CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA
CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI
Pietro Batacchi
L’arma subacquea quale strumento di
deterrenza e di difesa degli interessi
nazionali – Analisi, nello scenario
dell’industria navale europea e mondiale,
della valenza strategica di una cantieristica
italiana in grado di costruire sottomarini
(Codice AM-SMM-03)
Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.), costituito nel 1987 e situato presso Palazzo Salviati a Roma, è diretto da un Generale di Divisione (Direttore), o Ufficiale di grado equivalente, ed è strutturato su tre Dipartimenti (Relazioni Internazionali - Sociologia Militare - Scienze, Tecnologia, Economia e Politica industriale) ed un Ufficio Relazioni Esterne e le attività sono regolate dal Decreto del Ministro della Difesa del 21 dicembre 2012. Il Ce.Mi.S.S. svolge attività di studio e ricerca a carattere strategico-politico-militare, per le esigenze del Ministero della Difesa, contribuendo allo sviluppo della cultura e della conoscenza, a favore della collettività nazionale. Le attività condotte dal Ce.Mi.S.S. sono dirette allo studio di fenomeni di natura politica, economica, sociale, culturale, militare e dell'effetto dell’introduzione di nuove tecnologie, ovvero dei fenomeni che determinano apprezzabili cambiamenti dello scenario di sicurezza. Il livello di analisi è prioritariamente quello strategico. Per lo svolgimento delle attività di studio e ricerca, il Ce.Mi.S.S. impegna: a) di personale militare e civile del Ministero della Difesa, in possesso di idonea esperienza
e qualifica professionale, all’uopo assegnato al Centro, anche mediante distacchi temporanei, sulla base di quanto disposto annualmente dal Capo di Stato Maggiore dalla Difesa, d’intesa con il Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti per l’impiego del personale civile;
b) collaboratori non appartenenti all’amministrazione pubblica, (selezionati in conformità alle vigenti disposizioni fra gli esperti di comprovata specializzazione).
Per lo sviluppo della cultura e della conoscenza di temi di interesse della Difesa, il Ce.Mi.S.S. instaura collaborazioni con le Università, gli istituti o Centri di Ricerca, italiani o esteri e rende pubblici gli studi di maggiore interesse. Il Ministro della Difesa, sentiti il Capo di Stato Maggiore dalla Difesa, d’intesa con il Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti, per gli argomenti di rispettivo interesse, emana le direttive in merito alle attività di ricerca strategica, stabilendo le lenee guida per l’attività di analisi e di collaborazione con le istituzioni omologhe e definendo i temi di studio da assegnare al Ce.Mi.S.S.. I ricercatori sono lasciati completamente liberi di esprimere il proprio pensiero sugli argomenti trattati, il contenuto degli studi pubblicati riflette esclusivamente il pensiero dei singoli autori, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali i Ricercatori stessi appartengono.
(Codice AM-SMM-03)
CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA
CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI
Pietro Batacchi
L’arma subacquea quale strumento di
deterrenza e di difesa degli interessi nazionali –
Analisi, nello scenario dell’industria navale
europea e mondiale, della valenza strategica di
una cantieristica italiana in grado di costruire
sottomarini
L’arma subacquea quale strumento di deterrenza e di difesa
degli interessi nazionali – Analisi, nello scenario
dell’industria navale europea e mondiale, della valenza
strategica di una cantieristica italiana in grado di costruire
sottomarini
NOTA DI SALVAGUARDIA
Quanto contenuto in questo volume riflette esclusivamente il pensiero dell’autore, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali l’autore stesso appartiene.
NOTE Le analisi sono sviluppate utilizzando informazioni disponibili su fonti aperte. Questo volume è stato curato dal Centro Militare di Studi Strategici Direttore CA. Maurizio Ertreo Vice Direttore - Capo Dipartimento Scienze, Tecnica, Economia e Politica Industriale C.V. Franco Felicioni Progetto grafico Massimo Bilotta - Roberto Bagnato Autore Pietro Batacchi Stampato dalla tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa
Centro Militare di Studi Strategici Dipartimento Relazioni Internazionali
Palazzo Salviati Piazza della Rovere, 83 - 00165 – Roma
tel. 06 4691 3205 - fax 06 6879779 e-mail [email protected]
chiuso a novembre 2017 – stampato a marzo 2018
ISBN 978-88-99468-68-2
5
Indice
Sommario 6
Abstract 8
1. L'evoluzione dello scenario e la proliferazione di sottomarini 10
1.1 La geometria variabile come dimensione fondante dell’attuale scenario
internazionale 10
1.2 Conflitti ibridi 12
1.3 Il Mediterraneo Allargato dopo la Primavera Araba 15
1.4 La proliferazione di sottomarini con un particolare riferimento al Mediterraneo
Allargato 23
2. La cantieristica internazionale e la produzione di sottomarini 28
2.1 I produttori europei ed occidentali 28
2.2 2.2 La cantieristica russa e la produzione di sottomarini 34
2.3 Gli altri 37
3. L'Italia e i sottomarini: industria e programmi 40
3.1 Le capacità della cantieristica italiana 40
3.2 La produzione di sottomarini: dai Toti alla classe Sauro 43
3.3 Il programma U212A e il ruolo della cantieristica italiana 46
4. Il dopo U212A ed un settore strategico per il Paese 52
4.1 Future esigenze operative 52
4.2 Studi e sviluppi tecnologici 55
4.3 L’eredità del programma U-212A 60
4.4 Tra sviluppi nazionali e cooperazione internazionale: suggerimenti per il dopo-
U212A 62
4.5 Il dopo-U212A e il mercato: quale spazio per l’industria italiana? 71
Considerazioni conclusive 74
Suggerimenti bibliografici 77
NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SUGLI AUTORI 81
6
Sommario
Negli ultimi anni il sottomarino è tornato di grandissima attualità. Dopo la fine della Guerra
Fredda, con il ridimensionamento della minaccia russo-sovietica, e l'incontrastata
superiorità americana sul resto del mondo, il sottomarino sembrava essere stato relegato a
ruoli minori, o quanto meno secondari – e di conseguenza tutto ciò che era la lotta antisom
– in quanto considerato un retaggio dei tempi dello scontro con l'URSS e di scenari
altamente convenzionali. Certo, in epoca di conflitti asimmetrici, si parlava pur sempre di
mini-som, ma si trattava di qualcosa, appunto, di secondario, legato a contesti in cui la
minaccia principale in mare era rappresentata più che altro dalle mine e dai barchini veloci.
Per il resto l'attenzione delle Forze Armate e delle agenzie di procurement era concentrata
tutta sull'acquisizione di sistemi terrestri altamente protetti – ricordiamo la sfrenata corsa ai
MRAP (Mine Resistant Ambush Protected) nel primo decennio degli anni duemila – sul
potere aereo – l'arma assoluta capace da sola di risolvere ogni conflitto secondo i più radicali
teorizzatori del suo impiego – e, per ciò che concerne la dimensione marittima,
sull'acquisizione di unità piccole multiruolo con le quali "ripulire" le aree costiere e "brown"
(una per tutti, la Littoral Combat Ship, trasformatasi ben presto in una sorta di calvario per
l'US Navy). Tuttavia, come abbiamo visto nel Cap.1 di questo lavoro, gli scenari, proprio
sullo scorcio del primo decennio degli anni duemila, sono nuovamente tornati a cambiare.
La Russia si è riaffacciata in grande stile sulla scena internazionale, la Cina è diventata un
attore sempre più importante anche in termini politico-militari e non solo economici, mentre
si sono affermate nuove potenze regionali ed i fenomeni terroristici hanno assunto una
sempre maggiore intensità. Nel Mediterraneo Allargato, inoltre, si è assistito a quello
straordinario fenomeno di cambiamento noto come Primavera Araba che ha scardinato un
equilibrio da tempo consolidato e, soprattutto per un Paese come l’Italia, tutto sommato
rassicurante. Sul piano della conflittualità, dunque, da scenari puramente asimmetrici si è
passati repentinamente a nuove forme di conflittualità ibrida con forti elementi di
convenzionalità. In questo contesto il sottomarino è tornato alla ribalta, grazie alle sue
naturali caratteristiche di flessibilità operativa e furtività, e si è innescato un vero e proprio
fenomeno di proliferazione che, come abbiamo documentato, ha uno dei suoi epicentri
proprio in quel Mediterraneo Allargato che rappresenta lo snodo strategico degli interessi
nazionali italiani. In quest'ottica, nel Cap.2 abbiamo analizzato nel dettaglio l'attuale
situazione della cantieristica europea e mondiale con un occhio di riguardo alla produzione
dei sottomarini convenzionali. Ne è emerso un quadro in cui i soggetti di riferimento sono
essenzialmente tre: tedesco, francese e russo. Sono questi che ad oggi detengono il know
7
how tecnologico nel settore e dominano il mercato dell'export, anche se di recente altri attori
quali la Cina (la cui produzione è mossa però per la gran parte dalle esigenze del mercato
interno) e la Corea del Sud stanno iniziando ad affacciarvisi. Il mercato, tuttavia, resta molto
rigido, di natura sostanzialmente oligopolistica, ed allo stato attuale difficilmente penetrabile
da parte di nuovi attori.
Gli altri due capitoli del presente lavoro, invece, sono dedicati interamente all'Italia. Nel
Cap.3, si affrontano in dettaglio la struttura e le caratteristiche della cantieristica italiana, e
le sue capacità nel campo della produzione di sottomarini. Si parte, pertanto, dallo studio
dei progetti nazionali Toti e Sauro per finire al progetto in cooperazione internazionale U-
212A. Quest'ultimo viene analizzato maggiormente nel dettaglio evidenziandone le
peculiarità che lo rendono il sottomarino convenzionale oggi più avanzato al mondo.
La ricerca si chiude con il Cap.4 che abbiamo deciso di suddividere sostanzialmente in due
parti. La prima parte riguarda le potenziali esigenze che per una Marina come quella italiana
derivano dall’operare nei nuovi scenari, nonchè i più avanzati sviluppi e le tendenze
tecnologiche che dovrebbero essere seguiti per implementare in maniera corretta
un'eventuale strategia per l'acquisizione di nuovi sottomarini.
E proprio a questo secondo aspetto, la strategia, è dedicata la seconda ed ultima parte del
Cap.4. In particolare, qui abbiamo preso in considerazione l'eredità in termini operativi e
industriali del programma U-212A mettendo a confronto benefici e costi di due diverse
opzioni. La prima, relativa allo sviluppo di un programma per l'acquisizione di un nuovo
sottomarino interamente nazionale. La seconda, riguardante, invece, l'ipotesi della
prosecuzione della cooperazione internazionale mantenendo come base il disegno U-212.
La nostra conclusione è che l’ipotesi da seguire dovrebbe essere la seconda, in quanto più
realistica e affidabile, oltre che meno rischiosa, tenendo, però, conto dell’apporto che a
questa potrebbe offrire l’industria nazionale sulla base delle proprie tecnologie
maggiormente promettenti e competitive. In tal senso ciò che proponiamo è una strategia di
“italianizzazione” di un progetto internazionale, sorretta da investimenti mirati, orientati non
tanto alle esigenze dell’industria nazionale quanto piuttosto a quei settori dove potrebbe
esserci un ritorno da far valere arche sul mercato dell’export e nell’ambito di quella
cooperazione internazionale di cui sopra.
8
Abstract
Over the last years the submarine has once again become topical. After the end of the Cold
War, with the downsizing of the Russian-Soviet threat, and the unchallenged American
superiority over the rest of the world, the submarine seemed to have been relegated to minor
or secondary roles - and with it everything was anti-submarine operations – as a legacy of
the US-USSR confrontation age when the key scenarios were conventionals. Even if in the
asymmetric conflicts the mini-submarine threat was present and addressed it was however
something of secondary importance linked to contexts where the main threat at sea was
represented mostly by mines and fast inshore patrol vessels. The attention of the Armed
Forces and procurement agencies was mainly focused on the acquisition of highly protected
ground systems – remember, for instance, the fast race to the Mine Resistant Ambush
Protected (MRAP) vehicles in the first decade of the 2000s - on the Air Power - the absolute
weapon capable of solving each conflict according to its most radical supporters - and, as
far as the maritime dimension is concerned, on the acquisition of small multirole vessels
able to "clean up" coastal and brown areas "(the Littoral Combat Ship program, soon
transformed into a sort of calvary for the US Navy).
However, as we have seen in the Chapter 1 of this work, the scenarios, starting from the
final part of the first decade of the 2000s, have again come to a turning point. Russia has
recovered part of its previous status and has returned on the international scene with
renewed strong military posture, China has become an increasingly important actor both in
economic and political-military terms, new regional powers have emerged and terrorism has
increased its relevance and intensity of its actions. In addition, in the so called Wider
Mediterranean, we has witnessed that extraordinary transformation known as the Arab
Spring which has disrupted a long-established balance which a country like Italy showed to
appreciate very much. So there was a very fast transition from purely asymmetric scenarios
to new forms of hybrid conflict with strong conventional elements.
In this context, the submarine has come back to the fore, thanks to its natural characteristics
of flexibility and stealthness, spreading a real proliferation process which, as we have
documented, has one of its focus on that enlarged Mediterranean which represents the
strategic juncture of the Italian national interests.
From this perspective, in Chpater 2, we have examined in detail the current situation of the
European and world shipbuilding industry with a particular view to the production of
conventional submarines. In this field the key players are essentially three: Germany, France
and Russia. They hold the technological know-how and dominate the export market,
9
although other actors such as China (whose production is largely driven by the needs of the
internal market) and South Korea have recently gained new room. The market, however,
remains very rigid, substantially oligopolistic in nature, and at present difficult to penetrate
by new players.
The other two chapters of this work are entirely about Italy. In Chapter 3, we discuss in detail
the structure and characteristics of Italian shipbuilding industry, and its capabilities in the
field of submarine production. So we consider Toti and Sauro national projects and U-212A
international cooperation project. The latter is analysed more in detail by highlighting the
peculiarities that today make it the most advanced conventional submarine in the world.
The research ends with Chapter 4 that we have decided to subdivide essentially into two
parts. The first part deals with the potential operational needs arising from new scenarios
and to be addressed by the Italian Navy, as well as the most advanced developments and
technological trends that should be followed to properly implement a tentative strategy for
procuring new submarines.
The second and last part of the Chapter 4 precisely concern that topic: the strategy.
In particular, we have taken into account the operational and industrial legacy of the U-212A
program by comparing benefits and costs of two different options. The first one regards the
development of a program to procure a fully national submarine. The second one, on the
contrary, suggests the continuation of the international cooperation while maintaining the U-
212 design. Our conclusion is that the option to be pursued should be the second one, as
more realistic and reliable, as well as less risky, but taking into account the contribution that
national industry could offer on the basis of its more promising and competitive technologies.
Accordingly what we propose is a strategy of "Italianization" of an international project,
supported by targeted investments, focused not so much on the needs of the national
industry but rather on those sectors where there could be a return to be also made available
on the export market and within that aforementioned international cooperation.
10
1. L'evoluzione dello scenario e la proliferazione di sottomarini
1.1 La geometria variabile come dimensione fondante dell’attuale scenario internazionale
Lo scenario internazionale sta subendo un processo di profonda trasformazione.
Il crollo dell’URSS e la fine della Guerra Fredda, con tutti mutamenti (di cui parleremo in
questo capitolo nel dettaglio) succedutisi dopo di allora, hanno lasciato il posto ad un assetto
tuttora di difficile definizione. Nel primo quindicennio dopo “l’89” si poteva tranquillamente
parlare di sistema unipolare-egemonico con unica super-potenza, o iper-potenza, in grado
di incidere in profondità sull’assetto generale e su tutti gli scacchieri. Tuttavia, a partire dalla
seconda metà del primo decennio del nuovo millennio, questa egemonia piena e indiscussa
si è via, via appannata. Certo, un attore molto più forte e potente degli altri indubbiamente
c’è ancora, gli Stati Uniti, ma la sua egemonia non sembra però essere più solida e
incontestata come in precedenza. Il continuo impegno bellico nei teatri simbolizzato dagli
oltre 150 miliardi di dollari l’anno spesi ininterrottamente per 10 anni per finanziare le
operazioni all’estero, soprattutto in Iraq e Afghanistan, unitamente alla crisi economica, che
ha costretto Washington a pesanti tagli al bilancio federale, hanno usurato l’America, e con
essa alcuni degli alleati più fidati, a cominciare dal Regno Unito. In particolare, gli Stati Uniti
sono stati costretti a ricorrere al Budget Control Act del 2011, promulgato per riportare sotto
controllo l’enorme deficit federale, cresciuto ulteriormente sotto la spinta dell’esigenza di
finanziare la guerra globale al terrorismo, ed alla cosiddetta sequestration che ha imposto a
tutte le agenzie federali, Pentagono compreso, tagli lineari di spesa. Di fatto, la politica di
difesa e sicurezza americana si è dovuta confrontare con questo vincolo per almeno 5 anni,
con pesanti ripercussioni sia sulla prontezza che sull’ammodernamento dello strumento
militare, mentre un’inversione di tendenza si è registrata solo con l’ultimo bilancio della
Difesa di Obama e, ancor di più, con il primo bilancio di Trump. Il Regno Unito, dal canto
suo, ha dovuto tagliare in maniera significativa gli organici del British Army ed alcuni
importanti programmi di procurment, rivedendone radicalmente altri ancora, e per un
decennio ha perso lo strumento della portaerei. Un fatto senza precedenti, manifestatosi in
tutta evidenza durante la Guerra di Libia del 2011, che ha reso la Royal Navy, la vecchia
regina dei mari, priva della capacità di proiezione per eccellenza.
Oggi siamo, pertanto, di fronte ad un sistema internazionale dove il potere si va
ridistribuendo tra diversi attori: potenze ri/emergenti, soggetti non statuali transnazionali
come organizzazioni terroristiche e criminali e così via.
In pratica il sistema si sta lentamente riequilibrando e il quadro egemonico incrinando.
11
Da un lato, come si diceva, è vistoso l’emergere, o il riemergere, di nuove e vecchie potenze
– Cina e Russia – sempre più disponibili a far sentire il loro peso politico nella concertazione
con gli USA sul piano sia dei dossier regionali sia della governance del sistema nel suo
complesso. La Cina, grazie ad una travolgente crescita economica che ha permesso negli
ultimi anni di superare la soglia dei 100 miliardi di dollari in termini di spese militari (il
secondo budget della Difesa dopo quello del Pentagono), ha avviato nell’ultimo quindicennio
un massiccio programma di ammodernamento delle Forze Armate che, pur non avendo
trascurato in linea di principio nessun settore, ha riguardato soprattutto il comparto
strategico-missilistico, aeronautico e navale. In 15 anni, Pechino ha compiuto progressi
notevoli, mentre il comparto industriale è andato accentuando la sua indipendenza rispetto
alla tradizionale assistenza russa (anche se ad oggi permangono alcuni settori dove questa
continua ad essere indispensabile: motoristica aeronautica, elettronica, ecc.). La Russia,
invece, recuperato negli ultimi anni sotto la leadership di Vladimir Putin parte dello status
perduto, ha mostrato una significativa propensione all’uso della forza per la tutela di interessi
strategici, collocati sia nel cosiddetto “estero vicino”, Crimea e Donbass, sia ben oltre, come
nel caso dell’intervento in Siria1, ed è tornata al centro della scena, soprattutto nel
Mediterraneo cosiddetto Allargato2.
Accanto a Cina e Russia, poi, vi sono alcune medie potenze delle quali si possono
individuare almeno tre categorie: le potenze alleate degli USA, mediante rapporti bilaterali
o alleanze politico-militari a carattere regionale quali la NATO3, le potenze legate agli Stati
Uniti da rapporti di partnership (come, per esempio, l’India, che intrattiene una partnership
analoga pure con la Russia in nome della diversificazione e dell’autonomia nazionale), e,
infine, le potenze ostili agli Stati Uniti che, percependo un indebolimento del controllo da
parte di Washington soprattutto su alcune periferie del sistema, tentano di mutare gli assetti
regionali – imposti precedentemente sulla base della garanzia politico-militare americana -
a proprio vantaggio. E’ il caso, quest’ultimo, dell’Iran, che ha approfittato del disimpegno
americano dal Medio Oriente, più o meno reale, per estendere la propria sfera d’influenza
senza soluzione di continuità dall’Iraq, al Libano passando per la Siria: un continuum
strategico che il nemico regionale, l’Arabia Saudita, ha provato invano a rompere e che in
parte spiega anche la nascita e l’affermazione dell’ISIS.
1 Tale propensione, guidata da una chiara visione di politica estera e da solidi fondamentali strategici, ha
a sua volta innescato una serie di razioni a catena nel campo occidentale culminate con l’adozione del Readiness Action Plan della NATO e dell’European Reassurance Initiative da parte degli Americani.
2 Il concetto geopolitico di Mediterraneo Allargato comprende, oltre che il Mediterraneo in senso stretto, il Mar Nero, il Mar Rosso e l’Oceano Indiano Occidentale, il Golfo Persico, e, se vogliamo, anche il Golfo di Guinea.
3 Ci riferiamo in particolare a Regno Unito e Francia o, fuori dal circuito NATO, da Australia e Giappone.
12
Oppure potremmo citare la Corea del Nord che, grazie al proprio arsenale balistico e non
convenzionale-nucleare, è in grado di tenere in scacco la comunità internazionale e di
minacciare i vicini per ricavarne benefici economici e politici, ma anche di status4.
Dall’altro lato, invece, ci sono i grandi gruppi terroristici o criminali quali ISIS, Al Qaeda
o derivati. Si tratta di soggetti che, in virtù di cospicue risorse, sono comunque molto
importanti ed in grado di incidere sul quadro internazionale, sfruttando anche il processo di
sgretolamento di alcune realtà statuali in in tutto il Medio Oriente ed oltre. Basti pensare, per
non dilungarsi troppo, al ruolo giocato dallo Stato Islamico negli ultimi anni - alla minaccia
che esso ha rappresentato ed alle ingenti risorse che ha costretto a mobilitare per
combatterlo – od all’influenza che la stessa Al Qaeda si è progressivamente guadagnata
all’interno del conflitto civile siriano ed in altre aree quali il Sahel e lo Yemen.
Nel sistema a geometria variabile che abbiamo appena esaminato, la modalità più
consueta di scarico della conflittualità è quella asimmetrica. Le ragioni sono del resto
evidenti e rimandano alle differenze di potere e agli squilibri in gioco tra i diversi attori.
Tuttavia, negli ultimi anni si stanno affermando sempre di più nuovi anche scenari di tipo
ibrido. E’ il caso del Donbass, in parte della Siria, e così via. Ma tali scenari potrebbero
manifestarsi un domani in maniera ancor più significativa in Iran, piuttosto che nella Penisola
coreana o nel Mediterraneo.
1.2 Conflitti ibridi
Ai fini della presente ricerca è utile soffermarsi un attimo sul significato e sulle
caratteristiche dei conflitti ibridi. In linea di principio un conflitto di tipo ibrido è un conflitto in
cui elementi tipicamente convenzionali si mescolano con elementi non convenzionali ed
asimmetrici nell'ambito delle stesso teatro, ma soprattutto, dello stesso tempo operativo.
In questi contesti la minaccia assume un'ampia variabilità in termini di sofisticazione: da
minacce più soft quali attentati suicidi, attacchi mordi e fuggi o attacchi
informatici/cibernetici, a minacce convenzionali classiche quali impiego di mezzi pesanti ed
artiglieria, uso di sistemi antiaerei a guida radar, batterie di missili antinave, ecc. Nel caso
dell’impiego dei summenzionati sistemi convenzionali, non si tratta di un impiego per così
dire estemporaneo o occasionale, ma di un impiego massiccio, sistematico e continuativo
da parte di personale con preparazione militare, o quasi-militare.
4 Uno degli obbiettivi del programma nucleare di Pyongyang è, per l’appunto, anche quello di ricercare un
riconoscimento di status da parte della comunità internazionale.
13
In definitiva, un conflitto ibrido si ha quando un gruppo irregolare ha risorse e potere
talmente ampi da potersi permettere d’impiegare anche sistemi convenzionali su larga
scala. E’ il caso del conflitto combattuto contro l’ISIS nel cosiddetto Siraq, per esempio,
considerando che tale organizzazione, sfruttando le circostanze, in parte accennate in
precedenza, e approfittando del collasso di parte dello Stato iracheno e siriano, aveva preso
il controllo di ampi territori, di ingenti quantitativi di armi, di risorse energetiche e quant’altro.
Molto più comunemente, invece, è uno Stato che decide per ragioni di opportunità politica
di non operare in maniera palese, ma di agire indirettamente attraverso un proxi locale ed
un combinato molto ampio di strumenti per ottenere i suoi obbiettivi politici, territoriali,
economici, ecc. Tra questi strumenti troviamo attività d’intelligence, uso di forze speciali,
contractors o “volontari”, information warfare (guerra elettronica e cibernetica),
manipolazione e disinformazione. Questa seconda tipologia di conflitto ibrido dipenderà,
pertanto, dal livello di coinvolgimento, in termini di risorse materiali e simboliche, da parte
dello Stato “patrono” in questione, dall’ampiezza dei suoi obbiettivi a carattere politico-
economico e/ territoriale, e dal grado di autonomia del suo o dei suoi clienti locali.
