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P. MARIANO CORDOVANI O. P.

BREVIARIO SPIRITUALE

SECONDO

L’ “IMITAZIONE DI CRISTO”

La seconda edizione del libro non trova il P. Cordovani in vita. Una morte repentina ma non da lui imprevista, lo fulminava il 5 aprile 1950. Aveva 67 anni. Filosofo e teologo ebbe soprattutto un animo di apostolo. Mosso da intima profonda passione di apostolato, nella filosofia e nella teologia cercò le questioni più vitali e attuali; svolse una grande attività specie tra gli universitari e gli intellettuali. Sempre sentì e cercò di far sentire la scienza come sapienza di vita e la vita come coerenza alla verità. L’ Imitazione di Cristo era diventato specie negli ultimi anni il suo libro preferito. Le diverse edizioni possedute sono piene di sottolineature, di annotazioni, di referenze e riscontri. Ne gustava e cercava di farne gustare la verità e la bellezza, la profonda sapienza cristiana. Con questo intento pubblicò il presente Breviario. Tutte le modificazioni e tutte le aggiunte che si trovano in questa edizione, sono sue. Quanti conobbero e amarono il P. Cordovani, troveranno in queste pagine i sentimenti che accompagnarono fino all’ultimo il suo nobile animo. La morte lo sorprese con l’Imitazione sul tavolo.

p. R. B.

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PREFAZIONE

Questo libro dovrebbe intitolarsi così: Ore di raccoglimento in Dio con l’autore dell’Imitazione di Cristo, perché veramente è questo anonimo e grande mistico che parla e dirige, mentre io non ci metto che un certo ordinamento interno alle sue riflessioni, con qualche commento piuttosto libero. Ma quel titolo diventava troppo lungo, non diceva con chiarezza lo spirito e la perenne novità di questa esercitazione spirituale, e perciò mi sono preso l’innocente libertà di cambiarlo in quello del frontespizio, che ha il merito dell’agilità e della chiarezza. Non dovrebbe essere interessante passare qualche giorno in solitudine con l’autore della imitazione?

1. Ogni persona intelligente e di buona volontà comprende quanto sia vero ciò che sempre e concordemente si è detto, che questo è un libro buono per tutti gli uomini, per tutte le condizioni, per tutte le ore della vita. (O. Tescari).

2. Credo di non aver fatto opera vana raccogliendo vari capitoli dell’Imitazione sotto un titolo comune, e disponendoli in serie come soggetti di riflessione e di meditazione per giorni di raccoglimento e di rinnovamento. Senza far torto a nessuno, sembra che, dopo la Sacra Scrittura, questo sia il libro più bello di spiritualità.

3. Questo libro sta a dimostrare che nella scienza e nell’arte c’è una verità e una bellezza che non tramontano mai per nessuno; e quando hanno trovato una espressione perfetta, quella resta nei secoli contro tutti gli evoluzionismi e i soggettivismi. Di più, questo è un libro che rinnova la gente davvero; e chi non vuole rinnovarsi, lo butta via, come fa lo scemo che non comprende l’oro che ha nelle mani.

4. Le mie note non sono un commento ai capitoli riportati, ma osservazioni e applicazioni alla vita nostra individuale e sociale, richiami di dottrine e di fatti nel senso di fare avvertire al lettore come attuali e vive siano quelle parole.

5. Ho usato la traduzione di Mons. Masini di Firenze (che è proprietà letteraria della Casa Editrice Salani, la quale ce ne ha cortesemente permessa la riproduzione solo per il presente lavoro). Ci sono in Italia altre belle traduzioni come quella del Guasti, del prof. Tescari, di padre Lugano, ecc. ma abbiamo preferito questa del Masini per le ragioni, che lasciamo al lettore di interpretare.

6. Bisogna essere grati e voler bene a questo scrittore anonimo, che parla di cose spirituali con una interiorità di penetrazione, con una freschezza lirica che fa proprio contrasto ai molti, che ci presentano la sapienza divina come un formulario che sa di pelle vecchia e strappata.

7. Ho sottolineato nel testo dell’autore alcuni versetti, che mi sono sembrati più memorabili, più ricchi di pratica saggezza e di sapienza sovrana. Ma nel libro dell’Imitazione tutto deve essere sottolineato, cioè tutto trascritto e inciso nell’animo intelligente ed amante. Soltanto così avviene quel rinnovamento che s. Paolo descrive agli Efesini (IV, 23) ed ai Corinti (IV, 16).

Dedico questo mio libro ai giovani che lavorano nei quadri dell’Azione Cattolica secondo lo spirito e la parola programmatica dei Sommi Pontefici Pio XI, Pio XIL. Ai giovani sacerdoti dovunque siano chiamati ad esercitare il loro sacerdozio, col rinnovamento di quanti li avvicinano. Impareranno da questo libro che la loro vera e unica gloria è di essere, degni sacerdoti. Lo dedico a quanti hanno bisogno di rinnovarsi nell’animo, con una di quelle grazie che sono di resurrezione, a tutti i pellegrini dell’Anno Santo, che verranno a Roma per ricevere il perdono di tutte le pene dovute ai peccati!

p. M. C.

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INTRODUZIONE

L’AMORE ALLA SOLITUDINE E AL SILENZIO

1. Cerca il tempo adatto per attendere a te stesso, e ripensa sovente ai benefizi ricevuti da Dio. Lascia stare le curiosità, e leggi attentamente tali materie che ti procurino piuttosto compunzione che occupazione. Se eviterai i discorsi superflui e l’ozioso girellare, come pure l’ascoltar le novità e le chiacchiere, troverai tempo bastante e adatto per intrattenerti in devote meditazioni. I più grandi Santi fuggivano per quanto potevano le umane compagnie, e preferivano, invece, di servire a Dio in solitudine. 2. Disse un tale: Ogni volta che fui in mezzo agli uomini, ne ritornai meno uomo (Seneca, Epist. 7). Di questo facciamo molto spesso esperienza dopo aver conversato a lungo, poiché è più facile tacere del tutto che rimanere nei limiti parlando. È più facile star ritirati in casa, che fuori sapersi riguardare quanto basta. Perciò chi intende di raggiungere la vita interiore e spirituale, bisogna che con Gesù si allontani dalla folla. Nessuno può mostrarsi con sicurezza se non colui che volentieri si nasconde. Nessuno può con sicurezza parlare se non colui che volentieri tace. Nessuno può sicuramente sovrastare se non colui che sa volentieri sottostare Nessuno può comandare con sicurezza se non colui che imparo a bene obbedire Nessuno può con sicurezza rallegrarsi se non colui che ha in se il testimonio d’una buona coscienza 3. Se non che la sicurezza dei Santi fu ognora piena del timore di Dio. E quantunque brillassero per grandezza di virtù e di grazia, non per questo furon meno timorosi ed umili m se medesimi Invece la sicurezza dei cattivi nasce da superbia e da presunzione, e alla fine si converte in loro proprio inganno. Guarda di non riprometterti mai sicurezza in questa vita, per quanto tu sembri un buon cenobita o un pio eremita. 4. Spesso i migliori nell’estimazione degli uomini furon proprio quelli che corsero maggior pericolo, appunto per la loro soverchia confidenza in se medesimi. Onde per molti è più utile non andare affatto esenti da tentazioni ma esserne sovente assaliti, affinché non si credano troppo sicuri e non avvenga loro di montare in superbia, e inoltre perché non si abbandonino senza più freno alle consolazioni esteriori. Se uno giammai cercasse le fugaci allegrezze, se non s’immischiasse mai delle cose del mondo, ah, come pura serberebbe la sua coscienza! Se recidesse via da sé ogni vana preoccupazione, e solamente nutrisse pensieri salutari e divini, e collocasse in Dio tutta la sua speranza, ah, che grande pace e quiete egli godrebbe! 5. Nessuno è degno di celeste consolazione fuor di colui che si è prima diligentemente esercitato nella santa compunzione. Se questa compunzione vuoi sentirla fino al cuore, entra nella tua stanza e chiudi la porta ai rumori del mondo, siccome sta scritto: “Compungetevi sui vostri giacigli” (Salmo 4). In cella troverai quello che fuori troppo spesso perderesti. La cella frequentata si fa dolce, e mal custodita ingenera noia. Se al principio della tua conversione l’avrai bene abitata e bene custodita, dopo ti sarà un’amica diletta e il più gradito conforto.

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6. Nel silenzio e nella quiete fa progressi l’anima devota e v’impara i reconditi sensi delle Scritture. Quivi essa trova quei fiumi di lacrime con cui ogni notte lavarsi e rendersi monda per così entrare nell’intimità del suo Creatore, e tanto maggiormente quanto più si tiene lontana dallo strepito del mondo. Chi pertanto si sottrae ai conoscenti ed agli amici, a lui s’avvicinerà Iddio con gli Angeli santi. Meglio è star ritirati e aver cura di sé che far miracoli trascurando se stessi. È cosa lodevole per un religioso andar fuori di rado, evitare di esser visto e non avere neppur voglia di vedere la gente. 7. Che t’importa di vedere ciò che non ti è permesso di avere? Passa il mondo, e la sua concupiscenza con lui (S. Giov. II, 19). I desideri dei sensi ci tirano ad andare a zonzo; ma quando quell’ora sarà trascorsa, che cosa ne riporterai se non aggravio di coscienza e dissipazione di cuore? Sovente un’allegra uscita genera un triste ritorno, e un’allegra veglia notturna produce un mattino triste. Così ogni gioia della carne s’insinua dolcemente, ma alla fine rimorde ed ammazza. 8. Che puoi tu vedere altrove, che tu non veda anche qui? Ecco il cielo e la terra e tutti gli elementi; ora, son questi che compongono tutte quante le cose. Che puoi tu vedere in alcun luogo, che possa durare lungamente sotto il sole? Forse t’immagini di poterti saziare, ma non vi potrai riuscire. Se pure ti vedessi dinanzi tutte quante le cose, che altro ciò sarebbe se non una vana visione? Leva gli occhi Dio nel più alto dei cieli, e prega per i tuoi peccati e per le tue negligenze. Lascia le vanità alla gente vana: tu invece attendi alle cose che Iddio t’ha comandate. Chiudi dietro a te la tua porta, e chiama a te Gesù il tuo diletto. Sta’ con Lui nella tua cella, poiché non troveresti altrove pace sì grande. Se tu non ne fossi uscito e non mai avessi dato ascolto ai rumori del mondo, meglio saresti rimasto nella beata pace; ma poiché ti diletta d’udire talvolta le novità, t’è necessario soffrirne turbamento di cuore (lib. I, cap. 20).

PIE PRATICHE DEL CRISTIANO E DEL BUON RELIGIOSO

1. La vita d’un buon religioso dev’essere adorna di ogni virtù, cosicché egli tale sia nell’interno quale apparisce agli uomini esternamente. Anzi, a dir giusto, bisogna ch’ei sia, dentro, più e meglio di quanto lascia scorgere al di fuori perché lì chi ci osserva è Dio, al quale dobbiamo somma reverenza in qualunque luogo ci si trovi e al cui cospetto dobbiamo camminare puri come gli Angeli. Dobbiamo poi rinnovare il nostro proponimento ogni giorno, ed eccitarci al fervore, come se proprio allora avessimo iniziato la nostra conversione, e intanto dire cosi: “Assistimi, o Signore Iddio, nel mio buon proposito e nel tuo santo servizio, e fà che cominci bene oggi, perché quanto ho fatto sinora non vale proprio nulla. 2. Dal proposito dipende il cammino del nostro spirituale profitto, e a chi vuol profittare sul serio occorre in questo una gran diligenza. Che se pure colui il quale fa fermi propositi tante volte poi vi vien meno, che sarà di uno che o non li fa quasi mai o non li fa così risoluti? Se non che, vari sono i modi con cui avviene che si abbandonino i propositi fatti; e anche una leggera omissione riguardo alle pie pratiche è difficile avvenga senza scapito per lo spirito. Le anime giuste, più che sulla propria saviezza, appoggiano le loro risoluzioni sulla grazia di Dio, nel quale parimente ripongono ognora la fiducia della riuscita di quanto imprendono a fare. Ciò perché l’uomo propone ma Dio dispone, e non è in potere dell’uomo la sua via.

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3. Se talvolta per un’opera di misericordia o nell’intento di fare cosa utile ai fratelli si omette qualcuno dei consueti esercizi, vi si potrà agevolmente riparare dopo. Ma se invece la si tralascia con troppa facilità per noia o per negligenza, allora c’è più o meno colpa e ne risentiremo danno; per quanto, pure sforzandoci a tutto potere, in molte cose mancheremo sempre almeno leggermente. Ciò nonostante, sempre dovremmo proporci qualcosa di determinato, e principalmente contro le cose che ci sono di maggiore ostacolo. E dobbiamo del pari esaminare e disporre tanto l’esterno quanto l’interno di noi stessi, poiché e l’uno e l’altro giovano al profitto spirituale. 4. Se non riesci a star raccolto continuamente, cerca almeno di farlo di tanto in tanto, e se non altro una volta al giorno, cioè la mattina ovvero la sera. La mattina fa’ i propositi, e la sera esamina la tua condotta: come nella giornata ti sei portato nei discorsi, nelle opere e nei pensieri, poiché può darsi che in ciò tu abbia offeso anche più volte Iddio e il prossimo. Mettiti in guardia da prode contro le malizie del demonio; raffrena la gola, e più facile ti sarà frenare ogni altra inclinazione della carne. Non stare mai del tutto in ozio, ma leggi o scrivi o prega o medita o lavora a qualche cosa d’utile per la comunità. Però, quanto alle mortificazioni del corpo, elle son da farsi con discrezione e non son da imprendersi egualmente da tutti. 5. Le pratiche le quali non son comuni anche agli altri, non si debbono fare in pubblico, poiché gli esercizi privati è più sicuro farli in segreto. Bada però di non esser pigro agli atti comuni e più pronto a quelli particolari; ma adempiuti integralmente e fedelmente gli atti doverosi e comandati, se t’avanza ancora tempo, applicati pure a te stesso al modo che la tua devozione ti suggerisce. Non tutti possono esercitare le medesime pratiche, ma a chi serve meglio una, a chi un’altra. Similmente, secondo la diversità dei tempi, soglion piacere ed essere più adatti esercizi diversi: così, alcuni si gustano di più nei giorni di festa, altri nei giorni feriali. Di certuni abbisognamo nel tempo della tentazione; di cert’altri in tempo di pace e tranquillità di spirito. A certi argomenti ci piace di pensare quando siamo tristi a cert’altri quando siamo allegri nel Signore. 6. Verso il tempo delle principali solennità, occorre ravvivare le pratiche pie ed implorare con più fervore l’intercessione dei Santi. Da una festa all’altra dobbiamo figurarci come se frattanto dovessimo emigrare da questo mondo e giungere alla festa dell’eternità. Appunto perciò nei tempi sacri dovremmo prepararci con più diligenza e vivere con più devozione, e più strettamente osservare ogni regola, quasi che in breve fossimo per ricevere da Dio il premio della nostra fatica. 7. Che se tal premio ci venisse differito, riteniamoci di non esservi preparati abbastanza bene e di non essere ancora degni di quella grande gloria «che dovrà manifestarsi in noi» al tempo preordinato; onde studiamoci di prepararci meglio a uscire di questa vita Beato quel servo, dice l’evangelista Luca che, quando verrà il padrone, sarà trovato a vegliare. In verità io vi dico ch’Egli lo metterà a capo di tutti i suoi beni. (lib. I, cap. 19)

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ESEMPIO DE’ SANTI PADRI 1. Considera gli splendidi esempi de’ Santi Padri, nei quali rifulse la vera perfezione religiosa; e vedrai quanto poco e quasi nulla sia quello che facciamo noi. Ahimè, che cos’è la nostra vita, se la si confronta con la loro? Santi com’erano ed amici di Cristo, servirono il Signore in fame e sete, in freddo e nudità, in fatica e stanchezza, in veglie e digiuni, in preghiere e sante meditazioni, in persecuzioni e obbrobri innumerevoli. 2. Oh, quante e come gravi le tribolazioni che soffersero gli Apostoli, i Martiri, i Confessori, le Vergini e tutti gli altri che vollero calcare le orme di Cristo! Invero essi ebbero in odio le proprie anime in questo mondo, per possederle nella vita eterna. Oh, la vita di rigore e di rinunzia che i Santi Padri condussero nei loro eremitaggi, le lunghe e gravi tentazioni da essi sostenute, le frequenti persecuzioni patite da parte del nemico, le assidue e fervorose orazioni da essi innalzate a Dio, le severe astinenze ch’essi praticarono, lo zelo e il fervore ch’essi ebbero per il loro spirituale profitto, le strenue battaglie ingaggiate per domare le passioni, la pura e retta intenzione ch’essi tennero costantemente rivolta a Dio! Durante il giorno lavoravano, e le notti le passavano in diuturna orazione, quantunque nemmeno lavorando cessassero dal pregare mentalmente. 3. Spendevano utilmente tutto il loro tempo, ogni ora che dedicavano a Dio sembrava loro troppo breve, e per la grande dolcezza della contemplazione essi perfino dimenticavano il bisogno di ristorarsi corporalmente. Rinunziavano ad ogni ricchezza, alle dignità, agli onori, agli amici e ai parenti; niuna cosa del mondo bramavano di possedere, appena prendevano quanto è indispensabile per vivere, e pur nella necessità dispiaceva loro di servire al corpo. Pertanto erano poveri delle cose terrene, ma grandemente ricchi di grazia e di virtù. Al di fuori stentavano, ma dentro li ristorava la grazia e la consolazione divina. 4. Erano stranieri al mondo ma vicinissimi a Dio e suoi intimi amici. A loro sembrava d’essere un nulla, e agli occhi di questo mondo apparivano spregevoli; ma preziosi e cari erano agli occhi di Dio. Si mantenevano in verace umiltà, vivevano in semplice obbedienza, camminavano nella pazienza e nella carità; e così ogni giorno progredivano nello spirito e ottenevano grande grazia presso Dio. Perciò son proposti come esempio a tutti i religiosi, e più essi debbono stimolarci a progredire nel bene che non la moltitudine dei tiepidi ad abbandonarci ai rilassamento. 5. Ah, com’era vivo il fervore di tutti i religiosi al principio della loro santa istituzione! Quanta devozione nella preghiera, quale gara nell’esercizio della virtù, che rigorosa disciplina regnava in mezzo ad essi! E che rispetto, che obbedienza, sotto la regola del maestro, fioriva in tutti quanti! Le tracce che ne rimangono attestano anche oggi la verace santità e perfezione di quegli uomini, i quali da strenui combattenti riuscirono a mettersi il mondo sotto i piedi. Ora invece uno è stimato gran cosa se non ha trasgredito la legge e se ha saputo sopportar con pazienza il peso che egli medesimo s’è imposto. 6. Oh, tiepidezza e trascuranza del nostro stato, per cui sì presto decadiamo dal fervore primitivo, e perfino ci viene a noia la vita per un senso di stanchezza e di languore! Voglia il Cielo che in te, che pur molto spesso vedesti tanti esempi di persone devote, il profitto nelle virtù non si addormenti del tutto! (lib. I, cap. 18).

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SOLITUDINE Non è attraente per se stessa, ma può aiutarci ad esaminare meglio la nostra vita per parlare col Signore, per dare un tono più serio e più santo alla nostra condotta. È pericoloso fissare l’occhio della mente verso il nostro io, se, dopo aver esplorato la nostra povertà, non lo solleviamo subito in alto per invocare la misericordia di Dio, l’effusione delle sue grazie, la luce del suo amore, l’attrazione della sua bellezza, la dolcezza, della sua presenza. Il movimento naturale e divino dell’animo non è egocentrico, quasi tolemaico, ma teocentrico, verso Dio. Lo sentiamo come un bisogno del cuore prima ancora di raggiungerlo con la speculazione. Il verso di’ Michelangelo - ogni ben senza te, Signor, mi manca - è la sintesi di un itinerario che portiamo nel cuore, tutti. Andiamo un giorno al deserto per parlare di Dio con qualche eremita che scenda dal Monte Sinai coi segni visibili del suo colloquio con Lui; per parlare con Dio nella preghiera e nella sofferenza di un desiderio cocente che niente vale ad appagare; per sentire la voce e il tocco misterioso di Dio nel silenzio delle cose, per rinnovarci. Renovamini spiritu mentis vestrae, et induite novum hominem, qui secundum Deum creatus est in iustitia et sanctitate veritatis (Ephes. IV, 23) Nemo sapiens, Nemo fidelis, Nemo maior nisi Christianus. (Tertulliano, De Praescriptione, 3) Bene qui latuit, bene vixit. (Ovidio, L. III Tristium, Carme 4, verso 25)

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PRIMO GIORNO

1 – IL PECCATO 1. In tutte le tue cose considera la fine, e come starai davanti al severo Giudice, cui niente è occulto, che non si placa coi doni né ammette scuse, ma giudicherà secondo giustizia. O infelicissimo e insensato peccatore! Che cosa risponderai a Dio il quale conosce tutte le tue malvagità, tu che adesso hai paura del volto sdegnato d’un uomo? Perché non provvedi a te stesso per il giorno del Giudizio, quando nessuno potrà essere scolpato o difeso da un altro, ma ciascuno sarà bastante peso a se Stesso? Ora la tua fatica è fruttuosa, il pianto accettevole, esaudibile il gemito, e il dolore satisfattorio e purificante. 2. Ha pure il suo grande e salutifero purgatorio l’uomo paziente che, ingiuriato, più s’addolora dell’altrui cattiveria che della ingiuria da lui patita, egli che volentieri prega per i suoi avversari, di cuore perdona le offese ricevute e non indugia a chiedere perdono agli altri di quelle arrecate da lui, che è più facile alla compassione che all’ira, si ‘fa spesso violenza e si sforza di assoggettare compiutamente la carne allo spirito. È meglio espiare ora i peccati e recidere i vizi che aspettare ad espiarli nella vita futura. Invece, con quest’amore disordinato che portiamo alla nostra carne, in fondo inganniamo noi stessi. 3. Ora che altro divoreranno quelle fiamme se non i tuoi peccati? Quanto più adesso ti usi riguardo e vai dietro alla tua carne, tanto più dura ne sconterai la pena, e tanta più roba da bruciare ora vai ammucchiando. In quelle cose in cui l’uomo ha peccato, in esse verrà più gravemente punito. Laggiù gli accidiosi saranno stimolati da pungoli ardenti e i golosi saranno tormentati da grandissima sete e fame. Laggiù i lussuriosi e gli amanti dei piaceri saranno spruzzati di pece infocata e di fetido zolfo; e gl’invidiosi urleranno dal dolore come cani arrabbiati. Non ci sarà vizio che non avrà il suo proprio tormento. Là i superbi saranno ricolmi d’ogni confusione e gli avari oppressi dalla più sordida miseria. Là un’ora sola di pena sarà più atroce che qui cent’anni di asprissima penitenza. Là nessun riposo, nessuna consolazione per i dannati, mentre qui almeno di tanto in tanto uno ha tregua dalle fatiche e gode i conforti degli amici. Abbi ora pensiero e dolore dei tuoi peccati, affinché nel giorno del Giudizio tu possa startene sicuro in compagnia, dei Santi. Perocché allora i giusti staranno con grande fierezza in faccia a coloro che li angustiarono e li oppressero. Allora si alzerà a far da giudice colui che adesso umilmente sottostà ai giudizi degli uomini. Allora il povero ed umile avrà grande fidanza, e il superbo paura dovunque si volga. 4. Allora si vedrà come savio in questo mondo fu colui che seppe essere stolto e spregevole per amore di Cristo. Allora farà piacere ogni tribolazione pazientemente sopportata, e «ogni scelleraggine terrà chiusa la sua bocca». Allora si rallegrerà ogni devoto, e si rattristerà l’uomo irreligioso. Allora esulterà la carne martoriata più che se fosse stata sempre nutrita nelle delizie. Allora l’abito rozzo risplenderà, e la veste smagliante si farà tenebrosa. Allora si loderà più il povero tugurio che il palazzo dorato. Allora più gioverà la costante pazienza che tutta la potenza del mondo. Allora più verrà esaltata la semplice obbedienza che tutta la mondana furbizia.

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5. Allora ci darà più allegrezza la pura e buona coscienza che la dotta filosofia. Allora più peso avrà il dispregio delle ricchezze che tutti i tesori dei figli della terra. Allora più ti consolerà l’aver devotamente pregato che l’aver mangiato squisitamente. Allora godrai piuttosto d’aver serbato il silenzio che d’aver fatto lunghe conversazioni. Allora varranno di più le opere sante che le molte e belle parole. Allora più ti compiacerai per la vita austera e le rigorose penitenze da te fatte che per ogni piacere terreno goduto. Sappi ora patire le piccole pene per poter essere allora liberato da pene più gravi. Fa’ qui la prova di ciò che potresti soffrire di là. Se ora è così poco quel che sei capace di tollerare come potrai soffrire i supplizi eterni? Se adesso un lieve patimento ti rende così impaziente, che ti farebbe allora il fuoco d’inferno? Bada che in verità non puoi possedere le due gioie: dilettarti qui ne1 mondo, e poi regnare con Cristo. 6. Se fino ad oggi tu fossi sempre vissuto in mezzo agli onori e ai piaceri, che ti avrebbe giovato tutto ciò, qualora ti toccasse a morire in questo medesimo istante? Tutto dunque è vanità, fuorché amare Iddio e servire a Lui solo. Infatti chi ama Dio con tutto il cuore, non ha paura né della morte né dei tormenti né del Giudizio né dell’inferno, poiché l’amore perfetto apre il sicuro accesso a Dio. Invece, chi trova ancora gusto a peccare, non fa meraviglia se teme la morte e il Giudizio. Ad ogni modo è bene che, se non è ancora l’amore a ritrarti dal male, almeno ti trattenga il timore dell’inferno. Chi però si getta dietro le spalle anche il timore di Dio, non potrà durare a lungo nel bene, ma incapperà assai presto nei lacci del diavolo. (lib. I, cap. 24)

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PENSIERI SUL PECCA TO Questa densa considerazione sul peccato si presta a tre riflessioni principali: 1) La Prima è sulla natura del peccato, che include un elemento di ignoranza parziale e di malizia predominante. Il peccato è abuso di libertà rivolta all’imperativo morale della ragione, sconcerto dell’anima, offesa di Dio. La linea storta è sempre quella: vedere il bene e seguire il male! Un elemento di ignoranza c’è sempre, ma parziale in modo che non autorizza l’azione, non giustifica la direzione; e ciò che prevale è la stortura dell’agire contro ragione e contro Dio. Il criminale è sempre un pratico negatore di Dio, un uomo ragionevole che sottomette il lecito al libito, che porta scritto in fronte il disordine dell’anima. Caino, Giuda, Chilone Chilonide, si riconoscono facilmente fra tutti come traditori ed assassini. Qui non è permesso minimizzare; il peccato offende la creazione, nega Dio, mette in pericolo l’esistenza del mondo. Il primo peccato spopolò il Paradiso, il secondo cambia il corso delle vicende umane ed opera la serie infinita delle sventure sulla terra. 2) La seconda riflessione è quella delle sanzioni che accompagnano il peccato. Lo sconcerto prodotto dalla colpa punisce il colpevole. In ogni delitto c’è una sanzione immanente, in quanto il reo si priva dell’ordine che era condizione di vita e di felicità, si priva di Dio che peccando ha negato, si crea l’inferno con le sue mani. Un inferno che sinistramente mette a soqquadro l’anima che ha prevaricato, scorona di ogni nobiltà la fronte dell’uomo che, peccando, si imbestia; e culmina nella dannazione, se la morte gli toglie le possibilità della resurrezione. Anche socialmente coi nostri peccati riduciamo la vita ad un groviglio insopportabile, e delle stesse scienze come dei progressi tecnici ci facciamo un inciampo e un trabocchetto di morte. O migliorarsi moralmente, o perire fisicamente. 3) La terza riflessione è quella della giustificazione. L’uomo che ha peccato è un’ suicida morale, che non può darsi più la vita, da se stesso. E’ più facile far risorgere un morto, che giustificare un peccatore; infatti per creare gli uomini basta il fiat della onnipotenza di Dio, per far risorgere i morti bastò la parola di Gesù; per giustificare i peccatori ci volle la passione e la morte del Salvatore. Per fare un apostolo, da un persecutore (come S. Paolo) per restituire la grazia santificatrice ad una peccatrice (come la Maddalena) per la resurrezione dell’anima dalla morte del peccato è necessario il sangue del Salvatore. L’amore è esigente e la perfezione dice grandezza. Dio è necessariamente buono e perfetto, non può essere bonario. La redenzione ci fa capire la creazione, la morte ci fa comprendere il valore della vita. Bisogna ricordare e meditare per tutta l’eternità la frase di san Paolo: Gesù è risorto per la nostra giustificazione. (Ai Rom, IV, 25) 4) L’inferno è il peccato abbandonato a se stesso, il paradiso è la virtù coronata col Donatore di tutte le grazie. Un bagliore d’inferno è sulla faccia di ogni Giuda, un colore di paradiso affiora nel volto del giusto che la grazia e la sofferenza divinizzano. Anche la vita presente diventa un inferno quando prevalgono i vizi capitali; ed acquista lineamenti di paradiso quando l’amore fiorisce in tutte le virtù. Il peccatore è sempre pericoloso; il giusto è sempre un benefattore. Non ci illudiamo: il peccato mette sulla via dell’inferno e la virtù lavora, sulla terra, i cittadini del cielo.

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2 – LA MORTE 1. Ben presto per te sarà finita quaggiù: or vedi che, invece, tu ti diporti come se ciò non fosse: eppure, oggi l’uomo c’è, e domani è sparito. Quando poi si è levato di davanti agli occhi, fa presto a uscire anche dalla mente. Oh, ottusità e durezza del cuore umano, che bada soltanto alle cose presenti e non spinge l’occhio innanzi a quelle future! In ogni atto in ogni pensiero tu dovresti diportarti come se oggi tu dovessi morire. Se tu avessi la coscienza tranquilla, non temeresti troppo la morte. Meglio è guardarsi dal peccato che pensare a sfuggire la morte. Se non vi sei preparato oggi, come lo sarai domani? Pensa che il domani è incerto; e che sai tu se per te ci sarà un domani? 2. Che serve vivere a lungo, una volta che ci emendiamo così poco? Ahimé, non sempre una lunga vita è quella che emenda: spesso anzi accresce la colpa. Volesse il cielo che fossimo riusciti a viver bene in questo mondo anche un giorno solo! Molti contano gli anni di religione ma spesso poco è il frutto dell’emenda. Se pauroso è morire, forse sarebbe maggiormente pericoloso vivere più a lungo. Felice l’uomo che ha sempre davanti agli occhi l’ora della sua morte, e che ogni giorno si prepara a morire! Se qualche volta hai visto un altro morire, pensa che anche tu dovrai andare per la medesima via. 3. Se è mattina, fa’ conto di non dover giungere alla sera. Venuta poi la sera, non osare di riprometterti un domattina. Perciò sii ognora preparato, e vivi in maniera che giammai la morte ti trovi impreparato. Molti muoiono a un tratto in modo imprevisto: perocché il Figlio dell’Uomo verrà nell’ora che meno si crede. Quando sarà venuta quell’ultima ora, comincerai a giudicare ben altrimenti intorno a tutta la tua vita trascorsa, e molto ti dorrai d’essere stato così negligente e rilassato. 4. Com’è felice e previdente colui che si sforza d’esser tale ora in vita, quale vorrebbe trovarsi in punto di morte! Perocché allora a morire contento gli daranno gran fiducia il perfetto disprezzo ch’egli avrà avuto del mondo, il fervente desiderio che ebbe di progredire nelle varie virtù, l’amore alla disciplina, il travaglio della penitenza, la prontezza nell’obbedire, l’abnegazione di se stesso e il sopportamento di qualsiasi contrarietà per amore di Cristo. Finché sei sano puoi fare molte opere buone; ma non so che cosa potrai fare una volta ammalato. Pochi son quelli che con l’infermità si fanno migliori come di rado si fa santo chi va troppo pellegrinando. Non confidare negli amici e nei parenti, né rimettere la tua salvezza all’avvenire, poiché gli uomini si scorderanno di te più presto di quello che credi. Meglio è provvedere adesso per tempo e mandare innanzi un po’ di bene, che sperare dopo nel soccorso degli altri. Se non sei premuroso di te stesso ora, chi vuoi che sia premuroso di te nel futuro? Adesso è il tempo grandemente prezioso. Ora sono i giorni della salvezza; ora è il tempo accettevole. Ma te infelice, che non spendi più utilmente questo tempo che t’è dato e in cui potresti meritare onde vivere in eterno! Verrà il momento che tu bramerai un giorno solo e perfino un’ora sola per emendarti; e chi sa se l’otterrai.

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6. Suvvia, carissimo, pensa da quanti pericoli ti potrai liberare, da che grande paura ti potrai sottrarre, se ora tu cerchi di stare sempre in timore e sospetto della morte. Studiati adesso di vivere in modo che nell’ora dèlla morte tu abbia motivo piuttosto di gioire che di temere. Impara adesso a morire al mondo per cominciare allora a vivere con Cristo. Impara adesso a disprezzare le cose tutte, per poter allora andare liberamente incontro a Cristo. Castiga adesso il tuo corpo con la penitenza, affinché allora tu possa avere una balda confidenza. 7. Ahi! Stolto, perché t’immagini di dover vivere a lungo, mentre non sei sicuro nemmeno d’un giorno? Quanti vi rimasero delusi e vennero inaspettatamente strappati dal corpo! Quante volte avrai sentito dire che il tale era morto di spada, il tal altro annegato, uno s’era fiaccato il collo cadendo dell’alto, un altro era rimasto lì stecchito mentre era a tavola, un altro ancora era spirato mentre giocava! C’è chi è perito tra le fiamme, chi ucciso da un’arma, chi dalla peste, chi assassinato; sicché fine comune è la morte, e la vita umana trapassa via rapida come un’ombra. 8. Chi si ricorderà di te dopo morto? Chi pregherà per te? Dunque, o carissimo, tutto quello che puoi fare, fallo ora, fallo subito; perché non sai quando morirai, e neppure sai che cosa ti succederà dopo la morte. Finché hai tempo, accumulati ricchezze immortali. Non pensare ad altro che alla salvezza dell’anima, e non ti curare che delle cose di Dio Fatti ora degli amici col venerare i Santi di Dio e con l’imitarne le opere, affinché, quando ti partirai da questa vita, essi ti accolgano negli eterni padiglioni. 9. Mantieniti qui in terra come un pellegrino e come un ospite cui gli affari del mondo non riguardano per nulla. Mantieni il tuo cuore libero e teso in alto verso Iddio, poiché non hai quaggiù stabile cittadinanza. Lassù innalza ogni giorno fra le lacrime le tue orazioni e i tuoi gemiti, affinché il tuo spirito sia degno dopo morte di andarsene felice al Signore. Così sia! (lib. I, cap. 23) Se tu pensassi più di frequente alla tua morte che alla possibilità di una lunga vita, non c’è dubbio che metteresti più fervore nell’emendarti. (Imitaz. I, 21, 22).

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IL MISTERO DELLA MORTE

1. In queste parole dell’Imitazione c’è più saggezza che in molti volumi che girano per il mondo senza migliorare gli uomini. Questo della morte è il problema più grave della vita, e se la morte non insegna a vivere, non impareremo mai niente da nessun maestro.

2. Di fronte allo spettacolo della morte, la tentazione che ci assale è che quello sia il tramonto di ogni cosa, e che oltre la morte non ci sia nulla perché non vediamo nulla! Questa tentazione porta al materialismo della vita, al gaudentismo degli sciocchi. Ma come si può rimanere scettici di fronte alla spiritualità e, per conseguenza, all’immortalità dell’anima? Chi può negare, razionalmente, la risurrezione di N. S. Gesù Cristo che sta alla base di tutto il Cristianesimo, che trionfa di tutte le sofistiche di tutti i tempi? Bisogna leggere il cap. 15 della prima Lettera di san Paolo ai Corinti contro quelli che negavano la risurrezione dei morti, e che rappresentano i materialisti di ogni tempo. Dobbiamo meditare di più sul fatto della risurrezione di Gesù e su questa pagina di san Paolo. Chi può negare i rapimenti di san Paolo, fuori del corpo; il rapimento di santa Caterina da Siena? Il beato Raimondo da Capua, suo confessore, suo agiografo, descrive quella morte, con le prove più lampanti, i miracoli che l’accompagnarono; poi il ritorno alla vita con la narrazione di santa Caterina sotto la pressione del dovere di coscienza. Si può non essere facili a credere le rivelazioni private ma come si può non credere a quelle rivelazioni dove c’è un fatto da tutti controllato, la testimonianza di santi come quelli, e i documenti come la vita scritta dal beato Raimondo? Vediamo il corpo esanime, non possiamo vedere l’anima separata.

3. Ma perché si muore? Ecco una questione bella e difficile! Va bene che il corpo sia corruttibile, ma perché l’anima non lo mantiene perennemente giovane? La filosofia che non sa rispondere a tale questione, è una filosofia fallita; la religione che non sa perché si muore non potrebbe dirci perché si vive; l’uomo che non si mette in tono con la spiegazione di questo problema, rinunzia ad essere ragionevole. Si muore perché ci siamo ribellati alla sorgente della vita e la creazione si rivolta contro i ribelli! La morte è conseguenza del peccato; e si vince per le stesse vie per le quali si vince il peccato. Spiritualmente si risorge con la penitenza e la confessione; fisicamente si risorge con la redenzione consumata. Di qui gli orizzonti della Redenzione e della speranza. La morte impegna la santificazione per la gloria. Dobbiamo meditare la morte e guardarla nella luce della resurrezione. Se nemmeno lo spettacolo della morte, che è conseguenza del peccato, ci allontana dalle offese di Dio, che cosa sarebbe di noi se la morte non ci fosse con le sue tremende lezioni? «La memoria della morte toglie l’impazienza nelle tribolazioni, e la disordinata letizia nelle consolazioni». (S. Caterina da Siena, Lett. 14, ediz. Tom. III, p. 5).

4. Due segni di predestinazione. Li prendo da santa Caterina, che li ebbe per rivelazione particolare. Il primo si trova nel Dialogo della Provvidenza, cap. 139, nel quale si dice che: «per riverenza del Verbo la bontà divina ha dato alla Vergine questo privilegio che qualunque giusto o peccatore che l’abbia in debita riverenza, non sarà tolto né divorato dal demonio infernale». Si afferma così la missione salvatrice concessa da Dio alla Vergine. La seconda è presa dalla Lettera 202, nella quale il Signore afferma che non lascerà impunite le offese che si fanno alla Chiesa, ma aggiunge solennemente che «non vedrà morte eternale chi con riverenza presta servizio alla Chiesa». La fedeltà alla Chiesa e l’amore alla Vergine sono segni di predestinazione, e coronano di pace e di gaudio la meditazione sulla morte. Siamo tutti condannati a morte, ma siamo anche tutti candidati al Paradiso, che conseguiremo con la grazia di Dio. Non dobbiamo dimenticare che Gesù Cristo morì per i nostri peccati e risuscitò per la nostra giustificazione (S. Paolo, Ai Rom IV, 25), siamo i discepoli del Risorto, destinati a risorgere per l’eternità.

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3 – VITA NUOVA

MISERIA DELLA VITA 1. Dovunque ti trovi, dovunque ti volga, tu sei un infelice se non ti rivolgi a Dio. Perché ti turbi se le cose non vanno come tu vuoi e desideri? Chi c’è che abbia tutto secondo il suo volere? Certo, non io, né tu né alcun uomo sopra la terra. Non v’è nessuno senza tribolazioni od angustie, sia anche Re o Papa. Chi, è che sta meglio? Senza dubbio, chi sa patire qualcosa per amore di Dio. 2. Vi son tanti infermi e deboli i quali dicono: Vedi che bella vita fa costui, com’è ricco, com’è grande, com’è potente e altolocato! Se non che, tu considera i beni celesti, e vedrai che tutti codesti beni temporali non valgon niente, ma sono molto incerti, anzi gravosi perché non si posseggono mai senza preoccupazione e timore. La felicita dell’uomo non consiste nel possedere abbondanza di beni temporali, mentre anche il poco gli basta. Veramente è miseria vivere quaggiù sulla terra. Quanto più un uomo vorrà essere spirituale, tanto più gli si fa amara la vita presente, poiché allora meglio sperimenta e più chiaro esso vede le deficienze della corrotta natura umana. Difatti, mangiare, bere, vegliare, dormire, riposare, faticare e sottostare alle altre necessita naturali, ciò è veramente una grande miseria e afflizione per l’uomo devoto, che ne farebbe volentieri a meno per essere così libero da qualunque peccato. 3. Invero, per l’uomo di vita interiore sono un grave peso le necessità corporali cui deve soggiacere in questo mondo. Perciò il Profeta piamente pregava di esserne liberato, dicendo: «Cavami, o Signore, dalle mie necessità». Ma guai a coloro che non riconoscono la propria miseria, e guai ancor più a quelli che amano questa misera e corruttibile vita! Poiché vi son certuni i quali, benché a fatica lavorando o mendicando riescano ad avere il puro necessario, si attaccano tanto alla vita che, se potessero sempre vivere quaggiù, non si curerebbero affatto del regno di Dio. 4. O pazzi e infedeli di cuore, che giacciono così immersi in ciò ch’è terreno da non gustare se non le cose della carne! Ma miseri ben s’accorgeranno alla fine, e con loro gran dolore, quanto ignobile e nulla fosse ciò ch’essi amarono tanto. Invece i Santi di Dio e tutti i devoti amici di Cristo non attesero a ciò che piaceva ai sensi o a quanto fioriva nel tempo di questa vita; ma ogni loro speranza e ogni loro intenzione anelava ai beni eterni. Tutto il loro desiderio si spingeva in alto verso le cose durature e invisibili, per téma d’esser tratti dall’amore delle cose visibili giù nelle bassure. Non perdere, o fratello, la fiducia di far profitto nelle cose dello spirito: sei sempre in tempo e non è passata l’ora. 5. Perché vuoi rimandare, dall’oggi al domani quanto ti sei proposto di fare? Levati e comincia nell’istante e di’: Ora è il tempo di agire, ora è il tempo di combattere, ora è il tempo adatto per emendarmi. Quando ti senti male e sei tribolato, allora è il tempo di ben meritare. Ti occorre passare attraverso il fuoco e l’acqua prima di giungere al luogo del riposo. Se non ti farai violenza, non vincerai la cattiva abitudine. Fintanto che portiamo attorno questo fragile corpo, non possiamo andar esenti dal peccato, e nemmeno vivere senza tedio e dolore.

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Ci piacerebbe la quiete da ogni molestia; ma poiché per il peccato perdemmo l’innocenza, così abbiamo anche smarrito la vera felicità. Perciò bisogna intanto aver pazienza ed aspettare la misericordia di Dio, «fino a che passi questo tempo di miseria» e «ciò ch’è mortale sia assorbito dalla vita». 6. Oh, quanta è l’umana fragilità, ognora inclinata al male! Oggi confessi i tuoi peccati, e domani commetti di nuovo quelli, che confessasti il giorno prima. Adesso ti proponi di guardartene, e un’ora dopo agisci come se tu non ne avessi fatto mai il proposito. Abbiamo quindi ben ragione di umiliarci e di, non far giammai molta stima di noi medesimi dal momento che siamo così fragili e incostanti. Più ancora, si può perdere in un attimo per nostra negligenza quel po’ di bene che dopo grandi sforzi finalmente si era acquistato per divina grazia. 7. Or che sarà di noi da ultimo, se così di buon’ora diventiamo tiepidi? Guai a noi se in tal modo vogliamo adagiarci nel riposo, come se già fosse il tempo della pace e della sicurezza, mentre ancora nella nostra maniera di vita non appare nemmeno l’ombra della vera santità. Certo che avremmo bisogno, come docili novizi, d’essere ancora ammaestrati di nuovo nei virtuosi costumi, per vedere se per caso ci fosse qualche speranza d’un po’ di emenda e d’un maggior profitto spirituale per l’avvenire. (lib. I, cap. 22)

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EMENDAMENTO DELLA VITA 1. Sii vigilante e diligente nel servizio di Dio e chiediti spesso: A qual fine sei venuto qui? e perché hai lasciato il secolo? Non forse col fine di vivere per Iddio e diventare uomo di vero spirito? E dunque attendi con fervore a far profitto, perché tra breve riceverai la mercede delle tue fatiche; e allora non vi sarà più né timore né dolore in quella tua dimora. Ora faticherai un poco, ma dopo ti aspetta un lungo riposo, anzi un’eterna letizia. Se ti serberai fedele e fervoroso nell’agire senza dubbio Iddio ti sarà fedele e generoso nel retribuire. Certo, devi nutrire la buona speranza di giungere alla palma; ma bisogna che tu non ne concepisca la piena sicurezza, affinché non ti prenda il torpore o l’orgoglio. 2. Un tale che viveva in ansia continua e spesso ondeggiava fra il timore e la speranza una volta, vinto dalla tristezza, mentre stava pregando in una chiesa prostrato davanti a un altare, rivolgeva tra sé quei dubbi e diceva: Oh, se sapessi di certo che sarò tuttavia perseverante! E subito udì internamente questa divina risposta: E se tu lo sapessi, che vorresti fare? Ebbene, fa’ ora ciò che vorresti fare allora, e sarai pienamente sicuro. E tosto, consolato e confortato, si rimise alla volontà di Dio, e quell’ansioso ondeggiamento cessò. Pertanto egli non volle più curiosamente investigare per sapere quale sarebbe stato il suo avvenire; ma piuttosto si adoperò a cercare quale fosse la gradevole e perfetta volontà di Dio per poter iniziare e condurre a termine ogni opera buona. 3. Confida nel Signore, ed opera il bene, dice il Profeta ed abita nella terra, e ti pascerai delle sue ricchezze. Una cosa che distoglie tanti dal profitto spirituale e dal fervoroso emendamento è la paura della difficoltà o la fatica della lotta. Difatti, quei che progrediscono assai più degli altri nelle virtù, sono appunto coloro i quali più virilmente si sforzano di vincere gli ostacoli che son loro più gravi e più avversi. Perocché là dove l’uomo vince di più se medesimo e si mortifica nello spirito, quivi egli maggiormente progredisce e merita più abbondante grazia. 4. E’ vero che non tutti hanno da vincersi o da morire a se stessi in eguale misura. Però, uno con lo zelo diligente, anco se ha più passioni da domare, riesce a far maggiori progressi d’un altro, il quale sia d’indole buona ma non così fervoroso per le virtù. Due cose massimamente giovano a una totale emendazione, e sono, il sottrarsi con violenza a ciò cui ne inclina la viziata natura, e l’insistere con fervore per il conseguimento di quel bene di cui uno ha più bisogno. Studiati inoltre di evitare e vincere in te stesso maggiormente quei difetti che più spesso ti dispiacciono negli altri. 5. Prendi d’ogni dove occasione al tuo profitto, talché, se vedi o ascolti de’ buoni esempi, tu t’infiammi ad imitarli. Se invece avrai notato alcuna cosa degna di riprensione, guarda di non far tu lo stesso; o se una volta l’hai fatto, cerca di emendartene quanto prima. Come il tuo occhio osserva gli altri, così viceversa gli altri osservano te. Oh, com’è giocondo e soave il vedere de’ fratelli fervorosi e devoti, ben costumati e osservanti della disciplina! Invece, com’è triste e penoso vederne altri che camminano in maniera disordinata e non praticano le virtù cui furono chiamati! Quanto è dannoso trascurare il fine della propria vocazione e volgere la mente a cose che non ci furono commesse!

