più che altrove, ogni movimento
dei lavoratori è stato contrastato fino quasi a cancellarlo.”
La destra, attraverso ogni mezzo di comunicazione, iniziò in quegli
anni un percorso di riconquista del terreno sociale perduto facendo
leva su antichi valori religiosi e chiedendo più libertà d’impresa da
attuarsi con meno regole.
Oggigiorno si può costatare che ai monopoli di Stato sono succeduti
nuovi monopoli privati, sostiene Rampini, che la deregulation si è
tradotta in un’assenza quasi totale di regole sul mercato, che le
multinazionali dell’industria e della finanza hanno travolto ogni
debole steccato. Alla fine ”l’eden del cittadino-consumatore non si è
visto, quello dei chief executive sì”.
Nell’America del 2011, con 25 milioni di disoccupati, “le grandi
imprese stanno sedute su una montagna di cash” restie a fare nuovi
investimenti. I profitti provengono in larga parte dai paesi cosiddetti
BRICS che avvertono solo di lontano la recessione. La globaliz-
zazione quindi, mentre protegge le grandi aziende che hanno
diversificato la produzione, penalizza le classi medie e povere dei
cittadini che vivono del loro lavoro.
Negli ultimi decenni, in America, si è instaurata una classe dirigente
che molto assomiglia a una plutocrazia, la quale ha scalzato il resto
90
della cittadinanza dal potere effettivo spazzando via anche quei
pochi contrappesi posti in essere.
Lo testimoniano tra l’altro le difficoltà incontrate dal presidente
Obama nell’implementare parte del suo programma. In molti si
chiedono cosa è rimasto de L’audacia della speranza, ossia dei
buoni precetti narrati nel libro che lo ha accompagnato fino alla
Casa Bianca. Alcuni militanti del Partito Democratico ormai lo
definiscono Missing in action, come quei combattenti caduti sul
campo di battaglia che appunto non danno più segni di vita. Frank
Rich del settimanale ‘New York Magazine’ conclude così il suo
reportage: per non aver istruito un processo ai banchieri americani,
per non aver attaccato frontalmente le forze del male annidate a
Wall Street, Obama si è condannato a vivere nell’ambiguità con
“qualcosa di marcio” che resta incollato alla sua presidenza.
L’eloquente messaggio di R. Reagan: “Lo Stato non è una soluzione
ai nostri problemi, lo Stato è il problema” resta fortemente
impresso nella mente del cittadino medio americano. Il quale nel
profondo del suo animo è convinto “che le tasse non vadano
aumentate neanche ai miliardari, perché sono tutti ( ovviamente! )
imprenditori dediti a creare posti di lavoro e benessere collettivo, e
anche perché domani il miliardario potrei essere io ( per un’illusione
ottica sconcertante, o miraggio collettivo, il 16 per cento degli
americani è persuaso di appartenere all’1 per cento dei più ricchi ).”
La deriva antidemocratica è tangibile, reale, anche quando “passa
attraverso il consenso.” Non votanti a parte ( ben oltre il 50 per
cento ), larghi strati della popolazione degli Stati Uniti “votano
‘contro i loro interessi’ da trent’anni, sposando politiche fiscali
regressive che beneficiano una ristretta minoranza perché sono
convinti che le ricette della sinistra siano rovinose.”
91
Chi sono gli artefici di quest’inganno? Non si tratta di magia nera,
ma di appartenenza alla classe ricca, elitaria, WASP (White Anglo-
Saxon Protestant).
“A Washington c’è K Street da una parte, Pennsylvania Avenue
dall’altra. Sono due sfere confinanti ma distinte: da una parte le
lobby, dall’altra le istituzioni dello Stato”.
Rampini è sedotto da questa divisione ordinata di spazi e di ruoli
(quella descritta sembra la visione di un giardino fiorito, ben diviso
per aiuole, dove ogni fiore è messo a dimora con gusto raffinato e
sensibilità cromatica). Infatti più avanti aggiunge che l’America per
certi versi è il regno delle lobby, ma questo - per lui - non significa
che la lobby possa “farsi Stato”, mischiarsi fino alla confusione dei
ruoli, sostituirsi alle sedi istituzionali delle decisioni. Arriva al punto
di osservare e non focalizzare bene il quadro d’insieme, e in parte
forse ha ragione. Comprensibilmente, ha davanti agli occhi, mentre
scrive queste pagine, le notizie che gli giungono dall’Italia dei
Bisignani e della P4. Ma subito dopo si riprende dal momentaneo
abbaglio per farci un quadretto più veritiero, esemplare, dell’attività
di lobbying: sono “attori della vita politica americana, si
frequentano... s’influenzano, duellano o duettano”. Cita perfino il
balletto dell’osmosi nel personale, da altri definito gioco delle porte
girevoli, con viavai di ex (parlamentari, lobbisti) “che una volta
conclusa la loro carriera” vengono accolti e ammessi tra le fila dei
dipendenti delle imprese che hanno beneficiato dei favori. Un po’
come veterani di guerra o agenti dello spionaggio che, avendo
compiuto la missione all’estero, abbandonano i ruoli di copertura e
ritornano alla base.
Intermezzo di Sheldom Wolin: “A differenza del cittadino come
elettore occasionale, il lobbista è un ‘cittadino’ a tempo pieno... In
92
quanto forma politica indicativa di dove è davvero il potere, le lobby
sono il perfetto complemento dell’impero.”
La battaglia culturale della destra, prosegue Rampini, si giova della
santa alleanza con la classe religiosa; assembla così profitto e
salvezza eterna. E’ un disegno che mette insieme il capitale
interessato alla deregulation e alle privatizzazioni, con la fascia
piccolo borghese sedotta dalla rivolta antitasse e dal
“fondamentalismo religioso del profondo Sud.” Ma non si tratta di
un banale complotto del grande capitale. Anzi, la commistione tra
religiosità e liberismo è “una novità dirompente, ed è il pilastro di
quell’operazione ‘gramsciana’ su cui la destra continua a fondare
oggi la sua popolarità.”
I membri del Tea Party, con i soldi delle lobby, hanno minato i buoni
propositi di Obama. Durante l’estate del 2009 hanno organizzato dei
dibattiti sulla sanità pubblica nelle town hall dell’America di
provincia; hanno dirottato l’attenzione dai contenuti della riforma a
“una fantomatica ‘eutanasia di Stato’ imposta agli anziani o a
incentivi per l’aborto,” formulato accuse di aggravio di tasse e
paventato il livellamento qualitativo al gradino più basso, se passa
l’assistenza sanitaria per tutti.
Insomma la fobia delle tasse, peraltro diffusa in vasti strati della
popolazione, è “coltivata dalla destra con un obiettivo strategico.”
Già all’epoca di Reagan uno slogan dei neoconservatori prometteva
di ‘affamare la Bestia’. La quale altro non era che lo Stato sociale. Lo
slogan divenne poi così dirompente da essere adottato dalle
imprese creando notevoli sconvolgimenti sociali.
“Facendole mancare gettito fiscale, la Bestia avrebbe finito per
soccombere”.
93
L’ingordigia dell’alta finanza per gli alti guadagni e l’assenza di
regole hanno portato le banche statunitensi sull’orlo del fallimento,
situazione sfociata poi nella crisi economica mondiale più grave
dopo quella del ’29. In uno scenario di grossi squilibri sociali, Warren
Buffet, il secondo uomo più ricco d’America, denuncia il paradosso
di godere di un’aliquota fiscale più favorevole della sua segretaria.
Sicuro di fare molto clamore ma di non vedere il suo patrimonio
intaccato da nuove tasse.
E subito diventa più chiaro perché Sheldom Wolin, (uno dei più
stimati filosofi politici degli USA, dice la biografia - ma forse inascol-
tato), parla di Spettro di totalitarismo rovesciato.
94
13. The Specter of Inverted Totalitarianism
Ucraina, novembre 2004. Un milione di cittadini della capitale e altri
accorsi da varie zone del paese occuparono la piazza centrale di Kiev
per contestare l’esito delle elezioni nazionali appena svolte, denun-
ciando brogli e acclamando vincitore il candidato dell’opposizione.
Stati Uniti, 2000. Alle elezioni presidenziali, nello Stato della Florida
si riscontrarono “irregolarità di vario tipo...” Questione subito risolta
“grazie a un processo irregolare e di parte quanto le elezioni
stesse.” Benché tali voti fossero determinanti per il risultato com-
plessivo non ci furono proteste né manifestazioni di massa.
Sheldom Wolin, in Democrazia Spa, nel fare la radiografia del potere
negli Stati Uniti, cita questi ed altri episodi ponendo l’interrogativo
se la democrazia nordamericana sia da prendere a modello o non
sia piuttosto “un’incarnazione fortemente equivoca.” Argomen-
tando sulla sua vera natura ne rivela i tratti antidemocratici, che
riscontra nelle differenze sociali, nel solco delle disparità tra ricchi e
poveri che diventa sempre più profondo, nel sistema scolastico con
istituzioni d’élite da un lato e dall’altro scuole pubbliche in situazioni
critiche, “in una sanità negata a milioni di persone, nel controllo
esercitato dal denaro e dalle grandi imprese sulle istituzioni
pubbliche nazionali.”
Quando il presidente Bush II definisce gli Stati Uniti “la più grande
potenza del mondo” c’è da domandarsi come si è arrivati a divenire
una “grande potenza” e da dove deriva la legittimità a esercitare il
ruolo che essa svolge nel mondo.
95
Se un regime totalitario di tipo nazista può avere origine dal falli-
mento di una democrazia debole, è altrettanto possibile che “una
forma di totalitarismo, diversa da quella classica, nasca da una
presunta democrazia forte.” E’ la tesi dell’autore, il quale individua
nell’impegno civile il requisito fondamentale della vita democratica
di una nazione.
Allora, qual è la cultura di sostegno volta alla partecipazione dei
cittadini nell’attività della cosa pubblica?
L’opinione pubblica è bersagliata di continuo da campagne pubblici-
tarie che mirano a “influenzare e a orientare i comportamenti” dei
consumatori secondo i dettati preordinati dalle multinazionali. Le
medesime tecniche di persuasione vengono adottate dagli esperti e
consulenti dei partiti a fini elettorali. “Il risultato che abbiamo
davanti è un inquinamento dell’ecosistema politico... [dove] la ma-
nipolazione popolare è diventata una forma d’arte.”
Nel quadro delle fumose cerimonie pubbliche, nel mondo virtuale
dello schermo tv, coesistono la “buona novella dell’evangelista” e
l’ampolloso discorso politico dei vertici della nazione. Ad essere
sottomessa è la verità e la razionalità. A distanza di un paio d’anni
dall’accertamento dell’inesistenza delle armi di distruzione di massa
di Saddam, la percentuale degli americani che credevano alla
presenza di queste armi era salita dal 35 al 50 per cento. Ed era
convinzione diffusa che fossero esistiti legami, mai provati, tra
Saddam e al-Qaeda.
“La guerra della Superpotenza è la versione reale e beffarda della
guerra di classe: i meno abbienti che combattono guerre istigate dai
più abbienti, istruiti e rappresentati.”
Quando il presidente eletto fa imprigionare dei combattenti che
difendono il proprio suolo “senza giusto processo”, quando
96
permette “l’uso della tortura mentre catechizza la nazione sulla
sacralità dello Stato di diritto,” siamo entrati in un sistema nuovo,
totalitario, dove viene praticata una realtà ben diversa da quella che
si professa. “Si ha il rovesciamento quando un sistema, come la
democrazia, genera una quantità consistente di fenomeni normal-
mente attribuiti alla sua antitesi.”
Mentre nazisti e fascisti esaltavano la forza, cercavano il dominio e
disprezzavano i segni di debolezza, “i nuovi utopisti sono orgogliosi
della loro forza impareggiabile ma, paradossalmente, si sentono
minacciati dalla debolezza altrui.”
Le dittature del XX secolo, caratterizzate da “leader sopra le righe,”
furono dominate da personalità che si erano fatte da sé. Nel caso
del totalitarismo rovesciato il leader “non è l’architettura del
sistema ma il suo prodotto... George W. Bush è il figlio prediletto e
malleabile del privilegio, dei rapporti d’affari,” la creazione dei
maghi della propaganda e dei consulenti di partito.
In quanto agli elettori, come i consumatori, sono diventati target;
l’istruzione è gestita da organismi simili alle aziende; le gerarchie
aziendali di comando sono strutturate come in un esercito.
“L’ideologia del [nuovo] regime è il capitalismo, virtualmente
indiscusso così come lo era la dottrina nazista nella Germania degli
anni Trenta.” Si distingue poiché il sistema riesce a brandire il
potere senza darlo troppo a vedere; le prigioni traboccano anche se
non ci sono campi di concentramento; e viene imposta “l’uniformità
ideologica” senza ricorrere alla forza per sopprimere i dissidenti.
Secondo il National Security Strategy of the USA (NSS) del 9/9/2002
‘Le fondamenta della forza americana sono in patria. Sono le
capacità del nostro popolo, il dinamismo della nostra economia... La
nostra forza dipende da come utilizziamo questa energia. E qui che
comincia la nostra sicurezza nazionale’. Sheldom Wolin ravvisa in
97
tale documento la “consacrazione dell’economia” dove “la trinità di
identità, democrazia e libertà d’impresa” non trovano “pari dignità.”
Anzi, libertà e democrazia sarebbero difatti subordinate alla libertà
d’impresa. Le disparità di potere e di ricchezza, le forti sperequa-
zioni nei compensi tra lavoratori e dirigenti sono conseguenze
dirette della visione distorta della democrazia dominata dal mondo
imprenditoriale. In altri termini “la diseguaglianza ha la meglio
sull’egualitarismo democratico.” Il peso delle multinazionali, dalle
risorse che superano quelle di molti paesi, si manifesta in patria (e
all’estero) attraverso l’operato delle lobby e del mercato.
E nel cosiddetto libero mercato si esercitano i poteri forti, prendono
forma prezzi e salari, viene determinata e l’opulenza di pochi e “la
povertà dei singoli, [viene deciso] il destino di interi quartieri, città,
Stato e nazioni.”
Il rapporto di forza può essere misurato partendo “dalla concentra-
zione della proprietà dei mezzi di comunicazione e del relativo
controllo sui loro contenuti,” osservando i comportamenti dei
giovani negli anni della guerra in Vietnam e “il blackout virtuale
sulle proteste contro l’invasione dell’Iraq.” All’ascesa della Super-
potenza corrisponde il declino della democrazia - dentro e oltre i
confini nazionali.
Quando una larga fetta dell’elettorato non vota, la parte più
dinamica della società se ne avvantaggia.
Un elettorato sfiduciato nella classe politica, un Congresso che
legifera con “maggioranze molto risicate,” favorisce l’attivismo delle
lobby portatori di interessi forti, mentre all’opinione pubblica
vengono date in pasto le guerre culturali su temi controversi quali
“il ruolo delle organizzazioni religiose di beneficienza in attività
finanziate dallo Stato, la questione del matrimonio tra gay e simili.”
98
Cose che “servono a sviare l’attenzione e a contribuire a una politica
ipocrita che dibatte del nulla.”
Cosa che, in una visione rovesciata, ricorda un po’ il sagace motto di
Oscar Wilde quando diceva di amare molto parlare di niente, poiché
era l’unico argomento di cui sapeva quasi tutto. Ma egli a differenza
delle masse diseredate disponeva di doti e mezzi per potersi
distrarre dalla concretezza della realtà; ed era notoriamente
tutt’altro che sprovveduto.
“Com’è possibile che il potere economico privato, laico, cinico,
materialista, non solo coesista con il cristianesimo evangelico ma
addirittura se ne nutra e sia in simbiosi con esso? Com’è possibile
che Cristo e Mammona si siano messi d’accordo?” Strana la
commistione tra i precetti evangelici (che la vita terrena è un
“fenomeno transitorio”) e le visioni predatorie di matrice industriale
e militare (che spogliano delle sue risorse il pianeta e lo inquinano).
I vertici delle multinazionali e dell’esercito, negli ultimi 20-30 anni,
hanno preso ad avvicendarsi nei posti di alto profilo con una
frequenza che trova nella definizione di ‘porte girevoli’ una sintesi
perfetta. Segno che lo scambio di favori ha superato ogni limite di
normalità e decoro.
Nello contempo “il raggio d’azione dell’autorità di regolamentazione
si è ridotto,” avendo l’iniziatica privata assorbito “sempre più
funzioni e servizi pubblici” che una volta erano di competenza
esclusiva dello Stato. La strategia è quella di screditare le attività
pubbliche bollandole come inefficienti, tagliare fette di welfare e
cedere le medesime funzioni ai privati, “sposando la causa governo
più snello.”
99
Il dominio è una esibizione di forza che si nutre della paura altrui.
“Sui mercati finanziari gli operatori non scambiano soltanto titoli,
ma sfruttano anche una serie di utili insicurezze.”
Lo spirito della Superpotenza si esprime in una specie di dualismo
tra politica e impresa. La comune aggressività ha elaborato i
concetti di ‘danno collaterale’... ‘prezzo della vittoria’... fatti passare
come costi inevitabili sia in guerra sia nelle dinamiche dei cicli
economici. I processi di ridimensionamento aziendale portano, in
borsa e per chi li pratica, lauti guadagni e come ricaduta “carriere
distrutte, vite stravolte, speranze annientate.”
Sarebbe coerente, oltre che auspicabile, che “chi si appella
continuamente alla ‘sacralità della vita umana’ e dell’embrione
avesse la stessa premura per le vittime innocenti dei danni
collaterali.”
I ‘sixties’ furono anni di coinvolgimento delle masse e di accese
contestazioni. Temi quali il razzismo, la politica estera, il potere
delle imprese, l’istruzione universitaria erano dibattuti pubblica-
mente in tv, sui giornali, negli atenei e negli spazi pubblici.
Nel 2003, in nessuna università si sono registrati sit-in, dibattiti o
contestazioni antimilitariste, né a seguito dell’invasione americana
dell’Iraq, né successivamente quando è diventato palese che delle
famigerate armi di distruzione di massa non c’era traccia alcuna. Il
che da un lato mette in evidenza la concentrazione in poche mani
dei mezzi di comunicazione e dall’altro diventa “specchio dell’ef-
fettiva sottomissione del mondo accademico alla logica dell’im-
presa.”
D’altronde l’elitarismo si muove come un’azienda: nel produrre
laureati di successo praticamente autoalimenta e finanzia l’appetito
100
“insaziabile degli istituti d’élite” che forniscono la chiave per
accedere alle posizioni più prestigiose.
Altro elemento cardine del potere elitario sono le lobby che
esistono per “mandare in corto circuito la forza dei numeri,” ossia
ridimensionare ogni velleità da parte dell’uomo comune di farsi
ascoltare. “A differenza del cittadino come elettore occasionale, il
lobbista è un ‘cittadino’ a tempo pieno.”
Il trascorrere di secoli, dai vecchi regimi a quelli attuali, non ha
scalfito “il principio gerarchico dei gradi d’autorità” e con esso le
prerogative di potere, retribuzioni e benefici elargiti.