Negli ultimi tempi il caso di scuola è rappresentato dal conflitto in Ucraina che, dietro
la facciata dei ribelli del Donbass, il proxi, nasconde in realtà l'azione russa volta a
conseguire alcuni obbiettivi precisi a carattere squisitamente politico e territoriale: la
creazione di un “cuscinetto” verso l’Occidente ed il contenimento delle aspirazioni ucraine
ad un ingresso nella NATO5. Il conflitto può essere suddiviso in 2 fasi: una prima fase, sino
grosso modo all’estate 2014, con un basso coinvolgimento da parte della Russia, ed una
seconda fase successiva (innescata dall’avanzata governativa e dal timore di “perdere”
Donetsk), con un coinvolgimento più ampio e sistematico da parte di Mosca (che ha salvato
e puntellato i due satelliti di Donetsk e Lugansk). Del resto la stessa Russia ormai da qualche
anno sta teorizzando apertamente, grazie alla riflessione dell'attuale Capo di Stato Maggiore
delle Forze Armate, Generale Valery Gerasimov, l'uso della conflittualità ibrida e non lineare.
Nell'ambito di questa nuova teorizzazione si afferma che il ruolo degli strumenti non-militari
nel conseguimento di obiettivi politici è cresciuto superando in molti casi il potere ed il peso
delle armi. Con il termine strumenti non militari si intende come già osservato l'impiego di
gruppi armati che agiscono come proxi, l’uso di gruppi politici/quinte colonne per alimentare
il caos in altri stati, l’impiego massiccio di forze speciali e unità dell'intelligence per
l'attuazione di azioni covert e di sabotaggio, l'uso di “volontari” e poi, ancora, il sistematico
5 Uno spartito simile si era visto nel 2008 anche in Georgia, ma allora ci fu anche l'intervento diretto di
Mosca.
14
utilizzo di strumenti di cyber warfare per limitare e colpire il potere economico ed il sistema
mediatico e di comunicazione dell'avversario.
Questo nuovo pensiero strategico lo si è visto applicato in maniera esemplare in
Crimea, prima, e poi, come in parte già discusso, nel Donbass. Nel primo caso una serie di
rapide operazioni in tutti gli ambiti summenzionati ha permesso di isolare e bloccare le
truppe ucraine nelle loro basi militari e sottoporle a pressione mediante guerra informativa,
psicologica ed elettronica in modo da piegarne la volontà convincendole ad evitare l’uso
delle armi. L'attacco informativo-mediatico, che faceva leva anche sul fatto che il 60% della
popolazione della Crimea è di etnia russa, è stato accompagnato da un efficace impiego di
azioni coperte e camuffamento ad opera di forze speciali e personale del leggendario GRU
(l’intelligence militare), elementi comparsi improvvisamente sulla scena sotto le vesti dei
cosiddetti “omini versi”. Il tutto ha alla fine portato all'annessione della Crimea senza
neanche lo sparo di un colpo.
Questo schema è stato poi trasferito nel Donbass su scala ancor maggiore. In questo
caso è stata attuata prima una campagna per stabilire un contesto politico favorevole
facendo leva sulle minoranze russofone della regione e creando fronti politici ad hoc.
Un’azione capillare e sistematica di “fertilizzazione”, portata avanti da agenti di influenza o
direttamente da membri dell’intelligence, e che mirava anche ad instillare nella popolazione
locale la paura dei “fascisti di Kiev” con la loro aspirazione a fare tabula rasa dell’identità e
delle peculiarità di queste zone. Il passo successivo è stata la nascita dei primi gruppi armati
ed il conseguente afflusso di rifornimenti in termini di supporto logistico e addestrativo,
trasferimento di armi moderne, ecc. Ben presto, i “semplici” rifornimenti sono stati
accompagnati dal supporto di personale combattente sotto forma di volontari e truppe
regolari senza insegne distintive, appartenenti agli Spetsnaz delle VDV (le forze
aerotrapostate russe) e del GRU. Queste unità hanno agito sia come consiglieri per
inquadrare le unità del proxi sia come veri e propri moltiplicatori fornendo capacità “pregiate”
sul campo – intelligence, comunicazione, guerra elettronica, ecc. - o conducendo azioni
dirette – sabotaggi, eliminazioni, ecc.
15
1.3 Il Mediterraneo Allargato dopo la Primavera Araba
A partire dal 2011 la cosiddetta Primavera Araba ha profondamente mutato gli equilibri
in Medio Oriente ed in Nordafrica ed un assetto consolidatosi nel tempo e su cui la gran
parte degli attori principali, a cominciare dall’Italia, erano ormai abituati a commisurare le
proprie aspettative. Si trattava di un assetto basato su stati e leadership sostanzialmente
laiche – ancorché monolitiche e monopoliste in termini di gestione del potere – capaci di
garantire la stabilità usando non solo la repressione, come comunemente si ritiene, ma
anche la negoziazione con interessi locali di vario tipo e natura che caratterizzano società
complesse e particolari come queste.
La Primavera Araba, incentivata, ma non guidata, dall’Amministrazione Obama6, ha
fatto saltare completamente questo schema, ma l’esito non è stato quello voluto
dall’Occidente, ovvero l’affermazione delle forze democratiche e progressiste. Anzi, alla fine
dei conti, il vero vincitore della Primavera Araba è stata quella Fratellanza Musulmana che,
dopo anni di sostanziale repressione e ghettizzazione, si è ritrovata in varie forme al potere
in Tunisia, Egitto (fino all’ascesa del Generale Al Sissi) e Libia, forte anche del sostegno
ricevuto da Turchia e Qatar, diventando anche uno degli attori più importanti del conflitto
siriano. In pratica, ad affermarsi dopo il 2011 in tutto il Mediterraneo Allargato è stato un
movimento a carattere conservatore con diversi tratti in comune, nonché alle volte con i
medesimi soggetti intellettuali7 di riferimento, con le organizzazioni fondamentaliste e
jihadiste. Più in generale, la transizione dalle vecchie élite mediorientali e nordafricane a
quelle nuove si è rivelata molto problematica. In parte, a causa del mancato guida/supporto
da parte di Americani ed Europei, che ben presto si sono defilati anche a causa della crisi
economica che ne ha ridotto i margini di azione ed intervento, ed in parte a causa della
frammentazione etno-tribale e religiosa di questi contesti, con la faglia sunniti-sciiti al centro
di ogni dinamica, ma anche con le rivalità tutte interne al mondo sunnita tra la linea
legittimista incarnata dalla casa dei Saud e quella elettoralista-popolare della stessa
Fratellanza Musulmana. Senza poter entrare nel dettaglio dei singoli percorsi di transizione
è possibile discernere 3 esiti principali della Primavera Araba.
6 Uno dei primi tratti di politica estera dell’Amministrazione Obama è stata la campagna di comunicazione
strategica intrapresa dal Presidente, nel contesto interno e soprattutto all’estero, per riabilitare l’immagine degli Stati Uniti in particolare agli occhi del mondo musulmano. Il discorso all'Università Al Azar del Cairo del giugno 2009 è stato il maggiore esempio di questa campagna comunicativa rivolta non solo ai governi ma anche alle opinioni pubbliche dei paesi mediorientali e segnata dal messaggio che Stati Uniti ed Islam non sono in competizione, ma che anzi condividono principi comuni. In molti ritengono questo discorso come una delle scintille capace di innescare l’incendio della Primavera Araba.
7 Si pensi all’influenza che su Bin Laden e Al Qaeda ha avuto il pensiero di Said Qutb, uno degli ideologi della Fratellanza Musulmana.
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Il primo è quello quella della lenta transizione democratica, traiettoria su cui si sono
incamminati Paesi quali il Marocco e la Tunisia. Il secondo esito è stato quello egiziano con
l'ascesa e la caduta dei "Fratelli" e la successiva restaurazione di un sistema autoritario con
un forte ruolo giocato dall’Esercito. Infine, il terzo esito è stato quello della guerra civile e del
fallimento dello Stato come in Siria, Iraq, Yemen e Libia. In aggiunta a questa tripartizione,
che rappresenta necessariamente una semplificazione, gli esiti di cui sopra sono stati
accompagnati dall'affermazione di mafie e realtà criminali, come quelle libiche, che
controllano e regolano a piacimento i flussi dell’immigrazione clandestina e illegale; di realtà
terroristiche quali ISIS, Al Qaeda e diramazioni varie; e così via
A voler essere più precisi questi fenomeni si presentano quasi fossero diverse facce
di una stessa medaglia. Per cui abbiamo realtà terroristiche, ma criminali allo stesso tempo,
che sono capaci di contendere al governo centrale il monopolio legittimo della forza e di
controllare flussi e contrabbandi di vario genere. Il caso più eclatante è quello della Libia
dove oggi siamo di fronte ad una situazione nella quale esistono tre governi e decine di
milizie che più o meno scopertamente condizionano i summenzionati governi. Ma queste
stesse milizie sono a loro volta espressione di tribù o interessi a carattere squisitamente
locale. Per esempio, a Tripoli il Consiglio Presidenziale di Serraj, riconosciuto dalla comunità
internazionale come unico governo libico, è in realtà ostaggio di una “cupola” cittadina retta
dal “quadrumvirato” formato da Haithem Al Tajouri, Abdul Rauf Kara, Abdul Ghani Al-Kikli,
detto Ghneiwa, e Hashm Bishr del “mandamento” di Abu Salim. Di fatto, questi soggetti,
oltre a diversi traffici, hanno in mano pure la stessa sopravvivenza del Consiglio
Presidenziale e ne condizionano le scelte offrendogli “protezione”. Nella stessa Libia, ci
sono poi il santuario di Derna, ancora controllato da elementi qaedisti alleati con islamisti
locali, milizie a carattere cittadino, come quelle di Misurata o Zintan, o Bani Walid, ed il
Fezzan attraversato da traffici di ogni genere. Lo stesso Egitto deve continuamente fare i
conti con la cronica instabilità del Sinai - dove la locale diramazione dello Stato Islamico è
ben radicata – per non parlare, poi, della situazione di insicurezza in cui versano ancora
alcune aree della Tunisia, soprattutto nella parte sudoccidentale, e delle incertezze legate
al dopo-Bouteflika in Algeria.
Il Mediterraneo, pertanto, in questi 6 anni è diventato un luogo straordinariamente
insicuro e dinamico dove, già a partire dal 2007-2008, si era andato delineando pure un altro
fatto strategico di rilievo, ovvero il disimpegno americano dovuto allo spostamento del
baricentro dell’attenzione politico-militare di Washington verso l’Asia. Si è trattato di un fatto
di straordinaria importanza che in parte ha inciso anche su quei fenomeni di cui stiamo
parlando, e che si è manifestato in tutta evidenza con la Guerra di Libia del 2011 nella quale
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gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo, ancorché fondamentale, solo nelle fasi iniziali per poi
lasciare il campo e la “palla” agli Europei (con il risultato di un intervento militare durato oltre
6 mesi). In quell’occasione destò molta impressione vedere che nelle operazioni non era
coinvolta nessuna delle portaerei dell’US Navy, da sempre il simbolo della capacità di
proiezione americana e protagoniste in tutti i conflitti del primo decennio degli anni duemila.
dall’Afghanistan, all’Iraq. Questa politica, delineatasi, appunto, già durante la fase finale
dell’Amministrazione Bush, è poi proseguita sotto l’Amministrazione Obama. Quest'ultima
ha per prima cosa posto fine alla guerra in Iraq, che così tante risorse economiche ed umane
aveva “macinato” dal 2003 al 2009 fallendo sostanzialmente il suo obbiettivo di “restyling
del Medio Oriente” - anzi, scatenando ulteriore instabilità – ed ha lanciato la nuova strategia
“Sustaining Global Leadership: Priorities for 21sth Century Defense”, ufficializzata nel
gennaio 2012, che ha sancito definitivamente lo spostamento del baricentro strategico
americano dal quadrante europeo al teatro Asia-Pacifico con il cosiddetto pivot.
Nel documento è stato formalizzato il rafforzamento delle partnership con i principali alleati
locali e della presenza militare americana nella regione, ed è stata abbandonata la dottrina
delle “two major theater war”8. Tale dottrina ha lasciato il posto ad una più prudente
impostazione secondo la quale gli USA avrebbero dovuto essere in grado di affrontare
simultaneamente una guerra di teatro maggiore ed una crisi limitata nello spazio e nel tempo
in un altro settore. In pochi anni, pertanto, gli Stati Uniti hanno rivisto alcune loro ambizioni
concentrandosi maggiormente sul teatro Asia-Pacifico dove sono stati spostati diversi
assetti militari, soprattutto aerei e navali, togliendoli al teatro europeo e mediterraneo. Nel
fare questo, Washington ha veicolato pertanto il messaggio di un minore interesse verso ciò
che accadeva nel Mediterraneo o, quanto meno, nei salienti ad ovest di Suez.
Questo riorientamento ha creato una nuova situazione strategica – a cavallo tra un
vuoto effettivo e la sua “semplice” percezione - che altri hanno cercato in qualche modo di
manipolare a proprio vantaggio. In parte lo hanno fatto i Paesi europei, che come abbiamo
visto si erano già assunti in proprio buona parte dell’onere della Guerra di Libia del 2011,
ma proprio sulla Libia le loro politiche sono fallite con la mancata stabilizzazione del Paese.
Il successivo tentativo di arginare le conseguenze di quella sciagurata guerra, a cominciare
dalla dirompente ondata migratoria, ha mostrato tutta la debolezza dei Paesi europei presi
singolarmente.
8 Dottrina che prevedeva la necessità per gli USA di sostenere contemporaneamente due guerre di teatro
maggiori.
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Qualcosa è cambiato solo nell’ultimo anno con il rafforzamento del profilo
dell’Operazione Sophia e con il lancio del cosiddetto Valletta Action Plan che prevede un
approccio più integrato per combattere il fenomeno dell'immigrazione tramite il
coinvolgimento della stessa Libia e dei Paesi vicini, la creazione di strutture di accoglienza
e trattamento dei migranti direttamente in territorio libico, l'incremento di 200 milioni di euro
dell’EU Trust Fund for Africa per coprire i bisogni più urgenti del 2017, ecc. L’Italia, che si è
ritrovata in prima fila nel fronteggiare una crisi senza precedenti, ha dovuto fare di necessità
virtù agendo sia sul piano bilaterale – favorendo prima la nascita del Governo Serraj in Libia
e poi formalizzando con questo una serie di accordi per il controllo dei flussi migratori – sia
su quello internazionale premendo sulle istituzioni europee e NATO per ottenerne un più
ampio coinvolgimento nei dossier libico e mediterraneo in generale.
Detto questo, non dobbiamo dimenticare il ruolo sempre più importante che nel
Mediterraneo, soprattutto nella sua accezione di Mediterraneo Allargato, stanno esercitando
Russia e Cina.
Mosca in tal senso non si è fatta sfuggire l’occasione per manipolare a proprio
vantaggio le dinamiche in corso per re/inserirsi in un contesto che rappresenta quel “mare
caldo” la cui accessibilità è stata tradizionalmente una delle stelle polari della politica estera
e di sicurezza russa.
In particolare, la Russia ha sfruttato dapprima l’annessione della Crimea per ri/attivare
in grande stile la Flotta del Mar Nero e poi la guerra civile in Siria per intervenire a sostegno
di Assad e completare così il disegno di ri/costituzione della propria presenza militare-navale
in tutto il Mediterraneo ed oltre. Nel primo caso, il processo di rinnovamento e rafforzamento
della Flotta del Mar Nero è stato poi accompagnato dal massiccio schieramento nella
Penisola di Crimea di batterie di missili antinave e sistemi di difesa antiaerea a lungo raggio
S-300 ed S-400 in modo tale da creare su tutta l’area del Mar Nero e su parte dell’Europa
Orientale una vera e propria bolla A2/AD (analoga a quella di Kaliningrad ed a quella
costituita successivamente in Siria). Riguardo alla “nuova” Flotta del Mar Nero”, la “Dottrina
Navale della Federazione Russa 2015-2020”, prevede l’immissione in servizio di 30 nuove
navi – tra cui 5-6 fregate (2-3 classe Gorshkov, tra 2024 e 2025, e tre classe Grigorovich,
due delle quali già presenti a Sebastopoli), 6 sottomarini classe Project 636.3 classe
Varshavyanka (tutti consegnati e operativi come vedremo più avanti) ed una coppia di navi
anfibie classe Ivan Gren, oltre a corvette e naviglio ausiliario e di supporto - e il
miglioramento/creazione di infrastrutture navali su tutta la Penisola di Crimea entro il 2020,
con un costo totale previsto di 2,43 miliardi di dollari. Ad oggi, una parte di questo piano è
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già stata implementata e la componente navale russa presente nel Mar Nero è costituita da
oltre 40 navi e 7 sottomarini (i sei Varshavyanka più un Projekt 877 Kilo).
Per quanto riguarda la Siria, invece, ben presto l’intervento russo è andato al di là dello
scopo di sostenere Assad ed ha creato i presupposti per la creazione di una presenza
permanente nel Paese. In realtà già dal 2013, prima quindi dell’annessione della Crimea e
dell’avvio delle operazioni militari russe in Siria, le unità della Marina Russa appartenenti
alla Flotta del Mar Nero (ma non solo) avevano notevolmente incrementato la propria
presenza nel Mediterraneo. Nel marzo 2013 fu poi istituito il Gruppo Permanente per il
Mediterraneo come costola della Flotta del Mar Nero, ovvero fu ricreata di fatto la Task
Force del Mediterraneo, erede della Quinta Squadra, mentre l’anno dopo, a febbraio, poco
prima, dunque, dello scoppio del conflitto in Donbass, Mosca annunciò l’intenzione di
rafforzare la ricostituenda task force con almeno un sottomarino classe Varshavyanka e un
paio di corvette lanciamissili classe Buyan-M, armati entrambi, sia il Varshavyanka che le
Buyan-M, con missili da crociera land-attack a lungo raggio Kalibr. Questi ultimi
rappresentano un contraltare russo dell’americano Tomahawk ed hanno fatto il loro esordio,
suscitando vasta eco e clamore in Occidente, proprio durante le operazioni in Siria,
marcando la prima volta che un Paese fuori dall’Occidente ha impegnato in un conflitto
ordigni di tipo strategico come questi9. Sulla stessa lunghezza d’onda, nel 2015 la Russia
ha stipulato un accordo con i governi cipriota, egiziano e libico (quello di Tobruk) per l’utilizzo
delle loro acque territoriali e delle loro basi navali.
Il conflitto siriano e il conseguente allargamento/miglioramento delle infrastrutture
militari di Tartus e Jableh (che si aggiungono a quanto già presente nel Caucaso e nel Mar
Nero) hanno fatto il resto permettendo a Mosca di ricreare le condizioni per una presenza
duratura ed un accesso regolare e permanente delle proprie forze militari al Mediterraneo
ed al Medio Oriente – esattamente come avveniva durante la Guerra Fredda con l’Eskadra
9 Il Kalibr è disponibile in 2 varianti: la 3M-14T per il lancio da sottomarini e la variante 3M-14K per il lancio
da unità di superficie. La prima è più corta – 6,2 m – per essere lanciata dai tubi lanciasiluri standard da 533 mm dei battelli. La seconda variante è, invece, più lunga e misura 8,9 m ed è lanciata dai moduli universali a celle verticali UKSK. Per il resto le caratteristiche del missile sono pressoché le stesse. Il Kalibr è un missile da crociera land attack subsonico bistadio – a differenza della variante antinave che è tristadio e supersonica nella fase terminale per superare le difese delle imbarcazioni nemiche – e sfrutta per la fase di lancio e spinta un booster a propellente solido che ha capacità TVC nella variante navale ed è invece "convenzionale" per la variante lanciabile da sottomarini. La crociera e l'attacco, invece, sono sostenute da un turbogetto compatto. La guida del missile associa un sistema satellitare/inerziale per la fase di crociera, assistito da un altimetro barometrico, ad un homing radar attivo. Su quest'ultimo non ci sono grandi certezze. L'unica cosa nota è che il seeker radar è l'ARG-14E, realizzato dall'azienda Radar MMS, che si attiva ad una ventina di chilometri dal bersaglio per condurre con precisione l'ordigno su di esso. L'antenna ha una capacità di inclinazione di +- 45° in azimuth e di -10°/+20° in elevazione. Presumibilmente si tratta di un seeker in banda Ka o ad onda millimetrica capace, dunque, di "vedere" un bersaglio terrestre escludendo il clutter del terreno circostante. La testata ha un peso di 450 kg
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Mediterranea che operava dalla base di Tartus e da quella di Alessandria. Il 20 gennaio
2017, infine, Mosca ha firmato un accordo a lungo termine con il regime di Assad per
un’ulteriore espansione delle basi di Jableh e Tartus.
L’allargamento delle infrastrutture presenti nelle due basi garantirà un incremento
permanente della presenza russa nella regione ed un corrispondente aumento delle
capacità A2/AD nell’area del Mediterraneo Orientale. Nello specifico, l’accordo prevede un
“leasing” di 49 anni - con potenziale rinnovo automatico alla scadenza per ulteriori 25 anni
– delle due basi ed un loro rafforzamento. In particolare, Tartus verrà modificata per essere
in grado di accogliere 10/12 navi, rispetto alle attuali 5/6, incluse unità a propulsione
nucleare e di grandi dimensioni (portaerei), e dotata di strutture manutentive per permettere
interventi/riparazioni su tali navi, oltre che di un’adeguata struttura di comando e controllo,
fondamentale per il coordinamento e la gestione delle operazioni.
Venendo alla Cina, questa è sì geograficamente lontana dal Mediterraneo Allargato,
ma è sempre più interdipendente con la regione nel suo complesso e, di conseguenza,
sempre più interessata alle sue vicende. I numeri, più di ogni altra cosa, dimostrano questo
stretto legame. Il 60% delle esportazioni cinesi verso il continente europeo passa attraverso
il Canale di Suez e dall'inizio del nuovo millennio alla fine del 2015, circa il 56% delle
importazioni annuali di petrolio in Cina ha avuto origine da Medio Oriente e Nord Africa.
Dal dicembre del 2016, l’Arabia Saudita risulta il principale esportatore di petrolio verso
la Cina, scavalcando la Russia, mentre l’Iraq – nonostante le sue vicissitudini interne – è
diventato il terzo con esportazioni che nel 2016 sono cresciute del 15%. Ma altri potenziali
fornitori per la Cina potrebbero presto emergere nella regione, a cominciare dall'Etiopia,
dove le risorse gasifere dell'Ogaden e dell'area di Arbaminch potrebbero far diventare Addis
Abeba il quarto esportatore di gas al mondo, dietro Russia, Iran e Qatar, e dove la Cina ha
da tempo effettuato massicci investimenti mirati allo sviluppo infrastrutturale locale.
In quest'ottica, la direttrice navale che dal Corno d'Africa raggiunge il Mediterraneo,
attraverso Suez, è sempre più strategica per gli interessi cinesi. Pertanto, negli ultimi anni
Pechino ha investito in maniera massiccia per costituire una serie di appoggi lungo quella
che ormai viene chiamata la “via della seta marittima” – parte della più ampia BRI (Belt and
Road Initiative), ovvero dell'ambiziosa politica di proiezione di potenza economica e
industriale verso ovest lanciata dal Governo cinese a partire dal 2013. In Africa Orientale,
l'hub di questa strategia è il Kenya dove il porto di Mombasa ha beneficiato di notevoli
investimenti cinesi nell'ultimo decennio. A fine maggio, inoltre, è stata inaugurata, alla
presenza del Presidente kenyota Uhuru Kenyatta, la nuova linea ferroviaria Nairobi-
Mombasa.
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La linea, costata 3,16 miliardi di dollari, è stata finanziata al 90% dalla banca cinese Exim e
la sua gestione è stata affidata per i prossimi 10 anni alla China Road and Bridge
Corporation. La Nairobi-Mombasa è solo un primo tassello di un più ampio disegno
infrastrutturale che mira a creare un corridoio ferroviario tra Kenya, Uganda, Ruanda e Sud
Sudan favorendo lo sviluppo locale e lo sfruttamento delle risorse energetiche dell'area: da
quelle del Sud Sudan a quella dell'Uganda dove nella parte occidentale del Lago Alberto si
stima la presenza di riserve pari ad 1,7 miliardi di barili di petrolio.
Anche nel Mediterraneo strettamente inteso la Cina sta pian piano acquisendo preziosi
appoggi commerciali. Negli ultimi anni, la COSCO – la più grande società di stato cinese
specializzata in shipping, cantieristica e logistica – ha acquisito il 20% di una joint venture
che controlla il Suez Canal Container Terminal di Port Said - un centro di trasbordo merci
posto all'entrata nord del canale di Suez e dedicato al Mediterraneo orientale – ed il 65%
del Kumport Terminal, il terzo più grande della Turchia, nel porto di Ambarli. Per non parlare,
poi, del porto del Pireo dove la COSCO ha investito oltre 5 miliardi di euro per acquisire il
67 % delle azioni dell’autorità portuale e coprire le spese di ampliamento dei terminal. In
pratica, il Pireo è oggi un porto cinese a tutti gli effetti.
Questa crescete penetrazione economica si è accompagnata anche ad un progressivo
incremento – seppur di basso profilo e sempre entro certi limiti – dell'impegno militare. Certo,
nulla di paragonabile alla presenza militare americana o russa nella regione, ma anche per
Pechino inizia a farsi sentire sempre di più l'esigenza di coniugare proiezione economico-
finanziaria e proiezione militare e di sicurezza.
