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CORSO ECM FAD
FERTILITÀ A 360°: SPUNTI E NUOVE RIFLESSIONI NELLA PMA
Modulo Didattico 3: Hot Topics in PMA: evoluzione delle tecniche di PMA
A cura di:
Dr. Alessio Paffoni, Specialista in Genetica Medica, Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e
Regina Elena, U.O. Sterilità di Coppia, Milano.
Obiettivi formativi
Al termine di questo modulo didattico il Medico dovrebbe essere in grado di:
discutere riguardo la selezione di gameti ed embrioni;
comprendere la valutazione dell'espressione genica delle cellule del cumulo ooforo come
marker di qualità ovoctaria;
comprendere le nuove metodiche utilizzate;
essere informato sulle novità emerse durante l'ultimo convegno ESHRE in questo campo.
Tra gli aspetti più critici dell’applicazione delle tecniche di procreazione medico assistita (PMA)
figura certamente l’elevata incidenza di gravidanze gemellari. Per questo motivo il miglioramento
delle tecniche a disposizione prevede lo studio e la validazione di metodiche per la selezione di
gameti ed embrioni per ottenere il maggiore potenziale d’impianto possibile. La comunità
scientifica è concorde nel prevedere un progressivo aumento del numero di procedure di embryo
transfer utilizzando un singolo embrione (Single Embryo Transfer, SET) per ridurre la ricorrenza di
gravidanze plurime senza diminuire le probabilità di successo per ciclo di PMA.
I criteri di selezione embrionaria più utilizzati sono di tipo morfologico e si basano principalmente
sulle caratteristiche e la cinetica di segmentazione o sulla presenza di blastomeri frammentati1.
Mentre il potere predittivo negativo è sufficientemente elevato nei casi di embrioni non vitali o
fortemente frammentati, qualora gli embrioni abbiano caratteristiche morfologiche medio - buone
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oppure ottime, il potere predittivo della classificazione morfologica rispetto alle possibilità di
gravidanza è piuttosto limitato.
Lo sviluppo delle tecnologie di biologia molecolare ha ampliato la conoscenza di processi
metabolici anche complessi, favorendo la definizione di specifici campi di ricerca generalmente
indicati dal suffisso strumentale –omica. È il caso, ad esempio, della genomica, della trascrittomica,
della metabolomica o della proteomica che, intersecandosi a diversi livelli di studio dei processi
biochimici, possono fornire importanti metodi di analisi e valutazione di cellule o tessuti.
L’evoluzione di queste conoscenze ha permesso lo sviluppo di metodiche analitiche applicabili
anche a gameti ed embrioni. Il loro razionale risiede nella cognizione che lo stato metabolico delle
cellule esaminate sia predittivo delle potenzialità di sviluppo successive2. Un esempio significativo
è lo studio della trascrittomica attraverso la tecnologia microarray, che consente di valutare
simultaneamente l’espressione di migliaia di prodotti genici; quando la funzione e il significato
biologico di alcuni geni sono noti, è possibile correlare il loro livello di espressione allo stato di
salute metabolica della cellula in studio. In ambito di PMA sono state studiate da alcuni anni le
cellule del cumulo ooforo, il cui profilo di espressione genica si è rivelato, in alcuni casi,
un’interessante biomarker.
L’obiettivo fondamentale di ridurre il numero di embrioni da trasferire per singolo ciclo comporta
alcuni cambi strategici nella conduzione clinico-biologica della procedura di PMA. Le terapie
farmacologiche tendono sempre più a minimizzare la somministrazione di farmaci per evitare la
crescita contemporanea di troppi follicoli ovarici, inutili ai fini della gravidanza e potenzialmente
svantaggiosi per la salute della donna; tuttavia, la personalizzazione delle terapie richiede ancora
notevoli sforzi e in molti casi la disponibilità di gameti femminili permette l’ottenimento di più
embrioni di quelli che auspicabilmente saranno trasferiti e spesso, anche in virtù di limitazioni
etico-legali, pone il problema di quale sia il numero ideale di ovociti che debba essere inseminato.
Selezione di Gameti ed Embrioni
La competenza ovocitaria alla fecondazione e successivo sviluppo prevede due fasi principali,
correlate ma indipendenti: la maturazione nucleare e la maturazione citoplasmatica. La prima è
necessaria affinché l’ovocita possa preparare il proprio genoma all’incontro con quello paterno,
attraversando correttamente le fasi della divisione meiotica. Al momento dell’ingresso dello
spermatozoo nel citoplasma ovocitario, il corredo cromosomico dell’ovocita deve ancora subire
l’ultima divisione e i cromosomi sono allineati sulla piastra della seconda metafase meiotica (stadio
MII). I meccanismi molecolari conseguenti l’ingresso dello spermatozoo provocano l’attivazione
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ovocitaria e l’aploidizzazione del genoma, che è pronto a unirsi a quello del gamete maschile.
Contemporaneamente l’ovocita sostiene la maturazione citoplasmatica, che è strettamente
dipendente dallo stato metabolico di tutto il complesso ovocita-cumulo (che comprende oltre alla
cellula uovo anche le cellule del cumulo ooforo, prossimali e distali) e dall’ambiente circostante. I
due tipi di maturazione, nucleare e citoplasmatica, possono non essere completamente
sincronizzate.