L’organizzazione capitalistica è “a-democratica nella struttura e nel
modus operandi e antidemocratica nei suoi ripetuti tentativi di
distruggere o indebolire i sindacati, di scoraggiare ogni legge sul
salario minimo, di opporsi alla difesa dell’ambiente.” Mira a
orientare la creazione e la diffusione della cultura (attraverso mezzi
di comunicazione, fondazioni e scuole) per i propri fini anziché alla
crescita culturale della cittadinanza.
La società ha bisogno di “una diversa prospettiva temporale.”
Partendo dallo smantellamento dell’impero occorre tornare all’idea
e “alla pratica della cooperazione internazionale invece dei dogmi
della globalizzazione e degli attacchi preventivi.” In primis, occorre
“recuperare l’autorità di regolamentazione del governo sull’econo-
mia” correggendo “le distorsioni di un sistema fiscale asservito ai
ricchi e alle grandi imprese,” per poi “ridare vita a un sistema
rappresentativo capace di ascoltare la richiesta pubblica” di
maggiore tutela nella sanità, d’istruzione pubblica di qualità,
assicurando un adeguato grado di benessere per tutti i cittadini.
La puntigliosa analisi della situazione politica negli USA, trasportata
in una visione peninsulare, porta alla costatazione che viene a
collassare quella struttura di riferimento - l’America! - da molti
101
additata come traguardo avanzato di una democrazia moderna da
imitare. Per chi coltivava ancora dubbi, diventa più pressante la
necessità di un ripensamento.
“Se la democrazia odierna è solo di facciata, se ha assunto con-
notazioni non dissimili dal totalitarismo e dal fascismo, dove ci sta
portando il disegno europeo?”
102
14. Il disegno europeo
Al di qua e al di là dell’Atlantico due professori universitari, filosofi e
studiosi della questione politica, nell’osservare la deriva
democratica dei rispettivi paesi sono giunti alle medesime
conclusioni. A partire dalle quali, nell’osservare il sogno europeo,
quello che si sta delineando assume le sembianze di un incubo. In
altri termini, quand’è che un disegno, un progetto contenitore,
diventa la camicia di forza del contenuto, dell’umanità che ne è la
parte viva?
Michele Ciliberto in La democrazia dispotica, si è visto, descrive
come negli ultimi decenni si sia imposto un “dispotismo demo-
cratico di tipo nuovo” manovrato dai media; si è affermato un
modello di leadership di tipo carismatico teso a proiettare una
condotta disinvolta verso le istituzioni. Accantonati quei valori etici
e sociali che dovrebbero rappresentare i pilastri di una società
democratica, tutto è “reso possibile.” Una vera egemonia culturale
è realizzata attraverso l’uso spregiudicato dei mezzi di informazione
di massa. E’ avvenuto un “rovesciamento sistematico di apparenza e
di realtà, di immaginazione e di essere reale, come vero e proprio
strumento di governo e di dominio.”
Altrettanto vigorosa si presenta l’analisi di Sheldom Wolin, in
Democrazia Spa.
Wolin denuncia la strana commistione tra l’insegnamento evange-
lico e la visione espansionistica di matrice industriale e militare, le
disparità di potere, le forti sperequazioni tra lavoratori e dirigenti.
Sostiene: sono tutte conseguenze dirette della visione distorta della
democrazia dominata dal mondo imprenditoriale. Le risorse delle
multinazionali superano quelle di molti paesi. Nel cosiddetto libero
103
mercato si esercitano i poteri forti (attraverso prezzi e salari) che
determinano la ricchezza dei pochi e un ridotto livello di vita della
maggioranza, se non proprio la riduzione in miseria di una fetta di
popolazione. Il destino di interi quartieri, città, Stato e nazioni
dipendono dalle decisioni prese nei consigli d’amministrazioni di
grandi corporazioni.
Se tanto mi dà tanto, se la democrazia odierna è solo di facciata, se
ha assunto connotazioni non dissimili dal totalitarismo e dal
fascismo, se le decisioni vengono prese altrove e se le istituzioni
sono diventate un inutile teatrino alle spese della collettività, se
l’osservanza delle leggi vale solo per i grulli, se la politica è
attraversata da parole vuote e se le parole servono a costruire
inganni, fatte le debite proporzioni, il disegno europeo equivale alla
realizzazione nipponica (durante il 2° conflitto mondiale) de “Il
ponte sul fiume Kwai” (film diretto da David Lean, tratto dall'omoni-
mo romanzo di Pierre Boulle).
Anche qui il progetto (EU) va portato avanti, a termine, a tutti i
costi; si erge al di sopra delle persone; l’opera va salvaguardata in
quanto tale; più che della gente, ciò che conta è la conquista
dell’obiettivo, di stampo neoimperiale. I superburocrati di Bruxelles,
i superMario, politici e funzionari pubblici, nelle vesti degli ufficiali
inglesi, e noialtri irreggimentati nella manovalanza, spinti alla mera
sopravvivenza, siamo tutti arruolati, coinvolti, protesi come dei
forzati al rimodellamento della società moderna secondo l’impe-
rante dottrina neoliberista.
Aprile 2012. Allarme sulla situazione dei minori in Grecia redatto
dall’Unicef e dall’Università di Atene. Secondo l’indagine, «La
condizione dell’infanzia in Grecia, 2012», in questo Paese sono
ormai 439.000 i bambini che vivono al di sotto della soglia di
104
povertà – malnutriti e in condizioni malsane – in famiglie che
rappresentano il 20,1% del totale. (1)
Giugno 2012. “Per una volta, scrive Marcello Foa, Monti è stato
sincero, ha dichiarato che lo scopo finale dell’attuale crisi è di creare
un’unione politica europea. Non ha specificato come, ma per chi sa
come funzionano certe logiche non è un mistero: le crisi, come ha
ammesso ... in una conferenza, servono a generare un’emergenza in
nome della quale si impongono a popoli ed elettori norme che
altrimenti accetterebbero difficilmente. Quando spingi, a parole, un
Paese sul bordo del precipizio puoi ottenere quel che vuoi.” (2)
“Ci stanno uccidendo, deliberatamente: quella che sembra una crisi
accidentale, Paolo Barnard la definisce ‘politica della carenza’. Un
piano prestabilito: con nomi e cognomi, mandanti, moventi,
procedure concordate. «Parlo di ciò che colpisce al cuore i diritti
umani e la dignità umana riscattati dopo 5.000 anni di abietta
schiavitù in Europa».” (3)
Ottobre 2012. I dati Eurostat 2011 indicano che il 27,2% dei bambini
in Spagna vive al di sotto della soglia di povertà. Sulla base dei dati
2011 pubblicati da Eurostat, l’Unicef Spagna stima che circa
2.267.000 bambini vivono al di sotto della soglia di povertà nel
paese. (4)
Di fronte a tanta sofferenza non sarebbe il caso di allentare la morsa
del binomio rigidità-dirigismo di matrice EU?
Macché. La Regione Calabria si scontra con il governo per una legge
regionale che favorisce la commercializzazione di prodotti agricoli a
‘chilometro zero’. Il Consiglio dei Ministri ha fatto ricorso alla Corte
Costituzionale contro questi provvedimenti. Ma le regole comuni-
tarie, in materia, si spingono ben oltre: una direttiva comunitaria del
1998 stabilisce che la commercializzazione e lo scambio di sementi
sono consentite soltanto alle ditte cosiddette ‘sementiere’ (vedi la
Monsanto). Agli agricoltori è vietato il commercio delle loro
sementi. (5) Oibò! Come è andato avanti il mondo rurale fino
all’altro ieri? E’ come imporre a sacerdoti, cattolici, l’approvvigio-
105
namento di ostie e vino presso organizzazioni mussulmane; o
viceversa.
Le élite, attraverso le corporazioni economiche, ci hanno imposto
nuovi bisogni e assuefatto ad ondate di nuovi prodotti, che hanno
sconvolto antichi valori ed esistenti modalità di vita. Le loro scuole
di pensiero dettano mode (inclusi i ritmi di cambiamento delle
stesse), rendendo obsoleti comportamenti e tradizioni che
fondavano la loro ragione d’essere nel comune buon senso. Quante
volte è accaduto che siamo caduti nella trappola degli abbagli
collettivi? S’è visto, impunemente, sovvertire l’ordine naturale delle
cose. Mamme convinte a nutrire i bambini, con latte in polvere,
dove l’acqua era scarsa e malsana. Nonne purgare i nipoti anche
quando non c’era bisogno. S’è visto tagliare appendiciti, strappare
tonsille, perché inutili orpelli del corpo umano, perché così volevano
le multinazionali farmaceutiche (dispensatrici di farmaci e di buoni
consigli), così ripetevano i conferenzieri ai luminari della salute
pubblica e privata, così si afferma/va ogni novità commerciabile. S’è
visto convertire all’agricoltura industriale, intensiva, contadini che
per secoli erano dediti a un’agricoltura di sussistenza, capace
tuttavia di fornire cibo a sufficienza per la comunità; e le stesse
popolazioni, migrare verso le bidonville, perché la modernità
agricola produce/va in abbondanza per l’esportazione, ma
insufficiente per sfamare i residenti.
L’elenco dei fatti e misfatti è lungo. Oggi lo spauracchio, di volta in
volta, viene denominato: Trattato di Maastricht, debito pubblico,
bilancio di stabilità. Il panorama dei sacrifici imposti, nel presente
quadro economico, difetta di sani principi. Sarebbe oltreché
complesso, piuttosto maldestro addentrarsi nell’esame dei possibili
scenari alternativi, al fine di illustrare quanto è avversa la politica
d’austerità. Le buone regole sono sacrosante. Ma il cittadino
comunque invoca comportamenti, da parte dei leader, conformi alla
diligenza del buon padre di famiglia. Nel marasma della
globalizzazione, con il protrarsi della crisi, avendo noi perso la
106
sovranità della moneta, sarebbe almeno sensato mirare
all’autosufficienza alimentare. Una politica attenta, diligente, non
imporrebbe ai governanti di fare quadrato a favore della produzione
agricola del proprio paese?
Questa attenzione ad appannaggio del benessere collettivo, questa
diligenza non è né riscontrabile, né tantomeno percepita.
Ecco perché il disegno europeo, da sogno, si è trasformato in un
incubo.
Fonti:
(1) http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-04-06/unicef-grecia-
439mila-bambini-192328.shtml?uuid=AbZAS9JF
(2) http://blog.ilgiornale.it/foa/2012/06/20/crisi-euro-ecco-a-cosa-
mirano/
(3) http://www.libreidee.org/2012/09/barnard-politica-della-
carenza-dobbiamo-tornare-sudditi/
(4) http://www.asca.it/news-
Spagna__Unicef__oltre_2_2_mln_bambini_vivono_sotto_soglia_poverta_-
1205286-ATT.html (5) http://lospergiuro.blogspot.it/2012/10/semi-proibiti-bruxelles-
vieta-la-nostra.html
107
15. Viaggio all’inferno attraverso cinque continenti
“I nemici, ultimamente, appaiono dove nessuno sospettava si na-
scondessero. Le cifre sono confuse, ma secondo alcuni scienziati le
scorregge - e i rutti - delle mucche, che hanno un sistema digestivo
lento e lungo, emettono gas metano che concorre alla formazione di
un 10-15% del totale delle emissioni di gas serra... Quando la natura
assale se stessa è complicato entrare nella disputa.”
Il dibattito sul cambiamento climatico ha preso quota solo recen-
temente. “Un argomento che non esisteva venti, trent’anni fa. Gli
argomenti dominanti cambiano - molto più del clima.”
Ma bisogna riconoscere che la preistoria del cambiamento clima-
tico, per una élite di scienziati, risale indietro di almeno un secolo.
Già nel 1889 un articolo del New York Times riportava: “La nozione
che sia possibile che il clima cambi è diventata un’idea moderna.”
90 anni più tardi (1979), l’Accademia Nazionale delle Scienze degli
USA convinceva il presidente americano Carter a riunire in una
commissione un gruppo di scienziati per studiare il fenomeno. Altre
date significative: nel 1997 ci fu la riunione di Kyoto, il cui protocollo
entrò in vigore solo nel 2005; la conferenza di Copenaghen avvenne
nel 2009.
Martìn Caparròs ha affrontato un viaggio nell’inferno della povertà,
attraverso cinque continenti, in paesi dove la sopravvivenza per
fame è ogni giorno posta a rischio. Ha viaggiato, a spese del Fondo
delle Nazioni Unite per la Popolazione, per “scovare storie di giovani
colpiti dalla più grande ipotetica minaccia contro l’ecosistema: ... il
riscaldamento globale.” Ne è nata una riflessione che va ben al di là
108
delle singole tappe; testimonianze e racconti oltrepassano la soglia
della cronaca; il tema di fondo, il cambiamento climatico, si trova ad
essere sorprendentemente rivoltato e analizzato sotto la lente della
storia e della giustizia sociale. La narrazione di Contra el cambio (un
iperviaggio nell’apocalisse climatica) mette a nudo la visione di
dominio del potere politico-economico, che con i suoi tentacoli
raggiunge, fino a condizionarla, la vita dei reietti sparsi nelle
periferie del mondo.
“I paesi ricchi hanno già fatto la loro conquista della natura, il loro
sviluppo sporco. E il mondo è messo com’è a causa loro, ma ora si
dedicano a dettare norme ai paesi più poveri...”
Caparròs racconta i fatti con una prosa asciutta, come lo sono i corpi
di coloro che si nutrono con meno, come quegli uomini e quelle
donne (Messias, Mariama, Youness, Marjorie, Kilom) che ha
incontrato. Il tono è quello sprezzante di chi coglie con le braghe
calate gli incantatori di favole ecololò. Dalle pennellate - a tinte forti
ed essenziali al quadro complessivo - trae spunto per ragionare, per
farci ragionare, a cominciare dall’analisi delle parole che mutano di
significato e di casacca sotto lo sguardo disattento della storia, per
poi discendere nella cornice mondiale degli accadimenti politici, dei
commerci che si alimentano di luoghi comuni e spacciano
beneficenza - per trarne sempre il massimo profitto.
La parola cambiamento è una bandiera che sintetizza tutti i
movimenti dei popoli in lotta. L’idea che il mondo debba cambiare.
La speranza che ha sventolato sulle barricate dal 1789 in poi. “Per
due secoli, fu una parola della sinistra: l’effetto desiderato delle
rivoluzioni... Com’è stato possibile che la parola cambiamento ci sia
scappata così silenziosamente... e sia andata a rifugiarsi nella casa di
quelli che avevano sempre voluto distruggerla?... Il cambio di bar-
109
ricata della parola cambiamento è una delle maggiori perdite di
capitale simbolico che ha subìto la sinistra in tutta la sua storia.”
La prima tappa è in Amazzonia, a Manaus, dove si sta adottando un
processo produttivo che copia la natura. “Pensare sistemi produttivi
sostenibili significa,” spiega Carlos Miller, uno dei fondatori
dell’istituto di permacultura, “osservare la natura per imparare da
lei come produrre alimenti senza distruggerla.” In precedenza,
Carlos aveva lavorato in fondazioni ambientaliste, dove per preser-
vare certe aree, queste venivano svuotate delle persone che ci vive-
vano al fine di creare dei parchi naturali. “L’idea è quella di creare
una nuova equazione di ricchezza” che abbia la finalità di preservare
la regione, e soprattutto diventare fonte di sostentamento per la
gente che vi abita.
Altra tappa, la Nigeria. “Per quel poco che l’ho conosciuta, non mi
attrae particolarmente, ma l’idea che siano i migliori truffatori del
mondo in questo momento scatena in me una sorte di rispetto nei
loro confronti: che un paese sia riconosciuto per la sua capacità
d’ingannare, di finzione produttiva, non è cosa da poco in mezzo a
così tanta concorrenza.”
Niger, Rabat, Sidney, Manila, Isola Zaragoza, Majuro, Hawaii, New
Orleans sono le stazioni di una via crucis (o gironi infernali?) che
portano a cogliere differenze sociali, antichi costumi e incombenti
pericoli ambientali.
E ha incontrato tanta gente. Molti si chiamano Mohammed, Abdul,
Fatima, racconta e subito aggiunge: originale la storia dei nomi. Il
grande trionfo delle religioni è stato quello di assegnarci i nomi,
trasformandoci in surrogati - degradati - dei suoi inventori.
Una importante innovazione per rapporto a qualche decina d’anni
fa è la diffusione del microcredito in alcune aree dell’Africa e
110
dell’Asia. “Non realmente assistenzialista, anche se più o meno è un
modo di integrare un pochino i poveri nella circolazione econo-
mica.”
Per il viaggiatore occidentale il contrasto è netto. Nei paesi poveri
gli animali, che servono per il sostentamento, vivono nella promi-
scuità delle case e delle strade. Nelle società opulente “le pietanze e
le loro morti vengono tenuti separati.” La contiguità è permessa
solo agli animali domestici.
La natura, vissuta come accessorio, atto a consolare divertire e
intrattenere.
Poi ci sono culture dove l’uomo paga i genitori della donna per
averla in moglie, e viceversa: genitori che pagano il giovane per
liberarsi della figlia. “Criteri diversi di dare valore a donne e uomini.”
Le ONG, assieme agli aiuti umanitari, diffondono ciascuna il loro
verbo; “si spendono per le buone cause, ma è sicuro che ci sono
alcune pressioni affinché i poveri che ricevono l’aiuto adottino
anche la logica.” Se gli alberi vengono abbattuti, c’è rischio di
desertificazione; la siccità è dovuta al cambiamento climatico; i
raccolti sono scarsi per il riscaldamento atmosferico. Secondo
logica, c’è una risposta a tutto. “E’ bello avere delle spiegazioni,
indicare colpevoli: il governo, il destino, un dio torrido... E allora,
chiedono, si chiedono, cosa possiamo fare al riguardo? Quello che
facciamo con tutti gli altri riguardi: un cazzo.”
Si assiste a una presa di coscienza da parte di grandi istituzioni e
potentati. Ma le multinazionali che si sono convertite alla
responsabilità sociale, non spendono che “briciole” nei loro
progetti.
Siamo alla “versione contemporanea delle madame di carità.”
111
Responsabilità sociale delle aziende e correttezza politica hanno il
medesimo orientamento: mantenimento dello status quo.
“E’ un modo a buon mercato” per deviare i sospetti. Poiché le
società, con la pancia piena, mostrano di avvertire maggiore sensibi-
lità verso il degrado ambientale, ecco le aziende spendere “una
fortuna per mostrarsi più ecololò di chiunque altro.” Ciò dovrebbe
far venire a molti ecologisti qualche sospetto.
Non sono dimostrati, non è dimostrabile che alcuni fenomeni siano
dovuti agli effetti del riscaldamento globale. E “tutti sappiamo che la
storia della scienza è fatta anche di storie nelle quali la maggioranza
non aveva ragione.”