In questa fase sono state soprattutto le Nazioni Unite a servire come essenziale
vettore multilaterale di tale politica di proiezione e, se un tempo era molto restia a impegnarsi
sul piano internazionale, se non in alcuni frangenti di assoluta emergenza e comunque in
posizione defilata, la Cina pare adesso disponibile a farsi carico di sempre maggiori
responsabilità nella stabilizzazione di determinati contesti. In quest’ottica va letta la
partecipazione alle missioni internazionali anti-pirateria sotto mandato ONU, cui la Marina
Cinese contribuisce senza soluzione di continuità dal 2008, ma, soprattutto, gli impegni in
Sud Sudan ed in Mali. L’anno di svolta è stato il 2012 quando un primo contingente delle
Forze Armate cinesi è stato dispiegato nel Sudan del Sud. Sebbene incaricato soltanto di
proteggere i medici e i genieri militari cinesi già presenti sul terreno, questo primo
schieramento ha aperto la strada a un diverso coinvolgimento cinese nelle missioni di
peacekeeping, ben al di là del mero supporto medico e logistico. L’impegno in Sud Sudan
è stato poi seguito dal dispiegamento di peacekeepers in Mali nell'ambito della missione
dell’ONU MINUSMA (Multidimensional Integrated Stabilisation Mission in Mali), dove quello
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cinese è regolarmente uno dei contingenti più importanti. L’impegno di Pechino in questi
due Paesi non è casuale poiché in entrambi la Cina ha forti interessi economici e
commerciali. Nel Sud Sudan si tratta di risorse petrolifere, localizzate per la gran parte al
confine con il Sudan, mentre la stabilità del Mali è strategica soprattutto per le sue
ripercussioni sulla confinante Algeria dove risiedono quasi 100.000 operai di nazionalità
cinese e dove Pechino ha una stretta cooperazione politico-militare che ha portato di recente
anche alla fornitura di 3 fregate leggere/corvettone C-28A (tutte oggi in servizio).
Il definitivo suggello di questa rimodulazione della politica di proiezione cinese
all’estero si è avuto nel 2015, quando il Presidente Xi Jinping ha dichiarato che la Cina
sarebbe stata pronta a mettere a disposizione una forza di reazione rapida di circa 8.000
soldati, da attivare su richiesta delle Nazioni Unite, e, soprattutto, quando è giunta la
conferma della creazione di una base militare cinese a Gibuti, la prima del genere all’estero.
Si tratta di un base logistica10, inaugurata ad agosto 2017 e che ospita già circa 1.000 soldati
cinesi, che dovrebbe anzitutto fungere da punto d’appoggio per eventuali operazioni di
evacuazione dei tanti cittadini della Repubblica Popolare nell’area e per il supporto delle
navi cinesi impegnate nelle operazioni anti-pirateria nell'Oceano Indiano. Questi numeri
sono destinati a crescere, mentre la base può ospitare navi anfibie come le nuove LPD da
25.000 t Type 071 o addirittura portaerei, e pure aerei da trasporto strategico il-76 e Y-20,
nonchè velivoli da pattugliamento marittimo Y-8X. Questi ultimi hanno un’autonomia di oltre
2.500 km che permetterebbe loro di coprire una vasta area della regione.
10 Costata oltre 600 milioni di dollari e dotata di fortificazioni e protezioni molto robuste.
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1.4 La proliferazione di sottomarini con un particolare riferimento al Mediterraneo Allargato
La minaccia rappresentata dai sottomarini è oggi è più attuale che mai e sono sempre
di più i Paesi che si stanno dotando di componenti subacquee. E questo perché il
sottomarino si presta ad essere impiegato al meglio in quei contesti litoranei e nell’ambito di
quelle strategie A2/AD che un numero sempre maggiore di Paesi sta adottando. Le sue
naturali caratteristiche di flessibilità e furtività, infatti, gli garantiscono la possibilità di
effettuare attività d’intelligence e di infiltrazione/esfiltrazione di operatori delle forze speciali,
di operare con successo per l'interdizione e il disturbo delle linee di comunicazione, e di
attaccare, in tali contesti, anche task force navali altamente protette e munite. Questa utilità
era del resto stata dimostrata già durante la Guerra delle Falkland nel 1982, quando un solo
sottomarino convenzionale argentino, il San Luis, ha impegnato decine di navi ed aeromobili
della Royal Navy in un’inutile caccia antisom obbligando alla fine la Marina britannica a
rinunciare ad ipotesi di sbarco su larga scala. Durante la stessa guerra, inoltre,
l'affondamento da parte del sottomarino nucleare britannico Conqueror dell'incrociatore
argentino General Belgrano ha costretto il resto della flotta argentina a rimanere in porto per
tutta la durata dei conflitto. Con la sola sua presenza, un sottomarino può cambiare il corso
degli eventi operativi anche in uno scenario convenzionale, se impiegato nella dovuta
maniera, rappresentando un utile strumento deterrente in grado di limitare ad un avversario
le opzioni operative.
Per tutte queste ragioni, riprendendo il discorso che si faceva in apertura di questo
paragrafo, oggi si sta assistendo ad una corsa al sottomarino che sta interessando tutti i
teatri: dall’Asia – dove l'acquisizione di sottomarini è parte integrante della “gara navale” tra
i principali attori della regione – allo stesso Mediterraneo Allargato. In questo secondo
contesto, il fenomeno sta assumendo dimensioni rilevanti – che certo non possono lasciare
indifferenti l’Italia – che potrebbero significare la presenza, al 2020, di ben 60 sottomarini: e
ciò senza contare la presenza nel teatro marittimo considerato di battelli appartenenti a
Nazioni geograficamente estranee a esso. Ci riferiamo alla Cina e, soprattutto, alla Russia.
Quest’ultima, come abbiamo visto, ha ricostituito negli ultimi anni su larga scala la Flotta del
Mar Nero e con essa la Squadra del Mediterraneo, estesamente impiegata nelle operazioni
in Siria. Una delle componenti principali della Flotta del Mar Nero è quella subacquea basata
su sei sottomarini Project 636.3 classe Varshavyanka. Si tratta dell’ultima evoluzione del
Project 877/636 Kilo caratterizzata da notevoli migliorie in svariati settori.
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I Varshavyanka hanno un dislocamento maggiore rispetto ai predecessori ed una maggiore
autonomia, sono ancora più silenziosi e sono dotati della nuova suite sonar MGK-400. Più
di ogni altra cosa, come abbiamo già visto, i Varshavyanka sono dotati dei missili da crociera
land attack Kalibr (che vengono lanciati dai sei tubi lanciasiluri). Ma ai Varshavyanka
bisogna aggiungere anche la presenza, al momento solo occasionale e legata alle
circostanze, di uno o più battelli a propulsione nucleare; non è chiaro se appartenenti alla
classe AKULA o OSCAR II. In pratica, i Russi impiegano nel Mediterraneo uno strumento
occulto potenzialmente in grado di: raccogliere informazioni, monitorare traffici e attività
navali dei Paesi NATO, condurre eventuali azioni di infiltrazione e proiettare potenza a terra.
Il tutto in maniera non occasionale (eccetto, al momento, per la componente nucleare),
bensì sistematica e su larga scala. Peraltro, vale la pena sottolineare il fatto che il build up
russo nel Mar Nero avrà delle inevitabili conseguenze anche sui Paesi e le Marine
rivierasche. E’ il caso, per esempio, della Marina Rumena che ha da tempo pianificato
l'acquisizione di 6 nuove corvette con capacità antisom e che potrebbe prendere in
considerazione anche l’acquisto di un nuovo sottomarino per rimpiazzare il classe Kilo
Delfinul, inattivo ormai dagli anni novanta nel porto di Costanza. Lo stesso discorso vale per
la Marina turca, di cui parleremo a breve più nel dettaglio, che potrebbe rafforzare la propria
presenza nel Mar Nero, in particolare la base di Bartin da dove operano anche i sottomarini
Type 209.
In generale, come si diceva, sono molti ormai gli attori che nel Mediterraneo Allargato
stanno rafforzando le loro componenti subacquee dotandosi di battelli sempre più
performanti e di una serie di tecnologie sensibili, dai siluri ai missili da crociera a
cambiamento d’ambiente, che vale la pena prendere in considerazione. La grande
problematica è che anche se tali Paesi hanno tradizionalmente buoni rapporti con l’Italia e
l’Europa, non è detto che li debbano mantenere pure nel prossimo futuro e questo proprio
in virtù dei fenomeni di destabilizzazione/cambiamento innescati dalla “Primavera Araba”.
Tanto che quelle che oggi sono considerate Marine “amiche”, o quanto meno partner,
potrebbero diventare improvvisamente Marine “nemiche”. A maggior ragione se si pensa
che alcune di queste Marine si stanno dotando di sottomarini di produzione russa, quali i
Kilo, che non sono conosciuti in Occidente/Europa, o sono relativamente poco conosciuti,
con evidenti implicazioni sul piano della sicurezza. Un conto, infatti, è se la proliferazione
riguarda progetti di concezione europea – come i Type 209/214 tedeschi o gli
Scorpene/Agosta francesi – che, essendo noti in quanto a caratteristiche, presenterebbero
delle innegabili vulnerabilità per i loro utilizzatori in casi di eventuale crisi/guerra, un conto,
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appunto, è se i progetti in questione sono relativamente poco conosciuti, dunque, in teoria,
meno vulnerabili in casi di contingenza.
Giusto per fare una breve panoramica, tralasciando per ragioni di spazio le flotte
subacquee dei Paesi europei, una nazione del Mediterraneo molto attiva in campo
subacqueo è l’Algeria che opera con quattro sottomarini classe Kilo – due Project 877 e due
Project 636 – e ne sta acquisendo altri due (Project 636). I battelli possono impiegare anche
missili antinave a cambiamento d’ambiente 3M-14 Klub-S, testati in più occasioni nel corso
degli anni. I progressi algerini hanno costretto anche il concorrente regionale Marocco a
cercare di dotarsi di una componente subacquea, ma al momento non si registrano
progressi in questo senso.
Spostandoci verso est, la Turchia, la cui affidabilità in ambito NATO è ultimamente
sempre più in discussione, ha attualmente in servizio 14 sottomarini classe Type 209,
acquistati in tre serie – sei Type 209/1200 (Atilay) e 4+4 Type 209/1400 (Preveze e Gur) –
a partire dalla prima metà degli anni settanta dalla Germania. A questi, a breve inizieranno
ad affiancarsi i sei nuovi Type 214, prodotti localmente nei cantieri Golkuk, che saranno
dotati di sistema AIP Siemens a celle combustibili.
Un altro attore operante nel Mediterraneo dotato di una notevole componente
subacquea, di caratura strategica, è Israele. La Marina israeliana opera attualmente con tre
sottomarini classe Dolphin a propulsione convenzionale e due più evoluti Dolphin Seconda
Serie dotati di sistema di propulsione AIP11. La vera caratteristica distintiva dei Dolphin, per
battelli di questa categoria, è costituita dai ben dieci tubi lanciasiluri inseriti nella sezione di
prua. Sei di questi sono da 533 mm e sono utilizzati sia per il lancio dei siluri pesanti in
dotazione sia per i missili antinave a cambiamento d’ambiente Harpoon. Gli altri quattro
sono, invece, tubi da 650 mm e vengono impiegati sia per il lancio di Swimmer Delivery
Vehicles (SDV) – per l’inserimento di team di operatori delle forze speciali - sia per il lancio
di missili da crociera land-attack a cambiamento d’ambiente caricati con testate nucleari. Si
tratterebbe in dettaglio di un variante appositamente modificata per essere lanciata da un
sottomarino – SLCM (Submarine Launched Cruise Missile) - del missile stand-off aria-
superficie Popeye Turbo. Quest’ultimo avrebbe una gittata di 1.500 km ed una testata
nucleare da 200 kg ed assicurerebbe, così, una capacità di “second strike” ad Israele
rendendone il dispositivo nucleare realmente credibile.
11 Entrambe le classi, di cui si sa relativamente poco, sono di produzione tedesca e si basano su un progetto
derivato dal Type 209. Notevole è tuttavia il contributo dell’industria israeliana per la fornitura e l’installazione di sistemi elettronici e sensoristici rigorosamente nazionali.
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Il panorama esclusivamente mediterraneo si chiude con la Marina Egiziana, che ha
già ricevuto due dei quattro Type 209 migliorati ordinati alcuni anni fa dalla Germania. I
quattro battelli dovrebbero essere operativi nel 2020 affiancando e progressivamente
sostituendo i quattro Romeo ammodernati tuttora in servizio.
Nel Golfo Persico gli sviluppi più preoccupanti in campo subacqueo sono quelli portati
avanti dall’Iran12. La Marina iraniana può contare su tre Kilo 877 acquistati negli anni
novanta dalla Russia. Questi battelli sono stati ammodernati a partire dalla metà degli anni
duemila e dovrebbero oggi impiegare anche i siluri super-cavitanti VA-111 Shkval o una loro
variante di concezione locale denominata Hoot. Tuttavia, la vera forza dell’Iran in campo
subacqueo è rappresentata dai sottomarini di tipo midget o costieri. E’, infatti, proprio in
questo settore che l’Iran ha fatto i progressi maggiori, grazie all’assistenza della Corea del
Nord, ma anche all’expertise accumulata dall’industria locale. La Marina e la Componente
navale dei Pasdaran hanno a disposizione tre classi di midget: la Yugo/Yono, importata
dalla Corea del Nord, la Ghadir e la Nahang, queste ultime due di produzione locale.
Si tratta di battelli via, via più prestanti e performanti in termini di capacità di trasporto di
incursori, autonomia e sensoristica. A queste tre classi si è affiancata anche la classe Fateh,
che, nei fatti, costituisce un’evoluzione più pesante e prestante della classe Ghadir. I Fateh
sono accreditati di un dislocamento in immersione di 600 t ed una profondità operativa
massima di 250 m. L’incremento delle dimensioni ha permesso di dotare i battelli di quattro
tubi lanciasiluri da 533 mm e degli spazi necessari per ospitare fino a otto ordigni di ricarica.
Non è, tuttavia, noto il numero dei battelli di tale classe in servizio
Un altro sviluppo molto interessante nel settore dei sottomarini è la classe
Qaem/Besat, anche questa prodotta localmente. Al momento pare che della classe Qaem
sia in servizio un battello e che un altro sia in costruzione. Su questo punto, però, a livello
OSINT non c’è uniformità di valutazione. Delle sue caratteristiche si sa molto poco. Alcune
fonti lo considerano un battello “semi-pesante”, accreditandolo di un dislocamento
nell’ordine delle 1.200 tonnellate, ma altre lo ritengono un’ulteriore evoluzione dei Ghadir.
12 Gli embarghi e l’isolamento internazionale hanno limitato drasticamente l’accesso al mercato dell’export
ed ai principali fornitori di hardware militare costringendo l’Iran a fare affidamento soprattutto sulle capacità dell’industria nazionale e sul contrabbando. Gli unici paesi esteri che mantengono canali di fornitura militare istituzionalizzati con l’Iran sono Cina e Corea del Nord, mentre il supporto russo è sempre legato alle congiunture politiche ed al reale stato dei rapporti tra Mosca e Washington, anche se, dopo l’accordo sul nucleare del 2015, Mosca ha ripreso le forniture militari su larga scala tanto che non si può escludere che queste riguardino ad un certo punto anche nuovi sottomarini. Detto ciò, Teheran ha dovuto affidarsi soprattutto sulla propria industria nazionale che si è specializzata nella realizzazione di parti e componenti da utilizzare per l’ammodernamento dei sistemi e dei mezzi ereditati dai tempi dello Scià e di origine principalmente occidentale. Oggi l’industria iraniana produce un po’ di tutto: navi, sottomarini, missili o siluri. E, nonostante la qualità non sia propriamente eccelsa, l’Iran ha iniziato a creare una base industriale ed un expertise che non possono comunque essere sottovalutati.
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Personalmente, lo riteniamo un tentativo di sviluppare una soluzione intermedia tra i midget
e i Kilo, dunque una classe con caratteristiche diverse da quelle della famiglia Ghadir, e il
dislocamento nell’ordine delle 1.000 tonnellate potrebbe essere un numero credibile.
I progressi iraniani hanno acceso anche nell’Arabia Saudita e nell’alleato emiratino un
forte interesse per l’acquisizione di capacità sommergibilistiche. Tuttavia, tali sforzi non si
sono finora concretizzati e difficilmente lo saranno pure nei prossimi anni considerando i
limiti di capitale umano e industriali13 dei due Paesi in questione. Detto ciò, la competizione
sempre più accesa tra Arabia Saudita e Iran potrebbe nel prossimo futuro portare ad un
conflitto regionale su più larga scala dopo quelli combattuti finora per procura, prima in Siria,
con la sostanziale sconfitta dei proxi di Riad, e poi in Yemen, dove da mesi ormai si assiste
ad un’inconcludente fase di stallo. Uno scenario del genere, nel cui ambito non è escludibile
a priori pure una partecipazione di Israele, che ha legami non ufficiali sempre più forti tanto
con gli EAU quanto con l’Arabia Saudita, potrebbe avere una dimensione navale molto
pronunciata14 in considerazione della strategicità del Golfo Persico e dello Stretto di Hormuz.
In tale ottica, la strategia navale iraniana prevede esplicitamente l’ostruzione dello Stretto di
Hormuz mediante sia l’uso di imbarcazioni veloci armate di missili da crociera sia l’uso dei
sottomarini, ideali per operare nelle acque basse che caratterizzano questo specifico
scenario.
13 E di cultura industriale. 14 Si ricordi a tal proposito la Guerra Iran-Iraq e la guerra cosiddetta guerra delle petroliere.
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2. La cantieristica internazionale e la produzione di sottomarini
2.1 I produttori europei ed occidentali
Europa e Stati Uniti hanno un’industria cantieristica militare molto forte e sviluppata,
ma mentre la prima è presente sia sul piano nazionale che su quello dell’export, la seconda
lavora ormai da anni quasi esclusivamente per il mercato nazionale. Il settore europeo è
basato su singoli poli nazionali – italiano, britannico, francese, spagnolo, tedesco, svedese
e olandese, quelli principali – che, assieme alla cantieristica russa (ed in anni più recenti
cinese), si contendono sostanzialmente il mercato internazionale, sia quello delle unità di
superficie – dalle motomissilitiche fino alle navi anfibie – sia quello dei sottomarini. Per
quanto riguarda le capacità cantieristiche riguardanti lo sviluppo e la realizzazione di
sottomarini, gli attori principali in Europa sono Germania, tuttora leader di mercato, e
Francia, ma anche altri Paesi quali Svezia e Olanda, soprattutto la prima, hanno capacità
molto importanti e strutturate nel settore. Un discorso a parte meritano poi il Regno Unito,
che non produce più sottomarini convenzionali, e l’Italia, a cui è dedicato il core del presente
studio.
Nel quadro complessivo dell’industria cantieristica navale europea, la Francia è
certamente il Paese in cui lo Stato mantiene il controllo più ampio e diretto sul settore, sia a
livello di proprietà che di direzione generale. La ex Directions des Constructions Navales
(DCNS), adesso Naval Group, è controllata dallo Stato francese con il 63% - mentre Thales
detiene il 35% - ed è il principale soggetto cantieristico francese. Naval Group dispone di 4
principali siti cantieristici in Francia: Brest (unità di grandi dimensioni, allestimenti e
approntamento operativo), Cherbourg (sottomarini), Lorient (naviglio di superficie) e Tolone
(manutenzione e riparazioni). L’azienda francese, assieme alla TKMS tedesca ed alla
cantieristica russa, di cui parleremo a breve, monopolizza il mercato dei sottomarini
convenzionali, ma lavora anche per la Marina francese alla quale fornisce i sottomarini a
propulsione nucleare. Al momento Naval Group sta lavorando alla realizzazione di sei
sottomarini a propulsione nucleare d’attacco classe Suffren per la Marina francese (progetto
Barracuda) - con il primo battello in costruzione per consegna nel 2019 e gli altri a seguire
entro il 2027, che rimpiazzeranno gli attuali e meno prestanti/capaci Rubis - e sta fornendo
assistenza ai cantieri indiani per la costruzione su base locale di sei sottomarini tipo
Scorpène (Project 75, classe Kalvari)15.
15 Scorpene esportati anche in Cile e Malesia.
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A questi programmi bisogna aggiungere l’importante contratto con la Marina Brasiliana,
gestito tramite la Itaguai Construçoes Navais (controllata al 41% da Naval Gorup e al 59%
dalla brasiliana Odebrecht). Questo comprende la realizzazione di un nuovo cantiere navale
responsabile per la costruzione di 4 sottomarini convenzionali (classe Riachuelo), basasi su
un’evoluzione del design degli Scorpene, nonché il trasferimento di tecnologie per la
costruzione di un SSN (SN-10 Alvaro Alberto, progetto però ritardato a seguito della crisi
economica e dei relativi tagli) e della futura nuova base navale per questi battelli. Infine, va
citato il più recente programma per la fornitura alla Royal Australian Navy di ben 12 grandi
sottomarini da 4.500 t, che saranno costruiti in Australia, derivati dalla classe
Shortfin/Barracuda, ma con sistema di propulsione convenzionale (presumibilmente
caratterizzato da un nuovo AIP sviluppato sempre dalla società francese). Nella gara
australiana, Naval Group ha battuto la concorrenza dei principali costruttori europei e del
Giappone. Al di fuori di Naval Group, gli altri 2 cantieri francesi attivi anche nel militare, CMN
e Chantiers de l’Atlantique (quest’ultimo, dopo il fallimento della controllante coreana STX
era stato acquisito da Fincantieri, ma lo Stato francese ha bloccato l’operazione ed ha
rinazionalizzato il cantiere), non hanno competenze nel settore subacqueo/sottomarino.
Il nucleo principale delle attività cantieristiche tedesche nel settore navale è
rappresentato attualmente dalla ThyssenKrupp Marine Systems (TKMS), creata nel 2005 in
seguito all’acquisto da parte del conglomerato ThyssenKrupp, che già deteneva il controllo
del cantiere Blohm+Voss, della Howaldtswerke-Deutsche Werft. In seguito ad una
riorganizzazione interna nel 2009, la TKMS è posseduta al 100% dalla ThyssenKrupp e
viene gestita non più come società a sè stante ma come Business Unit, all’interno della
Business Area Industrial Solutions, che a sua volta controlla tre Operating Units responsabili
rispettivamente per il naviglio di superficie (ex-B+V, con cantieri a Kiel, Amburgo e Emden),
i sottomarini (ex-HDW, con cantiere a Kiel), e i servizi di assistenza clienti, con un totale di
circa 3.700 dipendenti. La TKMS16 mantiene inoltre il 24,9% del pacchetto azionario della
Hellenic Shipyards greca, mentre il cantiere Nordseewerke di Emden ha cessato le proprie
attività nel 2010 e la Kochums è tornata sotto controllo svedese.
Il settore dei sottomarini è stato tradizionalmente trainante per la cantieristica tedesca
che ha sempre mantenuto una leadership mondiale a livello di mercato e di progetto. Il Type
209 per decenni ha rappresentato “il” sottomarino da esportazione a livello mondiale (63
battelli ordinati da 13 Paesi) e la sua ennesima evoluzione è come abbiamo visto in
16 Al di fuori del perimetro TKMS, in Germania la presenza cantieristica-militare più significativa è costituita
dalla Lürssen-Werft GmbH di Vegesak, con oltre 1.600 dipendenti suddivisi tra sei cantieri e attività che coprono sia il settore civile dei grandi yacht, sia quello di motovedette e unità da pattugliamento.
30
produzione/consegna – in numero quattro esemplari – per la Marina egiziana e pure per
l’Indonesia – tre battelli – attraverso la sudcoreana Daewoo. Il successore Type 214 ha già
ottenuto importanti successi sul mercato con quattro sottomarini per la Grecia (tutti in
servizio), due per il Portogallo (ufficialmente definiti Type 209PN, ma di fatto Type 214, in
servizio), nove per la Corea del Sud (come discuteremo più avanti) e, come già ricordato,
sei per la Turchia. E’ importante notare come di questo totale di 21 Type 214, solo tre siano
stati costruiti in Germania, mentre tutti gli altri sono stati realizzati o sono in realizzazione
nei Paesi in questione su licenza. Al di fuori di questa serie principale, vi sono poi i progetti
“speciali” come i Type 212 (sei per la Marina tedesca e quattro per quella italiana con l’ultimo
battello, il Romeo Romei, consegnato a maggio 2017), i Type 218 SG per Singapore (due
unità da consegnare nel 2020) ed i segretissimi Dolphin per Israele.
Proseguiamo questa panoramica con la Gran Bretagna. La gran parte della
cantieristica militare britannica è concentrata nella BAE Systems Maritime, una società
sussidiaria della BAE Systems plc. La BAE Systems Maritime è organizzata in 3 divisioni
(Naval Ships, Submarines and Maritime Services), e ha circa 7.000 dipendenti suddivisi tra
tre cantieri: Scotstoun e Govan, ambedue sul fiume Clyde a Glasgow (navi di superficie), e
Barrow-in-Furness (Inghilterra, sottomarini). Al momento una delle caratteristiche della
cantieristica britannica è la dipendenza dal mercato interno, e dalla Royal Navy, e la
completata assenza dell’export visto che l’ultimo contratto importante è stato quello per le
tre corvette della classe Khareef per la Marina dell'Oman (contratto peraltro “ereditato” dalla
Vosper Thornycroft), completate nel 2013-1417. In campo sottomarino, BAE Systems sta
lavorando attualmente alla realizzazione dei nuovi SSN classe Astute – tre battelli in
servizio, uno varato nella primavera del 2017 ed altri tre in costruzione con consegne a
partire dal 2020 – ed alla progettazione, nell’ambito di un programma congiunto con la
cantieristica americana regolato nel quadro degli accordi di Nassau del 1962, degli SSBN
che rimpiazzeranno i Vanguard attualmente in servizio.