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6. Ricordati del proponimento che già facesti e mettiti davanti l’immagine del Crocifisso. Ben ti puoi vergognare quando consideri la vita di Gesù Cristo, poiché non ti sei ancora studiato di conformarti meglio a Lui, quantunque da un pezzo tu sia entrato nella via del Signore. Il religioso che attento e devoto medita la santissima vita e la Passione del Signore, qui troverà a dovizia tutto quanto gli è utile e necessario, né avrà bisogno di cercare qualcosa di meglio fuori di Gesù. Ah, se venisse nel nostro cuore Gesù crocifisso, come presto e bene diverremmo dotti! 7. Il fervente religioso sopporta e accetta volentieri tutti gli ordini che gli vengono dati. Invece un religioso negligente e tiepido ha tribolazioni su tribolazioni e soffre angustie da ogni parte, perché gli mancano le consolazioni interiori e gli è vietato di cercare quelle esteriori. Il religioso che vive fuori della disciplina si espone a grande rovina. Quello che cerca il vivere largo e rilassato si troverà ognora allo stretto, perché vi sarà sempre una cosa o l’altra che gli farà dispiacere. 8. Come fanno tanti altri religiosi che vivono così rigorosamente sotto la disciplina del chiostro? Essi escono di rado, vivono ritirati, mangiano poverissimamente, vestono panni grossolani, lavorano molto, parlano poco, vegliano assai, si alzano a buon’ora, pregano a lungo, leggono spesso e stanno in ogni cosa alla Regola. Guarda i Certosini, i Cisterciensi e i monaci e le monache di vari ordini religiosi, come si levano ogni notte per salmeggiare al Signore. Quindi sarebbe vergogna che tu dovessi mostrarti pigro in un’opera così santa, allora che sì grande moltitudine di religiosi comincia a cantare inni di giubilo al Signore. 9. Ah, se tu non avessi altro compito che lodare con tutto il cuore e con la bocca il Signore Iddio nostro! Ah, se tu non avessi mai bisogno di mangiare né di bere né di dormire, ma potessi continuamente lodare Iddio e attendere solo a occupazioni spirituali! Tu, certo, allora saresti molto più felice di adesso che per tante necessità devi servire al corpo. Bella cosa se queste necessità non ci fossero, ma ci fossero solo quelle refezioni spirituali che ora purtroppo assaggiamo così raramente! 10. Quando un uomo é arrivato al punto che non cerca più consolazione in alcuna cosa creata, allora per la prima volta egli comincia a gustare perfettamente Iddio; ed allora altresì ei sarà contento di qualunque cosa accada. Allora egli né si rallegrerà del molto né si rattristerà del poco, ma si rimetterà interamente e fiduciosamente a Dio, che è per lui tutto in tutto, e per il quale niente perisce o muore, ma cui tutte le cose vivono, e al cui cenno tutte prontamente obbediscono. 11. Ricordati sempre della fine, e che il tempo perduto non ritorna. Senza premura e diligenza non acquisterai mai le virtù. Se cominci ad esser tiepido, comincerai a star male. Invece, se ti dai al fervore, troverai una gran pace e sentirai resa più leggera la fatica per la grazia di Dio e l’amore alla virtù. L’uomo fervoroso e diligente è preparato a tutto. È fatica più grande resistere ai vizi e alle passioni che sudare nei faticosi lavori materiali. Chi non schiva i piccoli difetti, a poco a poco cade in quelli più grandi. Avrai sempre da rallegrarti la sera, se speso la giornata con frutto. Veglia su di te, scuotiti, sgridati e checché sia degli altri non trascurare te stesso. Tanto farai profitto, quanto ti sarai fatto violenza. Cosi sia. (lib. I, cap. 25)

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VITA NUOVA

1. Chi prende sul serio la vita cristiana, scrive coi fatti ogni giorno, sul quadrante della sua storia: incipit vita nova: incomincia una vita nuova. O che si incontri un uomo di Dio che porta nell’atteggiamento l’impressione di una misteriosa potenza; o che ci punga il desiderio di salire ad un Cenobio, ad una Certosa, ad un Eremo dove ci venga incontro un contemplativo che abbia parlato con Dio e poco con se stesso; o ci investa la sete e la gloria di ubbidire a Dio in contrasto alla boria di comandare agli uomini; è sempre il passaggio di un angelo invisibile che incide in fondo all’anima con caratteri misteriosi: incipit vita nova. 2. Tre cose sono preziose e fascinanti per tutti: la giovinezza, la bellezza, la bontà. La giovinezza non ce la possiamo dare, non la possiamo fermare, niente può farla rifiorire. Non si legge mai che fra i miracoli autentici della storia ci sia stato quello di un vecchio ritornato giovane; resuscitati, sì; ma ringiovaniti, no. La bellezza ha una storia misteriosa. Ce n’è poca nel mondo, ma mette in agitazione tutti, senza scetticismo e senza eccezione. Si sogna, si desidera, ma non ce la possiamo dare. La bontà, la santità, è una realtà più grande e più divina che la giovinezza e la bellezza, è un poema che si costruisce con la grazia divina e la nostra libera e virtuosa cooperazione, possiamo e dobbiamo conquistarla. Ma siamo costruttori poco geniali, artisti sfiduciati, pur sentendo risonare forte nell’animo l’imperativo divino: siate perfetti! E dire che dalla santità affiora nell’animo una spirituale e misteriosa giovinezza, una spirituale e misteriosa bellezza che trasparisce anche sul volto rugoso di un vecchio o di un povero! Ciascuno può e deve costruirsi una fucina di santificazione, un cenacolo di trasfigurazione, un tribunale di giustificazione. Senza giochi di fantasia, quando lo spirito del Signore ci investe, chiediamo di mettere a nudo la nostra anima, di essere dominati da Dio, spogliarci delle nostre borie allucinanti e spregevoli, rivestirci di luce e di amore: incomincia una vita nuova. 3. Che dire della lentezza che mettiamo nel correggerci i nostri vizi, come se li coltivassimo piuttosto che estirparli con l’amore? Se ci fosse un tirocinio morale nella pratica della virtù, con relativo esame di profitto, come c’è nella cultura, che figura ci faremmo? Dei nostri difetti o siamo trionfatori o schiavi! Che spettacolo quello di gente ombrosa, orgogliosa, angolosa, accidiosa, che vive e muore senza fare un passo, e non vi perdonano la vostra sincerità se manca la lode e la blandizia. Non crediamo che ogni acqua ci lavi, e di poterci difendere davanti a Dio senza esserci spiritualmente rinnovati, con una buona messe di opere sante e santificanti. Non chi dirà: Signore, Signore, sarà giustificato, ma chi avrà fatta la volontà del Padre Celeste, espressa nella legge di Dio, nel Santo Vangelo, nell’insegnamento della Chiesa. Non gli ascoltatori indolenti e distratti della Legge possono dirsi figli di Dio, ma i realizzatori fertili e perseveranti di quella possono guardare il cielo con la speranza in cuore.

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SECONDO GIORNO

1 – LE PASSIONI

SUGLI AFFETTI DISORDINATI

1. Ogni volta che l’uomo comincia a desiderare in maniera disordinata alcunché, subito egli diventa dentro di sé irrequieto. Il superbo e l’avaro non trovano mai requie; invece il povero e l’umile di spirito passano la vita nell’abbondanza della pace. L’uomo che non è ancora perfettamente morto a se stesso, è presto tentato e vinto pur in cose piccole o addirittura spregevoli. Chi è debole nello spirito, e in qualche modo tuttora carnale e inclinato alle cose del senso, difficilmente si può distaccare del tutto dai desideri terreni. E perciò spesso, quando se ne allontana, si rattrista; e se qualcuno lo contraria, per un nulla si sdegna. 2. Se poi giunge a conseguire l’oggetto bramato, subito l’opprime la coscienza della colpa per aver seguito la propria passione, la quale non porta affatto a quella pace di cui andava in cerca. Quindi, non col servire alle passioni, ma resistendo ad esse uno trova la vera pace del cuore. Onde non v’è pace nel cuore dell’uomo carnale né in chi è dedito alle cose esteriori, bensì in colui ch’è fervente e spirituale. (lib. I, cap. 6)

L’ALTERIGIA 1. Vano è chi pone la sua speranza negli uomini, o nelle cose create. Non ti vergognare di servire gli altri per amore di Gesù Cristo e di apparir povero in questo mondo. Non ti appoggiare su te stesso, ma stabilisci a tua speranza in Dio. Fa’ quello che puoi, e Dio aiuterà il tuo buon volere. Non confidare nella tua scienza o nell’accortezza di qualsiasi uomo, ma sì piuttosto nella grazia di Dio che soccorre gli umili e umilia i presuntuosi. 2. Non ti gloriare delle ricchezze se le possiedi, né degli amici perché sono potenti, ma gloriati in Dio che tutto ci dona e che soprattutto desidera donare se stesso. Non t’insuperbire della statura o della bellezza del tuo corpo, perché son cose che un po’ di malattia basta ad abbattere e deturpare. Non ti compiacere con te stesso della tua abilità o del tuo ingegno, a fine di non dispiacere a Dio, del quale è tutto ciò che di buono avesti per natura. 3. Non ti credere migliore degli altri se non vuoi esser ritenuto peggiore agli occhi di Dio, il quale sa che cosa c’è nell’interno dell’uomo. Non montare in superbia per causa delle tue buone azioni, giacché diversi da quelli degli uomini sono i giudizi di Dio cui spesso dispiace quel che piace agli uomini. Se hai alcune buone qualità, reputa migliori le altrui a fine di conservare l’umiltà. Non ti nuoce se ti posponi a tutti, ma ti nuoce moltissimo se ti anteponi anche ad un solo. Perenne pace sta nel cuore dell’umile, ma in quella del superbo v’è gelosia e collera frequente. (lib. I. cap. 7)

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FAMILIARITA’ 1. «Non aprire il tuo cuore ad ogni uomo», ma tratta le tue cose con chi è savio e timorato di Dio. Sta’ di rado con i giovani e gli estranei. Non adulare i ricchi e non amar troppo di comparire dinanzi ai potenti. Invece accompagnati volentieri con le persone umili e semplici, pie é costumare, e ragiona con esse di cose edificanti. Non entrare in dimestichezza con alcuna donna, ma tutte le dorme virtuose raccomanda senza distinzione al Signore. Cerca l’intimità con Dio solo e con gli Angeli suoi, ed evita di esser conosciuto dagli uomini.

2. Carità bisogna averla con tutti, ma familiarità non conviene. Accade talvolta che una persona, finché non si conosce, risplenda di bella fama; quando poi ci è davanti, a guardarla urta la vista. Così talora crediamo di piacere ad altri entrando con loro in dimestichezza, e invece proprio allora cominciamo a dispiacere ad essi per la sconveniente condotta che quelli osservano in noi. (lib. I, cap. 8)

LOQUACITÀ 1. Schiva per quanto puoi il tumulto degli uomini, poiché l’occuparsi degli affari del mondo, anche se si faccia con semplicità d’intenzione, è un grave impedimento alla vita spirituale. Ciò perché si fa presto a esser contaminati e fatti schiavi dalle vanità. Tante volte vorrei aver taciuto e non essermi trovato in mezzo alla gente. Ma perché proviamo tanto piacere a parlare e confabulare tra di noi, mentre così di rado ci avviene di rientrare nel nostro silenzio con la coscienza illesa? Se proviamo tanto piacere a parlare insieme, è perché mediante le nostre conversazioni cerchiamo di consolarci a vicenda, e speriamo così d’alleggerire il cuore oppresso da pensieri diversi. E molto ci piace di pensare e parlare intorno a quelle cose che ci stanno a cuore o che desideriamo, ovvero a quelle che sappiamo a noi contrarie.

2. Ma purtroppo, ahimé, spesso invano e senza frutto. Anzi, codesta consolazione esteriore è di non poco danno all’interna e divina Consolazione Onde bisogna vegliare e pregare affinché il tempo non trascorra per noi invano. Se è lecito e conveniente parlare, parla di cose che diano edificazione. La cattiva abitudine e l’incuranza del nostro profitto sono appunto quelle che ci spingono a non custodire la propria lingua. Tuttavia assai giovano al profitto spirituale devoti colloqui intorno alle cose dell’anima, specialmente tra persone che, conformi di sentimento e di spirito, si associano in Dio. (lib.1, cap.10)

EGOISMO 1. Noi non ci possiamo fidare troppo di noi medesimi, perché spesso ci fan difetto e la grazia e il discernimento Poco è il lume ch’è in noi, e anche questo poco lo si perde facilmente per nostra negligenza. Spesso anzi nemmeno ci accorgiamo di essere dentro così ciechi. Sovente facciamo il male, e quel ch’è peggio, lo scusiamo. Talvolta è la passione che ci muove, e crediamo sia lo zelo. Riprendiamo negli altri le mancanze leggere, e passiamo sopra le nostre ben più gravi. Siamo assai pronti a sentire e soppesare quel che ci tocca a sopportare dagli altri; ma non avvertiamo quanto gli altri debbon sopportare da parte nostra. Chi soppesasse bene e con giustezza le proprie colpe, non avrebbe di che giudicare severamente gli altri.

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2. L’uomo interiore antepone a ogni altra cura la cura di se stesso; e chi osserva attentamente sé, facilmente sugli altri tace. Non sarai mai uomo di vita interiore e devota, se non fai silenzio circa i fatti altrui e non tieni lo sguardo rivolto specialmente a te stesso Se attendi interamente a te e a Dio, poco o nulla ti turberanno le cose che vedi o che senti di fuori. Dove sei quando non sei presente a te stesso? E quando hai scorso tutte le cose del mondo e intanto hai trascurato te medesimo, che guadagno n’hai tratto? Se desideri la pace e la vera unione di spirito, ti occorre gettarti dietro le spalle tutto il resto ed avere dinanzi agli occhi te solo. 3. Pertanto ne avrai molto vantaggio se ti conservi libero da ogni temporale preoccupazione. Invece sarà grande svantaggio per te, se farai stima d’alcuna cosa temporale. Nulla sia grande per te, nulla sublime, nulla giocondo, nulla gradito all’infuori puramente di Dio o di cosa che a Dio si riferisca. Reputa vanità tutto ciò che di consolante ti viene da qualche creatura. L’anima che ama Iddio ha in dispregio tutto quello che è al di sotto di Dio. Dio solo, eterno, immenso, che tutto di sé riempie, è la vera consolazione dell’anima e la sana letizia del, cuore. (lib. II, cap. 5)

I DESIDERI DEL CUORE 1. Il Signore. - Figliuolo, vi sono poi molte altre cose che bisogna tu apprenda e che non hai ancora apprese bene. 2. Il Discepolo. - E quali sono, o Signore? 3. Il Signore. - Queste, che tu conformi pienamente il tuo desiderio al mio beneplacito, e che tu non sia amatore di te stesso ma fervente seguace della mia volontà. Spesso i desideri ti accendono e ti stimolano con veemenza; ma tu considera se ciò che ti muove è la mia gloria o non piuttosto il tuo vantaggio. Se sono in causa io, ti troverai pienamente contento qualunque cosa io disponga; ma se v’è sotto un qualche tuo personale interesse, questo sarà appunto ciò che t’intralcia e ti opprime. 4. Guarda perciò di non fissarti troppo in un desiderio che tu abbia concepito prima di consultarmi, affinché dopo tu non avessi a pentirtene, ovvero cominci a dispiacerti questa cosa che innanzi ti piaceva e che tu bramavi tanto come se fosse la migliore. Difatti non bisogna andar subito dietro a ogni sentimento che ci sembri buono, come nemmeno è da fuggirsi alla prima ogni sentimento che ci sembri cattivo. Talvolta conviene usare il freno anche con gli affetti e i desideri in se stessi buoni, e ciò per timore che questi, divenendo importuni, ti distraggano lo spirito, o che per mancanza di regola tu arrechi scandalo agli altri, o ancora che, trovando in altri resistenza, tu abbia ad un tratto a turbarti e cadere. Qualche volta poi occorre usare la violenza e virilmente contrastare all’appetito sensitivo, e non badare a ciò che la carne vuole o non vuole; ma far di tutto perché essa, anche riluttante, stia soggetta allo spirito. E va castigata e costretta a stare in servitù fintanto che sia disposta a tutto e abbia imparato a contentarsi di poco e a trovar suo diletto nelle cose semplici, senza brontolare allorché qualcosa va di traverso. (lib. III, cap. 11)

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CONTRO LE MALE INCLINAZIONI 1. Il Discepolo. - O Signore Iddio, lo vedo, la pazienza mi è sommamente necessaria, giacché in questa vita si danno molte contrarietà. Difatti, comunque io avrò disposto per la mia pace, la vita mia non potrà essere senza guerra e senza dolore. 2. Il Signore. - Così è, figliuolo. Però io non voglio che tu cerchi una pace tale che sia esente da tentazioni o non patisca contrarietà. Bensì voglio che tu stimi d’aver trovato la pace, anche quando tu sia travagliato da diverse tribolazioni e provato da molte contrarietà. Se dici di non poter soffrire molte pene adesso, come farai dopo a sostenere le fiamme del purgatorio? Di due mali bisogna sempre scegliere il minore. E dunque, affinché tu possa sfuggire agli eterni supplizi futuri, studiati di sopportare di buon animo per amore di Dio i mali presenti. Credi forse che gli uomini del mondo non soffran nulla o ben poco? Non ne troverai anco se li cerchi tra quelli che vivon nelle delizie. 4. Il Discepolo. - Ma essi almeno godono molte soddisfazioni e contentano le loro voglie, e perciò sentono poco il peso delle loro tribolazioni. 5. Il Signore. - Sia pure che abbiano quel che vogliono; ma quanto credi che ciò possa durare? Ecco che i doviziosi del mondo «svaniranno come fumo», e non rimane neppure il ricordo delle loro gioie passate. Del resto, anche in vita non vi si cullano senza amarezza e tedio e timore. Perocché nel medesimo oggetto donde attingono il piacere, spesso trovano il castigo del dolore. Ed è giusto che, siccome cercano e inseguono i piaceri fuori dell’ordine, non vi si possano saziare senza vergogna ed amarezza. 6. Oh, come brevi, come falsi, come disordinati e brutti sono codesti piaceri! Eppure gli uomini, ubriachi e ciechi quali sono, non lo capiscono; ma come animali muti per un po’ di godimento in questa corruttibile vita, vanno incontro alla morte dell’anima. Quindi, o figliuolo, «tu non andare dietro alle tue passioni, e volta le spalle alle tue voglie». «Metti la tua gioia nel Signore, ed Egli ti darà quanto il tuo cuore domanda». 7. Se dunque vuoi godere le vere gioie ed essere da me consolato in sovrabbondante misura, sappi che appunto nel disprezzo di tutte le cose mondane e nel distacco da tutti i bassi piaceri «sarà la tua benedizione», e ne riceverai in cambio una consolazione stragrande. E quanto più ti sarai sottratto al conforto di ogni creatura, tanto più dolci e forti saranno le consolazioni che troverai. Però da principio tu non le raggiungerai senza una certa tristezza e senza il travaglio del combattimento. L’inveterata abitudine resisterà, ma poi sarà vinta da un’abitudine migliore. La carne fremerà, ma la terrà in freno il fervore dello spirito. L’antico serpente ti stimolerà e cercherà di irritarti, ma lo metterà in fuga la preghiera, e l’aggiunta d’un lavoro utile gli chiuderà in faccia la principale entrata. (lib. III, cap. 12)

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L’AMORE DI SE’ STESSI 1. Il Signore. - Figliuolo, bisogna che tu dia tutto per tutto, e che tu non appartenga per nulla a te stesso. Sappi che l’amore di te stesso ti nuoce più che qualunque oggetto del mondo. Ciascuna cosa ti si attacca più o meno secondo l’amore e l’affezione: che le porti. Se il tuo amore sarà puro, semplice e bene ordinato, tu non diventerai schiavo delle cose. Non bramare ciò che non t’è lecito possedere; e guarda di non possedere ciò che può esserti d’impaccio e privarti della libertà interiore. Fa meraviglia che tu non affidi a me dal più fondo del cuore te stesso insieme con tutti gli oggetti che puoi desiderare e possedere. 2. Perché ti lasci consumare da una vana tristezza? Perché ti affatichi in cure superflue? Rimettiti al mio volere, e non patirai alcun danno. Se cerchi questa cosa invece di quella, o vuoi essere qui piuttosto che là, e ciò perché ti fa comodo, o per meglio ottenere quel che ti piace, tu non sarai mai tranquillo né libero da preoccupazioni, poiché in ogni cosa troverai qualche difetto e in ogni luogo vi sarà chi ti contraria. 3. Quindi ciò che giova non è l’acquistare e l’accrescere un qualsiasi bene esteriore, ma anzi il disprezzarlo e tagliano via dal cuore fin dal1e radici. E questo devi intenderlo non solo riguardo al possesso del denaro e delle sostanze, ma anche quanto all’ambizione della gloria e al desiderio di vane lodi, tutte cose che passano insieme col mondo. Scarsa difesa è il luogo, se manca lo spirito del fervore; né a lungo durerà la pace procurata dal di fuori, se il cuore non poggia su stabile fondamento, vale a dire se tu on ti appoggi su di me. Potrai cambiar di posto, ma non diventar migliore. Difatti, quando nasce l’occasione e tu l’accogli, troverai quel che avevi fuggito, e anche di peggio. 4. Preghiera per impetrare la purificazione del cuore e la sapienza celeste. Fortificami, Dio, con la grazia dello Spirito Santo. Dammi virtù perché io mi corrobori internamente e svuoti il mio cuore da ogni inutile affanno e preoccupazione, talché non sia trascinato da desideri diversi di oggetti sia vili sia preziosi, ma tutti io li guardi come passeggeri e me stesso destinato a passare al pari di loro; perocché non v’è nulla di durevole sotto il sole, dove «tutto è vanità e, afflizione di spirito». Oh, quanto è saggio chi ragiona così! 5. Dammi, o Signore, la sapienza celeste perché impari a cercare e trovare te al disopra di tutte le cose, e sopra tutte gustare ed amare te, a giudicare le altre come sono in se medesime, secondo la norma della tua sapienza. Fa’ che con prudenza io possa schivare chi mi blandisce, e sopportar con pazienza chi mi contraria; poiché questa appunto è la grande saggezza, non voltarsi a ogni vento di parole e non prestare orecchio alle pericolose lusinghe della Sirena. Così infatti si procede sicuri per la vita intrapresa (lib. III, cap. 27).

RINNEGAMENTO E CUPIDIGIA

1. Il Signore. - Figliuolo, non puoi godere la perfetta libertà, se non rinneghi totalmente te stesso. Infatti, tutti i possessori di roba, gli amanti di se stessi, gli avidi, i curiosi, gli svagolati, quei che sempre vanno in cerca di comodi delicatezze e non delle cose di Cristo, son tutta gente con i ceppi ai piedi, e che spesso immaginano e fabbricano edifizi che non potranno stare in piedi. Infatti tutto ciò che non trae origine da Dio è destinato a perire. Tieni a mente questa breve e provata sentenza. Lascia tutto e tutto troverai; lascia la cupidigia e troverai la quiete. Rivolgi questa massima nella tua mente; e quando l’avrai messa in pratica, capirai ogni cosa.

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2. Il Discepolo. - Ma, Signore, codesto non è lavoro d’un giorno, né trastullo da ragazzi, ché anzi in tale motto sta racchiusa tutta la perfezione della vita religiosa. 3. Il Signore. - Figliuolo, non devi voltarti indietro e subito scoraggiarti appena hai udito qual’è la via della perfezione; ma piuttosto devi eccitarti alle mete supreme e anelarvi almeno col desiderio. Bene sarebbe che così tu stessi di dentro e fossi arrivato a tal punto da non essere già amante di te medesimo, ma da stare semplicemente al cenno mio e di colui che ti ho preposto come padre; dacché allora molto mi piaceresti, e tutta la tua vita passerebbe nella gioia e nella pace. Invece molte cose hai ancora da lasciare; e se non vi rinunzi totalmente per mio amore, non otterrai quel che domandi. «Io ti consiglio a comprare da me l’oro affinato nel fuoco perché tu divenga ricco» e quest’oro è la sapienza celeste che calpesta tutte le cose basse. Posponi a lei la saggezza terrena e ogni umana e personale compiacenza. 4. Ciò equivale, a dire che tra le cose di quaggiù devi comprarti quelle più vili invece di quelle più pregiate e più nobili. Infatti la vera sapienza celeste, la quale non nutre un alto concetto di sé né cerca di esser magnificata sulla terra, sembra cosa vile e meschina e quasi abbandonata all’oblio; e anche molti che la esaltano a parole assai ne son lontani nella vita. Eppure essa è davvero la «perla preziosa», nascosta agli occhi dei più (lib. III, cap. 32).

AFFARISMO 1. Il Signore. - Figliuolo, affida sempre a me la tua causa, e io disporrò tutto bene a suo tempo. Aspetta il mio ordinamento e ne sperimenterai il vantaggio. 2. Il Discepolo. - Assai volentieri, o Signore, affido a te le cose mie, dacché il pensarci io fa poco frutto. Ben per me se non fossi tanto preoccupato del futuro, ma senza esitazione mi rimettessi al tuo piacimento! 3. Il Signore. - Figliuolo, spesso l’uomo persegue con ansia qualcosa che desidera; ma quando l’ha raggiunta, ei comincia a pensarla diversamente, perché le affezioni dell’uomo circa un medesimo oggetto non sono durevoli, bensì piuttosto lo spingono via via da uno a un altro. Non è quindi cosa di minima importanza rinunziare a sé stessi anche nelle cose minime. 4. Il vero profitto dell’uomo consiste, nella rinunzia di sé; e l’uomo che ha rinunziato a sé stesso, è sommamente libero e privo di affanni. Ma l’antico avversario, ostile a tutti i buoni, non cessa dal tentare, e giorno notte trama le peggiori insidie, per vedere se può far cader l’incauto nel laccio dell’inganno. «Vegliate e pregate», dice il Signore «se non volete entrare in tentazione». (lib. III, cap. 39)

VANAGLORIA 1. Il Discepolo. - Signore, «che cosa è l’uomo perché tu ti ricordi di lui, o il figlio dell’uomo perché tu venga a visitarlo»? Quali meriti si era procurato l’uomo perché tu dovessi donargli la tua grazia? Signore, di che potrei lamentarmi se tu mi abbandoni? Quali giuste ragioni potrei contrapporti se tu non fai quanto ti domando? Certo è che posso pensare e dire con tutta verità: Signore, io non sono nulla, nulla posso, nulla di buono ho da per me; ma son mancante d’ogni cosa e tendo sempre verso il nulla. Cosicché, se tu non m’aiuti e vivifichi internamente, ecco m’intiepidisco e mi dissolvo.

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2. «Tu invece, o Signore, sei sempre lo stesso» e «duri in eterno», sempre buono, giusto e santo, e fai tutte le cose bene, giustamente e santamente, e tutte le disponi con sapienza. Al contrario io, più incline al regresso che al progresso, non duro sempre in un medesimo stato, dacché sette tempi si succedono sopra di me. Tuttavia, subito sto meglio appena tu lo vuoi e mi porgi la tua soccorrevole mano, poiché tu solo senza umano concorso puoi aiutarmi e farmi stabile sicché il mio volto più non si cangi in diversi modi, ma il cuore si rivolga a te solo e in te abbia riposo. 3. Onde, se io davvero sapessi rifiutare ogni umano conforto, sia per acquistare devozione, sia per il bisogno che mi spinge a cercare te per non esservi alcun uomo che mi consoli, allora sì potrei giustamente sperare nella tua grazia ed esultare nel dono d’una nuova consolazione. 4. Siano grazie a te da cui tutto procede, ogni volta che mi accade qualcosa di bene. Io invece non son che vanità, «un nulla dinanzi a te», uomo debole e incostante come sono. Di che dunque posso gloriarmi, o perché ambisco di essere stimato? Forse per il mio nulla? Ma ciò, sarebbe la cosa più vana del mondo. Davvero che la futile gloria di quaggiù è la peste peggiore e la più grande vanità, dacché ci trae lontano dalla vera gloria e ci priva della grazia celeste. Infatti, mentre uno si compiace di sé stesso, dispiace a te; mentre aspira alle lodi degli uomini, rimane privo delle vere virtù. 5. Per contro, vera gloria e santa esultanza è gloriarsi in te e non in noi stessi, gioire nel tuo nome e non nella propria virtù, né dilettarsi in alcuna cosa creata se non per amore di te. Sia lodato il nome tuo, non il mio; sia magnificata l’opera tua, non la mia; sia benedetto il tuo santo nome, e a me invece nulla si dia delle umane lodi. Tu sei la mia gloria, tu l’esultanza del mio cuore. In te mi glorierò, in te esulterò ogni giorno; ma «quanto a me di nulla mi glorierò se non delle mie infermità». 6. Cerchino i Giudei quella gloria che gli uomini si attribuiscono a vicenda; io però cercherò l’altra che viene soltanto da Dio. Invero, ogni gloria umana, ogni onor temporale, ogni grandezza mondana, paragonata alla eterna tua gloria, è vanità e stoltezza. O mia verità e misericordia mia, Dio mio, Trinità beata, a te soltanto sia lode, onore, virtù e gloria per gl’infiniti secoli dei secoli! (lib. III, cap. 40)

SUL DISPREZZO DEGLI ONORI TEMPORALI

1. Il Signore. - Figliuolo, non te la prendere se vedi che gli altri sono onorati e innalzati, e che invece tu sei disprezzato ed umiliato. Solleva il tuo cuore a me su nel cielo, e allora più non ti contristerà il disprezzo degli uomini sulla terra. 2. Il Discepolo. Signore, è vero, noi viviamo come ciechi, e la vanità facilmente ne seduce. Se io mi considero bene, da nessuna creatura mai mi fu fatta ingiuria, onde non è giusto ch’io mi lamenti di te! 3. Egli è che spesso e gravemente io ho peccato contro di te, e perciò merito che si armi contro di me tutto il creato. Quindi giustamente a me è dovuta l’umiliazione e il disprezzo, a te invece la lode, l’onore e la gloria. E se io non mi disporrò di esser volentieri disprezzato e abbandonato da ogni creatura e ad esser tenuto assolutamente in conto di nulla, non potrò trovare la pace e la stabilità interiore, né essere spiritualmente illuminato, né unirmi pienamente a te. (lib. III, cap. 41)

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DISCIPLINA DELLE PASSIONI 1. In queste pagine è raccolto un fascio di pensieri e di propositi sulle passioni, che disciplinate, prendono la via della virtù e fioriscono come virtù; abbandonate a sé stesse, prendono la via del peccato e sfociano nel groviglio indiavolato dei vizi capitali. Le passioni sono energie preziose e pericolose: con quelle si può’ costruire un santo, e si può anche costruire un brigante. È la storia del mondo. Caino ed Abele passeggiano per il mondo sempre: noi li incontriamo ogni giorno per le vie della vita e per le vie della morte. La pedagogia, se dice qualcosa di serio, è disciplina di passioni; e se la passione non «è cavalcata dalla ragione» (Convito, IV, 25), come «sciolto cavallo» impazzito, conduce alla morte. 2. Nella vita cristiana si conosce una via di combattimento (di purificazione), una via di luminosità, una via di unione. Si combatte, corpo a corpo, con le inclinazioni perverse; si praticano le virtù nella luce della fede e con l’aiuto della grazia; si arriva ai doni dello Spirito Santo nella via dei perfetti. Non è questa invenzione dei mistici, è pratica vera e quotidiana di vita cristiana, col risultato immediato e infallibile che chi non sale discende, chi non migliora peggiora, chi non si santifica, si imbestia. Abbiamo bisogno di essere dominati dalla verità e dalla virtù, dal fedel consiglio della ragione e della legge di Dio. Alla creatura è più naturale ubbidire che comandare; infatti il virtuoso si mette in atteggiamento di docilità; lo scemo ambisce di comandare, sale in cattedra sempre, e non riesce a tacere. Ma se è naturale e virtuoso ubbidire a chi sta in alto nella scala della perfezione, è anche naturale e virtuoso contrastare alle borie, alle pretese, alle insipienze. Il male si deve sopportare quando non si può ostracizzare: ma si deve fare il possibile per non rendercene conniventi. Il silenzio, il compromesso possono essere un delitto come la denigrazione e la maldicenza. Se potessimo formare una opinione pubblica che bollasse le storture e le condannasse all’inedia, sarebbe ideale. Ma nella piazza del mondo il ciarlatano la vince sul sapiente. 3. Le passioni non si debbono combattere, si debbono rettificare. Ma in questa palestra della rettificazione delle passioni, trionfa l’intelligenza, fiorisce la libertà vera contro ogni forma di libertismo, si fa onore soltanto un cristiano. La vita dei Santi è un trionfo che nessuno può contestare: la vita dei criminali è la documentazione di quanti sottomettono la ragione alla passione. Tutto ci richiama all’Imitazione di Cristo. Nel nostro cuore niente prevalga all’amore di Cristo. «Christo nihil praeponatur» (S. Benedetto, Regola, cap. 72). Se non ci domina il Signore con la sua regalità di amore ci domina il diavolo coi vizi capitali. Nella III Loggia del Vaticano è dipinta la via della vita e la via della morte in quadri magnifici. Il pittore ha dipinto la giovinezza buona e quella cattiva, la virilità del combattente e quella abdicante, la vecchiezza gloriosa del vincitore e quella ignominiosa del traditore, col paradiso e l’inferno quale sanzione relativa. E’ lo spettacolo del mondo. La riproduzione di quelle pitture sarebbe un breviario pedagogico bellissimo, ma pochi lo leggono praticamente!

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2 – NATURA E GRAZIA

COME LA GRAZIA DI DIO NON SI COMUNICA A CHI GUSTA L E COSE TERRENE 1. Il Signore. - Figliuolo, la mia grazia è preziosa, e non tollera d’esser mescolata a cose estranee o a consolazioni terrene. Quindi, se desideri ch’essa ti venga infusa, bisogna che tu getti via tutto ciò ch’è d’impedimento alla grazia. Cercati la solitudine, ama di abitare con te solo, non cercare la conversazione di alcuno; bensì piuttosto effondi devota la tua preghiera a Dio, per serbarti così il cuore compunto e la coscienza pura. Tutto il mondo stimalo un nulla, e l’attendere a Dio anteponilo a tutte le occupazioni esteriori. Difatti, non potresti attendere a me e insieme far tua delizia le cose transitorie. Bisogna allontanarsi dai conoscenti e dalle persone care, e serbare l’animo, alieno da ogni consolazione temporale. Perciò il beato apostolo Pietro raccomanda ai fedeli di Cristo che si conducano in questo mondo come stranieri e pellegrini. 2. Oh, quanta fiducia avrà in punto di morte colui che non è legato al mondo dall’affetto di cosa alcuna! Se non che l’anima inferma non capisce come si possa avere il cuore così distaccato da tutto, e l’uomo animale non conosce la libertà dell’uomo interiore. Eppure, se egli vuol essere veramente uomo spirituale, bisogna rinunzi, sia ai lontani sia ai prossimi, e più che da ogni altro bisogna si guardi da sé medesimo. Se riuscirai a vincere completamente te stesso, più facile ti sarà assoggettare tutto il resto. Completa vittoria è trionfare di sé. Invero, colui che, tiene soggetto sé medesimo, talché il senso obbedisca alla ragione e la ragione obbedisca a Dio in tutto e per tutto quegli è davvero vincitore di sé e signore del mondo. 3. Se brami di salire a questa vetta, bisogna cominciare virilmente, e mettere la scure alla radice, per strappare e distruggere l’occulto e disordinato amore a te stesso e a qualsivoglia bene privato e materiale. Da questa cattiva tendenza dell’amore eccessivo e disordinato che l’uomo ha verso se medesimo, deriva appunto quasi tutto quello che c’è da vincere radicalmente in noi; vinto poi e soggiogato questo male, subito nasce una grande pace e tranquillità. Ma siccome son pochi coloro che si affaticano per morire perfettamente a sé stessi, non si sforzano di svincolarsi del tutto fuori da sé medesimi, perciò rimangono avviluppati dentro di sé, né sopra sé sanno levarsi in ispirito. Chi invece desidera di camminare liberamente meco, è necessario che mortifichi tutte le sue affezioni storte e disordinate, e non si attacchi, con particolare amore di concupiscenza, ad alcuna creatura. (lib. III, cap. 53)

SUI CONTRARI MOVIMENTI DELLA NATURA E DELLA GRAZIA

1. Il Signore. - Figliuolo, osserva con diligenza i movimenti della natura e della grazia, poiché sono molto contrari, fra loro e in maniera così sottile che appena li distingue l’uomo spirituale e interiormente illuminato. Tutti, certo, desiderano il bene, e difatti qualcosa di buono lo mettono avanti, nelle loro parole o nelle loro azioni, e perciò molti s’ingannano con quell’apparenza di bene. La natura è scaltra, e molti attira, accalappia ed illude; ed ella ha ognora per fine sé stessa.

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Invece la grazia cammina con semplicità, evita ogni apparenza di male, non tende insidie e fa tutto per puro amore di Dio, nel quale parimente come in suo fine riposa. 2. La natura non si adatta a morire, non vuol essere oppressa, né esser vinta, né assoggettata, né si sottomette spontaneamente. Invece la grazia cura la propria mortificazione, resiste al senso, cerca di venir sottomessa, desidera, d’esser vinta e non vuole valersi della propria libertà; ama d’esser tenuta sotto la disciplina, e non brama di dominare su alcuno, bensì di vivere, stare ed essere sempre sottoposta a Dio, e per amor di Dio è pronta ad inchinarsi umilmente a qualsiasi umana creatura. La natura lavora per il suo comodo e bada al guadagno che le può venire dagli altri. Invece la grazia considera non ciò che può esserle utile e vantaggioso, ma piuttosto considera quello che giova a molti altri. La natura accetta volentieri onore e riverenza. Invece la grazia ogni onore e gloria attribuisce fedelmente a Dio. 3. La natura teme l’umiliazione e il disprezzo. Invece la grazia gode di «patir contumelia per il nome di Gesù». La natura ama l’ozio e il riposo del corpo. Invece la grazia non può stare senza far nulla e volentieri abbraccia la fatica. La natura cerca di possedere oggetti rari e belli, e aborre da quelli usuali e grossolani. Invece la grazia si compiace degli oggetti semplici e umili, non disprezza quelli rozzi e non rifugge dal vestire panni vecchi. La natura bada alle cose temporali, si rallegra dei guadagni terreni, si rattrista del danno, s’irrita per una lieve parola d’ingiuria. Invece la grazia guarda alle cose eterne, non si attacca a quelle temporali né si turba alla perdita della roba né s’inasprisce alle parole un po’ dure; e tutto ciò perché il suo tesoro e la sua gioia essa li ha riposti nel cielo, dove nulla si perde. La natura è avida, e più volentieri riceve che dona, ama le cose sue proprie e private. Invece la grazia è pietosa e si dà a tutti, evita ciò ch’è personale si contenta di poco e stima «cosa più beata il dare che il ricevere» (Atti, XX, 35). La natura inclina verso le creature, la propria carne, le vanità e le dissipazioni. Invece la grazia trascina verso Dio e le virtù, rinunzia alle creature, fugge il mondo, odia i desideri della carne, raffrena le divagazioni, si perita di comparire in pubblico. La natura si prende volentieri qualche esterna consolazione con cui dilettare i sensi. Invece la grazia cerca di consolarsi solamente in Dio e dilettarsi nel sommo Bene al di sopra di tutte’ le cose visibili. 5. La natura fa tutto per guadagno e per il proprio comodo, non è capace di far nulla gratuitamente, ma dai suoi benefizi spera di ricavare o altrettanto o più e meglio, ovvero lodi o favori; e brama che di quello che fa o che dà sia fatto gran conto. Invece la grazia non cerca nulla di cose temporali e non chiede per sua mercede altro premio che Dio solo; e delle cose temporali che son pur necessarie desidera solo quel tanto che possa servirle a conseguire i beni eterni. 6. La natura si, compiace delle molte amicizie e parentele, si vanta dell’alta posizione o della nascita illustre, fa buon viso ai potenti, accarezza i ricchi, applaudisce quelli del suo grado. Invece la grazia ama perfino i nemici, e non inorgoglisce per la moltitudine degli amici, non fa stima dell’alta posizione o degli illustri natali se non in quanto vi si trovi unita ma maggiore virtù; favorisce più il povero che il ricco, compatisce più l’innocuo che il potente, si rallegra con chi è veritiero e non con chi è bugiardo, sempre esorta i buoni ad aspirare a doni migliori e rendersi simili con le virtù al Figlio di Dio. La natura subito si rammarica se qualcosa le manca o la molesta. Invece la grazia sopporta con fermezza la povertà.

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7. La natura rivolge tutto a se stessa, per sé combatte e litiga. Invece la grazia tutto riconduce a Dio da cui tutto come da fonte deriva; non attribuisce a se stessa alcunché di bene né con arroganza presume, non si mette a contrastare né antepone il proprio parere a quello degli altri; bensì in ogni sentimento od opinione si sottomette all’eterna sapienza e al divino giudizio. La natura brama di conoscere i segreti e di ascoltare le novità, vuol dar mostra di sé e far esperienza di molte cose per la via dei sensi, desidera di farsi conoscere e compiere atti che le procurino lode e ammirazione. Invece la grazia non si cura ai apprendere le novità e le curiosità poiché tutto nasce solo dal corrompersi e sparire dell’antico, nulla essendoci di veramente nuovo e durevole sopra la terra. Essa pertanto insegna a frenare i sensi, a evitare la vana compiacenza e l’ostentazione, a nascondere per umiltà quanto sarebbe in lei meritatamente da lodare e da ammirare, e a cercare in ogni oggetto e in ogni scienza il frutto della vera utilità e l’onore e la gloria di Dio. Essa non vuole che si esaltino né lei né le cose sue, ma desidera che sia benedetto nei suoi doni Iddio, il quale tutto ci elargisce per puro amore. 8. Questa grazia è un lume soprannaturale e uno speciale dono di Dio, e propriamente il suggello degli eletti e pegno di salvezza eterna, che solleva l’uomo dalle cose terrene all’amore delle celesti, e di carnale lo rende spirituale. La onde, quanto più si comprime e si vince la natura, tanto maggiore è la grazia che ci viene infusa, e così ogni giorno, per nuove visite, l’uomo interiore si va riformando all’immagine di Dio. (lib. III, cap. 54)

COME DOBBIAMO CHIEDERE IL DIVINO AIUTO E AVER FIDUCIA DI RIOTTENERE LA GRAZIA

1. Il Signore. - Figliuolo, io sono il Signore «che conforta nel giorno della tribolazione ». Ricorri a me, quando c’è qualche cosa che non ti va bene. Ciò che specialmente ti priva della consolazione celeste è che troppo tardi tu ricorri alla preghiera. Infatti, avanti di pregarmi seriamente, tu cerchi molti altri conforti, e ti ricrei nelle cose esteriori. Quindi avviene che tutto questo ben poco ti giovi, fino a quando ti accorgi come son io che salvo coloro i quali sperano in me, né fuori di me è valido aiuto o consiglio efficace o rimedio durevole. Ma già ormai, ripreso animo dopo la tempesta, rafforzati nella luce delle mie misericordie, poiché son vicino (così dice il Signore) per restaurare tutte quante le cose, e non solo integralmente ma con abbondanza e oltremisura. 2. Forse che v’è qualcosa di difficile per me? O rassomiglio io a uno che dice e che non fa? Dov’è la tua fede? Mantieniti saldo e perseverante. Per ora sii uomo forte e paziente; la consolazione ti verrà a suo tempo. Aspetta, ti ripeto, aspettami; verrò e ti guarirò. È una mera tentazione quella che ti molesta, e una paura vana quella che ti spaventa. A che serve preoccuparsi delle cose che potrebbero accadere, se non ad aggiungere tristezza a tristezza? «Basta a ciascun giorno il suo affanno». È vano e inutile turbarsi o rallegrarsi di eventi futuri i quali forse non accadranno mai. 3. Ma purtroppo è cosa umana lasciarsi illudere da tali immaginazioni, come è segno ancora di piccolezza d’animo lasciarsi tirare con tanta facilità dai suggerimenti dell’infernale nemico. Infatti a lui non importa se son reali o fittizie le cose con cui t’illude e t’inganna, o se quello con cui ci fa cadere è amore delle cose presenti o paura di quelle future. Quindi «non si turbi il tuo cuore e non si sgomenti ». Credi in me ed abbi fiducia nella mia misericordia. Quando tu pensi d’esser lontano da me, spesso è allora ch’io ti sono più vicino.