Ci sono coloro che affermano che il tempo è sempre stato pazzo,
“che cambiamento climatico è una specie di ridondanza perché è
proprio del clima cambiare sempre.” Ci sono quelli che sono andati
a studiare il passato, e “citano il periodo che ora è chiamato periodo
caldo medievale, tra il IX e il XV secolo” ... A cui seguì la piccola era
glaciale che congelò i fiumi fino al XVIII secolo.
Verso la fine del secolo XV (la scoperta dell’America data 1492) c’era
chi si lamentava - lasciandone traccia scritta - che le pecore della
Castilla stavano distruggendo foreste e boschi. Fosse dipeso da
costoro, “Colombo sarebbe dovuto rimanere a curare il suo giardino
di rape. E alla NASA dovrebbero costruire mulini a vento.”
Gli uomini hanno sempre vissuto nella minaccia di una imminente
fine del mondo, decisa da una qualche divinità. Finché nel XX secolo
si affacciò l’apocalisse nucleare, per mano umana. “Il disastro
climatico è il secondo momento” della serie.
Rapporto 2009 del Global Humanitarian Forum: “In molte aree, la
base dell’evidenza scientifica non è ancora sufficiente per arrivare a
conclusioni definitive...”
112
Naturalmente non è escluso che siccità e carestia, a Dalweye come
altrove, abbiano una correlazione con il cambiamento climatico. E’
probabile, ma non sicuro. “Invece, mi sembra sicuro che abbia a che
vedere col sistema di ripartizione della ricchezza.”
Centinaia di milioni di persone che soffrono la fame sono dannose
per l’ambiente, perché la gente che vuole mangiare subito manca
della visione del futuro. “Se la ricchezza fosse più suddivisa, il
mondo affogherebbe nei propri rifiuti: per la conservazione ecolo-
gica non c’è nulla di più necessario dei poveri.”
Indagini su una delle prove genetiche arrivano a dimostrare che ci fu
un periodo della nostra storia millenaria in cui sulla Terra vivevano
non più di quattro o cinquemila essere umani. Un evento più
avverso del solito avrebbe potuto estinguerli. Siamo figli della
casualità, e siamo “alla ricerca della sicurezza inverosimile.”
Tuttavia per quanti hanno l’acqua alla gola, è difficile non avvertire
la minaccia incombente dello scioglimento dei ghiacci, il pericolo di
restare sommersi. Le isole chiamate SIDS - small island developing
states, o stati sottosviluppati delle piccole isole - (le Marshall,
Mauritius, Seychelles...) sembrano realmente in balia dell’anda-
mento climatico.
Ma non mancano coloro che sospettano che le motivazioni a monte
siano sempre le stesse; altrimenti diventa difficile spiegare “così
tanta copertura dalla stampa, tanti fondi e tanta attenzione tra i
potenti,” senza ammettere che ciò rappresenta il modo di
giustificare e un cambiamento nel sistema energetico (carbone, gas,
petrolio) e la volontà di modificare un certo equilibrio geopolitico.
Opposti schieramenti, per diminuire le emissioni di anidride carbo-
nica, insistono su approcci contrapposti.
113
Gli uni ripropongono la costruzione di nuove centrali nucleari, quelli
contrari vedono, tra l’altro, l’implicazione politica di una gestione
centralizzata, dove un solo uomo al comando dirige e dà elettricità a
milioni di persone. Per produrre l’energia eolica e solare invece,
occorrono sistemi decentralizzati, di cui ciascuno può gestire
funzionamento e consumo.
Al Gore merita almeno una considerazione e un paragrafo a sé. Alla
vigilia della prima conferenza di Kyoto, (Al Gore era vicepresidente
degli Stati Uniti), due senatori presentarono una risoluzione che fu
votata all’unanimità dove si stabiliva che “il governo avrebbe dovuto
rifiutare qualsiasi riduzione delle proprie emissioni se i paesi in via di
sviluppo” non avessero fatto altrettanto. E così fu.
Gli USA sono il paese che ha la più grande percentuale procapite di
emissione di anidride carbonica al mondo.
E “Al Gore è il più grande lobbista della lotta contro il cambiamento
climatico” nel mondo.
Quando si presentò alle elezioni presidenziali, nel 2000, aveva un
patrimonio dichiarato di circa 2 milioni di dollari. 10 anni di campa-
gne contro il cambiamento climatico hanno fatto lievitare detto
patrimonio a quota 100 milioni.
Il sospetto di voler prolungare l’egemonia occidentale limitando lo
sviluppo di Cina, India, Brasile, Russia e altri paesi (che premono per
uscire dal sottosviluppo) permane. Comunque la si gira, l’idea di
fondo persiste: quella di uno sviluppo con tempi diversi. I fatti
dicono che il sottosviluppo di alcuni è il risultato dell’alto tenore di
vita degli altri.
Per dirla tutta e con le parole dell’autore: “quanta gente morirà
ancora per fame... nei prossimi 30, 40 anni, prima che il cambia-
114
mento climatico inizi ad avere - se li avrà - effetti devastanti?” Da
sempre ci sono popolazioni che vivono in misera, che muoiono di
stenti, uccisi dalla fame. La fame sa dove e come agire, conclude
Caparròs, il cambiamento climatico invece è ottuso, cieco, perfino
più democratico: corre verso tutti. E inoltre, è evidente, potrebbe
perfino falciare la civiltà che conosciamo.
Ma non per questo ce la sentiamo di condannare, i dannati della
Terra, a continuare a vivere nella loro abituale condizione di po-
vertà.
115
Un antico motto popolare recita: il pesce puzza dalla testa.
116
3° parte
Il labirinto della ragione
117
“Poiché le risposte all’ambiente possono scaturire da stimoli dei
quali non siamo del tutto coscienti, è plausibile dubitare di quanto
ognuno sia padrone del proprio comportamento.”
“Il pensiero è come un velo davanti agli occhi, che conferisce alle
cose il proprio colore e la propria idea di realtà.” (Osho)
118
16. All’origine dell’homo sapiens sapiens moderno
“E’ possibile che talune tra le trasmissioni decisamente brutte siano
tali di proposito, per dare maggiore forza di penetrazione agli inserti
pubblicitari?” Questo interrogativo se lo pose Vance Packard, autore
de “I persuasori occulti”, due generazioni fa quando la tv era
soltanto ai primi passi.
Gli anni cinquanta negli USA segnarono un enorme balzo in avanti
nella ricerca di spregiudicate ‘tecniche di ammansimento’ dell’homo
sapiens sapiens moderno. E’ risaputo che “gli spettatori ridono più
volentieri e si divertono di più se sentono ridere altre persone ... “
Vennero così programmate “le risate in scatola”; ebbero inizio
quelle trasmissioni dove un pubblico inesistente sottolinea ogni
battuta inesistente con fragorose risate. Ergo la creazione di
congegni idonei a produrre diversi tipi di risate e applausi a
ripetizione. Ma c’era e c’è ben poco da stare allegri.
L’avvento della televisione ha portato una ventata di modernità nel
mondo, compreso in quei paesi rimasti ai margini delle rotte del
progresso. Si apprende ora che mentre in occidente, per le donne
dai 12 ai 25 anni, la principale causa di mortalità sono i disturbi
dell’alimentazione, nelle isole Fiji tali malattie erano sconosciute.
Fino al proliferare, su edifici e tetti delle case sparse nell’arcipelago,
di antenne tv e parabole satellitari.
Con esse si è diffuso un modello che ha travolto e travolge valori e
tradizioni, colture, modalità di vivere e culture, persino l’arte più
antica e collaudata dell’edificare. E che progresso! In nome di quel
dio denaro - the money-god - inviso a Orwell e condannato dagli
asceti, novelli barbari senza scrupoli hanno costruito in zone
119
soggette a terremoti (vedi Aquila e dintorni), peggio di quanto non
si sia fatto nei tempi bui del basso medio evo.
Ma la televisione è soltanto uno dei media a tenere soggiogato
l’uomo moderno. Se la musica risulta gradevole all’orecchio umano,
perché non sperimentarne l’impatto negli allevamenti intensivi di
bestiame? E viceversa: dalla produzione avicola la stessa si diffonde
in palestre, supermercati, in luoghi frequentati dal pubblico, un po’
ovunque. Deve piacere. Per un identico fine, si sono dispiegati tutti i
mezzi.
L’avvio del nuovo processo, dopo la seconda guerra mondiale.
Smaltita l’euforia della vittoria, gli industriali statunitensi si
ritrovarono i magazzini pieni. Le ricerche di mercato indicavano che
i consumatori, apparentemente, erano disponibili ad accogliere i
nuovi prodotti, però le attese, testimoniate dai dati statistici in uso,
si traducevano solo parzialmente in acquisti. (Era ancora
incombente il ricordo della lunga depressione che, a partire dalla
fine degli anni venti, era durata praticamente fino all’inizio della
guerra.) I pubblicitari, alle prese con l’imprevedibilità del
consumatore, si rivolsero agli studiosi del comportamento umano
per ricavare effetti più attendibili. La grande offensiva portò schiere
di sociologi, psicologi, psichiatri e specialisti strizzacervelli, a
mettersi al servizio delle maggiori società e a scandagliare,
analizzare, catalogare gruppi di persone di ogni fascia sociale,
appartenenti a tutte le età. Di ogni individuo vennero esaminati gli
aspetti razionali, ma soprattutto inclinazioni ansie e debolezze, non
più per correggerne gli influssi deleteri per il raggiungimento di un
sano equilibrio mentale, bensì per influenzarne gusti e scelte
impulsive, per indurlo a comprare, per farne di lui un essere mai
appagato, sempre teso a competere, a superare se stesso, a scalare
120
più in alto nella sfera sociale, totalmente in balia delle mode.
Il consumo in sé diventa occasione di svago, meta di ritrovo, causa
prima e (nello stesso tempo) terapia dello stress, invaghimento della
bellezza, promessa di eterna gioventù, sogno dell’impossibile, valore
essenziale e volano dell’economia, religione. E per favorire il
consumo, in ogni occasione pubblica è celebrato il rito della fiducia
nel miraggio di un benessere collettivo.
L’essere umano di un tempo, cresciuto e disciplinato da principi
morali, comuni alla famiglia e all’ambiente di appartenenza, si trova
a impersonare un soggetto nuovo, “etero-diretto ... guidato in
prevalenza nel suo comportamento, dal desiderio di adeguarsi a ciò
che da lui si aspetta il gruppo sociale che egli frequenta
abitualmente”, dominato dal bisogno di uniformarsi. Nel luogo di
lavoro e nella comunità prevale sull’individuo lo spirito di squadra,
un distillato da somministrare ad ogni livello. Chiunque si dissocia
dal modello prevalente, si sente inadeguato, resta emarginato, non
ha prospettive.
La politica presiede sull’intero sistema. Il candidato politico,
confezionato come un prodotto, è venduto seguendo le stesse
tecniche di persuasione. Anzi, è proprio al livello della politica che si
intensificano le iniezioni di fiducia all’elettorato al costo di non
raccontare le cose come stanno, essendo prioritaria la necessità di
mantenere inalterata la spinta all’espansione. Il messaggio politico
punta a conquistare il voto/consenso di ogni singolo elettore. E un
accorto dosaggio porta a rivolgersi a ogni livello razionale ed
emotivo in cui si manifesta il consenso stesso.
Molti predicatori religiosi che hanno fatto ricorso alle nuove
tecniche della persuasione hanno visto moltiplicati seguaci ed
entrate. Anche se bisogna riconoscere che la pratica religiosa si è
sempre avvalsa della prerogativa di rivolgersi direttamente alle
121
coscienze e a quella sfera intima in cui le scelte di vita sono
determinate da motivazioni oscure fideistiche e irrazionali.
I pericoli paventati mezzo secolo fa, della diffusione di una forma
mentis piegata alla cultura dominante (del mondo affaristico e del
potere consolidato) sono realtà. E l’ondata mediatica è andata via
via ingigantendosi alimentata dal diffondersi di mezzi di
comunicazione più sofisticati e pervasivi. Internet, carte di credito,
cellulari registrano ogni intercalare della nostra quotidianità, spiano
i nostri momenti di incertezza, e in tempo reale sollecitano il nostro
istinto.
Osservare la crisi (economica e non solo) in cui siamo immersi
soltanto nell’ottica della eccessiva speculazione finanziaria è
alquanto miope.
Ecco un libro scritto e pubblicato verso la fine degli anni ’50 che
rimane di sorprendente attualità e che ha anticipato l’assurdità di
uno sviluppo drogato contrario ai valori della civiltà.
Nello sfondo di uno schermo spento, va ripensato l’intero modello
di vita.
122
17. Il lato oscuro delle notizie
Chi dei comuni mortali non si è cimentato almeno una volta nel dare
la vernice a una porta, a una persiana o a una finestra? Ci sono
essenzialmente due approcci. Lasciare le cose lì dove sono e trovare
la maniera migliore di girarci intorno. Oppure sistemarle sopra un
cavalletto, verniciare prima un lato, poi voltarle e provvedere
all’altro lato. Comunque si proceda, restano indietro dei punti
d’appoggio (o le parti poco accessibili) che ad esempio vengono
tralasciati nell’eseguire la prima mano, che hanno bisogno di
successivi ritocchi, che semplicemente non saranno mai perfetti.
Si può immaginare il passaggio, dai dati informativi al confezio-
namento delle notizie, né più né meno come un processo di
trasformazione molto simile a quello descritto. La materia da grezza
prende un rivestimento; se ne valorizzano alcuni aspetti per
rapporto ad altri lasciando in ombra quello che conviene meno (o
non conviene affatto), a seconda dei punti di vista - sempre di parte.
Ogni elemento dell’informazione è classificabile, sotto molteplici
aspetti (commerciale, politico, religioso, di appartenenza di classe,
per puro gusto personale e così via); quello che appare significativo
ad alcuni, per altri non lo è. Fare una cernita, dare o meno rilevanza
a qualcosa, rappresenta già una scelta discriminatoria.
Aldo Giannuli invita a sfogliare il giornale, nel prendere il cappuccino
al bar, guardandosi intorno. Come leggerebbe le medesime notizie
che abbiamo davanti, ci si chiede, l’analista esperto di intelligence
mentre sorseggia il caffè del mattino, magari seduto di lato al nostro
fianco?
123
Nel libro Come funzionano i servizi segreti annovera il controllo, la
gestione e la diffusione delle notizie alla stregua di una guerra non
convenzionale.
Sta al lettore ‘alfabetizzato’, cioè dotato di lucidità mentale e più
che attento, districarsi nel ginepraio dei media, assumersi il compito
di imparare a leggere tra le righe, porsi degli interrogativi, scoprire
ritocchi e lati oscuri delle notizie. La sfida è la ricerca della sostanza
sotto la patina di vernice. Un po’ come l’esperto d’arte che sa
riconoscere stile e pennellate d’autore.
Ma se la similitudine con la verniciatura regge, fino a un certo
punto, per il 70-75 per cento delle notizie, è drammaticamente
arduo padroneggiare la quota restante (nel senso di poter presume-
re che il livello di conoscenza acquisibile ci metta in grado di capire
tutti i termini del problema), per essere in condizione di valutare, sin
dalle prime schermaglie, la reale posta in gioco.
I servizi segreti non si limitano a raccogliere e ad analizzare ogni
informazione, a catalogarle e interpretarle. Una parte rilevante della
loro attività è quella di anticipare, di contrastare e quindi di diffon-
dere note informative. A parte i casi istituzionali, che vanno dal
fronte di guerra ai sequestri di persona, agli atti di pirateria ecc.,
non è infrequente che il giornalista sia anche agente dei servizi,
oppure che ha attinto - a sua insaputa, chissà? - delle informazioni
da qualcuno che è a contatto con gli stessi. Secondo l’autore “non è
azzardato stimare che un buon terzo delle notizie di maggiore rilievo
politico, economico o militare hanno questa origine o ne sono
contaminate.”
Con buona pace delle anime candide che vorrebbero che gli addetti
all’informazione non fossero schierati, che le notizie riflettessero la
nuda e cruda realtà, che il tiramolla rimanesse circoscritto al mondo
dei fumetti. Così pure è da confinare allo stato onirico l’auspicio che
124
i servizi siano fedelmente al servizio delle istituzioni democratiche,
che non tentino di interferire nel confronto politico, che i loro
resoconti non siano reticenti ma improntati alla lealtà.
Giannuli riporta che nella sua attività di ricerca, per conto
dell’autorità giudiziaria, ha avuto modo di confrontare il materiale
passato al ministro competente con quello che invece non gli era
stato inviato. “Il più delle volte, la parte più succosa era la seconda.”
L’informazione è il veicolo principale che porta alla formazione del
consenso. Nella prima guerra mondiale, che fu soprattutto la prima
‘guerra totale’ della storia, la propaganda “divenne un nodo
strategico... La Russia si ritirò dalla guerra a seguito della
Rivoluzione di ottobre; la Germania si piegò, senza aver perso una
sola battaglia, perché crollò il fronte interno.”
Una delle più importanti tappe del Novecento è stato l’approfon-
dimento della conoscenza nel campo della psicologia. Le tecniche di
‘contrasto informativo’ hanno attinto a piene mani da queste
ricerche affinando le proprie armi fino a raggiungere risultati
agghiaccianti.
Ivan Pavlov e Gustave Le Bon hanno fatto studi e condotto ricerche
che sono all’origine delle pratiche di manipolazione informativa. Le
grandi adunate, l’uso ossessivo dei simboli, la propaganda pervasiva
su qualsiasi mezzo di comunicazione ne sono il conseguente
sviluppo. Tuttavia non si pensi soltanto alla propaganda sotto i
regimi dittatoriali.
Le subdole conclusioni raggiunte da Vance Packard, autore de I
persuasori occulti sono da prendere in considerazione in eguale
misura.
Quindi da un lato il potere politico è interessato all’utilizzo della
propaganda che è diventata una componente fondamentale del
condizionamento della gente, dall’altro le grandi corporazioni
125
mettono in campo mezzi ragguardevoli finalizzati a raggiungere i
loro obiettivi. Il 20-25 per cento dei bilanci delle aziende di grandi
dimensioni sono spesi in pubblicità commerciale; le multinazionali
sono in grado di condizionare gli Stati sovrani.
La piramide sociale, osservata sotto l’ottica della conoscenza
interpretativa della complessità che ci circonda, può essere
disegnata attraverso l’approccio alle fonti d’informazione, la
capacità di elaborare dati e notizie limitatamente alla propria
competenza professionale, la possibilità di acquisire informazioni
approfondite. In cima si colloca un gruppo ristretto di persone
dotate di potere e di mezzi adeguati (politici, finanzieri, alti dirigenti,
direttori di giornali e tv). La punta estrema di questo gruppo è
costituita dai servizi di informazione e sicurezza.