Una menzione particolare merita anche la multinazionale Babcock che controlla i
cantieri di Rosyth (Scozia) e Devenport (Inghilterra) e gestisce la base navale di Clyde
(Scozia), sede della flotta sottomarina strategica della Royal Navy. Rosyth, oltre che nella
costruzione delle nuove portaerei classe Queen Elizabeth, è pura coinvolta nel refitting e
nel decomissionamento dei sottomani della Ropyal Navy18.
17 BAE Systems è in gara in Australia e Canada con le fregate di nuova generazione polivalenti Type 26. 18 Come abbiamo visto, tutti i siti cantieristici con esperienze e capacità nel settore navale (l’unica eccezione
è Barrow-in-Furness) sono situati in Scozia, anche se la proprietà risiede altrove, per cui un'eventuale uscita della Scozia dal Regno Unito come conseguenza della Brexit, potrebbe avere gravi ripercussioni sulla cantieristica britannica al punto che Londra si troverebbe di fatto priva di un’industria cantieristica
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Altri due player europei importanti nella cantieristica, con competenze subacquee,
sono Svezia e Spagna. Il caso svedese è indicativo su come i Paesi considerino strategico
il settore della cantieristica. In Svezia è attivo il cantiere Kochums di Malmö, specializzato
in motovedette, corvette e, soprattutto, sottomarini. Fino al 1999, il cantiere era controllato
dallo Stato svedese dopodiché il controllo passò alla tedesca HDW. A questo punto, però,
per Kochums iniziarono immediatamente i problemi e le difficoltà con forti disaccordi tra la
proprietà tedesca e la FMV (l’Agenzia che si occupa del materiale militare per le FA svedesi)
a proposito sia della gestione del programma A-26 (i nuovi sottomarini per la Marina
Svedese) sia, più in generale, a proposito di tutta la politica industriale (la TKMS voleva far
uscire la Kockums dal settore dei sottomarini di medie dimensioni per farla concentrare
esclusivamente sul business dei battelli costieri) e commerciale. La situazione si aggravò a
partire dal 2011 e solo nel 2014 la crisi fu superata con la rinazionalizzazione del cantiere e
la sua acquisizione da parte del colosso svedese aerospaziale Saab. La nuova Saab
Kockums AB ha così immediatamente ricevuto un nuovo contratto per due battelli A-26, da
consegnarsi entro il 2022, più un terzo in opzione. In Spagna, il principale player
cantieristico-militare è Navantia, realtà completamente controllata dalla holding di stato
spagnola SEPI (Sociedad Estatal de Participaciones Industriale,) e attiva in tre aree
cantieristiche principali (El Ferrol, Cadice e Cartagena). Navantia dispone di un buon
portafoglio di ordini sia nazionali che all’esportazione, che ne fanno senza dubbio la struttura
di maggior successo nel quadro dell’industria della Difesa spagnola. Tra i successi
dell’azienda sul mercato internazionale, ricordiamo quelli in Australia – per
cacciatorpediniere e unità anfibie – Norvegia – fregate - e Turchia – con il deisgn della nuova
unità anfibia Anadolu. L’unico neo è rappresentato dal settore dei sottomarini, dove la fine
della partnership con Naval Group (che evidentemente andava stretta credendo di poter
proseguire in autonomia sia per quanto riguarda le necessità nazionali che per
l’esportazione) si è rivelata una scelta fallimentare. Il programma per i quattro battelli della
serie S-80 (classe Isaac Peral, ordinati nel lontano 2004), infatti, è stato costretto a tutta una
serie di riprogettazioni e modifiche, con relativi ritardi, a seguito della scoperta di gravi difetti
di progetto che hanno potuto essere superati solo con l’assistenza dell’americana General
Dynamics Electric Boat. Al momento è prevista la consegna di un solo battello, mentre le
attività sugli altri tre sono state sospese.
navale nazionale, e dovrebbe o ricostituirla, o acconciarsi a far costruire le unità della Royal Navy “all’estero”.
32
Infine, una menzione meritano anche Olanda e Grecia. In Olanda, il soggetto di
riferimento è Damen Schelde Naval Shipbuilding, risultato di un lungo e complesso processo
di acquisizioni e fusioni che ha portato alla concentrazione di tutte le attività di costruzioni
navali in Olanda all’interno del gruppo Damen.
Il cantiere mantiene un ricco portafoglio di unità navali sia per le esigenze della Marina
Olandese sia per il mercato dell’export. Per quanto riguarda proprio l’export, i successi di
Damen sono dovuti ad un’accorta politica di costruzioni su licenza e di trasferimento di
tecnologie facilitata dalle dimensioni e dalle diramazioni internazionali del gruppo Damen,
che in aggiunta a 15 cantieri in Olanda ne controlla 17 all’estero. Con la consegna dell’unità
da appoggio Karel Doorman, impiegata sia dalla Marina Olandese sia da quella Tedesca,
la Damen Schelde non è, tuttavia, più impegnata in alcun programma di nuove costruzioni
per la Marina Olandese, e non lo sarà sinché non prenderanno forma i programmi per la
sostituzione delle due fregate Karel Doorman (verso il 2023) e dei sottomarini della classe
Walrus (verso il 2025). A proposto di sottomarini, anche l’Olanda potrebbe rientrare in un
grande programma congiunto europeo per l'acquisizione di nuovi battelli, basati su
un’evoluzione del design Type 212, assieme a Italia, Germania e Norvegia. Un’eventualità
di cui parleremo abbondantemente nel prossimo capitolo.
In Grecia, invece, la grave crisi economica che ha colpito il Paese ha portato al collasso
anche il cantiere Hellenic Shipyards S.A. di Skaramangas. Quest’ultimo è sempre stato il
polo principale per la costruzione di naviglio militare di tutti i tipi per la Marina greca, tra cui
ad esempio, negli anni ’90, le fregate classe Hydra basate sul design tedesco Meko 200. Il
cantiere, come già accennato, venne acquistato nel 2002 da un gruppo di investitori
tedeschi, guidati dall’allora HDW, nel quadro dell’accordo complessivo per la costruzione su
licenza dei sottomarini Type 214 (classe Papanikolis) – accordo che, secondo voci
dell’epoca, comprendeva un impegno da parte della HDW a mantenere i livelli occupazionali
preesistenti, almeno sino al completamento del programma Papanikolis. Nel 2010/2011, nel
pienod ella grave crisi che ha colpito la Grecia, Abu Dhabi Mar ha acquisito il controllo
(75,1% del pacchetto azionario) di Hellenic Shipyards, mentre il 24,9% è rimasto nelle mani
di TKMS.
Hellenic Shipyards attualmente ha circa 1.300 dipendenti (erano oltre 7.500 negli anni
’70), e con la recente consegna dei due ultimi sottomarini della classe Papanikolis non
dispone più di alcun carico di lavoro per quanto riguarda le nuove costruzioni nel settore
navale, né al momento sembrano emergere progetti concreti in chiave futura.
Spostandoci dall’Europa agli USA, l’analisi cambia decisamente i propri contenuti.
33
Sì perché la cantieristica americana ha due caratteristiche fondamentali alle quali in parte
abbiamo già accennato.
La prima è che questa “lavora” quasi esclusivamente per il mercato interno e l’US Navy19 e,
pertanto, ha una dimensione, in termini fisici e non solo, attagliata alla produzione di unità
molto grandi. La seconda caratteristica è che la cantieristica americana non produce più da
decenni sottomarini a propulsione convenzionale essendosi specializzata sui più grandi
battelli a propulsione nucleare.
I due principali player nazionali sono Huntington Ingalls Industries (HII) e General
Dynamics Marine Systems. HHI, spinoff del colosso Northrop Grumman (di cui era
divisione/business unit fino al 2011 prima, appunto, della separazione), comprende due poli
cantieristici. Il primo è quello di Newport News, in Virginia, specializzato nel design e nella
costruzione di portaerei a propulsione nucleare (classe Gerald Ford), e nella realizzazione
di sottomarini e parti di sottomarino. Il secondo polo è quello di Pascagoula, nel Mississippi,
specializzato nella produzione di unità anfibie (classe America) e di superficie (DDG Arleigh
Burke), e di unità per la Guardia Costiera.
General Dynamics Marine Systems, parte del colosso General Dynamics, è
organizzato su due strutture20: Electric Boat e Bath Iron Works. Electric Boat ha cantieri a
Groton, nel Connecticut, e Quonset Point, Rhode Island, con un centro di eccellenza di
progettazione a New London, sempre nel Connecticut. Electric Boat è il principale polo
americano per la progettazione e la realizzazione dei sottomarini. A Bath Iron Works, invece,
nel Maine, sono concentrate la progettazione e la produzione di cacciatorpediniere – Arleigh
Burke – una parte delle quali prodotte come abbiamo appena visto anche a Pascagoula –
e Zumwalt (DDG-1000).
Per quanto riguarda le competenze nel campo dei sottomarini, oltre a quello che
abbiamo già accennato c’è solo da aggiungere che le competenze di progetto sono
concentrate soprattutto su Electric Boat mentre quelle costruttive sono suddivise tra la
stessa Electric Boat e Newport News. A partire dal programma per la realizzazione dei nuovi
SSN classe Virginia, infatti, per mantenere una base industriale solida ed omogenea, è stato
deciso di suddividere il programma tra i due player di Electric Boat e Newport News. In
particolare, è stato adottato il seguente schema. Electric Boat è la società incaricata del
19 Fa eccezione la recente commessa per quattro fregate leggere multimissione per l'Arabia Saudita.
Commessa che, tuttavia, al momento della stesura di queste note non era ancora stata formalizzata. Tali navi saranno, oltretutto, prodotte nei cantieri Marinette Marine di Fincantieri nel Wisonconsin.
20 A queste bisogna aggiungere NASSCO (National Steel and Shipbuilding Company), con cantieri a San Diego, Norfolk e Mayport, specializzata nella produzione di navi ausiliare e di supporto per l'US Navy, oltre che nella realizzazione di navi commerciali.
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progetto e contraente principale, ed è responsabile per la realizzazione dei locali del sistema
propulsivo, della camera di manovra e della sezione centrale del battello. A ciò bisogna
aggiungere l’assemblaggio dei battelli caratterizzati da distintivo ottico pari (partendo dal
774 dell’unità capoclasse). Newport News, invece, ha la responsabilità per la realizzazione
della falsa torre, delle sezioni prodiera e poppiera, dei locali dell’equipaggio, del locale del
reattore nucleare, del locale dei tubi lanciasiluri e dei macchinari ausiliari. A Newport News
compete poi la costruzione dei battelli con distintivo ottico dispari. Questa suddivisione ha
fatto sì che l'intero programma Virginia alla fine sia risultato uno dei più virtuosi fra quelli
intrapresi dall’US Navy e dalle altre Forze Armate statunitensi.
Per questa ragione, l’US Navy ha deciso di adottare il medesimo schema anche per i
nuovi SSBN classe Columbia. Electric Boat è, difatti, il prime contractor e la main design
authority, mentre Newport News è responsabile per la realizzazione di sezione poppiera e
prodiera, sovrastuttura, moduli per i sistemi d’arma e sala macchine ausiliaria (la
realizzazione delle restanti componenti è di competenza Electric Boat).
2.2 La cantieristica russa e la produzione di sottomarini
La cantieristica militare russa è oggi l’unico vero concorrente dei produttori europei nel
campo dei sottomarini. Il comparto ha attraversato nell’ultimo trentennio almeno tre fasi
distinte. La prima, coincisa con il crollo dell’URSS, contraddistinta dalla grave crisi e dal
declino. Solo per fare un esempio, negli anni ‘90 la Marina riceveva annualmente il 12-15%
di quanto richiedesse per tenere in efficienza la flotta e rimpiazzare le unità obsolete, mentre
nei primi anni duemila si stima che delle circa 300 unità in organico solo il 15% fosse in
grado di prendere il mare per mancanza di manutenzioni. Quasi inesistenti i nuovi ingressi
in servizio, con molte navi in costruzione abbandonate sugli scali dalla fine degli anni ‘80.
Dalla metà degli anni duemila, però, la situazione è cambiata notevolmente e si è assistito
alla ripresa, coincisa con l’ascesa al potere di Vladimir Putin e con l’incremento dei prezzi
degli idrocarburi (seconda fase). In questi anni sono ripartite le produzioni, sono stati lanciati
nuovi grandi programmi di ammodernamento e revisione, e si è riavviato un processo di
trasformazione per la razionalizzazione di tutto il comparto. Questo percorso è stato però
interrotto negli ultimi 2-3 anni (terza fase) a causa delle vicende seguite all’annessione della
Crimea ed al conflitto nel Donbass, con la coda delle sanzioni occidentali, e del crollo del
prezzo degli idrocarburi. La cantieristica ne ha risentito particolarmente anche perché in
breve tempo sono venuti a mancare capitali occidentali, affluiti negli anni precedenti, e,
35
soprattutto, l’apporto dell’industria ucraina dal quale la cantieristica russa è stata
tradizionalmente dipendente in alcuni settori, a cominciare dalla propulsione. Per intendersi,
il Ministero delle Finanze russo ha stimato che creare dei sostituti ai prodotti del settore
difesa precedentemente importati dall’Ucraina sarebbe costato alla Russia in spese di
ricerca e sviluppo circa 1,5 miliardi di dollari, mentre per emanciparsi completamente dalla
dipendenza ucraina occorrerebbe almeno un decennio.
Il settore, pertanto, oggi si trova nel mezzo ad un guado, con una razionalizzazione
incompiuta ed un rallentamento dovuto alla perdita di preziosi segmenti industriali.
Attualmente questo comprende tra i 70 e gli 80 cantieri navali. I principali sono raggruppati
su cinque poli cantieristici - Kaliningrad, San Pietroburgo, Murmansk/Arcangelo, Vladivostok
e Sebastopoli - raggruppati nella mega holding United Shipbuilding Corporation (USC).
Il polo di San Pietroburgo è il più importante del Paese: da solo produce il 30%
dell’intera produzione nazionale ed esaurisce il 70% delle esportazioni. Esso comprende 23
cantieri navali e circa 20 aziende che si occupano di ricerca, sperimentazione, design e
sviluppo. I cantieri più importanti sono Severnaya Verf, Baltic Zavod, Admiralty Verf, Almaz
e Sredne-Nevsky.
I cantieri Admiralty sono oggi il principale centro di produzione russo per i sommergibili
a propulsione convenzionale. Comprendono nove scali, di cui due scoperti e sette coperti.
I principali ordini di Admiralty nel settore militare sono rappresentati dai sottomarini Project
677 classe Lada, per la Marina Russa, e dai Project 636.3 classe Varshavyanka. Per quanto
riguarda i Varshavyanka, oltre ai sei battelli in servizio con la Flotta del Mar Nero, è in
costruzione una seconda serie che sarà consegnata a coppie nel 2019, 2020 e 2021 alla
Flotta del Pacifico (Tikhookeanskiy flot).
Il polo di Kaliningrad si basa soprattutto su tre cantieri: Yantar, JSC 33 e Svetlovsky
ERA. La punta di diamante è Yantar, la cui specialità sono le fregate, unità molto importanti
nello schieramento russo del futuro e per l’export.
Di particolare interesse anche il polo di Murmansk/Arcangelo, in particolare per ciò che
concerne il supporto delle unità. Il soggetto più importante in questo settore è il complesso
Zvezdochka, comprendente diversi cantieri e aziende, che è responsabile per
l’aggiornamento degli SSN classe Akula21. Zvezdochka, con i cantieri controllati Nerpa e
Skrva, si occupa anche del supporto, della manutenzione e del rifornimento dei sottomarini
a propulsione nucleare della Flotta del Nord, nonché del loro smantellamento.
21 L'aggiornamento comprende l’adozione del missile Kalibr e di nuovi siluri, nuova elettronica, radar
aggiornati e nuovo CMS.
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Da menzionare, anche l’azienda cantieristica NIPTB Onega che si occupa del riallestimento
– oltre che dello smantellamento – sia di unità di superficie che di sottomarini e funge inoltre
da design bureau per Zvezdochka.
Il polo di Murmansk/Aracangelo annovera anche l’unico costruttore russo di
sottomarini nucleari, ovvero il cantiere di Sevmash, che possiede i più grandi scali coperti
del Paese (circa 100.000 mq) e può impostare unità con dislocamento massimo di 100.000
t. Non a caso nel cantiere è stata condotta la trasformazione della portaerei indiana Admiral
Gorshkov, mentre è attualmente in corso l'ammodernamento dell'incrociatore da battaglia
Admiral Nakhimov, classe Kirov (Project 1144). Per ciò che concerne i sottomarini, il
cantiere ha la responsabilità per i programmi dei nuovi SSBN Project 955 Borei e dei nuovi
SSN Project 885 Yasen. I Borei andranno a sostituire, nelle intenzioni, una decina di unità
classi Delta III e Delta IV, gli unici SSBN rimasti dopo la radiazione dei Project 941 Typhoon
(ad eccezione del Dmitriy Donskoy, ancora in servizio per scopi sperimentali). Il capoclasse
Yury Dolgorukiy è già in servizio con la Flotta del Nord; l’Alexander Nevsky e il Vladimir
Monomakh sono invece schierati con la Flotta del Pacifico. Il Knyaz Vladimir dovrebbe
raggiungere la Flotta del Pacifico nel 2018. Il battello rappresenta il primo della serie
migliorata Project 955A Borei II. In totale, la classe Borei comprende otto battelli.
Per quanto riguarda il Project 885 Yasen, progetto che avrebbe dovuto portare al
rimpiazzo di circa 18 battelli classi Akula (I, II, e III) e Oscar II, i ritardi lo stanno
condizionando fortemente. Il capoclasse Severodvinsk, varato nel 2013, è stato afflitto da
numerosi “problemi di dentizione” ed è stato dichiarato operativo solo nell’autunno 2016 con
la Flotta del Nord. Il programma, che inizialmente prevedeva 12 battelli, si fermerà
verosimilmente a sette. Il secondo Yasen, il Kazan, dovrebbe essere consegnato nel 2018
con una configurazione più evoluta, che maturerà ulteriormente con gli esemplari restanti.
Chiudiamo questo paragrafo con il polo di Vladivostok/Orientale, senz'altro il meno
interessante ai fini di questa ricerca considerando che si tratta pure di un conglomerato che
paga si soprattutto la collocazione ed il minore livello di sviluppo rispetto alle altre parti della
Russia. Nel settore militare i cantieri sono pochi, meno moderni di quelli situati nella Russia
occidentale, e dispersi su un territorio vasto. A Vladivostok, i cantieri per costruzioni militari
degni di nota sono Vostochnaya, Dalzavod e Fes Zvezda, mentre gli altri cantieri notevoli
della Russia orientale, Amur e Khabarovsk, si trovano molto più a nord, nell’Oblast di
Khabarovsk.
Amur è il principale costruttore di unità militari della Russia orientale. Di solito si occupa
di costruire le unità progettate ad ovest, ma che devono servire con la Flotta del Pacifico.
37
La sua specializzazione sono le corvette (anche se il cantiere può impostare ed allestire
unità con dislocamento massimo di 25.000 t) e l'aggiornamento dei sottomarini
convenzionali. In particolare, Amur si sta attualmente occupando dell’update dei Project 877
Kilo, visti i ritardi del programma Lada e in attesa dei Varshavyanka. La scarsità di risorse
rende anche questo ammodernamento particolarmente lento ed è ragionevole ritenere che
possa protrarsi per diversi anni22.
2.3 Gli altri
In chiusura di questo capitolo ci sembrava giusto dedicare un po' di spazio anche a
Cina, Corea del Sud e Giappone: tre Paesi con imponenti comparti cantieristici ed importanti
competenze nel campo dei sottomarini che stanno iniziando a farsi sentire anche sul
mercato internazionale.
La cantieristica cinese, come del resto ogni altro settore dell’economia del Paese, ha
conosciuto nell’ultimo trentennio una crescita ininterrotta fino alle ragguardevoli dimensioni
di oggi. La crescita ha interessato sia il settore civile sia quello militare. In campo civile, la
cantieristica cinese negli anni ottanta produceva semplicemente navi a bassa complessità,
piccole petroliere e cargo da trasporto generale. Via, via però il settore nell’arco di un
ventennio è arrivato a produrre Very Large Crude Carriers (VLCCs), grandi navi
portacontainer, porta-LNG (Liquefied Natural Gas) e così via. Analoga crescita ha
interessato il settore militare che è passato nello stesso arco di tempo dalla produzione di
unità di piccolo-medio tonnellaggio, alla produzione di unità di superficie e subacquee
sempre più grandi e preformanti, fino alle portaerei ed ai "super-incrociatori" attualmente in
fase di realizzazione. Parallelamente, il settore si è via, via emancipato dalla tradizionale
dipendenza dalla Russia raggiungendo un buon livello di autonomia (le criticità maggiori
riguardano ancora la propulsione e la sensoristica).
Ad oggi, il comparto è strutturato sui due grandi colossi di stato China State
Shipbuilding Corporation (CSSC) e China Shipbuilding Industry Corporation (CSIC).
Entrambi le aziende rispondono direttamente al Consiglio di Stato e sono responsabili per
lo sviluppo e la produzione di navi militari e civili/commerciali. La CSSC è, tuttavia,
responsabile per le attività concentrate nella parte meridionale e orientale del Paese, mentre
la CSIC per le attività nella parte settentrionale.
22 Fuori da questi poli, bisogna ricordare Zelenodolsky Plant Gorky, cantiere collocato nel Tatarstan, in pieno
Bassopiano Sarmatico, i cui principali programmi militari riguardano la costruzione delle fregate Project 1166.1 Gepard e delle corvette/FAC Project 21631 Buyan-M.
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I due colossi controllano decine di cantieri, centri di ricerca e progettazione, e società attive
nella realizzazione di sistemi ausiliari e di propulsione, e di altra componentistica varia.
A titolo di cronaca, fuori da queste realtà bisogna ricordare anche la miriadi di cantieri,
il più delle volte attivi nel settore delle riparazioni e del supporto, amministrati dai governi
locali e provinciali, nonché i cantieri, in alcuni casi anche molto grandi, gestiti dalle stesse
compagnie di navigazione. Infine, bisogna annoverare anche i cantieri militari direttamente
controllati dal PLA (People’s Liberation Army) che, a differenza degli altri cantieri statali
cinesi, che ricadono sotto la responsabilità del Consiglio di Stato, rispondono al Dipartimento
Generale degli Armamenti della Commissione Militare Cnetrale (CMC).
Per quanto riguarda le competenze nel campo dei sottomarini, queste sono
concentrate oggi su due realtà principali, Bohai e Wuchang (CSIC), ed una complementare,
Jiangnan (CSSC).
Bohai ad oggi è l’unico costruttore di sottomarini nucleari cinesi. La sua esperienza in
questo settore è iniziata negli anni ottanta con la realizzazione del primo SSBN cinese,
ovvero il Type 092 classe Xia, il cui scafo era derivato dagli SSN Type 091 classe Han
(prodotti a Wuchang). Le attività sono poi proseguite con la produzione dei nuovi SSN Type
093 classe Shang, di cui sono in servizio sei esemplari, e degli SSBN Tipe 094 classe Jin,
di cui sono in servizio quattro esemplari. Il cantiere di Bohai da qualche tempo è interessato
da un grande programma di miglioramento ed ampliamento infrastrutturale, il cui focus è
stata la realizzazione di una nuova grande area produttiva al chiuso, di oltre 430.000 piedi
quadrati (VEDI). Questi lavori si sono resi necessari per consentire la realizzazione delle
due nuove classi di SSN e SSBN - Tipe 095 e Type 096 rispettivamente, che, a partire dal
prossimo decennio, affiancheranno e sostituiranno progressivamente i Type 093 e Type 094
– ed incrementare i ratei di produzione. Al momento, a quanto ci risulta, dovrebbero essere
già iniziate le attività di costruzione sia dell’SSN Type 095, che sarà contraddistinto da un
modulo per il lancio verticale di missili da crociera antinave e land attack, propulsione
pumpjet e maggiore silenziosità, sia dell’SSBN Type 96, che sarà equipaggiato con 24 pozzi
per il lancio degli SLBM Jl-3 (il doppio dei pozzi del Jin).
Wuchang, invece, è specializzato nella produzione di sottomarini a propulsione
convenzionale. Per la verità il cantiere ha anche prodotto negli anni settanta i primi SSN
cinesi, ovvero i Type 091 Han, ma, terminata questa classe, la produzione di sottomarini
nucleari è stata concentrata su Bohai. In campo convenzionale, Wuchang ha progettato e
realizzato i sottomarini classe Ming e Song, ed i più moderni Type 041 classe Yuan,
accreditati da alcune fonti anche di sistema di propulsione indipendente dall’aria.