Valutazione della maturità nucleare
Generalmente la maturità nucleare (MII) viene stabilita attraverso l’osservazione del primo globulo
polare nello spazio perivitellino. In seguito a stimolazione ovarica, circa il 10-15 % degli ovociti
recuperati sono in uno stadio di maturazione antecedente alla MII; questo può essere lo stadio di
vescicola germinale (prima profase meiotica, come evidenziabile dalla presenza della vescicola
germinale nel citoplasma) o di metafase I (MI, come evidenziabile dall’assenza del primo globulo
polare e della vescicola germinale). Questa classificazione è biologicamente imprecisa e non tiene
conto delle diverse fasi della meiosi in cui l’ovocita possa effettivamente trovarsi al momento
dell’osservazione3. Gli ovociti ‘immaturi’ possono talvolta completare la maturazione in vitro;
tuttavia la percentuale di fecondazione e lo sviluppo embrionale risultano essere inferiori a quelli
ottenuti con ovociti maturati in vivo. In generale, qualora siano disponibili ovociti in MII maturati in
vivo, non si utilizzano gli ovociti immaturi, a meno che derivino da una opportuna preparazione
della paziente, volta a ottenere proprio ovociti immaturi (tecnica della maturazione in vitro, In Vitro
Maturation, IVM). Si ritiene che la percentuale di ovociti correttamente maturi in seguito alle
procedure di stimolazione farmacologica della crescita follicolare sia massima in una finestra
temporale che va dalle 38 alle 42 ore dopo la somministrazione di hCG4. Condizioni sfavorevoli
quali ambiente di coltura non ottimale o età materna avanzata possono ripercuotersi negativamente
sulla potenzialità di sviluppo degli ovociti, diminuendo la stabilità o alterando la struttura del fuso
meiotico. La valutazione della maturità nucleare ovocitaria è spesso affidata al riscontro del primo
globulo polare; questa pratica, benché mostri un certo margine di errore, è largamente utilizzata e i
suoi limiti hanno un effetto piuttosto limitato sul risultato delle procedure di PMA. Esiste una
possibilità per approfondire lo studio della fase meiotica attraverso l’utilizzo combinato della
microscopia a luce polarizzata e di un software in grado di elaborare le immagini acquisite. Il fuso
meiotico, grazie alla struttura birifrangente dei microtubuli che lo compongono, è in grado di
deviare il piano di luce polarizzata da cui viene illuminato. Attraverso la valutazione della
ritardanza è possibile riscontrare e visualizzare in modo non invasivo la posizione e la struttura del
fuso meiotico. Benché l’utilizzo di questa metodica abbia evidenziato interessanti aspetti
morfologici e funzionali dell’ovocita, l’utilizzo routinario è limitato dalla necessità di
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apparecchiature piuttosto costose e di tempi e difficoltà di esecuzione non trascurabili, soprattutto in
mancanza di notevole esperienza.
Valutazione della maturità citoplasmatica
Ancor più difficoltosa è la valutazione della maturità citoplasmatica che contribuisce alla
determinazione della competenza ovocitaria alla fecondazione e successivo sviluppo. Trattandosi di
un aspetto metabolico, richiede metodi di analisi complessi e spesso invasivi, quindi non
compatibili con le procedure di PMA. La necessità di sincronizzazione della maturazione
citoplasmatica e di quella nucleare, talvolta può ridurre la finestra temporale in cui l’ovocita rivela il
massimo della propria qualità; nel caso in cui la sincronizzazione non si verifichi, la competenza
ovocitaria è notevolmente ridotta, ripercuotendosi anche in modo grossolano sulla morfologia del
gamete femminile5. Il riscontro di ovociti palesemente difformi dagli standard morfologici più
comuni non presenta alcuna difficoltà di valutazione e, per quanto possibile, dovrebbe portare
all’esclusione degli stessi dalla successiva fecondazione in vitro. È nettamente meno oggettiva la
valutazione della differente competenza metabolica tra ovociti caratterizzati da simile aspetto
morfologico. Un approccio che ha riscosso un notevole interesse consiste nello studiare le cellule
del cumulo ooforo, ottenendo informazioni utili per indurre considerazioni in merito alla qualità del
relativo ovocita, senza però doverlo analizzare invasivamente.
Studio dell’espressione genica delle cellule del cumulo per la
selezione di ovociti ed embrioni (Trascrittomica)
Per comprendere il razionale di simili approcci è necessario ribadire alcuni aspetti della biologia del
complesso cumulo-ovocita. Le cellule del cumulo formano un'interconnessione funzionale con
l’ovocita durante lo sviluppo follicolare. Questa connessione tra il comparto somatico (cellule del
cumulo) e il gamete (ovocita) dirige la maturazione del complesso attraverso giunzioni
comunicanti, o gap junction6,7
. Le cellule del cumulo presentano proiezioni citoplasmatiche che
penetrano la zona pellucida e interagiscono con l’oolemma. La comunicazione tra le cellule è
garantita anche da una serie di fattori paracrini. Attraverso questi due meccanismi principali, il
gamete cresce e acquisisce la competenza in una relazione di intima e mutualistica dipendenza con
le cellule somatiche adiacenti (cumulo ooforo e cellule della granulosa); la matrice del cumulo
ooforo acquisisce la corretta struttura, garantendo una corretta ovulazione, un efficiente passaggio
attraverso l’ovidotto e la corretta fecondazione. Alterazione dei meccanismi di comunicazione che
comportino un difetto della sintesi biochimica della matrice del cumulo possano inficiare uno o più
di questi momenti essenziali, manifestandosi come infertilità o sub-fertilità. L'espansione o
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mucificazione del cumulo ooforo caratterizza infatti la maturazione del gamete ed è positivamente
correlabile alle possibilità di sviluppo dell’ovocita, di ovulazione e di fecondazione8-10
; viceversa,
gli ovociti il cui cumulo non si espande correttamente hanno un potenziale di impianto inferiore11
. Il
growth and differentiation factor 9 (GDF9), componente della superfamiglia del transforming
growth factor-fattore di crescita trasformanteTGF, è stato il primo gene ovocita-specifico
conosciuto per la sua capacità di regolare l'espansione del cumulo9. GDF9 influenza la qualità
ovocitaria attraverso due meccanismi fondamentali: regola nelle cellule della granulosa
l’espressione di vari enzimi-chiave necessari per l'espansione del cumulo ooforo e modula
l'acquisizione della competenza ovocitaria attraverso un meccanismo paracrino7. Dati recenti
indicano chiaramente che, nelle cellule del cumulo ooforo, l'espressione dei geni a valle di GDF9
rispecchia l'attività di questo fattore di trascrizione e che, pertanto, lo studio di questi geni può
predire la competenza degli ovociti e la morfologia degli embrioni da essi derivati12-14
. Il fattore di
origine ovocitaria, GDF9, induce l’attivazione di alcuni geni nelle cellule del cumulo ooforo; tra
questi si cita HAS2 (hyaluronic acid syntase), che codifica un enzima indispensabile per la sintesi
