UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali,
Corso di Laurea in Fisica
Santi Enrico Mazzaglia
Codice Monte Carlo applicato alla simulazione di unatomografia computerizzata effettuata con protoni.
TESI DI LAUREA
Relatori:
Chiar.mo Prof. S. Lo Nigro
Dr. G.A.P. Cirrone
ANNO ACCADEMICO 2005-2006
Indice
1 Fisica delle immagini ottenute con radiazioni ionizzanti 14
1.1 Immagini a raggi X . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.1.1 Trasmissione, assorbimento, scattering dei raggi X . . . . 15
1.1.2 Fisica delle interazioni dei raggi X con la materia . . . . . 16
1.1.3 Legge di Lambert-Beer per le immagini in medicina diag-
nostica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.1.4 Applicazioni in medicina diagnostica . . . . . . . . . . . 19
1.2 Discretizzazione del fenomeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
1.3 Immagini per trasmissione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
1.4 Cenni sullo stato dell’arte della diagnostica per immagini . . . . . 23
1.4.1 Radiografia e Tomografia per trasmissione . . . . . . . . . 23
1.4.2 Immagini con radioisotopi . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni . . . . . . . . . . . . 28
1.5.1 Potere frenante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
1.5.2 Range . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
1.5.3 Deflessione angolare spaziale e dispersione energetica di
un fascio di protoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
INDICE 2
1.5.4 Utilizzo dei protoni nelle immagini per trasmissione . . . 37
2 Tecniche matematiche per la medicina diagnostica 40
2.1 Campionamento reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
2.2 Trasformata di Radon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
2.2.1 Proiezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche . . . . . . . . 44
2.3.1 Forza Bruta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
2.3.2 ART . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
2.3.3 Back projection e filtered back projection . . . . . . . . . 48
2.3.4 Numero minimo di campionamenti . . . . . . . . . . . . 53
3 Sviluppo di una Tomografia Computerizzata mediante protoni (pCT) 55
3.1 Importanza dell’utilizzo dei protoni nella compilazione dei piani
di trattamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
3.2 La trasformata di Radon nella pCT . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
3.2.1 Proiezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
3.2.2 Densità elettronica dei materiali organici . . . . . . . . . 61
3.3 Contrasto e risoluzione in tomografia . . . . . . . . . . . . . . . . 62
3.3.1 Fattori fisici che limitano il contrasto e la risoluzione spaziale
nella pCT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
3.3.2 Risoluzione in densità di un’immagine . . . . . . . . . . 63
3.3.3 Risoluzione spaziale di un’immagine . . . . . . . . . . . 64
3.4 Dosimetria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
3.4.1 Unità di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
3.4.2 Dose rilasciata da protoni e ioni pesanti . . . . . . . . . . 67
INDICE 3
3.5 Dose al centro rilasciata in un fantoccio cilindrico (CTDI) . . . . 69
4 Il programma e i modelli simulati 72
4.1 Il metodo MonteCarlo e le sue applicazioni in fisica . . . . . . . . 72
4.1.1 La simulazione al computer di eventi stocastici . . . . . . 72
4.2 Introduzione al toolkit GEANT4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
4.3 Una tomografia eseguita seguendo ogni singola particella . . . . . 76
4.3.1 Struttura del programma in GEANT4 . . . . . . . . . . . 76
4.3.2 Percorsi medi possibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
4.3.3 Geometria del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
4.3.4 Numero di proiezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
4.4 Struttura dei fantocci ricostruiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
4.5 Fantocci utilizzati per l’analisi della risoluzione . . . . . . . . . . 85
4.6 Ricostruzione dell’immagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
4.6.1 Algoritmi di ricostruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
4.6.2 Artefatti energetici in pCT . . . . . . . . . . . . . . . . . 88
4.7 Validazione del codice GEANT4 applicato ai fantocci simulati . . 89
4.7.1 Simulazioni sulla dispersione angolare e spaziale (MCS) . 89
4.7.2 Confronto analitico con il database del NIST . . . . . . . 96
5 Analisi dei dati delle simulazioni 98
5.1 Immagini ottenute . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
5.1.1 Immagini ottenute vincolando i percorsi lungo i confini di
ciascuna raggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
5.1.2 Immagini ottenute vincolando i percorsi solo agli estremi
del raggio di appartenenza . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
INDICE 4
5.1.3 Parametri di risoluzione per fotoni a 52 keV . . . . . . . . 104
5.2 Dosi rilasciate al centro (CTDI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
5.3 Conclusioni e confronto con i dati più recenti presenti in letteratura 109
5.3.1 Risoluzione spaziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110
5.3.2 Risoluzione in densità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
5.3.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112
Codice Monte Carlo Geant4
applicato alla simulazione di una
tomografia computerizzata effettuata
con protoni
Santi Enrico Mazzaglia
I recenti progressi nella cura dei tumori mediante adroni carichi, hanno come
logica conseguenza la necessità di disporre di adeguati piani di trattamento, per-
sonalizzati per ogni paziente. Si rende quindi necessario disporre di una mappa
dettagliata della densità elettronica delle strutture tumorali e di quelle circostanti,
per conoscere la distribuzione della dose rilasciata con sufficiente precisione.
A tale scopo codice Monte Carlo, GEANT4, specialmente alla luce della potenza
di calcolo oggi disponibile, offre un conveniente sistema, sia per simulare il tratta-
mento al paziente, sia per studiare sistemi d’imaging ionizzante nuovi, riducendo
notevolmente i costi e i tempi necessari alla loro effettiva implementazione. Il primo
codice GEANT4, nasce nel 1974 per simulare il passaggio di una singola particella
INDICE 6
attraverso un solo tipo di materiale, oggi, interamente riscritto in C++, è in grado di
simulare il passaggio di tutte le particelle conosciute (e anche inventate) attraverso
la materia dalle energie da 10−2 eV fino ai 10 TeV del LHC (Large Hadron Collider)
al CERN di Ginevra.
Il progetto per la realizzazione di un sistema di tomografia computerizzata con
protoni (pCT) viene oggi esaminato da molti gruppi di ricerca sparsi in tutto il mon-
do: il Paul Scherrer Institute (Svizzera), Il Loma Linda University Medical CEN-
TER (LLUMC, USA) insieme alla collaborazione del Santa Cruz Institute for Par-
ticle Physics (SCIPP, USA) e di un gruppo di ricercatori dell’INFN e dell’università
di Firenze.
Il programma sviluppato in questo lavoro prende quindi spunto da alcuni lavori
svolti recentemente.In esso abbiamo simulato la tomografia di una sezione circolare
di un fantoccio cilindrico, variando il tipo di particella ionizzante (protoni, raggi X)
e la sua energia. Prima di procedere alla determinazione delle immagini e al calcolo
della dose corrispondente, abbiamo inoltre validato il codice prodotto mediante un
confronto con la teoria analitica della diffusione coulombiana (Moliere), applicata
al modello di fantoccio utilizzato.
L’equazione di base da cui siamo partiti (ottenuta da una rielaborazione del-
l’espressione potere frenante elettronico) per trasformare i dati di proiezione in
un’immagine della distribuzione della densità elettronica:
∫ Eout
Ein
dEF(I(r),E)
=∫
Lη(r)dl = ∑η(r)∆l, (1)
richiede la conoscenza del percorso L (del singolo protone) lungo cui si sviluppa
la somma discreta, relativa alla densità elettronica (η(r)) contenuta in essa. Invece
INDICE 7
quello che possiamo conoscere oggi, considerando un mezzo omogeneo, sono: i
limiti, in termini della deviazione standard, entro cui percorso reale si sviluppa, e il
percorso medio.
In questo lavoro, scegliendo gli impulsi iniziali dei protoni tutti paralleli all’asse
ortogonale al cilindro fantoccio, è stato considerato (in prima approssimazione),
come percorso medio, quello rettilineo. Nel calcolare la (1), abbiamo inoltre con-
siderato costante il potenziale di ionizzazione I(r), e pari a quello dell’acqua (75
eV), e utilizzato la semplice formula di Bethe Bloch per il potere frenante (valida
nel nostro intervallo di energie) per ricavare la funzione F(I(r).
Le immagini ottenute, utilizzando il ben noto algoritmo di FBP (retroproiezione
filtrata) per invertire l’integrale nella (1), di un fantoccio contenente pattern di
risoluzione mirati, sono state anche confrontate con le immagini a raggi X (xCT),
per lo stesso fantoccio, della distribuzione dei coefficienti d’attenuazione.
Figura 1: Modello tipo per il calcolo delle risoluzioni durante un run (in blu le tracce dei protoni,in rosso quelle degli elettroni e in verde i quanti gamma).
Per il calcolo della dose rilasciata, è stato utilizzato un metodo standard che si
INDICE 8
serve di una camera di ionizzazione cilindrica posta lungo l’asse di simmetria del
fantoccio (fig. 2)
Le simulazioni hanno richiesto un tempo medio pari a un’ora per 106 eventi
(percorsi seguiti) pari a circa 2 giorni per ottenere una tomografia completa con
250.000 eventi/proiezione. Nella figura 5.1.1 abbiamo riportato un’immagine tipo,
ottenuta filtrando i percorsi dei protoni dentro il fantoccio imponendo un’angolo
proiettato massimo in uscita di 10.
Alla fine del lavoro abbiamo fatto un confronto dei parametri di risoluzione con i
dati più recenti presenti in letteratura. I risultati per i valori della risoluzione spaziale
sono stati leggermente inferiori a quelli ottenuti più recentemente (3.3 lp/cm vs 4.5
lp/cm).
INDICE 9
Figura 2: Il fascio piano simulato mentre interseca il volume simulato della C.I.
Figura 3: 5 ·106 protoni simulati a 200 MeV.
Introduzione
Terapia con fasci di protoni
Da quando W. Röntgen nel 1895, scoprì, quasi per caso, i raggi X, passarono
circa 30 anni perché venisse intuita l’opportunità di un loro utilizzo in diagnostica
medica e nella terapia radiante dei tumori (radioterapia). Dalla prima indicazione
sull’uso di fasci di protoni, ad opera di Wilson nel 1946 [Wil47], per applicazioni
terapeutiche nella cura dei tumori con adroni (adroterapia), sono passati più di 50
anni e le tecniche terapeutiche sono state, specialmente in questi ultimi anni, affi-
nate notevolmente.
Rispetto alla classica terapia che utilizza fasci collimati di fotoni ed elettroni, l’uti-
lizzo dei protoni consente di rilasciare una quantità di dose al tumore superiore, in
rapporto a quella depositata nei tessuti sani circostanti, e con maggiore precisione,
grazie alle proprietà di frenamento del fascio di protoni che è caratterizzato da un
rilascio di dose moderato in entrata e quasi nullo in uscita, mentre l’energia viene
ceduta principalmente in un intorno del percorso in corrispondenza, nella curva del-
la perdita specifica di energia, del cosiddetto picco di Bragg, alla fine del range (§
1.5.2) delle particelle.
Al fine di prevedere la distribuzione di dose rilasciata da fasci di protoni, in modo
INDICE 11
da minimizzare il danno da radiazioni nei tessuti circostanti il tumore, è neces-
sario conoscere una mappa tridimensionale (3D) della perdita di energia per unità
di lunghezza, e quindi (§1.5.3), occorre conoscere la corrispondente distribuzione
della densità elettronica all’interno del tessuto da irradiare. Queste informazioni
permettono di simulare il trattamento completo ed ottimizzarlo per il caso specifico
(piano di trattamento). A tal fine, sul tessuto contenente il tumore, vengono attual-
mente eseguite delle tomografie con raggi X (tomografia assiale computerizzata,
TAC 1) per determinare la mappa dei coefficienti d’attenuazione in corrispondenza
della lieve disomogeneità tumorale e dei tessuti circostanti sani.
Tuttavia, dato che non esiste una corrispondenza biunivoca esatta tra queste
due grandezze (§ 3.1), tessuti con lo stesso numero atomico effettivo avranno lo
stesso comportamento nei confronti dei raggi X, ma possono avere diversa densità
elettronica, e viceversa (§ 3.1) [Ped94]. Da queste motivazioni di carattere fisico
insieme all’incremento del numero dei centri per l’adroterapia in tutto il mondo, è
nata la necessità di studiare la possibilità di usare i protoni come tecnica per ricavare
immagini tomografiche (pCT).
Tomografia con particelle cariche
La TAC è essenzialmente il processo di ricostruzione di una funzione (immag-
ine) di due variabili, ad esempio la mappa su di un piano della densità elettronica
di un oggetto, a partire dalla conoscenza di un campione di dati costituiti dai suoi
integrali di linea o altre funzioni simili, lungo direzioni predefinite (§ 1.2). L’in-
sieme delle immagini piane ottenute da scansioni contigue, permette di ottenere il1Il termine tomografia, indica l’immagine di una sezione piana di un oggetto, ortogonale ad un
suo asse di simmetria (assiale), e deriva dal greco τoµoσ: taglio
INDICE 12
modello 3D dell’anatomia del paziente.
La possibilità di utilizzare i protoni per tale ricostruzione fu già indicata da A. Cor-
mack nel 1963. Successivamente, Crowe (1975), Huesman (1975) e Hanson (1978),
provarono che esiste un vantaggio di dose utilizzando protoni invece dei raggi X,
per osservare elementi a basso contrasto dentro il corpo umano. Tenendo presente
che dai protoni, come anche da altre particelle cariche, è possibile ricavare una map-
pa della densità elettronica (piuttosto che dei coefficienti d’attenuazione) e quindi
del potere frenante (§ 1.5.1), ne segue che è possibile ottenere informazioni utili ai
fini del trattamento di masse tumorali con adroni carichi.
Obiettivi del seguente lavoro
In questo lavoro si è studiata principalmente l’estensione delle tecniche tomo-
grafiche, ormai ben consolidate nella diagnostica medica con fasci di raggi X, a
fasci collimati piani di protoni monoenergetici.
Partendo dalla simulazione di semplici immagini per trasmissione (§ 1.3) con fasci
di protoni omogeneamente distribuiti, si è investigata la possibilità di simulare una
vera e propria tomografia, anche prendendo spunto da alcuni lavori dei primi anni
’80 [Han81, Han82] e, soprattutto, dai più recenti dell’inizio di questo nuovo secolo
[Ped99, Wil04, Sch04, Sch05, Sch06].
Lo scopo principale della seguente tesi è stato dunque quello di ottenere, mediante
simulazioni eseguite con l’ausilio del toolkit Monte Carlo, GEANT4, immagini to-
mografiche con protoni (pCT 2, acronimo per Proton Computed Tomography)[Can04],
2Nel seguito indicheremo con l’acronimo xCT la tomografia eseguita con fotoni X
INDICE 13
di sezioni assiali di fantocci costituiti da cilindri d’acqua contenenti: inserti di di-
verso materiale, per la verifica della risoluzione in basso contrasto , e pattern di
risoluzione, per la misura di quella spaziale; le stesse sono state confrontate con
quelle ottenute sugli stessi fantocci, ma adoperando i classici fotoni X.
Nei primi due capitoli verranno descritti gli aspetti fisici e matematici implicati
nel processo di ricostruzione tomografica.
Nel terzo capitolo verrà descritto l’algoritmo della pCT ed alcuni aspetti teorici
legati alla dose ed ai parametri di risoluzione legati alle immagini ottenute
Nel quarto si parlerà della struttura del programma e dei modelli simulati.
Nel quinto, infine, saranno analizzati i risultati ottenuti, confrontando i val-
ori della dose rilasciata all’interno dei fantocci con i dati presenti in letteratura e
paragonandoli nel contempo alla qualità delle immagini ottenute.
Capitolo 1
Fisica delle immagini ottenute con
radiazioni ionizzanti
Introduzione
Tutte le immagini attualmente disponibili del corpo umano vengono ricavate
dalla interazione di flussi di energia, nella forma di onde meccaniche o elettromag-
netiche, con i tessuti umani. I meccanismi fisici di queste interazioni interessano
principalmente la corteccia elettronica esterna delle molecole, ma nel presente la-
voro l’utilizzo di protoni comporterà l’attivazione anche di canali di reazione di tipo
nucleare.
1.1 Immagini a raggi X 15
1.1 Immagini a raggi X
1.1.1 Trasmissione, assorbimento, scattering dei raggi X
Un fascio di raggi X, attraversando la materia, subisce dei processi fisici che de-
terminano una riduzione dell’intensità iniziale, sia per assorbimento che per scatter-
ing dei fotoni che lo compongono, in funzione, per un dato materiale, della loro en-
ergia (hν). In ordine di importanza del contributo alla sezione d’urto all’aumentare
dell’energia, questi processi sono:
1. Diffusione coerente (o scattering di Rayleigh), che è un processo elastico
d’interazione del fotone con l’intero atomo che comporta diffusione senza
scambio d’energia,
2. Assorbimento fotoelettrico, che comporta la scomparsa del fotone a spese
dell’espulsione di un elettrone atomico (fotoelettrone) con ionizzazione e
conseguente emissione di raggi X caratteristici. Può avvenire, per rispettare
le leggi di conservazione dell’impulso e dell’energia, solo in presenza del
campo elettromagnetico dell’atomo. E’ un urto anelastico con energia E f
del fotoelettrone ed energia di legame dell’elettrone urtato Eb, legati dalla:
E f = hν−Eb,
Alle energie comunemente utilizzate in radiologia diagnostica si ha : Eb ¿hν, di modo che risulta: E f ∼= hν.
La probabilità d’interazione è fortemente dipendente da Z (σph ≈ Z4 E3,
per questa ragione le ossa, per la presenza del calcio, assorbono i fotoni
1.1 Immagini a raggi X 16
10 volte di più dei tessuti molli), con picchi ben evidenti in corrispondenza
delle energie di legame degli elettroni atomici (quando hν≥ Eb).
3. Diffusione incoerente (o scattering Compton), che si genera dall’urto di
un fotone su un elettrone, con conseguente diffusione dello stesso fotone a
minore energia (E ′ = E1+(E/(m0c2)(1−cosθ))), ed è indipendente dalla presenza
di un campo e.m., con probabilità σC ≈ Zhν .
4. Assorbimento per creazione di coppie, che è il processo di creazione di
un elettrone e un positrone con la scomparsa del fotone, possibile solo per
energie maggiori di 2mec2 e in presenza del campo elettronico o nucleare
dell’atomo (come per l’effetto fotoelettrico),
5. Assorbimento per fotodisintegrazione, che è un processo di cattura del
fotone da parte del nucleo ed eccitazione dello stesso che determina l’e-
spulsione di uno o più neutroni/protoni.