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Il cantiere ha una capacità di produzione di una media di due sottomarini l’anno, ma in alcuni
anni sono stati prodotti anche tre battelli. Gli Yuan, di cui al momento sono in servizio con
la Marina cinese una quindicina di esemplari, sembrano un progetto molto riuscito e
performante che ha ottenuto, per ora, anche due importanti successi all’export. Dallo Yuan,
infatti, sono state derivate due configurazioni, denominate Type S26T e Type S20, ordinate,
rispettivamente, da Thailandia e Pakistan. Nel primo caso i battelli acquisiti sono stati tre,
tutti da produrre a Wuchang, mentre nel secondo caso si parla di otto battelli: quattro da
produrre a Wuchang ed altri quattro su licenza a Karachi.
Jiangnan, invece, ha il proprio core business nella produzione dei cacciatorpediniere
Type 52C Luyang II e dei più moderni e prestanti Type 52D Kunming. Tuttavia, il cantiere
ha prodotto e produce alcuni battelli convenzionali della classi Ming, Song e Yuan: un modo
per mantenere una base industriali e carichi di lavori equilibrati con Wuchang.
Chiudiamo questo capitolo con un accenno anche a Giappone e Corea del Sud,
entrambe dotati di una robusta industria cantieristica. In Giappone – che di recente ha rivisto
la sua rigida legislazione relativa all’export bellico giungendo a proporre i suoi sottomarini
per l’export, anche se finora senza successo come nel caso dell’Australia – la cantieristica
militare è di competenza principalmente di quattro attori: le divisione navali di Mitsubishi e
Kawasaki Heavy Industries, la Japan Marine United Corporation e la IHI Corporation.
Le capacità di sviluppo e produzione di sottomarini – espresse dalle due classi di sottomarini
Oyashio e Soryu – sono concentrate nelle divisioni cantieristiche dei due colossi Mitsubishi
Heavy Industries e Kawasaki Heavy Industries.
La Corea del sud vanta oggi la principale cantieristica al mondo. Le capacità militari
sono rappresentate principalmente da tre realtà: Hanjin Heavy Industry, Daewoo
Shipbuilding & Marine Engineering (DSME) e dalla Divisione navale di Hyundai Heavy
Industries. Le competenze per la produzione di sottomarini fanno capo a DSME e Hyunday
Heavy Industries che negli anni hanno prodotto su licenza prima i Type 209, classe Chang
Bogo – nove battelli di tre diversi lotti via,via migliorati – e poi i Type 214, classe Son Won-
Il – due lotti da 3 + 6 di cui gli ultimi due/tre ancora da consegnare. Dei primi, DSME ha
acquisito anche la licenza per l'export e ne sta fornendo tre in una variante evoluta alla
Marina Indonesiana.
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3. L'Italia e i sottomarini: industria e programmi
3.1 Le capacità della cantieristica italiana
La maggior parte delle capacità industriali italiane nel settore della cantieristica sia
mercantile che militare sono concentrate nel gruppo Fincantieri, attualmente controllata al
71,6% da Fintecna SpA (controllata a sua volta al 100% dalla Cassa Depositi e Prestiti della
quale l'80,1% appartiene al Ministero dell'Economia e delle Finanze), mentre il resto del
capitale è flottante in Borsa dopo un’operazione di collocazione conclusa negli ultimi anni.
A seguito dell'acquisizione dei cantieri norvegesi Vard, Fincantieri è diventata una delle
maggiori società del settore al mondo (per dimensioni il 4° cantiere al mondo dietro i primi
tre sudcoreani, con quasi 22.000 dipendenti attivi in 21 cantieri in quattro continenti).
In termini organizzativi, le attività militari dipendono dalla Direzione Navi Militari di Genova,
con i due cantieri specializzati di Muggiano (La Spezia, dove avviene la produzione di ) e
Riva Trigoso (Sestri Levante) che, ad oggi, costituiscono il cantiere integrato Muggiano-Riva
Trigoso; la suddivisione del lavoro non è comunque rigida, e Fincantieri ha affidato e affida
costruzioni militari anche ai cantieri prevalentemente civili di Monfalcone, Castellammare di
Stabia, Ancona e Palermo, in base a criteri che possono variare dalle rispettive capacità in
termini dimensionali, ai vari carichi di lavoro ed alla necessità di assicurare i livelli di impiego.
Fincantieri opera attraverso tre principali divisioni:
• Shipbuilding, ovvero la Divisione responsabile per la progettazione e la costruzione delle
varie tipologie di navi prodotte dalla società, sia che esse riguardino il settore militare, sia
quello civile, cui si aggiungono servizi di riparazione e trasformazione navale.
• Offshore, ovvero la Divisione che si occupa della progettazione e della costruzione di
tutta la gamma di mezzi navali dedicati alle operazioni svolte in supporto all’esplorazione
e alla produzione di petrolio e gas naturale (oil & gas) in mare aperto, e dei mezzi di
supporto alle stesse. Questa particolare attività viene principalmente svolta attraverso la
controllata norvegese Vard (che garantisce occupazione a 8.000 dipendenti in quattro
Paesi, nello specifico Norvegia, Romania, Vietnam e Brasile), specializzata nella
progettazione e costruzione di unità navali di alta gamma per il supporto offshore;
• Sistemi, Componenti e Servizi, ovvero la Divisione che raggruppa tutto il business
inerente la realizzazione di strutture e componentistica ad altissima tecnologia, quali
sistemi di stabilizzazione, propulsione, posizionamento e generazione, turbine a vapore,
nonché la fornitura di servizi di supporto logistico e servizi di post vendita.
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Il gruppo si avvale, inoltre, di una rete produttiva distribuita su 20 stabilimenti:
le navi da crociera e i traghetti vengono prodotti principalmente nei poli di Monfalcone
(Gorizia), Marghera (Venezia), Genova-Sestri Ponente, Ancona e Castellammare di
Stabia (Napoli);
le riparazioni e trasformazioni navali si avvalgono dei bacini di Palermo, di Trieste e di
Genova;
le navi militari possono contare come già ricordato sui siti di produzione del Cantiere
Integrato di Riva Trigoso (Genova) - Muggiano (La Spezia) e dei cantieri appartenenti
alla società statunitense Fincantieri Marine Group: Marinette Marine (Marinette, WI,
USA), specializzata nella realizzazione delle Littoral Combat Ship per l’US Navy (cantieri
nel cui adeguamento Fincantieri ha investito quasi 100 milioni di dollari), Bay Shipbuilding
(Sturgeon Bay, WI,USA), specializzata nella realizzazione di draghe, traghetti, chiatte,
chiatte a rimorchio, rompighiaccio e nelle attività di riparazione, e ACE Marine (Green
Bay,WI, USA), specializzata nella produzione di unità in alluminio.
le attività del Gruppo nel segmento sistemi e componenti navali sono svolte
principalmente presso strutture dedicate nel cantiere integrato di Riva Trigoso –Muggiano
per le componenti meccaniche e le turbine, presso gli impianti di Isotta Fraschini Motori
S.p.A, per i motori diesel, e presso Seastema S.p.A., per gli impianti di automazione;
i servizi post vendita hanno sede a Genova;
la produzione di mega-yacht legata al mondo del lusso ha il suo polo principale presso
Muggiano (La Spezia).
Il gruppo Fincantieri attualmente ha una capacità di design e realizzazione di un
portafoglio prodotti ad ampio spettro nel campo delle unità di superficie: dagli OPV, alle
fregate, su fino ad unità d'assalto anfibio e portaerei. Nel campo dei sottomarini, al momento
le capacità riguardano la realizzazione di sottomarini su progetto tedesco, ma l'ambizione
sarebbe quella di tornare quanto prima alla progettazione dei battelli.
I principali programmi in cui l'azienda è coinvolta sono i seguenti. Programmi nazionali:
- Completamento programma fregate antisom e GP (General Purpose) tipo FREMM:
sei unità in servizio e altre quattro in diversi stadi produttivi. La settima unità, la Federico
Martinengo, dovrebbe essere consegnata entro al fine del 2018.
- Programma straordinario di aggiornamento della flotta – "Legge Navale" – nel cui
ambito sono in fase di realizzazione sette Pattugliatori Polivalenti di Altura (PPA) da oltre
6.000 t (su un totale di 10 unità già autorizzate), le cui attività di costruzione sono già partite;
42
un’unità da assalto anfibio tipo LHD da 33.000 t (in costruzione); un’unità LSS da supporto
logistico (in costruzione).
Programmi export:
- Programma Littoral Combat Ship per l'US Navy. In questo caso il prime contractor è
Lockheed Martin, ma Fincantieri fornisce la piattaforma e realizza le navi a Marinette
Marine: quattro unità sono in servizio, una vicina alla consegna, tre in allestimento,
quattro in costruzione e una in ordine. A queste unità bisogna aggiungere le quattro navi
per l'Arabia Saudita basate sempre sul design LCS, il cui contratto però deve essere
ancora firmato.
- Programma per la “costituzione" della flotta della Marina del Qatar23. Si tratta della più
grande commessa all'export mai ricevuta dalla cantieristica militare italiana. Il contratto,
diventato ufficialmente esecutivo a luglio 2017, prevede: la realizzazione di quattro grandi
corvette/fregate leggere (classe Doha) multiruolo da 3.000 t ed oltre 105 m di lunghezza,
e dotate pure di capacità anti-balistiche con i missili Aster 30 Block 1; la realizzazione di
un'unità anfibia tipo LPD simile alla Kaleet Beni Abbes algerina da 9.000 t di dislocamento
e 143 m di lunghezza. Oltre che capacità anfibie, l'unità sarà dotata sempre di missile
Aster 30 Block 1 e di radar early warning a lungo raggio; la realizzazione di 2 corvette
leggere lanciamissili. E’ importante sottolineare che la Marina del Qatar ha intenzione di
“linkare” le fregate leggere e la LPD con i centri a terra per creare una rete anti-balistica
integrata.
Anche al di là del valore complessivo, superiore ai ai 5 miliardi di euro, il contratto del
Qatar è particolarmente importante per tre aspetti:
- Gli ordini coprono unità che non sono in servizio con la MM e che anzi, con l’eccezione
della LPD, esistono solo sulla carta e, di conseguenza, entrano a pieno titolo nel
portafoglio Fincantieri. In più su LPD di questa taglia, e con tali capacità, Fincantieri ha di
fatto un monopolio di mercato su scala mondiale.
- Il contratto è stato ottenuto battendo l’agguerrita e determinata concorrenza francese che
fino all’ultimo ha provato a farlo saltare in tutti i modi.
- In diretto contrasto con le tendenze prevalenti, il contratto non prevede alcuna forma di
costruzione su licenza, e tutte le attività cantieristiche verranno svolte in Italia da
maestranze italiane.
23 Nel programma hanno un ruolo importante anche Leonardo, per la fornitura dei sistemi di combattimento,
e MBDA, per gli equipaggiamenti missilistici.
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Il contratto è garantito a livello governativo da un MOU tra i due Paesi che regola il
complesso della cooperazione e tutti gli aspetti relativi alla formazione ed all’addestramento
del personale – a cura tanto di Fincantieri quanto della Marina Militare – che dovranno, di
fatto, essere creati ex novo.
Prima di chiudere questo paragrafo, altre tre realtà della cantieristica italiana meritano
senz’altro menzione. La prima è l’Intermarine di Sarzana. L’azienda, controllata dal Gruppo
IMMSI, ha avuto per molti anni una presenza dominante sul mercato mondiale delle unità
per la lotta alle mine, con oltre 40 unità realizzate per otto diverse Marine. Attualmente
l’azienda sta lavorando alla fornitura di quattro nuovi cacciamine multiruolo – di cui uno già
consegnato – alla Marina Algerina ed è stata messa sotto contratto, nell’ambito del Piano
straordinario di ammodernamento della flotta, per la costruzione di due unità da appoggio e
infiltrazione super-veloci (UNPAV) per il GOI. Allo stesso tempo, l’azienda sta lavorando allo
sviluppo del nuovo cacciamine per la Marina Militare, noto al momento come COV
(Cacciamine Oceanico Veloce).
Un’altra realtà molto importante è il Cantiere Navale Vittoria di Adria che ha saputo
ritagliarsi una posizione di tutto rispetto nel settore dei pattugliatori, intercettori veloci,
motovedette e unità SAR con dislocamenti fino a circa 500 t. In pratica stiamo parlando di
una tipologia di unità destinate sopratutto a corpi di Polizia Marittima e e Guardia Costiera.
In questi anni ne sono state costruite un centinaio per clienti in Italia, Slovenia, Croazia,
Libia, Malta, Cipro e Tunisia, che le impiegano per compiti come il contrasto
dell’immigrazione clandestina, del contrabbando e del traffico di stupefacenti, del terrorismo
o, ancora, per la protezione ambientale e delle aree di pesca.
Infine, un accenno anche a Ferretti Security and Defence, la nuova Divisione militare
e para-militare del Gruppo Ferretti costituita di recente. La società, che nel settore civile
gode di un’invidiabile posizione come il secondo costruttore di yacht di lusso al mondo, ha
un ampio catalogo di imbarcazioni da intercettazione e pattugliamento che stanno iniziando
a riscuotere l’interesse del mercato soprattutto nel settore governativo e paramilitare.
3.2 La produzione di sottomarini: dai Toti alla classe Sauro
In Italia esiste una grande tradizione nel campo della produzione di sottomarini che
trae la sua origine già nella seconda metà dell’ottocento e che ha attraversato entrambi i
conflitti mondiali. Questa tradizione, interrottasi per gli effetti della sconfitta nella Seconda
Guerra Mondiale, è ripartita a fine anni cinquanta/primi anni sessanta con la classe Toti.
44
I Toti erano sottomarini a propulsione diesel-elettrica costruiti per la Marina Militare
italiana tra il 1965 ed il 1968 ed i primi battelli subacquei costruiti in Italia dopo la fine della
Seconda Guerra Mondiale. La classe – realizzata nei cantieri Italcantieri di Monfalcone24 -
era costituita da quattro battelli di piccole dimensioni – circa 600 t in immersione - il cui
scopo era sorvegliare il passaggio di altri sottomarini nelle acque italiane e, nel caso, di
attaccarli. I battelli si caratterizzavano per una silenziosità notevole per l'epoca, favorita dalle
modeste dimensioni dello scafo, e per essere estremamente manovrabili e veloci in
immersione.
I battelli erano a semplice scafo totalmente saldato, che comprendeva i tubi lanciasiluri
e la garitta d'emergenza, inglobata nella parte anteriore della vela, mentre lo scafo
racchiudeva a prora ed a poppa le casse di zavorra. L'elica a cinque pale era azionata
solamente dal motore elettrico, alimentato dalle batterie in immersione e dai gruppi
elettrogeni in emersione.
L'armamento era costituito da quattro tubi lanciasiluri prodieri per il lancio di siluri
multiruolo antinave-antisommergibile A184 a filoguida e a testa autocercante asserviti a una
centrale di lancio elettronica, prodotta e progettata dalla Fiat Mirafiori. Dai tubi lanciasiluri
potevano essere rilasciate anche mine navali. L'armamento e l'autonomia erano adatti solo
per missioni a medio-corto raggio tanto che ben presto la Marina Militare decise di passare
all'acquisizione di sottomarini più prestanti e capaci, e si giunse così alla classe Sauro (alla
quale vennero trasferite esperienze e peculiarità dei battelli della classe Toti).
I sottomarini della classe Nazario Sauro hanno costituito la classe più numerosa di
battelli costruiti per la Marina Militare Italiana. I battelli sono stati realizzati in otto esemplari
dalla Fincantieri in quattro sottoclassi via, via più evolute, ciascuna costituita da due unità,
a partire dalla seconda metà degli anni settanta. Si tratta di sottomarini a propulsione diesel-
elettrica da quasi 1.900 t in immersione, caratterizzati da uno scafo semplice chiuso da
calotte di estremità con casse di zavorra leggere, poste a prolungamento della prora e della
poppa, e scafo resistente costruito in acciaio HY8025 e suddiviso in due compartimenti stagni
in cui sono ricavati i vari locali di bordo. Rispetto ai Toti, anche in virtù di dimensioni più che
doppie, i Sauro sono in grado di operare in tutto il Mediterraneo e anche oltre.
Il sistema di propulsione è composto da un Motore Elettrico di Propulsione, MEP, che
azione un’elica a sette pale (a basso numero di giri per ridurre le vibrazioni) per mezzo di
24 Le cui maestranze, durante il periodo 1944-45, avevano ottenuto esperienza nella costruzione di alcuni
esemplari tedeschi tipo XXI e XXIII. 25 Con una tensione di snervamento di 80 psi che permette al sottomarino di potere operare fino ad una
profondità di 300 metri.
45
un asse che attraversa lo scafo resistente, due batterie di accumulatori al piombo, che
forniscono l'alimentazione al MEP, e tre gruppi diesel/dinamo che forniscono l'energia
necessaria per ricaricare periodicamente le batterie e che possono essere utilizzate anche
per alimentare direttamente il MEP.
Originariamente erano previste due sole unità classe Sauro, tuttavia ben presto, grazie
ai fondi della Legge Navale del 1975, venne finanziata anche una seconda serie di due
battelli identici ai primi due.
Agli inizi degli anni ottanta, poi, partì anche una Terza Serie, nata prevalentemente per
costituire un più efficacie strumento per il contrasto della minaccia subacquea del blocco
sovietico26, composta anch’essa da due battelli. La Terza Serie presentava notevoli migliorie
e modifiche tecnico-operative rispetto alle precedenti, rappresentando un notevole passo
avanti sia in termini di piattaforma che sistema di combattimento.
Lo scafo resistente venne allungato di mezzo metro, con conseguente aumento del
dislocamento, e numerose apparecchiature di bordo vennero riposizionate in maniera più
funzionale, mentre per ciò che concerne il CMS si optò per il nuovo sistema elettronico
integrato SACTIS (MM/SBN-716), interfacciato con i principali sensori di bordo ed in grado
di assolvere a compiti di navigazione, ricerca, designazione e tracciamento bersagli.
Alla Terza Serie, sul finire degli anni ottanta, è seguita la Quarta Serie, nata dopo il fallimento
del progetto S-90 (di cui parleremo nel prossimo paragrafo a proposito degli U212A), che
ha concluso il percorso di evoluzione tecnologica e miglioramento della classe Sauro. I due
Sauro Quarta Serie presentano una scafo più lungo di due metri rispetto agli scafi della serie
precedenti, sensoristica ancor più avanzata ed una maggiore cura nella riduzione della
rumorosità ottenuta con efficaci soluzioni sui singoli apparati e rivestendo lo scafo resistente
con mattonelle fonoassorbenti. I battelli della Terza e Quarta Serie tra il 1999 e il 2002 sono
stati, inoltre, sottoposti a lavori di ammodernamento che hanno comportato la sostituzione
dell'intero sistema di combattimento e la sostituzione di molti apparati ormai sorpassati. I
lavori di ammodernamento hanno riguardato, tra l’altro, l'installazione della nuova suite
integrata di combattimento STN Atlas ISUS 90-2027 e del sistema radio tedesco IRSC con
capacità satellitare. L’ISUS 90-20 è dotato di cartografia digitale ed è in grado di gestire in
maniera integrata i siluri A-184 Mod.3 e la sensoristica. Questa comprende base conforme
in media frequenza, base circolare per sonar attivo, intercettatore in alta frequenza e
sistema di rilevamento del rumore proprio
26 Minaccia che in quegli anni raggiungeva il suo apice anche in Mediterraneo. 27 Il sistema dispone di quattro console multifunzionali, un tavolo di tracciamento e un sistema di controllo
dei tubi di lancio.
46
3.3 Il programma U212A e il ruolo della cantieristica italiana
Il programma U212A rappresenta uno spartiacque nella storia dei sommergibili in Italia
nel dopoguerra e segna il passaggio dallo sviluppo di progetti nazionali alla cooperazione
internazionale con l'acquisizione di capacità più avanzate in svariati settori, a cominciare
dalla silenziosità e dalle doti di autonomia. Il programma U212A affonda le sue radici negli
anni ottanta e nasce dall’esigenza di iniziare a rimpiazzare i sottomarini classe Sauro con
sottomarini più performanti ed evoluti sotto molti punti di vista. Per la sostituzione dei Sauro,
inizialmente la Marina aveva scelto ancora la strada dell'acquisizione di un sottomarino,
denominato come già accennato S-90, di concezione e progettazione nazionale. L’S-90
avrebbe dovuto avere un dislocamento ben maggiore dei classe Sauro ed un sistema di
propulsione AIP28. Tuttavia le difficoltà tecniche incontrate ed i costi – secondo stime
dell’epoca il primo battello sarebbe costato ben 1.000 miliardi di lire (pari a 500 milioni di
euro) – consigliarono di percorrere altre strade e di guardare a forme di cooperazione
internazionale. Su queste basi fu avviata la cooperazione con la Marina tedesca ed il
programma U212A. Il programma, in realtà, era già partito su basi nazionali e quando l’Italia
decise di entrarvi il nuovo sottomarino era pressochè completamente sviluppato.
La collaborazione fu formalizzata da un accordo fra i rispettivi Ministeri della Difesa siglato
il 22 aprile 1996 (Memorandum of Understanding – MoU U-212A), poi rinnovato nel tempo,
non ultimo, come vedremo meglio dopo, nella primavera del 2017. I cardini di tale accordo
furono:
- costruzione di quattro unità in Germania, più due opzioni, e due in Italia, con altrettante
opzioni;
- integrazione dei supporti tecnico-logistici ed addestrativi da parte della Marine dei due
Paesi allo scopo di ottenere economie di esercizio ed una piena interoperabilità.
Il finanziamento per la costruzione dei primi due U-212A, e del relativo supporto tecnico
logistico, fu approvato dalla Commissione Difesa del Senato della Repubblica il 27
settembre 1995. L’8 agosto 1997 ci fu la firma del contratto principale con Fincantieri.
Il valore finale della commessa era di 1.742 miliardi di lire (899 milioni di euro) circa;
considerando che la fornitura prevedeva supporto logistico iniziale e costruzione di un centro
addestramento dotato di simulatori all’avanguardia, il costo ad unità era di 320 milioni di
euro circa, ossia oltre il 35% inferiore a quello ipotizzato per l’S-90 che tra l’altro meno
performante.
28 La Marina Militare tentò di sviluppare in collaborazione con la ditta Maritalia un sistema AIP diesel a ciclo
chiuso, ma il fallimento della ditta mise fine al progetto.
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Contemporaneamente a Kiel, con più o meno un anno di anticipo sugli esemplari per
la Marina Militare, si costruivano i quattro battelli per la Bundesmarine; ciò consentì a
Fincantieri di sfruttare l’esperienza del cantiere HDW riducendo significativamente il rischio
d’impresa.
L’opzione per gli U-212A Seconda Serie fu esercitata il 3 agosto 1999, ma i
finanziamenti furono effettivamente resi disponibili solo con la Legge Finanziaria 200829. Nel
settembre 2002 venne esteso il MoU al supporto in vita dei battelli e data regolazione di
dettaglio a tutti gli aspetti logistici. In particolare, erano quattro i punti affrontati: 1) il
mantenimento di una configurazione comune e l’adozione della relativa documentazione di
carattere tecnico-logistico 2) l’adozione della lingua inglese come standard logistico e di un
identico piano di supporto 3) il procurement in comune dei materiali – con la costituzione di
una sorta di magazzino virtuale e l’acquisto del singolo materiale nel paese dove le
condizioni garantivano una maggiore convenienza 4) l’addestramento in comune – con
l’inserimento degli stessi moduli nei centri addestrativi delle due Marine. Infine, venne
stabilita la creazione di un board logistico.
Da un punto di vista industriale, come accennato, l'U212 era un progetto di battello già
sostanzialmente sviluppato tanto è vero che il contributo della cantieristica italiana in sede
di sviluppo è stato tutto sommato limitato. Fincantieri è il prime contractor per i battelli italiani
che vengono prodotti con assistenza e dietro trasferimento di know how produttivo presso il
cantiere spezzino di Muggiano. Inoltre, il campione cantieristico nazionale ha curato anche
alcuni aspetti dei rivestimenti dello scafo in modo che fosse garantita ai battelli la capacità
di operare anche in acque più profonde di quelle del Baltico, contrariamente a quanto
previsto nel disegno originario degli U212 tedeschi. Questo ha comportato un incremento
degli spessori, dei pesi e dei costi, ma ha consentito di realizzare un sottomarino idoneo
all'impiego in ogni tipo di fondale. Nel complesso, l’attività di realizzazione dei quattro battelli
ha permesso a Fincantieri di maturare una buona conoscenza dei battelli stessi e del relativo
processo costruttivo. Difficile, ad onor del vero, capire quanto tale capitale industriale
potrebbe essere trasferito, in un processo inverso, in capacità progettuali. Probabilmente, i
quattro nuovi battelli per la Marina Militare costituiranno un utile banco di prova in tal senso.
Altri contributi importanti sono quelli di Calzoni, responsabile per i sollevamenti idraulici
e per la parte snorkel di tutti (compresi gli organi di movimento) e dieci i battelli, WASS-
Leonardo, che ha contribuito alla produzione degli idrofoni e all’integrazione a bordo dei soli
29 Il relativo contratto fu poi firmato ad aprile 2008 ed il taglio della lamiera del 'primo dei due U212A Seconda
Serie avvenne nel cantiere del Muggiano a dicembre 2009.