Di fronte alla possibilità di intercettare qualsiasi telefonata o e-mail -
il caso Echelon ne è un esempio - gli spazi della società libera
vengono ad essere più che mai ristretti. Ogni informazione diventa
così merce, moneta di scambio e di ricatto. Pertanto l’affermazione,
quanto mai forte, che i servizi segreti sono una specie di
associazione a delinquere autorizzata, non stupisce affatto. Né
stupisce scoprire pratiche di depistaggi giudiziari (in Italia
tristemente noti), di disinformazione (Iraq e il possesso di armi di
distruzione di massa). I ricorrenti casi di influenza, ingerenza,
lobbying sono diventati pratica quotidiana.
Dalla rincorsa scientifica e tecnologica allo scontro sui diritti delle
donne di religione islamica, passando attraverso il mantenimento di
una posizione egemone della propria lingua, tutto confluisce in uno
scenario di competizione cognitiva che mira al dominio. Attirare i
migliori specialisti, formare nuove leve di giovani, procurare
finanziamenti alla ricerca, assicurarsi il controllo delle reti
126
distributive, sono altrettanti fronti di una guerra culturale in pieno
svolgimento.
I nuovi terreni di scontro, tra guerra economica, terrorismo,
pirateria e i postumi dei guasti causati dal turbo capitalismo, vedono
l’ascesa dell’intelligence privata e dei nuovi mercenari (contractor).
In tale scenario diventa determinante il controllo dell’informazione
e dei canali di diffusione, per salvaguardare un livello certo di libertà
democratica. Non solo apparente, ma reale. “L’informazione è il
sistema nervoso centrale di una società.”
Per l’osservatore attento non è così astruso individuare il bubbone
che corrode la vita pubblica.
127
18. Una visione distaccata e fuori dal tempo
Nell’India delle mille contraddizioni, dove coesistono ricchezze e
sacche di povertà estreme, dove l’anelito verso la spiritualità
assume forme per noi persino stravaganti e la ricerca matematica è
all’avanguardia, l’equazione corrente attesta che lo sviluppo
informatico sta allo stadio più evoluto del mondo mistico, come
Lakshmi Mittal (magnate dell’acciaio) sta a Osho (Maestro di verità
dalla mente illuminata).
In India, agli inizi, Osho fu accolto come maestro e guru, ma poiché
non era persona malleabile, né collocabile in un qualsiasi ambito
circoscritto, hanno poi tentato di emarginarlo; hanno quindi colla-
borato con gli USA al fine di “zittirlo,” per infine riconoscerlo come
una figura eccezionale.
Negli anni ’80 nella zona desertica dell’Oregon, Stati Uniti, ha creato
una Comune; ha subìto un arresto, seguito da “una farsa legale e
un’azione omicida,” i cui dettagli sono stati descritti in Operazione
Socrate.
Le oche selvatiche volano sul lago.
Il lago, naturalmente, le riflette (Haiku Zen)
Tra un millennio o giù di lì, quando gli archeologi s’imbatteranno in
ciò che resta del mondo attuale, cercheranno d’interpretare il
nostro genere di vita. E tenteranno di coniugare - della civiltà estinta
a cavallo del XX e XXI sec. - residui tossici, in parte ancora attivi, resti
di costruzioni e macchinari imponenti, assieme a reperti più minuti
che forse avranno lasciato testimonianza di sé grazie al verificarsi di
128
condizioni straordinarie quali fossilizzazione, freddo glaciale o altri
eventi eccezionali.
A modo suo Osho, (il Maestro che fondava il suo profondo senso
critico sul rifiuto di qualsiasi valore trasmesso dalla società nel suo
insieme, fosse di natura culturale o religiosa, tramandato dalla
tradizione o adottato nella contemporaneità), insegna ad affrontare
la vita con uguale distacco e discernimento.
Senza alcun timore reverenziale verso le gerarchie di ogni risma, con
atteggiamento agnostico, per fare emergere la nostra individualità
repressa.
Il libro che porta il suo nome, Osho, Lo sguardo fuori dagli schemi
(Bompiani), è la raccolta di alcuni suoi discorsi, pronunciati perché
diventino la base della nostra meditazione.
Alle donne non è permesso studiare il sanscrito; d’altronde la
medesima cosa è preclusa a una larga parte della società indiana. I
brahmani non volevano neppure pubblicare i loro libri sacri, pur di
conservare il monopolio su questi testi.
La Bibbia, la Torah, i Veda (i libri sacri dei cristiani, degli ebrei, degli
hindu) sono stati scritti, trasmessi da una generazione all’altra e
inculcati alle nuove generazioni per impedire all’individuo di
mettersi sul cammino della verità. ”E la verità possiede una
caratteristica importantissima: finché non la scopri in prima
persona, per te non potrà mai essere davvero una verità.”
Così come le leggi della fisica valgono dappertutto allo stesso modo,
non può esistere un dio cristiano, un dio ebreo, un dio hindu. Le
religioni, tutte, non sono mai state capaci di accettare i limiti della
propria conoscenza di fronte ai fenomeni naturali; sono state
sempre così “arroganti” da credere di poter spiegare tutto e da
129
volere trasmettere “conoscenze fasulle” alle genti, trasformando “il
mondo intero in un manicomio.”
Le religioni orientali, induismo, giainismo e buddhismo, insegnano
che le cattive azioni compiute nelle vite precedenti sono causa
dell’infelicità nella vita successiva. Una spiegazione che si presenta,
perlomeno in apparenza, più ragionevole di quella cristiana secondo
la quale il peccato originale di Adamo ha condannato non solo
l’intera umanità all’espiazione, ma ha anche determinato la discesa
sulla terra del figlio di dio e la sua crocifissione. Insomma sarebbero
seimila anni che il peccato originale mantiene la sua carica
radioattiva.
Buddha e Mahavira, con l’insegnamento della pratica della non-
violenza, “sono responsabili di 25 secoli di schiavitù dell’India.”
Mentre Gandhi con il suo esempio ha insegnato “alla gente a essere
violenta contro se stessa.”
Osho, al contrario, non ha professato la filosofia della nonviolenza; il
suo modello di vita si identifica nella riverenza verso la vita. E quindi
rispetto tanto per la vita altrui quanto per quella propria. Perché
rispettare, amare gli altri, e infierire contro se stessi?
Qualsiasi uomo privo di spiccata intelligenza, ma forte di carattere,
può diventare davvero pericoloso per sé e per gli altri, perché la sua
determinazione può condurlo in un vicolo cieco. Vengono talvolta
citate vite esemplari di santi che si percuotevano ogni giorno, finché
il sangue usciva a fiotti.
“Il giainismo è l’unica religione che permette a un monaco... di
digiunare fino alla morte. Non lo chiamano suicidio... La parola
santhara indica l’abbandono del desiderio di vivere, andare oltre il
desiderio di vivere.”
130
La naturopatia, una pratica Yoga, ha escogitato un modo per pulire
l’intestino, quello d’ingoiare una strisciolina di stoffa lunga 10
metri... Io, racconta Osho, impedivo a mia zia di fare questo
trattamento, ma quando me ne sono andato, è stata libera di
ripulire se stessa, ed è morta.
Gandhi, seguace della naturopatia, era solito farsi degli impacchi di
fango, dei clisteri, ed era dedito all’osservanza “del mangiare questo
e del non mangiare quest’altro...”
Che senso ha la rinuncia? Come si può rinunciare a qualcosa, come il
cibo o il sesso, se non con la repressione? “Se metti insieme tutte le
cose condannate da tutte le religioni del mondo, ti renderai conto
che hanno condannato l’intero genere umano... In verità continue-
rai a essere attaccato a tutte quelle cose, soltanto che avverrà in
modo distorto.”
E’ importante capire a fondo il fenomeno repressivo, che altro non è
se non “il meccanismo di asservimento dell’uomo.” Infatti, aggiunge
Osho, non esistono religioni che siano d’accordo su qualcosa, salvo
che sulla repressione, poiché ciò consente loro di ridurre l’umanità
in uno stato di soggezione psicologica e spirituale.
La dipendenza della maggior parte delle persone, da alcune
categorie particolari del genere umano, è sorprendente. Politici,
preti e pandit hanno sempre agito in combutta mettendo la
religione al servizio delle istituzioni. Quanti un tempo si rivolgevano
al sacerdote, ora - se sono ricche e raffinate - vanno dallo specialista
di turno (psicanalista, personal trainer o dal farmacista), “ma si
tratta sempre della stessa gente.”
Cosa avevano in comune Socrate, Al Hillaj Mansur e Gesù da
suscitare l’ostilità di molti dei loro contemporanei?
131
Erano degli illuminati, dicevano cose che “disturbavano” il sonno
delle autorità, invitavano i seguaci a seguire percorsi alternativi.
La Comune aiuta l’individuo a renderlo consapevole di essere
assolutamente solo. Quando uno è membro di una associazione
come il Rotary club, il Lions club, o frequenti questo o quel tempio,
coltivi l’illusione di appartenenza. Obiettivo della Comune è quello
di spazzare via queste funzioni illusorie. E’ sempre possibile incon-
trarsi, frequentare altri, ma in fondo si continua a rimanere soli.
Pertanto è fondamentale trovare l’equilibrio con noi stessi.
La conoscenza acquisita a volte può essere molto ingannevole; le
religioni indottrinano la gente per renderla erudita, dovrebbero
invece “aiutarla a esplorare, a mettersi alla ricerca.” Ma come fare
un proprio percorso interiore, quando tutte le religioni si affannano
a portare il bambino - subito! - alla fonte battesimale, alla circonci-
sione, o a qualche cerimonia hindu?
“Il pensiero è come un velo davanti agli occhi, che conferisce alle
cose il proprio colore e la propria idea di realtà.” Soltanto attraverso
la meditazione l’individuo arriva a liberarsi di tutte le sovrastrutture
che gli hanno imposto.
Pablo Picasso diceva di aver impiegato quarant’anni della sua vita
per superare quello che gli avevano insegnato da giovane. Ad un
uomo che lo accusava di dipingere come un bambino di cinque anni
il pittore rispose: "Magari potessi!"
“La comunicazione avviene attraverso le parole, la comunione
attraverso il silenzio.”
Liberati dal sapere dottrinale e conquisterai l’armonia.
Aumentando il numero degli illuminati, con l’elevarsi del livello
dell’energia meditativa, molte cose cambieranno.
La confusione regna sovrana in molte menti appartenenti a tutti gli
strati sociali; le popolazioni restano schiave di assurde credenze,
132
legate a rituali inibitori e propiziatori. La semplice idea della
creazione, afferma Osho, ci trasforma in qualcosa di arbitrario, nel
frutto del capriccio divino. Ma dopo che Nietzsche ha decretato la
morte di Dio, l’uomo è ritornato libero. Sempre che lo voglia!
Invece succede che l’uomo è arrivato sulla luna, ma delle autorità
hindu, di pari grado del papa cattolico, lo negano perché sarebbe
contrario a quanto è riportato nelle loro scritture. Un monaco
giainista ha raccolto donazioni per aprire un laboratorio e scoprire
prove scientifiche che smentiscano l’accaduto.
“Al centro di tutto c’è sempre questa finzione di dio e intorno a
quella vengono create tutte le altre illusioni: il paradiso e l’inferno, il
peccato e la punizione.” Questa mastodontica “messinscena da
circo” continua a perpetrare lo sfruttamento delle masse ad opera
degli “astuti sacerdoti di qualunque religione!”
Attraverso decine di secoli le religioni non hanno dato all’umanità
“nemmeno la millesima parte” di ciò che ha scoperto la scienza in
soli 300 anni. E la scienza fonda la sua autorevolezza nel dubbio.
Secondo i dettami delle chiese non “ti è permesso pensare,” perché
pensare ti porterebbe fuori strada. Devi invece avere fede, coltivare
la fede, recitare il mantra, le giaculatorie che accrescono la fede,
che equivale a commettere il suicidio della propria intelligenza.
E ricorda, insiste Osho, la mia verità non potrà mai diventare la tua
verità, perché non c’è modo di trasferirla da una persona all’altra.
Solo se coltivi una visione distaccata e fuori dal tempo diventi un
uomo libero.
133
19. Una mente libera in un mondo controverso
(o un suo derivato)
David Icke è un personaggio controverso, noto per le sue congetture
su chi controlla l'umanità. Molte figure di primo piano della politica
e dello spettacolo sono additati da lui come mandatari di azioni
atroci.
Ecco delineate missione e finalità del suo libro io sono Me Stesso, io
sono Libero: una guida verso la libertà per la massa dei servi della
gleba che nella modernità sono teleguidati come un popolo di
robot.
Il germe dei preconcetti si annida nell’animo umano come un virus
influenzale, rinnovandosi ad ogni stagione. Mentre noi ignari
diffondiamo il contagio alla stregua di tanti portatori sani, esso
sprigiona i suoi effetti perversi, tanto nei confronti delle persone
quanto verso le cose. E ci condiziona nell’agire.
(Una libreria con una impostazione tematica di tipo esoterico, dei
libri raffiguranti soggetti in estasi, hanno il potere di attrarre o di
tenere a distanza il lettore a seconda degli interessi di quest’ultimo.
E delle tendenze in voga, sull’onda lunga dei preconcetti.
Fosse dipeso esclusivamente da me, intendo dire: senza un con-
corso esterno, non sarei neppure entrato in quella libreria, né avrei
mai acquistato il libro in questione. O forse ci sarei entrato e avrei
soltanto leggiucchiato qualche passaggio, poi l’avrei riposto sullo
scaffale e sarei passato a tutt’altro genere. Invece, nel discorrere
con amici della società moderna etero-diretta, questi me lo hanno
additato tra la letteratura che tratta l’argomento dell’essere umano
134
soggetto a condizionamento. Superato quindi anche il preconcetto
visivo della copertina, dove l’autore si esibisce seminudo a braccia
aperte come un semidio, sono passato alla verifica.)
Siamo come la pecorella smarrita del Signore? Oltre il recinto il
gregge è attorniato da lupi? Ogni buon pastore invocando l’Essere
Supremo infonde il sacro timore di Dio. E i cani sono sempre al
servizio del padrone, il quale provvede ai mastini, fedeli servitori, e
alle sue pecore, mungendole e tosandole come si addice al loro
stato. L’immagine di un Dio che, di volta in volta, tuona ordini agli
ebrei del vecchio testamento, abbandona suo figlio sulla croce,
spinge cristiani e maomettani alla contesa palmo a palmo dei luoghi
santi, è una immagine bislacca che di divino ha ben poco.
Almeno secondo il giudizio di una mente razionale.
Altrettanto patetico appare il tentativo di avvicinamento fra
eminenti religiosi che scoprono un’intesa, nella modernità dei
principi universali, solo nel puntare il dito contro l’ateo, poiché così
facendo, avvalorano l’ipotesi di un Dio imperscrutabile quanto
volubile. Tuttavia neanche ciò costituisce una novità.
E’ la profondità del male a colpire a segno e a far germogliare la
catarsi. Lo sconcerto, figlio della curiosità, è appena dietro l’angolo.
Una élite di uomini senza scrupoli cerca d’imporre la dittatura
globale servendosi di ogni mezzo. Nel costatare com’è distribuita la
ricchezza e nel prendere atto del dominio culturale in essere, si fa
davvero poca fatica a crederci. A spanne tutti abbiamo una chiara
visione del mondo a forma di piramide: ogni istituzione è governata
da una minoranza prevaricatrice sulla maggioranza. Diventa invece
raccapricciante la scoperta di programmi di manipolazione mentale
- nei meandri del potere democratico! L’esercizio del dominio attra-
verso riti satanici, violenze, stupri, delitti programmati - “la
mentalità nazista non morì col 1945.”
135
L’autore, oltre a rimandare a una sua precedente opera “… and the
truth shall set you free”, riporta con dovizia di particolari parte del
racconto di Cathleen O’Brien, nel suo libro Trance-Formation of
America. Del programma di violenze da lei subìte allo scopo di
tenerla soggiogata in una dimensione di sindrome dissociativa. Il
cervello umano mette in atto meccanismi di difesa che inducono a
rimuovere gli episodi traumatici specie dell’infanzia. La CIA ha
attuato esperimenti sui disturbi della personalità multipla finalizzati
a plasmare soggetti dalla personalità programmata, da utilizzare
come automi. E ha perpetrato delitti orrendi. Tra i nomi di spicco
che abusarono di Cathleen, figurano per citarne alcuni Dick Cheney,
George Bush padre e Bill Clinton. Un “gioco” consisteva nel liberare
in una foresta, di solito in qualche area segreta militare, “gli schiavi
del governo come Cathy, altri bambini e adulti manipolati,
prospettando terribili conseguenze nel momento in cui verranno
catturati.” Quando venivano presi, erano brutalmente violentati, a
volte uccisi. Certi passaggi del racconto lasciano alquanto increduli.
Ma la cosa più sconcertante, che lascia senza fiato, è scoprire che
sia il libro di Cathleen O’Brien sia quello di David Icke non sono stati
oggetto di azioni giudiziarie per diffamazione, di iniziative di
sequestro per vie legali o altro.(*) Anzi, di entrambi i libri sono state
stampate numerose edizioni.
(Rapido zoom sulla realtà italiana - sui libri che narrano gli esordi
dell’impero mediatico del politico europeo più discusso - la
situazione è poi tanto dissimile?).
Autunno del ’95: alla BBC un programma scientifico “il mondo di
domani” prospetta la possibilità di trasferire su microchip la cartella
clinica di ogni paziente. Che succederà, si domanda l’autore, quando
il computer dirà no alla vostra carta di credito o al vostro microchip?
136
Saremo totalmente in balia dell’élite dominante e dell’occhio che
tutto vede.
Da una carrellata di considerazioni sul ruolo intimidatorio della
religione attraverso i secoli bui, emerge la lotta di potere a tutto
campo. Tra le società segrete quella dei Templari è stata la più
temibile. Pur dichiarando di essere un’organizzazione cristiana, fu
combattuta dai re e dal papato. Finché non “riemersero a livello
pubblico come massoneria.” Clamoroso apprendere che in uno degli
atenei più elitari del mondo (Università di Yale negli USA) si
compiano “riti d’iniziazione piuttosto oscuri e bizzarri.” Che al suo
interno esista (o sia esistita) una “Società segreta del Teschio e delle
Ossa.” Che tra gli studenti selezionati siano stati iniziati futuri
uomini di stato. Che il gruppo Bilderberg, l’istituto reale di affari
internazionali, la commissione trilaterale, il consiglio delle relazioni
con l’estero, i Rockefeller, i Rotschild siano tutti in combutta.
A queste istituzioni (con lettere capitali) e famiglie (blasonate)
sarebbe riconducibile l’impero del male che tutto vede e controlla.
La millenaria dottrina esoterica, bollata per secoli come la disciplina
dell’occulto e quindi opera del diavolo, ha in sé i germogli della
redenzione. Di per sé non è né buona né cattiva, ma può essere
utile a liberare le coscienze. La visione panteistica dell’universo
tutto abbraccia, dalle esperienze di morte apparente, alla reincarna-
zione, alla concezione di un Dio la cui essenza è “un enorme campo
di energia/coscienza.”