1.1.2 Fisica delle interazioni dei raggi X con la materia
Alle energie utilizzate per la radiografia convenzionale (valori medi dello spet-
tro ' 50÷ 70keV ) e per i tessuti biologici, l’effetto Compton è prevalente rispetto
al fotoelettrico, con una probabilità superiore al 90% (nelle mammografie dove in-
vece l’energia media è di 25 keV, i due processi hanno eguale probabilità). Gli altri
processi sono assenti, eccetto una piccola probabilità per la diffusione coerente.
Quindi è corretto affermare che le immagini in xCT si ottengono principalmente
dalla misura dell’attenuazione per diffusione Compton dei fotoni incidenti: vedi-
1.1 Immagini a raggi X 17
amo dunque, per questi processi, quali quantità possiamo ricavare per investigare la
struttura interna dei corpi.
1.1.3 Legge di Lambert-Beer per le immagini in medicina diag-
nostica
Nello studio dell’interazione dei raggi X con la materia, per un materiale omo-
geneo con ρe elettroni per unità di volume, si definisce il coefficiente d’attenuazione
lineare (elettronico),
µ = ρeσtot , (1.1)
(o sezione d’urto macroscopica), o meglio il coefficiente d’attenuazione màssico
(indipendente dallo stato fisico del materiale), ottenuto dividendo il primo per la
densità di massa: 1,
τ =µρ
=NA
AZ σtot ,
dove NA/A, rapporto tra il numero di Avogadro e il peso atomico, rappresenta il
numero di atomi per grammo di materia, Z il numero atomico, e
σtot = σR(E, ZR)+σph(E, ˜Zph)+σC(E), (1.2)
la sezione d’urto elettronica totale (per i processi visti nel § 1.1.1 escludendo la pro-
duzione di coppie), funzione dell’energia del fascio e del numero atomico effettivo
[Joh83], Z, caratteristico di ciascun processo (per l’effetto Compton e per materiali
1Il coefficiente d’attenuazione lineare è pari al prodotto della sezione d’urto totale per il numerodi nuclei diffondenti per unità di volume. Per miscugli o composti µ
ρ = ∑wiµiρi
, dove wi è la frazionein peso dell’i-esimo elemento.
1.1 Immagini a raggi X 18
organici2: µCρ = NA
A Z σC ≈ NAZAEγ
≈ NA2Eγ
, quindi è circa indipendente dal materiale e
non solo dallo stato fisico).
Consideriamo ora un pennello di fotoni monocromatici, caratterizzato quindi dal
un numero di fotoni diviso l’unità d’area (fluenza), I0, che attraversa un materiale
omogeneo di spessore infinitesimo lungo la direzione iniziale del fascio, dl; per la
legge di Lambert e Beer, la variazione della fluenza degli stessi all’uscita sarà:
dI =−I0µdl (dI << I0), (1.3)
dove si vede che µ rappresenta la frazione dei fotoni che interagisce per unità di
lunghezza.
Per uno spessore finito, integrando la (1.3) e supponendo di poter trascurare la
radiazione diffusa (inserendo dei collimatori all’uscita):
I(l) = I0e−µl = I0e−∆lλ . (1.4)
in cui λ è il libero cammino medio per i fotoni, cioè il percorso medio tra un’inter-
azione e la successiva.
Usando il coefficiente d’attenuazione màssico, τ, e la densità areale, x = ρl, possi-
amo riscrivere la (1.4) eliminando la dipendenza dalla stato fisico del materiale:
I(x) = I0e−τx. (1.5)
2Il rapporto ZA ≈ 1/2 anche per materiali organici (tab. 3.2).
1.2 Discretizzazione del fenomeno 19
1.1.4 Applicazioni in medicina diagnostica
Passando al caso più realistico di un materiale non omogeneo, sempre per fotoni
monocromatici3, indicando con L la linea retta d’integrazione lungo una sezione
piana del materiale e fissato su di essa un sistema di riferimento cartesiano (O,x,y):
I(L) = I0e−∫
L µ(x,y)dl. (1.6)
Per un flusso di fotoni, dunque, l’informazione che possiamo ricavare, proviene uni-
camente dalle misure della fluenza in ingresso e di quella uscente.
1.2 Discretizzazione del fenomeno
Poichè i rivelatori hanno dimensioni finite (limitate anche dalla necessità di
ridurre le fluttuazioni statistiche dei conteggi di fotoni), le equazioni precedenti
vanno discretizzate, suddividendo la linea L come in fig. 1.1
I = I0e−∑i µi∆x (1.7)
P = lnI0
I=
n
∑i=1
µi∆x (1.8)
3Nel caso di un fascio policromatico occorre considerare la dipendenza di µ anche dall’energiae la (1.6) va sostituita con la:
I(L) =∫
S(E)(
e−∫
L µ(x,y,E)dl)
dE
, in cui si è indicato con S(E) il numero di fotoni nell’intervallo di energia tra E ed E +dE.
1.2 Discretizzazione del fenomeno 20
La funzione P nella (1.8), denominata di proiezione4, è il numero in effetti misurato.
Figura 1.1: Intensità in ingresso e in uscita per un singolo canale
Immaginiamo ora di suddividere il blocco di tessuto in tanti foglietti e focalizziamo
l’attenzione su di uno, suddividendolo tramite una griglia come rappresentato in fig.
1.2: ne risultano m proiezioni degli n×m coefficienti di attenuazione.
Quindi la funzione (1.7) viene sostituita dalla quantità discreta:
Pj =n
∑i=1
µi j∆x j = 1,2, · · · ,m. (1.9)
Ciascuna proiezione è uguale alla somma (1.8), riscritta come:
I1 = I01e−(µ11∆x+µ12∆x+···)I2 = I02e−(µ21∆x+µ22∆x+···)
. . .
Il nostro unico compito a questo punto è la determinazione dei µi j a partire da
queste grandezze: vedremo nel capitolo successivo i metodi risolutivi che sono stati
studiati fino ad oggi.
4La funzione di proiezione è dunque l’integrale (somma) di determinate proprietà dell’oggetto(coefficienti d’attenuazione, densità elettronica ecc) lungo una direzione predefinita
1.3 Immagini per trasmissione 21
Figura 1.2: Intensità in ingresso e in uscita per un’ intera sezione piana (slice)
1.3 Immagini per trasmissione
Un’immagine per trasmissione è una proiezione bidimensionale (2D) della dis-
tribuzione tridimensionale (3D) di alcune proprietà fisiche (coefficienti di attenu-
azione, densità elettronica, densità di massa,ecc) di un dato materiale.
Dai paragrafi precedenti si capisce che l’informazione ottenuta, nel caso dei fotoni,
è in questo caso la somma dei coefficienti di attenuazione lungo le linee del fascio
originale, senza nessuna informazione circa la loro distribuzione nello spazio.
Nella tecnica radiografica, comunemente utilizzata in medicina per ottenere
questo tipo di immagini, e l’unica possibile fino agli inizi degli anni ’70, si uti-
lizza un fascio collimato di raggi X, proveniente da un tubo radiogeno, di solito a
forma conica con vertice sull’anticatodo, che, interagendo col corpo in esame, proi-
etta l’ombra della distribuzione dei fotoni trasmessi ad esempio su una superficie
piana di una lastra fotografica impressionabile, contenente una pellicola dotata di
uno strato fotosensibile di alogenuro d’argento. Era necessario dunque studiare un
sistema non distruttivo, tramite raggi X o altri vettori di energia, che permettesse la
visualizzazione delle strutture interne, nella loro reale disposizione 3D. Nella figura
1.3 Immagini per trasmissione 22
1.3 è stata riportata la simulazione della distribuzione in un piano 2D dei conteggi
dei fotoni che attraversano un cubetto d’osso, posto dentro una massa adiposa, in-
vestito da un fascio circolare di uno spettro X simulato da 120kVp.
Come si è visto nel § 1.1.1, l’immagine si forma tramite il conteggio dei fotoni che
Figura 1.3: Immagine per trasmissione a conteggio di fotoni di un cubo osseo (il profilo circolareè quello del fascio)
non subiscono scattering/assorbimento, dunque i raggi deviati rispetto alla traietto-
ria iniziale sono nocivi e devono essere rimossi dal fascio trasmesso (fig.1.4). L’en-
ergia dei fotoni viene scelta mediante un compromesso tra il contrasto desiderato e
la dose accettabile.
1.4 Cenni sullo stato dell’arte della diagnostica per immagini 23
1.4 Cenni sullo stato dell’arte della diagnostica per
immagini
La xCT e la risonanza magnetica (RM) forniscono informazioni solo sull’aspet-
to morfologico e non su quello funzionale dei vari organi del paziente. Nei paragrafi
seguenti sono descritti alcuni metodi dedicati alla visualizzazione del metabolismo,
del flusso sanguigno o dell’ossigeno nei tessuti.
1.4.1 Radiografia e Tomografia per trasmissione
Per ricavare immagini per trasmissione (§ 1.3) a partire dall’ assorbimento di un
fascio di fotoni, ci si avvale essenzialmente di un tubo emettitore di raggi X (ulteri-
ormente collimati e filtrati), di una griglia che assorbe i raggi diffusi in uscita e di
un film radiografico (il principio di funzionamento è riassunto nella figura 1.4:.
Lo stesso apparato, ma utilizzando dei rivelatori per fotoni X e di un calcola-
tore per l’applicazione degli algoritmi ai dati, può essere adoperato per ricavare
le proiezioni, cioè la frazione della radiazione trasmessa in uscita, definite nell’
equazione (1.8), necessarie allo sviluppo di un sistema tomografico (xCT). In figura
1.6 è mostrato lo schema di principio di uno scanner tomografico moderno, dotato
di un sistema di contatori posti su un anello entro cui viene fatto passare il paziente,
mentre, in figura 1.5, possiamo osservare quello originale presentato nel 1972 da
A.Cormack e G.Hounsfield, con un solo rivelatore che si sposta insieme al genera-
tore dotato di un collimatore per generare un fascio rettilineo.
La xCT possiede dei vantaggi notevoli rispetto alle semplici immagini radiografiche:
• essa fornisce una mappa 3D dell’anatomia del paziente, combinando le
1.4 Cenni sullo stato dell’arte della diagnostica per immagini 24
immagini 2D (§ 3.1) ottenute da ogni singola scansione,
• la presenza di collimatori del fascio in ingresso e in uscita riduce i raggi
diffusi, dannosi per il contrasto dell’immagine,
• le immagini vengono create e manipolate al calcolatore con la possibilità di
migliorare la visualizzazione delle strutture interessanti.
Inoltre la geometria delle immagini, che hanno una risoluzione spaziale del-
l’ordine del millimetro, non mostra le distorsioni invece presenti nella Risonanza
Magnetica Nucleare RMN.
Figura 1.4: Apparato semplificato perradiografie a raggi X.
Figura 1.5: Principio di funzionamen-to dello scanner tomografico di Cormacke Hounsfield (1972).
Figura 1.6: Principio di funzionamentodi uno scanner tomografico moderno.
1.4 Cenni sullo stato dell’arte della diagnostica per immagini 25
1.4.2 Immagini con radioisotopi
Con questa tecniche vengono introdotti nel corpo del paziente degli emettitori
γ (diretti o indiretti), cioè isotopi radioattivi di un elemento utile per alcune fun-
zioni vitali, che si distribuiscono al suo interno a seconda dell’elemento utilizzato.
Pertanto, a differenza di quanto accade con il metodo precedente:
• la radiazione primaria viene generata all’interno del corpo del paziente
• l’indagine assume una valenza funzionale, specifica di alcuni organi, anziché
semplicemente morfologica.
Tomografia computerizzata ad emissione di fotone singolo (SPECT)
In questa tecnica d’imaging viene emesso un solo raggio γ per ciascun decadi-
mento dei nuclei di una sostanza radioattiva5.
Una camera per raggi gamma6, munita di collimatore a fori paralleli, mentre ruota
attorno al paziente, consente di registrarne le proiezioni (§ 1.2) in una dimensione.
A partire da questi dati, mediante le tecniche di ricostruzione che saranno discusse
nel § 2.3.3, si ricostruiscono delle immagini 2D della distribuzione del nuclide negli
organi dove si concentra. Rispetto ad altri sistemi di formazione d’immagine tramite
radioisotopi, la SPECT permette di ottenere un maggior contrasto a discapito della
risoluzione spaziale (10-20 mm).
5Principalmente il 99Tc, che emette un fotone di 140 keV con τ1/2 di 6 h.6Si utilizza una camera Auger costituita da un cristallo di NaI accoppiato a dei fototubi.
1.4 Cenni sullo stato dell’arte della diagnostica per immagini 26
Tomografia ad emissione di positroni (PET)
L’esistenza di isotopi emettitori di positroni negli elementi come il carbonio,
l’azoto o l’ossigeno (11C, 13N, 15O, detti traccianti), che possono essere elaborati
per marcare dei composti organici, coinvolti nei processi biologici 7, permette l’u-
tilizzo in medicina di una tecnica per l’analisi funzionale dei vari organi.
Nella PET i due raggi γ (antiparalleli) di annichilazione del positrone emesso dal-
l’isotopo emettitore β+ vengono rivelati tramite un cospicuo numero di scintillatori
messi intorno al paziente e in coincidenza temporale8 tra di loro ( quindi la colli-
mazione, a differenza della SPECT dove si hanno collimatori fisici, è di tipo elet-
tronico) .
Il sistema fornisce quindi una mappa delle attenuazioni dei fotoni da 511 keV lun-
go le linee opposte tracciate dalle coppie di fotoni di annichilazione. Ricordando
infatti la (1.6) ed osservando nella figura 1.7, l’emissione di due fotoni da un iso-
topo dentro l’elemento di volume (voxel9) v, distante x′ dal rivelatore a sinistra, la
probabilità che un fotone lo raggiunga è P = e∫ x′
0 µ(x)dx; analogamente per il sec-
ondo fotone e il rivelatore di destra. Poichè questi due numeri sono indipendenti,
la probabilità di ottenere una coincidenza è PC = e∫ D
0 µ(x)dx, che, a differenza del-
la SPECT, indipendentemente dalla posizione del voxel lungo la linea considerata,
fornisce l’informazione (eq. (1.8)) necessaria per la ricostruzione (che viene quindi
effettuata con gli stessi algoritmi della tomografia per trasmissione).
I due parametri della PET che sono al di sotto degli standard raggiunti nella to-
7Ad esempio, per studiare le attività cerebrali, si adopera acqua contenente 15O.8La finestra temporale entro cui due segnali vengono considerati come vere coincidenze, è di
circa 12 ns.9Il più piccolo elemento di volume entro il quale l’immagine ricostruita dalla tomografia si
considera costante.
1.4 Cenni sullo stato dell’arte della diagnostica per immagini 27
Figura 1.7: Emissione di due fotoni di annichilazione senza scattering.
mografia per trasmissione sono la risoluzione spaziale e l’efficienza. La risoluzione
spaziale (5-10 mm) è limitata da alcuni fenomeni fisici:
• poichè l’energia dei positroni emessi segue una distribuzione, anche il loro
percorso prima dell’annichilazione subisce delle variazioni;
• l’energia residua del sistema elettrone-positrone riduce l’allineamento dei
fotoni emessi (con un errore quindi proporzionale alla distanza dei rivelatori
dal corpo);
• lo scattering Compton dei fotoni di annichilazione.
Altre fonti di errore nella risoluzione spaziale, dovute alle false coincidenze, sono:
• la registrazione, in uno dei rivelatori, del fotone associato al decadimento
β+ invece di quello di annichilazione,
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni 28
• l’annichilazione, entro il tempo di risoluzione preimpostato dei rivelatori,
di due o più positroni.
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni
Il trasferimento di energia di una particella carica (direttamente ionizzante), a
differenza dei fotoni (indirettamente ionizzanti), avviene in maniera continua, sia
per interazione coulombiana (ionizzazione ed eccitazione), che, in misura diversa
a seconda della sua massa e della velocità, per irraggiamento e interazione nucle-
are10. Occorre però distinguere, tra le particelle cariche, quelle che hanno una massa
paragonabile a quella dell’elettrone, che sono facilmente soggette ad angoli di dif-
fusione superiori a 90, da quelle, come il protone, che vengono diffuse raramente
a grandi angoli (almeno ad energie inferiori al GeV).
1.5.1 Potere frenante
La perdita specifica di energia (o potere frenante lineare) [MeV/cm] è defini-
ta tramite la derivata dE/dl, nota anche come LET∞ (acronimo di linear ener-
gy tranfer) 11. Dividendola per la densità di massa, si ottiene il potere frenante
(màssico),
dE/dx [MeV g−1cm2],
cui si farà riferimento in seguito.
A causa delle fluttuazioni statistiche nella perdita di energia cui sono soggette le
10Che è dovuta, a dispetto del nome, ad interazioni di tipo elettromagnetico col nucleo.11Il LET∆ è un parametro che indica la perdita lineare d’energia avendo escluso i processi di
cessione elementare di energia superiori a ∆.
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni 29
particelle cariche in genere, l’energia finale, sarà soggetta a distribuzione (ener-
gy straggling), quasi gaussiana, per spessori di materiale piccoli rispetto al range (§
1.5.2) e con deviazione standard crescente fino a spessori di materiale vicini ad esso,
mostrando una coda verso le alte energie e andamento asimmetrico [Hag02, Leo94].
Anche la direzione iniziale, per quanto la traiettoria della particella possa consider-
arsi rettilinea tra una collisione e l’altra, a causa del gran numero di collisioni cui
sono soggette le particelle, diverge in funzione dello spessore attraversato e dell’en-
ergia in gioco, dando luogo ad una distribuzione caratteristica 12.
Con il significato già visto per i simboli, possiamo scrivere, in ordine d’importan-
za13:
Sel+nucl =dEdx
=(
dEdx
)
ion+ecc+
(dEdx
)
nucl+
(dEdx
)
rad. (1.10)
Occorre notare che, mentre la ionizzazione produce coppie elettrone-ione, l’ecc-
itazione è un processo che trasferisce un elettrone legato ad una shell di livello
energetico maggiore, senza produrre nessuna coppia di cariche. Il contributo nu-
cleare del trasferimento di energia ai nuclei del mezzo, che nel caso di elettroni è
trascurabile, assume un’importanza sempre maggiore al crescere della carica e al
diminuire dell’energia, e comporta la possibilità di uno scattering a grandi angoli
(esperienza di Rutherford). Viceversa l’ultimo addendo nella (1.10), cioè le perdite
per irraggiamento, può essere trascurato per i protoni (che hanno una massa quasi
2000 volte più grande di quella dell’elettrone), almeno fino ad energie inferiori ad
1 GeV.
Un’altra quantità interessante è la quantità di cariche generate per unità di lunghez-
12Un pennello monocromatico di protoni a 230 MeV, inizialmente ben collimato, subisce unallargamento (FWHM) di circa 14(4) mm nell’attraversare un cilindro di 30(15) cm d’acqua.
