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Cultura artistica della fine del Cinquecentò
Il concetto di Barocco, come qualificazione genericamente applicata a tutti i fatti della cultura secentesca, costituisce ancora un limite alla loro valutazione impregiudicata; e li allinea a forza sul piano antistorico di una decadenza, dalla quale sÌ eccettuano, quasi per reazione, i valori indubbiamente positivi: . proprio quelli, dunque, sui quali dovrebbe inizialmente portarsi la considerazione dello storico per una definizione concreta dell'arte e della cultura artistica del Seicento. Lo stesso tentativo del WijlfIlfu di rintracciare la profonda articolazione storica di Rinascimento e Barocco si è concluso col riportare alla fase ·estrema dell' arte di Michelangelo le ragioni storiche del movimento successivo: illuminando, certamente, aspetti essenziali della continuità storica dei due periodi, ma lasciando nell'ombra proprio quello che, tradizionalmente, viene considerato il problema centrale del Seicento: il contrasto di carraccismo e caravaggismo.
Ma questo stesso contrasto, che la recente rivalutazione del Caravaggio ha accentuato ai danni dei Carracci, non esaurisce certo, nella sua fittizia opposizione dialettica di realismo e intellettualismo, le ragioni storiche delle due correnti. Del resto nel Bellori, il più autorevole critico del Seicento, l'idea di una reazione secentesca alla tradizione del tardo Cin- · quecento vale così per il realismo intransigente del Caravaggio come per l'futellettualismo storicistico dei Carracci; è soltanto all'interno del fronte comune antimanieristico che le posizioni sidifferenziano e si qualificano nella loro particolare funZIone storica.
N on si può intendere, nella sua complessità, il processo della cultura artistica del Seicento se non si tenga presente il parallelo determinarsi di una critica d'ar-
te, non più commentaria o narrativa o teoretica, ma autonoma e interpretativa: una critica, che ha i suoi atti iniziali nella stessa opera pittorica dei Carracci e la sua più chiara espressione nelle vite del Bellori. Poichè la pittura dei Carracci è l'esperienza storica fondamentale della critica del Bellori ed anzi si identifica per il Bellori) con la perfezione o l'idea stessa dell'arte, il giudizio portato sulle opere carraccesche si riduce alla constatazione dell'aderenza del fatto alla poetica, della pratica alla teoria, e siésplica quindi in una esatta, fedele trascrizione letteraria delle opere stesse. Ora, questo processo riproduce puntualmente quello col quale i Carracei risalivano da un'idea della natura all' invenzione artistica, o alla poetica, attraverso una descrizione che sfrutta la « verosimiglianza» del linguaggio formale della tradizione cinquecentesca. Questa coincidenza assoluta di critica e di pittura documenta certamente il formarsi di quella « coscienza visiva» che 10 Schlosser ind.ica come carattere essenziale della critica del Bellori; ma, presupponendo la condizione di un' arte intellettualistica e già distratta da concreti fini espressivi, concorre per via indiretta a confermare le tesi del Ragghianti: che, cioè, l'attività dei Carracci sia critica piuttosto che artistica. Ma poichè, se reàlmente l'obbiettivo ultimo dei Carracci è una chiarificazione d'ordine critico il mezzo per conseguire quel fine è un esercizio diretto della pittura, non possiamo a priori estromettere questa crisi essenziale dall'analisi della cultura figurativa del Seicento per relegarla in un problema esterno e collaterale di storia dell'estetica.
