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Silvia Lo Forte

C’era una volta un’orchidea

che voleva essere una ginestra

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Copyright © 2015 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi

Casa Editrice Antipodes

www.antipodes.it

[email protected]

ISBN: 978-88-96926-39-0

In copertina: disegno di Nico Bonomolo

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Alle persone del cuore,di cui so di potermi fidare e che mi auguro di avere sempre vicine,ovunque io vada e comunque io sia.Grazie per esserci, per esserci state, e per esservi fatte (ri)trovare quando era il momento.

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Prefazione

Cosa ci rivela il confronto fra un’orchidea e una ginestra?Cosa hanno in comune il mito delle due metà di cui parla Platonenel “Simposio” e una canzone di John Lennon, anche se espri-mono opinioni opposte? È più vera la storia di Orfeo ed Euridice,che ci vuole convincere ad abbandonare ogni sforzo per recupe-rare ciò che appartiene ormai al passato, o bisogna credere nelmessaggio che ci trasmette la frase “Ci vediamo a Montauk”, checonclude la storia di un film che l’autrice di questo libro consi-dera uno dei suoi “film manifesto”?

Cosa ci può insegnare l’abitudine di percorrere al buio la stradafra il nostro letto e la cucina per uno spuntino notturno (tipicaabitudine di chi soffre di insonnia)? Come convivere con i “jet-lagdell’anima” e con la “solitudine di default”? Vale la pena di con-tinuare a combattere per le cause perse (una di queste: continuarea trovare ragioni per amare la Sicilia) con la sola forza della “gas-peranza”, cioè di una speranza difficile a vedersi? Cosa è il “ro-manticinismo” e cosa vuole insegnare la “teoria degli auricolari”?

Di questo e di tante altre cose ci parla questo libro che nascedal dolore di un amore (in)finito e che non dà risposte definitive,fatta eccezione della certezza che senza “amore” e “ironia” la vitaè destinata inevitabilmente ad apparire più scialba. Leggerlo puòessere molto utile negli inevitabili momenti di difficoltà che capitaa tutti di attraversare; anche perché racconta che perfino il dolorepuò lasciare degli “amabili resti”, che si aggiungono alle tante cosepositive che pure la vita ci regala.

Come i luoghi dell’anima, le “prime volte” delle nostre espe-rienze più belle, i desideri o i sogni che amiamo accarezzare, maanche i libri ed i dolci. Ed in quest’ultimo caso, del resto, è lastessa autrice a confessare di avere pensato più volte che il suo

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vero destino sia “quello di rendere felici le persone con i dolci”. E, forse, anche con i libri.Conosciamo Silvia da tempo. Ed è da quando la conosciamo che

ci pare si porti a spasso un’aria mezzo trasognata, equamente ri-partita tra distacco ironico, compassione umana, sensibilità inallerta costante e, costi quel che costi, un’incrollabile fiducia nelGrande Cocomero. Insomma, una canzone dei Radiohead su testodi Italo Calvino e sotto la direzione di un Cervantes più stralu-nato che mai. Per questo le vogliamo bene, per questo vale la penaleggere questo libro.

Ferdinando Albeggiani e Alessandro Tesauro

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Intro.

“When you were here beforeCouldn’t look you in the eyeYou’re just like an angelYour skin makes me cryYou float like a featherIn a beautiful worldI wish I was specialYou’re so fuckin’ specialBut I’m a creepI’m a weirdoWhat the hell am I doing here?I don’t belong here”.

- Radiohead, “Creep” (Pablo Honey)

Nella vita capitano cose strane. Nasci in un modo, cresci e co-minci a maturare un certo modo di essere, finché più o meno nonti assesti in una determinata forma, e ad un certo punto potrestivoler diventare qualcuno che forse non sei mai stato. Spesso ci sisente fragili e impreparati agli ostacoli che si possono incontrare,alle persone che si rivelino, specie se inaspettatamente, fonte didelusione, nonché a tutte le altre cose negative che si possano ve-rificare nel corso degli anni. E quando ci si sente così, si passa iltempo a desiderare di essere diversi. Di essere una persona piùforte, che non abbia mai paura, che sappia sempre come compor-tarsi in ogni circostanza e con qualsiasi interlocutore. Che non

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si tiri mai indietro ma che, piuttosto, riesca sempre ad affrontareanche le difficoltà apparentemente più insormontabili.