13Nel caso di una miscela di elementi o composti, ciascun costituente elementare contribuiscesecondo la sua rispettiva frazione i-esima in peso dE
dx = ∑widEdx
∣∣i.
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni 30
za (ionizzazione specifica) dE/dlwm
[cm−1], il cui termine wm, rappresenta l’energia
media necessaria per creare una coppia di ioni (elettrone-buca o elettrone-ione).
Potere frenante elettronico
Il potere frenante per processi di ionizzazione ed eccitazione [Jac75], per un
materiale omogeneo di densità ρ, introducendo lo spessore màssico: dx = ρdl, è
dato dalla formula di Bethe-Block
Sel =dEdx
=−1ρ
dEdl
=2πe4
mec2 NAz2
β2ZA
L(β), (1.11)
dove z e β2 ·c2 sono rispettivamente la carica e la velocità al quadrato della particella
incidente, Z e A, la carica e il peso molecolare (gmol−1) del materiale attraversato,
NA il numero di Avogadro (6.022x1023 mole−1) e me la massa dell’elettrone.
In prima approssimazione il fattore L(β) = L0 +zL1 (correzione di Barkas) +z2L2 +
... nella (1.11) è dato dall’espressione ricavabile dalla teoria quantistica delle per-
turbazioni (approssimazione di Born):
L0(β) = ln(
2mev2Emax
I2(1−β2)
)− 2β2 − δ−U. (1.12)
I primi 2 termini nella (1.12) furono determinati da H. Bethe, il terzo, δ, detto ter-
mine di densità che tiene conto della polarizzazione del mezzo, è stato invece ricava-
to da E. Fermi nel 1940, U dipende dal legame col nucleo degli elettroni delle shell
più interne. Ulteriori correzioni al calcolo del potere frenante sono state ricavate,
anche recentemente (Lindhard e Soresen,1996), con l’applicazione dell’equazione
di Dirac per un potenziale a simmetria sferica. Gli altri termini nella (1.12) sono:
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni 31
I , è il potenziale di ionizzazione medio degli atomi del mezzo frenante,
Emax è l’energia massima trasferita ad un elettrone che, per energie molto minori
di M2pc2/2me, è pari a 2mev2/(1−β2).
Quindi il potere frenante, diversamente da quanto visto per i fotoni,
• è proporzionale a Z/A, che è circa costante (≈ 5/9 per materiali organici
cfr. tab. 3.2) per quasi tutti i materiali,
• dipende solo col logaritmo naturale dall’energia cinetica e dal potenziale di
ionizzazione medio,
• non dipende dalla massa della particella incidente,
• decresce come 1/v raggiungendo un minimo per protoni intorno a βγ ≈ 3
che corrisponde a circa 2GeV cm2g−1 (fig. 4.13)
• permette di esprimere la perdita di energia in funzione dei gcm−2 di mate-
riale attraversato,
• è indipendente dallo stato fisico in cui si trova il materiale,
• è relativamente costante per materiali di simile composizione molecolare
(quali sono alcuni tessuti organici).
• quello dell’acqua può essere usata anche per tessuti organici o materiali a Z
medio basso, se divisa per la densità di massa del materiale in esame.
La conoscenza di Sel , è importante in fisica nucleare per l’identificazione delle
masse. In un esperimento ideale, facendo tendere a zero lo spessore màssico, Sel∆x
rappresenta proprio l’energia media persa. In tal caso un rivelatore sottile può essere
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni 32
adoperato per misurare questa energia; moltiplicando tale misura per l’energia ot-
tenuta da un calorimetro che fermi la particella si ottiene, nel limite non relativistico,
mz2.
Potere frenante nucleare
Il contributo del potere frenante nucleare,
Snucl = 2πNρ∫ W
0W (θ,E)
dσel
dWsinθdθ (1.13)
dove N è il numero di atomi per grammo,W (θ,E) è l’energia di rinculo dell’ato-
mo in funzione dell’energia cinetica incidente e dell’angolo di diffusione nel sis-
tema del centro di massa. dσeldW è la sezione d’urto elastica calcolabile classicamente,
per lunghezze d’onda associate al moto del protone piccole rispetto al diametro di
collisione, uguale, in funzione del parametro d’urto p a:
dσel
dΩsinθ =−p
dpdθ
(1.14)
Il rapporto Sel/Snucl, nell’intervallo di energie (180 ÷ 250 MeV) utilizzato
nelle simulazioni, è dell’ordine di 103[Nist], ed è stato dunque trascurato nei nostri
calcoli.
1.5.2 Range
Se costruiamo un diagramma, per un fascio di particelle inizialmente ben col-
limato e monoenergetico, della fluenza in funzione dello spessore di materia at-
traversato, notiamo, al variare del tipo di particella considerata, un comportamento
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni 33
che può essere diversamente classificato a seconda che la particella sia direttamente
(protone, elettrone, ecc) o indirettamente ionizzante (gamma, neutroni, ecc) e in
base alla sua massa. Per le particelle direttamente ionizzanti e con una massa eleva-
ta rispetto a quella dell’elettrone, (protoni, atomi ionizzati, ecc.), il comportamento
descritto in figura 1.8 evidenzia un andamento quasi costante, seguito da una brusca
riduzione della fluenza in prossimità di un certo valore dello spessore detto range.
Il range (letteralmente: ampiezza,estensione) per protoni o ioni, di data energia
cinetica, E0, è definito come lo spessore 14 medio di materiale, attraversato dagli
stessi, prima di fermarsi:
R(E0) =∫ 0
E0
(1
dE/dx
)dE = c2
∫ 0
β
mβ′
z2 f (β′)dβ′. (1.15)
dove mcβ è l’impulso classico e f (β) dipende solo da β, fissato il materiale frenante
(eq. (1.11)). 15.
Questa grandezza è dello stesso ordine di grandezza del percorso medio, mentre
per elettroni, per i quali viene definito il range estrapolato (fig. 1.9) , il percorso
medio è molto maggiore a causa della notevole diffusione angolare, per singola col-
lisione, cui sono soggetti.
14Di solito espresso in termini di range màssico. [g/cm2], pari allo spessore l [cm] per la densitàρ del materiale attraversato, perché indipendente dallo stato fisico e poco dipendente dal materiale.
15La (1.15) permette subito di ricavare un’utile relazione per il range di particelle differenti,ma con la stessa velocità. Ad esempio per il range del 12C rispetto quello dei protoni troviamo:
RC/Rp =MCz2
p
Mpz2C
= 1/3 cioè, notando che EC = EpMCMp
, Rp(E) = 3RC(12E).
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni 34
Figura 1.8: Fluenza φ in funzione dellospessore z attraversato, per protoni o ionipesanti
Figura 1.9: Fluenza φ in funzione dellospessore z attraversato, per elettroni
1.5.3 Deflessione angolare spaziale e dispersione energetica di
un fascio di protoni
Cenno alla teoria della diffusione coulombiana
La distribuzione negli angoli in uscita di un fascio di protoni, inizialmente ben
collimato e da un oggetto chimicamente e fisicamente omogeneo, proiettata sul pi-
ano indicato in figura 1.10 (cfr. anche la (4.2)) è quasi gaussiana. Essa è chiamata
distribuzione di Molière [Hig75, Bet53]:
f (θ) =1√
2πθ2rms
12
[2e− θ2
2θ2rms +
f (1)(θ′)B
+f (2)(θ′)
B2 + · · ·]
. (1.16)
dove θ′ è una variabile proporzionale all’angolo di diffusione e B una funzione di
alcuni angoli caratteristici per il processo di diffusione. Per angoli sufficientemente
piccoli (circa il 98% degli angoli di diffusione attorno al valore centrale), la θ2rms
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni 35
diventa la deviazione standard della gaussiana presente in (1.16):
f (0)(θ) =1√
2πθrmse−θ2
2θ2rms dθ. (1.17)
Per motivi di simmetria, essendo il corpo considerato omogeneo e non essendoci
dunque alcuna direzione preferenziale, queste considerazioni valgono per ciascuno
dei tre angoli ottenuti proiettando il vettore impulso sui tre piani individuati dagli
assi cartesiani.
Considerando la velocità costante, mentre i protoni attraversano l’oggetto, ovvero
per spessori sottili, risulta:
θrms(p,x) =13.6MeV
βcp
√x
X0(1.18)
in cui abbiamo indicato per i protoni:
con p l’impulso, con βc la velocità;
X0 è la lunghezza di radiazione [Hag02] (di solito misurata in
kg/cm2)16;
β il rapporto tra la loro velocità e quella della luce;
p l’impulso.
16Definita tramite l’espressione −dE/E = dx/X0, è il percorso medio, in un dato materiale,entro cui l’elettrone riduce la propria energia a 1/e del valore iniziale, solo per mezzo della radi-azione di frenamento. Un suo valore approssimato, per un materiale costituito da un solo elementodi numero atomico Z, è X0 = 716.4gcm−2 A
Z(Z+1)ln(287/√
Z) , mentre, per composti o miscugli, si calcola tramite
la 1/X0 = ∑i wi/Xi, dove wi e Xi sono le frazioni in peso e le lunghezze di radiazione dell i-esimoelemento.
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni 36
Figura 1.10: Geometria usata per la teoria di Molière: il protone incide nel piano della figura ein direzione x
Come si può notare si ha una forte dipendenza inversa, nell’intervallo di velocità
utilizzato in pCT (180÷ 250 MeV, pari a β ' 0.5÷ 0.6), rispetto all’impulso del
protone e solamente secondo la radice quadrata dello spessore dell’oggetto;inoltre,
tutte le informazioni sulla distribuzione angolare, nell’approssimazione fatta, sono
contenute in X0.
Nel caso di un materiale disomogeneo come un corpo umano, poichè la (1.16) non è
una distribuzione di Gauss, non è possibile applicare la (1.18) dopo aver suddiviso il
corpo in n fette sufficientemente sottili da potersi considerare omogenee (somman-
do cioè in quadratura i θrms corrispondenti), senza commettere un errore sistematico
per difetto. Tuttavia, fermandosi al primo ordine nella (1.16), cioè per angoli non
superiori a qualche volta θrms della (1.18), e calcolando l’impulso tramite simu-
lazioni Monte Carlo o dalla (1.11), è possibile scrivere, per un materiale omogeneo
[Bet53]:
(θrms)2 = 13.6
[MeV 2
c2
]1
X0
∫ x
0
dx′
β2 p2 . (1.19)
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni 37
Esiste anche una relazione tra il valore rms per la deviazione della posizione proiet-
tata sul piano anzidetto e θrms:
yrms =1√3
xθrms. (1.20)
Come si vede dalla (1.20) esiste una correlazione tra le due distribuzioni, come an-
che per altre simili grandezze, mentre sono del tutto incorrelate, ad esempio le θrms
e l’angolo formato dalla proiezione del vettore impulso sul piano zy con l’asse y
(cfr. figg. 4.11 e 4.12).
Nel capitolo IV queste espressioni analitiche saranno confrontate con i risultati nu-
merici ottenuti da simulazioni, effettuate col toolkit GEANT4, su materiali omo-
genei e non.
Cenno alla teoria di Bethe e Tschalär per la dispersione energetica
L’energia residua del singolo protone, dopo aver attraversato uno spessore di
materia ∆x, è distribuita, con buona approssimazione, secondo la funzione di Lan-
dau che può essere visualizzata come una distribuzione di normale con un’asim-
metria più o meno marcata verso le basse energie. Per perdite di energia media
che superano il 20% dell’energia iniziale, come avviene nelle nostre simulazioni,
la deviazione dalla distribuzione normale diventa sensibile e non può essere più
trascurata [Sch05](cfr. § 4.7.1).
1.5.4 Utilizzo dei protoni nelle immagini per trasmissione
In linea di principio è possibile estendere il meccanismo di formazione dell’im-
magine radiografica piana discusso nel § 1.3, anche ad un sistema formato da un
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni 38
fascio di protoni monoenergetico (PTR, acronimo per proton trasmission radiogra-
phy) e misurando, mediante un rivelatore di posizione 2D seguito da un calorimetro
posto in coincidenza temporale con il primo, l’energia residua e la posizione degli
stessi. Nella figura 1.11, è stata riportata un’immagine relativa a una distribuzione
in un piano 2D dell’energia residua dei protoni, inizialmente monocromatici e dis-
tribuiti con impulso iniziale lungo l’asse x e fascio circolare. La perdita di energia,
funzione della perdita specifica di energia (3.3), risulta proporzionale alla densità
elettronica del mezzo attraversato e quest’ultima alla densità di massa e al rapporto
Z/A nella (3.9). Quindi una misura della perdita di energia fornisce una stima della
quantità di massa attraversata dal fascio se si suppone Z/A costante (tab. 3.2):
∆E =∫ dE
dxdx = ∑ρ(r)
dEdx
(r)∆l (1.21)
dove dx = ρdl è il differenziale dello spessore massico [g/cm2], e ∆l una differen-
za finita di quello lineare. Tuttavia, queste immagini, essendo la proiezione in 2D
di una struttura tridimensionale (3D), non forniscono informazioni sulla reale dis-
tribuzione della materia all’interno di un corpo; inoltre i tessuti molli, racchiusi
entro una struttura assorbente come le ossa del cranio umano, mostrano, in queste
condizioni, un contrasto ancora più basso di quello intrinseco per tali densità.
Da qui la necessità, peraltro evidente anche per le immagini ricavate con fotoni
X, di ricorrere ad un sistema tomografico analogo a quello utilizzato in xCT.
1.5 La fisica di base nelle immagini con protoni 39
2040
6080
100120
140160
180
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
Figura 1.11: Immagine per trasmissione a perdita di energia con protoni
Capitolo 2
Tecniche matematiche per la
medicina diagnostica
Introduzione
Nel 1972 A. Cormack e G.N. Hounsfield, dopo una fase sperimentale iniziata già
alla fine degli anni ’60, costruiscono il primo apparecchio capace di eseguire una
TAC (Tomografia assiale computerizzata) di un oggetto con l’ausilio di un com-
puter: per la prima volta, dopo quasi 80 anni dalla scoperta della radiografia per
trasmissione (§ 1.4.1) di raggi X, era possibile ottenere un’immagine dell’anatomia
interna di un essere umano senza usare mezzi chirurgici.
Ruotando l’oggetto, mentre viene investito da un fascio di fotoni piano, ad esem-
pio a forma di ventaglio (fan beam) o a raggi paralleli (parallel beam), vengono
acquisite, tramite un insieme di rivelatori disposti lungo una linea, una serie di
proiezioni (eq. (1.8) ), cioè integrali di linea, costituite, nel caso dei fotoni, da
semplici conteggi.
2.1 Campionamento reale 41
La ricostruzione dell’immagine, a partire da questi dati, viene oggi ottenuta
prevalentemente tramite due tecniche:
• la Filtered Backprojection (FBP),
• i metodi iterativi (ART,SART,ecc)
In questo capitolo saranno focalizzati gli aspetti matematici del problema.
2.1 Campionamento reale
Nel processo di acquisizione dei dati necessari alla ricostruzione dell’immagine,
come visto nel § 1.1.2, abbiamo a che fare con un numero limitato di proiezioni e
di valori campionati per ciascuna di esse.
Dunque il sinogramma1 ricavato dalla trasformata di Radon va riscritto come la
matrice nxm P(n∆r,m∆θ), dove:
• n è un indice del rivelatore interessato e m lo è della proiezione,
• ∆r e ∆φ sono rispettivamente la larghezza dei rivelatori e lo step angolare a
cui vengono effettuate le proiezioni.
Pmn =
P11 P2
1 . . . Pm1
P12 P2
2 . . . Pm2
......
......
P1n P2
n . . . Pmn
1Un diagramma contenente i valori delle proiezioni in funzione dell’angolo.
2.2 Trasformata di Radon 42
Un’importante proprietà della trasformata di Radon (§2.2.1)
P(r,φ) = P(−r,φ+180) (2.1)
consente di dimezzare il numero di proiezioni, limitando la rotazione relativa del-
l’oggetto da rappresentare di un angolo piatto, a partire da un qualsivoglia angolo
iniziale φ0.
2.2 Trasformata di Radon
2.2.1 Proiezioni
I fasci di fotoni, come abbiamo visto nel capitolo 1, subiscono un’attenuazione
nell’attraversare dei tessuti biologici, a partire dalla quale è possibile ricavare una
mappa dei coefficienti d’attenuazione del tessuto stesso, dopo averlo suddiviso tramite
un reticolo di voxel di dimensione pari alla finestra utile dei rivelatori.
Consideriamo quindi la geometria in figura 2.1, relativa ad un conveniente sis-
tema di riferimento appoggiato su una sezione piana del tessuto da visualizzare,
dove:
• Oxy è un riferimento cartesiano ortogonale solidale alla sezione piana,
• P un punto qualsiasi della sezione da ricostruire e,
• s e t le coordinate del punto P nel riferimento cartesiano ruotato di φ rispetto
al riferimento solidale.
2.2 Trasformata di Radon 43
Figura 2.1: Geometria dei sistemi di riferimento utilizzati nel calcolo degli integrali diproiezione e funzione di proiezione all’angolo φ, Pφ(s).
Sotto queste condizioni, possiamo scrivere in maniera più semplice l’integrale di
linea rispetto alla retta L. Introducendo i versori κ e κ⊥ avremo:
P≡ (x,y) = sκ+ tκ⊥. (2.2)
L’integrale di linea dei coefficienti µ lungo L è
PL =∫
Lµ(x,y) dl =
∫ ∞
−∞µ(sκ+ t κ⊥)dt. (2.3)
La funzione
Pφ(s) =∫ ∞
−∞µ(sκ+ tκ⊥)dt =
∫ ∞
−∞
∫ ∞
−∞µ(x,y)δ(xcosφ+ ysinφ− s)dxdy. (2.4)
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche 44
dove si è usata la δ di Dirac e l’equazione della linea L, xcosφ + ysinφ = s, è detta
trasformata di Radon della µ(x,y), funzione, per un fissato angolo di proiezione,
dei coefficienti d’attenuazione sul foglietto in esame. L’insieme delle trasformate
di Radon (integrali di linea) ottenute al variare dell’angolo φ, formato dal versore κ
con l’asse x solidale all’oggetto in esame, genera il cosiddetto sinogramma.