La scienza, quando si ferma a contemplare solo quello che è
spiegabile o ripetibile, e mette all’indice tutto il resto, fa opera di
disinformazione.
Come ignorare alcune pratiche antiche di guarigione, le energie che
i sensitivi riescono a cogliere, la disposizione dei “menhir in
corrispondenza di faglie della superficie terrestre che producono
137
effetti magnetici? … Noi siamo la somma totale delle nostre
esperienze eterne, non esiste una cosa come la morte … Siamo ciò
che immaginiamo di essere … le decisioni che prendiamo e le vite
che scegliamo prima dell’incarnazione … ciò vale per i genitori che
scegliamo … per il colore della pelle …”
Difficile credere ad ognuna di queste affermazione, ma non è meglio
che affidarsi alle dottrine dominanti.
L’esortazione di fondo è di diffidare delle illusioni di libertà. Il
sistema dei partiti avrebbe creato il teatrino dei finti opposti che si
alternano al gioco del comando. Il mondo finanziario non sarebbe
da meno. I mezzi di comunicazione - le forze di polizia della zona
senza grattacapi - hanno la funzione d’ipnotizzare le coscienze, a
mezzo del “cancro mentale dei giochi a premi e delle telenovele.”
Solo se l’individuo libera il proprio genio, potrà affrancarsi dalla
prigione delle paure e delle coercizioni. Sgomberato il campo dagli
assolutismi, tutto diventa alla sua portata, perfino poter camminare
scalzo sui carboni ardenti.
La negazione invece stimola sempre una ossessione riguardo a ciò
che si nega. Ecco spiegato perché “i moralisti sono ossessionati
dall’attività sessuale degli altri.”
Piuttosto che sottomettersi a una autorità costituita, perché non
accondiscendere all’idea che la nostra psiche, al momento della
‘morte’ si stacca dai ‘detriti emozionali’ per confluire in una
dimensione più ampia? Lasciando da parte ogni risentimento,
l’amore cosmico diventa un progetto di vita. Il mio, confessa
l’autore è quello di sperimentare, imparare, comunicare.
Tutto sommato l’opera mira ad abbattere gli steccati delle verità
assolute. Pur offrendo una serie di definizioni e di costruzioni visive,
per adepti, tende a non inculcare un vero credo. Semmai ritorna a
sottolineare, ad ogni passaggio, quanto sia importante non
prendere per buona ogni cosa, qualunque sia la fonte. E “ciò vale
anche per quello che leggi in questo libro.”
Più candidamente, prova a lasciati andare sulle famose note dei
Beatles, “let it be.”
138
David Icke, una mente libera in un mondo controverso o un derivato
dei torbidi scenari di cui è fatto il mondo?
Note:
(*) Altri lettori e/o fonti sono giunti alle medesime conclusioni:
http://www.genitoricattolici.org/trance.htm
http://rema2007.wordpress.com/2008/05/08/trance-formation-of-
america/ http://www.amazon.com/Trance-Formation-America-Cathy-
OBrien/
139
20. Indietro tutta!
Il bailamme multimediale è sotto l’aspetto formativo un valzer che
ci riporta indietro alla cultura orale. Lo dicono senza mezzi termini -
anzi lo scrivono in un italiano forbito - i cattedratici Mario Groppo e
Maria Clara Locatelli nel libro Mente e cultura. (Assolutamente da
non confondere l’arte del parlare con quella dello scrivere, poiché il
libro verte quasi interamente sul sapere che si estrinseca diversa-
mente a seconda delle modalità e delle tecniche di comunicazione
in uso nelle varie epoche storiche).
Oggi siamo immersi in un mondo di immagini e di sonorità che ci
accompagnano - se non proprio ci assillano - per l’intera giornata. I
bambini sostano lunghe ore davanti alla tv; i ragazzi vanno in giro o
studiano con l’iPod al seguito e auricolari incollati all’orecchio; lo
schermo tv, oltre ad avere ormai del tutto sostituito il focolare
domestico, è diventato ospite fisso durante i pasti in famiglia.
“Questo strapotere del suono e dell’immagine è una dimensione
relativamente recente e comunque del tutto nuova rispetto a quella
della parola stampata.” La parola scritta si offre silenziosa, impegna
il lettore a seguire con attenzione i passaggi del testo, si propone
nella linearità di uno sviluppo evolutivo che si snoda di pagina in
pagina, da un capitolo all’altro. Al contrario, mentre si ascolta la
radio, non di rado anche quando la tv è accesa, vengono svolte
mansioni domestiche o lavorative, attività che sembrano conciliarsi
tra loro.
Le nuove tecnologie audiovisive, pervasive, coinvolgono i nostri
sensi più di quanto sia mai avvenuto in epoche passate.
140
Dalla notte dei tempi fino alla comparsa della stampa, l’apprendi-
mento di natura orale richiedeva completa attenzione e piena
partecipazione emotiva. L’approdo alla carta stampata mise in
primo piano la vista; tuttavia restava immutata la necessità, da
parte del lettore, di immersione totale nello strumento ‘libro’ (e in
quello che stava compiendo: la lettura).
Il Medioevo ha segnato il passaggio all’era moderna, attraverso la
scoperta di nuove tecnologie, nella misurazione del tempo e nella
meccanica. La meridiana, con l’ora solare, aiutava l’uomo antico a
suddividere il ritmo della giornata. Ma erano le stagioni, l’avvicen-
darsi del giorno e della notte, a determinare il decorso naturale del
tempo. Poi sopraggiunsero gli orologi a peso a scandire le ore e i
minuti, indipendentemente da fattori esterni. I mulini ad acqua e a
vento, utilizzando le forze della natura, aumentarono le capacità
dell’uomo nella lavorazione dei metalli e nello sfruttamento di
nuove tecnologie meccaniche, creando così le premesse per l’inizio
dell’industrializzazione moderna. Queste due invenzione dell’età
medievale hanno dettato un cambiamento radicale.
Erano un suggerimento a studiare il processo naturale delle cose.
“E’ inutile dire che in questo processo anche l’alfabeto e la stampa
hanno esercitato un peso notevole.” Valorizzando la capacità anali-
tica dell’occhio, si è affermata l’abitudine a perseguire la continuità
e la linearità. “Questa modalità visiva… ha altresì sviluppato il biso-
gno di acuta osservazione della scienza moderna e l’abitudine al
distacco tipica dell’uomo occidentale alfabetizzato.”
Le moderne tecnologie di comunicazione consentono di trasmettere
l’informazione attraverso una miriade di canali e di formati. Cosa
che da un lato determina un coinvolgimento allargato dei sensi nella
fase di percezione e di apprendimento, dall’altro viene ad alterare i
ritmi e i tempi della cultura tradizionale.
141
“Il valore effettivo dell’informazione, l’oggettività tanto difesa dalla
cultura tipografica, ha scarsa rilevanza quando la notizia attrae
l’attenzione e aumenta l’audience.” L’adeguamento al mezzo e al
flusso ininterrotto di notizie segue in parallelo. Non stupisce il fatto
che si sia arrivati alla dimensione dello “spettacolo senza fine.”
L’informazione tocca la base emozionale dell’individuo; la perce-
zione è quella di vivere sempre al presente. L’appiattimento tempo-
rale e la contrazione dello spazio, assicurando un impatto dal forte
potere ipnotico, garantiscono soddisfazione immediata.
Tutto è accessibile a tutti, non c’è necessità di rammentare, catalo-
gare, apprendere. “La struttura non gerarchica dell’informazione,
fondata su una risposta emozionale diretta, annulla dunque il senso
del futuro considerato come continuità, come meta da raggiungere
attraverso una preparazione.”
Nel ‘700 le conquiste tecnologiche e filosofiche hanno dato una
spinta al genere umano tale da dischiudere orizzonti infiniti. La
visione illuminista confidava nella capacità dell’uomo di essere
artefice di un progresso pressoché illimitato. Sulla scia di queste
ambizioni, la ricerca scientifica ha raggiunto traguardi di “difficile
gestione,” fino a scomporre l’atomo e a giungere alla manipolazione
genetica. La portata di queste scoperte, dagli esiti incontrollabili,
mette in gioco il problema della sopravvivenza del nostro ambiente
così come lo conosciamo. “L’ideale di una crescita infinita, deve
dunque essere assolutamente sostituito da una ponderata gestione
delle risorse disponibili e da una presa di coscienza della loro
limitatezza.”
L’era del computer, paradossalmente, si delinea come uno sparti-
acque nel ridefinire il principio alla base dello sviluppo stesso. Alla
soglia del terzo millennio comincia a imporsi una visione condivisa,
l’idea di perseguire uno sviluppo sostenibile. Il foglio elettronico è
142
uno spazio operativo delimitato, benché sia in grado di svolgere in
pochi secondi una quantità di calcoli matematici che terrebbero
occupata la mente umana per parecchio tempo. Si presenta così un
quadro articolato e complesso che ribalta l’utopia di progresso
illimitato.
Accantonata l’illusione moderna di crescita ad oltranza, si presenta
la prospettiva di sviluppare pragmaticamente attività complesse in
uno scenario combinatorio smisuratamente vasto. “Secondo il
modello della complessità esiste infatti una circolarità costruttiva
tra osservatore e osservato, cioè i confini e le gerarchie del sapere
non sono stabiliti una volta per tutte, ma dipendono da chi osserva
o dal contesto dell’osservazione.”
L’era Gutenberg ha determinato la diffusione della carta stampata.
Con il libro è andato affermandosi un modello lineare di organizzare
la conoscenza; l’ordine, la logicità e la compiutezza hanno rappre-
sentato una linea guida per il pensiero. “La forma del libro è dunque
diventata la forma del sapere.”
La galassia Marconi ha sovvertito la centralità del rigore formativo
rappresentato dal libro. La parola scritta offre la possibilità di riflet-
tere, di soppesare i contenuti. La tv sollecita il coinvolgimento emo-
tivo totale da parte dell’utente che così si trova a smarrirsi nelle
dinamiche di un linguaggio breve, parcellizzato in sequenze ben
strutturate e in forma di slogan. “Il codice audiovisivo, se da un lato
favorisce l’integrazione tra l’aspetto visivo e quello linguistico,
dall’altro abitua all’uso di un riferimento verbale vago e indeter-
minato, che rappresenta una forma di espressione inadeguata
quando il contesto di comunicazione è esclusivamente verbale”.
(Maragliano)
I costi elevati del sistema dei nuovi media e l’esigenza di proporre
notizie in continuazione, pur di catturare l’attenzione del pubblico,
143
condiziona la qualità delle trasmissioni, obbligando anche a trasmet-
tere ciò che è orrendo o irrilevante. I tempi sono contingentati, il
rapido susseguirsi di immagini e di “notizie in pillole” fa sì che subito
tutto viene soppiantato e dimenticato.
Un po’ come “avviene davanti a uno specchio che ci fa vedere cosa
indossiamo oggi, ma non ci dice nulla di ieri.” (Postman)
Sotto questo aspetto, sembriamo essere ripiombati nell’antichità.
Quando era prevalente la cultura orale e la memoria dell’uomo era
la fonte della conoscenza, le esperienze del passato erano necessa-
riamente mediate dal presente.
“Non c’è dubbio: noi oggi siamo i protagonisti involontari di una
oralità di ritorno!”
In extremis, come si addice a una prosa ragionata, gli autori
abbozzano la prospettiva di “un uomo completo,” capace cioè di
raggiungere livelli cognitivi e linguistici più elevati, in equilibrio tra
l’emotività corporea e l’astrazione della mente.
Senza troppo convincere.
144
21. Il cervello del giocoliere
Nel gioco delle tre carte - indovina dove si cela la regina di cuori?
(ma ci sono altre varianti) - la massima attenzione è focalizzata sulla
carta designata. Invece il giocoliere, che tiene sospese in aria sei,
otto, dieci palline in una vorticosa girandola, è concentrato soltanto
nella destrezza e rapidità dei movimenti. A nessuna delle palline
riserva un qualsivoglia interesse. Anche se le palline fossero tra loro
tutte diverse, e magari qualcuna di esse fosse dotata di proprietà
magiche, durante l’esibizione nessuna potrebbe godere di uno
sguardo particolare.
Ecco, attenzioni (curiosità, riguardi, affetti) necessitano di limitazioni
di campo e tempi di dedizione appropriati.
L’intelligenza è una facoltà della mente che si espande e consolida
attraverso le medesime modalità; presuppone una fruizione lenta,
centellinata, in cui l’attenzione è la chiave essenziale che facilita
l’assorbimento di elementi aggiuntivi, e rende più radicati fatti o
nozioni già acquisiti.
Nicholas Carr, nel suo libro - Internet ci rende stupidi? Come la rete
sta cambiando il nostro cervello, - paragona la capacità di crescita
dell’intelletto a una vasca da bagno che viene riempita, a poco a
poco, da un ditale. Ossia l’intelligenza, la memoria di lungo termine,
è alimentata dalla cosiddetta memoria di lavoro. La quale ha sede
nella parte di cervello frontale che si cimenta con la quotidianità.
Essendo essa immersa nel carosello visivo degli stimoli correnti, è
continuamente distratta poiché rappresenta, tra l’altro, il target
preferito del bailamme seduttivo e roboante dei media. Secondo
recenti studi l’essere connessi provoca una perdita delle capacità
145
riflessive che alla lunga trasformano in profondità il cervello stesso.
Ed è proprio questo il messaggio di fondo del libro di Carr, anche se
la materia è tuttora oggetto di indagine.
Internet è diventato un canale multiuso tramite il quale passano
gran parte delle informazioni che, attraverso la vista e l’udito,
arrivano alla scatola cranica dei suoi adepti. Ciò provoca vantaggi e
svantaggi: sta cambiando qualcosa su come assimiliamo la cono-
scenza? Una enorme quantità di dati è a nostra disposizione pronta
per essere consultata.
Perché allora arrovellarsi il cervello per imparare? se pescare for-
mule e nozioni già pronte all’uso sta diventando sempre più facile, e
la conoscenza è a portata di mouse. Un gioco appunto.
Nella Rete si trova ormai di tutto, dalle modalità per confezionare
una bomba alle rivelazioni dei traguardi raggiunti per affrontare una
malattia incurabile. Perché abbonarsi a un quotidiano o passare
dall’edicola quando c’è una enormità di notizie in internet? E infatti i
giornali registrano un continuo calo di vendite. Inoltre anche i libri
sono disponibili in formato digitale. Cambiando il medium di comu-
nicazione della conoscenza, può cambiare il modo di essere, e di
pensare?
Ogni invenzione, ogni conquista tecnologica determina anche un
passaggio evolutivo per effetto del quale le capacità manuali e intel-
lettuali vengono alterate, dove accanto agli innegabili progressi ci
sono delle perdite. In agricoltura l’introduzione del trattore (e dei
mezzi meccanici in generale) ha eliminato pressoché del tutto la
fatica. Ed è un bene! Ma come effetto collaterale, il fisico dell’agri-
coltore di oggi non è paragonabile a quello del contadino di un
secolo fa.
Nel libro Gli strumenti del comunicare, Marshall McLuhan con
visione lungimirante - siamo nel 1964! - avverte: “La nostra reazione
146
convenzionale a tutti i media, secondo la quale ciò che conta è il
modo in cui vengono usati è l’opaca posizione dell’idiota
tecnologico... Il contenuto di un medium è paragonabile a un suc-
coso pezzo di carne con il quale un ladro cerchi di distrarre il cane
da guardia dello spirito.”
Come funziona dunque la nostra mente? “Ogni volta che compiamo
un’azione o sperimentiamo una sensazione, fisica o mentale, un
insieme di neuroni nel nostro cervello si attiva. Se sono vicini questi
neuroni di uniscono attraverso lo scambio di neurotrasmettitori
sinaptici come l’aminoacido glutammato.” Quanto più spesso si
ripetono le stesse esperienze, tanto più questi legami si rafforzano e
si moltiplicano creando le cosiddette sinapsi. Così avvengono dei
cambiamenti fisiologici, come il rilascio di una concentrazione più
alta di neurotrasmettitori, la generazione di altri neuroni o la
crescita di altre terminazioni sinaptiche.
Trova così conferma la regola di Hebb: Le cellule che si attivano
insieme si legano tra loro.
Si ha evidenza del processo di trasformazione mentale di una
persona cieca mentre impara a leggere il Braille. Il Braille di fatto
rappresenta una tecnologia; è un mezzo d’informazione.
I cinesi sviluppano circuiti mentali per la lettura che sono diversi da
quelli che si trovano nelle persone che impiegano un alfabeto
fonetico. Nell’antichità gli amanuensi scrivevano le parole senza
spazi tra loro. Ciò rifletteva il fatto che fosse predominante la
cultura orale, il parlato. “La storia del linguaggio è anche la storia
[evolutiva] della mente” che conobbe una metamorfosi a seguito
dell’invenzione della stampa.
Verso il 1445 un orafo tedesco, Johannes Gutenberg, lasciò
Strasburgo e aprì bottega a Mainz dove si mise al lavoro per
realizzare le sue idee. Elisabeth Eisenstein, in La rivoluzione
147
inavvertita - la stampa come fattore di mutamento - scrive che ciò
fu ‘un evento notevole da suggerire l’intervento soprannaturale.’ Si
narra che il banchiere Johann Fust, che finanziò Gutenberg, quando
si recò a Parigi stracarico di libri stampati, cosa mai vista prima, fu
costretto ad abbandonare in tutta fretta la città scortato dai
poliziotti, perché venne sospettato di stregoneria.
Mente e cultura, con l’avvento della carta stampata, hanno intera-
gito e avuto uno sviluppo cosiddetto lineare. Il libro, con un inizio
uno svolgimento e una conclusione logica, ha rappresentato un
canovaccio naturale che ha modellato il pensiero e la mente secon-
do le medesime modalità. Da questa interazione ed evoluzione
mentale sono scaturite numerose scoperte scientifiche.
Arriviamo all’oggi e troviamo il sapere riproposto in forma digitale.
“Un libro stampato è un oggetto finito.” Invece il mercato digitale è
“un processo sempre in corso.” Diminuiscono sia “la pressione per
raggiungere risultati perfetti” sia “il rigore artistico imposto da
quella pressione.”
Secondo lo scrittore Steven Johnson l’approdo del libro al regno
digitale comporta cambiamenti in profondità più di quanto possa
apparire a prima vista. ‘Temo, aggiunge, che una delle grandi gioie
della lettura dei libri - l’immersione totale in un altro mondo - sarà
compromessa.’ D’ora in poi ci accingeremo a leggiucchiare i libri
come spesso facciamo con riviste e quotidiani, sfogliando qua e là.
Non è il solo che la pensa così. Lo storico David Bell rivela: ‘Comincio
a leggere [sulla Rete] ma trovo difficile concentrarmi.’ Insomma,
racconta di mettersi prima a cercare una parola chiave, poi di fare
un salto su Wikipidia, dare uno sguardo alla posta elettronica,
scorrere il testo in avanti e indietro. Una settimana dopo aver finito
di leggere il libro trova difficile ricordare quello che ha letto.