dell’acido ialuronico, che rappresenta lo scheletro strutturale della matrice extracellulare del
cumulo15
. Altri geni indotti e regolati da GDF9 (tra parentesi la proteina sintetizzata) sono PTGER2
(prostaglandin-endoperoxide synthase-2), SMAD2/3 (membri 2 e 3 della famiglia SMAD),
CYP10A1 (citocromo P450 aromatasi) e PRDX2 (un membro della famiglia delle perossiredossine,
enzimi antiossidanti coinvolti nell’eliminazione del perossido di idrogeno), le cui funzioni non sono
correlabili solo alla formazione ed espansione del cumulo ooforo9,16
. È stato proposto che il
recettore di GDF9 nelle cellule del cumulo sia BMPR217
. Un altro fattore chiave di derivazione
ovocitaria interagisce con le cellule del cumulo; si tratta di BMP-15 (bone morphogenetic factor-
15) e anch’esso appartiene alla superfamiglia del TGF-. Benché la funzione di BMP-15 e GDF9
non sia palesemente chiarita, è noto che la loro assenza causi infertilità, generando difetti nella
regolazione e differenziamento delle cellule della granulosa sottoposte a stimolazione con ormone
follicolo stimolante (FSH)18,19
. Le funzioni più note delle cellule del cumulo, regolate dai fattori
ovocitari, sono proliferazione ed espansione, apoptosi, luteinizzazione e metabolismo. Da tutte
queste funzioni dipende la qualità ovocitaria e quindi la possibilità di sviluppo dell’embrione. Le
esigenze metaboliche del complesso cumulo-ovocita sono uniche; cellule del cumulo e ovocita
hanno infatti esigenze profondamente diverse. L’ovocita non è in grado di sintetizzare il colesterolo
dall’acetato o di effettuare l’uptake di L-alanina e può ossidare con bassissima efficienza il glucosio
per la produzione di energia. Le cellule del cumulo, viceversa, utilizzando il glucosio attraverso la
glicolisi aerobica forniscono gli acidi carbossilici indispensabili all’ovocita e, metabolizzando
substrati alternativi, lo riforniscono di amminoacidi e colesterolo20
. Il rapporto dell’ovocita con le
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cellule del cumulo non è però di mera dipendenza: la glicolisi aerobica nelle cellule del cumulo
ooforo richiede la presenza dell’ovocita che ne dirige l’attività attraverso alcuni fattori, tra cui
BMP-1521
. L’affermarsi delle tecnologie di microarray ha offerto la possibilità di analizzare e
quantificare l’espressione di migliaia di geni simultaneamente e ha rappresentato un’importante via
nella comprensione degli eventi molecolari legati ai primi stadi di sviluppo dell’ovocita e
dell’embrione. Sono stati condotti diversi studi sul profilo dell’espressione genica dei complessi
cumulo-ovocita allo scopo di ottenere informazioni sui processi che regolano la maturazione
ovocitaria e sono stati identificati oltre 2500 geni sovraespressi nelle cellule del cumulo rispetto
all’ovocita in MII17
.
Dallo studio del complesso cumulo-ovocita deriva la cognizione che un ovocita ‘competente’ non
possa esistere senza un cumulo ‘competente’; per questo motivo, l’analisi molecolare delle cellule
del cumulo può essere predittiva della qualità ovocitaria. Questo tipo di analisi può essere effettuato
in maniera non invasiva, separando le cellule del cumulo prima della microiniezione dello
spermatozoo (ICSI) o della inseminazione in vitro standard (IVF).
Molti gruppi hanno valutato il profilo di espressione di moltissimi geni nelle cellule del cumulo,
avvalendosi delle più recenti tecniche di biologia molecolare e cercando di porlo in relazione alle
possibilità di sviluppo dell’ovocita, del relativo embrione e, infine, alle possibilità di impianto e
gravidanza. Numerosi sono gli approcci possibili e variegati i disegni degli studi, tanto da offrire in
letteratura risultati talvolta non concordi. L’individuazione di profili di espressione differenti e
riconoscibili è, tuttavia, solo il primo passo verso la determinazione di possibili biomarker che
possano essere analizzati e proposti come predittivi nella pratica clinica. In questo tipo di studi con
microarray, il profilo ottenuto riguarda l’espressione differenziale di diverse centinaia di geni; solo
alcuni di questi vengono confermati in modo quantitativo e possono essere validati come marcatori
biologici del processo.
Già da alcuni anni è stata indicata l’espressione del gene PTX3 (coinvolto nei processi
infiammatori, nell’immunità innata e nella stabilità del cumulo ooforo) nelle cellule del cumulo
ooforo come positivamente correlabile alla competenza di ovociti sottoposti ad IVF14
; secondo
questi dati, l’espressione di PTX3 è aumentata fino a un fattore 12 quando gli ovociti originano una
gravidanza rispetto a quando falliscono la fecondazione. Una simile correlazione che coinvolge
PTX3 non è stata confermata in studi morfologici analoghi che hanno invece proposto come
biomarker predittivi positivi per l’ottenimento di embrioni di buona qualità, in seguito a ICSI, i geni
PTGS2, HAS2, GREM112,13
.
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L’espressione di alcuni geni è stata correlata negativamente con la possibilità di sviluppo
dell’ovocita/embrione. Tra questi sono da citare CCND2, CXCR4, GPX3, HSPB1, DVL3, DHCR7,
CTNND1, TRIM2822
, STAR, AREG, Cx43, PTGS2, SCD1, SCD523
, BDNF24
.
Altri geni, la cui espressione all’interno delle cellule del cumulo sia stata proposta come predittiva
di possibilità di gravidanza, sono: PCK1, BCL2L1125
, CYP19A1, SERPINE2, CDC42, FDX1,
HSD3B1, PGK1, RGS2, RGS326,27
.
Per la maggior parte di questi geni non è ancora possibile ipotizzare un meccanismo d’azione che
possa spiegare l’effetto positivo o negativo sulla competenza ovocitaria. Le funzioni note
riguardano spesso pathway che non trovano immediata e diretta corrispondenza con i meccanismi di
sviluppo e differenziamento del complesso cumulo ovocita, quali l’angiogenesi, la condensazione
cromatinica, l’apoptosi, la produzione di energia, il trasporto delle molecole, l’adesione cellulare, la
risposta allo stress. Nonostante molti sforzi siano ancora richiesti per approfondire il significato
biologico dei biomarker, molti lavori hanno confermato che le cellule del cumulo rappresentano una
fonte realistica di informazione predittiva riguardo la competenza ovocitaria, la qualità embrionaria
e la possibilità di gravidanza. Sono attesi a breve risultati di studi clinici condotti in modo
prospettico, in cui queste indicazioni possano essere confermate e validate.
Studio dei media di coltura per la selezione di embrioni
(Proteomica e Metabolomica)
La sintesi proteica è l’esito precipuo dell’espressione genica e, a differenza di quanto può accedere
nel caso dell’RNA, è direttamente responsabile del fenotipo manifestato. Per questo motivo l’analisi
delle proteine, quindi la proteomica, dovrebbe rappresentare l’approccio d’elezione per la
valutazione dei processi fisiologici. Sfortunatamente, il pattern proteico delle cellule riproduttive è
stato considerato molto raramente e le pubblicazioni a riguardo sono numericamente scarse28
.