La soluzione formale
µ(x,y) =1
4π2
∫ π
0
∫ ∞
−∞
(1
xcosφ+ ysinφ− s
)∂Pκ(s)
∂s(s,φ)dsdφ, (2.5)
ottenuta invertendo la (2.4), non può essere utilizzata direttamente, sia per la finitez-
za dei rivelatori che comporta la discretizzazione dei valori delle proiezioni (1.9),
sia per la singolarità dell’integrando che potrebbe comportarne la non convergenza.
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche
Di seguito vengono descritte le principali tecniche matematiche per invertire la
trasformata di Radon:
• Tecnica di inversione diretta (o metodo della forza bruta),
• Ricostruzione Algebrica (Algebraic Reconstruction Technique ART),
• Backprojection,
• Filtered backprojection (FBP).
Tra queste, ART e FBP sono le tecniche attualmente oggetto di studio per lo svilup-
po di un sistema pCT.
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche 45
2.3.1 Forza Bruta
E’ il metodo classico che definisce, a partire dalle proiezioni, un set di equazioni
lineari da risolvere simultaneamente.
Avendo a disposizione 6 proiezioni, nel caso di un’immagine 2x2 con incognite
x,y,w,z:
x y 3
w z 7
5 4 6 5
cioè:
x+ y = 3
w+ z = 7
x+ z = 5
· · ·
(2.6)
Un sistema di rette sovradeterminato con 6 equazioni e 4 incognite.
Nel caso più realistico di immagini di 200x200 punti è evidente che il sistema
(2.6) risulta difficilmente risolvibile anche per i computer moderni (senza consid-
erare l’incompatibilità del sistema dovuta alla presenza delle fluttuazioni statistiche
associate alle misura delle proiezioni).
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche 46
2.3.2 ART
La ricostruzione algebrica iterativa (ART) è un metodo che si serve di un certo
numero di iterazioni per la ricostruzione di una matrice di incognite (voxel del-
l’immagine) a partire dalla conoscenza delle loro proiezioni (eq. (1.8) ). Essa si
rende necessaria rispetto alla FBP (§ 2.3.3), quando non si dispone di un numero
di proiezioni uniformemente distribuito rispetto agli angoli, o quando i percorsi
dei singoli raggi2 non intersecano tutte le celle in cui è stato suddivisa l’immagine
incognita (come avviene tipicamente nella tomografia a emissione interna, § 1.4.2).
Rispetto alla ricostruzione tramite FBP (§ 2.3.3) tuttavia comporta dei tempi di
esecuzione più lunghi.
Dopo aver suddiviso la sezione da riprodurre con una griglia quadrata di N×N
cellette (fig. 2.3), cascuna di lato pari alla dimensione della finestra d’ingresso
dei rivelatori di cui si dispone, il problema s’imposta tramite un sistema lineare di
equazioni: una per ogni integrale di linea. Indicando con Pi (eq. 2.1) l’integrale di
linea (non necessariamente rette come in figura 2.3) del raggio n-esimo che concorre
a formare la generica proiezione, il sistema (2.6) diventa:
Pi =N
∑j=1
Wi jµ j, i = 1,2, ...,M (2.7)
dove:
M è il numero di equazioni (proiezioni) a disposizione,
Pi indica la proiezione (somma) del raggio n-esimo,
2Il raggio ha qui uno spessore finito, T , come indicato in fig. 2.3.
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche 47
µ j rappresenta la funzione incognita, espressa con un solo indice lun-
go le righe ( j = 1,2, ...,N),
Wi j è la matrice dei pesi che mette in relazione i punti dell’immagine,
µ j della cella j-esima, col rapporto tra l’area della stessa cella,
intersecata dal raggio i-esimo (area nera nella fig.2.3), e la sua
area totale, k2.
Nel caso di raggi di spessore nullo, la matrice dei pesi contiene i valori 1 o 0, a
seconda che le cellette siano attraversate o meno dal raggio (fig. 2.2).
Figura 2.2: Costruzione della matrice dei pesi per raggi di spessore nullo.
La Tecnica di Ricostruzione Algebrica si articola in alcuni semplici passi:
1. Assegnare dei valori arbitrari alla soluzione (di solito un valore costante),
2. confrontarli con i valori misurati tramite la retro-proiezione,
3. correggere la differenza osservata fini a quando non si ottengono risultati
accettabili.
L’algoritmo più comune (S.Kaczmarz, 1937), per la cui dimostrazione si riman-
da al capitolo 7 di [Kak88], è dato dalla:
−→µ (i) =−→µ (i−1)−−→µ (i−1) ·−→wi−Pi−→wi ·−→wi
−→wi (2.8)
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche 48
Figura 2.3: Griglia di celle e esempio di raggi per la ricostruzione iterativa: il numero di celle
dentro la sezione circolare del fantoccio è ' π4
(dk
2)
.
dove −→µ (i) rappresenta la stima di ordine i-esimo del vettore µ j nella (2.7) e
−→wi = (wi1,wi2, ...,wiN), la riga i-esima della matrice Wi j nella stessa equazione.
Gli aspetti negativi di questo metodo, oltre alla lentezza di esecuzione, sono
dovuti alle notevoli dimensioni della matrice Wi j, ed alla indeterminazione del sis-
tema 2.7, legata alle fluttuazioni dei valori delle proiezioni Pi3 che comporta l’oscil-
lazione della soluzione in un intorno delle intersezioni degli M iperpiani della 2.7.
2.3.3 Back projection e filtered back projection
Riprendiamo ora il discorso iniziato nel § 2.2.1.
3In questo caso, gli iperpiani rappresentati da ciascuna equazione nella 2.7 non si intersecanoin un punto ben preciso.
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche 49
Il teorema dello strato di Fourier (Fourier slice theorem)
Consideriamo la trasformata di Fourier in una dimensione di una proiezione a
raggi paralleli (cfr. §1.1.2): possiamo affermare che essa è eguale alla trasformata
di Fourier in due dimensioni della funzione proiettata, calcolata lungo la linea par-
allela alla proiezione e passante per l’origine del riferimento cartesiano. Con rifer-
imento alla fig. 2.1, l’espressione della trasformata di Fourier 2D del coefficiente
d’attenuazione, µ(x,y):
F (ωx,ωy) =∫ ∞
−∞
∫ ∞
−∞µ(x,y)e−2πi(ωxx+ωyy)dxdy (2.9)
e la trasformata unidimensionale della funzione di proiezione (2.3):
Fφ(ω) =∫ ∞
−∞Pφ(t)e−2πitdt. (2.10)
Riscrivendo l’espressione della (2.9) lungo la linea ωy = 0,
F (ωx,0) =∫ ∞
−∞Pφ=0(x)e−2πixdx. (2.11)
cioè
F (ωx,0) = Sφ=0(ωx). (2.12)
Poichè questo risultato non dipende dall’orientamento del sistema di coordinate
rispetto al corpo, possiamo ripeterlo per qualsiasi angolo, dimostrando così il teo-
rema nel caso generale.
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche 50
Utilizzando il sistema di coordinate ruotato (fig. 2.1)
[ ts
]=
[cosφsinφ−sinφcosφ
][xy
](2.13)
si ottiene un’espressione più semplice per le proiezioni e una prova più rigorosa del
teorema Sφ(ω) = F(ω,φ).
In altre parole la trasformata di Fourier della Pφ(t) è uguale alla trasformata della
µ(x,y), F (ωx,ωy), calcolata lungo le linee parallele alle proiezioni e passanti per
l’origine (fig. 2.4). I punti evidenziati nella fig. 2.4, ottenuti da proiezioni prese ad
Figura 2.4: Punti della trasformata di Fourier 2D per le proiezioni a n∗φ gradi
angoli equispaziati, sono i dati effettivamente ricavabili (cfr. §2.1) e hanno, come
si vede, una densità maggiore nei pressi dell’origine rispetto ai bordi. Forniscono
dunque una griglia polare di punti, nello spazio delle frequenze, che potremmo
interpolare in uno spazio cartesiano rettangolare.
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche 51
La filtered back projection
La trasformata inversa di Fourier 2D per una data F (ωx,ωy) si scrive:
µ(x,y) =∫ ∫
F (ωx,ωy)e2πi(ωxxωyy)dωxdωy =∫ 2π
0dθ
∫ ∞
−∞G(ρ,θ)e2πiρ(xcosθ+ysinθ) | ρ | dρ(2.14)
dove con G(ρ,θ) si è indicata la F 2D espressa in coordinate polari piane ρ e θ.
La seconda delle (2.14) mostra che la ricostruzione della µ(x,y) può essere ottenuta
moltiplicando i dati interpolati nella fig. 2.4 per | ρ |, facendone la trasformata
inversa unidimensionale e retroproiettando (integrale sull’angolo): questo processo
viene chiamato dunque Retroproiezione Filtrata, o, seguendo l’acronimo in lingua
inglese, Filtered Backprojection (FBP).
Ammesso che la sezione da rappresentare sia inscrivibile in un quadrato di lato
L, date le dimensioni finite dei rivelatori e l’impossibilità di prendere un numero
infinito di proiezioni, dobbiamo sostituire la trasformata inversa di Fourier con la:
µ(x,y)≈∑n
∑m
F(n
L,mL
)e2πi( n
L x+ mL y) (2.15)
Per poter usare la (2.15) serve una matrice di punti che possono essere interpolati
dai valori disposti radialmente che possediamo (fig. 2.4), tenendo presente la minor
densità di valori campionati nello spazio delle frequenze via via che ci si allontana
dal centro, che comporta una peggiore interpolazione alle frequenze più alte.
Il teorema della fetta di Fourier (Fourier slice theorem)
La tomografia computerizzata convenzionale si serve delle proiezioni originate
dall’assorbimento dei raggi X lungo traiettorie ottenute misurando l’attenuazione
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche 52
dell’ intensità originale.
Le condizioni standard, usate nella pratica clinica, sono di illuminare il soggetto
con un fascio piano sottile e uniforme di raggi che siano:
• paralleli con sorgente lineare,
• equiangolari a ventaglio con sorgente puntiforme,
• equispaziati;
utilizzando un set di rivelatori (contatori a gas o a stato solido) 2D ,e di applicare
alle proiezioni ottenute un algoritmo di ricostruzione 2D.
L’algoritmo di filtered back projection implica l’esecuzione dei seguenti step:
• generare le N proiezioni (sinogramma),
• fare la retroproiezione (backproject) dei dati,
• filtrare (filtering) il risultato ottenuto per compensare le imperfezioni nel-
l’immagine finale.
N determina l’angolo tra una proiezione e l’altra e, di conseguenza, limita la risoluzione
spaziale.
Il filtro più comunemente utilizzato per limitare il disturbo causato dalla retro-
proiezione, che va come 1/r , nell’immagine finale, è quello a rampa (filtro Ram-
Lak in fig. 2.5) H(ω) = abs(ω). Il comando phantom , eseguito in ambiente
MATLABTM [Mat], permette di ottenere l’immagine di un fantoccio di Shepp-Logan.
Lo stesso ambiente ci consente anche di determinare il sinogramma corrispondente
all’immagine tramite la funzione radon, e, viceversa, la sua corrispondente iradon
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche 53
Figura 2.5: Filtri di risposta in FBP. Ram-Lak(1),Shepp-Logan(2), Coseno(3) e Hamming(4).
Figura 2.6: Fantoccio bidimension-ale di Shepp e Logan
che consente di dedurre l’immagine originaria, attraverso l’algoritmo di FBP, per-
mettendo altresì di specificare il filtro da applicare allo spazio delle frequenze e il
tipo d’interpolazione.
2.3.4 Numero minimo di campionamenti
Vediamo ora di capire quante proiezioni e con quale passo occorre campionare
il segnale in uscita dal fantoccio per una ricostruzione dell’immagine priva di arte-
fatti4 [[Tay86]]. Una prima condizione, legata al numero di parametri liberi dell’im-
magine, richiede un numero di equazioni uguale al numero dei pixel che compon-
gono l’immagine.Se consideriamo, come si è fatto nella presente tesi, una sezione
cilindrica ortogonale all’asse, cioè un cerchio, racchiusa entro una griglia di pix-
el quadrata con passo di campionamento fissato ed n rivelatori per lato, questo
significa n p & π4 n2, cioè :
p & π4
n (2.16)
4Un artefatto d’immagine in tomografia, si manifesta con la presenza nell’immagine, specie incorrispondenza di forti variazioni di densità, di elementi aggiunti in genere dotati di simmetria
2.3 Ricostruzione dell’immagine: tecniche matematiche 54
dove p è il numero delle proiezioni fatte nell’intervallo tra 0 e 180 (o tra 0 e 360).
La seconda condizione, legata agli artefatti d’immagine, specie in corrisponden-
za di spigoli e forti variazioni di densità, prevede p & π/2 . Questo significa che
nel caso di un’immagine di 200 x 200 pixel, sarà opportuno effettuare almeno 300
proiezioni per evitare artefatti, almeno per le immagini di oggetti contenenti inser-
ti ad alto contrasto e/o spigolosi. L’intervallo di campionamento nello spazio di
Fourier è almeno pari a ∆ω = 1nTg
, con una frequenza massima ωmax = 12Tg
. Poichè
le frequenze vengono campionate in un diagramma polare, la densità delle stesse
decresce allontanandosi dall’origine.
Capitolo 3
Sviluppo di una Tomografia
Computerizzata mediante protoni
(pCT)
Nei due capitoli precedenti abbiamo discusso dei motivi fisici e degli stru-
menti matematici che permettono di usare le radiazioni ionizzanti come metodo
d’indagine nella diagnostica medica.
In questo capitolo verranno illustrati:
• i vantaggi ottenuti utilizzando, tra le radiazioni direttamente ionizzanti, i
protoni,
• i principi alla base della pCT,
• la descrizione dei parametri di risoluzione e di dose necessari a quantificare
la validità del metodo usato.
3.1 Importanza dell’utilizzo dei protoni nella compilazione dei piani di trattamento 56
3.1 Importanza dell’utilizzo dei protoni nella compi-
lazione dei piani di trattamento
Il calcolo esatto della distribuzione di dose in radioterapia e in adroterapia, come
accennato all’inizio di questo lavoro, richiede la conoscenza della distribuzione
nello spazio della densità elettronica relativa (o della perdita specifica d’energia).
L’informazione primaria, fornita allo scanner xCT, della distribuzione nello spazio
dei coefficienti d’attenuazione, viene di solito convertita dalla stessa macchina in
unità di Hounsfield:
HCT = 1000 [(µ/µw)−1] (3.1)
dove µ e µw indicano rispettivamente il coefficiente d’attenuazione lineare del tes-
suto e quello dell’acqua, e HCT varia tra −1000 per l’aria, fino a circa 3000 per le
ossa più dense (per uno spettro generato da un tubo radiogeno a 120 kVp).
Dalla (3.1), utilizzando la (1.1) e la (1.2), possiamo scrivere per la densità
elettronica relativa all’acqua:
η =ρe
ρe,H2O= Rσ(E, ZR, ˜Zph)
(1+10−3HCT
)(3.2)
essendo Rσ il rapporto tra l’ espressione per la sezione d’urto totale (1.2) calcolata
per l’acqua, e quella per il tessuto in esame. A causa della relativa importanza del-
l’effetto fotoelettrico, alle energie di lavoro comunemente usate negli scanner xCT,
le sezioni d’urto a denominatore nella Rσ dipendono purtroppo dai valori dello Z
effettivo dei tessuti in esame e dall’energia effettiva (§ 1.1.3), e non possono es-
sere determinate, in generale, con la precisione voluta. Per ovviare in parte a questi
problemi sono state proposte in passato diverse soluzioni: una possibilità prevede
3.2 La trasformata di Radon nella pCT 57
di effettuare la scansione CT utilizzando raggi γ, il che garantisce che Rσ ' 1, es-
sendo il Compton (§ 1.1.3) prevalente sugli altri effetti; quella attualmente utilizzata
consiste nell’approssimare i vari tessuti con una miscela a due componenti[Ped95]
(acqua e aria per i numeri di Hounsfield minori di zero, acqua e osso per quelli
maggiori). Poichè infatti per le ossa il valore di Rσ si discosta sensibilmente dal-
l’unità (Z elevato), mentre per aria, muscolo e polmone, se ne discosta solo di poco
più dell’ 1% (alle energie comunemente utilizzate negli scanner), vengono in prat-
ica utilizzati due valori per Rσ nella (3.2), cioè due rette di calibrazione: una per
l’intervallo 0-1000, e l’altra per quello 1000-3000. Purtroppo la forte dipendenza
del valore di Rσ dall’energia per le ossa introduce notevoli errori in vicinanza a tali
strutture.
L’utilizzo diretto dei protoni, invece, fornendo direttamente la distribuzione spaziale
della densità elettronica, risente solo dei limiti legati alla risoluzione spaziale (§
3.3.3) e in densità(§ 3.2.2), anche a causa della presenza di artefatti in corrispon-
denza di forti cambiamenti di densità (osso-tessuti molli).
I dispositivi per l’esecuzione della pCT devono però consentire una precisione di
almeno l’1% nella determinazione della densità elettronica relativa all’acqua, onde
fornire informazioni sufficientemente accurate ai piani di trattamento radioterapici[Sch04].
3.2 La trasformata di Radon nella pCT
Estendiamo ora i concetti esaminati nei capitoli precedenti al caso dei protoni.
3.2 La trasformata di Radon nella pCT 58
3.2.1 Proiezioni
Riscriviamo la (1.11) in modo da evidenziare alcune grandezze fisiche interes-
santi:
− dEdx
(r) = η(r) F ( I(r),E(r)) (3.3)
dove:
r é il vettore di posizione in 3D,
η(r) la densitá elettronica relativa a quella dell’acqua in r, η = ρe/ρe,H2O,
I(r) il potenziale di ionizzazione e
E(r) l’energia cinetica.