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Quando stimi che ormai quasi tutto sia perduto, spesso proprio allora sei sul punto di far maggiore guadagno. Se una cosa ti va al contrario, ciò non vuoi dire che tutto sia perduto. Non devi giudicare secondo quello che senti adesso; e se ti capita qualche disgrazia, da qualunque parte venga, non ti ci devi fissare né devi pigliarla come se ti fosse tolta ogni speranza di risollevarti. 4. Non ti credere abbandonato del tutto se ti mando per un certo tempo qualche tribolazione, o anche se io ti privo di una consolazione a te molto cara, giacché appunto così si trasmigra al regno dei cieli. E senza dubbio, per te e per gli altri miei discepoli è molto più utile esser provati dalle avversità che aver tutto a seconda del vostro desiderio. Io conosco i segreti pensieri dell’uomo, e so che è molto bene per la tua eterna salute, se di quando in quando rimani senza provar gusto, affinché per caso tu non t’insuperbisca del buon successo e ti compiaccia d’immaginarti quel che non sei. Ciò che ho dato io lo posso ritogliere per poi restituirlo quando a me piace. 5. Se ti do, è cosa mia; e se te la ritolgo, non prendo del tuo, perocché «mio è ogni bene concesso, e mio ogni dono perfetto». Se ti manderò qualche disgrazia o una contrarietà qualsiasi, non ti sdegnare né s’abbatta il tuo cuore: io posso prestamente alleggerirtene e tramutare ogni peso in gioia. Tuttavia io son giusto e degno grandemente di lode, quando faccio così verso di te. 6. Se rettamente giudichi e guardi in faccia la verità, mai devi lasciarti così profondamente rattristare per cose avverse, bensì piuttosto goderne e ringraziarmi; anzi dovresti reputare vera ed unica gioia ch’io non ti risparmi, affliggendoti come fo con tali pene. «Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi» dissi una volta ai miei diletti discepoli, e certamente io non li mandai a temporali godimenti ma a grandi battaglie, non ad onori ma a dispregi, non a una vita oziosa ma a dure fatiche, non al riposo ma a produrre frutto abbondante con la pazienza. Rammentati, figlio mio, di queste parole. (lib. III, cap. 30)

SULLA CORRUZIONE DELLA NATURA UMANA

E L’EFFICACIA DELLA GRAZIA DIVINA 1. Il Discepolo. - O Signore Dio mio, che mi hai creato a tua immagine e somiglianza, concedimi questa grazia che tu mi hai mostrato esser così grande e necessaria alla mia salvezza, cioè che io vinca la mia pessima natura, la quale mi trascina al peccato e alla perdizione. Sento infatti nella mia carne la legge del peccato che contrata alla legge della mia mente e mi mena prigioniero ad obbedire in tante cose alla sensualità; e alle passioni che da lei rai vengono io non posso resistere se non mi aiuta la tua santissima grazia che mi Venga infusa ardente nel cuore. 2. Sì, c’è bisogno della mia grazia, e grazia abbondante, per vincere la natura ognora propensa al male fin dalla sua adolescenza. Difatti, essendo ella caduta per colpa del primo uomo Adamo e viziata per il peccato, la pena di tal macchia discende in tutti gli uomini, cosicché quella stessa natura che era stata da te creata buona e retta ora sta senz’altro a significare il vizio stesso e l’infermità della natura corrotta, perché il suo impulso lasciato a sé trascina in basso e al male. Invero, quel po’ di forza che c’è rimasta è come una favilla nascosta sotto la cenere. È dessa la ragione naturale, fasciata da una densa caligine, ancora capace di giudicare se una cosa è bene o male e la distanza tra il vero e il falso, quantunque sia impotente a compiere tutto ciò ch’essa approva e non possegga il pieno lume della verità e l’integrità dei suoi affetti.

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3. Di qui avviene, o Dio mio, che «io mi diletti della tua legge secondo l’uomo interiore», sapendo come il tuo comandamento è buono, giusto e santo e mi fa conoscere inoltre di dover fuggire ogni male e ogni peccato. Invece con la carne io servo alla legge del peccato, mentre obbedisco alla sensualità anziché alla ragione. Indi avviene che «c’è, sì, con me la volontà di bene, ma non trovo il modo di compierlo». Indi spesso mi propongo molte cose buone, ma poiché manca la grazia che aiuti la mia debolezza, alla più piccola resistenza mi tiro indietro e vengo meno. Indi accade che riconosco la via della perfezione e vedo abbastanza chiaro come dovrei agire. Ma gravato dal peso della mia propria corruzione, non assurgo a opere più perfette. 4. Ah, quanto m’è estremamente necessaria, o Signore, la tua grazia per cominciare il bene, per continuarlo e per condurlo a termine! Senza di lei, infatti, io non posso far nulla; e invece tutto posso in te, quando mi conforta la grazia. Oh, grazia veramente celeste, senza la quale non son niente i propri meriti, e nemmeno han valore i doni di natura! Nulla valgono agli occhi tuoi, o Signore, le arti, nulla le ricchezze, nulla la beltà, nulla la fortezza, nulla l’ingegno e l’eloquenza, senza la grazia. Difatti i doni di natura son comuni ai buoni e ai cattivi; invece dono proprio degli eletti è la grazia ossia la carità della quale adorni essi sono reputati degni della vita eterna. E tale grazia è così eminente che né il dono della profezia né l’operare miracoli né qualsivoglia più sublime contemplazione non sono stimate nulla senza di lei. E neppure la fede o la speranza o le altre virtù sono a te accette senza la carità e la grazia. 5. O grazia beatissima, che fai ricco di virtù il povero in ispirito e rendi umile di cuore il possessore di ricchezze! Vieni, scendi verso di me, riempimi fin dal mattino con la tua consolazione, onde l’anima mia non venga meno per la stanchezza e l’aridità di cuore. Io ti supplico, o Signore, ch’io trovi grazia agli occhi tuoi; mi basta infatti la tua grazia anco se non ottengo nessuna delle altre cose che la natura desidera. Se sarò tentato e travagliato da molte tribolazioni, non temerò alcun male finché avrò con me la tua grazia. Essa è la mia forza, essa mi dà consiglio ed aiuto. Essa è più potente di qualsiasi nemico e più sapiente di tutti i sapienti. 6. Essa è maestra di verità, regola di disciplina, luce del cuore, conforto nelle angustie, fugatrice di tristezza, sbanditrice di timore, alimento alla devozione, produttrice di lacrime. Che cosa son io senza di lei, se non un arido legno e uno sterpo inutile da gettarsi via? «Fa’ dunque, o Signore, che la tua grazia sempre mi prevenga e mi accompagni e mi faccia ognora intento ad opere buone per i meriti di Gesù Cristo tuo Figliuolo. Così Sia. (lib. III, cap. 55).

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NATURA E GRAZIA 1. L’Autore dell’Imitazione considera in questo capitolo la natura umana decaduta inclinata al male come conseguenza del peccato originale, e così mette in rilievo giustamente il contrasto alla grazia. Ma sotto le incrinature, e fra gli impulsi disordinati delle passioni dobbiamo riconoscere che la natura umana è buona, ordinata a Dio, capace di fare il bene, con una profonda tendenza all’infinito. A questa natura buona la grazia non dice contrasto, ma perfezionamento, trascendenza, quasi divino coronamento. Coi germi del peccato non dominati si arriva a Caino, a Nerone, al sanguinario; con l’aiuto della grazia, quella stessa natura sale al cielo con la Vergine, coi Santi di ogni paese. 2. Quando siamo alla pratica della vita cristiana, è facile trovare un rigorista che nella natura vede soltanto il disordine, che misconosce ogni terapia che non sia fatta di privazioni e di maltrattamenti, crede di perder tempo se vi dice una parola d conforto, e, consapevole o no, è pronto a rendervi la vita impossibile in nome della perfezione. È un giansenismo arrabbiato, radicalmente opposto allo spirito del Vangelo e alla pratica dei Santi. Non mancano nemmeno alcuni falsi maestri che considerano la vita spirituale come una più raffinata onestà, quasi un’estetica liturgica consacrata dal cerimoniale della tradizione, senza penitenza, senza Via Crucis. Molta attività, molta pubblicità, molte cerimonie, molta modernità: niente altro. Quando si prende il Vangelo e si riconosce nella Passione del Salvatore l’esemplare e la sorgente della nostra vita spirituale, allora comprendiamo il realismo dell’Imitazione, che dice la necessità della grazia per operare meritoriamente e soprannaturalmente, fedeltà alla grazia nel poema della nostra libertà santificata, corona di gloria conquistata nell’eroismo dell’amore. 3. Se io fossi eremita vorrei che la mia vita trascorresse a studiare la Divina Scrittura ed a leggere, imitando, la vita dei Santi. Sono stati eroici in tutte le condizioni, docili e fervidi discepoli dello Spirito Santo, sapienti fino a saper ricavare tesori di merito dalla incomprensione degli uomini, dai maltrattamenti subiti quasi sempre. Si direbbe che la dabbenaggine e la cattiveria umana si siano accanite su questi eroi dell’amore, e che la santità sia fiorita nei patimenti proprio come i fiori tra le spine. Come hanno fatto? Il segreto è nel capitolo dell’Imitazione sulla Grazia: nell’arte divina con la quale il Redentore lavora l’intima bellezza dei Santi; in quell’amore di Dio che produce la perfezione nelle creature. Se potessimo vedere ad occhio nudo il riflesso della bellezza di Dio sul volto di un Santo cadremmo in ginocchio estasiati, e capiremmo, in qualche modo, che cosà è il Paradiso. 4. Ma vicino ai Santi non manca quasi mai chi li faccia soffrire, qualche volta per incomprensione, altre volte per una malizia che ci resta difficile scusare. Il Santo fa tesoro di tutto quello che incontra per via; quello che non è santo piega tutto a proprio vantaggio utilitario e tolemaico. In questo contrasto vediamo proprio lo scenario storico, in cui si svolge il contenuto di questo capitolo: Natura e Grazia. Si direbbe che quando la grazia non corona la natura, questa uccide la grazia e peggiora se stessa.

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3 – VIA DELLA CROCE

QUANTO POCHI SONO GLI AMANTI DELLA CROCE

1. Gesù adesso ha molti che amano il suo regno celeste, ma pochi i quali portano la sua croce. Egli ha molti che desiderano consolazioni, ma pochi i quali desiderano tribolazioni. Egli trova parecchi compagni per la mensa, ma pochi per l’astinenza. Tutti bramano di godere con Lui; pochi hanno voglia di patire qualcosa per Lui. Molti seguono Gesù fino allo spezzare del pane, ma pochi fino a bere il calice della Passione. Molti venerano i suoi miracoli, pochi seguono l’ignominia della Croce. Molti amano Gesù, ma solo fintanto che non sopravviene loro qualche contrarietà. Molti lo lodano e benedicono finché ne ricevono delle consolazioni. Ma se poi Gesù si nasconde e per un poco li lascia, eccoli dare in lagnanze o cadere in un eccessivo abbattimento. 2. Invece quelli che amano Gesù per Gesù e non per qualche loro personale consolazione, essi lo benedicono tanto nelle tribolazioni di ogni sorta e nelle angustie del cuore, quanto in mezzo alle più grandi consolazioni. E anco se Egli non volesse mai conceder loro consolazione alcuna, sempre tuttavia lo loderebbero e sempre vorrebbero rendergli grazie. 3. Oh, quanto può l’amore di Gesù, allorché è puro e non vi si mischia per nulla il proprio interesse o l’amore di sé! Non meritan forse il nome di mercenari tutti coloro che cercan sempre consolazioni? Non si dimostrano forse amanti più di sé stessi che di Cristo quelli che pensano sempre ai loro vantaggi e guadagni? Dove si troverà un uomo che voglia servire Iddio gratuitamente? 4. Ben di rado si trova qualcuno così spirituale da essersi spogliato di tutto. Chi infatti troverà il vero povero in ispirito, spoglio di ogni cosa creata? «Il suo pregio è quale di cosa portata di lungi e dall’estremità della terra». (Proverbi, XXXI, 10) Se l’uomo desse via tutte le sue sostanze, ancora non sarebbe nulla. E se facesse gran penitenza, sarebbe ancora troppo poco. E se avesse appreso tutte le scienze, sarebbe ancora lontano dalla meta. E se possedesse una grande virtù e una ferventissima devozione, ancora gli mancherebbe molto, cioè una cosa sola e che è per lui sommamente necessaria. E qual’è questa cosa? Che egli, dopo aver rinunziato a tutto il rimanente, rinunzi a se stesso, si distacchi totalmente da se medesimo, e non si trattenga nulla dell’amore personale di sé. E quando avrà fatto tutto quello che sapeva di dover fare, pensi di non aver fatto niente. 5. Non dia egli gran peso a ciò che altri potrebbe stimare grande, ma veracemente si dichiari servo inutile secondo la parola della stessa Verità: «Quando avrete fatto tutto ciò che vi fu comandato, dite: Siamo servi inutili». Allora sì egli sarà davvero spoglio e povero in ispirito e potrà dire col Profeta: «Ecco, solo e povero son io». (Salm. XXIV, 16). Eppure, nessuno sarà più ricco, nessuno più potente, nessuno più libero di codest’uomo che sa rinunziare a se stesso e, a tutte le cose e mettersi all’infimo posto. (lib. Il, cap. 11)

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LA VIA REGALE DELLA SANTA CROCE 1. Duro sembra a molti questo linguaggio: «Rinunzia a te stesso; prendi la tua croce e segui Gesù». Ma ben più duro sarà sentirsi dire quelle finali parole: «Via da me, o maledetti, nel fuoco eterno!». Però quelli che ora ascoltano volentieri e seguono la parola della croce, allora non temeranno di dover udire la condanna eterna. Questo segno della croce apparirà nel cielo, quando il Signore verrà a pronunziare il suo giudizio. Allora tutti i servi della croce, i quali si conformarono in vita al Crocifisso, si accosteranno a Cristo, giudice con grande fiducia. 2. E dunque, perché temi di prendere quella croce, per la quale si sale al Regno? Nella croce è la salvezza, nella croce la vita, nella croce la difesa dai nemici; nella croce è infusione di celeste dolcezza, nella croce il vigore della mente, nella croce la gioia dello spirito; nella croce è la pienezza della virtù, nella croce la perfezione della santità. Non v’è salvezza per l’anima né speranza di eterna vita se non nella croce. Prendi dunque la tua croce e segui Gesù, e andrai verso la vita eterna. Ti ha preceduto Lui stesso portando la sua croce, ed è morto per te sulla croce, affinché anche tu portassi, la tua croce e aspirassi a morir sulla croce. Che se sarai morto insieme con Lui, pur con Lui egualmente vivrai; e se gli sarai stato compagno nella pena, gli sarai pure compagno nella glorie. 3. Vedi pertanto come tutto sta nella croce, e tutto consiste nel morirvi; né c’è altra via alla vita e alla vera pace interiore fuor della via della santa croce e della quotidiana mortificazione. Va’ dove vuoi, cerca tutto quel che vuoi; ma non troverai una via più sublime in alto né più sicura in basso, fuor che la via della santa croce. Disponi e ordina ogni cosa secondo il tuo volere e secondo il tuo parere; ma sempre troverai di dover patire qualcosa o per tua voglia o contro tua voglia; e così la croce la troverai sempre. Difatti, o soffrirai dolori nel corpo o sosterrai tribolazioni nell’anima. 4. Talvolta sarai abbandonato da Dio, tal’altra sarai travagliato dal prossimo, e, quel ch’è peggio, sovente sarai di peso a te stesso. Né tuttavia ci sarà alcun rimedio che ti liberi o conforto che ti sollevi; eppure bisogna che tu pazienti fino a quando Dio vorrà. Difatti Dio vuole che tu impari a sopportare le tribolazioni senza le consolazioni, e che ti assoggetti a Lui pienamente e così tu divenga, per via della tribolazione, più umile. Niuno sente così viva nel cuore la Passione di Cristo, come colui al quale sia toccato di patire pene alle Sue somiglianti. Adunque la croce è li ognora pronta e ti aspetta dappertutto. Dovunque tu corra, non la puoi sfuggire, perché dovunque andrai tu porti teco te stesso e trovi sempre te stesso. Voltati di sopra, voltati di sotto, volgiti in fuori, volgiti in dentro, dappertutto troverai la croce; e in ogni caso ti è necessario conservar la pazienza, se vuoi possedere la pace interiore e meritare la corona eterna. 5. Se porti volentieri la croce, essa porterà te e ti condurrà al sospirato fine, dove cioè sarà la fine del patire, quantunque non sarà quaggiù. Se invece la porti controvoglia, te ne fai un peso e si graverà ancora di più; e nonostante bisogna che tu la porti. Se getti via una croce, senza dubbio ne troverai un’altra e forse più pesante. 6. Credi di potere sfuggire tu a quello che nessun mortale poté mai evitare? Quale tra i Santi sulla terra fu mai senza croce e senza tribolazioni?

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Difatti anche Gesù Cristo, il Signore nostro, per tutto il tempo in cui visse quaggiù non stette un’ora sola senza i dolori della Passione. «Bisognava», dice Egli stesso, «che il Cristo patisse e risorgesse di fra i morti per così entrare nella sua gloria». Com’è dunque che tu cerchi una via diversa da questa via regale ch’è la via della santa croce? 7. Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio, e tu perché vai in cerca di riposo e di gioia? Sei in errore, ti ripeto che sei in errore, se cerchi altra cosa che patire tribolazioni; dacché tutta questa vita mortale è piena di miserie e segnata tutt’intorno di croci. E quanto più uno avanza nel profitto dello spirito, tanto più pesanti sono spesso le croci ch’egli trova, perché, crescendo l’amore, cresce anche la pena di vedersi in esilio. 8. Eppure un tal uomo, benché afflitto per tante guise, non è senza il sollievo di vere consolazioni, poiché si sente crescere dentro il grandissimo frutto che gli viene dal sopportare la sua croce. Difatti, mentre egli vi si sottopone di buon animo, tutto il peso della tribolazione gli si converte in fiducia nella consolazione divina. E quanto più la carne si consuma per via dell’afflizione, tanto più lo spirito si corrobora per l’interna grazia. Anzi, a volte esso si sente talmente confortato dall’affetto che ha verso le tribolazioni e le contrarietà nel suo vivo desiderio di conformarsi alla croce di Cristo, che nemmeno vorrebbe stare senza dolori e senza tribolazioni: ciò perché egli pensa che tanto più sarà accetto a Dio, quanto più numerose e più gravi saranno le pene ch’esso varrà a sopportare per amore di Lui. E codesto avviene non per virtù dell’uomo, ma per grazia di Cristo; la quale può ed opera nella debole carne tali prodigi da far imprendere ed amare con fervore di spirito ciò da cui l’uomo naturalmente sempre aborre e rifugge. 9. Difatti, la natura umana non è davvero inclinata a portare la croce, ad amare la croce, castigare il corpo e ridurlo in schiavitù, fuggire gli onori, sopportar volentieri le ingiurie, disprezzare sé medesimi e scegliere di essere disprezzati, soffrire ogni sorta di contrarietà anche con proprio danno, e non desiderare in questo mondo alcuna prosperità. Se consideri te medesimo, da te non potrai far nulla di tutto codesto. Ma se confidi nel Signore, te ne sarà data la forza dal cielo, e così riuscirai ad assoggettare al tuo dominio il mondo e la carne. E nemmeno avrai da temere quel tuo nemico ch’è il demonio, qualora tu sia armato della fede e segnato con la croce di Cristo. 10. Mettiti dunque, come buono e fedele servo di Cristo, a portare virilmente la croce del tuo Signore crocifisso per amore di te. Preparati a sostenere le molte contrarietà e i vari incomodi di questa misera vita, poiché così sarà per te, dovunque tu sia, così troverai dovunque tu ti vada a nascondere. E bisogna che sia così; né v’è altro modo per sfuggire alla tribolazione e al dolore dei mali terreni che aver pazienza con te stesso. Bevi avidamente il calice del Signore, se brami di essere suo amico e aver parte con Lui. Per le consolazioni rimettiti a Dio: quanto ad esse, faccia Lui come più gli piace. Tu invece accingiti a sostenere le tribolazioni, e stimale anzi grandissime consolazioni; poiché «i patimenti del tempo presente», anco se tu li potessi sostenere tutti quanti da te solo, «non son paragonabili alla gloria futura» ch’essi varranno a meritarli. 11. Quando sarai arrivato al punto che la tribolazione ti sia dolce e tu la gusti per amore di Cristo, allora sta’ sicuro che vai bene, poiché hai trovato il paradiso in terra. Ma fintanto che il patire ti riesce gravoso e tu cerchi di fuggirlo, è segno che vai male, e la tribolazione che tenti fuggire ti seguirà dappertutto.

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12. Se invece ti metti a far di te quello che devi, cioè a patire e a’ morire, andrai subito meglio e troverai la pace. Anco se tu fossi rapito come Paolo al terzo cielo, non per questo sei assicurato contro la sofferenza delle contrarietà. «Io», disse Gesù, «gli mostrerò quante cose dovrà patire per il mio nome». Dunque non ti resta che da patire, se ti piace amare Gesù e servirlo per sempre. 13. Ah, se tu meritassi davvero di patire qualcosa per il nome di Gesù! Che grande gloria sarebbe per te, che esultanza per tutti i Santi di Dio, e ancora qual’edificazione sarebbe per il prossimo! Tutti invero lodano la pazienza, quantunque sian pochi quelli che se la sentono di patire. E sarebbe giusto che tu patissi volentieri anche soltanto un poco per amore di Cristo, quando tanti patiscono ben più gravi disagi per amore del mondo. 14. Tieni per certo che bisogna tu conduca una vita di morte. E quanto più ognuno muore a se stesso, tanto più comincia a vivere a Dio. Nessuno divien capace a comprendere le cose del cielo, se prima non si è assoggettato a sopportare le contrarietà per amore di Cristo. Nulla è più accetto a Dio, nulla è per te più salutare in questo mondo che patire volentieri per amore di Cristo. E se lo scegliere stesse a te, dovresti piuttosto desiderare di patire contrarietà per amore di Cristo, anziché esser allietato da un’infinità di consolazioni, perché così saresti più somigliante a Cristo e più conformato a tutti i Santi. Difatti il nostro merito e il profitto del nostro stato non consiste nelle abbondanti dolcezze e consolazioni, bensì piuttosto nel sopportare le grandi amarezze e tribolazioni. 15. Se invero ci fosse stato qualcosa di meglio e di più utile per la salvezza degli uomini che il patire, Cristo certamente ce l’avrebbe indicato. Invece, sia i discepoli che lo seguirono sia tutti coloro che bramano di mettersi anch’essi alla sua sequela, Egli chiaramente li esorta a portare la croce dicendo: «Se uno vuoi venire dietro a me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Pertanto, dopo aver letto e meditato tutte queste cose, la conclusione finale sia «che, per entrare nel Regno di Dio, dobbiam passare attraverso molte tribolazioni». (Atti, XIV, 21); (lib. II, cap. 12)

COME DOBBIAMO RINNEGARE NOI STESSI E IMITARE CRISTO MEDIANTE LA CROCE

1. Il Signore. - Figliuolo, di quanto sarai capace d’uscire da te stesso, d’altrettanto potrai entrare in me. Come il non bramare nulla delle cose di fuori produce la pace interiore, così il lasciare internamente se stessi ci unisce con Dio. Ora io voglio insegnarti il perfetto abbandono di te medesimo alla mia volontà senza opposizione o lamento. Seguimi: «Io sono la Via, la Verità e la Vita». Senza Via non si va; senza Verità non si conosce; senza Vita non si vive. Io sono la Via che tu devi seguire; sono la Verità cui tu devi credere; sono la Vita che tu devi sperare. Io sono la Via inviolabile, la Verità infallibile, la Vita interminabile. Io sono la Via direttissima, la Verità suprema, la Vita vera, la Vita beata, la Vita increata. Se resterai nella mia Via, conoscerai la Verità, e la Verità ti farà libero e conseguirai la Vita eterna. 2. «Se vuoi entrar nella Vita, osserva i Comandamenti». Se vuoi conoscere la Verità, credi a me. «Se vuoi essere perfetto, vendi ogni cosa».

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Se vuoi essere mio discepolo, rinnega te stesso. Se vuoi possedere la vita beata, disprezza la vita presente. Se vuoi essere esaltato nel cielo, umilia te stesso in questo mondo. Se vuoi regnare con me, porta con me la croce. Perocché i soli servi della croce trovano la via della beatitudine e della vera luce. 3. Il Discepolo. - O Signore Gesù, poiché stretta fu la tua via e spregevole agli occhi del mondo, concedimi ch’io ti imiti nell’essere disprezzato dal mondo. Difatti, «il servo non è da più del suo padrone, né il discepolo, è sopra il maestro. Fa’ dunque che il tuo servo si eserciti nella tua vita, dacché in ciò consiste la mia salvezza e la vera santità. Qualunque cosa leggo o ascolto all’infuori di essa, non mi ricrea né pienamente mi diletta. 4. Il Signore. - Figliuolo, giacché sai tali cose e tutte le leggesti, te beato se le metterai in pratica. «Chi possiede i miei comandamenti e li osserva, quegli davvero mi ama; ed io amerò lui e a lui manifesterò me stesso», e lo farò sedere insieme con me nel regno del Padre mio. 5. Il Discepolo. Signore Gesù, si faccia davvero come tu hai detto e-promesso, e che mi avvenga di meritarlo. Ho preso, sì, dalla tua mano la Croce e la porterò, vedrai, la porterò fino alla morte, come tu me l’hai imposta. È vero, la vita del buon religioso è una croce, ma che conduce al Paradiso. Si è cominciato, e non è lecito tornare addietro né bisogna fermarsi. 6. Suvvia dunque, fratelli, andiamo avanti insieme, e Gesù sarà con noi. Per amore a Gesù noi abbiam preso questa croce, e per amore a Gesù perseveriamo nel portare la croce. Egli che è nostra guida e ci precede, sarà pure il nostro aiuto. Ecco, il nostro Re si mette in cammino dinanzi a noi, ed egli per noi combatterà. Seguiamolo virilmente, e nessuno si lasci vincere dalla paura: siamo pronti a morire da valorosi in guerra, né «macchieremo la nostra gloria» disertando la croce. (lib. III, cap. 56)

SULLA PRIVAZIONE DI OGNI CONFORTO 1. Non è poi troppo gravoso il disprezzare il conforto umano quando si ha quello divino. Invece è gran cosa, anzi grandissima, il sapere stare senza conforto né umano né divino, e sopportar volentieri per la gloria di Dio codesto esilio del cuore, non cercare per nulla se stessi e non guardare affatto al proprio merito. Che c’è di straordinario, se tu sei allegro e devoto quando a te accorre la grazia? Questi son momenti desiderati da tutti. Certo, assai piacevole cavalcare allorché la grazia di Dio ci porta. E qual meraviglia che non senta il suo fardello colui che è sorretto dall’Onnipotente ed è condotto dal sommo condottiero? 2. Ci piace di avere qualche cosa che ci consoli, e difficile è per l’uomo spogliarsi di se stesso. Si legge come il santo martire Lorenzo trionfò a un tempo sul mondo e sull’affetto verso il suo superiore; poiché da un canto disprezzò tutto quel che la terra gli offriva di piacevole, e dall’altro per amore di Cristo quietamente soffriva che gli strappassero dal fianco perfino il sommo sacerdote di Dio, il papa Sisto, che egli prediligeva su tutti. Così egli vinse l’amore per l’uomo con quello verso il Creatore, e all’umano conforto preferì il gradimento divino. Perciò anche tu impara a dover lasciare per, amore di Dio qualche congiunto ed amico a te caro. Che se è l’amico a lasciare te, guarda di non rattristartene di soverchio, sapendo che alla fine dovremo pure separarci tutti quanti gli uni dagli altri.

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3. Molto e a lungo deve l’uomo combattere dentro di sé, prima d’imparare a superare completamente sé stesso e a volgere a Dio tutto il proprio affetto. Quando l’uomo fa punto d’appoggio sé medesimo, cade facilmente nella ricerca delle consolazioni umane. Ma il vero amatore di Cristo e fervente seguace delle virtù non si abbandona a siffatte consolazioni, non cerca tali sensibili dolcezze, bensì piuttosto si adopera a sostenere forti prove e dure fatiche per amore di Cristo. 4. Pertanto, allorché Dio ti concede una consolazione spirituale, tu accettala pure con animo grato; ma intendi bene ch’essa è dono di Dio, non già merito tuo. Non te ne insuperbire, non te ne rallegrare fuor di misura, non presumere vanamente di te; anzi quel dono ti faccia più umile, e inoltre più cauto e più timorato in tutte le tue azioni: ciò perché quell’ora passerà e le terrà dietro la tentazione. Quando poi la consolazione ti sarà tolta, non devi subito disperarti, ma aspetta con umiltà e con pazienza la visita celeste, poiché Dio è potente a ridonarti una consolazione anche più grande. Non è codesta cosa nuova o strana a chi è esperto delle vie di Dio; giacché infatti i grandi Santi e gli antichi Profeti conobbero spesso tale sorta di avvicendamento. 5. Ond’è che uno di loro, sentendo in sé la presenza della grazia, diceva: «Io dissi nella mia prosperità: Non vacillerò in eterno». Ma, sparita la grazia, volendo esprimere quei che aveva provato, soggiungeva: «Voltasti da me la tua faccia, e son divenuto triste». Però frattanto non dispera per nulla, ma con più insistenza prega il Signore dicendo: «A te, o Signore, eleverò il mio grido, e al mio Dio innalzerò la mia supplica». Finalmente egli raccoglie il frutto della sua preghiera e attesta di essere esaudito dicendo: «Mi ascoltò il Signore ed ebbe pietà di me: il Signore divenne mio aiuto». Ma in che modo? «Hai mutato», dice «il mio pianto in gioia per me, e mi hai circondato di letizia». Se così furon trattati i grandi Santi, non dobbiamo disperare noi deboli e miseri se a volte ci sentiamo ferventi e a volte freddi; perocché lo Spirito viene e va secondo che piace al suo volere. Onde il beato Giobbe dice: «Tu visiti l’uomo allo spuntare dell’alba, e all’improvviso lo metti alla prova». 6. In che cosa dunque posso io sperare, o in che debbo confidare, se non nella sola grande misericordia di Dio e nella sola speranza della grazia celeste? Difatti, sia che abbia con me uomini dabbene, o fratelli devoti, o amici fedeli, sia santi libri o bei trattati, sia dolci canti ed inni, tutte queste cose poco mi giovano e mi sanno di poco, qualora la grazia mi abbandoni ed io sia lasciato solo nella mia miseria. Allora non c’è miglior rimedio che la pazienza e la rassegnazione dell’io alla volontà di Dio. 7. Non ho mai incontrato una persona per quanto religiosa e pia, alla quale talvolta non sia stata sottratta la grazia o che non abbia sentito diminuire il proprio fervore. Nessun Santo fu mai rapito così in alto e così illuminato che o prima o poi non fosse tentato. Invero non è degno dell’alta contemplazione di Dio chi per Iddio non sia stato travagliato da qualche tribolazione. Infatti la tentazione che viene adesso è, d’ordinario, segno della consolazione che verrà dopo. Poiché la consolazione celeste vien promessa appunto a coloro che furon provati dalle tentazioni. «A chi avrà vinto», dice la Scrittura «darò da mangiare l’albero della vita». 8. E la divina consolazione vien data all’uomo acciocché sia più forte a sostenere le contrarietà. Poi viene ancora la tentazione, perché egli non s’insuperbisca del bene che ha. Il diavolo non dorme, né la carne è ancora morta; perciò tu non cessare di prepararti alla lotta, perché a destra e a sinistra hai nemici che non riposano mai. (lib. Il, cap. 9)

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COME LA VERA CONSOLAZIONE VA CERCATA IN DIO SOLO 1. Il Discepolo. - Qualunque cosa io possa desiderare o pensare a mia consolazione, io l’aspetto non ora, ma in futuro. Ciò perché, anco se possedessi io solo tutte quante le consolazioni del mondo e mi fosse dato di goderne tutte le delizie, è certo ch’elle non potrebbero durare molto a lungo. Pertanto, o anima mia, non potrai essere appieno consolata né perfettamente rallegrata se non in Dio consolatore dei miseri e accoglitore degli umili. Quindi aspetta un poco, o anima mia, aspetta l’adempimento della divina promessa, e avrai su nel cielo abbondanza di ogni sorta di beni. Se invece ora tu brami in disordinata maniera i beni presenti, perderai quelli eterni e celesti. Le cose temporali siano per tuo uso, ma il desiderio tienlo fisso alle eterne. Nessuno dei beni temporali è capace di appagarti, poiché non fosti creata per godere di questi. 2. Anco se tu possedessi tutti quanti i beni creati, non potresti essere felice e beata; bensì in Dio, creatore di tutte le cose, sta la piena tua beatitudine e felicità, non quale la vedono e lodano gli stolti amatori del mondo, ma quale l’aspettano i buoni fedeli di Cristo e come talvolta la pregustano fin d’ora gli uomini veramente spirituali e mondi di cuore, di cui «la cittadinanza è nel cielo». Vana e breve è ogni consolazione umana. Consolazione beata e verace è quella che uno attinge internamente, dalla verità. L’uomo devoto reca dappertutto con sé il proprio consolatore Gesù, e gli dice: Sii meco, o Signore Gesù, in ogni luogo e in ogni tempo. Per me la consolazione sia questa: far volentieri a meno di ogni conforto umano. E se mi mancherà pur la consolazione che viene da te, la tua volontà e la giusta prova cui tu mi sottoponi, mi tengano luogo del più alto conforto. Perocché «non per sempre starai adirato, né sarà eterna la tua minaccia». (lib. III, cap. 16)

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VIA REGALE DELLA CROCE 1. Per quanto abbiano un tono di elegia, queste, pagine sulla via regia della Santa Croce sono bellissime e vere. Il dolore accompagna il peccatore sempre e dovunque, e per sentirlo meno bisognerebbe essere minorati. Nasce dalle nostre miserie, nasce dalle condizioni proprie della vita umana, nasce dalle persone moleste, nasce dalle donazioni del Signore che ci associa alla Sua passione per associarci poi alla Sua gloria. L’amore chiede il dolore come rimedio al peccato, la grazia ci dà la sete della purificazione, anche penosa; la redenzione fu attuata con la crocifissione del Giusto. Il cristiano non può essere un gaudente, il gaudente non capisce il cristianesimo. 2. L’Abate Cisneros, nell’Esercitàtorio della vita spirituale cap. 56, dice: «Si deve sapere che il nostro Redentore compì nella Sua passione perfettamente tutte le opere di perfezione che insegnò nel Vangelo. Perciò nella croce del Signore c’è il fine della legge e di tutta la sua scrittura; nella sua passione c’è la somma di tutta la perfezione, è nella sua morte il compimento di ogni parola. Di qui il detto di s. Paolo ai Corinti: non giudicai di sapere altro fra voi che Gesù Cristo e Cristo Crocifisso (I Cor. 11, 2) infatti conoscere questo è conoscere tutte le cose che sono utili alla salvezza». «La passione di Cristo sia la nostra regola di vita, e consoliamoci tanto di più quanto meglio ci vedremo a Lui conformi, e rattristiamoci quando ci vedremo lontani da questo esempio e a questa regola» (ivi cap. 57). Il tema centrale è sempre l’imitazione di Gesù! Niente di più utile e salutare che occupare la mente intorno alla vita di Gesù: perciò ogni giorno, in ora determinata, devi meditare qualche punto della Passione di Cristo (ivi cap. 52). «La vita, la passione e la morte del Redentore, sono la porta per la quale entriamo all’amore della Divinità». (Cisneros, cap. 8) «La vita del Salvatore non è altro che lo splendore dell’eterna chiarezza ad illuminazione delle anime». (ivi, cap. 24) «La passione di Gesù è la porta della contemplazione, e chi vuole entrare per altre vie si inganna». (ivi, cap. 47) I meriti infiniti di quel Sacrificio divino si comunicano a noi per le vie della carità e della sofferenza. Amare sinceramente sino a voler patire per il Signore, patire volentieri come espiazione, come purificazione, come trasformazione e palingenesi dell’anima; questo rinnova il mondo: il resto è umanesimo e vana letteratura. Troppi surrogati nella nostra formazione morale, troppe pratichette di stile omeopatico e poca coerenza sincera e schietta di tutta la vita alla verità e alla grazia! La sofferenza portata con amore incide nell’anima e nel volto i lineamenti di Gesù, il carattere di redenti, i segni della predestinazione. 3. Ma c’è bisogno di molta disciplina e cilizio, di nascondersi nel deserto come i monaci della Tebaide, di vestirsi di sacco e girare il mondo come un nomade o un esiliato? Non è necessario. State al vostro posto con modestia, vivete alla presenza di Dio con lo spirito del Vangelo, amate il prossimo sopportandolo e aiutandolo, senza la leggerezza degli svagolati e senza la posa dei presuntuosi, combattete il male e operate il bene: non vi mancherà nemmeno la palma di un po’ di martirio! Ma confessiamo che tutto questo non è facile! Più comodo darsi da fare, agitarsi, affannarsi, che restare fedeli ad un ritmo di vita cristiana coerente e perseverante. Questa è la via regia della Santa Croce. A chi mi chiese un cilizio risposi che non ne avevo, e consigliai di sopportare bene le pene che capitano ogni giorno. Mi fu risposto che questo era troppo difficile, e perciò chiedeva quell’altro! Con la sofferenza e con la pazienza bene intesa e bene praticata si può compier il nostro purgatorio prima della morte. Via regia della Santa Croce!

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TERZO GIORNO

1 – VERITÀ E COERENZA 1. Felice colui che la Verità ammaestra direttamente, non per mezzo di figure e di voci che passano ma come sta in sé medesima. La nostra opinione e il sentimento spesso c’ingannano e vedono poco in là. Che giova il gran sottilizzare intorno a cose occulte e astruse che se le avremo ignorate non per questo saremo accusati nel finale Giudizio? Enorme stoltezza è trascurare le cose utili e necessarie per occuparci così volentieri di quelle curiose e nocive: abbiamo gli occhi e non vediamo. 2. Quegli cui parla il Verbo eterno si viene a districare dalla moltitudine delle opinioni. Dall’unico Verbo procedono tutte le cose e tutte parlano quell’unico Verbo; ed esso è il Principio che parla anche a noi. Senza di Lui nessuno intende o giudica rettamente. L’uomo per il quale tutte le cose son l’Uno e che tutte all’Uno le radduce e tutte nell’Uno le vede, quegli può avere il cuore ben fermo e riposare pacifico in Dio. O Dio Verità, fammi una cosa sola con te nel tuo perpetuo amore! Spesso mi attedia il molto leggere e il molto ascoltare; in te trovo tutto quello che cerco e desidero. Tacciano ormai tutti i maestri, ammutoliscano in tua presenza tutte le creature: parlami tu solo. 3. Quanto più uno starà in sé raccolto e quanto più semplice si sarà fatto interiormente, tanto più cose e più sublimi egli intenderà senza fatica, perché allora il lume per intendere lo riceve dall’alto. L’anima pura, semplice e ben ferma non si disperde in tante operazioni, perché tutto opera a onore di Dio e quanto a sé si sforza di non occuparsi affatto nella ricerca del proprio io. Chi t’impaccia e ti molesta più della immortificata affezione del tuo cuore? L’uomo virtuoso e pio dispone prima dentro di sé le azioni che poi dovrà compiere esternamente. Né esse trascinano lui verso i desideri della sua perversa inclinazione, ma egli stesso le piega al volere della retta ragione. Chi incontra più dura battaglia di colui che si sforza a vincere se stesso? E appunto questo dovrebb’essere il nostro grande affare: vincere noi stessi, diventare ogni giorno più forti e progredire in qualche cosa verso il, meglio. 4. In questa vita ogni perfezione si accompagna con alcunché d’imperfetto, e ogni nostra investigazione è sempre più o meno velata di caligine. L’umile conoscenza di te stesso è strada più sicura per andare a Dio che le indagini approfondite della scienza. Non già che sia da incolparne la scienza o la semplice notizia d’una cosa, le quali son buone considerate in se medesime e rientrano nell’ordine voluto da Dio; però ad esse è ognora preferibile una buona coscienza e una vita virtuosa. Ma poiché molti mettono più impegno a sapere che a ben vivere, perciò traviano e non ne riportano se non poco o punto frutto. Ah, se costoro nell’estirpare dall’anima i vizi e innestarvi le virtù ponessero tanta diligenza quanta ne pongono a muovere questioni, non avverrebbero tanti mali e scandali nel popolo, né ci sarebbe sì gran rilassatezza nei conventi. Certo, quando verrà il giorno del Giudizio, non ci sarà domandato quel che avremo letto, ma quel che avremo fatto; e nemmeno, se fu elegante il nostro parlare, ma se fu religiosa la nostra vita. Dimmi, dove sono adesso tutti quei signori e maestri che tu conoscevi così bene quando erano ancora vivi e tanto fiorivano negli studi? Ormai altri godono le loro prebende, e chissà se questi neppure pensano più a loro. In vita sembrava fossero qualcheduno, e adesso non se ne parla più.

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6. Ahi, come presto passa 1a mondana gloria! Se almeno la vita di costoro si fosse accordata col sapere! Allora, sì, avrebbero studiato e letto bene. Quanti nel secolo si rovinano per amore d’una vana scienza, mentre così poco si curano del servizio di Dio! E poiché antepongono l’esser grandi all’esser umili, perciò si smarriscono nei loro vani pensieri. Veramente grande è chi possiede una grande carità. Veramente grande è chi dentro si fa piccolo e stima un niente i culmini della gloria. Veramente saggio è chi tutte le cose terrene tiene in conto di letame a fin di guadagnarsi Cristo. E veramente dotto è chi fa la volontà di Dio e rinunzia alla volontà propria. (lib. I, cap. 3)

SUL MODO DI LEGGERE I LIBRI SANTI 1. Nei libri santi dobbiamo cercare la verità e nell’eloquenza. Ogni scritto sacro va letto con quello spirito con cui fu composto. Dobbiamo cercare nei libri santi piuttosto l’utilità per la vita che la finezza dello stile. Inoltre dobbiamo leggere i libri devoti e semplici così volentieri come quelli sublimi e profondi. Non ti dia pensiero l’autorità dello scrittore, se fu uomo di poche o di molte lettere; bensì il motivo che ti spinge a leggere sia l’amore alla pura verità. Non cercare chi ha detto così, ma attendi a ciò che vi è detto. 2. Gli uomini passano, ma «la verità del Signore rimane in eterno»; infatti, senza guardare alle persone di cui si serve, è sempre Iddio che ci parla in vari modi. Un ostacolo frequente nel leggere le Sante Scritture è la nostra curiosità, la quale vorrebbe capire a fondo e discutere dove bisognerebbe passar oltre così, semplicemente. Se vuoi trarne profitto, leggi con umiltà, con semplicità e con spirito di fede né mai t’importi d’aver fama d’uomo di scienza. Interroga volentieri e ascolta in silenzio le parole dei Santi, e non ti dispiacciano le parabole dei vecchi poiché non vengono raccontate senza una ragione. (lib. I, cap. 5)

COME LA VERITÀ PARLA INTERNAMENTE SENZA RUMORE DI P AROLE 1. Il Discepolo. - «Parla, o Signore, ché il tuo servo ti ascolta». «Servo tuo io sono; dammi intelligenza per conoscere le tue massime». Piega il mio cuore verso le parole della tua bocca; e stilli come rugiada il tuo linguaggio. Dissero una volta a Mosé i figli d’Israele: «Parla tu a noi, e ti ascolteremo; non ci parli il Signore, ché non si abbia a morire». Non così, o Signore, non così io prego; ma piuttosto col profeta Samuele umilmente e ardentemente ti supplico: «Parla, o Signore, ché il tuo servo ti ascolta». Non mi parli Mosé né alcuno dei Profeti; ma tu piuttosto parlami, o Signore Iddio, poiché sei tu che ispiri e illumini tutti quanti i Profeti, e tu senza di loro mi puoi perfettamente ammaestrare, mentre essi senza di te non riuscirebbero a nulla. 2. Costoro possono, sì, far risonare le parole, ma non comunicare lo spirito. Dicono bellissime cose, ma se taci tu, non infiammano il cuore. Insegnano la lettera, ma tu ne sveli il senso. Espongono i misteri, ma tu schiudi l’intelligenza delle cose adombrate. Insegnano i precetti, ma tu aiuti ad adempierli. Essi mostrano la via, ma tu dai la forza per camminare. Quelli agiscono soltanto all’esterno, ma tu ammaestri e illumini i cuori.