Più interessante è la letteratura che riporta lo studio della proteomica dei media di coltura in cui si
siano trovati gli embrioni. Il razionale è che i prodotti proteici secreti dall’embrione possano offrire
informazioni utili alla comprensione delle potenzialità di sviluppo dell’embrione stesso. L’embrione
non libera nel mezzo circostante quantità abbondanti di proteine; la sensibilità analitica dei metodi
elettroforetici classici ha rappresentato un limite allo sviluppo della proteomica in questo campo. La
spettrometria di massa e l’ibridizzazione su array di proteine rappresentano, viceversa, lo strumento
più appropriato per l’identificazione delle proteine di interesse. Una volta stabilito un target e
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individuato il biomarker peptidico, la rilevazione quantitativa più sensibile è possibile con le
tecniche immunomediate, quali ELISA o RIA.
È stato proposto che gli embrioni vitali abbiamo un proteoma distinguibile, che in parte viene
secreto nel terreno di coltura contribuendo alla costituzione del secretoma (formato anche da
componenti non proteici). Uno tra i primi prodotti proteici individuati è stato la leptina, un piccolo
peptide riscontrato nel medium di coltura in quantità maggiore in caso di formazione di blastocisti
rispetto al caso di embrioni non evolutivi29
. È stato ipotizzato che la leptina promuova un effetto
recettore-mediato sull’endometrio materno durante la finestra dell’impianto30
. Uno studio più
recente, utilizzando gli array proteici, ha confrontato il profilo proteomico, basato su 120 proteine
target in terreni di coltura, di embrioni impiantati rispetto a embrioni che non hanno originato una
gravidanza. È stato osservato che alcune proteine, quali CXCL13, SCF e MSP-a, vengono
consumate dalla blastocisti, che le sottrae al medium. Viceversa, il recettore di TNF (sTNFR1)
viene secreto dalla blastocisti. Nessuna proteina è stata però individuata come marker significativo
nella valutazione comparativa delle blastocisti impiantate in utero rispetto ai controlli31
.
Diagnosi e Screening Pre-Impianto (PGD e PGS)
La prima applicazione della diagnosi genetica pre-impianto (PGD) risale al 1990. Per permettere
alle coppie portatrici di patologie genetiche di avere un figlio sano, la PGD fa uso delle procedure di
fecondazione in vitro standard per generare embrioni in vitro. Sono tre i possibili momenti di
applicazione delle tecniche di genetica durante le procedure di fecondazione in vitro: biopsia dei
globuli polari dagli ovociti o zigoti, biopsia di blastomeri da embrioni allo stadio di clivaggio e
biopsia di alcune cellule del trofoectoderma dalle blastocisti. I metodi di analisi del materiale
prelevato sono la reazione a catena della polimerasi (PCR) e l’ibridazione in situ fluorescente
(FISH). La PCR è utilizzata per diagnosticare specifiche malattie genetiche di cui sia nota la natura
molecolare mentre la FISH è utile per analizzare i cromosomi nel caso di pazienti portatori di
anomalie cromosomiche o per selezionare embrioni in base al sesso nel caso di patologie X-linked.
Lo screening genetico pre-impianto (PGS), diversamente dalla PGD, non ha la finalità di
diagnosticare la presenza di una patologia nota all’interno della famiglia. Il PGS è stato sviluppato
per ottenere migliori tassi di gravidanza grazie a una selezione (o screening) degli ovociti o degli
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embrioni su base genetica, soprattutto in presenza di particolari condizioni all’interno delle coppie
sottoposte a cicli di PMA, quali età materna avanzata, ripetuti fallimenti nell’impianto, aborti
ricorrenti e gravissimo fattore maschile33
.
I primi lavori riguardanti lo screening preimpianto sono stati pubblicati intorno alla metà degli anni
Novanta e hanno riguardato lo studio delle più comuni aneuploidie sul globulo polare degli
ovociti34,35
.
Per comprendere il razionale della diagnosi genetica o dello screening sul globulo polare e le
differenze rispetto al più comune utilizzo di blastomeri da embrioni, è necessario riportare alcune
considerazioni in merito all’origine e al significato biologico del globulo polare.
Il primo globulo polare (PB1) viene estruso dall’ovocita dopo 24 ore dal picco di LH. Il fuso
meiotico dell’ovocita non si trova in posizione equatoriale ma marcatamente periferico e per questo
motivo i cromosomi omologhi si separano in masse citoplasmatiche fortemente diverse. L’ovocita
ha una massa citoplasmatica circa 100 volte superiore a quella del PB1. Il corredo cromosomico di
PB1 è composto da 23 cromosomi bivalenti, in maniera analoga all’ovocita: i cromosomi presenti
sono ancora duplicati e pertanto l’ovocita e il PB1 rappresentano particolari casi di ‘aploidia’.
L’attesa specularità tra il corredo cromosomico del globulo polare e quello dell’ovocita è la base
della PGD e della PGS sull’ovocita. La situazione analizzabile nel globulo polare può, infatti,
fornire indicazioni indirette ma precise sul corredo cromosomico del gamete da fecondare.
Il secondo globulo polare (PB2) non viene estruso fino al momento della fecondazione. A
differenza di PB1, contiene un tipico set aploide di 23 cromosomi singoli, i cui omologhi rimasti
nell’ovocita formano il corredo cromosomico aploide del gamete femminile fecondato.
Il potenziale genetico dei globuli polari è stato dimostrato con esperimenti in vitro e si ritiene che la
selezione del materiale genetico estruso dall’ovocita non avvenga sulla base della ‘qualità’; il
significato biologico del globo polare rimane sconosciuto ma è certo che la rimozione non
interferisca con la fecondazione o la divisione cellulare.
Benché, per eseguire la PGD, la maggior parte delle cliniche esegua la biopsia di blastomeri da
embrioni, la biopsia dei globi polari può essere in alcuni casi vantaggiosa o può rappresentare
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l’unica possibilità in particolari condizioni normative. In accordo con limitazioni etico-legali, la
PGD e la PGS su globo polare sono interessanti in quanto, utilizzando solo il gamete femminile,
possono, teoricamente, evitare di effettuare test sugli embrioni. L’esecuzione di diagnosi o
screening sul primo globulo polare implica generalmente che l’analisi sia estesa anche al secondo
globulo polare. Il razionale di testare anche PB2 è di aumentare l’accuratezza della diagnosi; la
compatibilità di tale procedura con il background normativo italiano è, secondo alcuni, opinabile.