Ho provato questa sensazione tante volte. Solo che, all’inizio,la reazione più facile era sempre quella di tirarmi indietro. Rasse-gnarmi al mio modo di essere e al fatto che non potessi fare nullaper cambiarlo, perché ormai – ah quest’avverbio, quanti limiti rie-sce a mettere a qualsiasi cosa - era troppo tardi e, alla fine, se nasciin un modo non riesci mai a cambiare più di tanto, soprattuttosotto certi aspetti così fondamentali. Anche se poi, col tempo, hoimparato che a volte è più facile fare dei cambiamenti radicali piut-tosto che modificarsi nelle piccole cose. Ad ogni modo, pensandodi non poter mai realizzare dei cambiamenti sostanziali, andava afinire che ogni volta assistevo passivamente al tramonto e alla ca-duta del mio io, senza provare a fare qualcosa che potesse arrestarequesto declino inesorabile verso la condizione statica del rimanerequel che ero, con tutti i miei difetti e i miei limiti. Sennonché, daun certo punto in poi, non saprei spiegare bene cosa sia successo,qualcosa è cambiato. Il contrario di quel che pensavo mi seducevacome un mondo favoloso, e così, ogni volta che mi si poneva da-vanti un bivio, decidevo di seguire proprio la strada che normal-mente non avrei mai intrapreso. Forse in questo modo, pensavo,avrei finalmente cambiato il corso degli eventi.

Esempio:- Cosa farebbe la me di prima? (Quando il “prima” in realtà non

è esattamente un prima, ma qualcosa che già nell’istante dopo in cuiviene pronunciato non c’è più, perché, anche se non se ne è ancoraaccorto, è gia passato, e quindi è diventato qualcosa di diverso.)

- Sceglierebbe l’opzione a)- Perfetto, allora optiamo per la b).È un po’ il concetto dello squadra che vince non si cambia, però

al contrario. Considerando che il mio atteggiamento timido, im-paurito e remissivo non mi aveva mai portato da nessuna parte, elì per lì non mi veniva in mente alcuna possibilità di seguire un

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percorso intermedio - più che altro proprio perché mi mancava an-cora la sponda opposta che, in una visione d’insieme, mi avrebbepermesso di capire quale fosse la mezza via – presi la decisione dicomportarmi esattamente nel modo opposto a quello che, per pi-grizia, abitudine, paura o incapacità di mettermi in gioco, avrei,in tempi non sospetti, privilegiato.

§

Pausa, e annessa rivelazione degli intenti. Premetto che, in que-st’antefatto, la mezza via non sarà tracciata, poiché ci arriveremonei prossimi capitoli, che costituiscono tutto il percorso intermedioche mi porta da un capo all’altro. Quindi, in questa sede, mi limi-terò a prospettare soltanto le due parti tra loro opposte, ovvero ilpunto di partenza e il suo contrario speculare. Però vorrei spiegareun po’ il senso di quello che sto scrivendo, e che scriverò, anche senon è mia abitudine procedere in un unico senso, perché alla fineè tutto un incrocio di sensi, a cominciare da questa cosa dell’in-crocio che ho scritto adesso. In questo libro, comunque, vorrei pro-vare a tracciare la strada che ho percorso - e che sto ancorapercorrendo, perché credo non si finisca mai del tutto di “cammi-nare” - per provare a divenire più forte, per trasformarmi da un’or-chidea delicata e suscettibile di cadere ad ogni soffio di vento, inuna più resistente ginestra, della cui forza qualcuno ben più im-portante di me, in passato, ha avuto modo di scrivere versi desti-nati all’eternità. Passando per cose belle e non, per momenti quasiperfetti e momenti tremendamente difficili, per gli espedienti uti-lizzati per andare avanti o soltanto per fare delle pause necessariea non impazzire, e per non perdere la bussola, evitando così dismarrirmi lungo il sentiero. Con un riferimento particolare e co-stante - un po’ sullo stile della intro di “Manhattan”, di WoodyAllen - a tutte le cose per cui secondo me vale la pena vivere, e chetroverete disseminate nel corso della narrazione. Che siano luoghi