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Essi irrigano dal di fuori, ma tu doni la fecondità. Essi gridano le parole, ma tu concedi all’udito d’intenderle. 3. Quindi non mi parli Mosé, ma tu parlami, o Signore Dio mio, Verità eterna, affinché io non abbia a morire e restare senza frutto, qualora fossi solamente ammonito di fuori e non infiammato di dentro. Affinché non mi sia motivo di condanna la parola udita e non praticata, conosciuta e non amata, creduta e non osservata. Adunque «parla, o Signore, ché il tuo servo ti ascolta»; perocché «tu hai parole di vita eterna». Parlami, per una qualche consolazione dell’anima mia, per l’emenda di tutta la mia vita, come pure a lode e gloria e perpetuo onore tuo. (lib. III, cap. 2).

COME LE PAROLE DI DIO VANNO ASCOLTATE CON UMILTÀ, E TANTI INVECE NON LE ASCOLTANO

1. Il Signore. - Ascolta, figliuolo, le mie parole, parole dolcissime che, sorpassano tutta quanta la scienza dei filosofi e dei sapienti di questo mondo. «Le mie parole sono spirito e vita», e non vanno considerate a norma del senso umano. Non bisogna trarle fuori per vana compiacenza, ma vanno ascoltate in silenzio ed accolte con tutta umiltà ed affetto grande. 2. Il Discepolo. - E io dissi: «Beato l’uomo che tu istruisci, o Signore, e lo ammaestri nella tua legge per sollevarlo nei giorni tristi» e perché non sia desolato sulla terra. 3. Il Signore. - Io, dice il Signore, fin dal principio ammaestrai i profeti, e anche ora non cesso mai di parlare a tutti quanti; ma molti sono sordi e insensibili alla mia voce. La maggior parte ascoltano più volentieri il mondo che Dio, e van dietro più facilmente alle brame dei sensi che alla divina volontà. Il mondo promette cose temporali, e meschine, ed è servito con grande ardore: io prometto beni sommi ed eterni, e i cuori dei mortali rimangono ghiacci. Chi è che mi serva e mi obbedisca in tutto con la stessa grande premura con cui vengono serviti il mondo e i suoi padroni? « Vergogna a te, o Sidone! » così grida il mare. E se tu ne chiedi la causa, odi perché. Per un meschino guadagno si corre un lungo viaggio, e per la vita eterna tanti appena una volta alzano il piede da terra. Si va in cerca del vile denaro; qualche volta si litiga in vergognosa maniera per via d’una moneta; non si bada a faticare giorno e notte per un oggetto vano, per una promessa da nulla. 4. Invece, oh vergogna! per un bene incommutabile, per un premio inestimabile, per un massimo onore e una gloria che non ha termine ci si mostra pigri anche davanti a una leggera fatica. Arrossisci dunque, servo infingardo e piagnucoloso, dal momento che quelli si fan trovare più pronti alla perdizione che tu alla vita. Più si rallegrano costoro per la vanità che tu per la verità. Eppure quelli si trovano sovente delusi nelle loro speranze; invece la mia promessa non inganna nessuno, né rimanda a mani vuote chi ripone la sua fiducia in me. Quel che ho promesso, io lo darò; quel che ho detto, io l’adempirò; purché, s’intende, uno rimanga fedele all’amor mio sino alla fine. Io ricompenso tutti quei che sono buoni, e metto a strenua prova tutti quei che sono a me devoti. 5. Scrivi nel tuo cuore le mie parole e meditale con diligenza, perché nell’ora della tentazione ti saranno sommamente necessarie. Ciò che non capisci ora leggendo, lo intenderai il giorno che ti verrò a visitare.

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In due modi io soglio visitare i miei eletti, cioè mediante la tribolazione e mediante la consolazione. E ogni giorno do loro due lezioni: con una riprendo i loro vizi, con l’altra li esorto a progredire nelle virtù. Chi ode le mie parole e le disprezza, ha chi lo giudicherà nell’ultimo giorno. 6. Preghiera per implorare la grazia della devozione: O Signore Dio mio, tu sei ogni mio bene. Ma chi son io da osare di parlarti? Sono un poverissimo tuo piccolo servitore ed un vile vermiciattolo, molto più povero e spregevole di quanto so o ardisco dire. Ricordati dunque, o Signore, che io non son nulla, non ho nulla, non valgo nulla. Tu solo sei buono; giusto e santo; tu puoi tutto, ci dai tutto, riempi tutto, vuoto lasciando solo il peccatore. «Rammentati delle tue misericordie» e riempimi il cuore della tua grazia, tu che non vuoi rimangano vuote le opere tue. 7. Come posso sopportarmi in questa misera vita, se non mi conforteranno la tua misericordia e la tua grazia? «Non nascondermi la tua faccia»; non indugiare la tua visita; non mi privare della tua consolazione, affinché «l’anima mia non divenga davanti a te come terra senz’acqua». O Signore, «addestrami a fare la tua volontà», insegnami a vivere degnamente e umilmente al tuo cospetto, poiché la mia saggezza sei tu, che mi conosci secondo verità e mi hai conosciuto prima che il mondo fosse fatto e prima ch’io venissi al mondo. Chi fa grande stima di cosa che non sia il solo unico immenso eterno Bene, resterà per sempre meschino e giacerà nelle bassure. Mentre, ciò che non è Dio è nulla e come nulla va stimato. Grande è il divario tra la sapienza d’un uomo illuminato e pio, e la scienza d’un chierico letterato e studioso. La dottrina che deriva dall’alto per influsso divino, è molto più nobile di quella che si acquista con fatica dall’ingegno umano. 3. Si trovan parecchi i quali aspirano alla contemplazione, ma non cercano di mettere in opera i mezzi che si richiedono per giungervi. Un grande ostacolo è che ci si ferma ai segni esteriori e agli oggetti sensibili e poco si bada alla perfetta mortificazione. Non so davvero che cosa sia, quale spirito ci guidi, qual pretesa sia la nostra, noi cui sembra di poter essere chiamati uomini spirituali, e poi ci prendiamo tanta pena e sì grandi preoccupazioni per cose transitorie e meschine mentre a fatica qualche rara volta pensiamo, stando perfettamente raccolti, alle cose dell’anima nostra. (lib. III, cap. 3)

COME DOBBIAMO VIVERE ALLA PRESENZA DI DIO IN VERITÀ ED UMILTÀ 1. Il Signore. - Figliuolo, cammina alla mia presenza nella verità, e cercami ognora nella semplicità del tuo cuore. Chi cammina alla mia presenza nella verità è sicuro dagli assalti nemici, e la verità lo renderà libero dai seduttori e dalle maldicenze dei cattivi. Che se è la verità a liberarti, allora sarai libero veramente, e non t’importerà nulla dei vani discorsi degli uomini. 2. Il Discepolo. - O Signore, è pur vero; ti prego, si faccia di me così come dici. La tua verità mi ammaestri; essa mi custodisca e mi conservi sino alla finale salvezza. Essa mi liberi da ogni mala affezione e da ogni disordinato amore; e camminerà teco con grande libertà di cuore.

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3. Il Signore. - Io, dice la Verità, t’insegnerò ciò ch’è giusto e «gradito al mio cospetto». Pensa a’ tuoi peccati con gran dispiacere e con acerbo dolore; e non credere mai d’esser qualche cosa per via delle tue opere buone. In realtà sei un peccatore soggetto e legato a tante passioni. Di tuo non fai che tendere al nulla; cadi facilmente e facilmente sei vinto, presto ti turbi e presto ti abbatti. Non hai cosa alcuna di cui tu ti possa gloriare, bensì moltissimo di cui ti devi umiliare, giacché sei molto più debole dì quanto tu sia capace di comprendere. 4. Pertanto, di tutto quello che fai, nulla ti sembri gran cosa. Nulla ti paia magnifico, nulla prezioso e ammirabile, nulla degno di alta stima, nulla sublime, lodevole e desiderabile, all’infuori di ciò ch’è eterno. Ti piaccia sopra ogni cosa l’eterna Verità, e sempre ti dispiaccia la tua immensa bassezza. Nulla devi tanto temere, tanto biasimare e fuggire, quanto le tue passioni e i tuoi peccati, i quali ti debbon dispiacere più che qualsiasi danno nella roba. Vi son taluni che non camminano alla mia presenza con sincerità, ma spinti da una certa curiosità e presunzione voglion sapere i miei segreti e comprendere i profondi consigli di Dio, mentre essi trascurano se medesimi e la loro salvezza. Costoro, avendomi contrario, cadono spesso in gravi tentazioni e peccati, appunto per la loro superbia e curiosità. 5. Temi i giudizi di Dio, paventa «l’ira dell’Onnipotente». Non ti mettere a discutere le opere dell’Altissimo, ma piuttosto esamina le tue colpe, in quante cose hai mancato e quante opere buone hai omesso di fare. Certuni fan consistere tutta la loro devozione nei libri, certi altri nelle immagini, altri infine nei segni e nelle forme esteriori. Alcuni mi hanno, sì, sulle labbra, ma nel loro cuore c’è poco o nulla. Però vi son altri che, illuminati nella mente e purificati nel cuore, sempre anelano alle cose eterne, mal volentieri senton parlare di quelle terrene, con dispiacere attendono alle necessità della natura; e sono appunto questi a intendere le parole, che lo Spirito di verità dice dentro di loro. Egli infatti insegna ad essi a disprezzare le cose terrene e ad amare quelle celesti, a trascurare il mondo e a desiderare ogni giorno e ogni notte il cielo (lib. III, cap. 4).

CONTRO I VANI GIUDIZI DEGLI UOMINI 1. Il Signore. - Figliuolo, fonda saldamente il tuo cuore in me, e quando la coscienza ti dichiara giusto e incolpevole, non temere l’umano giudizio. È buono, e salutare patire così, né del resto sarà troppo difficile per chi è umile di cuore e confida più in Dio che in se stesso. Molti hanno bisogno di discorrere, e perciò ad essi bisogna prestar poca fede. E poi, anche volendo, non è possibile contentar tutti quanti. Così Paolo, quantunque si studiasse di piacere a ciascheduno nel Signore e si facesse tutto a tutti, pure non gl’importava minimamente d’esser criticato dagli uomini. 2. Egli, per quanto era in lui e nelle sue forze, molto si adoperò per l’edificazione e la salvezza degli altri; ma ciò non impedì ch’egli fosse a volte mal giudicato e disprezzato. Perciò egli tutto rimise nelle mani di Dio che sapeva tutto; e contro le lingue di quei che sparlavano di lui o che pensavano di lui cose false e storte o che buttavano fuori quel che veniva loro alla bocca, egli ognora si difese con la pazienza e con l’umiltà. Tuttavia qualche volta anche rispose, affinché dal suo silenzio non prendessero scandalo i deboli.

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3. Chi sei tu da aver paura d’un uomo mortale, che oggi è vivo e domani è sparito? Temi Iddio e non paventerai le minacce degli uomini. Che può farti un uomo con le parole o con le ingiurie? Più che a te fa male a se stesso, e chiunque egli sia, non potrà sfuggire al giudizio di Dio. Tu abbi Iddio davanti agli occhi, e non ti mettere a contendere e a questionare con’ gli uomini. Che se al presente ti paia di restare al disotto e di patire un’umiliazione non meritata, non ti sdegnare per questo e non sminuire con l’impazienza la tua corona; ma alza piuttosto lo sguardo in cielo verso me che son capace di liberarti da ogni umiliazione e da ogni ingiuria e rendere a ciascuno secondo le opere sue (lib. III, cap. 36).

CONTRO LA SCIENZA VANA E SECOLARESCA 1. Il Signore. - Non ti lasciar attrarre dai belli e sottili discorsi degli uomini; «perocché il regno di Dio non sta nella eloquenza ma nella virtù». Bada piuttosto alle mie parole che accendono i cuori e illuminano le menti, eccitano la compunzione e infondono consolazioni d’ogni sorta. Non leggere mai nulla con lo scopo di poter apparire più dotto e più sapiente. Attendi invece a mortificare le passioni, ciò che ti gioverà assai più della conoscenza di tante astruse questioni. 2. Anche quando avrai letto e imparato una gran quantità di cose, sempre ti converrà tornare all’unico principio. Infatti son io che insegno, all’uomo, la scienza e do’ ai fanciulli un’intelligenza più chiara di quanto possa fare l’insegnamento di un uomo. Quegli cui io parlo, diverrà in breve sapiente e molto profitterà nello spirito. Guai a coloro che cercano di sapere dagli uomini tante curiosità, e poco o nulla si curano d’imparare la via di servirmi. Verrà tempo in cui apparirà il Maestro dei maestri, Cristo signore degli Angeli, per risentire a tutti la lezione, ossia per esaminare la coscienza di ciascheduno. Ed allora Egli «frugherà Gerusalemme con le lanterne», e si faranno manifesti i tenebrosi nascondigli, e taceranno le argomentazioni delle umane lingue. 3. Son io che in un attimo sollevo la mente umile, sicché apprenda più cognizioni dell’eterna verità, che se uno avesse studiato dieci anni nelle scuole. Io insegno senza strepito di parole, senza confusione di opinioni, senza pompa di cariche, senza lotta di argomenti. Son io che insegno a disprezzare le cose terrene, ad avere a noia quelle presenti, a cercare le eterne e a gustarle, a fuggire gli onori, a scansare gl’inciampi, a riporre in me ogni speranza, a non bramare nulla fuori di me, e ad amare me ardentemente al disopra di tutte le cose. 4. Taluno infatti, col solo amarmi dall’intimo del cuore, imparò cose divine e seppe dire cose mirabili. Costui fece più profitto abbandonando ogni cosa che studiando le più sottili questioni. Se non che, ad alcuni dico cose comuni, ad altri speciali; a certi mi manifesto in maniera soave per mezzo di simboli e di figure, a certi altri rivelo i misteri in un fulgore di luce. Il linguaggio dei libri è il medesimo per tutti, ma non tutti egualmente istruisce; ciò perché sono io che insegno internamente la, verità, io scruto i cuori, io conosco i pensieri, io promuovo le azioni e distribuisco a ciascuno secondo che giudico conveniente. (lib. III, Cap. 43)

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SAPERE E AMARE

1. A chi giudica superficialmente può sembrare che l’Autore squalifichi la cultura per esaltare la pietà; ma questo sarebbe un giudizio falso, perché l’Autore riprova solo quella cultura e quella scienza cerebrale che non suscita l’amore, che non dirige la pratica, che è fine a se stessa, gonfiandosi di orgoglio. Non basta avere ingegno se non abbiamo la bontà, del cuore. Il diavolo ha più ingegno di noi, e ha perduto Dio. Erano uomini di ingegno molti filosofi e molti uomini di governo, che sono passati nel mondo seminando orrori e stragi. Ma non siamo autorizzati a dir male della scienza, e dell’ingegno, che è dono di Dio, che ci è dato per riconoscere Dio e fare del bene. L’Autore dell’Imitazione è un uomo di mente elettissima.

2. Si deve riconoscere il primato della carità su tutte le virtù, della pietà sulla speculazione, ma questo non autorizza a fare l’apologia dell’ignoranza, o a credere che gli scemi siano la gente più adatta per il regno di Dio. È vero che il Signore scelse modesti discepoli per convertire il mondo, ma non dimentichiamo il giorno della Pentecoste e il magistero dello Spirito Santo. Per capire il magistero del Rivelatore, per leggere con qualche risultato le lettere di s. Paolo e di s. Pietro ci vuole un certo ingegno e il lume della fede. Si può avere più amore che conoscenza, ma la conoscenza suscita l’amore e l’amore chiede di capire e di essere capito. È vero che amor ipse notitia est, come dice s. Gregorio, ma è notizia all’intelletto non a se stesso; basta leggere la Scala di s. Giovanni Climaco, le Conferenze di Cassiano, l’Esercitatorio dell’Abate Cisneros per capire la nobiltà intellettuale di quei contemplativi, la necessità di una buona teologia proprio per non smarrirsi nella vita spirituale, e per corrispondere alla grazia sui sentieri della contemplazione. Pretendere che tutto ci venga per via miracolosa senza far nulla, è proprio tentare Dio. Quei mistici che credono di salire verso Dio squalificando la via dell’intelligenza si assomigliano a quegli altri che per amore della perfezione cercano di intendersi con un linguaggio mimico, rinunciando alle parole. E’ utile il silenzio di un saggio, non quello di uno scemo o di un muto!

3. Nella storia della cultura è celebre la controversia tra l’Abate Armando Le Bouthillier de Rancé, che non voleva gli studi fra i monaci, e Don Mabillon che li difendeva insieme con il suo Ordine intero. Bisogna leggere nel De Broglie (Mabillon et l’Abbaye de Sainz-Germain de Près, Paris, Plon, 1888, II volume) il cap. «L’Abbé De Rancé et le traité des Etudes monastiques». La violenza del focoso Trappista si scontra clamorosamente col sapiente e sovrano equilibrio del Mabillon: tutta la Francia prese parte viva a quel dibattito. L’incontro dei due combattenti mise in luce quanto vi era di meglio nell’animo loro, e Mabillon si dovette convincere come contrastare gli studi non porti all’umiltà nemmeno un Rancé, e questo ebbe la prova lampante che uno studioso magnifico può essere umile e santo, quando si chiama Mabillon. Ma sarebbe ideale se si potesse attaccare un Rancé alle costole di ogni studioso superbo, e un Mabillon alla cresta di ogni riformatore ignorante. Se per il pericolo di abusarne si dovesse interdirci l’uso delle cose, non ci sarebbe altra via che quella della morte. Nei capitoli dell’Imitazione si trova detto assai bene quello che c’era di vero nel fondo della controversia. Alcuni si fanno una mistica dell’ignoranza e sono fuori di strada; altri si fanno una mistica dello studio razionalistico, e sono miopi per orgoglio.

4. L’intelligenza ha un suo proprio itinerario. Primo, considera le cose che conosce e misteriosamente se ne arricchisce. Secondo, di questa dovizia si fa scala a maggiore elevazione, di più squisita responsabilità di vita, fino alla coerenza cristiana. A questo punto abbiamo la fede, la meditazione, il cristiano. Terzo, la meditazione non può fermarsi in se stessa senza correre rischio di diventare tolemaica; ma, se accesa di amore, diventa contemplazione, dono e conquista, pace e combattimento. Qui nasce il contemplativo, che può essere un monaco, un dotto, un politico. Quarto, se l’itinerario progredisce bene, il contemplativo lascia la solitudine e va in cerca di anime, come i Santi, come il Divino Maestro. Ex plenitudine contemplationis derivatur doctrina et praedicatio, II-II, q.188, a.6, ma se l’itinerario non progredisce o devia allora il presunto contemplativo diventa un quietista, dice male degli studi, diventa arcigno nella sua ruvidezza e bisogna pregare Dio perché non diventi un disertore, un eretico. La storia insegna qualche cosa anche a quelli che non imparano! E sono molti!

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2 – AMORE DI GESÙ

DELL’AMORE DI GESÙ SOPRA OGNI COSA 1. Beato chi intende che cosa sia ornare Gesù e disprezzare se medesimo per amor di Gesù. Bisogna lasciare gli oggetti amati per l’Amato, perché Gesù vuole che lo si ami da solo sopra ogni cosa. L’amore delle creature è fallace e mutevole; l’amore di Gesù è fedele e durevole. Chi si attacca alle creature caduche cadrà con esse; chi si abbraccia a Gesù starà saldo in eterno. Ama Lui e tientelo amico, perché nell’allontanarsi di tutti gli altri amici Egli non ti abbandonerà, né lascerà che alla fine tu ti perda. Un giorno, volere o no, bisognerà pure che tu ti separi da tutto. 2. In vita e in morte mantieniti vicino a Gesù, e rimettiti alla sua fedeltà poiché, quando tutti gli altri ti verranno meno, Lui solo ti potrà aiutare. Il tuo Diletto è di tal natura da non voler ammettere estranei, ma vuole soltanto Lui possedere il tuo cuore e dimorarvi come un re nel proprio trono. Se tu ti sapessi svuotare bene d’ogni creatura, Gesù dovrebbe abitare teco volentieri. Tu troverai ch’è quasi tutto perduto quanto avrai affidato agli uomini togliendolo a Gesù. Non ti affidare e non appoggiarti a una canna vuota; perocché «ogni carne è erba arida, ed ogni sua gloria come il fiore dell’erba cadrà». 3. Se guarderai soltanto all’esterna apparenza degli uomini, resterai facilmente ingannato. Che se negli altri cerchi consolazione e guadagno, molto spesso invece t’accorgerai di averci perduto. Se in ogni cosa tu cerchi Gesù, certamente troverai Gesù. Invece, se cerchi te stesso, troverai, sì, anche te stesso, ma per la tua rovina. Perocché l’uomo, quando non cerca Gesù, fa più danno a se stesso di quanto gliene facciano tutti i suoi nemici e l’intero mondo. (lib. II, cap. 7)

INTORNO ALLA FAMILIARE AMICIZIA CON GESÙ 1 - Quando c’è Gesù, tutto è buono e nulla pare difficile; invece quando non c’è Gesù, tutto riesce gravoso. Quando non è Gesù che parla dentro di noi, meschina è la consolazione; ma se Gesù dice anche una sola parola si prova una consolazione grande. Ricordiamo Maria Maddalena, che subito si alzò dal posto dove stava piangendo appena Marta le ebbe detto: «Il Maestro è qui, e ti chiama». Benedetta l’ora in cui Gesù chiama dalle lacrime alla gioia dello spirito! Come arido e duro è il tuo cuore senza Gesù! E come sei stolto e vano se brami altro oggetto fuori di Gesù! Non è forse codesto un danno peggiore che quello di perdere tutto il mondo? 2. Che ti può dare il mondo, senza Gesù? Essere senza Gesù è un insopportabile inferno, mentre essere con Gesù è un dolce paradiso. Se sarà con te Gesù, non v’è nemico che ti possa nuocere. Chi trova Gesù, trova un bene ch’è un tesoro, anzi il Bene ch’è sopra ogni bene. Invece, chi perde Gesù, perde moltissimo, e molto più che se perdesse tutto il mondo. Immensamente povero è chi vive senza Gesù, e immensamente ricco chi sa star bene con Gesù. 3. Grande arte è quella di saper vivere insieme con Gesù, e grande saggezza quella di sapersi conservare Gesù.

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Cerca di essere umile e pacifico, e Gesù sarà con te. Sii devoto e tranquillo, e Gesù resterà con te sempre. Ma se ti vorrai abbassare verso le cose esteriori, farai presto a scacciare Gesù e a perdere la sua grazia. E quando tu abbia scacciato Lui e lo abbia perduto, presso chi ti rifugerai, e chi cercherai allora per tuo amico? Ora, senza un amico non puoi vivere bene; e se prima di tutti non ti sarà amico Gesù, tu sarai troppo triste e desolato. Pertanto il tuo è un agire da stolto, se porrai in qualchedun’altro la tua fiducia e la tua gioia. È preferibile aver tutto il mondo contrario piuttosto che Gesù sdegnato. Perciò fra tutti i tuoi cari Gesù solo ti sia il sommamente diletto. 4. Tutti gli altri siano amati per Gesù, ma Gesù sia amato per sé stesso. Solo Gesù Cristo è singolarmente da amarsi, perché Lui solo è buono e fedele sopra tutti gli amici. Per Lui ed in Lui ti sian cari tanto gli amici quanto i nemici, e per tutti costoro bisogna tu lo preghi, affinché tutti Lui conoscano ed amino. Non devi mai desiderare di essere singolarmente lodato o amato, perché questo è proprio del solo Iddio, il quale non ha chi sia simile a Lui. Parimente, non devi volere che altri abbia il suo cuore occupato dall’affetto per te, né che tu stesso abbia il tuo occupato dall’affetto per altri; ma Gesù sia dentro di te come dentro tutti gli uomini buoni. 5. Sii puro e libero interiormente, senza impaccio di alcuna creatura. Devi essere spoglio e portare puro il tuo cuore a Dio, se vuoi aver riposo e gustare «come è soave il Signore». Al che in verità non giungerai, se non ti prevenga e ti attragga la sua grazia, sicché, svuotata l’anima e licenziatine tutti gli altri, tu possa unirti da solo a solo con Lui. Quando infatti la grazia di Dio entra nell’uomo, questi allora diviene potente a far tutto; e quando la grazia si ritira da lui, esso è povero e infermo e quasi lasciato solo ai colpi delle sferze. Ma anche in tale stato costui non si deve abbattere e disperare, ma rimettersi di buon animo alla volontà di Dio e sopportare a lode di Gesù Cristo tutto ciò che gli sopravvenga, perché all’inverno succede l’estate, e passata la notte ritorna il giorno, e dopo la tempesta il limpido sereno. (lib. II, cap. 8).

DOBBIMO CONFESSARE A CRISTO LE NOSTRA NECESSITÀ

E CHIEDERE LA SUA GRAZIA

Parole del Discepolo 1. O dolcissimo e amatissimo Signore che ora io devotamente anelo di ricevere, tu sai la mia debolezza e le necessità di cui soffro; sai in che gravi mali e colpe io sono immerso e come sovente sono oppresso, tentato, turbato e inquinato. Vengo a te in cerca di rimedio, e supplice ti domando consolazione ed aiuto. So di parlare a Uno che tutto conosce e cui è manifesto tutto il mio interno, e che solo mi può consolare e soccorrere. Tu sai di quali beni ho bisogno sopra tutti gli altri, e quanto son povero di virtù. 2. Eccomi davanti a te povero e ignudo, chiedendo grazia e implorando misericordia. Ristora questo tuo affamato mendicante, riscalda la mia freddezza col fuoco del tuo amore, illumina la mia cecità con la chiara luce della tua presenza. Convertimi in amaro tutte le cose terrene, in materia di pazienza tutte quelle gravose e contrarie, in oggetti di disprezzo e d’odio tutte le cose basse e create.

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Solleva il mio cuore a te nel cielo, e non mi lasciar vagare sulla terra. Fa’ che d’ora in avanti tu solo mi riesca dolce per sempre, giacché tu solo sei il mio cibo e la mia bevanda, l’amor mio e la mia gioia, la mia dolcezza e tutto il mio bene. 3. Ah, se tu volessi con la tua presenza accendermi tutto, abbruciarmi e trasmutarmi in te, così da fondere il mio spirito col tuo per la grazia dell’interna unione e lo struggimento d’un ardente amore! Non permettere ch’io parta da te arido e digiuno, ma agisci verso di me con misericordia, siccome mirabilmente spesse volte agisti verso i tuoi Santi. Qual meraviglia se io tutto m’infocassi di te e dentro me mi consumassi, dal momento che tu sei un fuoco ardente e che non si consuma mai, amore che purifica i cuori e illumina le menti. (lib. IV, cap. 16).

ARDENTE AMORE E INTENSO DESIDERIO DI RICEVERE CRIST O

Parole del Discepolo 1. Con somma devozione e amore ardente, con tutto l’affetto e fervore del cuore io desidero, o Signore, di riceverti, così come desiderarono di riceverti nella Comunione tanti Santi e tante persone devote, che a te massimamente piacquero per la santità della loro vita e si mantennero in un’ardentissima devozione. O Dio mio, amore eterno, mio unico bene e felicità interminabile; sì, io bramo di riceverti col più intenso desiderio e la più profonda reverenza che alcuno dei Santi ebbe mai o poté provare. 2. E quantunque io sia indegno di nutrire in me tutti quei sentimenti di devozione, nondimeno ti offro l’intero affetto del mio cuore, come se io solo avessi in me tutti quei soavissimi e infiammati desideri. Anzi, tutti i sentimenti che un’anima pia possa concepire e desiderare, io te li porgo e te li offro con la più profonda venerazione col più intimo fervore. Nulla io voglio serbare per me, ma di me stesso e di tutte le cose mie vo’ fare spontaneo e volenteroso sacrifizio a te. O Signore Dio mio, mio Creatore e mio Redentore, oggi io anelo di riceverti con quell’affetto, reverenza, lode ed onore, con quella gratitudine, dignità ed amore, con quella fede, speranza e purità, con cui ti desiderò e ti accolse la tua santissima Madre, la gloriosa Vergine Maria, quando all’Angelo che le annunziava il mistero dall’incarnazione, umile e devota rispose: «Ecco l’ancella del Signore, sia fatto a me secondo la tua parola». 3. E come il tuo beato precursore, quel più eccelso tra i Santi che fu Giovanni Battista, alla tua presenza esultò lieto nel gaudio dello Spirito Santo, mentre ancora era chiuso nel seno materno; e in seguito, vedendo Gesù che camminava tra gli uomini, disse con grande umiltà e affetto devoto: «L’amico dello sposo, quando esso è presente e lo ascolta, esulta di gioia udendo la voce dello sposo», così anch’io bramo di sentirmi infiammato da tali nobili e santi desideri e di presentarti me stesso con tutto il mio cuore. Onde ti offro e ti presento, per me e per tutti quei che si son raccomandati alle mie orazioni, i canti d’esultanza, gli affetti ardenti, i rapimenti di spirito, le soprannaturali illustrazioni e le visioni celesti di tutti i cuori devoti, insieme con tutte le virtù e le lodi che da qualsiasi creatura del cielo e della terra furono o saranno celebrate, talché tu sia da tutti degnamente lodato e glorificato in eterno. 4. Accogli, o Signore Dio mio, i miei voti e il mio desiderio di tributarti lodi senza fine e benedizioni senza misura, quali a buon diritto ti son dovute per l’immensità della tua inenarrabile grandezza.

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Queste io ti rendo e desidero di renderti in ciascun giorno e in ogni momento; e a renderti grazie e lodi insieme con me invito e supplico con affettuosa preghiera tutti gli spiriti celesti e tutti quanti i tuoi fedeli. 5. Te lodino «i popoli tutti quanti ed ogni tribù ed ogni lingua», e glorifichino il santo e soavissimo tuo nome con grandissima esultanza e fervente devozione. E tutti quelli che con reverenza e devozione celebrano il tuo sublime Sacramento e con piena fede lo ricevono, meritino di trovare presso di te grazia e misericordia, e umilmente ti preghino per me peccatore. E quando avranno conseguito la bramata devozione e l’unione gaudiosa con te, e si partiranno dalla sacra mensa celeste ben consolati e mirabilmente ristorati, si degnino di ricordarsi di questo poveretto ch’io sono. (lib. IV, cap. 17)

COME DOBBIAMO CERCAR RIPOSO IN DIO AL DISOPRA DI OG NI BENE E DONO 1. Il Discepolo. - In tutte le cose e al disopra di tutte, o anima mia, tu sempre cercherai di riposar nel Signore, perché Egli è l’eterno riposo dei Santi. O dolcissimo e amantissimo Gesù, fa’ ch’io riposi in te al disopra di ogni creatura: al disopra d’ogni salute e bellezza, d’ogni gloria ed onore, d’ogni potenza e dignità; al disopra d’ogni scienza e acume d’ingegno, d’ogni ricchezza ed arte, d’ogni gioia ed esultanza, d’ogni fama e lode; al disopra d’ogni soavità e consolazione, d’ogni speranza e promessa, d’ogni merito e desiderio; al disopra di tutti i doni e favori che puoi dare e trasfondere; al disopra d’ogni gaudio e d’ogni giubilo che l’anima può capire e sentire; e finalmente al disopra degli Angeli e degli Arcangeli, e di tutte le schiere celesti; insomma al disopra di tutti gli esseri visibili e invisibili, e di tutto ciò che non è te, o Dio mio! 2. Perocché tu, o Signore Dio mio, al disopra delle cose tutte sei ottimo, tu solo altissimo, tu solo onnipotente, tu solo immensamente bastevole e ricco, tu solo dolcissimo e sovrano consolatore; tu solo bellissimo e amorosissimo, tu solo sommamente nobile e glorioso al disopra di tutti gli esseri, e nel quale tutti i beni insieme e in perfetta maniera sono, come sempre furono e saranno. Perciò è manchevole e insufficiente qualunque cosa che all’infuori di te stesso tu mi doni, come qualunque cosa che di te riveli o prometti, se non vedo te né pienamente ti posseggo. Pertanto non può il mio cuore veramente riposare o pienamente appagarsi, se non riposa in te, levandosi sopra ogni dono ed ogni creatura. 3. O dilettissimo sposo dell’anima mia Cristo Gesù, amore purissimo, dominatore dell’universale creato; chi mi presta le ali della vera libertà per volare fino a te e in te posarmi? Quando mi sarà dato d’essere pienamente libero e di contemplare quanto sei dolce, o Signore Dio mio? Quando potrò raccogliermi totalmente in te, sì da non sentire me stesso per amore di te, ma te solo, sopra ogni senso e misura, nel modo che davvero non tutti conoscono? Ora invece io piango sovente, e con dolore porto la mia infelicità. Ciò perché in questa valle di miserie infiniti mali mi si fanno incontro, che molto spesso mi turbano, mi rattristano e mi annebbiano; e spesse volte m’impacciano, mi distraggono, mi allettano e mi intricano, sicché io non trovi libero accesso a te e non goda del tuo giocondo amplesso, ch’è ognora lì pronto per gli spiriti beati. Ti muovano, o Signore, i miei sospiri e questa desolazione che in tanti modi soffro sulla terra. 4. O Gesù, splendore dell’eterna gloria, tu conforto dell’anima pellegrinante, le mie labbra son mute dinanzi a te, e solo ti parla il mio silenzio. Fino a quando tarderà a venire il mio Signore?

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Venga a me, a questo suo poverello, e lo faccia contento. Stenda la sua mano e strappi da tante miserie quest’infelice. Vieni, su, vieni, poiché senza di te non un giorno, non un’ora mi sarà lieta, giacché la mia letizia sei tu, e senza te deserta è la mia mensa. Sono infelice, e come prigioniero e carico di catene, fino a quando tu mi ricrei con la presenza della tua luce, e mi rendi la libertà, e mi mostri il tuo volto amico. 5. Altri cerchino in vece tua altra cosa, qualunque loro aggrada, mentre a me nulla piace né piacerà se non tu, o mio Dio speranza mia, salvezza eterna. No, non tacerò né cesserò di pregarti, finché la tua grazia ritorni e tu mi parli internamente. Il Signore. - «Eccomi, son qui». Eccomi da te, poiché mi chiamasti. Le tue lacrime e il sospiro dell’anima tua, la tua umiliazione e la contrizione del tuo cuore mi hanno inclinato e condotto verso di te. 6. Il Discepolo. - E io dissi: Signore, io ti chiamai, ché desideravo di goderti, pronto a tutto respingere per amor tuo. Tu infatti per il primo mi hai eccitato a cercarti. Sii quindi benedetto, o Signore, il quale usasti tale bontà verso il tuo servo, secondo l’abbondanza della tua misericordia. Che può dire di più il tuo servo al tuo cospetto, se non umiliarsi profondamente innanzi a te, sempre memore com’è della sua iniquità e bassezza? - Perocché non v’è alcuno simile a te fra tutti gli esseri mirabili del cielo e della terra. Le tue opere sono grandemente buone, veraci i tuoi giudizi, e la tua provvidenza governa l’universo. A te dunque sia lode e gloria, o Sapienza del Padre; te lodi e benedica la mia bocca, l’anima mia insieme con tutte quante le cose create. (lib. III, capi 21)

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COL DIVINO MAESTRO 1. Il Concilio di Trento dice che la fede è l’inizio dell’umana salute, il fondamento e la radice di ogni giustificazione. (De Iustificat., 8). S. Ignazio mette il fine ultimo come il fondamento di quanto si deve fare per la nostra santificazione; santa Caterina da Siena come fondamento della città dell’anima mette il conoscimento di sé stessi e l’amore di Gesù che è via vera e vitale (Lett. 340). L’autore dell’Imitazione dice, con lo stesso titolo del suo libro e più col contenuto del medesimo, come la vita cristiana, la perfezione vera, sia necessariamente una imitazione di Cristo, attuata con la sua grazia. Questo è il centro, questo è il fondamento, questo è l’unico necessario, per i singoli e per la società. Che cosa è la Chiesa se non il Regno dell’imitazione di Cristo? 2. Vicino al Divino Maestro troviamo, il critico, il razionalista, lo Strauss, il Renan di ogni tempo, il Loisy di ogni popolo, che studiano, ascoltano, ruminano e poi non giungono alla fede, anche perché hanno violato i canoni della scienza. La santità non gli dice nulla, i miracoli sono sofisticati, la storia del cristianesimo li ha confusi, la passione e la sofistica hanno precluso le vie della fede, ma hanno compromesso i metodi della vera critica. Noi sappiamo che la fede non è la conclusione di un ragionamento, perché è dono di Dio; ma sappiamo ancora che la negazione eretica non è mai giustificata da un raziocinio sano. Si comprende l’ansia della ricerca, ma la negazione non è critica. 3. Vicino al Divino Maestro troviamo il credente, il vero Israelita che diventa discepolo del Salvatore, il Dottore della legge che diventa apostolo, il pescatore che diventa la colonna della Chiesa. Niente di più drammatico e spiritualmente di più grande che la storia della Chiesa nascente. I discepoli del Divino Maestro sono perseguitati da tutti, anche se fanno miracoli, anche se nel cielo della filosofia e della giurisprudenza vincono la gloria di Grecia o di Roma, anche se praticano eroicamente tutte le virtù. Qui è il mistero della fede, che non si conquista senza donazione, non si nega né si perde senza colpa. I miracoli dicono l’obbligo di credere quanto il Rivelatore Divino insegna; la Grazia dà l’attuazione di quel dovere compiuto ragionevolmente. Con la fede il cittadino del mondo diventa il cittadino della Chiesa, fa parte di una nuova generazione, forma quella gente santa e quel popolo cristiano che costituisce il miracolo della storia. Gente umile che non conosce idolatria, in contrasto ai superbi che si ribellano a Gesù Cristo per inginocchiarsi sempre agli idoli del mondo. E nella coerenza dell’amore alla fede corrisponde alla grazia, fiorisce in virtù e sale le scale della perfezione cristiana. 4. Il credente, professando la sua fede, diventa apostolo, perché non può non gridare che ha trovato il Maestro e il Salvatore del mondo. Col Divino Maestro condivide le sorti, ma salva se stesso e concorre alla salvezza di tutti. L’amore di Gesù è ascesi, è purificazione, santificazione. E chi non ama perseguita, perché è un miracolo cristiano anche questo che intorno a sé, Gesù non lasci indifferente nessuno. Bisogna arrivare all’amore di Dio passando per l’umanità di Gesù Cristo. L’incipiente contempla ed ama quanto in Gesù Cristo c’è di bello e di nobile. Il proficiente riconosce la divinità, adora i misteri, si accende di amore. Il perfetto, progredisce in questo amore, si unifica con la volontà di Gesù, desidera rendergli testimonianza e vive di Lui e per Lui. Niente di più bello di questa triplice considerazione descritta dall’Abate Cisneros nel 49 cap. dell’Esercitatorio della virtù spirituale. I santi sono molti e dobbiamo diventarlo tutti ma il Santificatore è uno solo, Gesù Cristo! Chiediamo al Signore che si faccia amare dalle creature ragionevoli, rese belle dalla sua munifica carità!

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3 – LA PACE

SUI MEZZI PER ACQUISTARE LA PACE E FAR PROFITTO NEL LO SPIRITO 1. Quanta pace potremmo godere, se non ci occupassimo dei discorsi e dei fatti degli altri e che non ci riguardano per nulla! Come invero può restare lungo tempo in pace chi s’immischia nelle faccende altrui, chi va in cerca d’avvenimenti esteriori, e poco o di rado si raccoglie in se stesso? Beati i semplici, perché godranno una grande pace. 2. Come fu che certi Santi riuscirono ad essere così perfetti e contemplativi? Fu perché si studiarono di mortificare compiutamente dentro di sé ogni desiderio terreno, e così poterono star uniti a Dio con tutte le fibre del loro cuore e attendere con libertà a sé medesimi. Noialtri invece siam troppo occupati con le nostre passioni e troppo ci affanniamo per le cose transitorie. Raramente arriviamo a sradicare del tutto anche un solo difetto, e non ci arde il desiderio di progredire ogni giorno; e perciò restiamo freddi e tiepidi. 3. Se fossimo morti interamente a noi stessi e liberi del tutto da impacci interiori, allora sì potremmo anche gustare le cose divine e sperimentare almeno un poco la contemplazione celeste. Ma l’unico e massimo impedimento è che non siamo sciolti dalle passioni e dalle concupiscenze, e non ci proviamo a entrare nel perfetto cammino dei Santi. Quando poi ci si para dinanzi una piccola contrarietà, ecco subito ci perdiamo di coraggio e facciamo ricorso alle umane consolazioni. 4. Se ci sforzassimo come soldati valorosi a tener durò nella battaglia, senza dubbio vedremmo scendere su di noi dal cielo l’aiuto del Signore. Egli, infatti, è pronto a soccorrere quei che lottano e sperano nella sua grazia, ei che ci procura le occasioni di combattere affinché ne usciamo vincitori. Se poi facciamo consistere il profitto, della vita religiosa unicamente in codeste osservanze esteriori, la nostra devozione finirà molto presto. Mettiamo invece la scure alla radice, e così, una volta purificati dalle passioni, possederemo la vera pace dello spirito. 5. Se riuscissimo ad estirpare anche un difetto all’anno, diverremmo ben presto perfetti. Ma purtroppo, al contrario, spesse volte ci accorgiamo di essere stati più buoni e più puri al principio della conversione, che non dopo parecchi anni dalla professione. Il fervore e il profitto dovrebbero crescere tutti i giorni; invece adesso ci pare gran che se uno riesce a conservare una parte sola del primitivo fervore. Basterebbe farsi un po’ di violenza in principio, perché in seguito potessimo fare ogni cosa con facilità e con gioia. 6. È duro, sì, lo spogliarci delle nostre abitudini; e ancora più duro è andare contro la propria volontà. Ma se non vinci le cose piccole e leggere quando potrai superare quelle più difficili? Resisti da principio alla tua inclinazione, e disimpara la mala consuetudine, che per caso ella non t’abbia a trascinare a poco a poco in maggiori difficoltà. Ah, se tu riflettessi quanta pace a te stesso e quanta gioia procureresti agli altri vivendo bene, sono certo che saresti ben più sollecito nel cercare il tuo spirituale profitto. (lib. I, cap. 11)

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DELL’UOMO BUONO E PACIFICO 1. Prima serbati in pace tu stesso, e allora potrai pacificare gli altri. Un uomo pacifico fa più bene che un uomo molto dotto. L’uomo dominato dalle passioni prende in mala parte anche il bene, e crede facilmente il male. Invece l’uomo buono e pacifico volge tutto in bene. Chi è veramente in pace, non sospetta di alcuno. Chi al contrario è malcontento e agitato, è in preda a sospetti diversi, e non sta quieto lui e non lascia quieti gli altri. Esso dice sovente quel che non dovrebbe dire, e omette di fare quel che più gli sarebbe utile. Esso guarda quel che dovrebbero fare gli altri e trascura quel che dovrebbe fare lui stesso. Prima, dunque, adopera lo zelo con te medesimo, e dopo potrai giustamente far lo zelante verso il tuo prossimo. 2. Tu sai molto bene scusare e colorire le tue azioni, ma non vuoi accettare le scuse degli altri. Invece, sarebbe più giusto che tu ti accusassi, e che scusassi il tuo fratello. Se vuoi esser sopportato, tu sopporta gli altri. Vedi quanto sei ancora lontano dalla vera carità e umiltà, la quale con nessuno si sa adirare o sdegnare se non contro di sé. Non è poi gran che lo stare in compagnia di persone buone e mansuete, essendo questa una cosa che piace naturalmente a tutti; ed ognuno sta volentieri in pace e ama di più quei che hanno gli stessi suoi sentimenti. Invece, il saper vivere in modo pacifico con persone moleste e cattive ovvero indisciplinate o a noi contrarie, questo sì ch’è una grazia grande e virile impresa degna d’altissima lode. 3. Vi sono alcuni che stanno in pace loro stessi e per di più vivono in pace con gli altri. Al contrario vi sono di quelli che non hanno pace loro né lasciano gli altri in pace, ma sono gravosi agli altri e ancor più gravosi a se medesimi. E vi son di quelli che si mantengono in pace loro stessi, e si studiano di ricondurre alla pace gli altri. A ogni modo, tutta la nostra pace in questa misera vita va riposta più nel sopportare umilmente le contrarietà che nel non subirle affatto. Chi sa meglio patire avrà pace più grande. Costui è il vincitore di se stesso, padrone del mondo, amico di Cristo ed erede del cielo. (lib. II, cap. 3)

QUATTRO COSE CHE APPORTANO ALL’ANIMA LA GRANDE PACE 1. Il Signore. - Figliuolo, ora t’insegnerò la via della pace e della vera libertà. 2. Il Discepolo. - Sì, o Signore, fa’ quanto dici, poiché molto mi aggrada l’udirlo. 3. Il Signore. - Figliuolo, prima, studiati di fare la volontà altrui piuttosto che la tua. Poi, preferisci sempre di possedere meno che più. In terzo luogo, cerca sempre di occupare un posto inferiore e anzi di sottostare a tutti gli altri. Infine, desidera sempre e prega che in te si compia totalmente la volontà di Dio. Ora, l’uomo che fa così entra nella regione della pace e della quiete. 4. Il Discepolo. - Quanta perfezione si racchiude in codesto tuo breve discorso! Son poche parole, ma piene di significato e ricche di frutto. Se invero io potessi fedelmente osservarle, non dovrebbe così facilmente nascere in me il turbamento. Difatti, ogni volta ch’io mi sento inquieto ed oppresso, trovo che mi sono appunto allontanato da codesto insegnamento. Ma tu che tutto puoi, e brami ognora il profitto delle anime, accresci in me la misura della grazia, affinché io riesca ad attuare la tua parola e operare la mia salvezza.