L’espressione per la funzione F ( I(r),E(r)) nella (3.3), nell’intervallo di energie
utilizzato in ambito medico, può essere approssimata fermandosi al secondo ter-
mine nella (1.12) [Sch05], e calcolando numericamente l’espressione risultante. Un
calcolo più accurato ad energie tipiche dei raggi γ ( ad energie comprese tra 5 e 25
MVp), richiede anche l’inserimento del termine di densità (§ 4.7.2).
La perdita di energia di particelle pesanti cariche attraverso la materia è alla
base del metodo adoperato in questo lavoro allo scopo di ottenere immagini con un
rapporto tra la risoluzione spaziale o in densità e la dose rilasciata, migliore di quello
ottenibile con la xCT convenzionale. La perdita media di energia di un fascio di
protoni monocromatico di energia iniziale Ein, nell’attraversare un materiale, anche
non omogeneo, di spessore L lungo la direzione del fascio, è data da:
Ein = Eout−∫ L
0
dEdl
(l)dl (3.4)
3.2 La trasformata di Radon nella pCT 59
o, in termini del potere frenante, S(l):
Ein = Eout−∫ L
0S(l)ρ(l)dl. (3.5)
Approssimata dalla:
∆E =∫ dE
dldl =
∫ dEdx
dx≈∑ρ(l)dEdx
∆l, (3.6)
Ponendo Eout = 0, e risolvendo la (3.5) rispetto a L, si ottiene la definizione
di range (§ 1.5.2). Quindi la perdita di energia, fornisce anche un’informazione
approssimata sulla distribuzione della densità di massa.
Mettendo ora in evidenza nella (3.3) alcune grandezze [Sch04], e fermandoci ai
primi due termini delle (1.12), il termine F può così essere scritto come:
F (I(r),E(r)) = K1β2
(ln(
2mec2
I(r)β2
1−β2 − β2)
, (3.7)
essendo state inserite in K = 4πr2e mec2 alcune costanti fondamentali (§ 1.5.1).
Integrando la (3.3), tra l’energia d’ingresso Ein (che può essere considerata costante),
e l’energia media d’uscita, Eout , otteniamo l’equazione (3.8) molto simile a quella
già vista nel §1.2 (ln(Iin/Iout) = ∑µ(x,y)∆l) per i fotoni:
∫ Eout
Ein
dEF(I(r),E)
=∫
Lη(r)dl = ∑η(r)∆l. (3.8)
L’analogia con il metodo classico che si basa sull’utilizzo dei fotoni è tra la
perdita di energia Ein−Eout , per i protoni, e la variazione della fluenza, per i fotoni:
questo ci permette di utilizzare i valori determinati tramite l’integrale a sinistra nella
3.2 La trasformata di Radon nella pCT 60
(3.8) esattamente come le proiezioni viste nel § 1.2 per il calcolo della trasformata
di Radon (§ 2.2.1, eq. (2.4)): è necessario però considerare le traiettorie dei protoni
come rettilinee e complanari.
L’integrale di sinistra nella (3.8), considerando il potenziale di ionizzazione
costante, e pari a quello medio dell’acqua (75eV [Nist]), può essere calcolato nu-
mericamente: in tal modo, filtrando le traiettorie dei protoni in modo da scegliere
quelle quasi rette e complanari (§ 4.3), è possibile, senza alcuna modifica all’algo-
ritmo di FBP, l’inversione dello stesso per il calcolo della densità elettronica. Si
comprende quindi che il raggio vettore nella (3.8) deve rimanere confinato su di
un percorso quasi piano, nel capitolo successivo vedremo come l’immagine finale
venga influenzata dalla deviazione media rispetto al percorso rettilineo ideale.
I, che rappresenta il potenziale di ionizzazione medio degli atomi del mezzo
frenante, sarà considerato costante nelle simulazioni, e uguale al potenziale medio
per l’acqua di 75 eV: a parte il caso estremo del tessuto osseo, è questa un’approssi-
mazione accettabile (cfr. tab. 3.2), considerata anche la sua dipendenza nella (3.7)
tramite il logaritmo.
Dunque nella tomografia con protoni (pCT), la differenza tra l’energia media resid-
ua del fascio all’uscita dal fantoccio e quella iniziale fornisce informazioni sulla
distribuzione della densità elettronica nello spazio.
Naturalmente occorre anche avere delle informazioni sulle linee L lungo cui viene
eseguito l’integrale (3.8), per ogni singola particella. Di questo si parlerà nel §4.3.
3.2 La trasformata di Radon nella pCT 61
3.2.2 Densità elettronica dei materiali organici
La risoluzione in densità è stata definita, in questo lavoro, come la deviazione
(in percentuale) del valore assoluto ricostruito rispetto a quello dell’acqua. Per un
materiale omogeneo, la densità elettronica assoluta ρe è ricavabile da
ρe = ρNAZA
(3.9)
dove ρ è la densità di massa, Z il numero atomico e A il peso molecolare (ρNAA sono
gli atomi/cm3 nel materiale); ad esempio per l’acqua troviamo :
ρe,H2O = 1.00[ g
cm3
]6.02 ·1023 [
mole−1] · 1018.015
[gmole−1] = 3.34 ·1023 [
cm−3] .
La densità elettronica di un materiale, relativa all’acqua, nella (3.8), può quindi
essere ricavata analiticamente dalla :
η(r)' ρ(r)Z(r)A(r)
(18.015
10[mol gr−1]
). (3.10)
Un’unità più usata è la densità elettronica per kg di materia, a causa della sua piccola
dipendenza dal materiale biologico in esame, e indipendenza dallo stato fisico (tab.
3.1).
Poichè il rapporto Z/A (tab. 3.2) varia, rispetto a quello dell’acqua, dell’ 1% per
tessuto muscolare e dello 8% per quello osseo, ne segue che la densità elettronica
varia quasi linearmente con la densità di massa e che il potere frenante (espresso
in MeV cm2g−1) varia, tra i 100 e i 200 MeV, di meno dello 0.01% e dello 0.2%
(sebbene quello lineare (MeV/cm) vari del 50% circa)[Sad04].
3.3 Contrasto e risoluzione in tomografia 62
Lo stesso non si può dire per il coefficiente d’assorbimento massico che, rispetto ai
raggi X, dipende separatamente da Z e da A.
Materiale Zeff Densità Densità elettronica(g/cm3) (elettroni/kg)
Aria 7.6 1.29 10−3 3.01 1026
Acqua 7.4 1 3.34 1026
Tessuto molle 7.4 1.05 3.36 1026
Grasso 5.9÷6.3 0.91 3.34÷3.48 1026
Osso 11.6÷13.8 1.65÷1.92 3÷3.19 1026
Tabella 3.1: Numero atomico efficace, densità di massa e densità elettronica.
Tessuto Z/A I [eV ] ρ[g/cm3]
Aria 0.49919 85 1.2 ·10−3
Tessuto adiposo 0.55579 63.2 0.92Acqua(liquida) 0.55508 75 1.00Cervello 0.55239 73.9 1.04Muscolo striato 0.55000 74.6 1.05Polmone 0.55048 75 1.05PMMA(lucite) 0.54 74 1.190Ossa corticali 0.51478 112 1.92
Tabella 3.2: Rapporto medio del numero atomico colla mas-sa, potenziali medi di ionizzazione e densità, per composti e miscugli.Fonte:http://physics.nist.gov/PhysRefData/XrayMassCoef/tab2.html
3.3 Contrasto e risoluzione in tomografia
Per affrontare una discussione sulla risoluzione di un’immagine occorre in-
evitabilmente tenere conto anche del contrasto e della nitidezza tra le regioni che
la compongono. Un’immagine che può rivelare un’ottima nitidezza, cioè un grado
di focalizzazione dei punti notevole, senza contrasto1(cfr. §3.3.2), non ci fornisce
alcuna informazione della distribuzione dei punti che la costituiscono.1La misura della differenza in luminosità tra le parti più chiare e quelle più scure dell’immagine
3.3 Contrasto e risoluzione in tomografia 63
3.3.1 Fattori fisici che limitano il contrasto e la risoluzione spaziale
nella pCT
Quando un fascio di protoni monoenergetici attraversa un materiale, anche omo-
geneo, perde energia secondo la legge vista nel § 1.5.3, il che limita la risoluzione
in densità.
Subisce inoltre un effetto dispersivo che agisce, sia sulla distribuzione angolare,
proiettata su di un piano ideale, ortogonale alla direzione iniziale, sia su quella rel-
ativa alla posizione iniziale, come già visto nel § 1.5.3(cfr. anche la fig. 4.1), e che
limita la risoluzione spaziale.
Vediamo ora in dettaglio come questi due aspetti fisici del problema influenzano
le immagini prodotte.
3.3.2 Risoluzione in densità di un’immagine
Nella tomografia convenzionale per mezzo di fotoni, la capacità di distinguere
tra diversi materiali è legata ai rispettivi coefficienti di attenuazione lineare, cioè al
numero atomico e all’energia del fascio e ai parametri della macchina che genera
i raggi X, nonchè al rapporto segnale/rumore di tutta la catena di rivelazione. Si è
stabilito che materiali con densità molto differenti e/o differenti costituenti atomi-
ci si possono discriminare fino a µ che differiscono dello 0.1%. Se consideriamo
l’immagine di un punto dentro un mezzo omogeneo, possiamo definirne il contrasto
tramite l’espressione:
C =| Imezzo− Ipunto |
Imezzo(3.11)
3.3 Contrasto e risoluzione in tomografia 64
dove Imezzo e Ipunto rappresentano rispettivamente l’intensità media, nel mezzo
e nel punto. Infatti, a causa del rumore introdotto dalla statistica di Poisson e dalla
catena di formazione dell’immagine, i valori nella (3.11) vanno mediati e ciò con-
duce inevitabilmente ad una diminuzione del contrasto stesso.
Il motivo fisico di riduzione del contrasto in pCT, invece, è legato alla dispersione
(straggling) (cfr. § 1.5.3) dei valori dell’energia residua in un dato materiale. Es-
so quindi aumenta all’aumentare del numero di protoni che attraversano un deter-
minata sequenza di voxel (eq. (3.8))[Ped94], con la radice del numero di parti-
celle rivelate. Successivamente dipende anche dal tipo di algoritmo utilizzato per la
ricostruzione.
3.3.3 Risoluzione spaziale di un’immagine
E’ una grandezza che permette di determinare la capacità di un sistema che
riproduce immagini a risolvere separatamente due punti (pixel) distinti. La risoluzione
spaziale di un’immagine e il contrasto della stessa sono due concetti interdipen-
denti: una linea bianca in un foglio bianco non mostra nessun contrasto e quindi
nessuna risoluzione associata. Dunque la risoluzione in densità limita e determina
anche quella spaziale: si definisce dunque una risoluzione spaziale in condizioni di
alto contrasto (ad es. del tessuto osseo in quello muscolare) e una in condizioni di
basso (tipicamente dei tessuti molli) .
Per misurarla si può far uso a volte delle linee/cm, o delle coppie di linee/cm,
lp/cm: rispettivamente cioè delle numero massimo di linee distinguibili per unità di
lunghezza dell’immagine e del numero2 di coppie di linee che possono essere con-
tate parimenti. Si tratta di un metodo di misura soggettivo con un’ indeterminazione2Anche detto frequenza spaziale
3.3 Contrasto e risoluzione in tomografia 65
anche del 30% rispetto al valore reale. Da qui la necessità di trovare un sistema più
affidabile e applicabile anche a piccole porzioni dell’immagine, mediante:
• utilizzo di una funzione di distribuzione puntiforme (Point spread function)[Sat92];
• utilizzo di oggetti lineari (pattern di risoluzione) inseriti all’interno dell’im-
magine;
• studio della funzione di trasferimento (MTF [Joh83]).
In questo lavoro verrà utilizzato, per semplicità, il secondo metodo; tuttavia diamo
in seguito una breve descrizione della funzione di trasferimento (MTF).
MTF
Le lenti, così come qualunque sistema di analisi delle immagini, introducono
delle distorsioni nel risultato finale.
La modulation transfer function (MTF) [Joh83] è una misura, fatta nel dominio
della frequenza, relativa ad un sistema di imaging, che permette di discriminare
le immagini ottenute, in base alla loro risoluzione spaziale. Esattamente come un
sistema audio è caratterizzato dalla risposta alle varie frequenze (curva di rispos-
ta) ,l’MTF è un indice di risposta alle varie frequenze spaziali 3 che compongono
l’immagine.
L’MTF di un sistema per immagini con particelle cariche è largamente con-
dizionato dal rumore statistico introdotto principalmente dal fenomeno fisico del
multi scattering coulombiano (MCS) e, in misura molto minore (qualche percento
del primo effetto), lungo il percorso del segnale nel sistema che produce l’immag-
ine. Ciò che conviene stabilire è come la densità elettronica, (e quindi il potere3Misurata in coppie di linee per millimetro (line pairs/mm , lp/mm)
3.4 Dosimetria 66
frenante) ricostruita dalle proiezioni dei percorsi dei protoni, devia dal valore vero.
Analizziamo ora le differenze salienti con la CT convenzionale a raggi x (xCT):
• La risoluzione nella pCT utilizzando un algoritmo del tipo cone beam è la
stessa per piani orizzontali e verticali (' 0.5 l p/cm−1), mentre nella xCT
è intrinsecamente limitata dallo spessore dei foglietti(1∼ 3 mm);
• Le particelle vengono ,nel caso della pCT, rivelate una ad una, evitando il ru-
more statistico (Poisson) proprio della xCT, ma non quello legato all’energy
straggling.
3.4 Dosimetria
Il passaggio di raggi X e di particelle cariche induce, con meccanismi diversi,
la formazione di coppie ione-elettrone nel materiale attraversato. Analogamente le
particelle secondarie prodotte lungo il cammino, possono a loro volta produrre ion-
izzazione e conseguenti danni al tessuto biologico attraversato.
Nei paragrafi seguenti analizzeremo alcuni elementi basilari di dosimetria e il meto-
do per calcolare la dose rilasciata in tomografia.
3.4.1 Unità di misura
Come unità di misura della capacità di una radiazione di ionizzare l’aria (espo-
sizione), si adottava fino a qualche anno fa il Roentgen , definito come la quantità di
radiazione X o γ che produce una carica di 2.58 · 10−4 C in una massa di 1 grammo
d’aria in condizioni standard.
Come unità di dose assorbita viene invece misurata l’energia depositata per unità
3.4 Dosimetria 67
di massa, indipendentemente dal tipo di radiazione.
La vecchia unità di misura per la dose era definita, tramite il Rad , come la quantità
di radiazione che deposita un erg per grammo di materia.
Il Roentgen e il Rad sono unità di misura ormai cadute in disuso, sostituite nel Sis-
tema Internazionale (SI a cui nel seguito ci riferiremo), rispettivamente dal Coulomb/Kg
e dal Gray (Gy) (1 Gy= 1Joule/Kg= 100 Rad).
3.4.2 Dose rilasciata da protoni e ioni pesanti
Processi fisici considerati
Consideriamo un fascio di protoni o di ioni più pesanti, interagenti con un
generico materiale: i processi d’interazione con i nuclei e gli elettroni del bersaglio
possono essere così classificati (eq. (1.10)):
1. processi di scattering anelastico con gli elettroni del mezzo (ionizzazione
ed eccitazione),
2. processi di scattering anelastico coi nuclei (assorbimento),
3. processi di scattering elastico coi nuclei (diffusione),
4. processi d’interazione col campo elettromagnetico degli atomi e conseguente
radiazione di frenamento.
Di questi, solo le collisioni anelastiche con gli elettroni e, in minor misura, lo
scattering anelastico coi nuclei, danno un contributo non trascurabile, nell’intervallo
di energia utile nella pCT, cioè tra i 100 e i 250MeV .
In particolare le interazioni nucleari-anelastiche in acqua (essendo la sezione d’urto
3.4 Dosimetria 68
macroscopica per urto anelastico, κ, nell’intervallo di energie tra 150 e 250 MeV,
circa costante e pari a 10−2 cm−1) riducono la fluenza, Φ = dN/da, dei protoni
secondo la:
Φ(l) = Φ0e−κl (3.12)
(che corrisponde ad una riduzione del flusso iniziale di circa il 20% dopo avere
attraversato un fantoccio di 20 cm)
Definizione di dose
La dose, misurata come detto in Gray , è definita come rapporto tra l’energia
media depositata in un volume infinitesimo e la massa dello stesso:
D =dEdm
, (3.13)
Nel caso reale, dopo aver suddiviso l’intero volume tramite una griglia regolare,
E = Ein−Eout + ∑Qreaz rappresenta il bilancio energetico all’interno del volume
elementare finito (voxel). I primi due termini sono l’energia cinetica persa dal fascio
di particelle, e il terzo è la somma algebrica delle energie liberate (+) e assorbite (-)
nelle trasformazioni di nuclei e particelle.
Consideriamo ora un elemento di volume, di superficie ∆a, esposta ad un fascio di
protoni, e massa dm = ρ∆a∆l; l’energia media depositata per particella, lungo un
tratto ∆l di percorso in cui il potere frenante lineare (LET) (1.10) possa ritenersi
costante è:
3.5 Dose al centro rilasciata in un fantoccio cilindrico (CTDI) 69
∆E =dEdl
∆l, (3.14)
cui corrisponde una dose:
D =dEdNρdadl
=dEdx
Φ (3.15)
La (3.15) è valida per ogni tipo di radiazione direttamente o indirettamente ion-
izzante: ricordando l’espressione del potere frenante (§ 1.5.1) possiamo ricavare
anche la relazione tra la dose rilasciata in due materiali differenti, ma esposti allo
stesso fascio,
Dosso = DariaSosso
Saria
Considerando anche le interazioni nucleari, avremo, per la dose rilasciata in un
punto dove il fascio ha energia media EM:
D =Φ(S(EM)+κγ(EM))
ρ(3.16)
essendo qui S(EM) il potere frenante lineare e γ la frazione dell’energia persa nelle
interazioni nucleari che viene ceduta a particelle cariche (poco variabile con l’ener-
gia e pari a circa il 65% del totale).
3.5 Dose al centro rilasciata in un fantoccio cilindrico
(CTDI)
La dose, come detto, è una grandezza che va determinata per ogni voxel delle
rete virtuale associata agli organi da irradiare. Al fine dunque di ottenere una
3.5 Dose al centro rilasciata in un fantoccio cilindrico (CTDI) 70
grandezza che con un singolo dato, fissate le condizioni geometriche del fascio,
della fluenza e del fantoccio (che rappresenta il corpo del paziente), permetta di cal-
colare la dose in alcuni punti caratteristici del fantoccio.