Numerosi lavori di PGS sono stati pubblicati negli ultimi anni; alcuni di questi sono stati condotti in
modo controllato e randomizzato36-45
. Nella maggior parte dei casi sono stati condotti utilizzando la
tecnica citogenetica FISH su blastomeri estratti da embrioni allo stadio di clivaggio (in genere 8
cellule). In nessun caso è stato possibile evidenziare un beneficio dell’applicazione della PGS sul
tasso di impianto, rispetto ai controlli; talvolta è stato osservato un decremento dei tassi di successo.
Si ritiene che il fallimento di questo approccio sia dovuto, oltre che alle difficoltà tecniche
dell’applicazione della FISH su singole cellule, al problema biologico che il blastomero prelevato
allo stadio di clivaggio sia poco rappresentativo del potenziale dell’intero embrione a causa della
frequente presenza di mosaicismi cromosomici46,47
. Lo sviluppo della metodologia ha richiesto
notevole impegno ma la sua applicazione sugli embrioni si è rivelata fallimentare, come ormai
confermato dalle società internazionali di medicina della riproduzione, che la scoraggiano in modo
molto deciso48
. L’evoluzione delle tecniche di screening prevede l’abbandono della FISH su
blastomeri in favore dello studio dei globuli polari di ovociti e/o del trofoectoderma di blastocisti al
5° giorno di sviluppo in vitro attraverso metodiche più innovative, quali l’ibridazione genomica
comparativa su array (a-CGH), o l’array di polimorfismi a singolo nucletotide (SNP). La
sperimentazione e la validazione di queste possibilità innovative potrà aprire una nuova fase della
PGS e della PGD.
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Ibridazione genomica comparativa
La ibridazione genomica comparativa (CGH) è una tecnica interdisciplinare tra genetica molecolare
e citogenetica19
. Nella CGH, il DNA del campione da testare viene amplificato in toto per essere
comparato con un campione di DNA normale di controllo, I DNA amplificati sono marcati in modo
differenziale con dei fluorocromi, per esempio rosso per il DNA test e verde per il DNA di
controllo. Dopo la marcatura, i due DNA sono mescolati in parti uguali e sono posizionati su un
array, nel quale competono per l’ibridazione con frammenti di cromosoma di controllo. Dopo
l’ibridazione, attraverso un software, vengono rilevate eventuali zone in cui vi sia un eccesso di
segnale verde o rosso, a indicare perdita o acquisizione delle rispettive regioni cromosomiche.
Riferendosi all’esempio, i segnali dell’array colorati in rosso indicano che il campione è deleto in
quella regione cromosomica, mentre il segnale verde indica che il DNA test ha copie extra di quella
specifica regione cromosomica. La metodica array-CGH è stata applicata a cellule singole ed
embrioni50-52
. L’analisi è completamente automatizzata e l’intera procedura può essere eseguita
entro 24 ore. Sono molto recenti le prime informazioni riguardo l’applicazione clinica della array
CGH53
. In questo studio, sono stati valutati 41 embrioni provenienti da 8 cicli; sono state ottenute 5
gravidanze in sei pazienti che hanno effettuato il trasferimento di almeno un embrione risultato
competente dall’analisi in array CGH.
Nell’ambito della PMA lo sviluppo delle metodologie di CGH sta procedendo rapidamente. Non
mancano tuttavia alcuni limiti intrinseci alla metodica: non sono diagnosticabili situazioni in cui la
quantità di DNA test non sia sbilanciata, come nel caso di poliploidie, traslocazioni bilanciate o
inversioni.Non sono inoltre rilevabili alterazioni a carico di piccole sequenze di DNA o mutazioni
puntiformi.
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Array di SNP (Single Nucleotide Polymorphism)
I polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) sono aree del genoma in cui un singolo nucleotide di una
sequenza varia all’interno della popolazione. La maggior parte degli SNP mostra bi-allelismo e,
nello stesso soggetto, i cromosomi omologhi possono portare varianti differenti dello stesso SNP. Si
tratta di conformazioni alternative, senza significato patologico che, per definizione, sono
riscontrabili almeno nell’1% della popolazione. La maggior parte della variabilità genetica umana
risiede proprio negli SNP, il cui studio trova molte applicazioni, dalla epidemiologia alla medicina
forense. Esistono array in grado di rilevare queste differenze per distinguere soggetti diversi
all’interno di una popolazione o cromosomi di uno stesso soggetto. Un tipico SNP-array può
valutare centinaia di migliaia di SNP per determinare in un embrione, con il software opportuno,
quali cromosomi sono stati ereditati dal padre o dalla madre o quale combinazione allelica sia
presente nell’ovocita maturo. L’utilizzo degli SNP-array si basa largamente sulle tecniche di
biologia molecolare. Anche in questo caso è richiesto un passaggio preventivo di amplificazione
dell’intero genoma (WGA) della cellula da testare. È necessario garantire che durante
l’amplificazione non esistano zone del genoma amplificate preferenzialmente o zone non
amplificate. Dopo il primo passaggio, le sequenze polimorfiche SNP sono rilevate attraverso
l’utilizzo di fluorocromi e confrontate con una DNA di controllo. L’analisi può essere di tipo
qualitativo (presenza o assenza di alcuni SNP) o quantitativo (possibile indagine di
duplicazioni/delezioni). L’utilizzo clinico di SNP-array è appena iniziato in ambito di PGD e PGS e
sono attese, a breve, le prime pubblicazioni a riguardo.
Entrambe le metodiche a-CGH e SNP-array richiedono di essere validate e confermate per l’utilizzo
in embriologia per diagnostica o screening pre-impianto. La finalità di capire quanti cromosomi
siano presenti in una cellula può essere perseguita con entrambi gli approcci. Ai fini della
diagnostica molecolare di patologie monogeniche, gli SNP-array hanno un maggior potenziale in
quanto possono servire a studiare la segregazione di aplotipi strettamente collegati al gene malattia.
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L’analisi degli SNP trova applicazione anche nella caratterizzazione genetica dei neonati a seguito
di fecondazione in vitro che possono essere così associati all’embrione che si è effettivamente
impiantato nell’utero. Con questa strategia è possibile validare tecniche e conoscenze mirate ad
aumentare il potenziale di impianto, generalmente non investigabili se non in caso di trasferimento
di singolo embrione.