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5. Preghiera contro i mali pensieri. O Signore Dio mio, «non ti allontanare da me: o mio Dio, volgiti in mio aiuto»; poiché sono insorti contro di me pensieri diversi e grandi timori che affliggono l’anima mia. Come farò a passarvi in mezzo rimanendo illeso? Come farò a sgominarli?

6. Tu dici: «Io camminerò davanti a te e umilierò i potenti della terra». Io aprirò le porte del carcere e ti rivelerò le ricchezze dei luoghi nascosti.

7. Ah, Signore! Fa’ così come dici, e fuggano davanti alla ma faccia tutti i perversi pensieri. Questa è la mia speranza e il mio solo conforto: rifugiarmi presso di te in ogni mia tribolazione, in te confidare, invocarti dall’intimo del cuore e aspettare paziente la consolazione che proviene da te.

8. Preghiera per ottenere luce alla mente. Rischiarami, o Signore, con la chiarità dell’interno lume, e caccia via tutte quante le tenebre dall’abitazione del mio cuore. Metti un freno alle tante mie divagazioni stronca le tentazioni che mi fanno violenza. Combatti strenuamente per me ed abbatti le male bestie, voglio dire le varie concupiscenze lusingatrici, sicché «sia fatta pace mediante il tuo valore», e la pienezza della mia lode risuoni nell’aula santa, ossia nella coscienza pura. Comanda ai venti e alle tempeste; di’ al mare: «Calmati!» e al tramontano: «Non soffiare!». E sarà grande bonaccia.

9. «Manda fuori la tua luce e la tua verità», affinché risplendano sulla terra; poiché io son terra informe e vuota fino a quando non sarò da te illuminato. Effondi dall’alto la tua grazia; infondi nel mio cuore la celeste rugiada; somministra le acque della devozione, che scendano a irrigare la faccia della terra e a produrre frutti buoni ed ottimi. Risolleva la mia mente oppressa dalla gran mole dei peccati, e appendi alle cose celesti tutti i miei desideri in modo che, avendo gustato la dolcezza della beatitudine superna, ormai mi rincresca di pensare alle cose terrene.

10. Rapiscimi teco e strappami da ogni passeggera consolazione delle creature; perocché nessuna cosa creata è capace di quietare e consolare appieno la mia brama. Congiungimi a te con l’indissolubile vincolo del verace amore; giacché tu solo basti a chi ama, e senza te son frivolezze tutti i beni del mondo. (lib. III, cap. 23)

IN CHE CONSISTA LA DUREVOLE PACE DEL CUORE E IL VERO PROFITTO DELL’ANIMA

1. Il Signore. - Figliuolo, io ho parlato così: «Vi lascio la mia pace, vi do la pace mia; né ve la do a quel modo che ve la dà il mondo». Tutti desiderano la pace; ma non tutti si curano dei mezzi che portano alla vera pace. La mia pace è con gli umili e i mansueti di cuore; quindi la tua pace consisterà nella molta pazienza. Se mi darai ascolto e obbedirai alle mie parole, potrai godere d’una grande pace.

2. Il Discepolo. - Che debbo fare dunque?

3. Il Signore. - In ogni cosa stai attento a quel che fai e a quel che dici; ed ogni tua intenzione sia diretta al fine di piacere a me solo e di non volere o cercare niente all’infuori di me. Poi, non giudicare alla leggera le parole e le azioni degli altri, e non t’impicciare di cose che non ti furono affidate; se fai così ti potrà accadere di non turbarti se non poco o di rado. 4. Però, il non provar mai alcun turbamento e il non mai patire alcuna molestia d’animo o di corpo, ciò non è cosa del tempo presente, bensì la condizione della quiete eterna. Quindi non credere già di aver, trovato la vera pace se non senti alcuna afflizione, né che tutto allora vada bene quando nessun nemico ti fa soffrire, né che il perfetto stato sia quando tutto avviene secondo il tuo desiderio.

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E nemmeno devi stimare d’esser diventato un gran che o d’essere oggetto di particolare predilezione se provi dentro di te una fervida devozione e una viva dolcezza perocché non da codesto si conosce il vero amante della virtù, né in tali cose consiste il profitto e la perfezione dell’uomo. 5. Il Discepolo. - In che dunque consiste, o Signore? 6. Il Signore. - In questo: nell’offrire te medesimo con tutto il cuore alla divina volontà, senza cercare cosa di tuo né riguardo al poco né riguardo al molto, né per il tempo né per l’eternità; cosicché tu faccia sempre lo stesso viso e seguiti a ringraziarmi tanto nella prosperità quanto nell’avversità, tutto pesando con giusta bilancia. Se sarai così forte e costante nello sperare in guisa da disporre il tuo cuore a sopportare pene anche più gravi, pur quando ti venga tolta ogni consolazione interiore, e se frattanto non vorrai giustificarti quasi che tu fossi immeritevole di tali e sì gravi patimenti; ma invece proclamerai me giusto in tutte le mie disposizioni, e mi loderai chiamandomi santo: allora vorrà dire che tu cammini per la via vera e diritta della pace, e potrai nutrire la certa speranza che novamente vedrai con giubilo il mio volto. Che se poi giungerai al compiuto disprezzo di te stesso sappi che allora godrai l’abbondanza della pace, almeno per quanto è possibile durante il tuo pellegrinaggio sulla terra. (lib. III, cap. 25)

COME NON DOBBIAMO RIPORRE LA NOSTRA PACE NELLE UMAN E CREATURE 1. Il Signore. - Figliuolo, se riponi la tua pace in qualche persona per ragione di simpatia o di convivenza, ti troverai ognora instabile ed intricato. Ma se fai ricorso alla sempre viva e permanente Verità, non ti rattristerai per l’amico che parte o che muore. Su me deve poggiare il tuo affetto per l’amico, e per amore di me ha da essere amato chiunque ti è apparso buono e ti è molto caro in questa vita. Senza di me non vale né può durare l’amicizia, né è verace e puro un legame d’affetto quando non son io a stringerlo. Tu a cotali affezioni verso creature dilette devi essere morto in guisa da desiderare, per quanto è in te, di stare senza umana compagnia. L’uomo tanto più si avvicina a Dio, quanto più lontano rifugge da ogni consolazione terrena. E del pari, tanto più alto egli ascende verso Dio, quanto più basso discende dentro di sé e più spregevole diventa agli occhi propri. 2. Chi invece attribuisce a sé medesimo qualcosa di bene, impedisce alla grazia di Dio di venire in lui, perché la grazia dello Spirito Santo cerca sempre i cuori umili. Se tu sapessi perfettamente annientarti e svuotarti d’ogni amore per cosa creata, allora io dovrei versare in te l’abbondanza della mia grazia. Allorché tu riguardi le creature, ti si cela allo sguardo il Creatore. Impara a vincerti in ogni cosa per amor del Creatore, e così potrai giungere alla conoscenza delle cose divine. Se una cosa, sia pur minima la si guarda e la si ama in modo disordinato essa ci ritarda dal giungere al sommo Bene e ci guasta. (lib. III, Cap. 42)

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LE VIE DELLA PACE

1. Siamo tutti agitati; perché a molti manca la rettitudine dell’anima e la tranquillità della coscienza; a molti manca un pezzo di pane, un tetto, un vestito; a molti manca la salute fisica che, spesso, hanno perduto insieme a quella dell’anima; a tutti manca un governo forte e intelligente che impedisca la licenza dei violenti e garantisca la libertà degli onesti. Siamo agitatori, perché diventa rivoluzionario chi porta nell’anima l’anarchia, chi è in disgrazia di Dio diventa pericoloso socialmente, quando non sono in onore le virtù morali, imperversano i vizi capitali. Il pacifico, in queste condizioni, diventa un uomo raro, eroico, che raramente può diventare un pacificatore, difficilmente può far valere la sua sapienza, la legge del Vangelo, l’ideale cristiano. Ma Gesù è Re della pace nella lotta, nelle persecuzioni, nella morte. Non conosce odio, non lo trasporta l’ira. I martiri muoiono perdonando, i santi chiedono perdono al Giustificatore per sé stessi. Il pacifico soltanto è un cristiano autentico, che, se è tale, indubbiamente è il primo cittadino del mondo, e degno di essere accolto fra i cittadini di una Roma celeste. Ed i violenti? Qui si presenta un problema sociale, che può essere formulato così: trovare il modo di prevenire l’assassinio internazionale e ridurre all’impotenza il pazzo e il criminale che mettendo la miccia alle polveri diventa l’ammazzatore dei popoli.

2. Il problema è certamente solubile, in contrasto alle ideologie di chi considera la guerra come il ritmo normale della vita e si serve della ragione per giustificare l’assurdo; ma la soluzione include un minimo di ingegno e di onestà almeno nella maggioranza dei governi. Se la soluzione non viene attuata, certamente mancano quelle condizioni nel numero maggiore delle nazioni. Perché l’insegnamento dei Messaggi Pontifici non potrebbe diventare la base di una Costituzione internazionale, con arbitrato obbligatorio ed agile, in modo da sciogliere le questioni per altre vie che quello del duello di blocchi belligeranti con tutte le conseguenze che subiamo? È tanto difficile mettere in piedi un organismo internazionale, che in contrasto al liberalismo dei singoli e secondo immediate esigenze di bene comune, sciolga le questioni di carattere internazionale e applichi sanzioni immediate alla luce del giorno? Lo stesso antagonismo di interessi divergenti non potrebbe funzionare a comune vantaggio? Non abbiamo punti fermi né in campo scientifico né in campo morale; siamo i traditori della legge di Dio promulgata sul Sinai dalla Ragione e dalla Rivelazione e non combiniamo più nulla, ci travolgono le anarchie dei vizi capitali. Se una sanzione fisica, misteriosamente ed intelligentemente manovrata, funzionasse automaticamente sulla pelle dei politici e di molti altri, quel problema troverebbe una soluzione pratica e giusta nello spazio di un giorno.

3. Finita la guerra mondiale e costretti i superstiti a sperimentare le conseguenze sanguinarie e criminali dell’«inutile strage», tutti ci saremmo aspettati che uomini di governo, studiosi e semplici cittadini diventassero più saggi, scartassero i vecchi metodi rivelatisi inadatti, e tentassero subito vie nuove per un’epoca nuova. Invece dobbiamo constatare che, in contrasto agli insegnamenti dell’immane conflitto, ai sapienti richiami del supremo magistero pontificale, alle drastiche lezioni della fame e della morte, l’umanità ha imparato ben poco, siamo ritornati facilmente ai vecchi sistemi che originarono la guerra, e non si è visto nascere un organismo nuovo che potesse garantire la giustizia e la vita dei popoli sempre minacciata. Gli assurdi sociali imperversano come prima e peggio di prima; e così ci troviamo all’anarchia intellettuale nel campo della filosofia sociale e alla dittatura delle ideologie e dei partiti; al criterio di quantità espresso dalle maggioranze manovrate in contrasto al criterio di qualità espresso dall’onestà civile; alla licenza del male che spesso pretende imporre la schiavitù al bene; ad un puritanismo per le cose minori che tenta nascondere una vera iconoclastia dei valori dello spirito; e con la guerra siamo ad un ammazzamento internazionale per la pace e per la gloria dei popoli! Le parole di progresso e di civiltà si sprecano ancora, ma qui siamo al fallimento dell’ingegno e della dignità umana. L’orgoglio che è naturalmente anarchico e totalitario, o che si ammanti di individualismo nazionalistico, o sventoli una bandiera di universalità, esplode sempre nelle forme dell’insipienza e della barbarie, e con sanzione immanente punisce se stesso.

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Non è questo il momento di fare una crociata per il trionfo della intelligenza e dell’onestà? Stavo in quest’ordine di pensieri quando mi capitò in mano la terza edizione delle Institutiones Iuris Publici Ecclesiastici, di Mons. Alfredo Ottaviani, e nella lettura del primo volume, mi fermò il paragrafo 86 che ha per titolo: Bellum omnino interdicendum. Da un giurista di valore come Mons. Ottaviani nessuno si aspetta affermazioni che non siano in tono col tradizionale insegnamento della Chiesa, oppure non aderenti alle condizioni reali della società: anzi l’interesse e la novità di quelle pagine sta proprio in questo, cioè di essere applicazione nuova della dottrina cattolica alle nuove condizioni della società moderna, nella quale la guerra non si presenta più come l’onesta difesa di un popolo ingiustamente aggredito, o la rivendicazione di un diritto violato; ma, per le mutate condizioni, si presenta come un eccidio di innocenti e un’ingiuria dell’umanità. Non si nega il diritto di difendersi o la rivendicazione di un diritto leso; ma si dice che la guerra moderna non è più uno strumento di giustizia; e bisogna sostituirla con forme nuove di sanzioni più ragionevoli e meno disastrose. Fra la guerra antica e la moderna non c’è soltanto una differenza quantitativa, ma «in substantia rei, circa quam principia iuridica adstruuntur». Le facilitate comunicazioni fra i popoli rendono troppo frequenti le cause del conflitto; la strage non colpisce solo i militari ma tutto il popolo; la distruzione della popolazione e del patrimonio nazionale, che le armi della guerra moderna producono, rende miseri i popoli vinti e vincitori per lungo spazio di anni; le armi delle quali dispone oggi la guerra colpiscono rei ed innocenti senza distinzione, non possono essere disciplinate praticamente da nessuna norma giuridica e provocano un’esplosione di ferocia e di danni irreparabili; facilmente si formano blocchi di belligeranti in modo che ogni guerra diventa universale, e non c’è più modo di prevedere l’esito dì nessuna guerra e quindi misurarne la giustizia e la giustificazione onesta. In queste condizioni come si potrà avere una guerra giusta? Quale motivo può giustificare una strage bellica? La conclusione: praticamente non è mai lecito indire una guerra in tali condizioni. Non sarebbe più un atto di governo, ma un atto di universale distruzione. Questa finale si impone a tutti. Ma quanti ne tengono conto e prendono le determinazioni necessarie? Ciò premesso, nasce la questione sul modo di sciogliere i futuri contrasti. Mons. Ottaviani si richiama a Cicerone, il quale osserva «che ci sono due modi di far guerra: quella delle bestie, sbranandosi; e quello degli uomini, discutendo». A questa si deve ricorrere, se vogliamo agire da esseri ragionevoli. Mons. Ottaviani suggerisce che regni fra i popoli una formazione civile e religiosa che inclini l’animo alla comprensione, alla collaborazione, alla pace operosa, senza lotte di stirpi e senza imperialismi sanguinari. Ma, secondo l’insegnamento di Pio XII, la necessità di ristabilire la giustizia e garantirne l’ordine, può invocare il ricorso alla forza. Perciò si impone un metodo nuovo, o almeno rinnovato per dirimere le vertenze internazionali, cioè un organismo internazionale, un tribunale armato di sapienza e di sanzioni; un organismo che funzioni, che non si atrofizzi burocraticamente. Il canonista qui non si diffonde perché il suo non è un trattato di diritto internazionale, ma è la coscienza civile e cristiana di ogni paese che deve reclamare l’organizzazione della forza al servizio della pace, metodi nuovi a nuove esigenze. Contro ogni tirannia, contro ogni nequizia internazionale, che scatti e vibri una sanzione agile e forte, manovrata non da un parlamento ma da un Areopago di onesti e di saggi. Liberati dai pesi della guerra tutti i popoli acquisterebbero una prosperità che non può essere conseguita per altre vie. In questa organizzazione della giustizia internazionale, si deve lavorare perché fiorisca quella fraternità cristiana che è lo spirito del Vangelo e che dice il primato della bontà. Così la città terrena, bene governata secondo la ragione retta e la Rivelazione divina, prepara nella pace i cittadini della Città Celeste. La parola di Mons. Ottaviani ci mette sulla via di una doverosa revisione della filosofia della guerra, ed invita la stampa cattolica ad agitare questo problema perché trovi nella vita delle nazioni l’unica soluzione necessaria e benefica.

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QUARTO GIORNO

1 – TENTAZIONI

COME IN QUESTA VITA NON V’È SICUREZZA DALLE TENTAZI ONI

1. Il Signore. - Figliuolo, in questa vita non sarai mai sicuro, ma sempre finché vivi ti son necessarie le armi spirituali. Tu dimori in mezzo a nemici, e sei combattuto da destra e da sinistra. Quindi, se non ti ripari d’ogni lato con lo scudo della pazienza, non starai a lungo senza esser ferito. Inoltre, se non poni il tuo cuore stabilmente in me con la sincera volontà di patire ogni pena per amor mio, non potrai sostenere l’ardenza di codesta battaglia né raggiungere la palma vittoriosa dei beati. Bisogna perciò che tu attraversi virilmente ogni prova, e che adoperi forza di braccia contro gli ostacoli. Difatti al vincitore vien data la manna, e il neghittoso è lasciato in grande miseria.

2. Se cerchi il riposo in questa vita, come allora giungerai al riposo eterno? Non devi disporti a un lungo riposo, bensì a una grande pazienza. Cerca la vera pace non già in terra ma in cielo, non tra gli uomini né tra le altre creature ma in Dio solo. Per amore di Dio tu devi subire volentieri ogni prova, ossia fatiche, dolori, tentazioni, tormenti, ansietà, privazioni, infermità, ingiurie, maldicenze, rimproveri, umiliazioni, onte, correzioni e dispregi. Son queste le cose che servono alla virtù; queste provano il discepolo di Cristo; queste compongono la corona celeste. Io ti darò una mercede eterna per una breve fatica, e un’infinita gloria per una passeggera umiliazione.

3. Credi tu forse di poter sempre avere le spirituali consolazioni a tua volontà? Neppure i miei Santi le ebbero sempre, bensì affanni molti e svariate tentazioni e grandi aridità di spirito. Tuttavia sostennero pazienti ogni prova e confidarono più in Dio che in se stessi, ben sapendo come «i patimenti di questa vita non son paragonabili alla gloria futura», che quelli ci faranno meritare. Vorresti tu avere ora subito ciò che tanti a mala pena conseguirono dopo molte lacrime e grandi fatiche? «Attendi il Signore, opera virilmente» e fatti coraggio; guarda di non perdere la speranza e di non disertare il tuo posto, ma corpo ed anima metti a cimento con fermezza per la gloria di Dio. Io ti ricompenserò a dismisura, e sarò teco in ogni tribolazione. (lib. III, cap. 35)

COME DOBBIAMO REPRIMERE LE TENTAZIONI

1. Fintanto che viviamo in queste mondo non possiamo andar esenti da tribolazioni e tentazioni. Onde in Giobbe sta scritto: «Una tentazione è la vita dell’uomo sopra la terra». Perciò ognuno dovrebbe stare in guardia circa le proprie tentazioni e vegliare in preghiera, affinché il diavolo non trovi modo d’ingannarci, egli che mai dorme ma «va attorno cercando chi divorare». Nessuno è così perfetto e così santo da non subire talora delle tentazioni; e non ci è possibile andarne del tutto esenti.

2. Eppure le tentazioni, benché moleste e penose, spesse volte sono all’uomo grandemente utili, poiché per esse egli si umilia, si purifica ed acquista esperienza. Tutti i Santi passarono attraverso molte tribolazioni e tentazioni e ne trassero profitto.

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Mentre coloro che non seppero tener fronti alle tentazioni diventarono reprobi e si perdettero. Non v’è Ordine così santo né luogo così solitario che non vi si trovino tentazioni e contrarietà.

3. L’uomo finché vive non è mai perfettamente al sicuro dalle tentazioni, dacché la causa della tentazione è dentro di noi per il fatto che siam nati nella concupiscenza. Se una tentazione ovvero una tribolazione se ne va, ecco un’altra ne sopravviene; e sempre avremo qualcosa da soffrire, perché ormai abbiam perduto il bene della nostra felicità. Molti cercano di sfuggire le tentazioni, e invece vi s’imbattono, peggio di prima. Egli è che non le possiamo vincere con la semplice fuga: solo con la pazienza e con la vera umiltà diventiamo più forti di qualsivoglia nemico.

4. Chi scansa il male soltanto di fuori e non ne estirpa il germe, farà poco profitto; anzi più presto gli torneranno le tentazioni, e ne soffrirà peggio di prima. A poco a poco, mediante la pazienza e la costanza nelle prove, con l’aiuto di Dio, tu riuscirai a vincere meglio che essendo aspro e fastidioso verso te stesso. Nelle tue tentazioni, prendi molto spesso consiglio da altri, e verso chi è tentato non usare maniere dure, ma procura di consolarlo, come vorresti fosse fatto a te.

5. Principio di tutte le tentazioni funeste è l’incostanza dell’animo e la poca fiducia in Dio. Perocché come la nave senza timone è sbalzata qua e là dalle onde, così l’uomo languido e senza stabilità di propositi è in diversi modi tentato. Il fuoco prova il ferro e la tentazione l’uomo giusto. Spesse volte non si sa quel che possiamo; ma viene la tentazione e ci svela quello che siamo. Però bisogna stare vigilanti, specie verso il principio della tentazione; perché allora è più facile vincere il nemico, se non gli si dà tempo d’entrare per la porta del cuore, ma appena picchia gli si va contro fuori della soglia. Onde disse un poeta:

...combatti il principio, ché niente vale la medicina, se per lungo attendere ha ormai preso troppo piede il male.

Infatti, dapprima s’affaccia alle mente il semplice pensiero, indi è il vivido immaginare, poi la dilettazione e il moto perverso, e infine il consenso. E così il maligno nemico, se non gli resistiamo da principio, a poco a poco ci entra del tutto nell’anima. E quanto più uno sarà stato pigro a resistere, tanto più debole in sé stesso si farà giorno per giorno, e tanto più forte si farà l’avversario contro di lui.

6. Certuni le tentazioni più gravi le soffrono al principio della conversione, altri invece alla fine. E v’è chi sta male tutta la vita. Alcuni poi son tentati abbastanza leggermente; e tutto secondo la sapienza e la giustizia dell’ordinamento divino, il quale soppesa la condizione e i meriti degli uomini, e ogni cosa predispone per la salvezza de’ suoi eletti.

7. Perciò non dobbiamo disperare, quando siamo tentati; bensì con più fervore allora dobbiamo pregare Iddio che si degni di aiutarci in ogni nostra tribolazione, Lui che infatti, secondo la parola di san Paolo, «insieme con la tentazione provvederà pure lo scampo per poterla sostenere». Umiliamo pertanto le anime nostre sotto la mano di Dio, in ogni tribolazione e tentazione, poiché Egli salverà gli umili di spirito e li esalterà.

8. È appunto nelle tentazioni e nelle tribolazioni che si prova quanto l’uomo ha profittato; e in esse più grande spicca il merito e meglio si manifesta la virtù. Non è poi gran cosa, se un uomo è pio e fervoroso allorché non patisce afflizioni; ma se invece nel tempo della contrarietà sa sostenersi con pazienza, allora se ne può sperare un gran profitto. Vi sono taluni che sanno difendersi dalle grandi tentazioni, i quali poi si lasciano vincere in quelle piccole di tutti i giorni; e questo loro avviene, affinché, così umiliati, non presumano troppo di sé nelle tentazioni grandi, mentre si fiaccano in quelle tanto leggiere (lib. I, cap. 13).

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VIGILANZA E PREGHIERA 1. Io non so se qualche grande scrittore abbia fatto un libro storico sulla tentazione; il tema si presterebbe. Incominciando dalla tentazione degli angeli che diventarono demoni, dei primi Padri del genere umano che mutarono il paradiso terrestre in una valle di lacrime (Genesi, cap. 3) fino alle nostre tentazioni che sperimentiamo ogni giorno, tutto il mondo è uno scenario di tentatori, di tentati, di caduti, con pochi vincitori. Il trionfatore è uno solo, Gesù Cristo, che volle essere tentato (Matt. IV, 1-12) ma vinse per tutti, e nel nome suo trionfiamo anche noi, quando facciamo sul serio. Il segreto di questa vittoria è segnato in quelle parole del Signore ai discepoli: vigilate e pregate per non cadere nella tentazione (Matt. XXVI, 41). Siamo tentati per le vie del senso nella fascinazione delle cose belle, per le vie dello spirito con la tortuosità dell’orgoglio. Qualche volta è uno scoramento, una viltà di fronte al bene ardito che chiede impegno e lavoro; altre volte è una presunzione sciocca, ma cattiva come un diavolo in forma di galletto! Caino pecca di gelosia, David si lascia trasportare dalla lussuria, l’eremita può peccare di svagolamento, il dotto di ignoranza, il furbo di insipienza. Non è necessario frequentare le biblioteche dei filosofi per vedere gli impazzimenti orgogliosi della mente umana dominata dalle passioni; basta frequentare la piazza del mondo, seguire le conversazioni di tutte le categorie di persone, per riportare una ricchissima documentazione delle comuni debolezze. Tentati a mal fare dalla nostra debolezza e cupidigia, tentati dalle malizie altrui siamo abilissimi ad accrescere il male, ma non a vincerlo nel bene. Chi non si giudica davanti a Dio, chi non prega invocando l’aiuto che non ci possiamo dare da noi, chi non fa nulla per salire la scala delle virtù e si lascia andare alla discesa del vizio, non è praticamente cristiano, compromette la dignità di uomo, e la sua vita è dipinta da Giovanni da Udine nella terza loggia del Vaticano, nei quadri che coloriscono le scene di vita bona, vita mala, che praticamente corrisponde al binomio: via vitae, via mortis! 2. Due tipi sono insopportabili nel mondo degli onesti: il perverso, che è sofistico nel cervello e tortuoso nella volontà, ride del male altrui e si cruccia del bene del prossimo; l’apata, che non sente nulla, che se casca il mondo non si scuote. Non gode del bene, non reagisce al male: è un automa, si direbbe incosciente. Se non sapessimo che la grazia di Dio è onnipotente, noi diremmo che questi due tipi non si convertiranno mai. L’uno è tutto passione senza ragione; l’altro è senza passione, né per il bene, né per il male. Le passioni sono quelle che mettono l’uomo in tentazione di deviare e contraddire la legge di Dio. Ognuno di noi è esposto a questo pericolo, o dal di dentro o dal di fuori. Anche il Divino Maestro volle essere tentato dallo spirito cattivo per dare a noi ammaestramento e forza di resistenza e di vittoria. S. Marco lo accenna (I, 12), s. Matteo lo descrive più ampiamente (IV, 1-11), come si può vedere nel Commento del Prat in quella sua bellissima Vita di Cristo. (vol. I, p 174) La fedeltà al Signore si dimostra in quel combattimento, il carattere cristiano è misurato da quella fedeltà. La scienza e la disciplina delle passioni sono tanta parte del nostro lavoro quotidiano di perfezionamento, del nostro merito nascosto, del nostro progresso spirituale. La perfezione consiste nel santificare le passioni. Di fronte alle passioni o siamo schiavi o siamo dominatori; o liberi, nella regalità di Gesù Cristo, o seviziati nei dominio del diavolo.

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2 – LE VIRTU’

SULLA PRUDENZA NELL’AGIRE E NEL PARLARE

1. Non bisogna fidarsi d’ogni parola e d’ogni impulso, ma le cose vanno ponderate con calma e con prudenza secondo Dio. Ahimè, purtroppo sovente si è più facili a credere e a dire degli altri il male che il bene, tanto siam deboli noi stessi. Invece le anime perfette non credono facilmente a chiunque racconti una cosa, poiché esse conoscono l’umana debolezza, e com’ella è propensa al male e assai corriva nel parlare. 2. Grande saggezza è non esser precipitosi nell’agire, e d’altra parte non impuntarsi ostinatamente nelle proprie opinioni. È parimente da savi non prestar fede a qualsivoglia discorso degli uomini, come pure non correre subito a riversare nelle altrui orecchie quanto si è udito o creduto. Prendi consiglio da un uomo’ savio e coscienzioso, e cerca di farti istruire da chi ne sa più di te invece che andar dietro alle tue vedute. Una vita virtuosa rende l’uomo saggio secondo Dio ed esperto in una gran moltitudine di cose. Quanto più uno si sarà fatto dentro di sé umile e sottomesso a Dio, tanto più savio e calmo sarà in tutte le sue azioni. (lib. I, cap. 4)

L’OBBEDIENZA 1. Grande e bella cosa è vivere in obbedienza, star soggetti a un superiore e non essere padroni di noi stessi. Assai più sicuro è vivere in soggezione che stare ai comando. Se non che, molti stanno all’obbedienza più per necessità che per amore, onde ne soffrono e facilmente ne mormorano; mentre essi non raggiungeranno la libertà dello spirito, se non assoggettandosi di tutto cuore per amore di Dio. Corri pure qua e là: non troverai quiete altro che sei porrai umilmente sotto il governo d’un superiore. Immaginare altri luoghi e voler cambiare dimora ha ingannato moltissimi. 2. É vero purtroppo che ognuno agisce volentieri secondo il proprio pensiero, e si sente più inclinato verso quelli che la pensano come lui. Ma se davvero tra noi regna Dio, è pur necessario che talvolta rinunziamo alla nostra opinione per amore del gran bene ch’è la pace. Chi è così sapiente da conoscere appieno tutte le cose? Dunque non ti fidare troppo delle tue opinioni, ma fa’ di ascoltare volentieri anche l’opinione degli altri. Se l’opinione tua è buona e tuttavia vi rinunzi per amore di Dio e segui l’altrui, più profitto ne caverai. 3. Ho sentito dire spesso, ch’è più sicuro ascoltare e accettare un consiglio che darlo. Può accadere bensì che buona sia l’opinione così dell’uno come dell’altro ma non voler acquetarsi al parere degli altri quando lo esigono i fatti o la ragione, è segno di orgoglio e di caparbietà. (lib. I, cap. 9).

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ESEMPIO DI GESÙ 1. Il Signore. - Figliuolo, chi si sforza di sottrarsi all’obbedienza, si sottrae alla grazia; e chi cerca di possedere beni propri, perde quelli comuni. Chi non si assoggetta volentieri e spontaneamente al proprio superiore, è segno che la sua carne non gli obbedisce ancora pienamente, ma spesso ricalcitra e sbuffa. Impara dunque ad assoggettarti con prontezza al tuo superiore, se desideri di soggiogar la tua carne. Invero è più facile vincere il nemico esteriore se l’uomo non è devastato internamente. Non v’è più molesto e peggiore nemico per l’anima che tu a te stesso, allorché non sei in pieno accordo col tuo spirito. Ora, se vuoi prevalere sulla carne e sul sangue, bisogna tu adotti un assoluto disprezzo di te medesimo. Egli è che tu ancora ti ami in un modo troppo disordinato, e perciò esiti a rassegnarti pienamente al volere altrui. 2. Ma è poi una gran cosa che tu ti assoggetti ad un uomo per amore di Dio, tu che sei polvere, che sei un nulla, quando io onnipotente ed altissimo, e che dal nulla ho creato tutte quante le cose, mi sono assoggettato umilmente all’uomo per amore di te? Mi son fatto il più umile, l’infimo di tutti affinché con la mia umiliazione tu vincessi la tua superbia. Impara, o polvere, ad obbedire. Impara, o terra e mota, ad umilianti e a startene prono sotto i piedi di tutti. Impara a rintuzzare le tue voglie e a piegarti a ogni specie di soggezione. 3. Infiammati di sdegno contro te stesso, e non permettere ché sopravviva in te gonfiezza d’orgoglio; ma fatti vedere così sottomesso e piccolino che tutti ti possano camminar sopra e calpestare come si calpesta il fango delle strade. Che hai da lagnarti, o uomo da nulla? Che puoi rispondere a quei che ti rimproverano, o sordido peccatore, tu che tante volte hai offeso Dio e parecchie hai meritato l’inferno? Eppure il mio occhio ti risparmiò, perché preziosa al mio cospetto era l’anima tua; perché volevo che tu conoscessi il mio amore e mi fossi ognora grato per i miei benefizi; perché ti applicassi con costanza alla vera soggezione ed umiltà e bon pazienza sopportassi di essere disprezzato (lib. III, cap. 13).

UMILTÀ 1. Non dare gran peso a che altri sia per te o contro di te, ma fa’ in modo e procura che Iddio sia con te in tutto quello che fai. Cerca d’avere una buona coscienza e Dio saprà bene difenderti. Quando infatti Iddio ha stabilito di aiutare qualcheduno, non c’è malizia d’uomo che possa nuocergli. Se tu sai tacere e soffrire, vedrai senza dubbio venire a te l’aiuto del Signore. Egli conosce il tempo e il modo per liberarti, e perciò devi rimetterti a Lui. Sta a Dio darci aiuto e liberarci da ogni oltraggio. Sovente, a conservare meglio l’umiltà, è assai bene per noi che gli altri sappiano i nostri difetti e ce ne riprendano. 2. Quando l’uomo si umilia riconoscendo i propri difetti, egli disarma facilmente gli altri e con poco dà soddisfazione a quei che sono adirati conto di lui. Se uno è umile, Dio lo protegge e lo salva; se è umile, lo ama e lo consola; verso l’uomo umile Egli si china; all’umile largisce abbondante grazia e, dopo l’abbassamento lo innalza alla gloria. All’umile Egli rivela i suoi segreti, e a sé dolcemente lo attira e lo invita. L’umile poi, quando ha ricevuto oltraggio, rimane in grande pace, perché poggia in Dio e non sul mondo. Non stimare d’aver fatto profitto alcuno, se non ti senti inferiore a tutti gli altri. (lib. II, cap. 2).

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COME LA GRAZIA VA CELATA E CUSTODITA DALL’UMILTÀ 1. Il Signore. - O figliuolo, più utile e più sicuro è per te nascondere la grazia della devozione, e non andarne altero né parlarne molto né farne gran conto: ma piuttosto disprezzare te medesimo e anzi temerne come di cosa data a uno che non ne è affatto degno. Non conviene attaccarsi troppo a tale devoto sentimento, come quello che dall’oggi al domani può cambiarsi nel suo contrario. Quando sei in istato di grazia pensa a come sei povero e infelice allorché di tale grazia sei privo. Del resto, il profitto nella vita spirituale non tanto consiste per te nel possedere la grazia dell’interna consolazione, quanto piuttosto nel sopportare con umiltà, con rassegnazione e con pazienza di esserne privato. Ciò a patto però che anche allora tu non lasci illanguidire l’esercizio della preghiera, e non permetta che cessino del tutto le altre opere buone le quali sei solito di fare. Anzi devi far volentieri tutto quanto è in tuo potere, come meglio potrai e saprai; e in nessun modo trascurare te medesimo per aridità di cuore o ansietà di mente che tu possa sentire. 2. Infatti, vi sono molti che, quando le cose non vanno loro bene, subito divengono impazienti o neghittosi. Se non che, l’uomo non è sempre padrone della sua strada, e solo a Dio appartiene il donare e il consolare quando Egli vuole e quanto vuole e chi vuole, secondo che a Lui piace e non più. Alcuni, incauti, si son rovinati da se medesimi appunto per la grazia della devozione, dacché vollero fare più di quanto potevano, senza misurare la pochezza delle loro forze e seguendo più l’affetto del cuore che il giudizio della ragione. E poiché presunsero di fare cose più grandi di quelle che piacevano a Dio, perciò ben presto perdettero la sua grazia. Così diventarono poveri e furon lasciati nell’abiezione coloro che avevano posto il loro nido nel cielo, affinché umiliati e impoveriti imparassero non più a volare con le proprie ali, bensì a sperare sotto le mie penne. Quei che sono ancora nuovi e inesperti nella via del Signore, se non si lasciano guidare dai consigli delle persone prudenti, possono facilmente ingannarsi e andare in perdizione. 3. Che se, invece di credere a quelli che hanno esperienza, preferiscono andar dietro alla loro opinione, essi corrono il rischio di far cattiva fine, purché, s’intende, non si decidano a rinunziare alle loro idee. Coloro che si credono sapienti, ben di rado si lasciano umilmente guidare dagli altri. Meglio il poco sapere e una mediocre intelligenza ma con l’umiltà, che grandi tesori di dottrina con la vana compiacenza. Meglio è per te aver meno che più col pericolo d’insuperbirti. Non agisce col dovuto criterio colui che tutto si abbandona all’allegrezza, dimenticando la sua primitiva povertà e mettendo da parte il casto timore di Dio, che ci fa temere di perder la grazia donataci. Come pure, non è davvero saggio e virtuoso colui che nel tempo dell’avversità o di qualsivoglia tribolazione si diporta quasi non avesse più speranza, e pensa e giudica di me con minor fiducia di quanta bisognerebbe avere. 4. Chi in tempo di pace vorrà apparire troppo sicuro spesso in tempo di guerra si farà trovare troppo avvilito e pauroso. Se tu ti sapessi conservare dentro di te sempre umile e modesto, e sapessi ben moderare e governare il tuo spirito; non ti imbatteresti così facilmente nel pericolo e nella colpa. Quando ti senti lo spirito pieno di fervore, è buon accorgimento meditare ciò che accadrebbe se quel lume dileguasse. E quando ciò avvenga davvero, rifletti che quella luce, come io per un po’ di tempo te l’ho sottratta per la tua cautela e per la mia gloria, così potrà tornare di nuovo.

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5. Codesta prova molte volte è più utile che se tutto andasse sempre bene secondo la tua volontà. Invero, i meriti non vanno misurati dal fatto che uno ha più visioni o consolazioni, o se è più versato nella santa Scrittura o collocato in un grado più alto. Ma se egli è fondato sulla verace umiltà e ripieno della divina carità, se cerca sempre puramente e interamente l’onore di Dio; se reputa sé stesso un nulla e disprezza davvero sé medesimo e gode più d’essere dagli altri disprezzato e umiliato che colmato di onori. (lib. III, cap. 7)

SUL SOPPORTARE I DIFETTI DEGLI ALTRI 1. Quel che l’uomo non è capace di emendare in se stesso o negli altri, egli lo deve sopportare pazientemente, fino a che Dio disponga in altro modo. Rifletti che forse è meglio così perché tu sia messo alla prova e tu eserciti la pazienza, senza la quale i nostri meriti non hanno gran peso. Tuttavia, dinanzi a tali impacci hai l’obbligo di pregare Dio che si degni d’aiutarti, sicché tu possa sopportarli di buon animo. 2. Se qualcuno, avvertito una volta o due, non s’acquieta, non ti mettere a questionare con esso, ma affida ogni cosa alle mani di Dio; che sia fatta la sua volontà, ed Egli sia glorificato in tutti i suoi servi, Lui che sa convertire il male in bene. Studiati di esser paziente nel tollerare gli altrui difetti e debolezze quali che siano, giacché tu pure ne hai molti che agli altri tocca a sopportare. Se tu stesso non puoi farti quale vorresti, come potrai esigere che altri sia fatto a tuo piacimento? Vorremmo trovare gli altri perfetti, e noi tuttavia non ci curiamo di emendare i nostri difetti. 3. Noi vogliamo che gli altri vengano severamente ripresi, e poi non vogliamo che altri ci riprenda. Ci spiace la troppa licenza degli altri, e tuttavia non vogliamo che altri ci neghi quello che domandiamo noi. Vogliamo che gli altri siano più strettamente vincolati dalle regole, e noi non soffriamo d’essere un tantino legati. Dal che si vede come ben di rado si usa per il prossimo la stessa misura che usiamo per noi. Se tutti fossero perfetti, come potremmo patire qualcosa dalle mani degli altri per amore di Dio? 4. Ora invece Dio ha così disposto, affinché impariamo a portare l’uno i pesi dell’altro; poiché nessuno è senza difetto, nessuno senza il suo peso, nessuno è bastante a se stesso, nessuno è per sé savio a sufficienza; perciò dobbiamo sopportarci a vicenda, a vicenda consolarci, e similmente aiutarci, istruirci ed ammonirci. Quanta poi sia la virtù di ciascuno, meglio si manifesta all’occasione d’una contrarietà. Le occasioni infatti non rendono esse l’uomo debole, ma semplicemente lo mostrano quale egli è (lib. I, cap. 16).

LA VERA PAZIENZA 1. Il Signore. - Che cosa vai dicendo fra te, o figliuolo? Cessa di lagnarti, quando avrai considerato i patimenti miei e de’ miei Santi. Tu non hai ancora resistito fino al sangue. Ben poco è quello che patisci tu in paragone di quanto hanno patito tanti altri, soggetti a così forti tentazioni, a tribolazioni così gravi, a prove e travagli d’ogni sorta. Bisogna dunque che tu richiami alla memoria i dolori altrui ben più gravi, per potere in tal modo sopportare più facilmente i tuoi così piccoli. Che se poi tanto piccoli non ti sembrano guarda che non sia la tua insofferenza a renderli tali. Ad ogni modo, o piccoli o grandi, provati ci soffrirli tutti con pazienza.

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2. Quanto meglio ti disponi a patire, tanto più agisci da savio e tanto maggiore merito ne avrai; senza contare che ne sentirai meno il peso, quando tu vi abbia preparato l’anima e fatto l’uso. E non dire: «Io non posso sopportare certe cose da un tal uomo, e non devo sopportare ingiurie di tale sorta, poiché costui mi ha recato un grave danno, e mi rimprovera di cose che non mi son mai passate per la mente: però le sopporterei volentieri da un altro e se vedessi ch’è giusto ch’io le soffra». Codesto è un pensare da stolti, in quanto non considera la virtù della pazienza, né da Chi dovrà essere coronata, ma piuttosto guarda alle persone e soppesa le ingiurie a lui recate. 3. Non è vera pazienza quella di chi non vuol patire se non quel tanto che gli pare e da chi gli piace. Chi è davvero paziente non bada se colui che lo fa soffrire è il suo superiore o un eguale o un inferiore, se è un pio e santo uomo oppure un uomo malvagio e indegno. Ma da qualunque creatura gli vengano le contrarietà e per quanto elle siano gravi e quante che siano le volte che le subisce, tutte e sempre indifferentemente le accetta dalla mano di Dio con animo grato, e le stima anzi un grosso guadagno; giacché nessuna pena per quanto piccola, se patita per amore di Dio, potrà mai trascorrere senza merito davanti agli occhi di Lui. 4. Sii dunque pronto alla battaglia, se vuoi ottener la vittoria. Senza lotta non puoi giungere alla corona dovuta alla pazienza. Se non vuoi patire, è segno che tu ricusi di esser coronato. Ma se desideri di esser coronato, combatti virilmente, e pazientemente sopporta. Senza la fatica non ci s’avvia al riposo, come senza lotta non si giunge alla vittoria. Il Discepolo. - O Signore, fa’ che mi sia reso possibi1e per grazia ciò che mi appare impossibile per natura. Tu sai come ben poco è ciò ch’io valgo a patire, e come presto mi abbatto appena insorge anche una lieve contrarietà. Fa’ che qualsiasi prova di tribolazione mi divenga amabile e desiderabile per cagion del tuo nome, giacché io so che patire ed esser travagliato per tuo amore è cosa immensamente salutare per l’anima mia. (lib. III, cap. 19)

CONTRO LE LINGUE DEI MALDICENTI 1. Il Signore. - Figliuolo, non averti a male se qualcuno ha un cattivo concetto di te e se di te dice cose che non ti fa piacere sentire. Tu anzi devi avere di te stesso un concetto anche peggiore, e pensare che non c’è nessuno più debole di te. Se tu cammini per la via interiore non darai gran peso alle parole che son cose che volano. Non è poca saggezza quella di saper tacere nel tempo della contrarietà e volgersi col cuore a me e non turbarsi per gli umani giudizi. 2. La tua pace non dipenda dalla bocca degli uomini: bene o male che abbiano interpretato le tue azioni, non per questo sarai diverso da quello che sei. Dov’è la vera pace e la vera gloria? Non è forse in me? Quegli che né brama di piacere agli uomini né teme di dispiacere ad essi, costui godrà di un’abbondante pace. Dammi la pazienza, o Signore, anche per questa volta. Aiutami, o mio Dio, e non avrò più timore, per quanto grave sarà la mia afflizione. (lib III, cap. 28)

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SULLA FIDUCIA CHE DOBBIAMO AVERE IN DIO QUANDO CI VENGONO SCAGLIATE PAROLE PUNGENTI

1. Il Signore. - Figliuolo, sta’ forte e spera in me. Infine, che altro sono le parole se non parole? Volan per l’aria, ma non scalfiscon la pietra. Se sei colpevole, pensa a volerti emendare di tutto cuore; se poi la coscienza non ti accusa di nulla, pensa a voler ciò soffrire volentieri per amore di Dio. È assai poco, ma basterà che tu almeno sopporti talvolta qualche parola, dal momento che non sei ancora capace di tollerare gravi battiture. E come mai tali inezie ti trapassano il cuore, se non perché sei tuttora carnale e hai il riguardo delle umane creature più di quanto si conviene? Egli è infatti che tu rifuggi dall’essere disprezzato, e perciò non vuoi esser ripreso dei tuoi trascorsi e cerchi il manto delle scuse. 2. Ma esaminati meglio e dovrai riconoscere che tuttora vive in te il mondo insieme col vano desiderio di piacere alla gente. Difatti, una volta che rifuggi dall’essere abbassato e biasimato per i tuoi difetti, è ben chiaro che non sei veramente umile né veramente morto al mondo, né che il mondo è crocifisso per te. Ma ascolta la parola mia, e non ne curerai diecimila delle parole dagli uomini. Ecco, se anche si dicesse contro di te tutto quello che di più maligno si possa inventare, che danno ciò ti farebbe, quando tu lasciassi tutto correre e ne facessi conto come d’un bruscolo e niente più? Forseché ti potrebbero strappare un sol capello? 3. Ma chi non tiene il suo cuore ben custodito e non ha sempre Dio davanti agli occhi, rimane facilmente scosso da parole di biasimo. Invece chi confida in me e non brama troppo di stare al proprio giudizio, non avrà terrore degli uomini. Infatti son io il giudice e il conoscitore di tutti i segreti: io so come andò la cosa; io conosco chi fa l’ingiuria e chi la soffre. Da me uscì quella tal parola, col mio permesso avvenne quel fatto, «affinché si svelassero i pensieri di molti cuori». Io giudicherò il colpevole e l’innocente; ma prima volli con occulto giudizio provare l’uno e l’altro. 4. La testimonianza degli uomini spesso è fallace; il mio giudizio è verace, starà saldo e non potrà esser rovesciato. Esso per lo più è nascosto, e a pochi si manifesta nei singoli casi; tuttavia non mai erra né può errare, anche quando non sembra retto agli occhi degli stolti. Quindi per qualsiasi giudizio convien ricorrere a me, e non appoggiarsi al proprio criterio; invero, il giusto non si turberà, «qualunque cosa gli avvenga» da parte di Dio. Anco se qualche ingiusta parola fosse proferita contro di lui, non la curerà poi tanto; come nemmeno si darà a vana esultanza se da altri sarà difesa con buone ragioni. Difatti egli pensa come io sono «colui che scruta i cuori ed i reni», e non giudico secondo l’aspetto e l’umana apparenza. Tant’è vero che spesso ai miei occhi è colpevole ciò che a, giudizio degli uomini viene stimato lodevole. 5. il Discepolo. - O Signore Iddio, «giudice giusto, forte e paziente che conosci la fragilità e la cattiveria degli uomini, sii tu la mia forza e tutta la mia fiducia, perocché non mi basta la mia coscienza. Tu conosci quel che io non conosco; e perciò in ogni rimprovero dovevo umiliarmi e sopportarlo con mansuetudine. Perdonami inoltre benigno di quelle volte in cui non ho agito così, e dammi nuova grazia per una più grande sopportazione.