148
La lettura di un ipertesto, con tutti i link che rimandano altrove,
equivale alla consultazione di un libro mentre si fanno le parole
crociate è il lapidario commento di un altro esperto del Web.
“Decine di studi di psicologi, neurobiologici, educatori e progettisti
Web arrivano alla stessa conclusione: quando andiamo online
entriamo in un ambiente che favorisce la lettura rapida, il pensiero
distratto e affrettato, e l’apprendimento superficiale.” Questa è la
perentoria affermazione dell’autore. Naturalmente, aggiunge, è
possibile anche pensare in modo approfondito mentre si naviga in
Rete, proprio come si può pensare in modo superficiale leggendo un
libro, ma non è il tipo di pensiero che la tecnologia incoraggia e
premia. In sostanza è come se la rete catturasse l’attenzione solo
per disperderla.
Quando l’acqua tracima il ditale, cioè quando sovraccarichiamo la
capacità della mente di archiviare ed elaborare dati, non siamo più
in grado di assorbire altro, di creare collegamenti con ciò che
abbiamo appreso nella nostra memoria a lungo termine. “Al rag-
giungimento dei limiti della nostra memoria di lavoro diventa
difficile distinguere le informazioni rilevanti da quelle che non lo
sono, il segnale dal rumore. Diventiamo stolidi consumatori di dati.”
Nel mondo digitale di Google e affini non c’è spazio né per la lettura
approfondita né per la contemplazione generica, priva di un preciso
scopo. “L’ambiguità non è l’apertura a una intuizione possibile, ma
un malfunzionamento che va aggiustato. Il cervello umano è soltan-
to un computer obsoleto che ha bisogno di un processore più velo-
ce, di un disco fisso più grande e di migliori algoritmi per governare
il corso dei suoi pensieri.”
In sintesi la funzione cognitiva del cervello si attiva attraverso
l’attenzione cosciente. La quale “parte dai lobi frontali della cortec-
cia cerebrale... porta i neuroni della corteccia a spedire segnali ai
149
neuroni del mesencefalo che producono il potente neurotrasmet-
titore dopamina... Una volta che la dopamina è incanalata nelle
sinapsi dell’ippocampo, essa avvia il processo di consolidamento
della memoria esplicita, probabilmente attivando i geni che
stimolano la sintesi di nuove proteine.” (L’avverbio sta a indicare
quanto il cammino esplorativo sia ancora lungo!).
La baraonda dei messaggi che arrivano dalla Rete non soltanto
affaticano la nostra memoria di lavoro, ma rendono difficile per i
lobi frontali concentrare l’attenzione su un unico oggetto. “Il
processo di consolidamento del ricordo non può neanche partire.
Più usiamo il Web, più alleniamo il cervello a essere distratto... Ciò
spiega perché molti di noi trovano difficile concentrarsi anche
quando sono lontani dal computer. I nostri cervelli diventano abili a
dimenticare.” Si determina quindi un effetto boomerang.
Per il fabbro il martello è parte della sua mano. Quando il soldato
scruta attraverso il cannocchiale del suo fucile, il cervello si adatta e
diventa un prolungamento del mirino dello stesso fucile. Insomma
(Culkin) noi programmiamo i nostri computer dopo di ché essi ci
programmano.
Poiché l’esistenza stessa del libro di cui stiamo trattando sembra
essere in contraddizione con l’approfondita conoscenza del mondo
digitale che l’autore mostra di possedere, Nicholas Carr ammette di
aver dovuto interrompere drasticamente le sue frequentazioni in
Rete, di aver addirittura cambiato casa spostandosi da un quartiere
di Boston “altamente connesso” alle montagne del Colorado, dove
ogni connessione era piuttosto precaria. (E’ stato dimostrato che la
permanenza in ambienti rurali, a contatto con la natura, rafforza
nelle persone la capacità di concentrazione e la memoria stessa.)
Solo quando il libro stava per essere terminato ha ceduto di nuovo
alla tentazione di tenere aperta la mail tutto il tempo, ha riattivato
150
lettori RSS e applicazioni varie. A riprova di quanto, l’intrusione della
tecnologia nella nostra vita quotidiana, abbia ormai un effetto
dopante.
E la babele della cultura digitale è appena cominciata.
“I didn't really say everything I said.” (Yogi Berra)
“Non posso aver detto quello che ho detto.”
151
22. Il pensiero vegetale
“Qualunque differenza che produce una differenza,” così il filosofo-
antropologo Gregory Bateson (1979) definisce l’informazione. Se ne
può desumere che la conoscenza, che non si traduce in un
comportamento coerente (o quantomeno non diventa un arnese
della propria cassetta degli attrezzi), sia equivalente a un corpo in
stato vegetativo. Sembra troppo forte l’immagine? D’altronde non si
fa riferimento all’amicizia come a un sentimento, per quanto nobile,
che va coltivato; e l’amore, la fede o l’odio?
Il fatto che la mente viaggia più lontano e velocemente del corpo dà
l’illusione che la capacità intellettuale sia più dinamica di quella
fisica o corporale.
Come dire che se le piante svettano verso il cielo, soffrono,
pensano, attivano anche pensieri metafisici.
Secondo recenti ricerche condotte da studiosi di Neurobiologia
Vegetale le piante sembrano possedere una qualche forma di
intelligenza che consente loro non solo di pensare e comunicare,
ma anche di risolvere problemi legati soprattutto alla salvaguardia
del loro territorio e alla loro incolumità. Stefano Mancuso,
professore di fisiologia delle specie arboree all' Università di
Firenze, è responsabile del Laboratorio Internazionale di
Neurobiologia Vegetale (Linv), il primo laboratorio al mondo
specializzato nello studio dell' "intelligenza verde": merito dei
ricercatori del Linv è l’individuazione di una regione dell’apice
radicale, chiamata zona di transizione, che sembra possedere tutti
i requisiti per essere considerata una zona simil-neurale… (*)
152
E’ innegabile che l’uomo prima ha fantasticato sul volo degli uccelli,
e dopo aver osservato e studiato, ha progettato come volare.
Eppure la fantasia è un elemento ingannevole dell’attività cerebrale.
Il ragionamento, spaziando in un orizzonte allargato (nella elabora-
zione di immagini e fatti, dati concreti e ipotesi), sembra avere la
funzione del capitano di una nave che segna la rotta del veliero. In
realtà il comportamento, che in qualche modo rappresenta la sintesi
di ogni elucubrazione mentale, è più simile al ‘progredire’ di un
vegetale, (che si muove estendendo le radici nel terreno), che alla
‘libertà di movimento animale’ quale noi ce lo figuriamo.
A lume di naso si assume che l’informazione correttamente diffusa
debba indurre le persone a modificare il comportamento in linea
con ogni nuova conoscenza acquisita. Tuttavia la pura e semplice
conoscenza non sempre si traduce in atteggiamenti coerenti.
Apprendere che il fumo fa male, che l’aids si può evitare, che
allacciare le cinture in auto ci salva la vita, non fa scattare automati-
camente comportamenti idonei.
In presenza di una persona autorevole, in un ambiente licenzioso,
avremo tendenza a lasciar correre (la sigaretta accesa, a non
allacciare le cinture, chiedere lo scontrino fiscale, ecc.). Insomma
propendiamo a uniformarci, in un dato ambiente, alle aspettative
delle persone per noi influenti. Solo quando la maggioranza delle
persone avranno adottato un nuovo orientamento, l’individuo
troverà naturale assumere un proprio atteggiamento fermo in
relazione a quanto ha appreso.
In autostrada, dopo prolungate code a seguito di tamponamenti a
catena, appena superato l’ennesimo ingorgo, gli automobilisti
riprendono a correre e a non rispettare le distanze di sicurezza.
Il deficit più o meno ampio di coerenza (tra conoscenza e comporta-
mento) dipende da una serie di fattori che vanno dalla formazione
153
culturale dell’individuo, all’ambiente, oscilla da un momento storico
e politico all’altro.
Il pensiero dominante e il suo rovescio
Ci sono tante modalità di cogliere sia l’informazione sia i messaggi di
qualsiasi natura che ci piovono addosso. Mark Heyer nel suo saggio
su CD ROM scrive:
“Pascolare indica la ben nota attività consistente nel sedersi
davanti al televisore in stato di trance ipnotica … lasciando che le
informazioni … penetrino dentro di noi …
Brucare significa scorrere una vasta mole di informazioni senza un
particolare scopo in mente …
Cacciare significa andare alla ricerca di informazioni specifiche e i
computer sono magnifiche armi da caccia …
I medesimi concetti possono essere traslati nella vita quotidiana, dal
fare la spesa allo svago.
Sugli scaffali dei negozi, sotto la spinta dei gusti che evolvono -
adeguandosi al tamtam commerciale, - il consumatore sta perdendo
il senso delle stagioni e il buonsenso di non disperdere le tradizioni
alimentari.
Il senso del bello è ripetutamente sovvertito - rammentate la Mini
con la coda tagliata? E le giunoniche statue del passato?
Sorvoliamo sulle fogge del vestire: oltre che in perenne competi-
zione con gli uccelli dell’Amazzonia e i pesci dei tropici, il più delle
volte la moda è di scarsissima praticità.
Fino a un paio di decenni or sono ’antifascismo’ era una parola
capace di esorcizzare qualsiasi deviazione.
154
Ogni stagione modaiola ha il suo prodotto di culto, un incontrastato
punto di riferimento, un’idea che sovrasta tutte le altre.
Lo stesso dicasi per i luoghi comuni. Provate a mettere in guardia gli
inglesi sulla calamità degli spifferi d’aria. Se siete il solo italiano del
gruppo, vi guarderanno in viso come a un marziano.
Il pensiero dominante parte dalla conoscenza prima, passa poi al
radicamento nella maggioranza che lo adotta. Per fasi successive, si
impongono alla massa determinati modi di vedere e valutare le
cose. A un certo punto l’atteggiamento sociale diventa tale da
mettere in soggezione chiunque tenti di esprimere pareri contrari.
Il pensiero vegetale, speculare a quello dominante, affonda le radici
nel conformismo da un lato, e dall’altro nell’atteggiamento passivo
(o peggio, di complicità e sostegno, attraverso l’ubbidienza alla leg-
ge del branco) nei confronti dell’idea corrente, dei canoni di moda.
Seguendo le digressioni dell’autrice di Comunicazione e persuasione,
Nicoletta Cavazza, il battage, il martellamento esteso di alcune
notizie, influenza:
“la valutazione della loro importanza da parte del pubblico.[…]
L’ipotesi più radicale […] va sotto il nome di ‘cultivation
hypothesis’. […] Nei film e nei serials alcuni temi sono enfatizzati,
in particolare gli episodi di criminalità sono sovrarappresentati; al
contrario, sono sottorappresentate, o per lo meno rappresentate
esclusivamente in determinate situazioni, alcune figure sociali (le
donne, gli anziani, le minoranze etniche e altri gruppi con scarso
potere). Questi contenuti favoriscono il formarsi di ‘risposte
televisive’ negli spettatori assidui …”
Il fenomeno della criminalità è percepito ben oltre i puri dati
statistici. Inoltre se l’accaduto avviene nel quartiere o nelle periferie
155
dove abitiamo, l’impatto emotivo assume la dimensione di una vera
emergenza.
L’esercizio di un culto (religioso, settario), lo svolgimento di tornei
sportivi, hanno a monte un rituale consolidato nel tempo che
sfociano a valle in manifestazioni di fervore fideistico e compor-
tamenti che, se non sono mitigati dall’ambiente esterno, si auto-
alimentano nell’euforia, nell’intolleranza e nel tifo, fino ad assumere
connotazioni patologiche.
Come la gramigna, il fanatismo una volta attecchito si diffonde nel
terreno per estensione, invadendo spazi e impoverendo l’habitat
circostante.
Se osserviamo delle mappe geografiche con colorazioni diverse per
costumi, religione e cultura, scopriamo che nel corso dei secoli poco
è cambiato. I popoli migrano da un continente all’altro, ma le perso-
ne mantengono i costumi e le credenze dei loro avi. Le differenze si
misurano per gradi.
Nessun individuo si alza la mattina cristiano (o mussulmano) e va a
letto ateo, o viceversa. Il processo di conversione (o maturazione) da
un ambito all’altro è lungo e accidentato. Non solo perché poggia su
una mole di elementi psicopatologici e/o filosofici da approfondire,
ma soprattutto perché la mente non vola da una dimensione
all’altra. La persona depressa, anoressica, avrà bisogno di un lungo
iter per uscire dalla palude negativa in cui è sprofondata.
Il procedimento di transito da una situazione decisionale a una
comportamentale - in parte cognitivo, in massima parte di natura
espansiva, vegetale - spiega la cura maniacale che il potere esercita
sul palinsesto, nella selezione e amplificazione dei messaggi, nelle
campagne pubblicitarie; dal ricorso all’indottrinamento e alla propa-
ganda di massa.
156
Ciò spiega anche perché a scuola non basta insegnare ma occorre
una buona didattica.
E spiega l’approdo a certi localismi che, con sfoggio del verde ad
emblema e alla rozzezza d’ideali che ruotano intorno al più gretto
tornaconto, fondano nella divisione la loro ragione d’essere.
Il pensiero dominante affonda le radici nello stato vegetativo delle
coscienze. L’emulazione, nella rincorsa verso i bestseller e le ten-
denze in voga, genera mode malsane e pingui profitti - a vantaggio
dei furbi.
Dove l’incoerenza nuoce maggiormente
L’individuo si alza, mangia, studia, lavora, dorme. Tra veglia e sonno
vive momenti d’intesa attività cerebrale alternati a momenti
distensivi; la mente elabora in continuità pensieri ritmati dalla
routine e dalle sollecitazioni quotidiane, pensieri che talvolta pos-
sono essere creativi e di evasione; talvolta dentro il cervello di
ognuno, volente o nolente, riecheggiano come un mantra i pensieri
di altri.
Il tifoso che si mette ad aspettare in strada l’arrivo dei ciclisti,
oppure che sale sugli spalti a guardare il Gran Premio di Formula 1,
sa di avere una visione parziale della gara. E sa anche che seduto
comodamente in salotto avrebbe avuto modo di seguire l’intero
percorso, invece sceglie di assaporare il brivido di pochi attimi. Qui
ci sta il tuffo nell’incoerenza, che viene compensata da una intensa
esperienza emotiva.
Il problema nasce quando scocca l’ora delle decisioni importanti,
personali o d’impatto sociale, come l’esercizio del diritto-dovere di
votare e partecipare alla vita pubblica.
Nel comprare casa, focalizzarsi sull’aspetto marginale (colore delle
piastrelle, l’ordine o il disordine) a discapito del quadro comples-
157
sivo, può condurre a grossolani errori di valutazione. A volte un
particolare offusca il quadro d’insieme.
E’ nel campo politico e sociale che l’incoerenza manifesta gli effetti
più deleteri; diventa incapace di prevenire il degrado complessivo;
favorisce il malgoverno e la corruzione; condiziona il futuro.
Il pensiero vegetale si muove per vie periferiche, ripete slogan, fa da
cassa di risonanza, diventa portavoce dell’idea egemone e dei luoghi
comuni. Se dal fondo emerge un grido d’allarme isolato, questo
riceve scarsa attenzione; ma se tutti ne parlano, l’assunto è che ci
deve essere un fondamento di verità. Tuttavia la ricerca di una via
personale è poco perseguita. Poco praticato, quel minimo di inda-
gine diretta che consente di prendere decisioni a ragion veduta. Pre-
vale il disinteresse, la rinuncia a ordinare i valori per ordine e grado.
Spesso nell’acquisto l’optional diventa determinante.
Altrettanto avviene nella scelta di un candidato politico dove il
fascino e l’ultima barzelletta prendono il sopravvento sui contenuti.
Anzi, quanti s’indignano/vano perché il sistema di voto ci ha
sollevato persino dell’indecisione di dare o non dare una preferenza
all’interno di uno schieramento. Il cumulo delle cariche, la lottiz-
zazione dei posti sono la diretta conseguenza dell’atteggiamento
critico a 360 gradi, ma supino: impossibile distinguere tra destra e
sinistra; sono tutti uguali; non serve farsi carico di cambiare le cose;
il voto è un inutile rituale, un fastidio.
Che la posta in gioco sia enorme passa in secondo ordine. Quando
tutti gridano, emerge chi grida più forte. Si rinuncia persino a
cogliere il senso delle proporzioni. Conflitto d’interesse, lotta di
liberazione, sterminio, diventano presto concetti logori e vuoti.
Congiuntamente alle capacità dei singoli, i popoli attraversano
momenti di opacità intellettiva quando l’atteggiamento passivo
mette radici profonde, contagia vasti strati della società fino a
158
diventare un ginepraio inestricabile. Le buone idee vengono avvilup-
pate in un intrigo selvaggio. Le iniziative lungimiranti, soffocate nel
sottobosco d’interessi particolari, stentano a trovare la luce.
In economia, la moneta cattiva scaccia quella buona.
Nella società, dove ha attecchito il pensiero vegetale, le persone di
valore emigrano.
(*) (http://amicomeopatia.blogspot.com/)
(**) (http://www.indexmundi.com/it/italia/)
159
23. Nature, norture
Qual è l’essenza della natura umana, si può parlare di capacità
culturali innate? O per cultura deve intendersi solo la conoscenza
acquisita? Al confronto con altri esseri viventi, cos’è (o cosa contrad-
distingue) l’uomo? L’eredità genetica, le influenze ambientali, la
spinta all’emulazione, quella contraria volta alla diversità; l’imma-
ginario, il pensiero collettivo, la memoria collettiva; figura di rumi-
nante intruppato in un gregge di pecore; leone solitario; the self-
made man, l’io irripetibile.
Il libro La libertà di essere diversi, autore Lamberto Maffei, tratta di
tutto questo e dei traguardi raggiunti dalle nuove discipline che si
cimentano con i segreti della mente, le cosiddette neuroscienze.
Negli anni ’50 alcuni scienziati pubblicarono uno studio, What the
frog’s eye tells the frog’s brain, dove si rivelava che i neuroni visivi
della rana erano sensibili non solo alla luce, ma anche alla forma
dell’oggetto e al movimento. L’occhio della rana è in grado di coglie-
re movimenti impercettibili di insetti che si spostano nel raggio d’a-
zione di uno spazio grande come uno stagno. Altri animali, come
l’aquila, hanno un raggio d’azione ben più ampio; la capacità d’inter-
cettare ed elaborare i segnali visivi è diversa da una specie all’altra.
Galileo Galilei, nell’osservare la superficie lunare interpretò le
macchie scure con l’esistenza di monti e crateri. In disaccordo con
quei contemporanei (tale astronomo inglese Thoms Harriot) che
asserivano che fosse piatta. In altri termini fu come se il cervello di
Galileo, (amico dei pittori dell’epoca e conoscitore della profondità
e del chiaroscuro), avesse suggerito al suo occhio di osservare bene.