48
battelli italiani del siluro A184 Mod.3, e, infine, Avio, responsabile per l’autopilota di tutti i
battelli con le relative interfacce verso gli organi di movimento. A questa partecipazione che
possiamo considerare “macro” bisogna poi aggiungere la rete di subforniture con tutta una
serie di contributi provenienti da aziende minori riguardanti pompe, coibentazioni,
componenti elettrici ecc. Il programma U-212A, infatti, ha permesso di consolidare una filiera
di fornitori molto estesa e complessa, che è cresciuta lungo tutto il periodo di svolgimento
del programma U-212A, dalla prima alla seconda serie, maturando una serie di competenze
specifiche che oggi, alla luce del nuovo programma di acquisizione di sottomarini della MM,
assume un valore rilevante. Stiamo parlando di una base industriale molto solida con decine
di fornitori, coordinati dal prima contractor italiano Fincantieri, attivi in diversi sensori quali:
materiali in acciai speciali e compositi, materiali per la riduzione ed il controllo delle
segnature, impiantistica, sistemi di vario genere (navigazione, sensoristica, lancio e
recupero di AUV, ecc.), software, motoristica, ecc.
Inoltre, un altro elemento importante da sottolineare è il fatto che la ventennale
esperienza con il programma U-212A ha permesso di maturare una competenza sovrana in
termini di supporto e manutenzione che costituisce un indubbio valore aggiunto e che ha
fondamentali ricadute pure sul piano dell'operatività.
Gli U-212A sono sottomarini d'attacco progettati per affrontare tanto unità subacquee
quanto di superficie, nonché infiltrare forze speciali in territorio ostile; sono infatti in grado di
passare inosservati manovrando anche in bassi fondali alla minima velocità. La loro
silenziosità e la capacità di occultamento ne fanno piattaforme particolarmente idonee ad
attività intelligence e di sorveglianza delle aree assegnate, integrandosi efficacemente in
dispositivi di difesa nazionali e non.
Da un punto di vista tecnico (chiaramente non era questa la sede per una completa
descrizione tecnica dell’U-212A), gli U212A si basano su uno scafo resistente formato da
due cilindri di diverso diametro collegati tra loro da un tratto conico lungo 2 m; il corpo
prodiero è a scafo singolo, quello poppiero è a doppio scafo per l’esigenza di uno scafo
leggero che contenga i contenitori di ossigeno e di idrogeno necessari per il sistema AIP.
Le estremità dello scafo resistente sono chiuse da due calotte sferiche ribassate. Lo scafo
è realizzato nello speciale acciaio amagnetico tedesco Tipo 1.3964 e lo stesso materiale è
utilizzato in diversi elementi strutturali interni. Il design è tozzo, del resto stiamo parlando di
battelli con una lunghezza complessiva di quasi 56 metri ed un diametro massimo di 7 metri,
e quindi sulla carta gli U-212A dovrebbero avere doti di manovrabilità tutt'altro che eccellenti.
49
Per ovviare a questa problematica sono stati adottati timoni poppieri a X di dimensioni
generose a funzionamento indipendente (il battello è governabile anche con un solo
segmento in funzione). I timoni possono essere deflessi fino ad un massimo di 35° ed hanno
una formidabile autorità di comando. In emersione, ad una velocità di 6 nodi, con 10° di
barra il raggio di virata è di circa 400 metri, che si dimezzano con barra standard. La formula
X, poi, offre un ulteriore vantaggio, affatto trascurabile: consente più facilmente al battello di
posarsi sul fondo (questo non è un requisito dell’U-212A, ma un requisito strettamente
italiano).
Il disegno del battello, poi, è ottimizzato per ridurre sia la resistenza idrodinamica, sia,
soprattutto, la generazione di rumore e/o scie. Un esempio evidente in tal senso è
rappresentato dall'ampia vela, di generose dimensioni (rese necessarie per ospitare la
camera stagna per gli operatori delle forze speciali ed attrezzature marinaresche
significative, oltre all’abituale "foresta" di alberi e antenne), perfettamente raccordata allo
scafo e dotata di linee davvero filanti.
Sui due lati della vela si trovano anche gli scarichi del motore termico, anche questi
raccordati in modo accurato, e i due timoni di profondità che hanno un’escursione di +/- 25°.
La scelta tradizionale di collocare i timoni in questa posizione, piuttosto che in posizione più
avanzata, sullo scafo, è dettata dalla volontà di evitare la creazione di rumore nella zona
prodiera dove si trova la base conforme/circolare passiva principale del sonar.
Le vela è largamente ricoperta di materiale speciale radar assorbente (RAM)
ottimizzato per un'ampia gamma di frequenze tra i 2 ed i 18 GHz.
Anche se più piccoli dei Sauro (sette metri in meno di lunghezza), i Todaro presentano
una maggiore abitabilità rispetto a questi; gli alloggi, su due piani, sono allocati nel settore
anteriore (appena dietro il comparto di lancio) dove ciascun membro dell'equipaggio ha una
branda (cosa alquanto inconsueta sui sottomarini, specie se SSK), vi sono poi un quadrato
equipaggio piccolo ma funzionale ed una CIC (Combat Information Centre) piuttosto
spaziosa. L'equipaggio è ridotto a sole 27 unità (contro il doppio del personale impiegato
sulla classe Sauro) considerando l'alto livello di automazione e le avanzate tecnologie
impiegate sui battelli.
La caratteristica peculiare degli U-212A è senza dubbio il sistema di propulsione
indipendente dall'aria di tipo a celle a combustibile che ad oggi rappresenta il più avanzato
e performante al mondo. Tale sistema garantisce un'autonomia in immersione, a moderata
velocità, stimabile in circa due settimane, ossia tre/quattro volte superiore a quella dei
sistemi tradizionali vincolati dalla necessità di portarsi periodicamente a quota periscopica
per ricaricare (a mezzo due o più motori Diesel azionanti un corrispondente numero di
50
dinamo che producono energia elettrica) a snorkel le batterie (che, una volta a quota
profonda, dovranno alimentare sia il propulsore elettrico connesso all’elica che gli apparati
di bordo)30.
Il sistema AIP degli U-212A si basa sul processo dell'elettrolisi inversa dell’acqua a
mezzo del quale è possibile generare corrente elettrica combinando opportunamente
idrogeno ed ossigeno e convertendo l’energia chimica ottenuta in energia elettrica (evitando
ulteriori passaggi intermedi (generazione di calore o energia meccanica). Il fulcro è costituito
da otto celle a combustibile tipo PEM (Polymer Electrolyte Membrane, otto celle operative
più una di riserva) Siemens BZM34 alimentate da serbatoi dedicati per l'ossigeno
(comburente), ospitato allo stato liquido, a – 183°, in due robusti serbatoi a doppia parete
sistemati nella parte centro-poppiera dorsale del battello, all'esterno dello scafo resistente,
e da quelli per l'idrogeno (combustibile), sistemato in tre gruppi per un totale di 28 di cilindri
"ibridi", metallici, all'esterno dello scafo resistente nei quali l’idrogeno è appunto stivato in
forma di idruri metallici.
Le PEM, azionate dalla combustione di ossigeno e idrogeno, generano energia che
viene trasmessa alle batterie e quindi al motore elettrico Siemens Permasyn a magneti
permanenti da 2,8 MW di potenza che alimenta un'elica a sei pale che opera ad un regime
di 120 giri al minuto. L’impiego delle PEM è centellinato per le situazioni tattiche dove è
effettivamente necessario mantenersi più “invisibili” possibile. Per i trasferimenti e le attività
“non operative”, infatti, si ricorre alla propulsione convenzionale e ad un motore diesel MTU
16V-396 da 3,12 MW.
I benefici di un tale apparato sono facilmente identificabili:
- rumore, irradiato e auto-indotto, molto basso;
- prestazioni indipendenti dalla quota;
- assenza di scarico all’esterno (full covertness);
- autonomia significativa;
- segnatura acustica, magnetica, radar, termica, e ottica (effetto scia) estremamente ridotte.
Un’altra caratteristica all’avanguardia degli U212A è il sistema di combattimento
Kongsberg BCWSC (Basic Combat & Weapons Control System) MSI-90U che consente il
tracciamento automatico di bersagli anche multipli, la valutazione della minaccia e la
direzione del tiro, selezionando e filtrando i dati da immettere nel sistema di tiro e
programmando e seguendo anche tutti i siluri qualora lanciati contemporaneamente.
30 Questa operazione, che può durare anche qualche decina di minuti, rende il battello più esposto alla
rilevazione avversaria.
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L’armamento è incentrato su sei tubi lanciasiluri da 533 mm per il lancio dei siluri A.184
Mod.3 (integrati mediante interfacce ad hoc dalla WASS-Leonardo), nella prima serie, e sui
Black Shark Advanced, dotati di una nuova pila “nazionale”, nella seconda serie. Il sistema
di lancio dei siluri31 è di concezione tedesca; si basa su un doppio pistone ad acqua ed è in
grado di consentire al battello di lanciare il siluro a distanza di sicurezza, alcune decine di
metri, prima dell'accensione del motore dell'arma, causando così una discreta incertezza
sulla reale posizione del battello qualora i sensori del bersaglio avvertano il moto dell'elica
del siluro. Il sistema in particolare prevede che l'energia per il lancio sia trasmessa da un
pistone idraulico che spinge l'acqua da una camera di distribuzione al tubo di lancio. L'arma
esce silenziosamente dal tubo ad una velocità variabile pre-definita. Un approccio del tutto
diverso rispetto a quello tradizionale “swim out”, più rumoroso. E con questo tipo di lancio si
può attaccare anche in acque davvero poco profonde. Il battello può trasportare un massimo
di 13 siluri, sei nei tubi e sette in apposite slitte collocate a prora.
Il CMS è interfacciato anche con la sensoristica basata sulla suite integrata Atlas
DBQS-40. Questa comprende una base conforme cilindrica, collocata a prua estrema e
denominata CHA, per la copertura delle medie frequenze (1-12 kHz), un array laterale
(FAS), che opera sulle frequenze medio/basse, tra 300 e 2.400 Hz, e il TAS, il sonar a
sensore lineare rimorchiato, che copre le frequenze più basse, secondo alcune fonti tra i 10
ed i 1.200 Hz. A questi apparati bisogna aggiungere il MAS MOA 3070, il sonar attivo in
funzione antimina/scoperta ostacoli, che opera su frequenze elevate 30-70 kHz, ed il sonar
telemetrico PRS.
31 Si tratta di un sistema estremamente silenzioso rispetto a quello ad aria compressa sviluppato da TKMS
rispetto al quale ad oggi l'industria italiana non ha nessun tipo di conoscenza.
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4. Il dopo U212A ed un settore strategico per il Paese
4.1 Future esigenze operative
Per effetto di quei cambiamenti dello scenario internazionale che abbiamo analizzato
e discusso nei capitoli precedenti, anche i requisiti e le esigenze operative stanno evolvendo
di conseguenza; oltretutto a ritmi sempre più incalzanti. Ciò vale anche per il settore
subacqueo che negli ultimi tempi sembra essere tornato ai grandi fasti dell’epoca della
Guerra Fredda. Del resto la proliferazione di sottomarini e sistemi sensoristici e d’arma
connessi è un fenomeno sotto gli occhi di tutti ed ha nel Mediterraneo – scenario di
intervento prioritario per le FA italiane secondo quanto postulato dal Libro Bianco 2015 ed
una delle 2 zone di riferimento, assieme a quella euro-atlantica, per l’interesse nazionale –
uno degli scacchieri di massima espressione. In tal senso, il Mediterraneo è diventato, e
diventerà ancora di più in futuro, un’area sempre più complessa e sofisticata dal punto di
vista della minaccia subacquea con una serie di attori che consolideranno ulteriormente la
loro presenza ed altri, invece, che vi si affacceranno. Abbiamo già parlato del “ritorno” in
grande stile della Russia nel Mediterraneo, della presenza cinese, dei progressi dell’Algeria
e così via, ma adesso vale la pena soffermarsi su quali esigenze operative per una Marina
come quella italiana tali fenomeni sono destinati a suscitare. In particolare, l’elemento di
novità rispetto al passato, pure questo già evidenziato nei precedenti capitoli, è la rinnovata
centralità da parte dell'elemento convenzionale, da qui le esigenze che andremo
brevemente a sintetizzare e che stanno dando vita a tutta una serie di sviluppi che industria
e Marina italiana stanno portando avanti.
Prima di tutto, però, occorre osservare che alla luce dei grandi progressi che la gran
parte degli attori di questo scenario di riferimento stanno compiendo in campo subacqueo,
la primaria e più importante esigenza operativa per una Marina come quella italiana è
disporre di una massa critica nel settore dei sottomarini di almeno 8 unità. Tuttavia, tale
numero può essere a ben vedere ritenuto anche, o solo, come un minimo necessario per
affrontare le sfide attuali e quelle nel futuro a più breve termine, ma in un futuro a più lungo
termine potrebbe risultare insufficiente. L’ottimale, in tal senso, sarebbe infatti pensare ad
una componente subacquea di almeno 13 unità – basti qui pensare solo ai numeri attuali di
Marine come quella Greca o quella Turca – considerando la rapida ri/convenzionalizzazione
dello scenario di cui abbiamo parlato, ma anche e la flessibilità d’impiego degli stessi
sottomarini rivelatasi utilissima anche in compiti più soft quali, per esempio, il monitoraggio
dei flussi d’immigrazione clandestini.
53
Per quanto riguarda le capacità strettamente intese, a premiare in futuro sempre di più
ci sarà il binomio occultamento/rilevazione, ovvero la capacità di essere sempre meno
rilevabili alla scoperta avversaria e, allo stesso tempo, la capacità di scoprire una minaccia
sempre più sofisticata e ”invisibile/silenziosa”. In questo settore, gli studi e gli sviluppi sono
notevoli come vedremo nel prossimo paragrafo, ma molto può essere ancora fatto per
incrementare ulteriormente le naturali doti occulte di un sottomarino e, contestualmente, le
capacità per rilevarlo. Qua entrano in gioco gli studi sul design e l’idrodinamica, sui materiali
e, realmente come ultima frontiera, sulle capacità di calcolo connesse alla rilevazione non
acustica.
Poi non dobbiamo dimenticare le capacità d’intelligence e raccolta di informazioni.
Chiaramente stiamo parlando di un settore già molto sviluppato nelle ultime due decadi, ma
con l’affermarsi degli scenari ibridi ed il ritorno della convenzionalità, anche le esigenze
operative legate all’intelligence cambiano e si fanno più sofisticate. Per prima cosa, gli
apparati di osservazione devono essere sempre più precisi e discriminanti e, inoltre, devono
avere la capacità di coprire distanze sempre maggiori. In pratica, l’obbiettivo deve essere
vedere sempre meglio e sempre più in profondità, di notte e di giorno, e con qualunque
condizioni meteo. Con l’affermarsi delle cosiddette strategie A2/AD, pertanto, diventa
fondamentale avere la capacità di monitorare in maniera occulta gli sviluppi militari di un
attore nelle aree costiere e/o prossime alla costa; in particolare, per esempio, la presenza
di batterie missilistiche costiere – ormai sempre più diffuse in tutta l’area del Mediterraneo
Allargato32 – e di lanciarazzi multipli campali impiegati per il tiro antinave, la presenza di
infrastrutture portuali sufficientemente sviluppate per ospitare naviglio veloce d’attacco
molto spesso armato, sempre con missili antinave o con siluri o, ancora, la presenza di
centri di comando e osservazione avanzati per il coordinamento delle stese strategie A2/AD
di cui sopra.
In contesti come questi, altrettanta importanza assumono gli apparati RESM (Radar
Electronic Support Measures) per l’intercettazione delle emissioni elettromagnetiche
avversarie (radar di difesa costiera, radar di tiro, radar di navigazione, ecc.), già
costantemente sviluppati negli ultimi anni, ma suscettibili di ulteriori evoluzioni per adattarli
a scenari elettromagnetici che via, via si fanno sempre più complessi e “agili”.
32 Le batterie costiere missilistiche si stanno diffondendo sia presso attori statuali, sia presso attori non
statuali. In quest'ultimo caso, l’esempio per eccellenza è quello di Hezbollah in Libano.
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In articolare, le due più importanti tendenze in questo campo, come del resto nella
radaristica in generale, sono la miniaturizzazione degli equipaggiamenti, mantenendo
inalterate le potenze, ed il ricorso sempre più esteso ad antenne AESA. Ai sistemi RESM
bisogna aggiungere poi gli apparati CESM (Communications ESM) che stanno iniziando a
diffondersi anche sulle navi ed in misura minore sui sottomarini. E’ chiaro che qui molto
dipende dagli sviluppi tecnologici e dalla capacità di contenere alte potenze di emissione in
sistemi necessariamente compatti, ma possiamo dire che la CESM per sottomarini è
sicuramente una nuova frontiera, la cui esplorazione ed il cui presidio sono necessari per
dare anche ai sottomarini la capacità di intercettare ed analizzare le comunicazioni sia di
naviglio ostile sia tra postazioni e centri di comando e controllo a terra.
Quando parliamo di contrasto alle strategie A2/AD, un ruolo importante può essere
giocato anche dagli UUV (Underwater Unmanned Vehicle). In realtà di UUV si parla già da
molti anni ma una serie di criticità tecniche, a cominciare dal lancio e, in misura maggiore,
dal recupero ne hanno di fatto finora rallentato lo sviluppo e limitato l’impiego. Tuttavia, la
rapida evoluzione e sofisticazione degli scenari che abbiamo visto porteranno sicuramente
ad una nuova accelerazione nel loro sviluppo e produzione. Sì perché un UUV ha tutte le
caratteristiche per operare al meglio soprattutto negli scenari costieri come una sorta di
terminale avanzato di un sottomarino evitando che questo si esponga troppo alla rilevazione
ed alla scoperta avversaria e potendo operare al meglio in scenari caratterizzati da acque
basse. In questi contesti, un UUV può essere molto utile per la rilevazione di campi minati
o per la raccolta informativa garantendo una maggiore flessibilità tattica e minimizzando i
costi ed i rischi rispetto all’impiego negli stessi contesti di un sottomarino. I futuri sottomarini,
dunque, saranno sempre di più chiamati ad operare come piattaforme madre per il
coordinamento di gruppi di UUV, e di altri sistemi non pilotati, e la loro gestione in area
operativa a tutto vantaggio del mantenimento della propria “bassa rilevabilità” e del proprio
potenziale occulto.
Infine, in chiusura di questo paragrafo, un accenno anche sulla capacità di strike
profondo ad opera dei sottomarini. Questo è una tratto che ha caratterizzato profondamente
i recenti conflitti, tutti segnati dall’impiego dei missili TOMAHAWK lanciati da unità di
superficie o, appunto, da sottomarini. Finora si trattava di una capacità esclusiva degli
Americani, e in misura minore degli Inglesi, ma come hanno dimostrato le operazioni in Siria
anche i Russi sono entrati in questo ristretto club, mentre anche altri Paesi, dalla Cina
all’India, posseggono capacità analoghe ancorché non ancora utilizzate in contesti bellici.
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Non vi è dubbio che la capacità di strike profondo da sottomarini sia una capacità strategica,
che sarà sempre più importante nei futuri conflitti, della quale un Paese come l’Italia, uno
dei principali provider di sicurezza del sistema internazionale33, non può non disporre.
Al momento tale capacità è di esclusiva competenza dell’Aeronautica Militare e la Marina
ne è completamente sprovvista nonostante che del missile Storm Shadow ne esista anche
una versione lanciabile da unità di superficie e subacquee nota come Scalp Naval. Ma su
questo argomento torneremo anche più avanti.
4.2 Studi e sviluppi tecnologici
Negli ultimi 15-20 anni, le industrie, occidentali e non, hanno compiuto progressi
notevoli nella realizzazione di sottomarini. Nel complesso si è trattato di uno sforzo notevole
il cui scopo era migliorare le prestazioni dei battelli sotto il profilo delle caratteristiche di
silenziosità, occultamento, autonomia e così via e che ha abbracciato svariati campi.
Dalla gestione delle segnature, ai materiali, ai sistemi di propulsione, per finire ai nuovi
sistemi di rilevamento non acustici che, ad oggi, costituiscono una delle frontiere di sviluppo
più promettenti in campo subacqueo. Questo sforzo, mai come adesso, deve essere
accompagnato dalla stretta collaborazione tra le stesse industrie, i centri di ricerca e le
università, e le Forze Armate di riferimento. Solo da una profonda sinergie tra questi attori
ed istituzioni, infatti, può scaturire quello sviluppo tecnologico necessario a rendere anche
un sottomarino sempre più performante ed all'avanguardia, esaltandone ancor di più le sue
caratteristiche intrinseche e rendendolo sempre più uno strumento strategico.
Andiamo, pertanto, a vedere cosa si sta facendo, e cosa si potrà fare, in ciascuno dei
settori sopra indicati.
Per quanto riguarda la gestione/controllo della segnatura l’obiettivo è ridurre ai livelli
più bassi possibili la rumorosità idrodinamica e le segnature acustica, magnetica e radar.
A tal proposito sono sempre più diffuse nuove forme “stealth” dello scafo e della vela per
contenere la rumorosità derivante dal flusso. L’idrodinamica, da questo punto di vista, gioca
un ruolo sempre più determinante. I battelli di nuova generazione sono dotati con sempre
maggiore frequenza di una falsatorre più piccola e, in futuro, forse potranno addirittura
esserne privi.
33 Per qualità e quantità dell’impegno militare all’estero, l’Italia è tradizionalmente seconda solo a Stati Uniti
e Gran Bretagna in ambito NATO.
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Ciò garantisce una velocità più elevata, a parità di potenza installata, un miglior controllo
vicino alla superficie (molto importante in aree litoranee) ed una minore rumorosità derivante
dal flusso idrodinamico e dalla cavitazione.
Un contributo importante alla riduzione delle segnature viene anche dal campo dei
materiali. In questo settore si fa ormai ampiamente uso di acciaio amagnetico, di materiali
radar-assorbenti e di rivestimenti anecoici per permettere, rispettivamente, la riduzione
dell'impronta magnetica e radar, e della riflettività sonar. L'importanza dei materiali
amagnetici è, tuttavia, cresciuta ulteriormente in considerazione del ruolo che rivestono le
mine navali nelle strategie A2/AD. L'utilizzo su larga scala di metalli amagnetici, pertanto,
unitamente alla compensazione dei vari apparati di bordo, sono caratteristiche che se
affiancate da un costante controllo e da una costante sensibilità per la problematica,
consentono di ridurre considerevolmente la minaccia.
Tuttavia la vera frontiera in questo settore è costituita da due aspetti: l'impiego sempre
più esteso di materiali compositi, a cominciare dalla fibra di carbonio, nella realizzazione
degli scafi e di altre strutture, e l'uso di algoritmi sempre più complessi per il controllo delle
segnature. Per quanto riguarda il primo aspetto, ad onor del vero, già da diverso tempo i
produttori di sottomarini utilizzano materiali in composito per la realizzazione di sezioni di
prua e di poppa o di altri elementi strutturali, soprattutto per ciò che concerne le
sovrastrutture e le vele34. Materiali di questo tipo sono più leggeri dell’acciaio, pur
presentando analoghe caratteristiche di resistenza, ma possiedono migliori qualità
relativamente allo smorzamento ed alla dispersione delle onde sonore, in virtù di un più
elevato fattore di perdita, ed alle proprietà isolanti ed anti-corrosione. Permettono, inoltre, di
ridurre in maniera significativa i pesi delle componenti.
Attualmente, in questo settore si stanno sviluppando promettenti studi in ricerca
applicata il cui obbiettivo è estendere l'adozione di tali materiali alla realizzazione di ulteriori
parti di sottomarino andando oltre le aree già oggi interessate. In Russia, per esempio, il
Krylov State Research Center è molto impegnato in tale settore ed in ricerche che puntano
a valutare l’impiego su vasta scala di compositi in diversi settori: dagli stabilizzatori, alla
timoneria, alle eliche, passando per gli alberi e così via. Secondo alcune fonti, la Russia
dovrebbe testare la prima elica in composito entro il 2018. Per quanto riguarda, invece, il
secondo aspetto si tratta di un filone legato ai continui e sempre più rapidi progressi nel
campo delle capacità di calcolo e computistiche sfruttando gli enormi passi in avanti compiuti
34 La cantieristica tedesca ha utilizzato materiali compositi in maniera rilevante già sui sottomarini Type 206.
Chiaramente, il riferimento in questione sull’uso dei compositi riguarda lo scafo leggero.
57
in detto settore negli ultimi 20-30 anni. In questo caso l’obbiettivo della ricerca è impiegare
algoritmi sempre più potenti per monitorare continuamente e ricalibrare la segnatura dei
sottomarini onde averne un controllo ed un monitoraggio sempre più stretto e costante.
Peraltro, la capacità di calcolo è fondamentale per un altro aspetto, ovvero per supportare
quelle tecniche – anche in questo caso stiamo parlando di un settore del tutto emergente –
che per la rilevazione dei sottomarini anziché la rumorosità emessa, mirano ad impiegare
altri fenomeni. In pratica, queste tecniche si basano su processori sempre più capaci e
preformanti per captare quelle minime perturbazioni dell’ambiente marino causate da un
sottomarino assunto essere sempre più silenzioso. Si tratta cioè di tecniche che sulla base
di una “fotografia” attesa di un certo ambiente marino, ne rilevano il discostamento
eventualmente provocato dal passaggio al loro interno di una “massa” come quella
rappresentata da un sottomarino. Anche in questo caso, sono molte le ricerche in corso,
comprensive anche di un filone che studia le possibilità di rilevare sottomarini attraverso le
minime emissioni chimiche che lo stesso può rilasciare al suo passaggio35 oppure attraverso
l’impiego di luci laser o strumenti a LED sempre più potenti e capaci di penetrare
maggiormente a fondo l’acqua (anche se ancora oggi si parla della possibilità di detettare
via laser sottomarini vicini al la superficie dell’acqua) evitandone la dispersione.