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Perocché meglio è la tua copiosa misericordia per ottenere perdono, che la mia supposta giustizia per difendere una coscienza ch’è occulta a me stesso. Che se anche la mia coscienza non mi accusa di nulla, non per questo posso credermi giustificato, giacché, tolta la tua misericordia, «nessun vivente sarà giustificato al tuo cospetto». (lib. III, cap.46)

SULLE OPERE FATTE PER CARITÀ 1. Per nessuna cosa del mondo, né per l’amore di nessuna umana creatura si deve commettere alcunché di male; però, quando trattasi di cosa utile a chi si trovi in bisogno, si può talvolta liberamente tralasciare un’opera buona, od anche sostituirla con altra migliore. Ciò perché, così facendo, non si sopprime l’opera buona, ma la si scambia con qualcosa di meglio. Senza la carità l’opera esteriore non giova a nulla; invece qualunque cosa si faccia per carità, sia pur piccola e disprezzabile, tutto diviene fruttuoso. Invero Iddio dà più peso al sentimento con cui uno agisce, che non all’opera ch’esso fa. 2. Molto fa chi molto ama. Molto fa chi fa la cosa bene. Bene fa chi serve più al comune vantaggio che al proprio gusto. Spesso pare che sia carità e invece è carnalità; poiché è raro che non v’entrino la tendenza naturale, la volontà propria, la speranza del contraccambio, l’attaccamento al proprio comodo. 3. Chi possiede la vera e perfetta carità, mai in niuna cosa cerca se medesimo, ma soltanto desidera che tutto si faccia a gloria a Dio. Parimente, non invidia nessuno, perché non ama alcun godimento personale, né vuoi godere in se medesimo; ma, sopra tutti i beni, desidera di esser felice in Dio. A nessuno attribuisce propriamente alcuna parte di bene, ma lo riferisce per intero a Dio, dal quale tutto come da fonte deriva e nel quale come in loro fine tutti i Santi gioiosamente riposano. Ah, chi avesse una scintilla di vera carità, certamente s’avvedrebbe che tutte le cose della terra son piene di vanità. (lib. I, cap. 15)

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VIRTÙ

(Riflessioni) 1. Queste chiare affermazioni sulla virtù costituiscono un terribile esame di coscienza appena si applicano alla nostra condotta! Quanto è vero che diamo più peso alle parole degli uomini, che a quelle di Dio! Come è vero che lasciamo fuggire tante occasioni di merito che potrebbero essere un purgatorio fatto quotidianamente e facilmente, nell’atto stesso in cui avremmo dato al Signore la prova della nostra fedeltà. Bisogna proprio dire che ci manca troppo spesso la forza di essere umili e pazienti, ma sapientemente non come gli sciocchi. Eppure questa è la scuola di Gesù Cristo e dei Santi! Quando la Chiesa fa i processi di beatificazione dei servi di Dio, primo investiga se esercitarono eroicamente, in modo al di sopra del comune, le virtù teologali e cardinali; poi aspetta la controprova dei miracoli. Spesso il popolo cristiano, col suo buon senso cattolico, precede il giudizio della Chiesa e riconosce i Santi dalle virtù che praticarono in modo grande e luminoso. E’ una grandezza ammantata di modestia, non trombettiera come quella dei mediocri e dei vanitosi; è una luce che brilla più o meno nel soffio dei venti, ma non si spegne, resiste per una forza misteriosa, che la sostiene. Non è stoicismo, è il cristianesimo in atto, è la santità che fiorisce nel mondo e risponde con la virtù al dono della grazia. 2.. Ma è doveroso dire che mentre i Santi esercitano tutte le virtù, ci sono altri che sembrano solo preoccupati di farle esercitare. In questo rango ci siamo un po’ tutti, coi nostri difetti e spesso con i nostri peccati; ma purtroppo, alcuni sono specialisti nel far soffrire i buoni, i Santi. Non si legge quasi mai la, vita di un santo senza trovare’ vicino a lui qualche tipo duro e superbo, che ha abusato della virtù di quel santo per sfogare le sue passioni, spesso con uno zelo ingiustificabile, più spesso con fine superbia che non si comprende se sia stata più ipocrita o incosciente. Iddio è giusto giudice per tutti, e tutti dobbiamo invocare perdono per noi e per gli altri; ma un processetto anche umano a certi seviziatori di Santi, a certi persecutori di professione, ci starebbe bene, specialmente se avesse quei caratteri che non ammettono scetticismi. Questo è reclamato specialmente per quelli che esercitano funzioni di comando, i quali cadono facilmente nel difetto o di non comandare niente, rendendosi così rei di quei mali che dovrebbero eliminare; o di comandare troppo e male, fino a rendere disonorevole la vita dei sudditi. Ma ritorniamo a meditare la passione di Nostro Signore, in cui la teologia della virtù diventa sanguinante davvero. Non confondiamo la virtù con la dabbenaggine, con la spavalderia, con un certo estetismo pseudomistico. Nella galleria dei santi c’è una varietà grandissima, ma non manca mai la schiettezza, l’ansia di aderire alla verità con l’amore germinato in grazia. Qualche difetto è compatibile con la perfezione cristiana, ma senza presunte giustificazioni arbitrarie, senza quei soggettivismi ostinati e presuntuosi di gente che confonde il cielo col proprio cervello. Questi non sono discepoli di N. S. Gesù Cristo, ma di Donna Prassede!

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3 – AMORE DI DIO

RICORDO DEI BENEFIZI DI DIO

1. Il Discepolo. - Schiudi il mio cuore, o Signore, alla tua legge, e insegnami a camminare per la via dei tuoi precetti. Fa’ ch’io intenda la tua volontà, e con grande reverenza e diligente considerazione io ricordi i tuoi benefizi d’ordine così generale come, particolare, onde valga a ringraziartene degnamente. So bene, e lo confesso, che neppure in minima parte io potrò pagarti il mio debito di lode e di ringraziamento. Troppo piccolo io sono rispetto ai tanti benefizi che mi furono concessi; e quando penso alla tua munificenza, il mio spirito vien meno dinanzi a una bontà così grande. 2. Tutto quello che abbiamo nell’animo e nel corpo, e qualsiasi dote esterna od interna, naturale o soprannaturale noi possediamo, tutti son tuoi benefizi, e ti proclamano benefico, pietoso, buono, te da cui abbiam ricevuto ogni bene. E se uno ne ha ricevuti di più e un altro di meno, tutti però sono tuoi; e senza di te non possiamo avere neanche il più piccolo bene. Chi n’ha ricevuti dei più grandi, non può gloriarsene come di meriti propri, e non deve innalzarsi sugli altri né insultare chi n’ha meno; perocché quegli è più grande e migliore, il quale, meno attribuisce a se stesso ed è più umile e pio nel ringraziare. E chi si stima il più trascurabile di tutti e si giudica il più indegno, costui è meglio disposto a ricevere doni più grandi. 3. Chi per contro ne ha ricevuti di meno, non deve rattristarsi, né provarne sdegno e invidiare chi n’è più ricco; bensì piuttosto deve guardare a te e altamente lodare la tua bontà, che in tale abbondanza e così gratuitamente e volentieri elargisce i suoi doni senza distinzione di persone. Tutte le cose provengono da te, e perciò in tutte noi ti dobbiamo lodare. Tu sai quel che è conveniente donare a ciascuno; e perché questi abbia di meno e quell’altro di più, non spetta a noi di sapere, bensì a te, presso il quale sono bene definiti i meriti di ciascheduno. 4. Là onde, o Signore Iddio, io stimo un benefizio grande anche il non possedere molte di quelle cose esteriori che secondo l’opinione degli uomini procacciano lodi e onori; talché considerando la povertà e la miseria della propria persona, non solo uno non dovrebbe provarne dispiacere o tristezza o abbattimento, ma anzi dovrebbe risentirne grande consolazione e allegrezza, dai momento che tu, o Dio, proprio gli umili e i poveri e i disprezzati dal mondo ti sei scelti per amici e familiari. Ne son testimoni i tuoi Apostoli che tu facesti «prìncipi sopra tutta la terra». Eppure vissero nel mondo senza lagnarsi, così umili e semplici, senz’ombra di malizia o d’inganno, fino al punto che gioivano di patir contumelie per causa del tuo nome, ed abbracciavano con grande affetto quello da cui il mondo aborrisce. 5. Perciò, nulla dovrebbe tanto rallegrare quegli che ti ama e riconosce i tuoi benefizi, quanto il fatto che si adempia in lui la tua volontà e il beneplacito della tua eterna disposizione. Della quale egli deve contentarsi e consolarsi in guisa da accettare di esser volentieri il più piccolo così come altri desidererebbe di essere il più grande, e starsene quieto e contento così nell’ultimo come nel primo posto; anzi, sapersi disprezzabile e trascurato e senza nome e fama così volentieri come se fosse più degli altri onorevole e grande sulla terra. Ciò perché la tua volontà e l’amore della tua gloria debbono andare avanti a tutto e consolarlo e piacergli più di tutti i benefizi che tu gli abbia fatto o sia per fargli. (lib. III, cap. 22)

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LA VERA CONSOLAZIONE VA CERCATA IN DIO SOLO 1. Il Discepolo. Qualunque cosa io possa desiderare o pensare a mia consolazione, io l’aspetto non ora, ma in futuro. Ciò perché, anco se possedessi io solo tutte quante le consolazioni del mondo e mi fosse dato di goderne tutte le delizie, è certo ch’elle non potrebbero durare molto a lungo. Pertanto, o anima mia, non potrai essere appieno consolata né perfettamente rallegrata se non in Dio consolatore dei miseri e accoglitore degli umili. Quindi aspetta un poco, o anima mia, aspetta l’adempimento della divina promessa, e avrai su nel cielo abbondanza di ogni sorta di beni. Se invece ora tu brami in disordinata maniera i beni presenti, perderai quelli eterni e celesti. Le cose temporali siano per tuo uso, ma il desiderio tienlo fisso alle eterne. Nessuno del beni temporali è capace di appagarti, poiché non fosti creata per godere di questi. 2. Anco se tu possedessi tutti quanti i beni creati, non potresti essere felice e beata; bensì in Dio, creatore di tutte le cose, sta la piena tua beatitudine e felicità, non quale la vedono e lodano gli stolti amatori del mondo, ma quale l’aspettano i buoni fedeli di Cristo e come talvolta la pregustano fin d’ora gli uomini veramente spirituali e mondi di cuore, di cui «la cittadinanza è nel cielo». Vana e breve è ogni consolazione umana. Consolazione beata e verace è quella che uno attinge internamente dalla verità. L’uomo devoto reca dappertutto con sé il proprio consolatore Gesù, e gli dice: Sii meco, o Signore Gesù, in ogni luogo e in ogni tempo. Per me la consolazione sia questa: far volentieri a meno di ogni conforto umano. E se mi mancherà pur la consolazione che viene da te, la tua volontà e la giusta prova cui tu mi sottoponi, mi tengano luogo del più alto conforto. Perocché «non per sempre starai adirato, né sarà eterna la tua minaccia». (lib. III, cap. 16)

IN DIO SOLO OGNI SPERANZA E OGNI FIDUCIA 1. Il Discepolo. - Signore, qual’è la fiducia ch’io posso avere in questa vita? O qual conforto maggiore, fra tutte le cose che si vedono sotto il cielo? Non sei tu forse, o Signore Dio mio, alla cui misericordia non v’è limite? Dov’ebbi mai bene senza di te? O quando mi potei trovar male te presente? Preferisco d’esser povero per amore di te che ricco senza di te. Scelgo piuttosto di andar pellegrino sulla terra con te che possedere il cielo senza di te. Dove sei, è cielo; e dove non sei, è morte e inferno. Tu mi sei nel desiderio, e perciò è necessario ch’io dietro a te pianga e gridi e implori. In fondo, non c’è nessuno in cui io possa pienamente confidare che mi dia l’aiuto opportuno nelle mie necessità, all’infuori di te solo, Dio mio. «Tu sei la mia speranza», tu la mia fiducia; tu sei il mio consolatore e l’amico fedelissimo in tutto. 2. «Tutti pensano alle cose loro»: tu invece hai di mira soltanto la mia salvezza e il mio profitto, e volgi ogni cosa in mio bene. Anco se mi esponi a diverse tentazioni e contrarietà, tutto ciò tu l’ordini al mio vantaggio, essendo tuo costume provare in mille modi le anime a te dilette. Nelle quali prove non devi esser meno amato o benedetto, che se tu mi colmassi di celestiali consolazioni. 3. In te dunque, o Signore Iddio, io fondo tutta la mia speranza e il mio rifugio, in te stabilisco ogni mia tribolazione ed angoscia, perocché debole e instabile trovo tutto quello che scorgo fuori di te. Infatti, non mi gioveranno i molti amici, né potranno aiutarmi i validi soccorritori, né i prudenti consiglieri darmi utili responsi, né i libri dei dotti consolarmi, né qualsiasi oggetto prezioso mi potrà

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salvare, né alcun luogo appartato ed ameno rendermi sicuro; se tu da te non mi assisti, mi aiuti, mi conforti, mi consoli, m’istruisci e custodisci. 4. Invero, tutte le cose che paion fatte per procurare la pace e la felicità, se non ci sei tu, non sono nulla e in realtà non danno la benché minima particella di felicità. Quindi, il coronamento di tutti i beni, l’altezza della vita, la profondità dei ragionamenti, sei tu, e il più valido conforto dei tuoi servi è sperare in te sopra ogni cosa. «A te son rivolti i miei occhi, in te confido, o mio Dio, Padre delle misericordie». Benedici e santifica l’anima mia con la benedizione celeste, sicché ella divenga la tua santa dimora e il seggio della tua gloria eterna, e in questo tempio della tua dignità nulla si trovi che offenda gli occhi della tua maestà. Riguardami secondo la grandezza della tua bontà e «l’abbondanza delle tue misericordie» ed ascolta la preghiera di questo povero tuo servo che esula lontano nella regione immersa nell’ombra della morte. Proteggi e salva l’anima di questo piccolo tuo servo in mezzo a tanti rischi della corruttibile vita, e sotto la scorta della tua grazia tu guidalo per la via della pace alla patria della perpetua chiarità. Così sia. (lib. III, cap. 59)

SUI MIRABILI EFFETTI DEL DIVINO AMORE 1. Il Discepolo. - Ti benedico, o Padre celeste, Padre del mio Signore Gesù Cristo, poiché ti sei degnato di ricordarti di me poveretto. O Padre delle misericordie e Dio d’ogni consolazione, io ti ringrazio che, pur essendo immeritevole di qualsiasi consolazione, di quando in quando con la tua consolazione mi ristori. Sempre ti benedico e ti glorifico, insieme con l’unigenito tuo Figliuolo e con lo Spirito Santo il Consolatore, nei secoli dei secoli. Sì certo, o Signore, o Dio santo amico dell’anima mia, quando tu verrai nel mio cuore tutto il mio interno esulterà. «Tu sei la mia gloria e l’esultanza del mio cuore», «tu la mia speranza e il mio rifugio nel giorno della tribolazione». Ma poiché io sono ancora debole nell’amore e imperfetto nella virtù, perciò ho bisogno di essere confortato e consolato da te; e quindi visitami molto spesso e ammaestrami nelle sante discipline. Liberami dalle malvagie passioni, e guarisci il mio cuore da tutte le affezioni disordinate, sicché, guarito all’interno e ben purificato, io diventi capace di amare, forte nel patire, saldo nel perseverare. 2. Il Signore. - Grande cosa è l’amore, bene grande in ogni senso, dacché egli solo rende leggero ogni carico grave e tollera con animo eguale ogni disuguaglianza. Invero, esso porta il peso senza sentire il peso, e fa dolce e gustosa ogni cosa amara. Nobilissimo è l’amore per Gesù, dacché prona a imprese grandi e stimola a desiderare una sempre maggiore perfezione. L’amore vuole stare in alto, né soffre di esser trattenuto da alcuna delle cose di quaggiù. L’amore vuol essere libero, e distaccato da qualsiasi affetto alle cose del mondo, acciocché non ne sia impedita la vista interiore né abbia a soffrire impacci per via degli agi temporali o soccomba per via dei disagi. Nulla è più soave dell’amore, nulla è più forte, nulla più sublime, nulla più vasto, nulla più giocondo, nulla più ricco e più eccellente nel cielo e sulla terra; giacché l’amore è nato da Dio e solo in Dio può quietarsi, al disopra di tutte le cose create. Chi ama, vola, corre ed è lieto; si sente libero e non si lascia trattenere. Dà tutto per il tutto, e tutto nel tutto possiede, poiché si quieta nell’unico Sommo ch’è al disopra di tutti gli esseri e da cui ogni bene scaturisce e deriva. Egli non guarda ai doni ma si volge al Donatore, al disopra di tutti quanti i beni.

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L’amore spesso non conosce misura, ma oltre ogni misura divampa. L’amore non sente il peso, non conta le fatiche, aspira a più di quanto sia capace e non adduce per iscusa l’impossibilità, e ciò perché stima che tutto gli sia possibile e lecito. L’amore dunque si sente capace di tutte le imprese, e molte ne compie e raggiunge l’effetto là dove colui che non ama vien meno e soggiace. 3. L’amore veglia e anche nel sonno non dorme. Affaticato non è stanco, compresso non si restringe, minacciato non si turba; ma come fiamma vivace e fiaccola ardente si slancia verso il cielo e passa oltre sicuro. Colui che ama sa cosa grida questa voce. Forte grido è agli orecchi di Dio lo stesso affetto ardente dell’anima che dice: O mio Dio, amor mio, tutto mi appartieni ed io ti appartengo tutta.

Preghiera per implorare l’amore verso Dio. 4. Il Discepolo. - Dilata la mia potenza d’amore sicché io impari a gustare mediante l’interna bocca, del cuore quanto sia dolce amarti e struggersi e nuotar nell’amore di te. Ch’io sia preso d’amore, levandomi sopra me medesimo per eccesso di fervore e di stupore. Ch’io canti il cantico dell’amore, ch’io segua in alto te, mio Diletto, che l’anima mia si stemperi in lodarti, giubilando d’amore. Ch’io ti ami più di me stesso, e non ami me se non per amore di te; e in te io ami tutti quei che veramente ti amano, siccome comanda la legge d’amore che irradia da te. 5. Il Signore. - L’amore è pronto, sincero, pietoso, giocondo e dilettevole, forte, paziente, fedele, prudente, longanime, virile e tale che non cerca mai se medesimo. Quando infatti uno cerca se stesso, allora egli travia dall’amore. L’amore è cauto, umile e dritto; non fiacco né leggero né intento alle vanità; sobrio, casto, costante, tranquillo e ben custodito nei sensi. L’amore è sottomesso ed obbediente ai superiori, di nessun valore e spregevole a propri occhi, devoto e riconoscente a Dio, e pieno sempre di fiducia e di speranza in Lui, ancora quando Dio non gli si fa’ sentire; perocché senza dolore non si vive nell’amore. Chi non è disposto a soffrire ogni pena e a stare alla volontà del suo Diletto, non è degno del nome di suo fedele. Il vero fedele deve abbracciare volentieri ogni durezza ed ogni amarezza per amor dell’amato, e non sviarsi da lui per qualunque contrarietà che sopravvenga. (lib. III, cap. 5)

COME SI PROVA IL VERO AMORE VERSO DIO 1. Il Signore. - O figliuolo, tu non sai ancora amare in maniera forte e saggia. 2. Il Discepolo. - Perché, o Signore? 3. Il Signore. - Perché alla menoma contrarietà tu desisti dall’impresa, e perché sei troppo avido di cercar consolazioni. Chi ama fortemente è saldo nelle tentazioni e non si lascia persuadere dagli scaltri suggerimenti del nemico. Come io gli piaccio nella prosperità, così nemmeno gli dispiaccio nelle avversità. 4. Chi ama saggiamente non considera tanto il dono dell’amico, quanto l’amore di chi dona. Egli guarda piuttosto all’affetto che alla ricchezza del donatore, e tutti i doni ricevuti li pospone alla persona dell’amato. Chi ama nobilmente non si appaga nel dono, ma solo in me al disopra di qualsiasi dono.

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Se talvolta ti avviene di sentire per me o per i miei Santi meno fervore di quanto vorresti, non devi credere che tutto sia perduto. Quell’affetto pio e dolce che talora provi dentro di te, è un effetto della grazia in te presente e in certo modo un pregustamento della patria celeste; sul che tuttavia non bisogna appoggiarsi troppo, giacché è cosa la quale va e viene. Invece, combattere i perversi moti dell’animo allorché insorgono e disprezzare la suggestione del demonio, ciò è buon segno di virtù e motivo di grande merito. 5. Quindi non ti turbino le estranee immaginazioni, da qualunque oggetto ti vengano. Soltanto, mantieni fermo il proposito e l’intenzione diretta ognora verso Dio. E non credere a un’illusione, se qualche volta a un tratto ti senti rapito in estasi, e subito dopo ritorni col cuore alle solite frivolezze. Queste, infatti, più che commetterle, le subisci controvoglia; e finché ti dispiacciono e tu vi sei riluttante, ciò è merito e non perdita. 6. Sappi che l’antico avversario fa ogni sforzo per contrastare al tuo desiderio di bene e distoglierti dalle pratiche devote, quali sono la venerazione dei Santi, il pietoso ricordo della mia Passione, la salutare memoria delle proprie colpe, la custodia del cuore e il fermo proposito di progredire nella virtù. Egli ti suggerisce tanti mali pensieri, appunto per ispirarti la noia e lo spavento, e così tenerti lontano dalla preghiera e dalle pie letture. A lui dispiace soprattutto che tu confessi umilmente i tuoi peccati e, se potesse, ti farebbe lasciare per sempre la Comunione. Tu non gli credere, non lo curare, per quanto molto spesso ti tenda i suoi inganni. Incolpa lui, quando t’insinua nella mente pensieri cattivi e impuri. Digli così: «Vattene, spirito immondo; vergognati, miserabile; sozzo oltremodo sei tu che tali infamie sussurri a’ miei orecchi. Partiti da me, malvagio seduttore, ché non avrai in me parte alcuna: Gesù invece sarà meco quale forte combattente, e tu n’andrai svergognato. Preferisco morire e patire ogni pena anziché consentire a te. Taci e ammutolisci, ché ormai più non ti ascolto, per quante molestie tu possa ordire contro di me». «Dacché il Signore è mia luce e mia salvezza, chi avrò a temere?». «Se si accampano contro d me interi eserciti, non tremerà il mio cuore». «Il Signore è il mio aiuto e il mio redentore». 7. Combatti da buon soldato; e se talvolta per fragilità tu cadessi, riprendi forza più gagliardo di prima, confidando in una maggiore abbondanza della mia grazia; e soprattutto guardati dalla vana compiacenza e dalla superbia. È questa la causa per cui tanti vengon tratti in errore, e qualche volta li colpisce una cecità forse inguaribile. Codesta rovina degli uomini superbi, i quali presumono stoltamente di se stessi, sia per te una lezione di prudenza e di costante umiltà. (lib. III, cap. 6)

SULLA NIUNA STIMA DI SE MEDESIMI DAVANTI AGLI OCCHI DI DIO 1. Il Discepolo. - «Parlerò al mio Signore, benché io sia polvere e cenere». Che se mi stimerò qualcosa di più ecco che ti levi contro di me, e le mie iniquità ne fanno verace testimonianza alla qual io non posso contraddire. Se invece io mi abbasserò fino a non esser più nulla, e se deporrò ogni stima di me stesso e mi ridurrò in polvere come sono veramente, allora la tua grazia mi sarà propizia, e la tua luce sarà vicina al mio cuore; ed ogni stima ch’io abbia di me, per quanto minima, sarà sommersa nel baratro della mia nullità e sparirà per sempre.

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Laggiù appunto tu sveli me a me stesso, ciò che io sono, ciò che io ero e a cui son ridotto, poiché veramente son nulla, e non lo sapevo. Se son lasciato a me stesso, eccomi un niente, una pura impotenza; ma se a un tratto mi sorridi, subito divengo forte e mi riempio di novella gioia. Ed è oltremodo mirabile che così all’improvviso io venga sollevato e con tanta bontà sia abbracciato da te, io che dal mio proprio peso son tirato ognora verso il basso. 2. Questo lo fa il tuo amore, che senza mio merito mi previene e mi soccorre in tante necessità, come pure mi guarda dai pericoli e, a dire il vero, mi strappa da innumerevoli mali. Poiché è certo che io, amandomi male, mi ero perduto; e poi cercando te solo e amando puramente te, io ho ritrovato insieme e me e te, e per effetto di tale amore mi sono ancora più a fondo ridotto nel mio nulla. Tu invero, o Dolcissimo, operi meco al disopra d’ogni mio merito e più di quanto io osi sperare e domandare. 3. Benedetto sii tu, o mio Dio, poiché, quantunque io sia indegno di qualsiasi bene, pure la tua generosità e la tua bontà non cessano mai di beneficare anche gl’ingrati e quei che ti hanno voltato le spalle e son da te lontani. Ma tu facci ritornare a te, sicché diveniamo grati, umili e devoti, essendo tu la nostra salute, la virtù e fortezza nostra. (lib. III, cap. 8)

TUTTO È DA RIFERIRE A DIO QUALE ULTIMO FINE 1. Il Signore. - Figliuolo, son io che devo essere il tuo supremo ed ultimo fine se veramente desideri d’essere felice. Con tale intenzione purificherai il tuo affetto che spesso è malamente inclinato verso sé medesimo e verso le creature. Se infatti cerchi te stesso in alcuna cosa creata, subito dentro di te divieni languido e arido. Perciò devi riferire principalmente a me le cose tutte, poiché son io che tutte te le diedi. Riguarda i beni singoli come derivanti dal sommo Bene, e così vedrai che tutti quanti vanno ricondotti a me come a loro propria origine. 2. Da me, siccome da viva fonte, attingono l’acqua viva il piccolo e il grande, il povero e il ricco, e quei che spontaneamente e liberamente mi servono riceveranno grazia su grazia. Invece, chi avrà voluto gloriarsi fuori che in me, o riporre la sua delizia in qualche bene personale, non poggerà stabilmente sulla vera allegrezza, né sentirà il suo cuore dilatarsi ma incepparsi e stringersi in mille modi. Perciò non devi attribuire né a te stesso alcuna parte di bene, né ad alcun uomo la sua virtù; bensì tutto riferisci a Dio senza il quale l’uomo non ha niente. Io ti ho dato tutto, e tutto voglio riavere, è col massimo rigore io esigo che mi si rendano grazie. 3. Questa è la verità che mette in fuga la vanità della gloria. E quando nell’anima sia entrata la grazia celeste e la vera carità, non vi sarà invidia di sorta o strettura di cuore, né più la occuperà l’amore particolare di sé. Perocché la divina carità tutto vince e dilata tutte quante le forze dell’anima. Se vuoi essere savio, in me solo riporrai la tua gioia, in me solo la tua speranza, poiché «nessuno è buono tranne l’unico iddio» il quale sopra tutte le cose dev’essere lodato e in tutte quante dev’essere benedetto. (lib. III, cap. 9)

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INCOSTANZA DEL CUORE E NECESSITÀ CHE DIO SIA IL NOS TRO INTENTO FINALE 1. Il Signore. - Figliuolo, non ti fidare del tuo affetto, il quale ora è così, ma presto si muterà in altro. Finché vivrai, sarai soggetto a mutamento anco se non vuoi, sicché ora ti troverai lieto e ora triste, ora tranquillo e ora turbato, quando fervoroso e quando arido oggi diligente e domani svogliato, ora serio e dopo leggero. Ma chi è savio e ben addottrinato nello spirito sta fermo al disopra di tutti questi mutevoli stati, non badando a ciò che sente in se medesimo o da qual parte soffia il vento dell’incostanza, ma solo cercando che tutta la tensione dell’animo sia diretta al dovuto e desiderato fine. Così veramente egli potrà restare sempre il medesimo e mantenersi imperturbato se con l’occhio semplice dell’intenzione, pur attraverso il variar degli eventi, ei si affissi ininterrottamente in me. 2. E quanto più puro è l’occhio dell’intenzione, con tanta maggiore costanza si va, avanti tra le più diverse tempeste. Se non che, in molti l’occhio della pura intenzione si offusca, perché facilmente si voltano a guardare qualche oggetto dilettevole che loro si presenti. Ed è raro trovare uno che sia completamente libero da ogni neo di ricerca di se stesso. Così, quella volta i Giudei erano andati a Betania da Marta e Maria, «non soltanto per amor di Gesù, ma anche per vedere Lazzaro». Quindi occorre ripulire l’occhio dell’intenzione sicché diventi semplice e dritto, e fissarlo in me oltrepassando tutti gli oggetti interposti. (lib. III, cap. 33)

COME IDDIO A CHI L’AMA PIACE IN TUTTO E SOPRA TUTTO 1. Il Discepolo. - Ecco il mio Dio e il mio tutto! Che voglio di più, e che posso desiderare di meglio? Oh, quale verbo saporoso e dolce, ma per chi ama il Verbo, non già il mondo o quelle cose che sono nel mondo. Il mio Dio è il mio tutto! Per chi intende, con ciò è detto abbastanza, ma per chi ama è un piacere ripeterlo spesso. Invero, se tu, o Dio, sei presente, tutto è giocondo; se assente, ogni cosa ci annoia. Tu dai al cuore la tranquillità e una grande pace e festosa allegrezza. Tu fai si che l’uomo abbia un giusto senso di tutte le cose e che in tutte egli ti lodi; e non v’è oggetto che ci possa piacere a lungo senza di te; ma se ci deve esser gradito e lo vogliamo veramente gustare, bisogna che vi sia insieme la tua grazia e sia condito col condimento della tua sapienza. 2. Chi gusta te, che cosa non gusterà come si deve? E se uno non ti gusta, quale cosa mai gli potrà riuscire gioconda? Ma dalla tua sapienza son ben lontani i sapienti del mondo, e così quei che si dilettan nella carne, poiché in quelli è grandissima vanità e in questi è la morte. Invece coloro che seguono te attraverso il disprezzo dei beni del mondo e la mortificazione della carne, si danno a conoscere per veri sapienti, perché dalla vanità trapassano alla verità e dalla carne, allo spirito. Essi realmente gustano Iddio; e quanto di buono si trova nelle creature tutto lo riferiscono a lode del Creatore. Diverso tuttavia, profondamente diverso è il gusto che si trova nel Creatore e nelle creature, nell’eternità e nel tempo, nella luce increata e nella luce partecipata. 3. O luce eterna che trascendi ogni lume creato, manda dal tuo cielo sublime un fulgore di lampi che mi penetri nell’intimo del cuore!

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Purifica, allieta, rischiara e ravviva il mio spirito con le sue facoltà, sicché egli aderisca a te in gaudiosi rapimenti. Ah, quando verrà codesta beata e desiderabile ora in cui tu mi sazii con la tua presenza e sii per me tutto in tutto! Fintanto che ciò non mi sarà concesso, nemmeno sarà piena la mia gioia. Purtroppo, ahimè, vive in me l’uomo vecchio, né tutto è crocifisso né è compiutamente morto. Ancora esso ha violenti desideri contro lo spirito, e muove interne battaglie né lascia l’anima regnare in pace. 4. Ma tu che «domini la potenza del mare e plachi l’impeto dei suoi flutti», «sorgi e soccorrimi»; «disperdi le genti che voglion le guerre» e sconfiggile col tuo valore. Manifesta, ti prego, le grandiose tue opere e sia glorificata la tua destra; perocché non v’è altra speranza per me né altro rifugio se non in te, o Signore Dio mio! (lib. III, cap. 34)

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ITINERARIO DELL’AMORE DI DIO Chi non voglia sperdersi nei misteri dell’amore di Dio deve seguire l’itinerario tracciato nel Vangelo del Divin Maestro: «Chi mi ama osserva i comandamenti» (S. Giov, XIV, 15, 21). La risposta nostra a questa legge, come risulta nella pratica dei santi, importa un periodo di purificazione, un periodo di illuminazione, un periodo di unione. 1. Il primo è detto vita purgativa, e significa quel combattimento nel quale l’amore di Dio investe l’anima fascinata dalla concupiscenza del mondo, e la distacca, un po’ dolorosamente, dalle morse del peccato. Qui sono in propria sede le considerazioni che si debbono fare sui vizi capitali, chiamandoli a nome, squadrandoli bene, con forte ed intelligente realismo, e combattendoli con l’impeto della ragione, sotto la luce della fede, con l’aiuto della grazia, nel trionfo della libertà. Ogni buon cristiano sa quello che costi combattere l’avarizia, tenere al suo posto il demone della lussuria e dell’orgoglio. Un trattato psicologico e pedagogico sui vizi capitali, è l’introduzione alla pratica cristiana dell’uomo che si converte a Dio e si mette in coerenza con la sua santa legge. 2. Il secondo stadio di questo amore combattente è quello della conquista positiva dopo il combattimento di liberazione dal male. E ancora milizia e battaglia, ma con ritmo nuovo, quello della pratica amorosa delle virtù, quello detto vita illuminativa, perché l’anima incomincia a capire qualcosa del regno di Dio nella luce di Dio, ed esercita le virtù solide è grandi. L’itinerario sale di un piano e l’amore compie opere di assimilazione col Divino Maestro. Il lavoro è ancora imperfetto, risente della debolezza della creatura, che pur lavorando con la grazia del Donatore, non può farà a meno di imprimere qualcosa di suo nell’opera della santificazione. Tutte le virtù qui sono chiamate a raccolta, con lineamenti sempre più marcati, illuminandosi e nobilitandosi a vicenda, sotto il primato della sapienza e dell’amore, coi difetti inerenti alla creatura umana, ma col carattere marcato della coerenza alla legge di Dio. Qui la meditazione e la pratica sono sulle virtù. 3. Il terzo stadio dell’amore che sale è quello detto della vita unitiva, perché importa una maggiore unione con Dio, meglio conosciuto e posseduto ancora nell’oscurità dei viatori ma nel fervore di una carità che diventa quasi sperimentale, sia che bruci nell’aridità della prova, sia che rapisca nel vortice di un gaudio misterioso. Qui la caratteristica è data dalla docilità dell’anima al soffio della grazia. Dicono i santi che l’anima smette il sistema dei remi per assumere quello della vela, e nell’opera della santificazione le virtù vibrano tutte sotto il prevalere dei doni dello Spirito Santo. La contemplazione è più alta e pacifica; l’attivismo del secondo stadio perde l’agitazione per acquistare il tono di una più profonda donazione, lavorati dalla grazia più che lavoratori con la grazia, più investiti di luce che cercatori di luce, più contemplativi sul monte conquistato che rocciatori nel pendio combattuto. Io non ho grande esperienza di questa altezza, ma leggendo la vita dei santi qualcosa si capisce di questi misteri, che, appena intravisti con debole luce intellettuale, oppure affiorati e toccati con un guizzo di amore, ci fanno desiderare che in qualche spazio di cielo nostro si spalanchi come una finestra per farci vedere e gustare il cielo di Dio. Non dimentichiamoli vizi capitali – virtù teologali e cardinali – doni dello Spirito Santo. Oppure: sforzo di volontà, coerenza di amore, docilità santa alla voce di Dio. Questo l’itinerario dell’amore di Dio.

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VITA CON DIO

SULLA COMPUNZIONE DEL CUORE 1. Se vuoi fare qualche profitto, conservati nel timore di Dio né voler essere troppo libero; bensì raffrena con la disciplina tutti i tuoi sentimenti e non ti dare alla stolta allegria. Datti invece alla compunzione del cuore, e troverai la devozione. La compunzione fa scoprire molti beni che al contrario la dissipazione suol far rapidamente perdere. Fa meraviglia come un uomo possa perfettamente rallegrarsi in questa vita, se considera e pensa l’esilio in cui si trova, e i tanti pericoli dell’anima sua. 2. È per leggerezza di cuore e noncuranza dei nostri difetti che non sentiamo i dolori della nostra anima; ché anzi spesso vanamente si ride quando si dovrebbe giustamente piangere. Non c’è vera libertà né sana allegrezza, se non nel timore di Dio unito alla buona coscienza. Felice chi può gettar via da sé ogni impaccio che lo distragga, e chiudersi nel raccoglimento della santa compunzione. Felice chi sa distaccare da sé tutto ciò che può macchiare o aggravare la sua coscienza. Combatti virilmente: un’abitudine vince l’altra. Se tu sai lasciare gli uomini, essi ben ti lasceranno badare ai fatti tuoi. Non ti addossare le brighe degli altri e non t’immischiare negli affari dei superiori. Tieni sempre gli occhi anzitutto sopra di te, e prima delle persone a te care, ammonisci particolarmente te stesso. Se non godi il favore delle persone, non ti affliggere per questo; invece ti rincresca di non condurti con quella bontà e cautela che, si addice a un servo di Dio e devoto religioso. Spesso è più utile e più sicuro che l’uomo non abbia in questa vita molte consolazioni, soprattutto se sono secondo la carne. Quanto però alle consolazioni divine, se non le abbiamo o le sentiamo troppo raramente, la colpa è nostra: egli è perché non cerchiamo la compunzione del cuore e non rinunziamo interamente alle consolazioni vane ed esteriori. 4. Riconosciti indegno delle divine consolazioni e anzi meritevole di molte tribolazioni. Allorché un uomo ha la compunzione perfetta, l’intero mondo gli è gravoso d amaro. L’uomo ch’è buono trova ognora materia sufficiente per addolorarsi e per piangere. Difatti, sia che consideri se stesso, sia che riguardi il suo prossimo, egli sa come nessuno vive quaggiù senz’esser tribolato. E quanto più attentamente si considera, tanto più si addolora. Materia di giusto dolore e d’interna compunzione sono i nostri peccati e le cattive abitudini, le quali così ci avviluppano e ci prostrano da non esser capaci, altro che raramente, di contemplare le cose del cielo. 5. Se tu pensassi più di frequente alla tua morte che alla possibilità d’una lunga vita, non c’è dubbio che metteresti più fervore nell’emendarti. Se parimente tu meditassi di cuore le pene future dell’inferno o anche del purgatorio, io credo che sopporteresti volentieri la fatica e il dolore di questa vita, e nessuna austerità ti spaventerebbe. Ma poiché tali verità non discendono nel cuore e seguitiamo ad amare quel che ci lusinga, perciò restiamo freddi e quanto mai neghittosi. 6. Spesso è la mancanza del vero spirito quella che fa lamentare così facilmente la nostra miserabile carne. Quindi prega umilmente il Signore che ti dia lo spirito di compunzione, e di’ col Profeta: «Cibami, o Signore, col pane delle lacrime e abbeverami di pianto in larga misura». (lib.I, cap. 21)

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COME DOBBIAMO RIMETTERE OGNI NOSTRA PREOCCUPAZIONE NELLE MANI DI DIO

1. Il Signore. - Figliuolo, lascia ch’io faccia con te quel che voglio: so io ciò ch’è più conveniente per te. Tu pensi da uomo, e in tante cose tu giudichi come ti suggerisce l’affetto umano. Il Discepolo. - Signore, purtroppo è vero quello che tu dici. La tua sollecitazione per me è più grande di qualunque cura ch’io possa avere per me stesso. Invero, troppo è in balìa del caso chi ogni sua preoccupazione non rimette nelle tue mani. O Signore, purché la mia volontà rimanga retta e salda in te, fa’ di me quello che ti piacerà. Poiché tutto quel che di me farai, non può essere altro che bene. 2. Se vuoi ch’io sia nelle tenebre, sii benedetto; e se vuoi ch’io sia nella luce, sii ancora benedetto. Se ti degni di consolarmi, sii benedetto; e se mi vuoi tribolato, sii del pari e sempre benedetto! Il Signore. - Figliuolo, così bisogna che tu sia disposto, se desideri di camminare con me. Devi esser pronto così alla sofferenza come alla gioia; devi accettar volentieri così d’esser povero e bisognoso come dovizioso e ricco. 3. Il Discepolo. - O Signore, per te soffrirò volentieri tutto ciò che vorrai mi sopravvenga nella mia vita. Voglio accettare indifferentemente dalle tue mani il bene od il male, il dolce o l’amaro, la gioia o la tristezza; e vo’ ringraziarti egualmente per tutte le cose che mi potranno accadere. Solo preservami da ogni peccato, e non temerò né la morte né l’inferno. Purché tu non mi rigetti per sempre e non mi cancelli dal libro della vita, qualunque tribolazione mi sopravvenga, non potrà mai nuocermi. (lib. III, cap. 17)

COME DOBBIAMO REGOLARCI NELLE ESTERNE OCCUPAZIONI E SUL RICORSO A DIO NEI PERICOLI

1. Il Signore. - Figliuolo, tu devi mirare con la massima diligenza a che, in ogni luogo e in ogni atto od occupazione esteriore, tu ti mantenga internamente libero e padrone di te stesso e a che tutte le cose siano soggette a te e non tu soggetto a loro. Devi cercare d’essere signore e reggitore delle tue azioni, non servo e mercenario, bensì piuttosto un vero israelita affrancato che partecipi alla sorte e alla libertà dei figli di Dio. I quali hanno i piedi sulle cose presenti, ma il viso eretto a quelle eterne; e guardano con l’occhio sinistro le cose che passano, ma col destro le cose del cielo; né dai beni temporali si lasciano trarre per restarvi invischiati, ma essi invece li traggono a sé per bene servirsene, secondo furono ordinati da Dio e stabiliti dall’Artefice sommo, il quale niente di disordinato lasciò nelle sue creature. 2. Inoltre, se in ogni avvenimento non ti fermi all’apparenza esterna né osservi con gli occhi della carne ciò che vedi e ciò che odi ma subito, in ogni congiuntura, entri con Mosé nel tabernacolo per consigliarti col Signore, ti avverrà talvolta di udire il divino responso, e ne tornerai istruito intorno a tante cose presenti e future. Sempre infatti Mosé ebbe ricorso al tabernacolo per sciogliere dubbi e questioni, e si rifugiò per aiuto nella preghiera a fin di sottrarsi ai pericoli e alle malvagità degli uomini. Così pure tu devi rifugiati nel penetrale del tuo cuore; e lì implorare più intensamente il soccorso divino. Se invece, come si legge, Giosuè e i figli d’Israele furono ingannati dai Gabaoniti, ciò fu perché avanti «non consultarono la faccia del Signore», ma troppo creduli ai melati discorsi dei nemici si lasciarono ingannare da una finta pietà. (lib. III, cap. 38)

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COME L’UOMO DESOLATO DEBBA OFFERIRSI NELLE MANI DI DIO 1. Il Discepolo. - O Signore Iddio, Padre santo, sii tu benedetto ora e in eterno, poiché, come tu vuoi, così fu fatto, e ciò che fai è buono. Si allieti il tuo servo in te, non già in se stesso o in alcun altro, poiché tu solo sei la vera letizia, tu la mia speranza e la mia corona, tu la mia gioia e la mia gloria, o Signore! Che cosa ha mai il tuo servo se non quello che ha ricevuto da te e per di più senza merito suo? Tue son le cose tutte che ci hai date e che hai fatte. «Misero io sono, e nei travagli fin dalla mia giovinezza»; e talora l’anima mia si rattrista fino alle lacrime, e alcune volte anche si turba in sé stessa per via dei patimenti che la minacciano. 2. Io bramo la gioia della pace, imploro la pace dei tuoi figli, nutriti da te nella luce della tua consolazione. Se mi doni la pace, se m’infondi la gioia santa, l’anima del tuo servo sarà piena di armonia e tutta dedita a cantar le tue lodi. Ma se ti ritrarrai da me, come tanto spesso sei solito fare, egli più non potrà correre la via dei tuoi comandamenti bensì piuttosto egli piegherà i ginocchi e si batterà il petto, perché non si trova bene come ieri o come ieri l’altro, quando la tua lampada splendeva sul suo capo ed egli era protetto, «sotto l’ombra delle tue ali» dagli assalti delle tentazioni. 3. O Padre giusto e degno di perpetua lode, ecco per il tuo servo venuta l’ora della prova. O Padre così amabile, è bene che il tuo servo in quest’ora patisca un poco per te. O Padre perennemente adorabile, è venuta l’ora da te prevista fin dall’eternità, in cui il tuo servo doveva per breve tempo soccombere esternamente, sebbene di dentro egli viva sempre vicino a te; l’ora in cui doveva essere un pochino vilipeso, umiliato, depresso in faccia agli uomini, stritolato dalle passioni e dalle infermità, affinché potesse con te nuovamente risorgere nell’aurora d’una luce novella ed essere glorificato tra i cittadini del Cielo. O Padre santo, tu hai così ordinato, tu hai voluto così; e quello che tu comandasti ciò è appunto avvenuto. 4. Invero, questa è una grazia verso l’amico tuo, ch’egli patisca e sia tribolato in questo mondo per tuo amore, ogni qualvolta e da chiunque tu permetta che ciò gli avvenga. Nulla accade sopra la terra senza il tuo volere e la tua provvidenza ovvero senza cagione «Buon per me, o Signore, che mi hai umiliato, affinché io impari i tuoi statuti» e bandisca dal cuore ogni orgoglio e ogni presunzione. Utile cosa per me che la confusione abbia ricoperto la mia faccia, affinché io per consolarmi cerchi te piuttosto che gli uomini. Di più ho imparato a temere il tuo imperscrutabile giudizio dal fatto che tu affliggi il giusto al pari dell’empio, però non senza equità e giustizia. 5. Ti ringrazio, o Signore, che non hai risparmiato il castigo al male che ho fatto, ma mi fiaccasti con aspre percosse, infliggendomi dolori e mandandomi angustie di dentro e di fuori. Fra tutti gli esseri che sono sotto il cielo non v’è uno che mi consoli, tranne tu, o Signore Dio mio, celeste medico delle anime, il quale «percuoti e risani, conduci al sepolcro e ne riporti». La tua disciplina sia sopra di me, e la stessa tua verga mi farà da maestra. 6. Eccomi, o diletto Padre, son nelle tue mani e mi curvo sotto la verga della tua correzione. Percuoti il mio dorso e batti il mio collo, sicché io pieghi alla tua volontà la mia stortura. Fammi discepolo umile e pio, come bene eri solito di fare, sicché io cammini al tuo cenno. Affido alla tua correzione me stesso e tutte le cose mie: meglio è esser castigati ora che in futuro. Tu sai tutte e singole le cose, e per te non v’è nulla di occulto nell’umana coscienza. Tu prima che accadano conosci gli eventi futuri, e non c’è bisogno che uno t’informi o ti avverta di quanto si fa sulla terra.