È significativo che la società Europea di Embriologia e Riproduzione Umana (ESHRE) abbia
intrapreso il suo primo trial clinico per valutare l’efficacia del PGS con biopsia del corpo polare e
analisi di 24 cromosomi con la tecnologia array54
. La prima parte dello studio, discussa durante il
congresso europeo di Roma, il 29 Giugno 2010, ha posto le basi della fattibilità. Tra i 226 ovociti
analizzati e provenienti da 42 cicli di PMA, circa i due terzi si sono rivelati aneuploidi e nel 45%
dei cicli nessun ovocita analizzato era euploide. In un terzo dei casi di embryo transfer, è stata
riportata gravidanza clinica. A questa fase seguirà uno studio multicentrico randomizzato a livello
europeo per determinare se, di fatto, l’analisi delle aneuploidie sul globulo polare possa
rappresentare un efficace strumento di screening ed aumentare i tassi di gravidanza, almeno nel
gruppo di pazienti con età materna avanzata.
È auspicabile che il successo di queste tecnologie avanzate si ripercuota sull’abbattimento dei costi
da sostenere, in modo da poter diffondere questa possibilità alla maggior parte dei centri di PMA.
Crioconservazione di tessuto ovarico
In ambito di evoluzione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, deve trovare ampio
spazio una tematica di crescente attualità come quella della preservazione della fertilità in donne
che desiderano posporre la maternità per motivazioni personali o cliniche.
Lo sviluppo delle metodiche di preservazione della fertilità, ed in particolare di crioconservazione
del tessuto ovarico, ha trovato un notevole impulso in campo oncologico. Infatti, l’aumento del
tasso di sopravvivenza delle pazienti oncologiche ha messo in evidenza le conseguenze a lungo
termine dei trattamenti ai quali vengono sottoposte e ha portato in primo piano il problema della
funzionalità gonadica dopo la guarigione.
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Gli effetti dei trattamenti per il cancro sull’attività riproduttiva sono noti da lungo tempo55
. Nelle
donne, sia la chemioterapia sia la radioterapia possono compromettere o interrompere la
funzionalità ovarica attraverso la riduzione del numero di follicoli.
Per migliorare la qualità di vita di queste pazienti è dunque necessario considerare strategie utili a
favorire il mantenimento della fertilità. Attualmente, l’unica procedura di comprovata efficacia per
lo scopo è il congelamento degli embrioni, come definito dal Comitato Etico dell’American Society
for Reproductive Medicine (ASRM)56-58
. Questo procedimento necessita però della possibilità di
sottoporre la paziente a un ciclo di stimolazione ormonale utilizzando in seguito tecniche di PMA
per produrre gli embrioni. Esistono tuttavia dei limiti, come l’impossibilità di sottoporsi a una
stimolazione ormonale per la necessità di iniziare immediatamente il trattamento antineoplastico o
la presenza di un tumore ormone-sensibile, la mancanza di un partner o, naturalmente, il trattamento
di pazienti prepuberi59,60
.
Un’opzione sempre più studiata per ovviare a queste limitazioni è il trapianto di tessuto ovarico
(TTO), crioconservato o fresco, che ha ottenuto incoraggianti risultati preliminari negli esperimenti
sugli animali e che sull’uomo è, a oggi, una tecnica in fase sperimentale. Attraverso il TTO è stata
riportata la capacità di ripresa della funzionalità ovarica in 43 donne61
e la nascita di 5 bambini62-65
.
Va considerato che la gravidanza non è l’unico l’outcome perseguibile dalla procedura di TTO:
esiste la possibilità di voler evitare la prematura interruzione dell’attività ovarica e le conseguenze
della menopausa precoce, vanificando in parte alcuni criteri di inclusione, in primo luogo quello
relativo all’età61,66
.
Trapianto di tessuto ovarico (OTT): possibilità e problematiche
Il principale problema del trapianto è il danno ischemico che si crea nel tessuto trapiantato; il tempo
di riperfusione è critico per la sopravvivenza dei follicoli. Nell’uomo, Martinez-Madrid e colleghi
hanno osservato il processo di neovascolarizzazione solamente dopo 3 giorni dalla procedura di
trapianto66
.
Il danno ischemico provoca un drastico impoverimento del pool di follicoli presente nel tessuto
trapiantato. Si stima che almeno il 25% dei follicoli primordiali venga perso durante lo
xenotrapianto in topo di tessuto ovarico umano crioconservato67
; altri Autori riportano addirittura il
60-95% di follicoli persi68,69
.
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La ripresa dello sviluppo follicolare e dell’attività ovarica avviene di solito 4-5 mesi dopo il
trapianto56
e persiste da pochi mesi fino a 5 anni56,65,70-73
ma l’elevato livello basale di FSH
solitamente osservato dopo il trapianto riflette spesso una scarsa riserva ovarica74
.
Un ulteriore fattore di rischio per la sopravvivenza del tessuto si verifica proprio durante la
riperfusione e consiste nella formazione di ingenti quantità di specie reattive dell’ossigeno (ROS)
che danneggiano le membrane cellulari, perossidano i lipidi e diminuiscono la funzionalità dei
mitocondri74
. Per ovviare a tale problema è stato sperimentato nel ratto l’utilizzo di antiossidanti,
come l’acido ascorbico e il mannitolo, che hanno dimostrato di poter ridurre il danno ischemico
indotto chirurgicamente75
, la melatonina e l’oxitetracliclina che, somministrate
intraperitonealmente, diminuiscono i fenomeni necrotici nell’ovaio76
.
Crioconservazione del tessuto ovarico
Al contrario degli ovociti maturi, gli ovociti immaturi presenti nei follicoli primordiali dell’ovaio
sono meno sensibili ai danni dati dalla crioconservazione grazie ad alcune caratteristiche peculiari:
dimensioni ridotte, limitata presenza di organuli, assenza di zona pellucida, ridotta attività
metabolica, stato di relativa quiescenza e indifferenziamento77,78
. Questi follicoli, allo stadio iniziale
di sviluppo, sono in grado di sopravvivere alle procedure di congelamento-scongelamento sia del
tessuto ovarico umano79
, sia dell’ovaio umano in toto80
.
Il metodo più studiato per congelare il tessuto ovarico è lo slow freezing che, attraverso l’utilizzo
adeguato di crioprotettori, presenta un grado di sopravvivenza follicolare del 70-80%79,81,82
.