Proseguendo in questa breve panoramica, non potevamo non soffermarci anche sui
progressi compiuti nel campo della propulsione, in particolare riguardo ai sistemi di
propulsione indipendenti dall’aria ed alle batterie agli ioni di litio. Per quanto riguarda l’AIP,
si tratta di un’applicazione che ha rivoluzionato la propulsione dei sottomarini convenzionali
garantendo anche a questi la possibilità di navigare in immersione per lunghi periodi di
tempo liberandoli dalla necessità di andare a quota snorkel ogni 2-3 giorni come avviene
normalmente con i sistemi di propulsione convenzionale tradizionali. I sistemi AIP di prima
generazione – da quello a celle combustibili tedesco, allo Stirling svedese, passando per il
MESMA francese – hanno avuto una grande successo, esaltando ancor di più le naturali
doti di furtività e flessibilità di un sottomarino – ma, se vogliamo, avevano il limite di essere
adatti solo per battelli relativamente piccoli e, come nel caso soprattutto del sistema tedesco,
dovevano fare i conti con il vincolo logistico del rifornimento dell’idrogeno, con tutta la
connessa infrastruttura di supporto.
Con i sistemi AIP di seconda generazione si punta a risolvere questi problemi e ad
avere, così, sistemi in grado di adattarsi anche a battelli più prestanti e di ridurre gli oneri
35 La capacità computistica è fondamentale anche per i progressi nel campo dei sonar attivi a bassa
frequenza e per migliorarne continuamente le prestazioni in termini di precisione e misurazione della distanza del bersaglio/traccia.
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logistici. In particolare la francese Naval Group, sull’onda dell’affermazione nella gara
australiana36, sta sviluppando un nuovo sistema denominato FC-2G. Si tratta di un sistema
a celle combustibili che si basa sulla produzione di idrogeno a bordo, a partire dal carburante
diesel standard, per mezzo della riformazione chimica. Semplificando, il processo funziona
come segue. Il carburante viene “spezzettato”/convertito in un reattore operante ad alte
temperature e pressioni ed il prodotto risultante viene poi fatto passare attraverso un Water
Gas Shift Reactor (WGSR), per eliminare il monossido di carbonio, e attraverso delle
membrane, dopodiché si ottiene idrogeno puro pronto per le celle. Parallelamente, l’azienda
francese ha brevettato un sistema che inietta nitrogeno nell’ossigeno, stoccato in un grande
serbatoio come liquido criogenico, nella stessa proporzione della normale aria ed ottenendo
così un mix molto meno reattivo dell’ossigeno puro. Tale “aria sintetica” è poi iniettata nelle
celle a combustibile dove reagisce con l'idrogeno producendo elettricità. Tale tecnica, ormai
in stato di avanzato sviluppo, potrà essere utilizzata da Naval Group anche per applicazioni
di tipo commerciale.
Restando nel campo della propulsione di tipo AIP, vale la pena menzionare anche il
filone di studi, che adesso sta iniziando a prendere campo pure per ciò che concerne la
propulsione marina in generale, relativo alle celle a combustibile a ossidi solidi (SOFC).
Queste ultime utilizzano come elettrolita un materiale allo stato solido anziché un elettrolita
liquido (evitando, dunque, possibili perdite). Il problema è che finora è stato difficile trovare
materiali appropriati, caratterizzati da stabilità termica e chimica, proprietà indispensabili per
operare alle alte temperature di lavoro caratteristiche di questa cella (1000°C). Ad oggi,
esistono una serie di sperimentazioni per applicazioni terrestri, che però hanno il difetto di
essere ancora molto grossolane e di produrre quantitativi di energie relativamente ridotti.
Nonostante questo, diverse grandi aziende, da Rolls Royce, a Siemens, ecc., stanno
percorrendo alacremente questo percorso alla ricerca di nuove e più efficienti soluzioni.
Venendo al settore delle batterie, altra componente fondamentale del sistema di
propulsione di un sottomarino, da tempo sono in corso studi per superare i limiti caratteristici
delle attuali batterie al piombo - essenzialmente: la bassa densità di potenza, la bassa
efficienza di carica/scarica, gli ingombri e il peso - e ridurre, pertanto, la necessità per un
sottomarino di elevarsi con frequenza a quota snorkel per la ricarica. Tali considerazioni
hanno indotto i ricercatori a pensare a nuovi tipi di accumulatori in grado di offrire
caratteristiche più interessanti.
36 Ricordiamo che l'azienda francese si è affermata nella gara per la fornitura alla Marina australiana di 12
sottomarini convenzionali da 4.500 t.
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Tra questi ci sono sicuramente quelli al litio, ed è esattamente in tale direzione che si è
concentrata la gran parte degli studi e delle ricerche più recenti. La tecnologia agli ioni-litio,
difatti, offre una serie notevoli di vantaggi, tra i quali l’elevata capacità di accumulo e
un'altrettanta elevata densità energetica a fronte di pesi contenuti, nonché un più veloce
tempo di ricarica. Secondo molti studi, le batterie al litio offrono un 30% in più circa di
autonomia rispetto alle tradizionali batterie al piombo. Il limite principale, finora, è stato però
quello della minore sicurezza rispetto alle batterie tradizionali data l’alta infiammabilità del
litio capace di generare incendi molto difficili da estinguere e riportare sotto controllo.
Gli sviluppi, molto promettenti anche in Italia (ma su questo ci torneremo
abbondantemente nei prossimi paragrafi), hanno pertanto mirato proprio a ridurre le criticità
in termini di sicurezza del litio concentrandosi in particolare nell’esplorazione di due aree
idonee ad essere valorizzate per ciò che concerne la propulsione in campo subacqueo.
La prima area riguarda la ricerca finalizzata alla realizzazione di sistemi di propulsione “tutto
elettrici”, dove, come nei sistemi tradizionali, le batterie al litio sono associate
semplicemente ai motori di generazione e propulsione37. La seconda area, invece, riguarda
lo studio di potenziali applicazioni per sistemi ibridi, dove le batterie agli ioni di litio sono
associate a sistemi AIP. Nel primo caso, l’obbiettivo è quello di ottenere quasi la medesima
autonomia dell’AIP, riducendo però la complessità e l’onore logistico della propulsione e
garantendo anche spunti di velocità superiori. Il Giappone, per esempio, negli anni ha
investito letteralmente miliardi di dollari nella ricerca sulle batterie al litio per la propulsione
dei sottomarini. Una ricerca che ha riguardato soprattutto lo sviluppo di matrici a celle con
contenimenti rinforzati, di sostanze chimiche meno suscettibili, di sistemi avanzati e
specialistici di soppressione degli incendi, ecc. I primi applicativi in questo campo risalgono
agli anni sessanta e settanta, ma i problemi legati alle difficoltà tecniche ed ai costi esorbitati
sono stati superati solo di recente. La produzione delle prime due batterie al litio di serie38 è
iniziata nella primavera del 2017 e già entro la fine 2018 le batterie potrebbero essere
consegnate. Inizialmente, le batterie al litio dovrebbero equipaggiare un sottomarino classe
Soryu già in servizio in associazione all’AIP Stirling, rimpiazzando le batterie al piombo, ma
l’obbiettivo, a partite dal 2020, è di andare a bordo dei Soryu di nuova costruzione
nell’ambito di una configurazione “tutto-litio”.
37 Per sfruttare appieno la tecnologia delle batterie al litio nella propulsione sottomarina, occorrono motori
diesel e di generazione più potenti, condotte e prese di scarico più ampie e importanti modiche ai circuiti elettrici.
38 In particolare batterie all'ossido di nickel, cobalto e alluminio (NCA).
60
4.3 L’eredità del programma U-212A
L’U12A ha cambiato letteralmente il volto alla componente subacquea italiana. Questa
non è certo la sede più adatta per una valutazione sulle capacità del sottomarino, ma di
sicuro stiamo parlando del battello convenzionale più evoluto al mondo, che ha garantito al
nostro Paese un incremento esponenziale delle capacità in questo specifico settore. Il
primo, e più importante, vantaggio dell’U212A, pertanto, è stato strettamente operativo,
ovvero quello di essere uno strumento ad altissimo valore nelle mani della Marina e, come
appena affermato, del Paese nel suo complesso. Di fatto, con la capacità espressa dagli
U212A l’Italia si è proiettata al vertice mondiale nel settore assieme a pochissimi altri Paesi.
L’U212A è senz'altro migliore dello Scorpene, il suo principale concorrente occidentale sul
mercato dell'export, in particolare sul versante della silenziosità e delle capacità del sistema
propulsivo, e del Kilo, il principale concorrente, invece, non europeo, ed è molto più
avanzato dell’U214 che ha un sistema propulsivo basato su due soli moduli PEM ed uno
scafo non-amagnetico. In pratica, l’U-212A garantisce delle prestazioni ad oggi inarrivabili
per ogni altro sottomarino convenzionale e di questo ne è buona testimone pure la stessa
US Navy allorquando il Todaro, partecipando ad esercitazioni congiunte, ha dimostrato
notevoli capacità di penetrazione della copertura sonar dei gruppi da battaglia della più
potente Marina del mondo39.
L'altro vantaggio che l’U212A ha garantito alla Difesa italiana in questi anni è stato
senza dubbio quello logistico e di esercizio. Il fatto di poter contare su una flotta di 10 battelli
identici (sei tedeschi più i quattro italiani) ha permesso di semplificare notevolmente il ciclo
logistico e di supporto riducendo in maniera significativa i costi di esercizio, di acquisizione
delle componenti e delle parti di rispetto, e via dicendo. Ma anche sul fronte
dell’addestramento i benefici sono stati rilevanti con la possibilità di stabilire proficue sinergie
tra le due Marine e le due industrie integrando i cicli di formazione, l’impiego dei simulatori
e dei vari tool sintetici e godendo, pertanto, della possibilità di un ulteriore contenimento
delle spese. Insomma, i vantaggi operativi conseguiti con il programma U-212A sono stati
notevoli e sono sotto gli occhi di tutti tanto è vero che sarebbe (stato) un peccato disperderli
in nome di soluzioni “tutte nazionali” che già in passato si sono dimostrate fallimentari.
39 Persino con la silenziosità del battello resa artificialmente minore mediante l’adozione di soluzioni
artigianali...
61
In tale ottica nella primavera del 2017 è stato firmato un nuovo MoU (Memorandum Of
Understanding) tra Italia e Germania per il rinnovo della cooperazione nel campo dei
sottomarini trai due Paesi. Il MoU copre oltre che gli aspetti logistici ed operativi connessi
alla gestione ed al supporto congiunto della flotta dei 10 U-212 in servizio con la Marina
italiana e quella tedesca (inserendosi, pertanto, nel solco del primo MoU firmato dai due
Paesi nel 1996, che, però, riguardava solo procurement, logistica e addestramento), anche
gli aspetti relativi alla ricerca e sviluppo. In pratica, si tratta di un accordo quadro di largo
respiro, rispetto al quale occorrono a valle accordi per regolare più nel dettaglio gli specifici
settori d’interesse, che ha profonde implicazioni future alla luce dei programmi di
acquisizione di nuovi battelli tanto della Marina tedesca quanto di quella italiana, ma anche
dei programmi di altre Marina come quella norvegese (ma su quest’ultimo aspetto torneremo
con maggiore dovizia di dettagli più avanti). Soprattutto gli aspetti relativi alla ricerca e
sviluppo potrebbero consentire, se opportunamente sviluppati, alle industrie dei due paesi
di lavorare su progetti comuni in aree strategiche ed abilitanti tali da portare allo sviluppo di
tecnologie e prodotti potenzialmente impiegabili sui nuovi sottomarini da acquisire. Questo
è un aspetto di straordinaria valenza strategica che come andremo a descrivere meglio nel
prossimo paragrafo dovrebbe caratterizzare i piani della Marina Militare relativamente alla
già formalizzata necessità di acquisire quattro nuovi sottomarini per rimpiazzare i Sauro
Terza e Quarta Serie. Del resto, in occasione della cerimonia della firma dell’accordo tra i
due Pesi, in una dichiarazione congiunta si poteva leggere: “Non solo diverse aree di ricerca
di entrambe le nazioni si completano a vicenda, ma l’esperienza e la conoscenza di diversi
profili applicativi sono inclusi nel progetto”. Ed ancora: “Lo scambio delle informazioni e delle
esperienze anche nel settore della ricerca e sviluppo possono essere utilizzati per un
reciproco vantaggio e l’eliminazione di obsolescenza. Mediante l’acquisizione congiunta e
coordinata delle componenti e dei sistemi di questi battelli, il costo d’acquisizione e
mantenimento sarà inferiore ad attività separate, come già dimostrato dalle attività finora
svolte”.
Su questa versante, inoltre, è da auspicare anche un coinvolgimento sempre più
stretto di università e centri di ricerca in modo tale che sia possibile stabilire sinergie
trasversali, sempre molto proficue quando si parla di ricerca ed innovazione tecnologica, ed
una virtuosa connessione tra questi soggetti, l’industria e chi materialmente emette i requisiti
ed utilizza i sistemi, ovvero la Forza Armata. Per cui, a valle dell’accordo firmato nella
primavera del 2017 possiamo immaginare sia una serie di accordi di dettaglio tra le industrie
dei due Paesi, in particolare in alcuni settori specifici, sia una serie di accordi tra dette
industrie e università/centri di ricerca per conseguire una sinergia finalizzata all’ottenimento
62
di tecnologie impiegabili in tempi contenuti ed all’esaltazione del contenuto italiano dei nuovi
battelli in cooperazione internazionale.
Tornando ai vantaggi della cooperazione internazionale ed al lascito del programma
U-212A, anche l’industria nazionale ha comunque tratto innegabili benefici da questo
schema. Certo, l’U-212A non è progetto italiano e come abbiamo visto quando la Marina
decise di stabilire una cooperazione con la Germania si trattava di un sottomarino la cui
progettazione, appunto, era di fatto già conclusa, ma l’esperienza di per sé è stata rilevante
considerando che né i Toti né i Sauro sono mai stati esportati.
Innanzitutto, la cantieristica nazionale si è garantita un importante volume industriale
– quantificabile in 6 milioni di ore di attività diretta per entrambe lo coppie – ed ha assorbito
un processo industriale di avanguardia, con le relativa tecniche e modalità, in un settore
altamente complesso. Soprattutto, ha maturato una buona conoscenza dell’U-212A, sia
delle tecnologie che hanno portato al battello sia di diverse aree dello stesso40. Tra queste,
possiamo ricordare la parte elettrica, l’impiantistica, la struttura e le calibrature, nonché le
fuel cells e l’integrazione del sistema di combattimento.
Una delle poche eccezioni è il sistema di lancio dei siluri, il cui funzionamento è ancora
esclusivamente nelle mani di HDW e rispetto al quale Fincantieri ad oggi non ha nessuna
conoscenza. Chiaramente si tratta di un sistema critico, dal lato della sua carica di
innovazione e dei vantaggi operativi che il suo impiego può portare, e questo è senza dubbio
un gap che non può non essere preso in considerazione nell’ambito di un’analisi come
questa il cui scopo è essere quanto più imparziale e “asettica” possibile.
4.4 Tra sviluppi nazionali e cooperazione internazionale: suggerimenti per il dopo-U212A
Considerando tutto quello detto finora, soprattutto nel precedente paragrafo, le
impellenti necessità della Marina Militare per l'acquisizione di quattro nuovi sottomarini
crediamo possano, e debbano, essere assolte al meglio proseguendo sulla strada dei
programmi di cooperazione internazionale mantenendo come base il modello/disegno U-
212. I benefici sono evidenti e qui ci limitiamo a riassumerli brevemente, iniziando dalle
prestazioni. L’U212A è il sottomarino convenzionale più avanzato al mondo e promette di
esserlo anche nel prossimo futuro grazie a margini di crescita che ci sono ed a quegli
40 Come emerso da colloqui avuti dall'Autore con rappresentanti di vertice di Fincantieri.
63
sviluppi tecnologici che potrebbero accompagnare nei prossimi 30 anni l'evoluzione della
piattaforma e del disegno. E poi, di nuovo, bisogna ricordare i benefici logistici e la possibilità
di contenere i costi relativi al ciclo di esercizio ed al mantenimento delle componenti e degli
apparati. In pratica, al solito, un numero maggiore di “pezzi” consente di spalmare
maggiormente i costi e ridurli nel tempo. E lo stesso, poi, vale per la parte addestrativa e
per l'acquisizione dei necessari tool sintetici e non per un training altamente specifico come
quello necessario a formare il personale sommergibilista.
Distanziarsi adesso da questo progetto significherebbe perdere questi vantaggi e
dover ripartire fronteggiando una serie di rischi notevoli. Prima di tutto in chiave di
ingegnerizzazione perché pur avendo l’industria nazionale acquisito una buona conoscenza
dell’U-212A41 vi sono alcune aree di esso che ad oggi restano dei “buchi neri” e questo
significa o maggiori costi o l’accettazione di minori capacità rispetto a quelle attualmente
garantite dall’U212A. In entrambi i casi si tratterebbe di alternative inaccettabili dopo
un’esperienza, come quella degli U-212A, rivelatasi di successo. Poi ci sono altri due gravi
ostacoli che in questo momento, e ragionevolmente nei prossimi 5-10 anni, influirebbero
negativamente su una nuova via italiana al sottomarino. Il primo riguarda la sensoristica, ed
in particolar modo il sonar. In questo campo l’industria nazionale ad oggi non ha prodotti in
portafoglio e non ha in programma di svilupparne in futuro42. Si tratta di una lacuna rilevante
che le poche risorse disponibili in ricerca e sviluppo43 non hanno permesso di colmare nel
corso degli anni. E questo è tanto più importante laddove si pensi che il sottomarino,
esattamente come un aereo e forse ancor più di un nave di superficie, si presenta come un
unicum inscindibile “piattaforma-sistema di combattimento-sensoristica” che richiede ad
ogni sua parte, che sia un sistema/impianto, più o meno complesso, di essere integrata ed
armonizzata con tutto il resto. In pratica la scelta della suite sonar determina anche quella
del sistema di combattimento ragion per cui l’Italia dovrebbe comunque ricorrere a fornitori
stranieri che, ad oggi, essenzialmente sono francesi e tedesco/norvegesi, pure qualora
volesse intraprendere la strada di un programma interamente nazionale per l'acquisizione
di nuovi sottomarini. Peraltro, questo problema si era già evidenziato con gli stessi Sauro
visto che per la modernizzazione dei battelli si era scelto di adottare CMS e suite sonar
tedeschi.
41 Tanto è vero che la cantieristica nazionale per un’eventuale seconda coppia “post-U-212” “tutta
nazionale” ripartirebbe comunque dal disegno U-212A e dall'esperienza maturata con questo. 42 L’unico prodotto recente in questo campo è il VDS ATAS che dovrebbe presumibilmente andare ad
equipaggiare i PPA. 43 La ridotte spesa in R&D è purtroppo una caratteristica del budget della Difesa italiano. Mediamente si
parla di una cifra compresa tra i 40 ed i 50 milioni di euro.
64
E poi c’è la questione aperta della propulsione AIP, di cui parleremo con più dovizia di
dettagli nel paragrafo successivo. Ad oggi, l’Italia ha solo progetti di ricerca in questo campo
e non ha nessun prodotto industrializzato, pronto per l’eventuale installazione su una
piattaforma e per le valutazioni operative di corredo. Ragionevolmente è lecito pensare che
soluzioni nazionali prototipali complete in questo campo possano materializzarsi non prima
di tre anni, assumendo che le ricerche si trasformino a breve in veri e propri programmi di
sviluppo, solidi da un punto di vista finanziario e con buone aspettative di successo.
In definitiva, un percorso esclusivamente nazionale potrebbe trasformarsi una
riedizione dell’esperienza dell’S-90 con rischi e costi troppo alti, o relativamente troppo alti
pensando ai benefici ottenibili con un'evoluzione dell’U-212, giustificabili solo a fronte di una
forte affermazione sul mercato dell’export che, ad oggi, con queste condizioni di mercato e
con questi concorrenti (vedi i primi capitoli di questo lavoro), appare del tutto impossibile44.
Allora, l’opzione migliore sembra essere quella di proseguire la cooperazione
internazionale implementando una prudente e realistica strategia di progressiva
“italianizzazione” del progetto U-212 (U-212E-Evoluto oppure U212NFS Near Future
Submarine), incardinata su un piano strategico agli accordi con la Germania, già rinnovati,
e, auspicabilmente, da allargare anche alla Norvegia, e declinata sul piano industriale in
investimenti mirati ad alcuni settori dove ad oggi l’industria nazionale ha acquisito un know
how che promette di essere premiante e che potrebbe essere anche speso proprio sul piano
di questa cooperazione in ambito europeo.
Del resto il MoU tra Italia e Germania va già in tale direzione, ma come si accennava
sarebbe inoltre strategicamente ottimale creare una convergenza tra la cooperazione Italia-
Germania e la cooperazione Norvegia-Germania45.
44 Peraltro, nel prossimo futuro le caratteristiche del mercato dei sottomarini che abbiamo già evidenziato,
rigidità e oligopolio, non sembrano destinate a cambiare neanche in virtù dell’ingresso di player quali la Cina o la Corea del Sud. La prima non sembra poter andare oltre una fetta del mercato asiatico – una fetta peraltro di un certo rilievo se si pensa al Pakistan ed al fatto che lo stesso Pakistan aveva finora acquistato sottomarini di produzione occidentale – mentre la seconda è legata alle licenze ed al consenso all’esportazione da parte della Germania. Per cui, anche tra 20-30 anni il mercato dei sottomarini continuerà ad essere un “terreno di caccia privilegiato” per Germania, Francia e Russia. In tale quadro l’Italia può avere un ruolo dal lato di quelle forniture, di cui parliamo nel presente capitolo, riguardanti alcuni settori più competitivi e a più alto valore aggiunto, nell’ottica della cooperazione con Germania/Norvegia. Tuttavia in una prospettiva di più lungo termine, i cui contorni ad oggi sono difficilmente prevedibili, l’alleanza cantieristica tra Fincantieri e Naval Group in corso di definizione potrebbe sconvolgere in maniera significativa ogni previsione.
45 In alcuni consessi si era parlato di allargare questa cooperazione eventualmente anche a Polonia e Olanda. Tuttavia, vale la pena ricordare che la Polonia ha firmato degli accordi di cooperazione sia con Saab sia con Naval Group, mentre, per quanto riguarda l'Olanda, Saab ha già sottoscritto un accordo con Damen per lavorare a delle soluzioni per la futura sostituzione dei sottomarini classe Walrus attualmente in servizio.
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Quest’ultima è molto avanti e poggia sulla solida base rappresentata dall’esperienza
maturata con l’U-212 che, come più volte ricordato, ha un CMS prodotto dall’azienda
norvegese Kongsberg. A livello intergovernativo tale cooperazione è stata formalizzata nel
febbraio 2017 con la selezione da parte della Marina norvegese del cantiere tedesco TKMS,
che ha battuto i francesi di Naval Group, per la fornitura di quattro nuovi sottomarini, per il
rimpiazzo degli Ula attualmente in servizio, basati su un’evoluzione del design dell’U-212 e
noti al momento come U-212 NG (Next Generation). Dopo di allora sono partite le
negoziazioni a livello industriale per giungere alla firma del contratto di acquisizione
presumibilmente tra il 2018 ed il 2019. Se il contratto venisse firmato nel 2019, la Norvegia
potrebbe ottenere il primo battello nel 2022 con un completamento della fornitura entro il
2025.
Il mese successivo, inoltre, TKMS, Atlas e Kongsberg hanno firmato un accordo per la
creazione di una joint venture, con base in Norvegia, responsabile per la fornitura in
esclusiva dei CMS per i sottomarini di produzione TKMS, sia per le rispettive Marine sia per
l’export. In pratica, con questo accordo il binomio tra CMS norvegese e sottomarino tedesco
(con suite sonar integrata tedesca di fornitura Atlas), dimostratosi già assolutamente
affidabile e vincente sugli U-212, viene reso inscindibile ed applicabile anche alla futura
famiglia che trarrà origine come evoluzione del disegno U-212. La nuova jojnt venture,
pertanto, sarà responsabile unico per lo sviluppo, produzione e fornitura del CMS e di tutte
le sue componenti a qualunque cliente acquisterà un battello prodotto da TKMS.
Una cooperazione a tre46, sebbene i requisiti tra le tre Marine siano distanti – a quanto
ci è dato sapere tra l’U-212 NG tedesco-norvegese e l’U-212 E/NSF italiano c’è una rilevante
differenza in termini di dislocamento quantificabile in circa 500 t, sarebbe comunque
auspicabile sia per i benefici logistici e d’integrazione operativa (che non stiamo qui a
ricordare) sia sul fronte della cooperazione e delle sinergie industriali. Una base composta
da un elevato numero di piattaforme derivate tutte dal medesimo design, un design
ampiamente collaudato e provato, permetterebbe difatti lo sviluppo di ampie sinergie e la
creazione di importanti opportunità per l’industria nazionale di entrare con i prodotti
maggiormente consolidati e di successo, dove cioè il presidio tecnologico italiano è saldo e
competitivo, anche nel progetto tedesco-norvegese.