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Tu sai quel ch’è espediente al mio profitto e quanto la tribolazione giovi a toglier via la ruggine dei vizi. Fa’ di me secondo il tuo beneplacito che è pure il mio desiderio, e non torcere l’occhio dalla mia vita peccaminosa che niuno conosce meglio e più chiaramente di te. 7. Concedimi, o Signore ch’io sappia ciò che si deve sapere, ch’io ami ciò che si deve amare, ch’io lodi ciò che sommamente a te piace, ch’io stimi ciò che per te è prezioso, ch’io biasimi ciò ch’è sozzura agli occhi tuoi. Non permettere ch’io giudichi «secondo la vista degli occhi» esteriori, né ch’io sentenzi piacendo all’udito degli orecchi degli uomini ignoranti; bensì ch’io distingua con retto giudizio intorno alle cose visibili e a quelle spirituali, e soprattutto, ch’io sempre cerchi la volontà del tuo piacimento. 8. Spesse volte i sensi degli uomini s’ingannano nel giudicare, come anche s’ingannano gli amatori del secolo amando solamente le cose visibili. Forseché un uomo è migliore perché un altr’uomo lo stima più grande? Chi così lo esalta è un bugiardo che inganna un bugiardo, un vanitoso che inganna un vanitoso, un cieco che illude un altro cieco, un malato che illude un altro malato; e con più verità egli lo disonora, mentre lo loda così senza ragione. Ciò perché «ciascuno è quello che è agli occhi tuoi e nulla di più», come dice l’umile santo Francesco. (lib. III, cap. 50)

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CONTEMPLAZIONE Dobbiamo pensare, amare, pregare Dio, e sollevarci con la grazia verso la contemplazione. Conviene adunque dire una parola sulla contemplazione secondo san Tommaso. Teniamo presente questa frase di s. Caterina: «Chi più conosce, più ama; e chi più ama, più riceve. Il merito vostro vi è misurato secondo la misura dell’amore» (Dialogo, cap. 131). Questa è linea normale del nostro itinerario ascensionale verso Dio. Sulla linea dell’intelligenza capace di penetrare la natura delle cose si innesta il lume della fede che, in qualche modo, ci mette nel possesso pacifico della rivelazione intera. Il connubio di queste due luci (ragione e fede), in questo albeggiare misterioso della scienza sacra ci dà la Teologia, che è la scienza della Rivelazione, investigazione razionale dei misteri di Dio. È facile fermarsi qui, comporre un trattato teologico, aggiungere un commento a s. Tommaso; ma se a questo punto può venire fuori il dotto, il meditabondo, il pensatore, non è ancora nato il contemplativo. La contemplazione è attività intellettuale, ma suscitata dall’amore e culminante in amore ancora più grande. Fino a quando l’amore di Dio non infiamma il nostro spirito e non acuisce il nostro sguardo sulla bellezza increata, non si ha contemplazione. Il principio della contemplazione sta nell’amore, in quanto dalla visione della cosa amata nasce il gaudio, e questo intensifica amore delle cose vedute, e così si conosce e si ama la verità. Il primato tomistico del pensiero si incontra qui nel primato dell’amore di Dio, e nasce la contemplazione, che è luce amante e amore luminoso, nasce il contemplativo che gusta le cose divine, nasce lo stato religioso contemplativo che è una scuola di perfezionamento dell’amore soprannaturale. Questa luce dell’amore splende nell’intelligenza ed investe tutta l’anima, la quale non disprezza nulla, ma sente che nulla gli basta, ed avverte come il nascere di una creatura nuova, che è come il saggio anticipato della beatitudine futura e il tormento della vita presente. Ci sono dei mistici che non apprezzano la scienza, che non hanno esigenze critiche, amano il linguaggio figurato, che spesso porta fuori della realtà; ma un contemplativo autentico, sul tipo della scuola tomistica, sentirà il bisogno del dono della sapienza come fioritura suprema della munificenza di Dio e della conquista dell’amore. A questo punto la scienza non basta, ma ci vuole; può mancare l’estasi e il rapimento, ma non può mancare una specie di pentecoste personale che investe l’asceta e da vita al contemplativo. In questo quadro voi riconoscete s. Paolo, riconoscete s. Domenico di Gusman orante e contemplante nelle notti passate davanti al Sacramento, s. Tommaso d’Aquino che, arrivato ai confini del cielo e della terra, sente che la Teologia non perde di valore, ma non gli basta; sentite s. Caterina da Siena che tratta con Dio, nell’estasi, della riforma della santa Chiesa e della pacificazione d’Italia; tutti quei santi che sono passati in questo mondo facendo del bene come investiti di Spirito Santo, predicatori, missionari, teologi, vescovi, pontefici, e buoni fraticelli dimenticati da tutti, ma che ebbero la gloria di amare Dio senza suonar la tromba, e di morire col solo rimpianto di non averlo abbastanza amato. Questi contemplativi sono certo una Teologia vivente e, come diceva s. Francesco di Sales, un Vangelo vissuto. Si comprende come un dotto sia ben poca cosa di fronte ad un contemplativo vero; che sulle ali del pensiero e dell’amore, attraverso la creazione e la Rivelazione, conquista Dio con quella grazia che rinvigorisce e santifica la libertà dell’amore, e con quell’amore che, al soffio dello spirito, diventa ascensione e trasfigurazione. Questa contemplazione è il primato dell’intelligenza in connubio col primato religioso e mistico dell’amore, al soffio dello Spirito Santo, nell’anima che fiorisce in ricchezza di doni. Se primato di amore, se investimento di Spirito Santo, questa contemplazione è trasformatrice, è attivissima come si può vedere nell’agiografia. Quando non vedo nessuna trasformazione, io sono sempre tentato di credere che non c’è contemplazione; la polemica inurbana, il litigio teologico, il formalismo pseudomistico, il rivalismo astioso stanno a dire che siamo rimasti fuori del tempio della contemplazione, come quei ragazzi che bisticciano nel piazzale della chiesa, mentre nella casa di Dio si svolgono i misteri della fede e dell’amore.

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INSEGNAMENTO DELL’ABATE CISNEROS

(Exercitatorium vitae spiritualis)

La sapienza che gusta l’unione con Dio è opera divina, donazione, non frutto di scienza o di lavoro. La può avere uno che non è letterato, che non è dotto, mentre spesso ne sono privi gli studiosi, gli scolastici (cap. 29). Perciò l’amore di Dio non è sempre pari alla conoscenza che, possiamo aver di Dio: molti sono dotti senza amore; alcuni amano senza essere dotti (cap. 32). Ma lo studioso può e deve farsi scala all’amore con la luce della sua mente (cap. 63), perché alla contemplazione ci si prepara, e chi non fa nulla generalmente non ci arriva (cap. 28). «Chi intende applicarsi alla vita contemplativa, prima di arrivare alla perfezione di quell’amore in cui ogni contemplazione fiorisce, bisogna insistere nella considerazione e speculazione delle creature e delle opere divine, come di una scala per salire in alto … Il perfetto può fare a meno di quella scala, ma ordinariamente non se ne può prescindere» (cap: 29). «Perciò vediamo nelle religioni bene ordinate che i giovani sono fortemente impegnati nello studio e nelle pratiche ascetiche contro i pericoli della solitudine» (cap. 35). «Nell’uomo bene ordinato l’amore è il fine di ogni considerazione, ma perché questo non fecero i grandi filosofi né lo fanno alcuni teologi, perciò quantunque siano grandi speculativi, restano senza amore e timore di Dio» (cap. 29). «Questa contemplazione meglio si acquista per la buona e semplice umiltà, che con grande letteratura» (cap. 32). «I contemplativi sono nella Chiesa come nel corpo gli occhi che illuminano e dirigono tutto quello che si compie con le altre membra» (cap. 51). «Il contemplativo può avere tale grazia di Dio da profittare più in un giorno contemplando, che un altro nello spazio di un anno» (cap. 35); «più giova a tutta la Chiesa una preghiera dell’uomo contemplativo che duecento dell’uomo che di sua iniziativa e senza il merito della ubbidienza si dà alla vita attiva» (cap. 41). Il contemplativo ama la solitudine, ma «c’è una solitudine popolata di Dio e dei Santi coi quali l’anima devota conversa, e c’è una solitudine popolata di fantasmi e distrazioni, nelle quali l’anima è vagabonda» (cap. 39). Alcuni sono più adatti alla vita attiva di lavoro, altri più adatti per la contemplativa; «ma non intendo che alcuno sia così esclusivamente dedito ad un genere di vita, che non debba anche in qualche modo applicarsi all’altra. In ogni persona si deve trovare qualcosa di Maria e qualcosa di Marta, prendendo il nome da quella che prevale (cap. 35). «La vita contemplativa è una scuola o un ginnasio dove più facilmente e celermente si impara l’arte dell’amore divino. Si deve notare che non di rado chi si trova nella vita attiva ama Dio più di un altro che vive nella vita contemplativa, e così è più perfetto del secondo che pur si trova in uno stato migliore ... Sbagliano gravemente quelli che mettono come fine della vita contemplativa l’acquisto di nuove verità; quando il suo fine precipuo è amare Dio e gustare la sua bontà» (cap. 36). «In caso di necessità il contemplativo deve interrompere la sua contemplazione e venire in aiuto alle necessità del prossimo. E chi potesse unire l’una e l’altra vita in modo perfetto, sarebbe migliore, come s. Gregorio, s. Bernardo ed altri santi» (cap. 41). «Il lavoro che dobbiamo scegliere e unire alla vita contemplativa, deve avere la maggiore connessione con le cose spirituali, come sarebbe scrivere santi libri ed altre cose spiritualmente più fruttuose » (cap. 68). Il buon senso cristiano e lo spirito teologico di questo Abate Cisneros contrasta con certi contemplativi che si fanno una mistica dell’agricoltura e dell’industria, che in fatto di studi stanno con l’Abate Rancé (che non li voleva), in fatto di apostolato si assomigliano a quel monaco che si era legato alla roccia con una catena di ferro, e ci volle s. Benedetto a fargli capire la lezione! Se sei servo di Dio non ti legare con una catena di ferro, ma con quella di Cristo (s. Gregorio, Lib. Dial. III, 261; PL LXXVII); in fatto di psicologia stanno con l’Abate Marino, quello che schiaffeggiava s. Romualdo! Finiamo con questo supremo insegnamento. «Il contemplativo deve sempre stendere la mano al soccorso della grazia divina, senza presumere delle proprie forze, né illudersi di pervenire da sé là dove la sua anima tende» (cap. 62).

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È certo che il chiasso della vita dei più distrae l’anima e non gli lascia percepire le voci misteriose che vengono da Dio. Lo studioso ama il silenzio, l’anima orante chiede di poter parlare al Signore nel silenzio delle creature, cerca la solitudine del monte e della valle, della certosa e dell’eremo. Che valore ha quel silenzio? Per se stesso poco o nulla, si presta al dormiveglia, ad una certa atarassia pseudomistica; ma se un’anima vi si nasconde con la sete di Dio e il fastidio delle cose volgari, allora quella solitudine giova alle ascensioni, ai rinnovamenti, ai rapimenti. L’umanista si ferma alla investigazione scientifica, ma il contemplativo trova le vie del paradiso. La lettera sulla solitudine, nell’Epistolario del Mabillon, e il Silenzio Certosino, documentato in un caro libretto stampato a Roma dalle Benedettine di Priscilla (1948) dicono il segreto di anime elette, che, nel silenzio esterno delle cose, mettono in armonia col Paradiso il mondo interiore; che si sottraggono alle cose vane per unirsi a quelle che sono eterne; che contrastano all’esibizionismo degli scemi con la dovizia modesta dell’anima in grazia di Dio. Di fronte alla loquacità degli sciocchi, che non riescono a tacere, poter gustare l’eloquenza ricca di questi silenziosi che parlano con Dio; sempre in contrasto a tanta gente che predica sempre: la virtù sta nel mezzo. Ma «il mezzo lo fissan giusto in quel punto dov’essi sono arrivati e ci stanno comodi» (Manzoni, I promessi sposi, cap. 22).

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QUINTO GIORNO

1 – PURIFICAZIONE

SULLA LETIZIA D’UNA BUONA COSCIENZA 1. La gloria dell’uomo dabbene è il testimonio della sua buona coscienza. Cerca d’avere una buona coscienza e godrai una perpetua letizia. Una buona coscienza è capace di sopportare moltissime tribolazioni, e si mantiene assai lieta in mezzo alle avversità. Invece una mala coscienza è sempre timorosa ed inquieta. Il riposo ti sarà dolce, se il tuo cuore non ti rimprovera. Non ti rallegrare se non quando hai fatto del bene. I cattivi non godono mai la vera letizia, né mai gustano la pace interiore; difatti «non v’è pace per gli empi, dice il Signore». Che se dicono: «Noi siamo in pace; - i mali non verranno sopra di noi – e chi oserà di nuocerci?» tu non ci credere, perché a un tratto sorgerà l’ira divina, e annientate saranno le loro imprese e «dispersi i loro disegni». 2. Gloriarsi delle tribolazioni non è gravoso per chi ama, dacché gloriarsi a questo modo è gloriarsi della croce del Signore. Breve è la gloria che gli uomini danno e ricevono. La gloria del mondo è sempre accompagnata da tristezza. La gloria dei buoni sta nelle loro coscienze, e non già sulla bocca degli uomini. La letizia dei giusti vien da Dio e sta in Dio, e la loro gioia nasce dalla verità. Chi desidera la gloria verace ed eterna, non si cura di quella temporale. Al contrario, chi cerca la gloria temporale o non la disprezza dal fondo dell’animo, mostra di avere uno scarso amore per quella celeste. Grande tranquillità di cuore possiede colui che non si cura né della lode né del biasimo. 3. Facile è vivere quieto e contento per chi ha la coscienza pura. Più santo non sei se altri ti loda, né più spregevole se altri ti biasima. Ciò che tu sei, tu sei; né ti si può dire più grande di quanto tu sia agli occhi di Dio. Se fra te e te consideri quel che sei internamente, nulla t’importerà di quel che gli uomini dicano di te. L’uomo vede in viso, ma Dio vede nel cuore. L’uomo guarda alle azioni invece Dio pesa le intenzioni. Agir sempre bene e ciò nonostante tenersi da poco, è indizio d’anima umile. Non voler consolazioni da alcuna creatura è segno di grande purità e di fiducia interiore. 4. Chi infatti non cerca Fuori di sé alcuna testimonianza in proprio favore, è chiaro che si è rimesso totalmente a Dio. «Giacché», come dice s. Paolo «non colui che raccomanda se stesso è approvato, bensì quegli che Dio raccomanda». Camminare internamente con Dio e non esser legato da alcuna esterna affezione, tale, è lo stato d’un uomo di vita interiore. (lib. Il, cap. 6)

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SULL’ESAME DELLA PROPRIA COSCIENZA E SUL PROPOSITO DI EMENDARSI

Parole del Diletto

1. Bisogna sopra ogni cosa che il Sacerdote di Dio si accosti a celebrare, a trattare e a ricevere questo Sacramento con somma umiltà di cuore e profonda reverenza, con piena fede e con la pia intenzione di dar gloria a Dio. [ Lo stesso si dica del fedele che si accosta per fare la Comunione. ] Esamina diligentemente la tua coscienza e cerca per quanto puoi di purificarla e d’illuminarla con la sincera contrizione e con l’umile confessione, sicché nulla di grave tu abbia ne sii consapevole, che ti rimorda e t’impedisca di accostarti liberamente all’altare. Abbi il dolore di tutti i tuoi peccati in generale, e più in particolare affliggiti e piangi i tuoi quotidiani trascorsi. E se il tempo lo consente, confessa a Dio nel segreto del cuore tutte quante le miserie delle tue passioni. 2. Piangi ed affliggiti d’essere tuttora così carnale e mondano, così poco mortificato nelle passioni, così soggetto ai moti della concupiscenza; così negligente nella custodia dei sensi esterni, così spesso impigliato in tante vane immaginazioni; così inclinato verso le cose esteriori, così trascurato in quelle interiori; così facile al riso e alla dissipazione, così restio al pianto e alla compunzione; così pronto alle rilassatezze e ai comodi della carne, e così pigro nel rigore e nel fervore; così curioso nell’ascoltare novità e guardare i begli oggetti, e così pieno di ripugnanza nell’accettare quelli umili e spregiati; così bramoso di possedere molto, così parco nel donare, così tenace nel ritenere; così sconsiderato nel parlare e così intollerante nel tacere; così sconveniente nei costumi e così scomposto negli atti; così intemperante nel cibo e così sordo alla parola di Dio; così corrivo al riposo e così pigro al lavoro; così desto per le chiacchiere, e così sonnolento per le sacre veglie; così premuroso di finire e così svagato nell’attendere al lavoro; così desto per le chiacchiere e così tiepido nel celebrare, così arido nella Comunione; così facilmente distratto e così di rado perfettamente raccolto; così pronto a muoverti all’ira così facile a dar altrui dispiacere, così propenso a giudicare, così rigido nel riprendere; così allegro nelle cose prospere, così abbattuto in quelle avverse; così spesso pieno buoni propositi, e solo capace di portarne a effetto pochissimi. 3. Dopo aver confessato e deplorato dolore e dispiacere grande della tua debolezza questi e gli altri tuoi mancamenti, fa’ il fermo proposito di sempre più emendare la tua vita e di sempre meglio progredire nel bene. Poi, con piena rassegnazione e perfetta volontà, offri te stesso a gloria del mio nome sull’altare del tuo cuore in perpetuo olocausto, cioè consegnando fedelmente a me il corpo e l’anima tua; affinché in tal modo tu meriti di accostarti degnamente all’altare sia per offrire a Dio il Sacrificio, sia per ricevere a tua salvezza il sacramento del Corpo mio. 4. Infatti, per cancellare i peccati, non v’è offerta più degna e soddisfazione maggiore di questa, cioè di offrire se medesimi a Dio pienamente e interamente insieme con l’offerta del Corpo di Cristo nella Messa e nella Comunione. Se l’uomo fa quanto è in lui ed è davvero pentito, ogni volta che si accosta a me per domandare grazia e perdono, «io giuro» dice il Signore «che non voglio la morte del peccato, sì piuttosto che si converta e che viva»; poiché dei suoi peccati più non mi ricorderò, tutti gli saranno rimessi. (lib. IV, cap. 7)

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COME L’UOMO NON DEVE STIMARSI DEGNO DI CONSOLAZIONE , BENSÌ MERITEVOLE DI FLAGELLI

1. Il Discepolo. - Signore, io non son degno della tua consolazione o di alcuna tua visita spirituale, e perciò sei giusto come quando mi lasci povero e desolato. Difatti, quand’anche potessi versare un mare di lacrime, nemmeno allora sarei degno della tua consolazione. Quindi non merito altro se non d’esser flagellato e punito, perocché gravemente e spesse volte ti ho offeso e in tante cose grandemente ho mancato. Perciò, fatto il conto, non merito neppure la più piccola consolazione. Se non che tu, Dio clemente e misericordioso, il quale non vuoi che periscano le tue creature, a fin di manifestare la ricchezza della tua bontà verso nei, «vasi di misericordia», anche senza alcun suo merito ti degni di consolare il tuo servo altre l’umano modo. Infatti le tue son vere consolazioni e non confabulazioni, come quelle degli uomini. 2. Che cosa ho fatto, o Signore, perché tu mi dessi una qualche consolazione celeste? Quanto a me non ricordo d’aver fatto nulla di bene, ma solo d’essere stato ognora propenso a peccare e pigro a emendarmi. Ciò è vero, e non posso negarlo; che, se dicessi altrimenti, tu mi accuseresti né vi sarebbe chi prendesse le mie difese. Che cosa meritai per via dei miei peccati, se non l’inferno e il fuoco eterno? In verità confesso che son meritevole d’ogni disprezzo ed obbrobrio, e che non sono degno di stare insieme con i tuoi devoti. E quantunque a malincuore me lo senta dire da altri, pur tuttavia a onor del vero io mi rinfaccerò da me stesso i miei peccati per così meritare più facilmente d’impetrare la tua misericordia. 3. Che dirò, colpevole come sono e pieno di confusione? Non ho coraggio di dire che queste sole parole: Ho peccato, Signore, ho peccato; abbi pietà di me, perdonami. Lasciami «un pochino piangere il mio dolore prima ch’io vada verso la terra tenebrosa e coperta dalla caligine di morte». Che richiedi più di tutto al reo e misero peccatore se non che sia contrito e si umili per le colpe commesse? Appunto dalla sincera contrizione e umiliazione del cuore nasce la speranza del perdono s’acquieta la «coscienza turbata», si ricupera la grazia perduta, l’uomo si munisce contro l’ira futura, e Dio e l’anima pentita si corrono incontro scambiandosi il bacio santo. 4 L’umile contrizione dei peccati è agli occhi tuoi, o Signore, un sacrifizio accettevole che esala al tuo cospetto un odore di gran lunga più soave del profumo dell’incenso. Essa è pure quel gradito unguento che tu volesti fosse sparso sui sacri tuoi piedi; perocché tu mai disprezzasti un cuore contrito ed umiliato. In lei è il luogo del rifugio dalla faccia dell’ira del nemico; in lei si emenda e si lava tutto ciò che altrove l’anima contrasse e di cui si macchiò. (lib. III, cap. 52) La mattina fa’ i propositi, e la sera esamina la tua condotta: come nella giornata ti sei portato nei discorsi, nelle opere e nei pensieri, poiché può darsi che in ciò tu abbia offeso anche più volte Iddio e il prossimo. (lib. I, cap. 19)

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PURIFICAZIONE DELL’ANIMA

(Un po’ di commento) 1. Ogni peccato importa macchia dell’anima (colpa) e dovere di riparazione (pena). Per commetterlo basta la nostra malizia, per ripararlo è necessaria la grazia divina e l’opera nostra. Qui è al suo posto la penitenza, che è reazione al male fatto, disfacimento del disordine per ristabilire l’ordine, patimento in tono di espiazione. La penitenza dà al peccatore la forza e la nobiltà della ricostruzione, della rinnovazione, del ritorno all’amore. Le pene della vita, le sofferenze quotidiane fatte strumento di palingenesi, l’esercizio intelligente e perseverante della pazienza, ci mettono in comunicazione coi tesori della Passione del Signore e ci purificano. 2. Il capitolo dell’Imitazione ci suggerisce tutto il processo del Sacramento del Perdono di Dio, che ordinariamente diciamo Confessione. Quella è veramente una divina giurisprudenza, che mette l’offeso ed il reo in relazione attraverso un plenipotenziario, il quale riceve l’accusa e conferisce il perdono in nome di Dio. Non è questo il luogo adattò per sviluppare la Teologia del Sacramento del perdono, che il lettore può trovare nei mio volume che ha per titolo: Il Santificatore (Roma, Studium, 1946). Ma non è permesso essere negligenti nell’uso di questa sorgente di perdono; è grave abusarne come di un mezzo troppo facile e comodo. In Dio la munificenza e l’esigenza si corrispondono. 3. L’uso intelligente e diligente di quel tesoro spirituale, che nel linguaggio della Teologia si chiama Indulgenza, cioè remissione della pena dovuta al peccato perdonato, può liberarci dalle pene del Purgatorio, senza dilazioni fra la morte e la visione di Dio. Il cristiano corre facilmente il pericolo di apprezzare poco le donazioni di Dio comunicate a salvezza, e di cadere in un peccato di insipienza e di ingratitudine, che ne accresce la responsabilità. Nella sfera della Indulgenza molti sono spesso superficiali e indolenti: ma pagheranno col fuoco del Purgatorio quello che doveva essere il fuoco dell’amore nella vita presente. 4. Cercatevi un Direttore che sia il medico della vostra anima; ma che faccia sul serio lui e non faccia per celia il penitente. Fra le più gravi disgrazie che nella vita possono accaderci, c’è quella di non avere chi ci dica una parola di incoraggiamento nella difficoltà, né una parola di correzione franca nei nostri difetti. Non ci inganniamo a vicenda ma salviamoci reciprocamente con la grazia di Dio.

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2 – EUCARISTIA

LA SANTA COMUNIONE

Parole di Cristo «Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed oppressi, e io vi ristorerò», dice il Signore. «Il pane che io vi darò è la mia carne, per la salvezza del mondo». «Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo che sarà dato per voi: fate questo in memoria di me». «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui». «Le parole ch’io vi ho dette sono spirito e vita».

CON QUANTA REVERENZA SI DEVE RICEVERE CRISTO IN SAC RAMENTO

Parole del Discepolo 1. Queste son parole tue, o Cristo Verità eterna, benché non proferire nella stessa occasione e trascritte nel medesimo luogo. Poiché dunque son tue parole e sono vere, io tutte le accoglierò con fede e gratitudine. San tue perché tu le proferisti e sono anche mie perché le dicesti per la mia salvezza. Volentieri io le accolgo dalla tua bocca, affinché più a fondo mi penetrino nel cuore. Parole di tanta bontà, così piene di dolcezza e d’amore, certo, m’incoraggiano; ma d’altra parte mi sgomentano le mie proprie colpe, e la macchiata coscienza mi respinge dal ricevere sì grandi misteri. M’invita la dolcezza delle tue parole, ma la moltitudine dei miei peccati troppo mi grava. 2. Tu mi comandi di accostarmi a te con fiducia se voglio aver parte con te, e di prendere il cibo dell’immortalità se desidero d’ottenere la vita e la gloria eterna. Tu dici: «Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed oppressi, e io vi ristorerò». Oh, parole dolci e amiche all’orecchio del peccatore, con le quali tu, o Signore Dio mio, inviti alla Comunione del tuo santissimo Corpo un povero e bisognoso quale io sono. Ma chi son io, o Signore, da ardire di accostarmi a te? Ecco che «i cieli dei cieli non son capaci di contenerti», e tu dici: «Venite a me tutti». 3. Che vuol dire questa degnazione così affettuosa e un così amorevole invito? Come oserò di venire, io che non so d’aver fatto cosa di bene onde possa pigliare coraggio? Come farò a introdurti nella mia casa, io che tante volte ho offeso la tua benignissima presenza? Gli Angeli e gli Arcangeli son compresi di reverenza, i Santi e i giusti tremano; e tu dici: «Venite a me tutti». Se non lo dicessi tu, o Signore, chi crederebbe che fosse vero? E se non fosti tu a comandano, chi si attenterebbe di accostarvisi? 4. Noè, quell’uomo giusto, lavorò cent’anni a fabbricare l’arca perché vi si salvasse lui e pochi altri; ed io, Come potrò prepararmi in un’ora sola a ricevere con la debita reverenza il Fabbricatore del mondo? Mosé, il tuo grande servo e speciale amico, costruì l’Arca di legno immarcibile e la rivestì di oro purissimo per riporvi le tavole della Legge; ed io, marcita creatura, con tanta facilità oserò di ricevere te autore della Legge e datore della vita? Salomone, il più sapiente dei re d’Israele impiegò sette anni a edificare il magnifico Tempio a gloria del tuo nome, e per otto giorni ne celebrò la festa della dedicazione, sacrificò mille vittime pacifiche, e solennemente, tra squilli di trombe e grida di giubilo, ripose l’Arca dell’alleanza nel

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luogo per lei preparato: ed io, infelice e il più povero degli uomini, come farò a introdurti nella mia casa, io che a fatica so passare devotamente una mezz’ora? E potessi davvero, anche meno di mezz’ora, sia pure una sola volta, passarla in maniera degna! O mio Dio, quanto cercarono di fare costoro per piacerti! Invece, ahimé, quanto poco è quello ch’io faccio! Com’è breve il tempo ch’io impiego allorché mi dispongo a comunicarmi! Di rado sto tutto raccolto, e ben più di rado son libero da ogni distrazione. Eppure, nella salutare presenza della tua Divinità, nessun pensiero sconveniente dovrebbe venirmi, e nemmeno alcuna creatura dovrebbe tenermi occupato; giacché sto per accogliere quale ospite non un angelo, ma il Signore degli Angeli. 6. E tuttavia grandissimo è il divario tra l’Arca dell’alleanza con le sue reliquie e il tuo purissimo Corpo con le sue ineffabili virtù; tra quei legali sacrifizi simboleggianti i futuri, e la verace vittima ch’è il Corpo tuo, compimento di tutti i sacrifizi antichi. 7. Perché dunque non m’infiammo io maggiormente alla tua adorabile presenza? Perché non mi preparo con maggior premura a ricevere il tuo Sacramento, una volta che quegli antichi santi Patriarchi e Profeti, e perfino re e principi, insieme con tutto quanto il popolo, dimostraron verso il culto divino un sì vivo sentimento di devozione? 8. Il piissimo re David danzò con tutte le sue forze davanti all’Arca di Dio, ricordando i benefizi concessi un tempo ai Padri suoi; fece fare strumenti musicali di vario genere, compose dei salmi e ordinò si cantassero con esultanza, anzi egli stesso li cantò sovente al suono della cetra, ispirato com’era dalla, grazia dello Spirito Santo; insegnò al popolo d’Israele a lodare Iddio con tutto il cuore, e a benedirlo e celebrarlo ad una voce tutti quanti i giorni. Se allora così grande era la devozione e così spesso si cantavano le divine lodi davanti all’Arca del Testamento, quanta dev’essere ora la reverenza e la devozione in me e in tutto il popolo cristiano dinanzi al Sacramento e nell’atto di ricevere l’augustissimo Corpo di Cristo? Tanti accorrono ai luoghi più diversi per visitarvi reliquie di Santi, rimangono stupiti a udirne le gesta, ammirano i vasti edifici dei templi e baciano le sacre ossa avvolte nella seta e nell’oro. Ed ecco, tu sei presente qui vicino a me sull’altare, o Dio mio, Santo dei Santi, creatore degli uomini e Signore degli Angeli. Spesso in tali visite ha gran parte la curiosità umana e la novità degli oggetti, e se ne riporta ben poco frutto d’emendamento, specie quando vi si trascorre così alla leggera, senza vera contrizione. Invece qui, nel Sacramento dell’altare, sei presente tutt’intero, o Dio mio e uomo Cristo Gesù; e quivi pure si raccoglie copioso frutto di salute eterna, ogni qualvolta degnamente e devotamente ti si riceve. Inoltre, a ciò non ne attira alcuna leggerezza o la curiosità e il diletto sensibile, ma salda fede, devota speranza e carità sincera. 10. O Dio creatore invisibile del mondo, come tratti mirabilmente con noi! Con quanta soavità e grazia ti regoli verso i tuoi eletti, ai quali offri te stesso perché ti ricevano nel Sacramento! È cosa, invero, che sorpassa ogni intendimento, e che in ispecial modo attrae i cuori dei devoti e ne accende l’affetto. Infatti essi, i veri tuoi fedeli, che spendono tutta la loro vita per emendarsi, da questo degnissimo Sacramento attingono spesso abbondante grazia di devozione e amore alla virtù. 11. O mirabile e occulta grazia del Sacramento, che soltanto i fedeli di Cristo conoscono, e di cui gl’infedeli e gli schiavi del peccato non possono avere esperienza! In questo Sacramento vien conferita la grazia spirituale, l’anima riacquista la virtù perduta, e ritorna la bellezza deformata per causa del peccato. E qualche volta è tanta questa grazia, che per la pienezza del devoto fervore da essa infuso non soltanto l’anima, ma anche il debole corpo si sente accrescere le proprie forze.

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12. Invece purtroppo dobbiamo grandemente dolerci e compassionarci della nostra negligenza e tiepidezza, per cui non ci sentiamo attratti con maggiore affetto a ricevere Cristo, nel quale sta tutta la speranza e tutto il merito delle anime che si voglion salvare. Egli invero è la santificazione e redenzione nostra; Egli il conforto di noi pellegrini e l’eterno gaudio dei Santi. Perciò è grandemente a deplorare che tanti riflettano così poco a questo salutare mistero che allieta il cielo e conserva l’intero mondo. Ahi, cecità e durezza del cuore umano, che non si presti più attenzione a un così ineffabile dono, e che anzi si arrivi per la quotidiana abitudine fino quasi a non accorgersene più! 13. Infatti, se questo santissimo Sacramento venisse celebrato unicamente in un dato luogo, e in tutta la terra ci fosse un solo sacerdote a consacrare, non pensi tu da quel desiderio gli uomini si sentirebbero spinti versò quell’unico luogo e quel sacerdote di Dio per veder celebrare i divini misteri? Ora invece molti sono ordinati sacerdoti e in molti luoghi viene offerto Cristo, affinché tanto più grande si riveli la grazia e l’amore di Dio verso gli uomini, quanto più largamente è diffusa nel mondo la santa pratica della Comunione. Perciò io ti ringrazio, o Gesù buono, pastore eterno, il quale ti sei degnato di ristorare noi poveri ed esuli col prezioso Corpo e Sangue tuo, e d’invitarci, anche con le parole della tua propria bocca, a ricevere questi sacri misteri dicendo: «Venite a me voi tutti che siete travagliati ed oppressi, e io vi ristorerò». (lib. IV, cap. 1)

COME NEL SACRAMENTO SI MANIFESTA LA GRAN BONTÀ E IL GRANDE AMORE DI DIO VERSO L’UOMO

Parole del Discepolo

1. Confidando nella tua bontà e nella tua grande misericordia, o Signore, io mi accosto infermo al mio Salvatore, famelico e assetato alla fonte della vita, mendico al Re del cielo, servo al Signore, creatura al Creatore, desolato al mio pietoso Consolatore. Ma donde a me questa grazia che tu venga da me? Chi son io che tu mi abbia a donare te stesso? Come oserà il peccatore comparire davanti a te? E tu come puoi degnarti di venire al peccatore? Tu conosci il tuo servo, e sai che nulla di buono ha in se stesso, per cui tu gli abbia ad offrire un tal dono. Perciò confesso la mia pochezza, riconosco la tua bontà, glorifico la tua misericordia e ti ringrazio della tua immensa carità. Invero, tutto ciò lo fai di tuo e non per i meriti miei, affinché più manifesta mi sia la tua bontà, più abbondante mi venga infusa la carità e più caldamente mi sia raccomandata l’umiltà. Poiché dunque ciò a te piace e tu comandasti che ciò avvenisse, anche a me piace la tua degnazione; e così fosse che la mia cattiveria non vi ponesse ostacolo! 2. 0 dolcissimo e benignissimo Gesù, quanta reverenza e qual rendimento di grazie incessanti lodi si debbono a te, per averci dato di ricevere il tuo sacro Corpo, il cui valore non c’è uomo che sia capace di spiegare! Ma quali saranno i miei pensieri in questa Comunione, nell’accostarmi al mio Signore, che io non so debitamente adorare e che pure desidero devotamente ricevere? Qual pensiero migliore e più salutare che umiliarmi intieramente dinanzi a te ed esaltare la tua infinita bontà sopra di me? 3. Te lodo, o Dio mio, e te esalto in eterno. Disprezzo me e mi assoggetto a te, nel profondo della mia miseria.

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Ecco, tu sei il Santo dei ‘Santi ed io il rifiuto dei peccatori. Ecco, tu ti abbassi fino a me che non sono degno di alzare a te lo sguardo. Ecco, tu vieni a me, tu vuoi esser con me, tu m’inviti alla tua mensa. Tu vuoi darmi a mangiare un cibo celeste e il Pane degli Angeli, non altri invero che te stesso, pane vivo che sei sceso dal cielo e che, dai la vita al mondo. 4. Ecco qual degnazione risplende là donde scaturisce l’amore! Oh, quanti ringraziamenti e quante lodi ti son dovute per questo! Che salutare ed utile consiglio: fu il tuo, allorché istituisti questo Sacramento! Come, soave e giocondo il convito in cui donasti in cibo te stesso! Quanto ammirabile, o Signore, è la tua opera, come potente la tua virtù, quanto infallibile la tua verità! Perocché tu dicesti e furon fatte tutte le cose, e fu creato ciò che tu comandasti. 5. Cosa mirabile e degna di fede e che sorpassa l’umano intendimento, è che tu, o Signore Dio mio, vero Dio e vero uomo tutt’intero, sii contenuto sotto l’apparenza d’un po’ di pane e di vino, e che senza consumarti sii mangiato da chi ti riceve. Tu, Signore dell’universo, il quale pur non avendo bisogno di alcuno, hai voluto abitare tra noi per mezzo del tuo Sacramento, serba immacolato il mio cuore e il mio corpo, sicché con lieta e pura coscienza io possa celebrar di frequente e ricevere per la mia eterna salute quei sacri misteri che tu hai ordinati e istituiti principalmente per la tua gloria e a tuo perenne ricordo. 6. Rallegrati, anima mia, e ringrazia Iddio per un così nobile dono e singolare conforto lasciato per te in questa valle di lacrime. Perocché, quante volte tu rinnovi il divino mistero e ricevi il Corpo di Cristo, altrettante compisci l’opera della tua redenzione e sei resa partecipe di tutti i meriti dì Cristo. Invero la carità di Cristo non diminuisce mai, né mai esaurisce la grandezza della sua potenza propiziatrice. Perciò vi ti devi disporre con sempre nuovo rinnovellamento di spirito, e devi meditare con attenta considerazione il grande Mistero di salvezza. Esso ti deve apparire così grande, nuovo e giocondo, allorché celebri od ascolti la Messa, come se Cristo, scendendo la prima volta nel seno della Vergine sì sia fatto uomo in quel medesimo giorno, oppure pendendo dalla croce patisca e muoia proprio allora per la salvezza degli uomini. (lib. IV, cap. 2)

COME SIA UTILE COMUNICARSI SPESSO

Parole del Discepolo

1. Ecco, o Signore, io vengo a te per trarre profitto dal dono tuo, e per gioire nel tuo santo convito, che «nella tua soavità, o Dio, tu hai apparecchiato al povero». Ecco, in te io trovo tutto ciò che posso e debbo desiderare: tu mia salute e redenzione, speranza e fortezza, onore e gloria mia. «Allieta dunque oggi l’anima del tuo servo, dacché, o Signore Gesù, a te ho innalzato l’anima mia». Io desidero di riceverti adesso con devozione e reverenza; bramo d’introdurti nella mia casa, affinchè io come Zaccheo meriti di essere da te benedetto e annoverato tra i figli d’Abramo. L’anima mia è avida del tuo Corpo e il mio cuore vuol unirsi con te. 2. Donami te stesso e basterà, perché all’infuori di te non c’è consolazione che valga. Non posso stare senza di te, e non so vivere senza che tu mi visiti. E perciò bisogna ch’io mi accosti a te con frequenza, e ti riceva quale farmaco per la mia salute, onde io forse non svenga per via se sarò privato del celeste alimento.

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Così infatti tu stesso, misericordiosissimo Gesù, quando predicavi alle turbe e ne guarivi le varie infermità, dicesti quel giorno: «Non voglio rimandarli a casa digiuni, perché non abbiano a svenire per via». Agisci dunque con me alla stessa maniera, tu che hai lasciato te stesso nel Sacramento per conforto dei tuoi fedeli. Tu sei infatti la soave refezione dell’anima, e chi si sarà degnamente cibato di te sarà partecipe ed erede della gloria eterna. Certo, per me che così spesso cado in peccato e così facilmente mi fiacco e vengo meno, è necessario ch’io mi rinnovi, mi purifichi e mi accenda per mezzo di frequenti orazioni e confessioni, e con la sacra recezione del tuo Corpo; affinché, astenendomene troppo a lungo, non mi accada di sviarmi dai santi propositi. 3. Perocché i sensi dell’uomo sono propensi al male fin dalla sua adolescenza; e se non lo soccorre la celeste medicina, l’uomo presto cade in mali peggiori. Ora, la santa Comunione ritrae dal male e fortifica nel bene. Infatti, se adesso che mi comunico e celebro sono spesso così tiepido e negligente, che avverrebbe se non prendessi tal medicina e non cercassi un così grande aiuto? E anche se non tutti i giorni mi sento preparato e ben disposto a celebrare, nonostante farò in modo, ai tempi opportuni, di ricevere i divini misteri e di rendermi partecipe di tanta grazia. Perocché la principal consolazione dell’anima fedele, fintanto ch’ella va pellegrinando lungi da te nel corpo mortale, è solo questa, di ricordarsi del suo Dio e di accogliere il proprio Diletto con cuore devoto. 4. «O mirabile degnazione della tua pietà verso di noi», che tu, o Signore Iddio, il quale hai creato e vivifichi gli esseri spirituali tutti quanti, ti degni di venire a questa poveretta anima e di saziarne la fame con tutta la tua divinità e la tua umanità. O felice la mente e beata l’anima che merita di ricevere con devozione te, suo Signore Iddio, e d’esser colmata, nel riceverti, di gioia spirituale! Oh, quale grande Signore essa riceve, che ospite gradito essa introduce, qual giocondo compagno essa accoglie, che bello e nobile sposo ella abbraccia, degno veramente d’esser amato al di sopra di tutte le persone care e di tutte le più desiderabili cose! Tacciano alla tua presenza, o dolcissimo Diletto mio, il cielo e la terra e ogni loro ornamento; poiché quanto v’è in loro di splendido e di pregevole è tutta degnazione della tua liberalità, ed essi mai raggiungeranno lo splendore del tuo nome, «la cui sapienza non conosce misura». (lib. IV, cap. 3).

SUI MOLTI BENI CONCESSI A COLORO CHE SI COMUNICANO DEVOTAMENTE

Parole del Discepolo 1. O Signore Dio mio, previeni il tuo servo «con le benedizioni della tua salvezza», affinché io meriti di accostarmi degnamente e devotamente al tuo magnifico Sacramento. Eccita il mio cuore verso di te e scuotimi via questo grave torpore. «Visitami con la tua salvezza» talché io gusti spiritualmente la tua soavità che, come in una sorgente, si cela copiosa in questo Sacramento. Illumina altresì i miei occhi perché possano contemplare questo mistero e dammi forza perché io lo creda con indubitabile fede. È infatti opera tua, non d’umana potenza; è tua sacra istituzione, non invenzione degli uomini. Perciò non si trova alcuno che sia in grado di capire e d’intendere tali verità, le quali sorpassano fin l’acume degli Angeli. E allora, io indegno peccatore, io «terra e cenere» come potrò indagare e capire qualcosa d’un così profondo e sacro mistero?