“La percezione visiva e... più in generale sensoriale, non è una
trasposizione passiva dell’informazione pervenuta al sensore... la
retina.” In altre parole al nostro cervello non arrivano immagini,
160
foto o diapositive, così come vengono impressionate da una foto-
camera. Inoltre “la cultura depositata nella corteccia cerebrale
aumenta i gradi di libertà nell’interpretazione del mondo reale...”
Il cervello è come un personaggio ermetico racchiuso in un castello
dalle robuste pareti, circondato d’acqua (liquido cefalo-rachidiano),
isolato dunque dall’esterno. Gli scienziati, per carpirne i segreti,
usano tutti i trucchi del mestiere: elettroencefalogramma (Eeg),
strumenti di imaging cerebrale, i cosiddetti brain scanner, la riso-
nanza magnetica. Con l’ausilio di analisi computerizzate delle imma-
gini si è arrivato a un “soddisfacente mappaggio delle funzioni cere-
brali in relazione a stimoli esterni o interni dell’individuo.”
Quando vediamo il viso di qualcuno, una casa o soltanto la immagi-
niamo, si nota un’attività accresciuta in una specifica area cerebrale.
Talvolta si presentano soggetti il cui cervello è imperfetto a causa di
traumi o malformazioni. In pazienti epilettici gravi furono divise le
connessioni nervose tra i due emisferi (split brains), allo scopo di
impedire che le scariche di impulsi nervosi, che provocano le crisi, si
irradiassero nella parte sana del cervello. Sulla base della prolungata
osservazione di questi pazienti lo scienziato Michael Gazzanica
giunse alla conclusione che il lobo sinistro (così diviso) fabbrica co-
munque una interpretazione, anche quando il soggetto compie azio-
ni suggerite soltanto al lobo destro.
“Il cervello cerca di trovare logica e significato anche a messaggi
che, senza raggiungere il lobo del linguaggio, arrivano al lobo destro
il quale, da solo, può innescare risposte comportamentali o emo-
tive.” Sempre secondo Gazzanica si nasconderebbe qui (nella fun-
zione di interprete) l’origine dei miti e delle credenze che si incon-
trano nelle collettività.
161
Un paziente affetto da sindrome neurologica neglet (eminegligente)
“mostra di ignorare, come se non esistesse, una parte del campo
visivo. Esempio: mangia il cibo di una sola metà del piatto, si rade
una metà del viso.”
Celebre il caso clinico trattato da Oliver Sacks, L’uomo che scambiò
sua moglie per un cappello.
Un angioma cerebrale aveva distrutto gran parte della corteccia
visiva di una signora, che era divenuta cieca a tutti gli effetti. Messa
di fronte a macchie luminose proiettate su di uno schermo,
dichiarava di non vederle, ma dietro insistenza del medico, indicava
in seguito con il dito la posizione delle stesse (in alto, in basso, ecc.).
In pratica era come se vedesse senza esserne cosciente. (Larry
Weiskrantz, Cambridge, Mass.)
Nel caso dell’arto fantasma il paziente avverte dolore all’estremità
di un arto amputato, come se lo avesse ancora.
Pierre Paul Broca (1824-80), dall’osservazione di pazienti afasici che
mostravano - oltre all’alterazione del linguaggio - lesioni del lobo
sinistro, arrivò alla conclusione che “nous parlons avec l’hemisphère
gauche.” Si ritiene che il linguaggio sia una funzione di pertinenza
del lobo sinistro, anche se le funzioni cerebrali non possono essere
considerate del tutto isolate. Ma “esistono segni indiretti che
indicano proprietà peculiari... al lobo sinistro, come il linguaggio, il
ragionamento matematico...”
Una peculiarità del cervello è che esso ha una intensa attività anche
durante il sonno. Anzi, “lo stato cosciente fa aumentare di pochis-
simo, uno scarso 5%, l’attività di base come a indicare che la co-
scienza è un vezzo cerebrale tardivo... anche se paranoicamente
grandiosa per il soggetto.”
162
Dal mondo reale riceviamo quindi dati parziali che passiamo a
interpretare. Caso frequente quello di pensare di riconoscere da
lontano qualcuno, tra una folla di persone, per poi scoprire di
essersi sbagliati. Il dramma del “testimone oculare,” vissuto in ogni
aula di tribunale, certifica quanto spesso la memoria umana si
dimostri fallibile; il convincimento “se lo vedessi lo riconoscerei” si
dimostra sovente una illusione che la vittima coltiva salvo poi
naufragare nell’incertezza quando arriva il momento di decidere di
designare un colpevole. (Il famoso “confronto all'americana,” ossia
l'allineamento del sospetto assieme a delle comparse, è una pratica
in via di abolizione in alcuni Stati degli USA, essendosi rilevata errata
in un caso su tre.)
Il peso del cervello, superiore o inferiore alla media (1365 grammi),
assume una rilevanza marginale in fatto di maggiore capacità
cognitive, essendo l’ordine di grandezza del numero di neuroni
stimato in centinaia di miliardi. Le connessioni che i neuroni vanno a
formare (sinapsi), creano cioè dei piccoli centri continuamente attivi
che regolano pensiero e azioni. E’ pressoché impossibile determi-
nare le differenze tra individui, salvo l’insorgere di patologie come il
morbo di Alzheimer.
L’apprendimento per associazione (Pavlov) è una delle principali
strategie che il cervello utilizza per imparare. Ed è anche un ponte
che ci mette in relazione con la realtà del mondo esterno. Ha le sue
“basi nel funzionamento dei neuroni, i quali, inviando impulsi ad
altri neuroni e questi a loro volta ad altri ancora o talvolta arrestan-
done il cammino, portano il messaggio a livello cosciente fino a
neuroni esecutori che provvedono a rispondere agli stimoli.” I
neuroni dopaminergici (reward neurons) manifestano un aumento
163
dell’attività in presenza di un premio. E viceversa, in caso di castigo,
segnalano una diminuzione.
Poiché le risposte all’ambiente possono scaturire da stimoli dei quali
non siamo del tutto coscienti, è plausibile dubitare di quanto
ognuno sia padrone del proprio comportamento.
Un luogo comune tende a paragonare le funzioni cerebrali a un
sofisticato computer. “I tempi biologici sono assai diversi da quelli
dei calcolatori, che possono mostrare, in certe funzioni... affinità
con le proprietà del sistema nervoso. L’ordine di grandezza dei
tempi dei calcolatori è il nanosecondo, mentre nel sistema nervoso
l’ordine di grandezza è il millisecondo.” In sintesi il sistema nervoso
è un milione di volte più lento.
Si è detto del cervello in continua attività, una specie di motore che
genera pensieri “casuali” in continuazione, il cosiddetto rumore
cerebrale. “Nel suo caos si affacciano molti pensieri finché uno è
selezionato e portato avanti.” In questo continuo fermento esistono
delle “funzioni ereditate” che sono di capitale importanza per la
sopravvivenza. I riflessi automatici (come ad esempio il riflesso di
ritrazione al dolore) sono complessi circuiti che “l’evoluzione ha
reso indipendenti dalla variabile apprendimento.”
La conoscenza, cioè la capacità di memorizzare e apprendere, è una
funzione essenziale della mente che risponde alle sollecitazioni
dell’ambiente adattandosi ad esso.
Gran parte delle sollecitazioni che riceviamo hanno origine dai
nostri simili. La legge della giungla assume nel contesto civile forme
di lotta e competizione diverse. La persuasione è una sofisticata
prevaricazione che si sostituisce allo scontro fisico. “Lo psicologo
Cialdini si sofferma su diverse tecniche di persuasione di provata
efficacia: reciprocità, coerenza, impegno, riprova sociale o
164
imitazione, autorità, simpatia, scarsità o timore di rimanere privi di
qualche cosa.” Queste poggiano su “ragioni emozionali e non pro-
priamente razionali” e sfociano in comportamenti dove l’individuo è
indotto suo malgrado, o all’acquisto di un prodotto, o “ad accettare
e sostenere un’idea o a fargli sborsare denaro.”
Ci sono innumerevoli trucchi in agguato. La parola perché è persua-
siva e sembra equivalere al pianto del bambino o al “cip cip dei
piccoli della tacchina per i quali lo stimolo diventa basilare al fine di
ricevere le cure materne.”
C’è da chiedersi come mai il cervello umano, così evoluto, continua
a servirsi di “risposte automatiche,” istintive. Secondo l’autore sussi-
stono “ragioni di ‘pigrizia’ e di ‘economia cerebrale’ in quanto l’indi-
viduo, in determinate situazioni, usa il cervello al di sotto delle sue
reali possibilità, quasi che fosse un uccello o un rettile.” Insomma
sarebbe in parte una questione di tempo e in parte l’impulso imme-
diato di prendere una decisione rapida, senza coinvolgere quelle
parti del sistema nervoso che generano emozioni. Ossia, “è un po’
come ritornare a risposte ancestrali per la normale sopravvivenza.”
Inoltre ci sono motivazioni di tipo ambientale che sono “frutto di
epifenomeni per i quali i prodotti del cervello si sono come evoluti
indipendentemente con velocità non biologiche molto alte: alludo in
particolare alle tecniche di trasmissione dell’informazione, alla
velocità negli spostamenti da un luogo a un altro e alle situazioni
che ne conseguono.”
Il nuovo ambiente (Internet & dintorni) elabora una enorme quan-
tità di informazioni in maniera continua e ossessiva. Bombardato di
informazioni, il cervello dà “la risposta più probabile che non è
necessariamente quella razionale.” Dalla sovrabbondanza e dalla
confusione nasce dunque il rifugio nella risposta istintiva. “Il cervello
del tacchino, per la semplicità della macchina, risponde agli stimoli
165
in maniera automatica, ma anche quello dell’uomo può adottare un
simile funzionamento tacchinesco quando, malgrado la complessità
della sua macchina cerebrale, si trova inadeguato per trattare l’ec-
cesso di informazioni che riceve.”
A far deragliare il funzionamento cerebrale, e di conseguenza i com-
portamenti, contribuiscono anche farmaci e droga. L’uomo biolo-
gicamente tende al piacere. Il quale altro non è che “un prodotto
del cervello,” e del quale se ne “conoscono abbastanza bene i
gruppi di neuroni interessati, le sostanze chimiche e perfino le aree
cerebrali più significativamente connesse con questo tipo di reazioni
cerebrali.” Negli ultimi decenni la ricerca ha sviluppato numerosi
farmaci che “mimano l’azione di trasmettitori attivi a livello
sinaptico.” Non mancano, purtroppo, “farmaci praticamente inutili”
o “addirittura dannosi,” tenuto conto degli effetti benefici e degli
effetti collaterali indesiderati.
La nascita della scrittura risale a 5-4000 anni fa. “Con essa nasce
anche la memoria non cerebrale, ovvero, per dirla con Borges, la
scrittura come protesi della memoria.” Il linguaggio orale ha trovato
nei segni e nelle immagini un supporto tecnico.
Durante il Medioevo e il Rinascimento i predicatori hanno utilizzato
“in maniera sistematica... il potere comunicativo delle immagini.”
Infatti le chiese sono ricche di statue, quadri e affreschi che trattano
i temi del Vecchio e del Nuovo Testamento, “una televisione ante
litteram come lingua per chi non sa leggere, la lingua dei semplici.”
Nell’era digitale i nuovi media non forniscono più soltanto un ausilio
alla nostra conoscenza o “un supporto” alla nostra elaborazione
mentale; sono diventati anche “mezzi di persuasione e strumenti di
potere.” Il mercato, la politica, “entrambe si servono della
televisione in cui la parola ha un ruolo ancillare,” relegando la
166
cultura a una funzione subordinata al potere economico e politico
dominante.
“Il neurofisiologo della visione non ne è sorpreso” perché sa che il
cervello dell’uomo, come quello di molti mammiferi, ha nella via
sensoriale visiva una via privilegiata.” Infatti più del 50% della
corteccia cerebrale è al servizio dell’informazione proveniente dagli
occhi. La vista, come l’udito, lavora a distanza, coglie quanto occorre
per la sopravvivenza, tanto per segnalare i pericoli della foresta,
quanto quelli della giungla moderna d’asfalto e cemento.
“Le sensazioni primarie, cioè legate alla riproduzione o alla soprav-
vivenza, non incontrano ostacoli per arrivare al cervello e in molti
casi esercitano il loro effetto a livello sottocorticale.” Il messaggio
visivo è diretto, essenziale e primitivo, come lo sono i compor-
tamenti dell’uomo destinati a soddisfare i bisogni primari, della
fame e della sete, nonché quelli riguardante la spinta biologica
verso la riproduzione e conservazione della specie. E’ per questo
che diventa più efficace rivolgersi ai sensi piuttosto che alla parte
razionale della mente.
“In un mondo di ratti o di cani in cui domina l’olfatto non ci sarebbe
nessuna lotta per impadronirsi dei canali televisivi. La lotta sarebbe
invece furiosa per il dominio di certe molecole odorose, piuttosto
che di altre.”
Il percorso involutivo, da homo sapiens a homo insipiens, passa
attraverso la ricezione passiva dei messaggi, nell’assenza di un
vaglio critico dell’informazione in un processo culturale pilotato
dall’alto. Sono in gioco lo smarrimento dei valori di riferimento, la
perdita del senso delle proporzioni, “il pericolo di essere senza
immunità anticorporali verso i messaggi falsi o manipolati.”
L’assorbimento passivo di quanto è diffuso dai moderni mezzi di
comunicazione “tende ad aumentare pericolosamente il cervello
167
collettivo” portandoci a mangiare la stessa minestra “sensoriale e
culturale.”
“La globalizzazione del pensiero diviene una sorta di neuro-potere.”
I potentati finanziari, ci avverte Maffei, coi loro mezzi di comunica-
zione persuasiva, non producono solo merci, ma anche noduli
nervosi, cioè idee che distribuiscono alla massa, ne risulta una rete
nervosa nuova, di dimensione globale, che regola la vita della
società.
Paradossalmente da un lato l’omologazione sembra implicare una
diminuzione del rumore cerebrale, ossia dei pensieri in libertà,
dall’altro induce a suggerire che la follia, dea ispiratrice della
creatività, possa rappresentare l’antidoto più sicuro contro il
pensiero collettivo.
168
24. Il labirinto della ragione
Più il mondo scientifico s’inoltra nello studio del cervello umano, più
intricato appare l’intreccio fra mente, comportamento e ambiente.
La complessità è un derivato dello sviluppo. L’avanzata di nuove
tecnologie impone un rapido adeguamento a pressanti esigenze
antiche e moderne. In un tale contesto, stratificato quanto
soverchiante di regole ataviche e comportamentali, periodicamente
spuntano dei seminatori d’incertezze.
Gerd Gigerenzer appartiene a questa schiera di saggi di lungo corso
che con riflessioni puntuali induce alla calma gli spiriti saccenti e sa
ricondurre ogni ragionamento nell’alveo del comune buon senso.
L’adattamento della mente umana all’ambiente è alla base della
relazione tra individuo e società. L’attenta osservazione dei
comportamenti porta a scoperte che qualche volta appaiono in
conflitto con quanto gli educatori ci hanno impartito e gli studiosi
vanno da sempre sostenendo. Pertanto lasciano a bocca aperta
affermazioni come “meno conoscenza è più“ o “dimenticare fa bene
alla mente”, oppure l’imbattersi nella prova documentata che una
conoscenza superficiale (in certi frangenti) può risultare più
redditizia, dagli investimenti azionari a un gioco di quiz a premi - per
quanto ciò possa sembrare sorprendente alla pura logica. Il fatto è
che la nostra intelligenza inconscia ci guida in molte più azioni della
nostra quotidianità di quanto si voglia ammettere. E spesso affidarsi
ad essa è un bene, anche se occorre comprendere e definire le
circostanze in cui è meglio avvalersi del talento innato, frutto del
processo evolutivo dell’essere umano, piuttosto che della laboriosa
valutazione analitica dei pro e dei contro.
169
La scuola, la società va ripetendo: “Rifletti… fai scelte ponderate…”
In realtà le svolte più incisive della vita scaturiscono da decisioni
improvvise, da impulsi viscerali. La scelta del cuore è spesso dettata
dal classico colpo di fulmine (e comunque vada a finire, non è detto
che una attenta valutazione conduca a risultati migliori). Qualcosa di
simile avviene all’inizio di una nuova amicizia o nell’incontro
provvidenziale di una persona che subito viene accettata
diventando nostro partner in affari - ubbidendo a una sorte di sesto
senso.
Come funziona il meccanismo dell’intuizione, e soprattutto quanto
ci si può fidare? Il processo evolutivo della natura, e dell’uomo in
particolare, hanno registrato nei nostri geni una miriade di
esperienze, da cui senza accorgercene attingiamo stimoli per far
fronte ai bisogni. L’imitazione, la crescita cumulativa e la cultura
aiutano a regolare i diversi passaggi della vita. Ma il groviglio
farraginoso della conoscenza può anche risultare di peso all’azione,
quando occorre prendere delle decisioni rapide, tanto in una sala di
pronto soccorso quanto nello svolgimento di un gioco. Le “regole
del pollice” (euristiche) inducono l’uomo a fare la scelta più
appropriata nel meno tempo possibile. Anzi, l’autore dimostra che
un’accurata riflessione, elaborata soppesando una enorme quantità
di dati, non solo non porta necessariamente a migliori risultati, ma
può risultare perfino dannosa. Gli eccessi nell’indagine diagnostica,
se da un lato mettono il medico al riparo da eventuali denunce,
dall’altro espongono il soggetto a una corvè, a volte fastidiosa, a
volte densa di potenziali rischi per effetti collaterali. I medici, si
chiede l’autore, si sottopongono a tutti quegli esami che
raccomandano ai pazienti?
I processi mentali implicano attività cerebrali differenziate in parti
del cervello diverse. Come vi regolate di fronte a dei funghi che non
170
conoscete, ad es. durante una passeggiata nei boschi? E in un noto
ristorante? Nel primo caso attiviamo la facoltà del riconoscimento,
pertanto ci asteniamo dal raccoglierli o dal portarli direttamente in
tavola. Nel secondo caso, confidando nella conoscenza del
ristoratore, siamo più propensi a mangiarli. Qui abbiamo fatto una
valutazione.
Sono molti a tenere in debito conto questa distinta attività neurale.
La pubblicità di rado ha una funzione informativa. E’ più frequente il
martellamento che induce al riconoscimento del marchio. Il che
porta il consumatore a recarsi a “fare la spesa con una marca in
testa.” La scorciatoia induttiva, che facilita il processo decisionale,
diventa critica quando entra in ballo il comportamento morale.
Specie in situazioni estreme, specie quando il potere fa leva sulla
fragilità umana. La percentuale dei donatori di organi varia, da
paese a paese, dal 5 al 99%! La differenza sostanziale non è dovuta
a particolari sensibilità civili o religiose tra le diverse popolazioni,
bensì all’impostazione. In tutte le nazioni è volontaria, ma per atti-
vazione esplicita dei singoli cittadini in alcuni paesi; in altri la legge
dispone che tutti sono donatori, salvo espresso rifiuto. La passività e
l’indolenza inducono le masse a rimanere nei ranghi.