Confrontando tessuto ovarico congelato e fresco non sono state riscontrate differenze nella
frammentazione del DNA83
ma non sono ancora completamente chiari gli effetti della
crioconservazione sull’integrità della struttura delle cellule della granulosa. Inoltre, saggi
d’espressione eseguiti su queste cellule con tecnologia micro-array hanno mostrato un anomalo
livello di espressione di geni coinvolti nei pathway apoptotici che potrebbe essere causato dalla
procedura di crioconservazione84
. Il lavoro di Choi e colleghi conferma questi risultati, mostrando
che il numero dei follicoli nel tessuto ovarico murino congelato-scongelato diminuisce rispetto al
fresco dopo 5 giorni di coltura, evidenziando un possibile ruolo dei processi apoptotici e/o necrotici
che si innescano dopo la crioconservazione. Non sono invece state riscontrate differenze di
espressione dei geni tipici dello sviluppo follicolare come GDF9, inibina-α o ZP385
.
La vitrificazione è un metodo di crioconservazione di recente re-impiego nel campo della
preservazione della fertilità. Durante la vitrificazione, l’istantaneo abbassamento della temperatura
di una soluzione molto concentrata di crioprotettori porta la fase acquosa in uno stato semi-solido
Modulo 3 – Hot topics in PMA; evoluzione delle tecniche di PMA – Sanitanova - Tutti i diritti riservati 16
amorfo che non contiene cristalli di ghiaccio, noti per essere la maggiore fonte di danno
conseguente al congelamento86
. La vitrificazione del tessuto ovarico è già stata sperimentata in
diversi modelli animali con risultati alterni (topo87
, pecora88,8
, cane90
, bovino e maiale91
) e anche
nella specie umana82,89
. I lavori più recenti relativi alla vitrificazione sembrano evidenziare un
mantenimento migliore della struttura ovarica, delle cellule stromali e degli spazi intercellulari, ma
confermano che l’utilizzo in studi clinici richieda la preventiva dimostrazione dell’efficienza e della
sicurezza.
La crioconservazione di tessuto ovarico è stata inizialmente effettuata soprattutto utilizzando
frammenti di corticale al fine di preservare il maggior numero possibile di follicoli primordiali;
negli ultimi anni l’interesse si è concentrato anche sulla possibilità di conservazione dell’ovaio in
toto, con o senza peduncolo vascolare.
Recentemente molti gruppi di ricerca si sono indirizzati verso la possibilità di crioconservare
l’intera gonade femminile, sfruttando gli studi condotti sui modelli animali. Bedaiwy e colleghi
hanno dimostrato che nella pecora è possibile la crioconservazione dell’ovaio intero, ottenendo
dopo lo scongelamento una ragionevole vitalità del tessuto, e che, tecnicamente, la perfusione
dell’organo con crioprotettori attraverso il canale vascolare e il successivo autotrapianto con
anastomosi microvascolare è fattibile e dà buoni risultati92
.
In ambito umano, Martinez-Madrid e colleghi hanno descritto un protocollo in cui, crioconservando
l’ovaio intero con il peduncolo, si può ottenere allo scongelamento la sopravvivenza del 75% dei
follicoli e una struttura dei vasi e dello stroma istologicamente normale se paragonata a quella di un
ovaio fresco80
. In uno studio successivo, gli stessi Autori hanno dimostrato che la procedura di
congelamento non comporta aumento di frammentazione del DNA (analizzata tramite il test
TUNEL), variazioni nell’aspetto immunoistochimico o attivazione della caspasi-393
.
Ovaio intero o frammenti di corticale?
Il trapianto dell’ovaio con anastomosi vascolare permette una rapida rivascolarizzazione della
corticale ovarica e quindi una riduzione del danno ischemico94
. Questa procedura richiede la
presenza di un peduncolo ovarico sufficientemente conservato e implica una tecnica chirurgica più
complessa rispetto al re-impianto di frammenti corticali in sede ortotopica.
Sugli animali è stata testata la possibilità di crioconservare l’ovaio in toto e di trapiantarlo, con
risultati incoraggianti; nella pecora, modello d’elezione per l’apparato riproduttivo, sono riportati
successi di trapianto di ovaio, basati sulla conservazione del vaso epigastrico e del peduncolo
Modulo 3 – Hot topics in PMA; evoluzione delle tecniche di PMA – Sanitanova - Tutti i diritti riservati 17
vascolare ovarico, esitati anche nella nascita di agnelli sani92,95
. Permane il problema di quanto il
trapianto possa essere efficace e duraturo nel tempo.
Nell’uomo la crioconservazione dell’ovaio in toto effettuata tramite slow freezing80,93,96
ha mostrato
che l’integrità strutturale dell’organo può essere mantenuta e che il tasso di sopravvivenza
follicolare, conservando il pediculo vascolare per agevolare la riperfusione, può essere elevato, fino
al 75%80
. Bedaiwy e colleghi hanno utilizzato i tessuti di donne sottoposte a ovariectomia bilaterale
per comparare il danno da congelamento-scongelamento nell’ovaio in toto e nelle biopsie di tessuto
corticale. Un ovaio è stato crioconservato intatto con il peduncolo vascolare mentre l’altro sezionato
in piccole strip e congelato con slow freezing. Dopo 7 giorni di conservazione l’ovaio intero non
mostrava differenze di sopravvivenza rispetto ai frammenti di tessuto congelati con slow freezing e
nemmeno alterazioni nell’espressione dei pattern di Bcl-2 e p5396
.
Nonostante la procedura di trapianto dell’ovaio in toto sia già applicabile in campo umano e i dati
suggeriscano che il congelamento-scongelamento possa essere un approccio concreto alla
preservazione della fertilità, sono necessari ulteriori studi per stabilire l’efficacia anche a lungo
termine, considerando l’ingente perdita di riserva follicolare riscontrata durante gli studi sugli
animali.
L’autotrapianto di tessuto ovarico crioconservato permette di evitare l’immunosopressione del
paziente e può essere sia ortotopico sia eterotopico. Nel trapianto orto topico, il tessuto viene
reinserito nella sua sede originaria per cui può teoricamente permettere concepimenti spontanei se il
resto dell’apparato riproduttivo non ha subito danni. Nel trapianto eterotopico il tessuto è
posizionato in una sede differente da quella originaria, solitamente facilmente raggiungibile e
monitorabile, come, per esempio, l’avambraccio o la zona sottocutanea addominale71,97
; è possibile
che la differenza di microambiente possa ripercuotersi negativamente sulla qualità degli ovociti98
.
I pochi casi di nascita di bambini dopo trapianto derivano da autotrapianti di frammenti di corticale
in siti ortotopici, come la fossa ovarica o l’ovaio residuo62-65,99
.