In tomografia la dose totale rilasciata per fetta scansionata, calcolata simulando una
camera a ionizzazione (C.I.) di tipo pencil, viene definita tramite l’indice di dose
CTDI (Computed Tomography Dose Index). Per effettuarne la misura, una C.I.,
cilindrica, lunga 10 cm e del diametro di 2 cm, viene inserita lungo l’asse di un
fantoccio cilindrico dalle pareti in plexiglass e riempito d’acqua. L’indice di dose
può essere definito dalla:
CT DI100 =1
nT
∫ 50mm
−50mmD(z)dz, (3.17)
dove T è lo spessore nominale in millimetri della fetta scansionata, n è il numero
di strati contigui campionati per ogni singola proiezione, z è la posizione lungo
l’asse di rotazione in cui è disposta la C.I. e D(z) è la dose rilasciata, per singola
proiezione, nella fetta di coordinate tra z e z+dz della sola C.I.
Esso rappresenta quindi l’integrale del profilo di dose calcolato lungo una linea
ortogonale al piano lungo cui di esegue la tomografia diviso per il prodotto dello
spessore T per il numero degli strati n. Si dimostra che tale integrale è uguale alla
somma dei contributi nel centro del fantoccio dovute alle esposizioni degli strati
contigui.
Poichè possiamo anche scrivere (eq. (3.13) e (3.17))
EC.I. = ρS∫ 50mm
−50mm
dEdm
dz = ρS∫ 50mm
−50mmD(z)dz = nT ρS CT DI100 , (3.18)
essendo ρ e S la densità e la sezione della C.I., e EC.I. l’energia totale rilasciata nella
3.5 Dose al centro rilasciata in un fantoccio cilindrico (CTDI) 71
Figura 3.1: Profilo dell’energia rilasciataper unità di lunghezza, con uno spessoredel fascio di 1µm
Figura 3.2: Profilo dell’energia rilasciataper unità di lunghezza, con uno spessoredel fascio di 100 mm.
C.I. per proiezione; ne segue che:
CT DI100 =1n
EC.I
ρST=
1n
EC.I.
∆m(3.19)
dove S è la sezione della C.I. e ∆m la massa della parte della C.I. di spessore T .
Dunque, nell’ipotesi di un tomografo a singolo strato (n=1), per calcolare il CTDI
simulato basta sommare l’energia rilasciata nel volume della camera e dividere per
la massa ∆m.
Nelle figg. 3.1 e 3.2 è stato rappresentato, per una simulazione di Np = 106 pro-
toni da 250 MeV, il profilo dell’energia rilasciata per unità di lunghezza in funzione
della posizione lungo l’asse della camera, rispettivamente per un fascio di 1µm e di
100 mm: in entrambi i casi, come è naturale aspettarsi, l’area sotto il grafico, che è
proporzionale alla dose rilasciata, ha lo stesso valore (circa 7.76 ·105 MeV).
Capitolo 4
Il programma e i modelli simulati
Nella prima parte di questo capitolo, dopo un breve accenno al metodo e al
software utilizzati, verranno descritti i fantocci simulati ed il metodo seguito per
la ricostruzione finale dell’immagine. Successivamente verrà affontato il problema
della validazione del codice simulato, relativamente ai fantocci utilizzati.
4.1 Il metodo MonteCarlo e le sue applicazioni in fisi-
ca
4.1.1 La simulazione al computer di eventi stocastici
Tutti i processi fisici visti nei capitoli precedenti possono essere simulati, a par-
tire dalla conoscenza della probabilità che si verifichino, applicando il cosiddetto
Metodo di Monte Carlo1. Supponiamo di voler generare degli eventi ciascuno con
probabilità data, k ≥ l ≥ m≥ ·· · : basta disporre di una funzione che generi numeri
1Originariamente proposto da S.Ulam e J.Von Neumann come metodo statistico per studiare ladiffusione e la moltiplicazione dei neutroni in un materiale fissile.
4.2 Introduzione al toolkit GEANT4 73
pseudocasuali2, uniformemente distribuiti nell’intervallo [0,1), e provocare l’even-
to k solo se il numero generato cade nell’intervallo [0,k), l’evento l solo se il numero
cade in [k,k + l), e così via.
Ciascun processo fisico viene così generato in proporzione al dato sperimentale o
teorico della sua sezione d’urto. Nella generazione di un gran numero di eventi è
possibile così avvicinarsi al dato reale.
Il toolkit3 di simulazione in linguaggio C++, GEANT4, di cui si è fatto largo
uso nello sviluppo di questa tesi è basato sul metodo di MonteCarlo. A tal propos-
ito è stato utilizzato in GEANT4 un generatore pseudo-random, fornito dalla libre-
ria di classi per le alte energie CLHEP [Clh], a valori distribuiti uniformemente in
[0,1) (funzione G4uniformRand ), o secondo una curva specifica (classi di CLHEP:
RandGauss, RandPoisson, RandLandau, RandBit, ecc), e direttamente utiliz-
zabile anche dall’utente finale ad esempio per randomizzare la direzione iniziale
dell’impulso della particella, la sua posizione iniziale, o l’energia.
4.2 Introduzione al toolkit GEANT4
Questo codice, nato nel 1974 per simulare apparati per lo studio di collisioni ad
alta energia, è stato successivamente modificato fino a comprendere un intervallo di
energie che spazia da pochi eV fino ai TeV, e tutte le particelle note[Hag02] o defini-
bili dall’utente. GEANT4 è un pacchetto di librerie software interamente riscritto4
2Sequenza predefinita di numeri, generata dal calcolatore a partire da un valore (seme) diversoper ogni simulazione, con proprietà simili ai numeri casuali ordinari.
3È una libreria di classi C++ da cui l’utente finale può attingere per costruire delle classiderivate.
4La precedente versione, GEANT3, era basata sul linguaggio Fortran e quindi a strutturamonolitica e difficilmente modificabile.
4.2 Introduzione al toolkit GEANT4 74
in C++, che è un linguaggio di programmazione orientato agli oggetti, modulare e
strutturato, per la simulazione del passaggio di particelle cariche attraverso la mate-
ria.
La documentazione relativa al toolkit GEANT4 si può trovare in [Rus02, ?], o, in
continuo aggiornamento, sul sito internet del Cern [G4W] a Ginevra, quindi non
verranno dati qui che brevi cenni strettamente necessari alla comprensione del testo.
Processi fisici attivati
La fisica nel programma, tutta racchiusa nella classe G4VProcess e derivate,
comprende:
• Il decadimento,
• Le interazioni elettromagnetiche (EM)
fisica elettromagnetica standard (interazioni EM per elettroni, positroni,
fotoni e adroni),
i processi per fotoni ottici e per i muoni,
la radiazione di frenamento,
• La fisica adronica.
Nel programma sono stati implementati diversi processi fisici, distinti in proces-
si elettromagnetici e adronici, riassunti, insieme alle classi corrispondenti, nella
tabella 4.1.
In particolare, per molte simulazioni, sono stati impostati:
• la fisica elettromagnetica standard;
4.2 Introduzione al toolkit GEANT4 75
Processo Fisico ClasseProcessi ElettromagneticiEffetto fotoelettrico G4PhotoElectricEffectEffetto Compton G4ComptonScatteringProduzione di coppie G4GammaConversionDiffusione Multipla G4MultipleScatteringIonizzazione(per elettroni) G4eIonisationBremsstrahlung(per elettroni) G4eBremsstrahlungAnnichilazione Elettrone-Positrone G4eplusAnnihilationIonizzazione(per adroni) G4hIonisationProcessi AdroniciScattering Nucleare Inelastico G4HEProtonInelasticScattering Nucleare Elastico G4HadronElasticProcessScattering Inelastico per Neutroni G4NeutronInelasticProcessFissione G4LFissionCattura G4HadronCaptureProcess
Tabella 4.1: Processi fisici implementati
• il decadimento;
• il modello adronico precompound [Ago03].
Abbiamo anche eseguito delle prove con i modelli adronici più recenti (Fermi break-
up, GEM evaporation, Bertini model, ecc), ma senza riscontrare variazioni di rilievo
nelle dosi ricavate e nelle immagini, a dispetto di un tempo di esecuzione estrema-
mente più lungo.
4.3 Una tomografia eseguita seguendo ogni singola particella 76
4.3 Una tomografia eseguita seguendo ogni singola
particella
Introduzione
Il programma di simulazione, il cui nucleo iniziale è stato ricavato da precedenti
lavori [Rus02, Can04], realizza la tomografia di un singolo foglio piano (la sezione
circolare evidenziata nel cilindro in fig. 4.1. Le immagini simulate sono state tutte
generate a partire da 180 proiezioni, prese tra 0 e 179, considerato che una ro-
tazione di 180 fornisce dati sufficienti per la ricostruzione tomografica secondo la
(2.1).
Durante la simulazione il sistema di riferimento cartesiano del fascio (x,y,z) rimane
stazionario rispetto a quello del world (laboratorio), mentre il fantoccio in esame
viene ruotato attorno all’asse di simmetria di un angolo costante φ tra un run5 e il
successivo (in GEANT4 infatti non è possibile cambiare la geometria all’interno di
un run), per accumulare i dati delle proiezioni ai vari angoli (fig. 4.1 e 4.2).
4.3.1 Struttura del programma in GEANT4
Il programma, che è suddiviso in diversi moduli sorgenti, è composto
• da un file principale (main), in cui vengono prodotte le istanze (oggetti)
delle classi che saranno utilizzate;
• da alcuni file di tipo include che servono a contenere le dichiarazioni delle
suddette classi e delle altre variabili del programma;
5È un comando mediante il quale si ordina al kernel di Geant4 di seguire il percorso di unnumero definibile di particelle
4.3 Una tomografia eseguita seguendo ogni singola particella 77
Figura 4.1: Geometria del contorno delfantoccio simulato Figura 4.2: Modello tipo per il calco-
lo delle risoluzioni durante un run (in blule tracce dei protoni, in rosso quelle deglielettroni e in verde i quanti gamma).
• infine dai file di tipo source che contengono l’implementazione delle classi
stesse.
La simulazione dello scanner pCT gira interamente all’interno del main, dove viene
anche inizializzato il kernel di GEANT4 ed il generatore di numeri pseudocasuali.
La tomografia viene eseguita inviando al kernel di GEANT4 i comandi per
l’esecuzione di un run di n protoni per ciascuna proiezione da effettuare; ordinando
quindi, tra un run ed il successivo, una rotazione del fantoccio in esame di un angolo
pari allo step angolare scelto, fino a coprire tutto l’intervallo di rotazione pari ad un
angolo piatto. Nella classe derivata dalla PrimaryGeneratorAction viene impostata
la posizione e il momento dei protoni lanciati. All’interno di ciascun run vengono
infine raccolti e immagazzinati i dati di contorno relativi (cfr. § 4.3.2) a ciascun
percorso simulato.
4.3 Una tomografia eseguita seguendo ogni singola particella 78
4.3.2 Percorsi medi possibili
Per un fascio policromatico di fotoni per le intensità d’ingresso e d’uscita si
applica, come abbiamo visto nel § 1.1.4, l’equazione (1.7), con segnale dato dalla
(1.8).
Nel caso di particelle cariche come i protoni, ricordando la 3.8, che qui riscrivi-
amo per comodità, ∫ Eout
Ein
dEF(I(r),E)
= ∑η(r)∆l, (4.1)
l’applicazione dell’algoritmo di FBP (cap.2.3.3) alla (4.1), richiede la conoscenza
di quali protoni hanno seguito percorsi quasi paralleli alle linee del reticolo di voxel
in cui è stato suddiviso il piano da scansionare. Come si è visto infatti nel § 2.3.3,
l’FBP, a differenza degli algoritmi iterativi (§ 2.3.2), richiede il parallelismo e la
complanarità dei raggi: questa condizione è esattamente verificata per quei fotoni
che non interagiscono fino al contatore e che servono a determinare le proiezioni,
ma lo è solo con un certo grado di approssimazione per le particelle cariche.
Con la simulazione è possibile seguire un protone lungo tutto il suo percorso, mentre
nell’ambito di un’applicazione reale possiamo solo conoscere per ciascun protone
(fig. 4.3):
1. la posizione subito prima e subito dopo la penetrazione nel paziente/fantoccio;
2. l’angolo formato col piano dei rivelatori;
3. l’energia iniziale e finale.
I primi due parametri, mediante odoscopi a fibre ottiche [Ped99] o piani a microstrip
di silicio (dello spessore di circa 300µm [Kee02]), e l’energia, con le stesse giun-
4.3 Una tomografia eseguita seguendo ogni singola particella 79
Figura 4.3: Geometria del sistema pCT (su un piano), percorso rettilineo (nero), percorsointerpolato (rosso) e percorso più probabile (blu).
zioni di silicio6, o con un calorimetro di dimensioni sufficienti a fermare completa-
mente il fascio uscente.
Per rispettare i requisiti geometrici sul fascio imposti dall’utilizzo dell’algoritmo
di FBP, si è proceduto con due vincoli sui percorsi dei protoni:
1. in un gruppo di simulazioni, definita una griglia virtuale di passo costante (1
mm), sovrapposta al piano da immaginare, si è imposto al percorso di ogni
singolo protone di muoversi entro i corridoi (raggi) della griglia, escludendo
quindi i protoni che entro il fantoccio subivano una diffusione, nelle due
direzioni ortogonali a quella di propagazione, superiore al passo di griglia;
2. in un altro, si è imposto il vincolo solo sull’angolo d’uscita, considerando
validi solo quei percorsi uscenti:
• con un angolo proiettato (§ 1.5.3) minore di un valore predefinito
6Poiché la carica liberata Q è proporzionale all’energia depositata nel microstrip, e ricordandola (3.14), otteniamo per il silicio: dE/dx = Q3.4[eV ]
ρl , da cui, esprimendo l’energia in funzione delpotere frenante, possiamo ricavare la carica rilasciata
4.3 Una tomografia eseguita seguendo ogni singola particella 80
Figura 4.4: Spettro degli angoli (gradi) per protoni (vincolati al canale centrale) a 250 MeV.
• e appartenenti allo stesso raggio iniziale.
Il primo metodo è molto più restrittivo del secondo. Infatti con un diametro del fan-
toccio di 200mm (cfr. tabella 4.2) , solo lo 0.5% dei percorsi dei protoni è rettilineo
entro uno scarto di 1mm: tale percentuale sale al 15% riducendo lo spessore dello
stesso a 50mm, e al 5% con un fantoccio da 100mm: ne segue che anche la dose
necessaria per proiezione, a parità di risoluzione, si riduce notevolmente.
Invece nella figura 4.6 viene mostrato il percorso medio e il limiti entro il valore
della deviazione standard, per i percorsi di protoni da 250 MeV con coordinate in-
iziali uniformemente distribuite entro il canale centrale di lancio (0mm≤ y≤ 1mm),
e momenti paralleli all’asse x (senza l’imposizione di nessun vincolo in uscita):
quindi, in queste condizioni, in cui trova applicazione il secondo metodo, si vede
bene che quasi il 68% dei percorsi cade entro il canale stesso, fornendo quindi
4.3 Una tomografia eseguita seguendo ogni singola particella 81
informazioni coerenti con la distribuzione della densità elettronica entro di esso.
Escludendo i protoni che in uscita mostrano un angolo proiettato (ad es. sul
piano xz) superiore ad un limite prefissato, i limiti±σ della figura si restringono ul-
teriormente, ma nel contempo aumenta il rumore dovuto alla riduzione del numero
di eventi per canale.
Nell’ultimo capitolo verranno illustrate le immagini relative ad entrambe le
scelte (cfr. figg. 5.1.2).
Energia(MeV) 250 200φ (mm) 50 15% 14%
100 5% 3.5%200 0.5% 0.3%
Tabella 4.2: Percentuale approssimata dei percorsi rettilinei entro 1mm.
4.3.3 Geometria del fascio
E’ stato simulato, analogamente a quanto avviene nelle scansioni tomografiche a
raggi X, un fascio rettangolare con la dimensione minore ortogonale al piano d’im-
magine e largo quanto il diametro del fantoccio cilindrico.
Nelle ordinarie tomografie con fotoni, l’ampiezza del collimatore che limita lo spes-
sore del piano d’immagine è, per ridurre le fluttuazioni statistiche a parità di fluenza,
una quantità finita che varia solitamente tra 10 e 30 mm (quindi circa 10 volte quella
dei rivelatori allineati sul piano). Questo comporta una riduzione della risoluzione
a causa della sovrapposizione delle strutture presenti dentro lo spessore stesso: la
densità di ciascun punto è la media dei valori sull’intera altezza del fascio.
Nelle simulazioni con protoni è stato qui settato uno spessore del fascio dell’ordine
del micron, onde ridurre al massimo la dispersione spaziale lungo l’asse ortogo-
4.4 Struttura dei fantocci ricostruiti 82
nale ai fantocci, mentre il passo tra i rivelatori è di 1 mm, conformemente alla
dimensione dei migliori rivelatori a semiconduttore oggi disponibili.
4.3.4 Numero di proiezioni
Come predetto dal teorema di Nyquist (cfr. eq. (2.16)), la frequenza di campi-
onamento dev’essere doppia della più alta frequenza da riprodurre. Tenendo conto
che la più alta frequenza spaziale è limitata dall’inverso dell’FWHM, ne segue che
ciascuna proiezione dev’essere campionata perlomeno 2 volte per l’FWHM o 4
volte per la larghezza del collimatore7.
4.4 Struttura dei fantocci ricostruiti
La corrispondenza di un’immagine CT con il dato reale dipende sia dalle modal-
ità di acquisizione, che dagli algoritmi di ricostruzione, nonché dal tipo di oggetto
in esame. Il limite superiore di risoluzione spaziale, è comunque dato dal passo
della griglia virtuale sovrapposta al piano dell’immagine.
Per una prima scansione pCT abbiamo utilizzato inizialmente un fantoccio , nel
quale abbiamo simulato il trasporto di un fascio di protoni, costituito da un cilindro
d’acqua, dentro il quale sono stati posizionati 5 cubi composti da materiali organici.