Drammaticamente eloquente l’episodio della 2a guerra mondiale in
cui un battaglione di 500 poliziotti vengono ammassati ai piedi di un
villaggio ebreo ai confini della Polonia. L’ordine è di separare gli
uomini validi, da mandare ai campi di concentramento, dal resto
degli abitanti che saranno tutti trucidati. Tuttavia il comandante,
nell’esporre le disposizioni ricevute dalle alte gerarchie, invita chi
non se la sente di eseguire gli ordini a “uscire dalle fila.” Soltanto 12
fanno un passo avanti. Agli altri, l’uscita allo scoperto, il rompere le
fila era parso più deleterio del compimento di una strage di civili
inermi.
171
Una tesi del libro, peraltro solo accennata, è che il genere umano ha
un innato senso di altruismo. Ergo il dono dell’intuizione a cui
affidarsi con maggiore fiducia. Tuttavia, secondo chi scrive,
l’intuizione può essere altrettanto ingannevole, perché si muove in
ambiti assai simili ai binari fatto-percezione che portano a scali
periferici che vanno dalla elaborazione individuale, mediata da
innumerevoli fattori ambientali, alla pura manipolazione. Non
emergono sufficientemente il lato oscuro dell’intuito, il senso delle
proporzioni, nella mistura d’inganno propagata dai professionisti del
consenso, nel deficit morale che esiste in larghi strati della
popolazione mossi soltanto dall’avidità. Il male, con meno remore
del bene, arriva a segno con folgorante dinamismo.
E una volta tanto che un bambino, sfuggito a una strage d’innocenti,
ha sorpreso il mondo capovolgendo l’antica legge ereditata dai
padri “occhio per occhio dente per dente,” di lui si è subito
sussurrato che era figlio di Dio.
172
Conclusione
Costruzione a mattoncini
Il libro stampato potrebbe essere paragonabile (orrore!) alla tv, in
quanto anch’esso si propone come un vettore di conoscenza rigido.
Chiaro, qui si fa riferimento alla tv di prima generazione, quella - per
intenderci - senza telecomando né tantomeno quegli strumenti
ausiliari (gadget) che permettono di differire la visione e l’utilizzo
dei filmati in altri momenti. Fino alla diffusione di internet, guardare
una trasmissione tv era una imposizione passiva. A monte i
conduttori televisivi pianificavano gli spettacoli con intermezzi e
interruzioni pubblicitarie, a valle gli spettatori assistevano,
plaudivano o mostravano di non gradire, spegnendo il televisore o
cambiando canale. Poi sono apparsi i videoregistratori con le
cassette, e poi ancora è sopraggiunta la possibilità di programmare
la visione e l’ascolto, selezionando spezzoni di spettacoli, filmati
preferiti, in sintesi lo spettatore è stato messo in grado, non
soltanto di cambiare canale, ma anche di costruirsi a piacimento
una propria scaletta dei programmi.
Con il libro, la correzione dell’errore di stampa, la disposizione dei
capitoli e l’eventuale revisione del testo sono rese possibili solo
nelle successive ristampe. L’ebook invece è più duttile, si presta a
essere modificato, corretto e - impunemente - riproposto con
173
estrema facilità. Una prima osservazione quindi è che il libro
stampato sta a un ebook come la tv sta a internet.
Perché riproporre in un ebook dei testi già pubblicati? Che senso ha
disporli in un formato piuttosto che in un altro? Esistono metodi
nuovi di usufruire la conoscenza? Qual è l’approccio suggerito?
Gli alberi delle foreste svettano in alto in cerca di luce. La gara per la
sopravvivenza spinge tutti alla conquista del proprio spazio vitale.
Anche le buone idee, le riflessioni di grandi pensatori, i risultati
conclusivi di anni di ricerca necessitano di essere riaffermati. Da un
altro punto di vista noi stessi abbiamo bisogno di ritornarci su, di
acquisirne la sostanza. Travasarne i contenuti nel nostro bagaglio di
conoscenze. E il processo di memorizzazione ha i suoi meccanismi.
Nella tradizione della cultura orale veniva esercitato con l’ausilio
della filastrocca; i testi disposti in versi e in rime erano d’aiuto alla
memoria. Poeti e cantastorie così tramandavano ai posteri racconti
e gesta d’eroi. Con l’avvento della scrittura fatti e idee hanno
trovato appoggio prima in incisioni su materiali vari (tavolette di
cera, papiro, pergamene) e in seguito sulla carta stampata. La
disposizione logica degli argomenti nel formato-libro resta ancora
un requisito per la mente indispensabile. I concetti si fissano meglio
quando sono disposti in una successione consequenziale, ossia
quando c’è un contenitore e una trama o un filo ad unirli.
La conclusione tra l’altro conduce al nostro piccolo mondo
osservabile sia dalla testa che dall’estremità opposta, la coda.
Partiamo dal principio, comprovato, che le parole mentono e i
concetti che si aggrappano alle parole sono labili, e che ogni
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paradigma nasconde di sé aspetti cangianti. Pertanto si può
prestare fede a gran parte del bagaglio storico che ci viene
somministrato durante il nostro iter educativo? Oppure occorre fare
ricorso, appunto, alla fede?
In quanto alle ambasce della nostra vita quotidiana, che fondano le
loro basi nell’economia, nella politica e nel sociale, quanta parte di
fandonie concorrono a modellarle? Come districarsi da ondate
successive di assurdità che ci piovono addosso come informazioni?
Ecco, queste pagine vorrebbero riproporre alcuni elementi di un
puzzle che ad ogni momento potrebbe essere ricomposto, per
arrivare a una molteplicità di narrazioni (secondo il concetto
sociologico che non esistono fatti bensì narrazioni diverse). Che poi
formerebbero soltanto altre svariate e plausibili ipotesi di letture.
L’azione transitiva, che dal cervello arriva alla coda e viceversa, è
tutta da scoprire. Lo scombussolamento provocato dall’attrazione
sessuale, dalla passione amorosa, è capace di alterare le montagne -
o forse no, ma certamente sì - la coda di un pavone, e ben altro. La
fluorescenza delle lucciole è un richiamo sessuale. L’uccello vedova,
maschio, ha una coda piuttosto lunga. Anch’essa, similmente alla
coda del pavone, ha la funzione di attrarre le femmine. Ai fini della
riproduzione, innumerevoli fattori entrano in gioco assommando
vantaggi o svantaggi, dando luogo a un optimum bilanciato tra
selezione sessuale e selezione utilitaria (essendo la vulnerabilità nei
confronti dei predatori un aspetto determinante).
Sempre nel cervello risiedono i centri nervosi dell’occhio che tutto
percepisce, interpreta e poi trasforma a seconda di come vede i
diversi elementi del tutto.
Nelle riflessioni conclusive dunque vogliamo che l’osservazione
avvenga attraverso le lenti (anche) dell’evoluzione biologica e, più
avanti, del paradosso nel linguaggio e sentire comuni. Ricorriamo,
175
come prima chiave di lettura, ad alcuni passaggi de “L’orologiaio
cieco” di Richard Dawkins. E’ impressionante la carrellata di
argomentazioni che l’autore de “L’orologiaio cieco” mette in campo
a supporto delle sue tesi di biologo evolutivo. Ovvio, verrebbe da
dire, date certe premesse! (Il recensore di un precedente libro di
Richard Dawkins consigliava il lettore di “calzare le scarpette da
ginnastica mentale”.) Secondo Darwin la probabilità sarebbe solo un
aspetto secondario dell’evoluzione, l’elemento importante è la
selezione cumulativa. L’autore per dimostrarlo parte dalla
programmazione informatica. Smentendo lo stereotipo che
asserisce: dal computer ricavi quello che ci metti dentro, passa a
programmare una serie di “corpi” o “biomorfi” (figure simili ad
animali) allo stato primordiale, aggiungendo +1 o -1, simulando così
una crescita embrionale, che evolve nella “creazione” di nuove
figure simili ad insetti. (Il linguaggio binario è un sistema di
numerazione formato da 0 e 1 , che vengono moltiplicati per 2 e le
sue potenze).
Bene, ma come spiegare l’approdo a un organo così complesso
come un occhio? L’autore si sofferma ad analizzare la questione da
un punto di vista alternativo. I pipistrelli hanno il problema di
orientarsi al buio, per cacciare le loro prede, per non sbattere
contro gli ostacoli. Una possibile soluzione sarebbe produrre della
luce, che comunque richiederebbe un notevole dispendio di energia
(per le lucciole è un richiamo sessuale). Alcuni ciechi sviluppano una
“visione facciale”, cioè sembrano avvertire la presenza di ostacoli
davanti a loro. Pare piuttosto che, senza rendersene conto,
percepiscano con le orecchie degli echi o altri suoni. Ritornando ai
pipistrelli, non tutti sono uguali o sono ciechi. Quelli che vivono nel
buio totale delle grotte sono sommersi da una molteplicità di echi
prodotti dalle loro stesse grida, emesse ad onde sonore alte non
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udibili dall’uomo. I loro cervelli hanno probabilmente sviluppato una
specie di visione per immagini, a seconda della lunghezza di ritorno
dell’eco. Un procedimento simile al sonar, ideato e costruito con il
medesimo principio.
Il cervello comanda, la coda scodinzola, o avviene il contrario? Nel
caso di un essere umano non abbiamo la visibilità della coda che si
dimena, ma abbiamo manifestazioni del temperamento. E
l’atteggiamento caratteriale non è forse, come la coda, una maniera
per manifestare l’altalena degli stati d’animo di ciascun individuo? Il
soggetto in questione è il “comico tribuno”, famoso e unico nel suo
genere, così definito da Roberto Caracci nel suo libro “Il ruggito del
Grillo”. Cervello è il titolo di uno spettacolo di Beppe Grillo del 1997.
Lo spettacolo non è ancora cominciato, il pubblico sta ancora
prendendo posto, ed ecco Grillo farsi largo tra le fila della platea con
la criniera arruffata e l’irruenza di un “cavallo pazzo”.
Alle banche, alla pubblica amministrazione, viene chiesta maggiore
chiarezza. Ti rispondono con un’overdose di pagine contenenti dati
e informazioni che non sappiamo come gestire. Siamo talmente
subissati di informazioni che non si riesce a distinguere se le cose
accadono perché sono scritte o sono scritte perché sono accadute.
Quando si scopre che con il petrolio si può fare il nailon, come fanno
largo nel mercato al nuovo prodotto? Fanno passare il messaggio
che la canapa è una droga. Con la canapa si facevano le corde, la
carta pregiata, si possono curare malattie... Hanno messo fuori
legge una pianta: la canapa. Usano le parole per ingannare. I nazisti
non usavano la parola lager, i campi di concentramento erano
definiti case della gioventù. Il cervello non ci serve più, se non
riusciamo più a distinguere cosa è vero e cosa è falso. La realtà non
esiste, percepiamo la realtà come un mondo alla rovescia. Ci si
stupisce del mostro pedofilo, ma poi si scopre che negli USA i
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bambini maneggiano le armi come fossero giocattoli. Tanto che per
entrare a scuola devono passare attraverso il metal detector. Ci
governa l’assurdità. L’Europa Unita paga gli agricoltori per non
produrre. Infatti importiamo prodotti agricoli dai paesi
extraeuropei. Dove manca l’acqua, le multinazionali convincono le
mamme a non allattare al seno e a dare ai bambini il latte in polvere
diluito in acqua - ovviamente - non potabile. Nei regimi moderni
non c’è più la necessità di bruciare i libri, basta invogliare ad
accendere la tv e far passare la voglia di leggere. Ma siamo sani di
mente? Nell’era della comunicazione di massa, dei cellulari sempre
connessi, dei media che in tempo reale trasmettono tutto quello
che succede da una parte all’altra del mondo, ci scopriamo incapaci
di decifrare un estratto conto bancario, o piuttosto la legge
finanziaria. Tocca al comico, trasformarsi in professore di economia
e spiegare alla gente cosa si cela nel labirinto delle leggi, o ai guru
dell’informazione? C’è in tutto questo marasma un paradossale
rovesciamento di ruoli, di linguaggio, di comune sentire. Nello
stravolgimento dei luoghi comuni la realtà viene ad essere
modificata.
Negli anni ’80 Negroponte aveva la visione di un foglio di giornale
(elettronico) che raccogliesse gli articoli di suo interesse che trovava
disseminati in una decina di quotidiani differenti (da sfogliare per
leggere qui la terza pagina di cultura generale, là l’intervento
scientifico, ecc. ). Oggi più che mai rischiamo di affogare in un
oceano di stimoli, notizie, fatti e misfatti. Tutti abbiamo bisogno di
riemergere dal mare magnum, di estrapolare alcuni concetti, per poi
poterli elaborare, a tempo debito.
178
La conoscenza utile, alla nostra formazione e a quella delle persone
che ci circondano, galleggia assieme a una quantità di detriti
inimmaginabile solo una ventina d’anni fa. Siamo tutti protesi alla
ricerca di nuovi punti di riferimento: nell’inquinamento globale
diventa difficile persino il riconoscimento del faro che ci indica
l’approdo. Siamo volenti o nolenti diventati novelli Negroponte (del
secolo XXI) bisognosi di comprimere tempo e conoscenza.
Il labirinto della ragione si presenta come un saggio composto da un
insieme di tasselli (indagini in rete, letture, riflessioni e
approfondimenti su testi per lo più recenti) che vanno a formare un
mosaico. Le frontiere della conoscenza, che si dilatano in
continuazione, trovano un denominatore comune nei progressi
conseguiti nell’esplorazione del cervello. L’occhio della mente ci
racconta storia, economia, politica attraverso noduli nervosi che si
trasformano in continuazione e si traducono in comportamenti
collettivi. Spiegare l’economia, la politica senza un riferimento al
nostro modo di ragionare diventa un esercizio incompleto. Siamo
noi artefici delle nostre scelte e tendenze? O è l’ambiente a
condizionare la nostra mente? Quanta autonomia abbiamo nel
nostro serbatoio?
Il presente ebook nel suo insieme pone domande più che fornire
risposte. I capitoli potevano avere una coesione maggiore?
Certamente sì, ma il mosaico è anche una specie di costruzione
Lego. Non si è voluto di proposito usare la colla nel sistemare i
diversi mattoncini sulla base predisposta. Ciò consente a ognuno di
rimodulare a sua volta il prodotto finito, togliendo o aggiungendo
altri tasselli, per infondergli un proprio carattere. Fino a creare
quindi un nuovo ebook (o libro) personalizzato, una costruzione a
mattoncini appunto, una concezione del libro non so quanto nuova,
ma decisamente non comunemente diffusa, che vorrebbe mettere il
179
lettore in condizione di poter aggiungere, trasformare, ridefinire e
riproporre un suo messaggio, una sua visione personale.
L’obiettivo è la condivisione della propria conoscenza con le persone
vicine, per trasmettere lo spirito di gruppo, sociale, aziendale o
familiare che sia, per il consolidamento di un terreno comune che è
anche conquista culturale e civile.
Maggio, 2013
180
Antonio Fiorella
Il labirinto della ragione
a mio figlio
181
Bibliografia
Aldo Giannuli, Come funzionano i servizi segreti, Ponte alle Grazie,
Milano
Alfredo Reichlin, Il midollo del leone (riflessioni sulla crisi della
politica), Editori Laterza
Antonio Costato, Round Trip, (http://www.antoniocostato.it/round-
trip/) ebook
David Icke, io sono Me Stesso, io sono Libero, Macro Edizioni,
Diegaro di Cesena (FC)
Edgardo Cozarinsky, Ultimo incontro a Dresda, Guanda
Emilio Michelone, Il mito di Cristoforo Colombo, Varani Editore,
Milano
Federico Rampini, Alla mia Sinistra, Mondadori
Gerd Gigerenzer, Decisioni intuitive, Raffaello Cortina Editore,
Milano
Giovanni Floris, Separati in patria, Feltrinelli
Jim Powell, Per fare la frittata, Einaudi
Lamberto Maffei, La libertà di essere diversi, il Mulino
Mario Groppo e Maria Clara Locatelli, Mente e cultura, Raffaele
Cortina Editore
Martìn Caparròs, Non è un cambio di stagione (Un iperviaggio
nell’apocalisse climatica), Edizioni ambiente, Milano
Michele Ciliberto, La democrazia dispotica, Editori Laterza
Nicholas Carr, Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando
il nostro cervello, Raffaele Cortina Editore
Nicoletta Cavazza, Comunicazione e persuasione, il Mulino
Osho, Lo sguardo fuori dagli schemi, Bompiani
Paul Krugman, Fuori da questa crisi, adesso! Garzanti
182
Pino Aprile, Terroni, Edizioni Piemme
Richard Dawkins, L’orologiaio cieco, Mondadori
Roberto Caracci, Il ruggito del Grillo, Moretti e Vitali
Serge Latouche, Per un’abbondanza frugale, Bollati Boringhieri
Sergio Cesaratto e Massimo Pivetti, Oltre l’austerità, MicroMega
(http://temi.repubblica.it/micromega-online/oltre-lausterita-un-
ebook-gratuito-per-capire-la-crisi/)
Sheldom Wolin, Democrazia Spa, Fazi Editore
Stewart Brand, Media Lab, Baskerville
Vance Packard, I persuasori occulti, il Saggiatore Spa, Milano
183
Antonio FiorellaAntonio FiorellaAntonio FiorellaAntonio Fiorella
Il labirinto della ragioneIl labirinto della ragioneIl labirinto della ragioneIl labirinto della ragione
Oggi più che mai rischiamo di affogare in un oceano di stimoli,
notizie, fatti e misfatti. Tutti abbiamo bisogno di riemergere dal
mare magnum, di estrapolare alcuni concetti, per poi poterli
elaborare, a tempo debito.
La conoscenza utile, alla nostra formazione e a quella delle persone
che ci circondano, galleggia assieme a una quantità di detriti
inimmaginabile solo una ventina d’anni fa. Siamo tutti protesi alla
ricerca di nuovi punti di riferimento: nell’inquinamento globale
diventa difficile persino il riconoscimento del faro che ci indica
l’approdo...
Obiettivo la condivisione della propria conoscenza con le persone
vicine, per trasmettere lo spirito di gruppo, sociale, aziendale o
familiare che sia, per il consolidamento di un terreno comune che è
anche conquista civile.
“Stiamo tornando a una dominanza dell’orecchio e della visione
non-alfabetica, e le giovani generazioni sono un’avanguardia di
questa migrazione a ritroso. Il passaggio dalla dominanza
dell’orecchio a quella dell’occhio, conseguente alla nascita della
scrittura, era apparso un progresso definitivo, e ora invece si mostra
solo come una delle fasi di un pendolo.”
Raffaele Simone (Presi nella rete)
Pro.www.ediPro.www.ediPro.www.ediPro.www.edi