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non dimenticati e indimenticabili cui si vorrebbe sempre fare ri-torno; persone del cuore di cui non si può fare a meno, anchequando poi si deve imparare a farne a meno; libri che si vorrebbeavere sempre a portata di mano, in cui trovare conforto o grazie aiquali sognare e trovare un rifugio per tutto il tempo che serve asentirsi di nuovo pronti a ritornare con i piedi per terra; l’estate,che porta con sé una quantità infinita di cose belle, e in cui l’animoumano, dopo essersi risvegliato in primavera, è pronto a vivere av-venture che nel resto dell’anno sarebbero impensabili; scrivere pa-gine e pagine dove mettere se stessi e quello che ci fa male, comeper allontanarsi e sentirsi più leggeri, anche se solo per un po’ ditempo, e poi leggerle, ritrovarsi, e rimettere tutto nel cuore, perchéalla fine è quello il loro posto; la musica che fa da sottofondo a coseimportanti e non, e che a volte ti consente di ritornare a momentio persone passate semplicemente attraverso le scorciatoie della me-moria, così da non perdere mai veramente niente e nessuno; albe etramonti di cui non ci si stanca mai, poiché rimangono sempreuno degli spettacoli più suggestivi cui è possibile assistere; un’isolain cui rifugiarsi e che faccia ricordare quanto sia bello vivere dipiccole cose, semplici e belle; passeggiare in bici e non smettere maidi meravigliarsi di quello che la propria città può offrire, illuden-dosi che sia possibile renderla migliore proprio partendo da questo;le giornate di pioggia trascorse in casa a fare tante piccole cose chenormalmente non si ha il tempo di fare, e insieme fantasticare suquelle che invece si vorrebbero fare; i film che ti rimangono dentro,insieme a tante domande, stimoli e spunti di riflessione, e così via.Cose come queste, secondo me, costituiscono dei tasselli fondamen-tali nel puzzle della vita, perché, nella confusione generale, è vera-mente importante potersi aggrappare a dei punti di riferimento o adelle vere e proprie certezze - se si ha la fortuna di averle - che ti aiu-tino a resistere, non facendoti mai dimenticare quanto sia bello, perl’appunto, vivere. Poiché queste cose non solo fungono da rete di si-curezza, ma servono anche a ricordare sempre quanto quello che ci

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sta intorno possa essere meraviglioso, e che il più delle volte bastasolo fare un po’ di attenzione e soffermarsi su tutti quegli aspettidella vita, anche - e soprattutto - i più piccoli, che rendono tutto di-verso, migliore, oltre che soltanto più semplicemente accettabile.

In queste pagine ci sarò io, con tutte le mie sfaccettature, lemie paure e i miei punti di forza, nel costante tentativo di spiegarecome sia possibile, al mondo d’oggi, riuscire a mantenere la pro-pria identità anche quando tutto quello che sta fuori, e che ci ruotaintorno, tende a fare di tutto per imporci un cambiamento. Chela maggior parte delle volte neppure ci piace, perché ci costringead essere qualcuno che non vogliamo essere, solo perché, ormai,come si dice, le cose funzionano così. E cercherò di spiegare, nellostesso tempo, come sia possibile resistere - e magari anche reagire- agli ostacoli o, comunque, a tutte quelle cose che potrebbero farcidel male, provando invece a cambiare in senso positivo, per rag-giungere di volta in volta quella che, in relazione al contesto incui viviamo e alle persone che ci stanno intorno, potrebbe esserela versione migliore di noi stessi.

Nel mio piccolo, spero che l’esempio del mio percorso possa ser-vire a tutti coloro che si sentano diversi, un po’ persi nel bel mezzodel nulla, che non sanno bene come muoversi e che abbiano bisognodi una luce che illumini quel buio che fa così paura ma che si hatanta voglia di combattere, per arrivare sani e salvi fino alla fine.

Che, peraltro, c’è da sperare che sia davvero bella.Pausa finita, riprendo la narrazione.

§

Devo dire che grazie all’idea di modificare completamente ilmio comportamento, nel terzo (almeno così spero, toccando ferro)del cammin della mia vita, ne ho combinate di cavolate. Alcunidei più miei grandi errori sono derivati proprio da questo tempe-ramento innovativo e spavaldo. A ripensarci, vorrei cancellare

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