Il fantoccio così realizzato ha un diametro di 100mm e i cubi interni hanno lo
spigolo di 50mm, quello al centro del fantoccio, e di 6mm, quelli disposti ai bor-
di. Per questa prima simulazione si è utilizzato un fascio piano, con spessore in-
iziale di 1mm , e coordinata y della posizione iniziale della particella, lungo l’asse
7Il teorema di Shannon-Nyquist afferma che si può ricostruire un segnale a partire dai suoi val-ori campionati se la frequenza di campionamento è maggiore o uguale del doppio della frequenzapiù alta contenuta nello stesso
4.4 Struttura dei fantocci ricostruiti 83
di proiezione, uniformemente distribuita tra −50 e 50mm. Per ogni run è stato
simulato il trasporto di 50000 protoni a 250 MeV. In totale sono state eseguite 180
proiezioni tra 0 e 360 a passi di 2 (l’immagine ricavata è rappresentata in fig.4.5).
In particolare sono state indagate, inizialmente delle figure geometriche dal pro-
filo netto e rettilineo, cioè contenitori cubici in acqua con inserti della stessa natura
e materiali organici, e, poi, cilindri, di dimensioni paragonabili al tronco del corpo
umano (diametro φ= 20 cm), contenenti inserti organici di varia densità.
In fig. 4.5 è stata riportata la sezione tomografica ricavata mediante una scan-
sione ottenuta simulando uno scanner di 1a generazione [Han81, Kak88], conte-
nente alcuni materiali presenti nel corpo umano. Le linee verticali ed orizzontali,
in corrispondenza degli spigoli del cubo, che sembrano prolungare i lati del cubo
d’osso centrale, sono dovute ad artefatti dovuti ad un campionamento insufficiente
in presenza di forti variazioni nella densità (acqua-osso), le altre linee rette (meno
evidenti e variamente orientate) sono invece dovute ad artefatti energetici (par. §
4.6.2).
Si tratta di una sezione ortogonale all’asse del cilindro, contenente vari inserti
cubici, di densità, relativa a quella dell’acqua, compresa tra 0.50g/cm3 (polmone)
e 1.85g/cm3 (ossa compatte). Gli inserti rappresentano dunque un campione di
tessuti umani:
• polmone 0.508g/cm3
• tessuto adiposo 0.967g/cm3
• muscolo 1.061g/cm3
4.4 Struttura dei fantocci ricostruiti 84
Figura 4.5: Immagine pCT (sono indicate le densità relative)
• osso compatto 1.850g/cm3.
Come si nota chiaramente in (fig.4.5), purtroppo la piccola differenza in densità
relativa per molti materiali che costituiscono il corpo umano comporta una piccola
variazione della perdita di energia tra i vari tessuti e conseguentemente un basso
contrasto tra gli stessi. Infatti, per la (3.6)la dipendenza del potere frenante dal tipo
di materiale attraversato (espressa come dE/dx) è ≈ Z/A, e tale rapporto (cfr. tab.
3.2[Han82]) è relativamente costante nei tessuti organici.
4.5 Fantocci utilizzati per l’analisi della risoluzione 85
4.5 Fantocci utilizzati per l’analisi della risoluzione
Allo scopo di quantificare la risoluzione in densità elettronica e quella spaziale,
anche per confrontare i nostri risultati con quelli analitici [Sch05, Sch06] recen-
temente studiati, abbiamo simulato un modello di fantoccio cilindrico di 20cm di
diametro contenente:
• Inserti cilindrici disposti nella periferia (cfr. fig. 4.2) e la composizione
chimica dell’acqua, ma con densità variabili,
• Delle triplette di fori cilindrici, allineate a tre a tre e disposte in vicinanza
all’asse del fantoccio, senza materia al loro interno, di diametro D variabile,
e con una distanza da centro a centro pari a 2D, come descritti in tabella 4.3.
Gli inserti del primo tipo servono a determinare la risoluzione in densità, in
condizioni di basso contrasto e sono costituiti da acqua con densità linearmente
variabile da 900 a 1096 g/cm3, pari ad una variazione, rispetto alla densità del-
l’acqua, di poco più dello 0.4% per ogni cilindro consecutivo: ricordando la (3.9),
ne segue che anche la densità elettronica, essendo Z/A in queste condizioni rig-
orosamente costante, sarà linearmente variabile con lo stesso gradiente rispetto alla
densità elettronica dell’acqua.
Per il calcolo della risoluzione spaziale, invece la simulazione è stata condotta
utilizzando un metodo standard [Tay86], utilizzando quindi dei sistemi di cilindretti
che, essendo vuoti, possiedono una differenza in densità del 100% rispetto al mezzo
uniforme acqueo (quindi in condizioni di alto contrasto) in cui sono inseriti.
I dati riportati nella tabella 4.3 sono relativi ai diametri presenti nelle triplette e alla
4.6 Ricostruzione dell’immagine 86
corrispondente misura in linee/cm ( o coppie di linee/cm,lp/cm8, o anche frequenza
spaziale, cm−1).
D (mm) 8 6 4 3 2 1.5 1 0.75 0.5Risoluzione spaziale(lp/cm) 0.6 0.8 1.2 1.6 2.5 3.3 5 6.6 10
Tabella 4.3: Diametri, e linee/cm corrispondenti, delle triplette di fori.
La figura 4.2 contiene un’istantanea del fantoccio tipo, con le tracce dei protoni
(blu), dei fotoni (verdi) e degli elettroni secondari (rossi).
4.6 Ricostruzione dell’immagine
L’integrale che serve a determinare i valori di proiezione (3.8) (per ogni canale
da 1mm della suddivisione virtuale del piano da immaginare), è stato calcolato nu-
mericamente (cfr. § 3.2) e i valori ottenuti, per ogni fissato valore dell’energia
iniziale e finale, sono stati immagazzinati in un file in modo tale da velocizzare gli
algoritmi utilizzati nella ricostruzione dell’immagine.
I dati raccolti con le n proiezioni, tante quanti sono gli angoli di proiezione, sono
stati accumulati in altrettanti file, contenenti ciascuno, per ogni protone simulato,
sia le energie iniziali e finali, sia le posizioni, sui due piani rivelatori 9, come anche
le tre componenti dell’impulso sul piano rivelatore posto all’uscita (fig. 4.2). Le
energie utilizzate nelle simulazioni, sono compatibili con quelle previste per tessuti
biologici di dimensione media 10, vale a dire nel range tra 150 e 250MeV per gli
8In letteratura si usano indifferentemente: una linea è costituita da un rettangolo nero seguitoda uno bianco: il loro insieme costituisce una coppia, una linea, oppure un ciclo spaziale
9I piani simulati sono costituiti da foglietti in silicio, omogenei, dello spessore di 300µm10Arti, tronco e capo umani
4.6 Ricostruzione dell’immagine 87
arti e 200 fino a 250MeV per il tronco umano.
Nel complesso, considerando anche le simulazioni effettute con fotoni, questi file
contengono:
Nel caso dei fotoni:
• i conteggi per canale, o le posizioni finali, dei fotoni che non hanno subito
diffusione/assorbimento nel mezzo.
Nel caso dei protoni:
• l’energia e le posizioni iniziali e finali dei protoni che sopravvivono fino al
piano rivelatore d’uscita
• le tre componenti dell’impulso calcolate sullo stesso piano.
4.6.1 Algoritmi di ricostruzione
Sono state utilizzate diverse implementazioni dell’algoritmo di FBP, realizzate
in ambiente MATLABTM, utilizzando anche
• Le funzioni built-in dell’ambiente MATLAB (radon(), iradon()),
• Alcuni interessanti spunti da [Fesweb],
insieme allo sviluppo, nello stesso ambiente, della funzione (3.7) per determinare
le proiezioni pCT.
Il metodo di retroproiezione non filtrata genera immagini con un’alta densità
al centro e a contrasto estremamente basso, a causa della sovrapposizione delle
immagini, nel dominio della frequenza, attorno alla zona di bassa frequenza (fig.
2.4), ed è stato quindi scartato in partenza.
4.6 Ricostruzione dell’immagine 88
Il filtro naturale in FBP, come mostrato nella (2.14), è quello a rampa (Ram-Lak
in fig. 2.5) | ρ |, che quindi amplifica le alte frequenze nell’immagine rispetto alle
basse, aumentando così il contrasto.
Dopo varie prove è stato preferito usare il filtro Ram-Lak (esteso a tutte le fre-
quenze presenti nelle immagini), nonostante questo abbia la tendenza ad amplificare
il rumore, inevitabilmente presente nelle proiezioni (§ 1.5.3), rispetto ad altri che
hanno però la caratteristica di ridurre il contrasto.
4.6.2 Artefatti energetici in pCT
La trasformata di Radon per le immagini xCT, parte dai principi ideali di avere
un numero molto elevato di fotoni nel rivelatore (il cui numero è soggetto alla sta-
tistica di Poisson); raggi infinitamente sottili e rettilinei, monoenergetici, e basso
rumore nella catena di rivelazione e produzione delle immagini finali.
In completa analogia anche nella pCT occorrerebbero condizioni simili: un alto
numero di protoni per ciascuna traiettoria (rettilinea o curvilinea che sia) per min-
imizzare l’effetto di dispersione energetica (cfr. § 1.5.3), e fantocci piccoli o alta
energia per minimizzare lo MCS e ottenere raggi molto sottili.
Lo scostamento dell’energia finale per canale in uscita, media dei valori cam-
pionati 11, rispetto al valore medio dell’energia residua calcolata analiticamente
(eq. di Bethe-Block (1.11)), Eout , è maggiormente sentito all’estremo superiore
dell’intervallo energetico considerato nelle nostre simulazioni (180≈ 250 MeV), a
causa della dipendenza crescente della funzione 1F(I(r),E) all’aumentare di E (cfr.
fig. 4.13), e della più marcata asimmetria della distribuzione.
11Ricordiamo qui che l’errore commesso sulla media è dato dall’errore standard diviso la radicedel numero dei conteggi effettuati
4.7 Validazione del codice GEANT4 applicato ai fantocci simulati 89
Tale errore, che si ripercuote nella qualità dell’immagine finale con la presenza di
artefatti rettilinei (cfr. fig. 5.2), può essere ridotto, sia aumentando il numero dei
protoni trasportati (per ottenere un valore più vicino alla perdita media di energia
Eout (eq. (4.1)), sia riducendo l’energia iniziale dei protoni a quella minima consen-
tita dalle dimensioni del fantoccio.
D’altro canto, sia la distribuzione per le energie in uscita dei protoni vincolati al
movimento entro un canale virtuale di larghezza pari al lato della rete di voxel di
1mm, sia di quelli vincolati al passaggio per gli estremi del canale e che quindi si
muovono entro i limiti del percorso medio ±σ nella figura 4.6, mantengono l’asim-
metria tipica della distribuzione di Landau verso le basse energie come è mostrato
nelle figure 4.7 4.8, e larghezza a metà altezza, ricavata dai dati delle simulazioni,
di ≈ 2.5%.
4.7 Validazione del codice GEANT4 applicato ai fan-
tocci simulati
Vogliamo qui discutere alcune simulazioni eseguite col toolkit GEANT4 al fine
di validarne il codice, nel suo comportamento riguardo ai fenomeni fisici del MCS
(§ 1.5.3) e della perdita media di energia cinetica attraverso materiali omogenei.
4.7.1 Simulazioni sulla dispersione angolare e spaziale (MCS)
Nel tentativo di metterci in condizioni quanto più possibile vicine a quelle delle
simulazioni del sistema tomografico discusso nel capitolo precedente, sono state
eseguite delle simulazioni con un cilindro d’acqua di 20cm di diametro ed uguale
4.7 Validazione del codice GEANT4 applicato ai fantocci simulati 90
Figura 4.6: Percorso medio (blu) e limiti ±σ (rosso) per protoni da 250 MeV, uniformementeincidenti nel canale centrale (coordinata y = mm: 0÷1) di un fantoccio con diametro φ= 20 cm ,senza alcun vincolo per l’angolo proiettato in uscita.
altezza e fascio monocromatico collimato in un pennello con direzione lungo l’asse
x, ortogonale all’asse del cilindro. La distribuzione dell’angolo ΘX formato dalla
proiezione del vettore impulso sul piano xy, con l’asse x (variabile θ dell’eq.(1.18)),
e quella della componente lungo l’asse y della posizione, sono state quindi con-
frontate con i risultati analitici della teoria descritta nel § 1.5.3.
Gli angoli (cfr. fig. 1.10) sono stati determinati proiettando, in corrispondenza del
foglio 2D che simula un rivelatore a microstrip di silicio, il vettore impulso ~p nei
tre piani individuati dagli assi cartesiani. Ad esempio per il piano individuato dagli
4.7 Validazione del codice GEANT4 applicato ai fantocci simulati 91
Figura 4.7: Spettro delle energie residue per protoni da 250 MeV, vincolati solo agli estremi delcanale centrale.
assi x e y:
ΘX = atan(
px
py
),
omettiamo di scrivere le analoghe per gli altri due angoli.
I dati riportati nella tabella 4.4 riguardano, a causa dell’ omogeneità del cilindro e
dell’equivalenza delle direzioni, uno qualunque dei tre possibili angoli suddetti e
la componente della posizione lungo uno dei due assi ortogonali alla direzione di
propagazione iniziale del fascio.
I valori rms delle dispersioni spaziali e angolari dei dati simulati sono stati rica-
4.7 Validazione del codice GEANT4 applicato ai fantocci simulati 92
Figura 4.8: Spettro delle energie residue per protoni da 250 MeV, vincolati lungo tutto un canaledi 1 mm.
vati sia applicando direttamente le formule statistiche, sia a partire da un fit con una
curva gaussiana, costruita a partire dal 98% dei dati attorno allo zero, cioè esclu-
dendo quelli che secondo la teoria si discostano troppo dalla distribuzione normale
(§1.5.3). Per quanto riguarda i valori analitici, è stata utilizzata la (1.19), per i valori
della prima riga, ricavando i valori per la funzione 1/βp nell’integrale tramite una
simulazione, e la (1.20), considerando p costante, per quelli della seconda, mentre
i valori simulati nella terza, sono stati ricavati da 8000 percorsi simulati.
Come si vede esiste un ottimo accordo tra i valori previsti dalla teoria e i risultati
delle simulazioni, mentre lo stesso non si può dire per i valori ottenuti applican-
do direttamente la (1.20), dove non si è tenuto conto della variazione dell’impulso
lungo il percorso. In figura 4.10 sono stati riportati i valori rms della dispersione
spaziale simulata e calcolata analiticamente.
4.7 Validazione del codice GEANT4 applicato ai fantocci simulati 93
Figura 4.9: Diagramma delle energie residue in uscita da un fantoccio cilindrico.
Nella figura 4.12 è stato invece riportato un grafico che evidenzia la correlazione
tra la dispersione spaziale proiettata lungo l’asse y (con coefficiente σyθx ' 0.78) e
quella angolare rispetto all’asse x, mentre le coppie di variabili angolari, θX e θY ,
nella figura 4.11, non mostrano tra di loro alcuna correlazione (σθyθx ' 0), come era
naturale aspettarsi.
4.7 Validazione del codice GEANT4 applicato ai fantocci simulati 94
Tipo Dati Posizione (mm)100 150 200
Yrms (mm) 1.13 2.08 3.20θrms (mrad) 19.6 24 27.7Yrms analitico (mm) 1.20 2.28 3.67θrms analitico (mrad) 22.2 29.7 39.1Yσ simulato (mm) 1.17 2.26 3.75θsigma simulato (mrad) 22 29 41
Tabella 4.4: Dispersione angolare e di posizione: valori calcolati e simulati per protoni a200 MeV.
Figura 4.10: I valori rms della dispersione spaziale simulata (rosso) e calcolata (blu)
4.7 Validazione del codice GEANT4 applicato ai fantocci simulati 95
Figura 4.11: Grafico che mostra la mancanza di correlazione angolare tra due angoli proiettati
Figura 4.12: Correlazione tra angolo e dispersione spaziale
4.7 Validazione del codice GEANT4 applicato ai fantocci simulati 96
4.7.2 Confronto analitico con il database del NIST
La formula del potere frenante elettronico (1.11) del § 1.5.1, che è stata utilizza-
ta nella ricostruzione tomografica, è stata confrontata, per protoni in acqua (cfr. fig.
4.13), con i dati disponibili nel database del NIST (National Institute of Standards
and Technology) [NistDat]. Si nota chiaramente come la stessa perde di validità
Figura 4.13: La funzione di Bethe-Bloch (1.11) per protoni in acqua (blu) e la curva poterefrenante Sel+nucl ricavata dal database del NIST).
per energie circa inferiori al MeV (correzione di shell e di Barkas cfr. §1.5.1), e
superiori a circa 1 GeV, in corrispondenza del punto di minima ionizzazione (in-
torno a β ' 0.95) [Hag02]. Tuttavia, nell’ intervallo di energie comprese tra 180 e
4.7 Validazione del codice GEANT4 applicato ai fantocci simulati 97
250 MeV (β ≤ 0.6), utilizzate nelle nostre simulazioni, l’errore relativo commesso
è inferiore all’ 1%, e può essere quindi trascurato.
Capitolo 5
Analisi dei dati delle simulazioni
In questo capitolo conclusivo confronteremo i parametri di risoluzione descritti
nei capitoli precedenti, nel caso di simulazioni con protoni, con i risultati ottenuti
con fotoni X, e con i dati presenti in letteratura [Sch05, Sch06].
Figura 5.1: Immagine xCTcon fotoni da 52 keV ricostruitamediante FBP.
Figura 5.2: Immagine pCT conprotoni da 250 MeV ricostruitamediante FBP.
5.1 Immagini ottenute 99
5.1 Immagini ottenute
I parametri di risoluzione spaziale sono stati ricavati dalle immagini sotto pre-
sentate, in maniera più quantitativa che dalla semplice osservazione visiva, pren-
dendo dei profili orizzontali attraverso il centro di ciascun pattern (le triplette di fori
indicate nel § 4.5), come in figura 5.3, e ponendo come limite massimo la possibilità
di risolvere separatamente i tre picchi.
Figura 5.3: Profilo del sesto pattern nella fig. 5.2, corrispondente ad una risoluzione spaziale di3.3 coppie di linee/cm. Sull’asse delle ordinate è presente l’intensità del livello di grigio.
5.1.1 Immagini ottenute vincolando i percorsi lungo i confini di
ciascuna raggio
Riportiamo nella tabella 5.1 e nella 5.4 i risultati ottenuti per le simulazioni con
protoni e con fotoni monocromatici (l’eq. (3.15) per la relazione dose/fluenza), e le
5.1 Immagini ottenute 100
immagini relative.