E noto che in Italia il pensiero sull'arte nasce direttamente dal fare artistico come coscienza stessa dell'atto, e nasce nel momento in cui l'arte italiana, pren-
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dendo più precisa coscienza dei propri precedenti storici, si stacca dalla tradizione
. comune all'arte europea: all'inizio cioè del Rinascimento, che si distingue dal Medioevo proprio per questo aggregarsi di un atto di coscienza, riflessivo, all'atto, espressivo. E vero che, senza un contemporaneo atto di coscienza, l'atto espressivo non sarebbe atto, ma mera intenzione, irregistrabile nella: storia; tuttavia, il fatto nuovo è che di quella contemporaneità di «atto» e «prendere atto» gli, artisti abbiano per la prima volta cosi chiara coscienza da costituire al proprio agire artistico il fine teoretico del chiarimento . della natura stessa dell'arte. Questi artisti, infatti, scrivono trattati, riconoscono la propria mèta in una perfezione che può identificarsi in Vitruvio o nell'arte classica, come per l'Alberti, o in un'astrazione geo.metrica, come per Piero della Francesca, ma comunque adombra la persuasione di un' universalità immanente, e dunque razionalmente, umanamente raggiungibile, dell'arte. In questa concezione veramente umanistica dell'arte ogni atto esige una giustificazione nella storia, cioè nella cultura dell'artista; poichè quell'atto iniziale di coscienza, e la stessa rinuncia a un fine trascendente, implicano un effettivo interesse dell'artista per la propria storia umana, per quella tradizione che, non più dommatica e normativa, è interna allo spirito e con esso, permanentemente attiva, si svolge, cresce e s'impegna nell'azione. Di qui dipende il carattere storicistico, e soltanto apparentemente precettistico, dei trattati; mentre, non potendosi altrimenti pensare l'associazione di un fine teoretico e di un fine artistico se non nel rapporto condizionante della norma interiore alla prassi dell'espressione, dobbiamo riconoscere il carattere essenzialmente etico di qUella coesistenza di arte e pensiero sull'arte, di teoria e pratica, di norma e di ;lzio:p.e. .
La fase estrema e culminante di questa identità di arte e di azione morale e, nello stesso tempo, il punto di rottura della sistematicità del rapporto è l'arte di Michelangelo: artista che deliberatamente riconduce la propria cultura · alle fonti più arcaiche, e tuttavia passa, sia pure come «padre incorrotto di corretti figli », per essere l'iniziatore del Barocco. In Michelangelo, infatti il ragguaglio di coscienza e di sentimento è portato a un limite d'insofferenza, all' impossibilità di contenere il sentimento nella forma idealmente accettata e prescelta, al superamento del «finito» formale, all'ansia di una forma che continuamente si trascende; il problema etico si riproEone cosi per la prima volta dopo il Medioevo, sul piano della trasoondenza, risolvendosi or a in un platonismo astratto ora in un cristia~ nesimo esaltato, ma separandosi comunque da una fo.rma razionalmente giustificabile: qual'era appunto, nell' esplicita dichiarazione di Michelangelo, la forma plastica.
N on meno indicativo di un'imminenie rottura dell'identità classica è il puro culturalismo di Raffaello, che di ogni fatto formale determina anzitutto la storicità, il valore di conoscenza effettuata, conclusa, premessa; estranea, in certo senso, all'artista, che la scopre o rivela piuttosto che non la crei.
La dissociazione è ormai totale nel Manierismo fiorentino, uscito dall'estrema esasperazione formale di Michelangelo e volto a elaborare i dati formali accettati in una deserta solitudine , dell' anima insoddisfatta, in una disperata, riformi-' stica, inattuabile nostalgia morale; nell'aneddotismo delle vite del Vasari, ormai ugualmente incapace di teoria e di ' storia concreta; nella regola del Vignola, mera norma grammaticale separata dal- ' l'arte, estranea perfino ai concreti interessi formali dell'autore; nel moraIismo programmatico del Borghini e dell'Armenini, Segni tutti di una rilasciata ten-
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zione, di un inquieto accamrSI sulla dialettica delle classificazioni, di uno smarrimento della sicurezza etica che aveva sostenuto sul piano della realtà la fantasia degli uomini del Quattrocento, di un'incipiente ansia moralistica che cerca appoggio nella moralità costituita dal cattolicismo, ma non riesce più a interiorizzarsi, a rinnovare l'assunto morale nell'azione.
Sciogliendosi l'unità etica di arte e pensiero sull'arte, parallelamente a un moralismo cattolico si determina un estetismo del «monumentale »; l'ideale di monumentalità, ass.ai più riconoscibile nell'equilibrio raffaellesco e nelle simmetrie del Bramante che nell'iperbole tragica di Michelangelo, risolve infatti nella fissità di una poetica quel rapporto di natura ed espressione, che realizzava in modi sempre diversi e originali la moralità degli artisti del Quattrocento. Nelle leggi del monument~le, ogni fatto plastico contiene una relazione risolta alla natura come spazio; la sintesi di natura e idea, di pratica e teoria si presuppone attuata nella cultura dell'artista, nè può ulteriormente attuarsi nella prassi dell'espressione. Se ogni dato formale, nella sua qualità gnostica di bellezza, contiene risolto, in nuce, il proprio rapporto a una realtà esterna e non più problematica, il problema· si sposta dall'invenzione della forma all'invenzione della storia, relazione geometrica o drammatica o narrativa tra le parti. N è mutava sostanzialmente il problema passando, attraverso la fitta rete dei rapporti e delle reciproche influenze, d.a Roma a Venezia: dove s' era finalmente risolto nella proporzionalità del tono - come a Roma nella proporzionalità delle forme plastiche - il problema fondamentale della monumentalità: la rappresentazione totale dello spazio.