Maturazione in vitro (IVM) dei follicoli primordiali
La preservazione della fertilità può avvalersi dei metodi di coltivazione in vitro dei follicoli
preantrali o degli ovociti recuperati da follicoli a diverso stadio di sviluppo.
L’approccio della maturazione terminale in vitro degli ovociti è attualmente utilizzato in casi
selezionati di PMA e, in particolare, è ritenuto un metodo efficace per le pazienti affette da
policistosi ovarica; ha portato alla nascita di alcune centinaia di bambini sani57
. Le condizioni di
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coltura influenzano enormemente la riuscita della procedura; alcuni Autori, come Buckett e
colleghi100
, documentano un aumentato tasso di aborti clinici dopo IVM rispetto all’utilizzo di
tecniche convenzionali di fecondazione in vitro. Al momento mancano dati sufficienti per chiarire
molti aspetti ed è necessario continuare a monitorare gli effetti a lungo termine sui nati da tale
tecnica.
L’opzione più innovativa, ma ancora in fase assolutamente sperimentale è la coltura in vitro dei
follicoli primordiali che possa portare allo sviluppo dell’ovocita all’interno del suo ambiente
‘naturale’. Alcuni studi hanno già dimostrato nel modello animale la possibilità che il complesso
ovocita-cellule della granulosa derivanti da tessuto ovarico crioconservato sia in grado di crescere e
raggiungere la caratteristiche di follicolo antrale101
e originare ovociti fecondabili102
. Nella specie
umana gli studi sono ancora allo stadio iniziale di comprensione dei meccanismi molecolari
coinvolti nel processo di maturazione e delle migliori modalità di coltura migliori da utilizzare57
.
Nei primati è stata recentemente dimostrata la possibilità, attraverso il trapianto eterotopico
sottocutaneo, di ripristinare il ciclo mestruale e la capacità di produrre ovociti maturi sotto
stimolazione di gonadotropina103
; da questi è possibile ottenere nati vivi104
.
I successi riportati in campo umano con la procedura di TTO riguardano la nascita di alcuni
bambini e hanno utilizzato differenti trattamenti del tessuto ovarico, da strip di corticale all’ovaio
intero con o senza peduncolo vascolare105-107
. Mentre per il tessuto fresco sono state sperimentate
tutte queste varianti, per quello congelato finora sono state utilizzate più frequentemente le biopsie
di corticale, sottoforma di strip associate a trapianto in sede ortotopica o eterotopica o, in alcuni
casi, in entrambe le sedi contemporaneamente73,108
.
Nonostante gli studi sugli animali suggeriscano che non vi siano differenze tra l’utilizzo del tessuto
fresco e crioconservato, nella specie umana il trapianto a fresco risulta più efficace, evidenziando
l’esigenza di migliorare le tecniche di conservazione94,96
. Mancano tuttora dei dati di follow-up sul
lungo periodo, sia per la funzionalità ovarica sia per il numero di bambini nati, e non vi sono ancora
risultati sull’utilizzo di ovaio intero crioconservato.
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Questionario ECM
1) La prima gravidanza umana da tessuto ovarico crioconservato è stata ottenuta in seguito a:
a) trapianto eterotopico
b) cultura in vitro
c) xenotrapianto
d) trapianto ortotopico
2) Qual è lo stadio di maturazione follicolare più rappresentato nella corticale ovarica umana?
a) follicolo secondario
b) follicolo primario
c) follicolo primordiale
d) follicolo pre-antrale
3) I gameti immaturi contenuti nella corticale ovarica sono meno sensibili ai
danni da crioconservazione perché:
a) i loro organuli sono più voluminosi rispetto agli ovociti maturi
b) hanno una zona pellucida molto resistente
c) hanno un metabolismo particolarmente attivo
d) nessuna delle precedenti indicate
4) Qual è il più importante accorgimento nella pratica della
crioconservazione di ovaio intero?
a) preservare il peduncolo ovarico
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b) utilizzare la vitamina D nel medium di crioconservazione
c) frammentare la corticale in strisce di 1 mm
d) tutte le precedenti
5) La sopravvivenza dei follicoli ovarici dopo crioconservazione con slow
freezing è di circa:
a) 15%
b) 39%
c) 75%
d) 99%
6) Associare ai seguenti tipi di trapianto la corretta definizione, nell’ordine:
trapianto tra specie differenti, trapianto nella sede fisiologica, trapianto in
sede diversa da quella fisiologica:
a) trapianto eterotopico, trapianto ortotopico, xenotrapianto
b) xenotrapianto, trapianto ortotopico, trapianto eterotopico
c) eterotrapianto, allotrapianto, extratrapianto
d) xenotrapianto, ipsitrapianto, extratrapianto
7) I livelli di mRNA nelle cellule del cumulo:
a) possono essere studiati solo sacrificando l’ovocita
b) possono rispecchiare la competenza ovocitaria allo sviluppo
c) sono indipendenti dall’espressione genica dell’ovocita
d) sono sotto il livello di detezione per la PCR
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8) La biopsia del primo globulo polare:
a) è possibile solo dopo la fecondazione
b) non interferisce con la fecondazione
c) tutte le risposte indicate
d) permette l’esclusione di patologie dominanti di origine paterna
9) A oggi, la diagnosi genetica pre-impianto sugli embrioni (PGD):
a) permette di selezionare embrioni che sicuramente daranno origine all’annidamento in utero
b) fa sì che i bambini che nasceranno avranno particolari caratteristiche estetiche scelte dai
genitori
c) permette di selezionare embrioni che origineranno bambini sani
d) nessuna delle risposte indicate
10) Un ovocita che mostri assenza di vescicola germinale ed estrusione del
primo globulo polare:
a) è certamente allo stadio di metafase II
b) in alcuni casi può non aver concluso la prima divisione meiotica
c) è certamente allo stadio di metafase I
d) non è visualizzabile
11) Gli studi di proteomica nel medium di coltura degli embrioni
a) si avvalgono di spettrometria di massa ed ibridizzazione su array di proteine
b) sono solo sperimentali, in quanto invasivi
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c) sono vietati dalla legge 40
d) tutte le risposte indicate
12) Tra l’ovocita e le cellule del cumulo:
a) esiste una dipendenza metabolica del primo dalle seconde
b) si instaura un complesso network di informazioni bidirezionali
c) non esiste passaggio diretto di metaboliti
d) la comunicazione avviene solo tramite gap-junction