I percorsi seguiti sono relativi a protoni del fascio primario campionati in base
al raggio iniziale di appartenenza (cfr. § 4.3.2), e che contribuiscono solo a quel
raggio. In tutte le tabelle seguenti:
• lo spessore del fascio è stato fissato a 1 mm;
• Np è il numero dei protoni simulati per ciascuna proiezione.
• RA indica la risoluzione in condizioni di alto contrasto (misurata in coppie
di linee/cm, lp/cm);
• RB quella in basso contrasto misurata in percentuale rispetto all’acqua.
Nella tabella 5.2, invece, a parità delle altre condizioni, sono stati raccolti i risultati
per le simulazioni condotte collimando i protoni del fascio piano iniziale, mediante
un insieme di fori, allineati ciascuno alla griglia di linee da 1 mm adottata per la
ricostruzione.
Np(x106) 2.5 5 7.5Dose(cGy) 15.5 31.08 46.62RA(l p/cm) 3.3 3.3 3.3RB(∆ρ/ρH2O) 4% 2% 2%
Tabella 5.1: Dose al centro e parametri di risoluzione per protoni a 200 e 250 MeV
Np(x106) 1Dose(cGy) 5.2RA(l p/cm) 3.3RB(250MeV ) 1.5%RB(200MeV ) 3%
Tabella 5.2: Dose al centro e parametri di risoluzione per protoni a 200 MeV, concollimatore forato.
5.1 Immagini ottenute 101
Figura 5.4: 2.5, 5 e 7.5 ·106 protoni simulati a 200 MeV con vincolo lungo i confini di ciascunalinea di griglia
5.1 Immagini ottenute 102
5.1.2 Immagini ottenute vincolando i percorsi solo agli estremi
del raggio di appartenenza
Alle stesse condizioni del paragrafo precedente, ma vincolando i protoni solo
agli estremi dei rispettivi raggi di appartenenza, sono state ripetute le tomografie,
variando solo, nel generare le immagini (figg. 5.5), l’angolo massimo proiettato
θmax (sul piano xz) all’uscita, a fluenza (dose) costante. Come si vede, l’immagine
ottenuta limitando a 0.1 l’angolo d’uscita, risulta molto più rumorosa delle altre
(e la RB ne risente), a causa della riduzione del numero di protoni selezionati. La
soglia minima di eventi necessaria ad ottenere almeno una risoluzione spaziale di
2.5 lp/cm è stata di 50.000 eventi, pari ad una dose di 3.5 mGy.
θmax(gradi) 0.1 0.5 1 10RA(l p/cm) 2.5 2.5 2.5 2.5RB(∆ρ/ρH2O) 4.5% 3.3% 3.3% 3%
Tabella 5.3: Parametri di risoluzione per 250 kEventi a 250 MeV, corrispondenti ad unadose al centro di circa 18 mGy.
5.1 Immagini ottenute 103
250 MeV θ < 1 deg 50 kEv
Figura 5.5: 250 MeV: 50 kEventi (in alto), 250 kEventi con θmax = 0.1, 0.5, 1 e, 10, convincolo solo agli estremi del fantoccio
5.2 Dosi rilasciate al centro (CTDI) 104
5.1.3 Parametri di risoluzione per fotoni a 52 keV
Come termine di paragone, riportiamo in fig. 5.1.3 le immagini per tre diversi
valori del numero di fotoni X simulati1 o, tra parentesi, della fluenza(§ 1.1.3) (φ =N fA ); nella tabella 5.1.3 sottostante, i valori di dose sono stati raffrontati coi parametri
di risoluzione. Da questi dati emerge che, all’aumentare della fluenza, RA tende
al valore limite di 3.3 lp/cm, mentre RB, che migliora a causa della riduzione del
rumore poissoniano, collima bene con i valori teorici[Sch05].
N f (·106)(φ ·106 cm−2) 2 (1) 5 (2.5) 20 (10)Dose(mGy) 0.024 0.06 0.24RA(l p/cm) 2.5 3.3 3.3RB(∆ρ/ρH2O) 14% 11% 8%
Tabella 5.4: Dose al centro e parametri di risoluzione per fotoni monocromatici a 52 keV.
5.2 Dosi rilasciate al centro (CTDI)
Secondo quanto detto nel § 3.5, per ogni step2 simulato di ciascuna particella,
primaria o secondaria, è stata sommata l’energia depositata localmente (metodo
GetTotalEnergyDeposit() 3), all’energia totale rilasciata nel volume della C.I. Questi
dato è stati ripetuto e mediato.
1N.B. Le densità dei cilindretti d’acqua per il calcolo della risoluzione in basso contrasto,variano qui da 800 a 1200 g/cm3
2Lo step è l’intervallo spaziale della traccia di una particella, modificabile con cautela dal-l’utente, entro cui GEANT4 considera costanti i valori delle sezioni d’urto dei vari processid’interazione[Ago03, Rus02].
3Il metodo GetDeltaEnergy() della classe G4Step riporta l’energia persa dalla particella, pertutti i processi fisici coinvolti, nello step, mentre GetTotalEnergyDeposit(), la frazione di questache viene depositata localmente.
5.2 Dosi rilasciate al centro (CTDI) 105
Figura 5.6: Immagini ottenute con 2 ·106, 5 ·106 e 20 ·106 fotoni simulati. Nella scala di grigia destra delle due immagini, il nero indica il vuoto, mentre il bianco corrisponde circa alla densitàdell’osso (1.85).
5.2 Dosi rilasciate al centro (CTDI) 106
Figura 5.7: Il fascio piano simulato mentre interseca il volume simulato della C.I.
La C.I. (cfr. fig. 5.7) è stata dunque simulata con un cilindro d’acqua del di-
ametro di 20 mm (pari a circa 31 gr d’acqua, cioè 1/200 della massa del fantoc-
cio), e asse coincidente con quello del cilindro fantoccio di 200 mm di diametro
(analogo a quello utilizzato per la misura delle risoluzioni).
Come visto alla fine del § 3.5 il CTDI è, come la fluenza, inversamente pro-
porzionale allo spessore del fascio T , mentre se variamo lo spessore mantenendo
costante la fluenza, poichè in tal caso nella (3.19) Etot ∝ Np ∝ T , ci aspettiamo un
CTDI costante. Nelle simulazioni per il calcolo della dose è stato scelto il primo
metodo.
I dati riportati nelle tabelle 5.5, per protoni e, 5.6 e 5.7, per fotoni, si riferiscono alle
dosi al centro del fantoccio per 180 proiezioni e per una sola sezione per proiezione
(n = 1), con T = 1mm. Le misure sono state ripetute per un numero fissato di parti-
celle (105÷2.5 ·106 a passi di 105 e 104÷105 a passi di 104 ), dunque con fluenza
5.2 Dosi rilasciate al centro (CTDI) 107
proporzionale a questo stesso numero, e ricavando la media e la deviazione standard
per ciascun sotto-intervallo.Come termine di paragone, nella tabella 5.6, sono state
riportate le dosi per fotoni su di un fantoccio non standard di 10 cm di diametro.
Nelle figure 5.9 e 5.8 sono stati riportati i valori medi della dose rilasciata al
centro in funzione del numero dei protoni simulati, cui la fluenza è proporzionale
avendo mantenuto T costante (le barre delle fluttuazioni sono troppo piccole per es-
sere viste). Si nota bene la perfetta linearità tra fluenza e dose, come ci aspettavamo
(eq. (3.15)).
Np EC.I.(GeV) CTDI(mGy)1.5 105 89.48±0.90 5.94±0.065.5 105 448.44±3.04 29.80±0.201.5 106 1347.68±4.43 89.57±0.302.5 106 2247.7±3.55 149.38±0.23
Tabella 5.5: Energia rilasciata e CTDI in funzione del numero dei protoni a 200 MeVcostanti e φ f antoccio = 20cm
EX (KeV) EC.I. (MeV) CTDI(mGy)52medio 154.6±2.1 1.02 ·10−2
52reale 149.7±1.9 9.95 ·10−3
100medio 189.9±2.4 1.24 ·10−2
Tabella 5.6: Il CTDI simulato a 52 e 100 keV, per 250.000 fotoni monocromatici (pedicemedio) e di uno spettro reale (120 kVp su tungsteno) il cui valore medio è di 52 keV, ediametro del fantoccio di 10cm.
EX (KeV) EC.I (MeV) CTDI(mGy)52medio 44.95±1.02 3 ·10−3
52reale 40.36±1.23 2.7 ·10−3
Tabella 5.7: Il CTDI simulato per 250.000 fotoni monocromatici e di uno spettro reale comesopra, e diametro del fantoccio di 20cm.
5.2 Dosi rilasciate al centro (CTDI) 108
Figura 5.8: CTDI fino a 105 protoni simulati e φ f antoccio = 20cm, a varie energie del fascio (glierrori, dove troppo piccoli, non sono stati indicati)
La tabella 5.5 mostra, l’andamento dell’energia depositata con le relative flut-
tuazioni nella C.I., per un numero di particelle variabile.
L’energia dei fotoni EX , indicata nelle tabelle 5.6 e 5.7, ove indicato con l’indice
medio, è ricavata dal valor medio dello spettro, e indica che la simulazione è stata
eseguita con fotoni monocromatici; l’indice reale invece indica che si è simulato
l’intero spettro corrispondente al valor medio indicato 4.
Invece le energie indicate per i protoni sono state scelte tenendo conto dei valori
noti per il range in acqua degli stessi [Nist].
4Ad esempio l’energia media Emean ' 52keV corrisponde ad uno spettro X su tungsteno da120 kVp.
5.3 Conclusioni e confronto con i dati più recenti presenti in letteratura 109
Figura 5.9: CTDI fino a 2.5 ·106 protoni simulati e φ f antoccio = 20cm
5.3 Conclusioni e confronto con i dati più recenti pre-
senti in letteratura
In questo lavoro si è utilizzato l’algoritmo di ricostruzione FBP, comunemente
utilizzato nella ricostruzione delle immagini tomografiche, basate sui percorsi ret-
tilinei dei fotoni X non diffusi. Sebbene i percorsi dei singoli protoni non possano
essere certamente definiti rettilinei, le immagini ottenute, filtrando le traiettorie sulla
base dell’angolo proiettato su di un piano all’uscita, hanno fornito risultati parago-
nabili, per i valori della risoluzione spaziale, a quelli più recenti trovati in letteratura.
Per la risoluzione in densità, i dati ottenuti sono stati invece decisamente peggiori
del valore minimo teorico (analitico).
5.3 Conclusioni e confronto con i dati più recenti presenti in letteratura 110
5.3.1 Risoluzione spaziale
I valori delle risoluzioni spaziali ottenuti in [Sch06], sono stati ricavati da ri-
costruzioni effettuate con l’algoritmo ART (§ 2.3.2), applicato a proiezioni simulate
di sezioni tomografiche di un fantoccio ellittico. In esso sono stati posti inserti
lineari d’osso e d’aria, variamente spaziati, come pattern di risoluzione spaziale.
Sono state quindi effettuate 180 proiezioni per un totale di 9 ·106 percorsi simu-
lati a 200 MeV, mentre la dose è stata calcolata analiticamente [Sch05] ed è risultata
pari a 3.5mGy (quindi uguale a quella da noi ottenuta con la simulazione su di un
fantoccio cilindrico, § 5.1.2).
Il percorso reale di ciascun protone, pur essendo confinato sul piano da im-
maginare, è stato approssimato, note le condizioni al contorno (valori degli an-
goli d’ingresso e d’uscita e relative posizioni), congiungendo il punto d’ingresso e
d’uscita:
• con una linea retta (SLP, Straight Line Path);
• con una spline cubica, cioè un polinomio di terzo grado (CSP, Cubic Spline
Path) [Wil04];
• con il percorso più probabile5 (MPL, Most Likely Path) secondo la teoria
statistica contenuta in [Wil04] ed analizzata anche in [Can04].
Come si vede quindi il migliore valore di risoluzione da noi ottenuto (3.3 lp/cm)
è intermedio rispetto ai valori ricavati con l’approssimazione SLP e CSP(MLP).
5Cioè il percorso medio tra tutti quelli che hanno gli stessi punti e gli stessi angoli d’ingressoe d’uscita
5.3 Conclusioni e confronto con i dati più recenti presenti in letteratura 111
lp/cm (aria) lp/cm (osso)SLP 2.5 2CSP (MLP) 5 4.5
Tabella 5.8: Valori massimi della risoluzione spaziale da [Sch06], in funzione del tipo dipercorso di singolo protone.
5.3.2 Risoluzione in densità
Nel lavoro a cui ci siamo riferiti per confrontare i valori delle risoluzioni in
densità [Sch06], è stato simulato un fantoccio cilindrico analogo al nostro, ma con-
tenente tre differenti materiali organici in un mezzo uniforme d’acqua. Inoltre è sta-
ta ricavata un’espressione analitica della relazione tra la deviazione standard della
densità elettronica e la dose rilasciata al centro del fantoccio: i risultati, che con-
tengono anche i valori analitici per uno scanner xCT a 75 keV, sono riportati nella
fig. 5.10. Si tratta ovviamente di valori limite, mentre i valori reali sono legati al
tipo di ricostruzione effettuata.
I risultati che si leggono nel grafico coincidono bene con i valori da noi ottenuti
per fotoni a 52 keV (tab. 5.1.3), mentre al valore di dose più bassa (18 mGy nella
tab. 5.3), quelli ottenuti con protoni a 250 MeV, indicano una risoluzione in densità
nettamente peggiore.
5.3 Conclusioni e confronto con i dati più recenti presenti in letteratura 112
Figura 5.10: Densità elettronica relativa in funzione della dose al centro per un fantocciocilindrico di 20 cm: le linee rette sono legate alle formule analitiche, i triangolini e i cerchiettirappresentano i livelli di rumore a 200 MeV ricavati dalle simulazioni ( la retta indicata conX-ray si riferisce ad uno scanner xCT da 75 keV.
5.3.3 Conclusioni
I lavori pionieristici degli ultimi 20 anni ([Han81, Han82, Ped94, Sch05]) hanno
mostrato come la risoluzione in densità massima teorica ottenibile con i protoni
superi, a parità di dose, quella dei raggi X. E’ ovvio quindi che occorre studiare bene
il modo di utilizzare il maggior numero possibile di percorsi per potersi avvicinare
il più possibile al limite teorico. I risultati di questo lavoro ci fanno comunque
ben sperare che, affinando le tecniche di filtraggio dei percorsi buoni, sia possibile
migliorare ulteriormente le immagini, a parità di dose.
Bibliografia
[Hag02] K. Hagiwara et al. ,
Review of Particle Physics,
Phys. Rev. D66, 010001 (2002)
[Bet53] H. Bethe ,
Molière’s Theory of Multiple Scattering,
PhysRev.89.1256, 1953.
[Hig75] V. L. Highland ,
Some pratical remarks on multiple scattering,
NIM, Vol 129:467, 1975.
[Leo94] W. R. Leo ,
Techniques for Nuclear and Particle Physics Experiments,
Springer, 1994.
[Joh83] H. E. Johns, J. R. Cunningham ,
The physics of radiology,
Charles C. Thomas pub.(1983), 4th Edition, Springfield, Illinois
BIBLIOGRAFIA 114
[Wil47] R. R. Wilson ,
Radiological use of fast protons,
Radiology 47 331-9,487-91
[Kak88] Avinash C. Kak, M. Slaney ,
Principles of Computerized Tomographic Imaging,
IEEE Press,New York, 1988,
libro elettronico http://www.slaney.org/pct/pct-toc.html , settembre
2006
[Han81] K.M.Hanson ,
Computed Tomography using proton energy loss,
Phys.Med.Biol.,26(1981), 965-983
[Han82] K.M.Hanson ,
Proton computed tomography of human specimens,
Phys.Med.Biol.,27(1982), 25-36
[Nist] http://physics.nist.gov/PhysRefData/Star/Text/PSTAR.html ,
ottobre 2006
[NistDat] http://physics.nist.gov/PhysRefData , ottobre 2006
[Rus02] G. Russo ,
Codice Monte Carlo C++/Geant4 applicato alla simulazione di una linea di
adroterapia ,
Tesi di laurea in fisica A. A: 2002-2003, Catania
BIBLIOGRAFIA 115
[Can04] G. Candiano ,
Studio di un sistema tomografico con fasci di protoni per uso clinico: simu-
lazioni MontCarlo,
Tesi di laurea in fisica A. A: 2004-2005, Catania
[Sch04] R. Schulte et al. ,
Conceptual desing of a proton Computed Tomography System for applica-
tions in Proton Radiation Therapy,
IEEE TNS, VOL. 51, NO. 3 JUNE 2004
[Wil04] D. C. Williams ,
The most Likely path of an energetic charged particle through a uniform
medium,
Phys. Med. Biol. 49 (2004) 2899 - 2911
[Sch05] R. Schulte et al. ,
Density resolution of proton computed tomography,
Med Phys. 32(4), Aprile 2005.
[Sch06] T. Li et al. ,
Reconstruction for proton computed tomography by tracing proton trajecto-
ries:A Monte Carlo Study,
Med Phys. 33(699), Marzo 2006.
[Ped94] U. Schneider, E. Pedroni ,
Multiple Coulomb scattering and spatial resolution in proton computed To-
mography,
Med. Phys. 21(11), Novembre 1994.
BIBLIOGRAFIA 116
[Ped95] U. Schneider, E. Pedroni ,
Proton radiography as tool for quality control in protontherapy,
Med. Phys. 22(4), Aprile 1995.
[Ped99] P. Pemler et alii ,
A Detector system for proton radiography on the gantry of the Paul Scherrer
Institute NIM A, 432 ,483-495(1999)
[Kee02] B. Keeney et al. A silicon telescope for application in nanodosime-
try IEEE trans, Nucl. Sci 49 1724.
[Sad04] H. F. W. Sadroùzinski ,
Toward Proton Computed Tomography,
IEEE TNS, VOL. 51, NO. 1 february 2004
[Mat] http://mathworks.com , ottobre 2006
[G4W] http://geant4.web.cern.ch/geant4 , ottobre 2006
[Clh] http://proj-clhep.web.cern.ch/proj-clhep , ottobre 2006
[Fesweb] J.Fessler Free image reconstruction toolbox, http://www.eecs.
umich.edu/~fessler/code/index.html , ottobre 2006
[Ago03] S. Agostinelli et al. ,
Geant4 , a simulation toolkit,
NIM A,506 ,250-303(2003)
[Tay86] T. Taylor ,
Resolution,Artifacts and Design of Computed Tomography System,
NIM A, 242 ,603(1986).