Ma il fatto che a una natura come eterna realtà si sostituisca una natura come fenomeno, e il modo del contatto
sia il sentimento invece che il raziocinio - o la magia invece che la logica -, non modifica sostanzialmente la diade uomonatura come soggetto ed oggetto, nè muta l'obbiettivo del processo mentale, ch' è sempre una conosèenza positiva, un'as-
" sunzione dell'oggetto nel soggetto: posizioni distinte certamente, ma non opposte, anzi pronte alla dialettica di una reciproca integrazione, com'er~no del resto le dottrine platoniche e aristoteliche, che le giustificavano storicamente.
Al di là di questo realizzato e sancito equilibrio di natura e forma non era evidentemente possibile un ulteriore impegno sulla realtà, intesa come realtà da conoscere, da inverare nell'arte; e quando, per la spinta di un'umanità superiore questo passo al di là della conoscenza già storica ed effettuata viene tent.ato, esso si risolve - per Tiziano, Tintoretto e Veronese non meno che per Raffaello o per Michelangelo - in un disperato aspirare alla trascendenza, non importa se pagana o cristiana, purchè sottragga l'artista a un'immanenza di fronte alla quale era ormai impreparato, passivo. Nè si può addurre l'eccezione d"el Bassano, il cui naturalismo tutt'altro che persu'aso ed ingenuo segna soltanto il ripiegare da una cultura troppo alta" com'era quella del Tintoretto, a un classicismo agreste, scansando la rettorica imminente di un Palma Giovine, ma evitando anche di riproporre a confronto di quella cultura - come tenta disperatamente il Greco -, il problema della realtà.
La fine della monumentalit,à cinquecentesca, cioè la sistematica, barbarica distruzione dei suoi motivi largamente culturali ed umani e delle sue giustificazioni conoscitive, è invece nella versione descrittiva e narrativa, e soltanto esteriormente formalistica che ne dànno gli ultimi manieristi romani, gli Zuccari e il Cavalier d'Arpino : nei quali lo stile di Raffaello e di Michelangelo si degrada fino a farsi maniera di
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amplificazione e di adornamento della nar-o razione. Al problema inquietante del vero si evade cosÌ nell'approssimazione illusiva della verosimiglianza, all'impegno morale nel moralismo diVulgato della Controrifor- o
ma: spenta e inattuale rettorica, dunque, nella quale la forma tradizionalmente accettata si umilia nella funzione prati cistica e utilitaria e perde, per diventare oratoria ufficiale, ogni valore origi,nario di linguaggio.
A queste tarde deduzioni manieristiche, che sottraggono alla tradizione figurativa le sue grandi premesse classiche per sostituirle con gli immediati scopi contro-riformistici, è certamente legittimo contrapporre, col Bellori, i Carracei e il Caravaggio. Ma ad una precisa distinzione delle loro posizioni storiche non si può
. Le pagine seguenti costituiscono l'introduzione al volume « Il Caravaggio e la cultura artistica del Seicento», di
giungere se o non oltrepassando il comune obbiettivo polemico e rintracciando nelle fonti della loro diversa cultura le ragioni di una storia che ritrova in essi, dopo la sosta manieristica, il suo percorso e il suo svolgimento. CosÌ il dissenso CarracciCaravaggio, benchè in realtà non cosÌ assoluto come la recente storiografia ha voluto raffigurarlo, non è soltanto nella diversa moralità di una comune reazione, ma in una div{lrsa concezione della cultura, in una decisiva opzione per il rigore morale dell'arte o la larghezza intellettuale della critica, pronunciata nell'ist.ante stesso in cui terminava la secolare coes.istenza di critica e arte.
GIULIO o CARLO ARGAN.
prossima pubblicazione nella serie « I grandi pittori italiani» dell' Istituto Geografico De Agostini , di Novara.
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