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2. O Signore, compreso di fiducia e di reverenza io mi accosto a te «nella semplicità del mio cuore» con pia e ferma fede, e dietro il tuo comando, e credo veramente che tu sei presente Dio e uomo nel Sacramento. Tu vuoi dunque ch’io ti riceva e mi unisca a te in amore di carità. Ebbene, io prego la tua clemenza e imploro che mi sia donata per questo una grazia speciale, talché io tutto mi strugga in te e trabocchi d’amore e non mi curi mai più di alcun’altra consolazione. Difatti questo altissimo e augustissimo Sacramento è salute dell’anima e del corpo, medicina d’ogni spirituale infermità; per lui si guariscono i miei vizi, si raffrenano le passioni; si vincono o scemano le tentazioni; per lui viene infusa più abbondante la grazia, si accresce l’iniziata virtù, si rafforza la fede, s’irrobustisce la speranza, e la carità fiammeggia e si dilata. 3. In vero, molti sono i beni che nel tuo Sacramento hai largito e ancora spesso largisci ai tuoi diletti che devotamente si comunicano, o Dio mio, «difensore dell’anima mia», riparatore dell’umana fiacchezza e datore d’ogni interna consolazione. Grande, infatti, è la consolazione che in essi infondi contro le varie tribolazioni, e dal fondo del proprio abbattimento tu li sollevi alla speranza della tua protezione, e internamente li conforti e li illumini con una grazia novella; sicché quegli stessi che prima della Comunione si sentivano inquieti e senza alcun fervore, dopo, «ristorati dal cibo e dalla bevanda celeste», si trovano mutati in meglio. E così tu da buon dispensatore agisci verso i tuoi eletti; affinché essi riconoscano sinceramente e chiaramente provino quanta è la debolezza che hanno di per se stessi, e qual sia la bontà e la grazia che attingono da te. Giacché da sé medesimi sono duri, freddi e per nulla devoti; per te invece meritano di diventar fervorosi, zelanti e devoti. E infatti, chi è che, appressandosi con umiltà alla fonte della dolcezza, un po’ di dolcezza non ne riporti con sé? Ovvero chi è che, stando dinanzi a un grande fuoco, non ne risente un po’ di calore? Ora, tu sei la fonte sempre piena, e traboccante, il fuoco ognora acceso e che non si spenge mai. 4. Onde, se a me non è permesso di attingere alla pienezza del fonte né bere fino a saziarmene, pure accosterà la mia bocca al foro del cannello celeste, per sorbirne almeno qualche stilla che temperi la mia sete e non mi lasci inaridire del tutto. E se non posso ancora esser tutto celeste e infocato come un Cherubino o un Serafino, tuttavia mi sforzerò di insistere nella devozione e di preparare il mio cuore in modo che, ricevendo con umiltà il Sacramento vivificatore, io colga almeno una tenue favilla del divino incendio. E poi, tutto quello che mi manca, o Gesù buono, Salvatore santissimo, suppliscilo benigno e cortese tu che ti degnasti di chiamare a te tutti quanti dicendo: «Venite a me tutti voi che siete travagliati ed oppressi, e io vi ristorerò». 5. Io, certo, mi travaglio «nel sudore della mia fronte», son torchiato dall’angoscia del cuore, son oppresso dai peccati, disturbato dalle tentazioni, impigliato e premuto da tante cattive passioni: «e non v’è chi porga aiuto», non v’è chi mi liberi e faccia salvo, all’infuori di te, o Signore Iddio, mio Salvatore, cui affido me e tutte le mie cose, affinché tu mi custodisca e mi conduca alla vita eterna. Accoglimi ad onore e gloria del tuo nome, tu che mi hai apparecchiato in cibo e bevanda il Corpo e il Sangue tuo. O Signore Iddio, salvezza mia, fa’ sì che insieme con la frequenza al tuo Mistero, cresca in me il sentimento della mia devozione. (lib. IV, cap. 4)

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INTELLIGENZA DOCILE

Parole del Diletto 1. Bisogna che tu ti guardi dall’indagare con inutile curiosità questo profondissimo mistero, se non vuoi essere sommerso nell’abisso del dubbio. «Chi si fa indagatore della maestà, sarà oppresso dalla gloria». Più è potente Iddio a operare che non sia capace l’uomo a comprendere. Se mai, è tollerabile quella pia ed umile ricerca della verità che è ognora disposta a lasciarsi ammaestrare e si studia di camminare dietro le sane dottrine dei santi Padri. 2. Beata la semplicità che evita i difficili sentieri delle sottili, questioni, e va avanti per la via piana e sicura dei comandamenti di Dio. Molti perdettero la devozione, mentre vollero scrutare verità troppo alte. Ciò che si esige da te è la fede e l’innocenza della vita, e non già altezza d’ingegno o profonda cognizione dei misteri di Dio. Se non intendi né capisci le cose che stanno sotto di te, come potrai comprendere quelle che stanno sopra? Assoggettati a Dio e sottometti la tua ragione alla fede, e ti sarà dato tanto lume di scienza quanto ti sarà utile e necessario. 3 Alcuni subiscono gravi tentazioni circa la fede in questo Sacramento ma ciò non è imputabile a loro stessi, bensì piuttosto al nemico. Non te ne curare, non metterti a discutere nel tuo pensiero, né devi rispondere ai dubbi messiti in testa dal demonio; ma credi alle parole di Dio, credi ai suoi Santi e ai Profeti; e il maligno nemico fuggirà via da te. Anzi spesso molto giova al servo di Dio sostenere di queste lotte. Infatti, gl’infedeli e i peccatori il demonio non li tenta, perché li ha già in sicuro possesso; invece tenta e travaglia in varie guise appunto i fedeli devoti. 4. Va’ dunque innanzi con fede semplice e senza dubbi, e accostati al Sacramento con supplice reverenza. E tutto ciò che non ne puoi comprendere, assegnalo sicuro all’onnipotenza di Dio. Iddio non t’inganna: s’inganna invece chi crede troppo a se stesso. Iddio cammina con i semplici, si rivela agli umili, «dà l’intelligenza ai pargoli»; apre la mente alle anime pure e nasconde la grazia ai curiosi e ai superbi. La ragione umana è debole e può ingannarsi; ma la vera fede non può ingannare. 5. Ogni ragionamento e ogni naturale indagine deve andar dietro alla fede, non precederla o distruggerla. Difatti, son la fede e l’amore che hanno qui la precedenza e che per occulte guise operano in questo santissimo e sopra gli altri eccellentissimo Sacramento. Iddio, eterno, immenso e infinito com’è nella sua potenza, in cielo e in terra «fa cose grandi e inscrutabili» né è possibile indagare le sue opere meravigliose. Ma se le opere di Dio fossero tali da esser facilmente comprese dall’umana ragione, non si potrebbero chiamare meravigliose ed ineffabili. (lib. IV, cap. 18).

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COME IL CORPO DI CRISTO E LA SANTA SCRITTURA SONO ALL’ANIMA FEDELE MASSIMAMENTE NECESSARI

Parole del Discepolo

1. O dolcissimo Signore Gesù, quanta è la dolcezza che prova l’anima devota banchettando insieme con te alla tua mensa, dove non le è imbandito altro cibo se non tu stesso, il suo unico Diletto, desiderabile sopra tutti gli oggetti che possa desiderare il suo cuore! Come alla pia Maddalena, certo, anche a me sarebbe dolce, stando alla tua presenza; versare lacrime di profonda tenerezza e, come lei, di lacrime bagnare i tuoi piedi. Ma dov’è una tal devozione? Dove codesto copioso profluvio di lacrime sante? È vero, al cospetto tuo e dei santi tuoi Angeli, il mio cuore dovrebbe tutto quanto ardere e piangere dalla gioia. Difatti, nel Sacramento ho davvero presente te, sebbene nascosto sotto altre specie. 2. Ciò perché i miei occhi non potrebbero sostenere la vista del tuo proprio divino splendore; anzi neppure il mondo tutto quanto potrebbe sussistere al fulgore della gloria della tua maestà. Tu pertanto provvedi così alla mia debolezza, nascondendoti sotto il Sacramento. Posseggo veramente e adoro Colui che gli Angeli adorano in cielo, sebbene io frattanto ancora per fede, e quelli per visione e senza velame. Io bisogna che stia contento al lume della vera fede e che in essa cammini, fino a quando spunterà il giorno dell’eterna chiarezza e tramonteranno, le ombre delle figure. Ma «quando sarà venuto ciò ch’è perfetto», cesserà l’uso dei Sacramenti, poiché i beati nella gloria celeste non hanno bisogno della sacramental medicina. Infatti essi godono interminabilmente alla presenza di Dio, contemplando faccia a faccia la sua gloria; e trasformati di luce in luce del divino abisso, gustano il Verbo di Dio fatto carne, come fu dal principio e «permane in eterno». 3. Quando ripenso a queste meraviglie, qualsiasi consolazione anche spirituale mi si converte in gravoso tedio; poiché fino a quando non vedrò svelatamente il mio Signore nella sua gloria, non stimo nulla tutto ciò che vedo o ascolto nel mondo. Tu, o Dio, mi sei testimone che nessuna cosa può consolarmi, nessuna creatura può appagarmi all’infuori di te, o Dio mio te ch’io desidero di contemplare in eterno. Se non che, ciò non è possibile fintanto che durerà questa mia condizione mortale. Perciò occorre ch’io mi disponga a una grande pazienza e che mi assoggetti a te in ogni mio desiderio. Difatti anche i tuoi Santi, o Signore, i quali ormai esultano con te nel regno dei cieli, mentre vissero quaggiù, aspettavano con fede e pazienza grande l’avvento della tua gloria. Ora, ciò ch’essi credettero anch’io io credo; ciò ch’essi sperarono anch’io lo spero; là dove essi giunsero, anch’io confido per la tua grazia di giungere. Frattanto camminerò nella fede confortato dagli esempi dei Santi. Inoltre io terrò quale conforto e come specchio di vita i libri santi; e di più, al disopra di tutto questo, mi terrò per singolare rimedio e rifugio il tuo santissimo Corpo. 4. Perocché due cose io sento che mi sono ora massimamente necessarie, senza le quali mi sarebbe insopportabile questa miserabile vita. Sì, trattenuto come sono nel carcere di questo corpo, confesso d’aver bisogno assoluto di due cose, cioè di cibo e di lume. Ed ecco perciò che a me così debole hai dato il sacro tuo Corpo quale ristoro dell’anima e del corpo mio, e hai posto «la tua parola come lucerna ai miei passi». Senza queste due cose io non potrei vivere bene, giacché la parola di Dio è luce al mio spirito, e il tuo Sacramento è pane di vita.

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Le si potrebbero chiamare anche due mense, collocate una di qua una di là nel tesoro della santa Chiesa. Una è la mensa del sacro altare, sulla quale v’è il pane’ santo cioè il Corpo prezioso di Cristo. L’altra è la mensa della divina legge, la quale contiene la dottrina santa, insegna la retta fede e guida con salda mano fino al più interno velame dov’è il Santo dei Santi. 5. Ti ringrazio, o Signore Gesù, Luce dell’eterna Luce, per la mensa della dottrina sacra tu hai imbandita a noi per mezzo dei tuoi servi i Profeti e gli Apostoli e gli altri Dottori. Ti ringrazio, o Creatore e Redentore degli uomini, che per manifestare a tutto il mondo la tua carità apparecchiasti quella magnifica cena, in cui ne offristi per cibo non già il simbolico agnello, ma il tuo stesso Corpo e Sangue santissimo, allietando tutti i fedeli col tuo sacro convito e inebriandoli col tuo salutifero calice, dove son tutte quante le delizie del Paradiso e dove banchettano insieme con noi gli Angeli santi, sebbene loro con più beata dolcezza. 6. Oh, com’è grande e onorabile l’ufficio dei Sacerdoti, ai quali fu concesso di consacrare con quelle sacre parole il Signore della maestà, benedirlo con le labbra, tenerlo tra le mani, riceverlo nelle propria bocca e dispensarlo agli altri! Oh, come devon esser monde quelle mani, come sarà pura la bocca, come santo il corpo, immacolato il cuore del Sacerdote, nel quale tante volte entra l’Autore stesso della purezza e santità. Dalla, bocca del Sacerdote, che così spesso riceve il Sacramento di Cristo, nulla deve uscire che non sia santo, nulla che non sia una parola onesta e utile. I suoi occhi siano semplici e pudibondi, come quei che sogliono affissarsi nel Corpo di Cristo. Le sue, mani siano pure e levate verso il cielo, come quelle che sogliono stringere il Creatore del cielo e della terra. Specialmente ai Sacerdoti è detto nell’antica Legge: «Siate santi, perocché santo sono io, il Signore Dio vostro». 8. Ci soccorra la tua grazia, o Dio onnipotente, affinché noi, che ricevemmo l’ufficio sacerdotale, riusciamo a servirti degni e devoti, in perfetta purezza e in buona coscienza. E se non possiamo diportarci con tanta innocenza di vita quanta dovremmo, concedici almeno di poter piangere come si conviene le colpe che abbiamo commesse e servirti di qui in avanti con più grande fervore, in ispirito d’umiltà e nel proposito d’una buona volontà. (lib. IV, cap. 11).

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3 – SACRIFICIO EUCARISTICO

OBLAZIONE DI CRISTO IN CROCE

Parole del Diletto 1. Come io sulla croce, con le braccia distese e il corpo ignudo, offersi spontaneamente me stesso a Dio Padre per i tuoi peccati, talché nulla mi rimase che non fosse dato tutto in sacrificio per placare la giustizia divina, così anche tu devi offrire a me volontariamente te stesso ogni giorno nella Messa, in oblazione pura e santa, con tutte te tue forze e con tutti i tuoi affetti, quanto più intimamente tu puoi. Che cosa ti domando di più se non che tu cerchi di consegnarmiti tutto? Qualunque cosa tu mi dia fuori di te medesimo, non m’importa nulla, poiché cerco non il tuo dono ma te. 2. Come a te non basterebbe d’aver tutto senza di me, così neanche a me potrà piacere qualunque cosa tu mi dia, se non mi offri te stesso. Offrimi te medesimo e da’ tutto te stesso per Iddio e allora l’offerta sarà gradita. Vedi ch’io tutto mi offersi al Padre per te; di più ti ho dato in cibo tutto il mio Corpo e il mio Sangue, acciocché io fossi tutto tuo e tu restassi sempre mio. Se invece vorrai restare di te stesso non ti offrirai spontaneamente alla mia volontà, l’oblazione non sarà piena e l’unione tra noi due non sarà perfetta. Quindi, se davvero vuoi conseguire la libertà e la grazia, l’offerta spontanea di te stesso nelle mani di Dio dovrà precedere qualsivoglia altra opera tua. Difatti, se così pochi son coloro che divengono illuminati e liberi interiormente, ciò è perché non sanno rinunziare del tutto a se medesimi. Immutabile è quella mia sentenza: «Se uno non rinunzia a tutto quello che possiede, non può essere mio discepolo». (Luca, 14, 33) Se dunque tu desideri d’esser mio discepolo, offrimi te stesso insieme con tutte le tue affezioni. (lib. IV, cap. 8)

OFFRIRE A DIO NOI STESSI

Parole del Discepolo 1. O Signore, tue son tutte le cose che sono in cielo e sulla terra. Ora, io desidero, sì, offrirti me stesso in oblazione spontanea e di restare tuo in perpetuo. O Signore, nella semplicità del mio cuore io oggi ti offro me stesso come servo in eterno, in ossequio e sacrificio di perpetua lode. Accoglimi insieme con questa santa oblazione del tuo Corpo prezioso, la quale io oggi ti offro alla presenza degli Angeli che qui assistono invisibili, affinché sia apportatrice di salvezza a me e a tutto quanto il tuo popolo. 2. Signore, io ti offro su questo altare espiatorio tutti i peccati e mancamenti miei che io ho commesso alla presenza tua e dei tuoi Angeli, dal giorno in cui fui capace di peccare fino a quest’ora, affinché tutti insieme tu li arda e li abbruci col fuoco della tua carità, e cancelli tutte quante le macchie dei miei peccati e purifichi la mia coscienza da ogni colpa, e tu mi restituisca la tua grazia ch’io ho perduto peccando, ogni cosa perdonandomi compiutamente e misericordioso ammettendomi al bacio della tua pace.

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3. Che altro posso fare per i miei peccati, se non confessare e piangerli umilmente, e incessantemente implorare la tua clemenza? Perciò io t’imploro, e tu esaudiscimi benigno, mentre sto qui davanti a te, o Dio mio. Immensamente mi dispiacciono tutte le mie colpe, non voglio mai più commetterle; anzi me ne dolgo e me ne dorrò finché io viva, pronto a farne penitenza e soddisfarvi per quanto posso. Rimettimi, o Dio, rimettimi i miei peccati per amore del tuo nome; salva l’anima mia che tu hai redento col prezioso Sangue tuo. Ecco mi affido alla tua misericordia, mi consegno nelle tue mani. Trattami secondo la tua bontà, non secondo la mia malizia ed iniquità. 4. Inoltre ti offro tutto il bene ch’è in me, pur così poco ed imperfetto, perché tu lo corregga e lo santifichi, tu lo gradisca e lo renda a te accetto, e sempre più tu lo perfezioni; e infine perché tu conduca me omiciattolo pigro e inutile a beato e lodevole fine. Ancora ti offro tutti i pii desideri delle persone devote, i bisogni dei parenti, degli amici, dei fratelli, delle sorelle e di tutti i miei cari nonché di coloro che a me o ad altri fecero del bene per amor tuo; e di quelli che da me desiderarono e mi chiesero orazioni e Messe per sé e per tutti i loro, sia che vivano tuttora nella carne sia che siano già partiti da questo mondo; affinché tutti si sentano giungere l’aiuto della tua grazia, l’appoggiò del tuo conforto, la difesa dai pericoli, la liberazione dai castighi, e affinché, scampati da ogni male, lieti ti rendano solenni ringraziamenti. 6. Altresì ti offro preghiere e sacrifici di propiziazione specialmente per quelli che in qualunque modo mi hanno offeso, contristato o insultato o che mi hanno recato qualche danno o molestia; e così pure per tutti coloro che anch’io talvolta avrò contristato, turbato molestato o scandalizzato con parole e con atti, scientemente o per ignoranza; affinché tu egualmente a tutti noi perdoni i nostri peccati e le scambievoli offese. Togli via, o Signore, dai nostri cuori ogni sospetto, sdegno, ira e dissenso, e qualunque cosa possa offendere la carità e diminuire la fraterna amorevolezza. Abbi pietà, o Signore, abbi pietà di coloro che ti chiedono misericordia, dona la grazia a chi n’è privo, e fa’ che diventiamo tali da esser degni di godere della tua grazia e di progredire verso la vita eterna. (lib. IV, cap. 9)

COME L’ANIMA DEVOTA DEBBA TENDERE CON TUTTO IL CUOR E A UNIRSI CON CRISTO NEL SACRAMENTO

Parole del Discepolo

1. Chi mi darà, o Signore, ch’io ritrovi te solo e ti apra tutto il mio cuore, e goda di te come desidera l’anima mia, sicché «ormai più nessuno mi disprezzi», e niuna creatura mi muova o mi riguardi, ma tu solo mi parli ed io a te, siccome l’amato suol parlare all’amato e l’amico banchettar con l’amico? Questo chiedo, questo desidero, di unirmi tutto quanto a te, e di staccare il mio cuore da tutte le cose create e apprendere sempre meglio a gustare quelle celesti ed eterne mediante la santa Comunione e la frequente celebrazione del santo Sacrifizio. Ah, Signore Iddio, quando sarò interamente unito e assorbito in te dimentico totalmente di me? Sì, tu in me ed io in te; e così fa’ che rimaniamo insieme una cosa sola. 2. Veramente tu sei «il mio Diletto scelto fra mille», «nel quale l’anima mia, si è compiaciuta» di abitare per tutti giorni della sua vita. Veramente tu sei il mio pacificatore, in cui è la somma pace e il vero riposo e fuori del quale è travaglio e dolore e infinita miseria. «Veramente tu sei il Dio nascosto»; e non hai commercio con gli empi, ma il tuo parlare è con gli umili ed i semplici.

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«Oh, quanto è soave il tuo spirito, o Signore», il quale, a dimostrar la tua dolcezza verso i figli, ti degni di ristorarli col Pane soavissimo che scende dal cielo! «Davvero non c’è altra nazione sì grande che abbia i suoi dei così vicini a lei come tu, o Dio nostro», sei presente a tutti quanti i tuoi fedeli cui, a loro quotidiano conforto e per sollevarne il calore verso il cielo, tu dai a mangiare e a godere te stesso. 3. «Quale altra nazione, infatti, è così illustre» come il popolo cristiano? O quale creatura sotto il cielo tanto diletta, quanto l’anima devota in cui entra Iddio per cibarla con la propria carne gloriosa? O grazia ineffabile! O ammirabile degnazione! O amore immenso speso unicamente per l’uomo! Ma che renderò al Signore per una tale grazia, per una così eccelsa carità? Non v’è cosa più gradita ch’io possa donare, se non offrire al mio Dio tutto il mio cuore e congiungerlo intimamente a Lui. Allora tutto il mio interno esulterà, quando l’anima mia si sarà perfettamente unita con Dio. Allora Egli mi dirà: Se tu vuoi esser meco, io voglio essere con te. Ed io gli risponderò: Degnati, o Signore, di restare meco, dacché con piacere io voglio stare con te. Questo appunto è tutto il mio desiderio, che il mio cuore stia unito a te. (lib. IV, cap. 13)

SULL’ARDENTE DESIDERIO DI ALCUNI FEDELI VERSO IL CO RPO DI CRISTO

Parole del Discepolo 1. «Quant’è grande, o Signore, l’abbondanza della tua benignità, che tieni in serbo per quei che ti temono!». Quando ripenso, o Signore, a certi fedeli che si accostano al tuo Sacramento con la più gran devozione ed affetto, io allora sovente mi confondo dentro di me e arrossisco, perché così tiepido e freddo mi accosto al tuo altare e alla mensa della santa Comunione; perché rimango così arido e senz’affetto nel cuore; perché non son tutto infiammato alla presenza di te mio Dio, e non sono così fortemente attratto e commosso come lo furono tante anime devote, le quali non potevano tenersi dal piangere per il traboccante desiderio della Comunione e per la sensibile tenerezza dell’amore, e anzi con la bocca dell’anima non meno che con quella del corpo dall’intimo midollo anelavano a te Dio fonte viva, non riuscendo in altro modo a temperare a saziare la loro fame fuorché ricevendo con tutta giocondità e avidità di spirito il tuo Corpo. 2. Oh, come la sincera e ardente fede di costoro è argomento dimostrativo della tua sacra reale presenza! Essi invero ben riconoscono il loro Signore «allo spezzare del pane», dal momento che il cuore nel loro petto avvampa così gagliardamente per Gesù che cammina con essi. Io invece spesso sono molto lontano da tale affetto e devozione, da un così veemente amore e ardore. Siimi propizio, o Gesù buono, o Gesù dolce e benigno; e concedi a questo tuo povero mendico, almeno di quando in quando, di provare nella santa Comunione un po’ di cordiale sentimento d’amore per te, affinché la mia fede s’irrobustisca, la speranza nella tua bontà si accresca, e la carità, una volta pienamente accesa e dopo aver gustato la manna celeste, non si spenga mai più. 3. Ora, la tua misericordia è possente ad accordarmi pur questa grazia tanto, desiderata e a visitarmi in ispirito d’ardore per la tua infinita clemenza quando venga l’ora che a te piaccia di farlo. Difatti, quantunque io non arda di così gran desiderio come quello di quei tuoi speciali devoti, tuttavia, sempre per la tua grazia, io ho il desiderio di tale grande e infiammato desiderio, e prego e bramo di fare anch’io parte di tali tuoi ferventi amatori e d’essere annoverato nella loro santa compagnia. (lib. IV, cap. 14)

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RIFLESSIONI SULL’EUCARISTIA 1. La grandezza ineffabile di questo mistero eucaristico ci rende difficile meditarne e parlarne, e perciò rimaniamo spesso muti davanti all’altare, rimangono spesso deserte le nostre chiese. A queste difficoltà, sperimentate più o meno da tutti, viene in aiuto questa parte dell’Imitazione, che parla così nobilmente del sacrificio della Messa e della santa Comunione. Ci sono alcuni libri, che potremmo usare nella nostra pratica di frequenza e di amore al Divino e silenzioso Abitatore del tempio, che aspetta le anime a santificazione: sono principalmente i seguenti: 1) Il IV Libro dell’Imitazione di Cristo. 2) S. ALFONSO M. DE LIGUORI, Visite al Santissimo Sacramento ed a Maria Santissima per tutti i giorni del mese. 3) Card. G. BONA, De sacrificio Missae tractatus asceticus, Herder 1906. 4) L. A. Muratori, La Messa, Soc. Edit. Modenese, 1946. 5) Card. A. CAPECELATRO, Elevazioni a Gesù in Sacramento, Roma. 6) DEL CORONA O.P., Elevazioni sul mistero dell’Eucaristia raccolte dalle opere di S. Alberto Magno, Milano, Casa Edit. S. Lega 1929. 7) C. COSTANTINI, Dio nascosto. Splendori di fede e d’arte nella S. Eucaristia, Roma, Tumminelli 1944. 8) M. MASSIMI, Mese eucaristico, Tip. Vaticana 1948. 2. Davanti allo spettacolo della chiesa deserta, in popoli cattolici, qualcuno ebbe il pensiero che ogni famiglia potesse impegnarsi a mantenere una lampada vivente, cioè un’anima orante, davanti al Sacramento, in qualche ora del giorno. L’iniziativa ebbe successo ed in molte Diocesi fiorisce a meraviglia. Io credo che finirà per diventare, più o meno, universale, perché è una logica esplicazione della nostra fede nella Eucaristia, e nella coerenza di amore che si impone ai cattolici. E pensando che tutte le virtù si esercitano in questo culto al Divino Sacramento, il livello morale di un paese si dovrà misurare dal numero di queste lampade viventi, incominciando dal Parroco. Siamo troppo spesso lucignoli fumiganti, e dobbiamo sentire il dovere di essere fiaccole, e viventi davvero. Se questo non facciamo, ci rendiamo colpevoli di tale ingratitudine di fronte al supremo dono che Gesù Cristo fa’ di se stesso, che mette in pericolo la nostra fedeltà. 3. L’investigazione teologica ha sempre cercato di rendersi conto amorosamente di quello che sia l’elemento essenziale della santa Messa. Nell’ultima Enciclica del Sommo Pontefice sulla Sacra Liturgia questo è detto in modo da tenersi presente. «L’Augusto sacrificio dell’altare non è una semplice commemorazione della Passione e Morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentemente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla Croce, offrendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima». (n. 66) Questo mirabile sacrificio «si offre ogni giorno sugli altari per la nostra redenzione, affinché liberati dall’eterna dannazione, siamo accolti nel regno degli eletti». (n. 71) «Ogni volta che il sacerdote ripete ciò che fece il Divin Redentore nell’ultima Cena, il sacrificio è realmente consumato». (n. 94) Il sacerdote in quanto rappresentativo della persona di Cristo compie «l’immolazione incruenta, per mezzo della quale, dopo che sono state pronunziate le parole della Consacrazione, Cristo è presente sull’altare in stato di vittima». (n. 90) Queste parole aiutano i Teologi a parlare più realisticamente sull’ineffabile mistero dell’amore, e sono preziose anche per il semplice e fedele orante nel silenzio della sua chiesa, forse povera e disadorna, ma sempre reggia del Re Divino. Un giorno quel silenzio che circonda l’Eucaristia diventerà come un cielo di fuoco e di luce, perché quel Re divino scoprirà il Suo volto, e il sole della Sua Divinità porterà con sé, nel vortice della beatitudine, le anime che lo hanno amato nel silenzio e nell’attesa fedele.

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4. Il passaggio dalla Chiesa militante a quella trionfante si compie con la grazia di questo sacramento. Durante l’attesa vorremmo che i ministri del Redentore avessero gli accenti degli Angeli, ma sono anche essi viatori peregrinanti, e la visione sarà il premio di tutti. Nel cap. 6 del Vangelo di s. Giovanni si può leggere la promessa di questo sacramento e una relativa discussione dei discepoli sul mistero eucaristico; nel cap. 26 (vv. 26-29) di s. Matteo abbiamo l’istituzione del sacramento nell’ultima S. Cena; nella I Lett. di s. Paolo ai Corinti, Cap. 11 (vv. 23-30) sono descritte le nostre responsabilità nell’uso di questo sacramento, al quale è legata anche la nostra resurrezione gloriosa. Anche questa breve documentazione biblica offre misteriosi e vasti orizzonti alla nostra amorosa considerazione di adoratori!

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CONCLUSIONE

VITA ETERNA

COME PER LA VITA ETERNA DOBBIAMO SOPPORTARE OGNI PIÙ GRAVE TRAVAGLIO

1. Il Signore. - Figliuolo, non ti abbattano le fatiche che ti sei addossate per amor mio, né mai e in nessun luogo, ti scoraggiscano le tribolazioni; ma, qualunque cosa ti avvenga, la mia promessa ti fortifichi e ti consoli. Io solo basto a compensarti oltre ogni modo e misura. Quaggiù non faticherai a lungo, né sarai ognora oppresso da dolori. Aspetta un poco e vedrai venir rapida la fine de’ tuoi mali. Verrà un’ora, in cui cesserà ogni fatica e ogni tumulto. Poco e breve è tutto ciò che passa col tempo. 2. Attendi a ciò che fai; lavora da operaio fedele nella mia vigna, ed io sarò la tua mercede. Scrivi, leggi, canta, piangi, taci, prega, sopporta virilmente le contrarietà: la vita eterna merita bene tutte codeste battaglie, e anche di maggiori. La pace verrà in un giorno ch’è noto al Signore! né certo vi sarà giorno e notte come nel tempo presente ma luce perpetua, chiarità infinita, inalterabile pace, sicuro riposo. Allora non dirai: «Chi mi libererà dal corpo di questa morte?». Né più griderai: «Ahimè, che il mio esilio si è prolungato!» perocché la morte andrà in precipizio e vi sarà salvezza indefettibile, più nessuna ansietà, ma giocondità beata, e soave e bella compagnia. 3. Ah, se tu vedessi nel cielo le corone immortali dei Santi, e così pure la gloria di cui ora esultano quelli che un giorno dal mondo erano tenuti come esseri spregevoli e perfino quasi indegni di vivere allora certamente subito ti umilieresti fino a terra e preferiresti di sottostare a tutti anziché sovrastare a uno solo. E neppure brameresti giorni allegri in questa vita, bensì godresti di esser tribolato per amore di Dio e l’esser tenuto in conto di nulla tra gli uomini lo stimeresti il massimo dei guadagni. 4. Ah, se tu gustassi tali verità e ti entrassero a fondo nel cuore, come oseresti di lamentarti anche una sola volta? Non è forse vero che per la vita eterna si devon tollerare anche le fatiche più gravi? Non è certamente piccola cosa perdere o guadagnare il regno di Dio! Quindi alza il viso verso il cielo, e vedi che vi son io, e con me tutti i miei Santi, i quali in questo mondo sostennero la grande battaglia ed ora gioiscono, ora sono consolati, ora sono sicuri, ora riposano e così rimarranno senza fine meco nel regno del Padre mio. (lib. III, cap. 47)

SUL GIORNO DELL’ETERNITÀ E SULLE STRETTEZZE DI QUES TA VITA 1. Il Discepolo. - O beatissima dimora della Città superna! O fulgidissimo giorno dell’eternità che la notte non oscura ma la somma Verità sempre irraggia, giorno sempre lieto, sempre immune d’affanni, e il cui stato mai subisce contrari mutamenti! Oh, fosse già spuntato quel giorno, e già fossero finite tutte queste temporali vicende! Certo, ai Santi ormai esso brilla splendente di perpetuo fulgore; ma a noi tuttora pellegrinanti sulla terra esso riluce solo da lontano e come rilesso da uno specchio. 2. Sanno i cittadini del cielo quanto quel giorno sia gioioso; gemono gli esuli figli di Eva che questo d’ora sia così amaro e tedioso.

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I giorni del tempo presente sono pochi e tristi, pieni di dolori e di miserie; giorni in cui l’uomo è macchiato da tante colpe, avviluppato da tante passioni, stretto da tanti timori, occupato da molti pensieri, distratto da molte curiosità, impigliato in molte vanità, circondato da tanti errori, consunto da tante fatiche, oppresso dalle tentazioni, snervato dai piaceri, torturato dal bisogno. 3. Ah, quando sarà la fine di questi mali? Quando sarò liberato dalla funesta schiavitù delle perverse inclinazioni? Quando potrò ricordarmi, o Signore, solo di te? O quando in te solo appieno rallegrarmi? Quando mi sentirò sciolto da ogni impedimento, nella vera libertà, senza più alcuna gravezza dell’anima o del corpo? Quando verrà la pace salda, la pace inalterabile e sicura, la pace interna ed esterna, la pace d’ogni lato stabile? O Gesù buono, quando starò fisso a mirarti? Quando contemplerò la gloria del tuo regno? Quando tu sarai per me tutto in tutto? Oh, quando sarò con te nel tuo regno che hai preparato per i tuoi amici fin dall’eternità? Purtroppo son lasciato qui, povero ed esule in terra nemica, dove son guerre quotidiane e gravissime sventure. 4. Consola il mio esilio, mitiga il mio dolore, ché a te sospira ogni mio desiderio. Perocché qualunque sollievo mi offra questo mondo, tutto mi riesce di peso. Vorrei goderti intimamente, ma non posso afferrarti. Anelo di attaccarmi alle cose celesti, ma quelle temporali e le passioni immortificate mi tirano in basso. Con l’anima vorrei sovrastare alle cose tutte, e invece la carne mi costringe mio malgrado a sottostarvi. Cosicché, infelice, io lotto con me stesso e «a me stesso son divenuto grave» dacché lo spirito vuol andare in alto e la carne mi trascina in basso. 5. Ah, come soffro dentro di me quando con la mente medito le cose del cielo, ed ecco a un tratto una folla d’immagini corporee mi viene a disturbare nella preghiera! O mio Dio, «non ti allontanare da me», e «non schivare sdegnato il tuo servo». Folgora i tuoi lampi, e disperdili, scocca le tue frecce e siano sgominati tutti i fantasmi del nemico. Raccogli attorno a te i miei sentimenti, fammi dimenticare tutte le cose del mondo, dammi di poter ricacciare prontamente e disprezzare i fantasmi dei vizi. Soccorrimi, o Verità eterna, sicché non mi smuova alcuna vanità. Vieni, o soavità celeste, e fugga dalla tua faccia ogni impurità. Inoltre perdonami e siimi indulgente della tua misericordia tutte le volte che nella preghiera penso ad altra cosa fuori di te. Difatti bisogna confessi sinceramente che soglio essere molto distratto; poiché tante volte non sono là dove col corpo sto in piedi o seduto, bensì piuttosto dove i pensieri mi portano. Io sono là dov’è il mio pensiero; e il mio pensiero sovente è là dov’è l’oggetto che amo. Quel che subito mi occorre alla mente è appunto ciò che mi diletta per natura o mi piace per abitudine. 6. Onde tu, o Verità, dicesti una volta apertamente: «Là dov’è il tuo tesoro, quivi è anche il tuo cuore». Se prediligo il cielo, penso volentieri alle cose del cielo. Se amo il mondo, godo delle prosperità del mondo e mi rattristo delle sue avversità. Se prediligo la carne, spesso immagino cose che alla carne si riferiscono. Se amo lo spirito, mi diletto a pensare alle cose dello spirito. Insomma, quali che siano le cose ch’io amo, di queste appunto io volentieri parlo e sento parlare, e poi di esse riporto con me a casa il ricordo.

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Invece, beato l’uomo il quale per amor tuo, o Signore, dà commiato a tutte le creature perché se ne vadano; che fa violenza alla natura, e col fervore dello spirito crocifigge le concupiscenze della carne, al fine di offrirti con rasserenata coscienza un’orazione pura e d’esser degno di partecipare ai cori degli Angeli, dopo aver sbandito, dentro e fuori, tutte le cose terrene. (lib. III, cap. 48)

SUL DESIDERIO DELLA VITA ETERNA E LA GRANDEZZA DEI BENI PROMESSI A QUEI CHE COMBATT ONO

1. Il Signore. - Figliuolo, quando senti che dall’alto ti viene infuso il desiderio dell’eterna beatitudine, e tu brami di uscire dal padiglione del corpo per poter così contemplare la mia luminosità senz’alternanza di ombra, dilata il tuo cuore e con tutto il desiderio accogli quella santa ispirazione. Rendi amplissime grazie alla Bontà suprema, la quale si degna di agire in tal guisa verso di te e con clemenza ti visita e con ardore ti stimola e con possanza ti solleva, affinché tu non ricada per il tuo proprio peso verso le cose della terra. Difatti, quel che allora ricevi, non è frutto del tuo pensiero o del tuo sforzo, ma degnazione della grazia celeste e dello sguardo di Dio, affinché tu progredisca nelle virtù e in una più grande umiltà e ti prepari alle future battaglie, e inoltre tu cerchi di aderire a me con tutto l’affetto del cuore e di servirmi con tutto il fervore della volontà. 2. Figliuolo, spesso c’è, sì, li fuoco che arde, ma la fiamma non sale senza fumo. Similmente vi sono alcuni i quali ardono bensì dal desiderio delle cose celesti, ma tuttavia non son liberi dalla tentazione degli affetti terreni. Perciò avviene ancora ch’essi non agiscano puramente per la gloria di Dio in quella cosa che così ardentemente gli chiedono. Tale è spesso anche il tuo desiderio che, come accennavi poco fa, ti riesce tanto molesto. Invero, non è puro e perfetto il sentimento inquinato dal proprio interesse. 3. Tu devi chiedere non già quello che è piacevole e comodo per te, ma quello che per me è di gradimento e d’onore; poiché, se rettamente giudichi, ad ogni tuo desiderio e ad ogni oggetto desiderato dovrai anteporre ed osservare il mio ordinamento. Io conosco il tuo desiderio e spesso udii i tuoi gemiti. Tu vorresti già trovarti «nella libertà della gloria dei figli di Dio». Già ti sorride la dimora eterna e la patria celeste piena di gaudio; ma tale ora non è per anco venuta: deve passare altro tempo, tempo, cioè, di lotta, tempo di fatica e di prova. Tu brami di saziarti del sommo bene, ma non puoi conseguirlo per ora. Son io il Bene sommo: aspettami, dice il Signore, finché venga il regno di Dio. 4. Tu devi ancora esser provato sulla terra ed esercitato in molte guise. Qualche consolazione, sì, ti sarà data di quando in quando, ma tale abbondanza da saziartene non ti verrà concessa. «Fatti animo, dunque, e sii gagliardo», tanto nell’agire quanto nel patire ciò che contrasta alla natura. Occorre che tu ti rivesta dell’uomo nuovo, e che ti cangi in tutt’altro uomo. Occorre che spesso tu faccia quel che non vorresti, e viceversa occorre che tu rinunzi a quello che vorresti. Ciò che piace agli altri, andrà avanti; ciò che piace a te, non avanzerà d’un passo. Quel che gli altri dicono, sarà ascoltato; quel che dici tu, non sarà stimato nulla. Chiederanno gli altri e riceveranno; chiederai tu, e non otterrai. Degli altri saran piene le bocche degli uomini, dite invece non si farà parola. Agli altri sarà commesso di fare questo o quello; tu invece sarai giudicato un buon a nulla.

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Per tutto questo la natura in te qualche volta si rattristerà, e sarà gran cosa se riuscirai a sopportarlo in silenzio. A tali prove e a molte altre somiglianti suol esser sottoposto il servo fedele del Signore, per vedere fino a qual punto egli sappia rinnegare se stesso e domarsi in ogni cosa. Non v’è forse altra materia in cui hai tanto bisogno di morire a te medesimo, quanto nel vedere e soffrire ciò che contrasta alla tua volontà, specie quando ti vengono comandate cose che ti paiono meno convenienti o niente affatto utili. E poiché, essendo dipendente, non osi di resistere all’autorità del superiore, perciò ti sembra duro muoverti all’altrui cenno e rinunziare ad ogni tua opinione. 5. Pensa però, o figliuolo, al frutto di tali fatiche, alla loro rapida fine, al premio stragrande che ti aspetta, e allora non ne sentirai il peso, bensì vi attingerai un validissimo conforto ai tuoi patimenti. Difatti, per quel po’ di volontà cui spontaneamente rinunzi ora, potrai far sempre la tua volontà nel cielo. Lassù invero troverai tutto quanto avrai voluto e tutto quanto potrai desiderare. Lassù vi sarà per te l’abbondanza di ogni bene senza timore di perderlo. Lassù la tua volontà farà sempre tutt’uno con la mia e niente bramerà d’estraneo o di personale. Lassù niuno ti farà resistenza, niuno si lagnerà di te, niuno t’impedirà o ti farà ostacolo; ma tutte quante le cose da te desiderate ti staranno dinanzi a un tempo e sazieranno appieno il tuo affetto e lo colmeranno fino all’orlo. Lassù ti renderò la gloria in cambio dell’offesa patita, un manto di festa per la tristezza sofferta; un seggio nell’eterno regno in compenso all’ultimo posto occupato quaggiù. Lassù apparirà il frutto dell’obbedienza, si muterà in gioia il travaglio della penitenza e s’incoronerà di gloria l’umile sottomissione. 6. Quindi ora abbassa umilmente il capo sotto la mano di tutti, e non badare a chi sia quegli che te l’ha detto te l’ha comandato. Ma soprattutto devi curare che, o sia superiore o eguale o inferiore colui che ti chiede o ti fa cenno di volere alcunché, tu prenda tutto in buona parte e ti studi di compierlo con sincera volontà. Altri cerchino pure chi questa o quella cosa, si vantino altri di quella o di codest’altra, e sian lodati le migliaia di volte: tu invece non godere né d’una cosa né d’un’altra, ma godi del disprezzo di te stesso, e del beneplacito e dell’onore di me solo. Ciò che tu devi desiderare è che, o per la vita o per la morte, Iddio sempre sia in te glorificato. (lib. III, Cap. 49)

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VITA ETERNA. AMEN 1. In questi ultimi capitoli vibra l’accento della sapienza, che tutto vede e giudica in ordine al fine ultimo, alla vita eterna. Essendo questa la considerazione più alta e più degna, sfugge ordinariamente al modo comune e piatto delle nostre riflessioni. Per quanto tutto ci trasporti verso la tomba e verso l’eternità, in modo così evidente e ruvido che non resta possibilità di illusione o di dubbio, tuttavia questo pensiero della vita eterna non è sempre presente e attuale al nostro intelletto; così facilmente attratto e distratto dalle cose minori e, spesso, di poco valore. Qualcosa di fanciullesco rimane sempre nell’uomo, per quanto barbuto, laureato, pavoneggiato. Non lo corregge nemmeno il memento homo! 2. In una bella pagina di questo ultimo capitolo è descritta l’ora della prova, da Dio voluta o permessa, costruita dalle debolezze e cattiverie degli uomini, sofferta da noi tanto più vivamente quanto maggiore è la nobiltà della nostra anima e la squisitezza dei nostri sentimenti. I volgari soffrono meno dei santi, il mediocre non ha la croce di un uomo di genio, appena possiamo farci un’idea di quanto dovette soffrire Nostro Signore nell’orto degli olivi, quando sentì incombente sopra di sé la valanga delle iniquità umane! Ma quell’ora della prova, che viene quando meno si aspetta, che può essere anche lunga, che si può ripetere nella vita, e che investe spesso i buoni, le anime più belle, e ci soffia dentro la tentazione per farle cadere nella tristezza e nella rivolta, mentre è la purificazione in atto, il segno e il pegno che siamo associati alla passione e quindi saremo associati alla gloria del Signore risorto per noi, quest’ora della prova bisogna benedirla quando viene, ma dobbiamo chiedere al Santificatore che ce la renda santificante perché non è facile alla nostra debolezza. Eppoi dobbiamo gustarla con lo sguardo dell’anima proteso al Paradiso, descritto in queste pagine dall’Autore dell’Imitazione, pensando a quel premio che i desideri avanza, e che giustifica all’infinito ogni prova, ogni sofferenza. Forse l’ingratitudine che subiamo ci mette in condizione di espiare, la nostra ingratitudine verso Dio. 3. Invece di quest’ora dolorosa si vorrebbe qualche saggio di gloria, come Mosé sul Sinai, come san Benedetto a Montecassino, come sant’Agostino ad Ostia, come santa Caterina che per quattro ore ebbe la visione di Dio [B. Raimondo da Capua, Vita di S. Caterina da Siena, Lib. 11, cap. 6] Ma questo avverrà in modo permanente al momento della morte, se quell’ora di prova dolorosa fu trascorsa nell’amore, se tutta la nostra attività interna ed esterna sarà stata polarizzata verso il paradiso e con la carità avremo preso possesso di quel regno, vivendo saggiamente, da pellegrini non distratti, da esuli non dimentichi di quella Gerusalemme, di cui siamo diventati cittadini col Battesimo e con la vita cristiana. Sappiamo dal Vangelo che in cielo si fa festa quando sulla terra si converte un peccatore; quale festa si farà quando l’anima di un giustificato vi entra per sempre? Ma intanto guardiamo intorno e vediamo se la nostra vita sia davvero il degno tirocinio dei candidati al Paradiso. Dice spesso santa Caterina da Siena: Non aspettare il tempo, perché il tempo non aspetta te. (Lett.85) Dice il Signore: State pronti, perché quando meno ve lo aspettate, verrà il vostro giudice. (Luca XII,40) E non ci si prepara facendo gli svogliati e i cattivi, ma con tutta la vita cristiana, intensamente, nobilmente vissuta. Questo è il Breviario del Rinnovamento spirituale! Che in ogni pagina suggerisce di rinnovarci internamente, e di invocare ogni giorno la grazia della buona morte, cioè della perseveranza finale, e della vita eterna beatificante.