46 Del resto, già nel comunicato congiunto emesso durante la cerimonia di firma dell'accordo di
cooperazione tra Italia e Germania si poteva leggere che: "la cooperazione tedesca recentemente apertasi con la Norvegia per la costruzione non ha intenzione di competere con la già esistente cooperazione tedesco-italiano”. Anzi, “questo accordo consente una maggiore sinergia e offre vantaggi per tutti i partner”.
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Soprattutto, considerando il fatto che la soluzione più logica per l’eventuale U-212 E/NSF
(prima e seconda coppia) sarebbe quella di continuare ad adottare il binomio CMS
norvegese-sonar tedesco con tutto ciò che questo significherebbe dal punto di vista delle
opportunità di compensazione industriale.
E qui arriviamo al secondo aspetto, ovvero alle modalità con cui questa “nuova” forma
di collaborazione può essere declinata da un punto di vista industriale. In precedenza
parlavamo di un'italianizzazione del progetto U-212, ovvero di una strategia politico-
industriale, alla quale ci risulta lo Stato Maggiore stia lavorando alacremente da tempo, tesa
ad incrementare progressivamente il contenuto nazionale nell’ambito del progetto U-212.
Ebbene, adesso andiamo a vedere nel concreto come questa strategia incrementale
potrebbe delinearsi secondo uno schema di acquisizione che prevede una prima coppia di
U-212E/NSF nell’immediato ed una seconda più avanti nel tempo (entrambe con
CMS/sonar tedesco/norvegese), ma non troppo considerando la necessità di rimpiazzare
nel prossimo decennio anche i Sauro Quarta Serie. In tale ambito, come si diceva,
l'obbiettivo sarebbe quello di ampliare in maniera progressiva il contributo dell'industria
nazionale in quei settori in cui esiste competitività ed una maturità tecnologica già acquisita
ed ulteriormente consolidabile. Ipotizziamo, pertanto, quali potrebbero essere tali contributi
iniziando dalla prima coppia di U-212E/NSF.
Tra gli apporti più immediati e “sicuri”, in ragione delle esperienze acquisite e di
portafogli prodotti consolidati, vi sarebbe senz’altro l'adozione di sollevamenti elettrici della
Calzoni, al posto di quelli elettro-dinamici della stessa Calzoni installati attualmente47, con
la prospettiva, soprattutto in ottica seconda coppia di U-212 E/NSF, di arrivare ad una vela
completamente italiana. Un’altra “sicurezza” è l’autopilota Avio, dopo che questo è già stato
impiegato con successo sia sugli U-212 italiani che su quelli tedeschi, che potrebbe
facilmente beneficiare di ulteriori evoluzioni. Inutile ricordare, poi, che soluzioni del genere
potrebbero essere adottate anche sugli U-212 NG tedesco-norvegesi.
Poi, vi potrebbe essere un coinvolgimento degli Acciai Speciali Terni, compagnia, non
dimentichiamolo, appartenete al gruppo ThyssenKrupp, che potrebbe fornire lo speciale
acciaio amagnetico per lo scafo, mentre anche la stessa Fincantieri ha in corso degli sviluppi
interni molto avanzati riguardanti lo studio su acciai ad altissima resistenza.
47 Sollevamenti che passeranno, come emerso in numerosi colloqui avuti dall'Autore, da sei a otto.
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Da valutare anche l'apporto di qualche altra PMI nazionale nella fornitura di parti o strutture
in composito che come abbiamo visto sono utilizzate sempre più di frequente nella
costruzione dei sottomarini48.
Passando poi alla propulsione, fermo restando che al momento l'industria nazionale
non ha la capacità di realizzare un sistema AIP, un upgrade importante sulla prima coppia
di U-212E potrebbe riguardare la sostituzione delle tradizionali batterie al piombo con
batterie agli ioni di litio di produzione nazionale lasciando per il resto inalterata l’attuale
configurazione del sistema di propulsione basato sulle PEM, con il "loro" motore Permasyn,
per la propulsione tattico-operativa, ed il diesel MTU, che dovrebbe comunque essere
potenziato fino ai 4 MW, per i trasferimenti e la propulsione "non operativa". Dunque, si
tratterebbe di adottare una propulsione ibrida, ottenuta combinando il sistema AIP a nuove
batterie al litio, potenzialmente in grado di garantire un'ulteriore estensione della già
importante autonomia dei battelli. Nel campo delle batterie agli ioni di litio, l'industria
nazionale è oggi molto avanti con una serie di sviluppi che sono stati condensati nel
programma "Far Seas" portato avanti da Fincantieri assieme all'Università La Sapienza.
Al momento della stesura di questo lavoro era stata completata la terza fase del programma,
ovvero la validazione della soluzione tecnica comprendente il banco con le relative stringhe
(soluzione già brevettata). La quarta, e ultima fase, riguarda l’analisi del comportamento del
sistema su scarica lenta, tipica del sottomarino, con un completamento dello sviluppo
previsto per fine 2017. A quel punto, la soluzione sarebbe pronta per l'industrializzazione e
potrebbe per l'appunto giungere con la contrattualizzazione della prima coppia di U-
212E/NSF, consentendone la “marinizzazione”, la conduzione dei collaudi, la valutazione
della resistenza agli shock, e così via. Anche in questo caso, se l'industrializzazione di una
soluzione del genere fosse rapida, vi sarebbero concrete possibilità di veder esportata tale
tecnologia nell’ambito di quel framework di cooperazione del quale abbiamo parlato finora.
Un altro sviluppo interessante potrebbe riguardare la guerra elettronica. Al momento,
come noto, sugli U-212A italiani sono installati sistemi di origine straniera – Hensoldt sulla
prima coppia ed Indra sulla seconda coppia – ma nel frattempo in campo nazionale sono
occorsi importanti sviluppi che potrebbero avere ripercussioni rilevanti sulla prima coppia di
U-121E/NFS. Ci riferiamo, in particolare, a quanto Elettronica (una delle prime 3-4 aziende
di guerra elettronica al mondo) sta facendo per i Type 218 SG in acquisizione da parte della
Marina di Singapore.
48 Non dimentichiamo che in Italia esiste una solida filiera dedicata alla produzione di strutture e
componentistica aeronautica in materiale composito.
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Giusto per ricordare, Singapore ha acquistato da TKMS quattro battelli Type 218 SG – due
nel 2013 ed altri due nel maggio 2017 – da consegnarsi, i primi due, nel 2021 e nel 2022, e
gli altri due a partire dal 2024. Elettronica era stata selezionata della Marina di Singapore
per sviluppare e realizzare il sistema RESM dei due battelli, sistema che, a quanto ci risulta
dopo aver sentito l'azienda, è stato già realizzato e consegnato al cliente per l'installazione
sui primi due sottomarini. Inoltre, al momento della stesura del presente lavoro, l'azienda
era in fase di definizione contrattuale per realizzare e fornire un sistema più evoluto,
comprensivo anche della parte CESM (Communications-ESM)49, per la seconda coppia di
Type 218 SG. Per cui, è lecito ritenere che l'azienda possa trasferire/travasare in tempi
pressoché immediati questa esperienza anche in un prodotto nazionale che sia in grado di
soddisfare le esigenze dello Stato Maggiore della Marina. Chiaramente, si tratterebbe di un
fattore molto importante nel percorso di italianizzazione degli U-212 considerando il valore
strategico rivestito dai sistemi e dagli apparati di guerra elettronica, il cui presidio tecnologico
è appannaggio di un ristretto numero di Paesi tra cui, appunto, l'Italia. Pertanto, pure
relativamente alla guerra elettronica l'industria nazionale potrebbe giocarsi le sue carte per
“salire” a bordo della "famiglia U-212 allargata".
Infine, degli sviluppi potrebbero esserci anche nel campo dei sistemi di risalita in
emergenza con le soluzioni proposte dalla Si-14 – basate su contenitori di idrazina,
rilascianti il gas all'interno delle casse di zavorre, e capaci di offrire velocità significative –
ma anche la stessa Fincantieri sta lavorando a delle applicazioni e generando i relativi
brevetti.
Questo processo di italianizzazione potrebbe svilupparsi ancor più compiutamente con
la seconda coppia di U-212E/NSF, rispetto alla quale i tempi consentirebbero la maturazione
di ulteriori tecnologie e la loro industrializzazione a tutto vantaggio del contenuto nazionale
dei battelli. La propulsione sarebbe probabilmente la prima a poter beneficiare di questa
evoluzione e di una tempistica "più rilassata” nel tempo, tanto è vero che oggi non è
azzardato immaginare su questa seconda coppia di battelli l'adozione di un sistema AIP
completo di concezione integralmente italiana. In tale campo la Fincantieri ha già messo a
punto e collaudato un primo dimostratore da 240 Kw che funziona a idrogeno e aria chimica
(generata a bordo mescolando azoto e ossigeno). Il sistema è basato su otto moduli PEM
da 30 Kw tipo Orion forniti dall’azienda americana Nuvera ed è figlio del programma di
ricerca Teseo che ha visto Fincantieri impegnata assieme al CNR ed all’Università di
Messina.
49 Parte CESM fornita, però, da altra azienda.
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Il programma Teseo, che aveva scopi essenzialmente civili riguardanti l'esplorazione di
soluzioni alternative per la generazione di energia pulita, ha portato alla realizzazione di un
impianto dimostrativo composto da stacks di tipo PEM raffreddati a liquido, collegati a
DC/DC converter su una linea in cui era presente un raddrizzatore da circa 60 kW per la
simulazione di un pacco batterie. Di seguito lo schema:
• 4+4 Stack;
• Potenza 130 kW + 130 kW da progetto; potenza raggiunta 210 Kw;
• Due DC/DC converter 350-600 V;
• Automazione e Controllo.
Sulla base di questa esperienza, Fincantieri potrebbe lanciare a breve un ulteriore
programma di sviluppo per la realizzazione di un dimostratore di superficie completo,
comprensivo, dunque, delle fuell cells, della parte relativa allo stoccaggio dell’idrogeno, di
batterie al litio, ecc. E’ chiaro che uno sforzo tecnologico del genere andrebbe sostenuto
con finanziamenti adeguati in considerazione dei ritorni che potrebbero essere ottenuti
nell’ottica del futuro programma di acquisizione di sottomarini della Marina Militare. A quanto
ci risulta, con i necessari fondi50, Fincantieri potrebbe approntare un primo prototipo di
sistema AIP completo entro un massimo di tre anni: una tempistica che sarebbe allineata
con il procurement della seconda coppia di U-212E.
Un altro sviluppo che consideriamo strategico e che crediamo debba essere
perseguito nell’ottica della seconda coppia di U-212 E/NSF, ma auspicabilmente anche sulla
prima, riguarda l'acquisizione di un missile da crociera land attack a lungo raggio. Ad oggi,
tale capacità in seno alle FA italiane è monopolio dell’Aeronautica Militare51 che l’ha
impiegata con grande successo, e grandi risultati, durante la Guerra di Libia del 2011 a
bordo dei cacciabombardieri TORNADO (mediante l’impiego dei missili Storm Shadow
contro obbiettivi ad alto valore strategico localizzati in profondità sul territorio libico).
Tuttavia, in considerazione dell'evoluzione degli scenari e del fatto che sempre più stati si
vanno dotando di tale capacità di tipo strategico, mentre altri (a cominciare dalla Russia) la
stanno via, via raffinando rendendola sempre più performante e letale, riteniamo che sia
giunto il momento anche per la Marina di dotarsi di un missile da crociera land attack. Detto
ciò, riteniamo anche che nell’eventualità per la Marina Militare sia più opportuno acquisire
un sistema di tipo europeo – quale lo Scalp Naval, per esempio, variante lanciabile da unità
50 Fondi che potrebbero essere ottenuti sia ricorrendo al bilancio della Difesa nazionale sia ricorrendo
all’European Defence Research Program ed all’European Defence Program, i promettenti programmi lanciati nell'ultimo anno dall’UE per sostenere la ricerca militare e lo sviluppo di nuove capacità.
51 Monopolio gelosamente custodito...
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di superficie e subacquee dello Storm Shaodw aviolanciabile e già impiegato anche dalla
Marina francese – piuttosto che il Tomahawk statunitense. Acquistare il Tomahawk, infatti,
significherebbe essere legati ancor di più agli Americani, ed al loro sistema satellitare GPS,
nonché al loro sistema di pianificazione della missione, per di più in un settore critico ed
altamente strategico come questo. Un’arma europea – legata alla costellazione satellitare
Galileo – offrirebbe, invece, all’Italia maggiore flessibilità ed autonomia strategica,
indispensabili per operare al meglio in contesti che si annunciano sempre più indeterminati,
per non dire schizofrenici. A tal proposito vale la pena ricordare il fatto che Francia e Gran
Bretagna si stanno già portando molto avanti in questo settore e nel marzo 2017 hanno
firmato un contratto per uno studio di concetto congiunto riguardante un nuovo missile da
crociera anti-nave e land-attack denominato, per ora, Future Cruise/Anti-Ship Weapon
(FC/ASW). Il nuovo ordigno, che verrà sviluppato e realizzato dal colosso missilistico MBDA
(partecipato al 25% pure dall’italiana Leonardo), dovrà rimpiazzare in seno alle FA
britanniche e francesi Exocet, Harpoon e, soprattutto, Storm Shadow. Lo studio, a copertura
del quale sono stati stanziati 100 milioni di euro, avrà una durata triennale e dovrà valutare
requisiti e concetti, ponendo le basi per la successiva fase di dimostrazione e sviluppo, con
un workshare ed un carico finanziario tra le 2 parti del 50%. Per quanto riguarda i requisiti,
l’FC/ASW dovrà avere maggiori capacità rispetto ai sistemi che andrà a rimpiazzare in tutti
settori - sopravvivenza, stealthness, portata e letalità – e dovrà essere lanciabile sia da aerei
che da piattaforme navali.
La seconda coppia di U-212E/NSF potrebbe pure beneficiare di interessanti sviluppi
nel settore degli UUV (Unmanned Undrwater Vehicle). Come ricordavamo in precedenza,
fino ad oggi le soluzioni in questo campo sono state penalizzate dalle oggettive difficoltà nel
recupero di tali sistemi e gli sviluppi sono stati nel complesso limitati. Tuttavia, alcune nuove
tendenze si stanno profilando all'orizzonte e riguardo, tra l’altro, anche innovative modalità
di recupero quali, per esempio, l'adozione di speciali selle in coperta dalle quali gli UUV
possono non solo essere lanciati, ma, appunto, essere anche recuperati più facilmente.
In pratica, si tratterrebbe di implementare soluzioni che in qualche misura ricordano le
modalità di lancio e recupero di SDV (Swimmer Delivery Vehiccle) e mini-som permettendo
l'impiego di più piccoli UUV. Questi ultimi, in considerazione dei progressi in campo sonar e
della rilevazione in genere, potrebbero essere usati di un sottomarino come "occhi e orecchi”
avanzati andando ad operare nelle shallow water e in ambiente ostile per la ricognizione
speciale, il monitoraggio di infrastrutture portuali, la scoperta di mine, ecc. e questo
garantendo alla piattaforma madre la possibilità di mantenersi in zone e a distanze di
sicurezza.
71
Inoltre, lo stesso sottomarino potrebbe coordinare più UUV, sfruttando i progressi tecnologici
nel settore delle comunicazioni subacquee, impiegandoli per svariate tipologie di azione,
anche d'attacco, e creando un vero e proprio network subacqueo capace di moltiplicare le
capacità normalmente esprimibili da un singolo battello. In Italia, esiste un'azienda con una
grande esperienza nel settore dei veicoli "marini” autonomi quali GayMarin, specializzata
nella produzione di AUV (Autonomous Underwater Vehicle) e ROV (Remotely Operated
Vehicle), anche spendibili, impiegabili soprattutto per compiti di contromisure mine. A nostro
avviso un UUV dovrebbe essere oggetto di un programma di sviluppo nazionale -
finanziabile in maniera adeguata ricorrendo magari anche ai fondi del MiSE o di qualche
altro Ministero in ragione del potenziale duale del progetto52 oppure ricorrrendo ai succitati
nuovi fondi europei – mirante allo sviluppo della piattaforma, della sensoristica e delle
modalità di controllo e governo e, soprattutto, delle modalità di lancio e recupero. Il tutto
accompagnato da una sistematica e rigorosa campagna di prove e sperimentazioni in
condizioni quanto più realistiche possibile.
4.5 Il dopo-U212A e il mercato: quale spazio per l’industria italiana?
Nel prossimo futuro le caratteristiche del mercato dei sottomarini che abbiamo già
evidenziato nel Cap.2, rigidità e oligopolio, non sembrano destinate a cambiare neanche in
virtù dell’ingresso di nuovi player quali la Cina o la Corea del Sud. La prima difficilmente
potrà andare oltre una fetta del mercato asiatico – una fetta peraltro di un certo rilievo se si
pensa al Pakistan ed al fatto che lo stesso Pakistan aveva finora acquistato sempre
sottomarini di produzione occidentale – mentre la seconda non solo è legata alle licenze ed
al consenso all’esportazione da parte della Germania, ma è dipendente dall’Occidente per
ciò che concerne sistemi di gestione del combattimento e sensoristica. Per cui, anche tra
20-30 anni il mercato dei sottomarini continuerà ad essere un “terreno di caccia privilegiato”
per Germania, Francia e Russia. Tuttavia, in tale quadro l’Italia può avere un ruolo dal lato
di quelle forniture, di cui abbiamo parlato nel presente capitolo, riguardanti alcuni settori più
competitivi e a più alto valore aggiunto, nell’ottica della cooperazione con
Germania/Norvegia, ma anche in una prospettiva più ampia. Procediamo per gradi.
Innanzitutto cerchiamo di tirare le fila e precisare quanto detto circa i prodotti italiani “a
52 Non dimentichiamo che ci sono alcuni programmi della Difesa, come il nuovo missile antinave MARTE
ER, finanziati addirittura in parte con fondi regionali.
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matrice subacquea” (sia di PMI che di grande imprese) che potrebbero suscitare l’interesse
del mercato internazionale. Ricordiamo, dunque, gli acciai amagnetici, la componente
autopilota, le batterie agli ioni di litio, gli UUV, senza dimenticare guerra elettronica e siluri.
Peraltro, in alcuni di questi settori, l’industria italiana ha già colto importanti successi
all’export. E’ il caso, per esempio, dei siluri, installati pure sui sottomarini francesi classe
Scorpene, o della guerra elettronica se si pensa alle antenne RESM sviluppate e realizzate
da ELT per i Type-218 SG della Marina di Singapore. In questo quadro bisogna considerare
prima di tutto le prospettive che potrebbero aprirsi nell’ambito dell’eventuale cooperazione
triangolare Italia Norvegia-Germania avente come base il disegno U-212. Tali prospettive
potrebbero essere innescate e rese più concrete da logiche di compensazione con
l’adozione di prodotti e tecnologie italiane pure sugli U-212 NG tedesco-norvegesi secondo
uno schema che al binomio piattaforma tedesca/CMS norvegese assocerebbe sistemistica
italiana in diverse aree. Pensiamo, per esempio, ai siluri Black Shark (per i battelli
norvegesi), all’autopilota, peraltro come ricordato già attualmente in uso su tutti gli U-212,
ma anche alla guerra elettronica e pure alle batterie al litio. Sui siluri, inoltre, sarebbe
auspicabile che in una logica di compensazione e cooperazione europea possa essere
annullata la tradizionale competizione tra il siluro italiano e quello tedesco privilegiando un
modello soltanto accordandosi per suddividere il mercato in quote precise.
Detto questo, la cooperazione triangolare è da intendersi come una sorta di base di
partenza ed incubatore, al quale si devono aggiungere ulteriori opportunità riguardanti gli
altri Paesi che hanno in programma l'acquisizione di nuovi sottomarini. Ricordiamo l’Olanda,
ma anche la Polonia, e pure la Romania potrebbe presto porsi il problema del rimpiazzo
dell’unico battello classe Kilo in disuso da tempo. In questi Paesi, anche se un’eventuale
piattaforma di acquisizione fosse diversa dall’U-212 – a tal proposito rammentiamo gli
accordi della Polonia con Naval Group e dell’Olanda con Saab – l’industria italiana potrebbe
lo stesso piazzare alcuni dei prodotti e delle tecnologie succitate ed essere pertanto
competitiva. Non abbiamo parlato degli UUV, ma questo potrebbe essere il driver
considerando anche un ulteriore aspetto molto importante, ovvero le cooperazioni
strutturate previste dalla PESCO ed il progetto nel settore sorveglianza marittima/protezione
dei porti di cui l’Italia è Paese guida e che potrebbe generare interessanti spinoff pure in
ottica AUV/UUV beneficiando dei finanziamenti previsti dall’European Defence Fund53.
53 Il progetto è denominato Harbour & Maritime Surveillance and Protection (HARMSPRO), ma altre
tecnologie a matrice subacquea potrebbero beneficiare dei nuovi fondi europei per la ricerca militare e le capacità, ma questa non è chiaramente la sede per approfondire una tematica d così rilevante interesse.
73
Accanto a queste prospettive, inoltre, non sarebbe neanche da sottovalutare il mercato del
refit e degli upgrade delle flotte esistenti per la risoluzione delle obsolescenze dei battelli
attualmente in servizio e l’acquisizione di capacità maggiormente all’avanguardia. Basti qui
ricordare le grandi flotte sottomarine di Turchia o Grecia o, ancora, di Israele, tutte basate
su piattaforme tedesche/HDW, che nei loro esemplari più anziani potrebbero aver bisogno
di aggiornamenti onde mantenere numeri e masse critiche adeguate a quello scenario,
sempre più competitivo, che abbiamo abbondantemente descritto. Se prendiamo, per
esempio, la Turchia occorre sottolineare che i sei nuovi Type 214 in acquisizione dovranno
rimpiazzare ben 14 Type 209 di diverse serie attualmente in servizio in un rapporto, dunque,
inferiore all’1:2. Non a caso, a quanto ci risulta, in Turchia è già stato lanciato un programma
per l’upgrade dei quattro Preveze, al quale potrebbe e dovrebbe seguire pure
l’ammodernamento dei quattro Gur. Lo stesso discorso vale in parte pure per Israele i cui
primi tre Dolphin si apprestano a raggiungere i 20 anni di servizio operativo. In tutti questi
casi, si potrebbe immaginare una tipologia di refit “pesante” comprensivo di adozione tanto
di nuovi motori diesel quanto del rimpiazzo delle batterie tradizionali con batterie agli ioni-
litio, di sostituzione di apparati RESM (solo nel caso della Turchia, ovviamente,
considerando le capacità dell’industria israeliana in campo EW…) e di introduzione di più
evolute suite RESM/CESM, secondo quanto prevedono le più avanzate tendenze del
settore o, ancora, si potrebbe immaginare la sostituzione dell’autopilota con apparati
maggiormente evoluti ed all’avanguardia, senza dimenticare l’eventuale adozione di nuovi
siluri pesanti.
E’ chiaro, a questo punto, che in un contesto del genere industria e istituzioni – nella
fattispecie Stato Maggiore Marina e NAVARM – dovrebbero stabilire un coordinamento di
sistema/paese in maniera tale da massimizzare gli sforzi per favorire la penetrazione sul
mercato internazionale dei prodotti e delle tecnologie subacquee italiane. Si dovrebbe,
pertanto, creare una sorta di cabina di regia tra Difesa e industria per, nell’ordine:
1. identificare un pacchetto subacqueo nazionale;
2. monitorare i mercati d’interesse;
3. elaborare una strategia di supporto al suddetto pacchetto per favorirne la penetrazione;
4. implementare tale strategia.
Fuori da questa logica sistemica/strategica sforzi disorganici per rendere appetibili sul
mercato prodotti e tecnologie italiane a matrice subacquea potrebbero risultare del tutto vani
se non addirittura controproducenti.
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Considerazioni conclusive
Il sottomarino è oggi un mezzo straordinariamente ricercato. Le sue naturali doti di
flessibilità e furtività, unitamente al progresso tecnologico, lo hanno reso uno strumento
particolarmente adatto ai nuovi senari. Scenari che se non sono più puramente asimmetrici,
non sono ancor tornati ad essere completamente convenzionali assumendo un carattere
del tutto ibrido. Nello scenario ibrido la minaccia può assumere un ampio grado di variabilità
e presentarsi sotto diverse forme con altrettanto diversa intensità. In questa
indeterminatezza, o se si preferisce, in questa volatilità, il sottomarino diventa protagonista
con le sue caratteristiche di versatilità. Un sottomarino, infatti, senza bisogno di essere
riconfigurato può svolgere nella stessa missione “compiti puramente asimmetrici”, come,
per esempio, il monitoraggio dei flussi migratori in mare, ma anche la ricognizione di
obbiettivi strategici o, ancora, può lanciare missili land attack a cambiamento di ambiente
contro bersagli ad alto valore collocati in profondità sul territorio di un potenziale avversario.
Siamo, pertanto, di fronte ad uno strumento straordinariamente polivalente che sta vivendo
una vera e propria nuova giovinezza dopo i "fasti" della Guerra Fredda e della "caccia" in
Atlantico.
I Paesi che attualmente sono dotati di significative flotte subacquee sono sempre più
numerosi, ben oltre il tradizionale cerchio ristretto rappresentato dalle grandi potenze, ed in
generale si sta assistendo ad una corsa al sottomarino che sta interessando tanto l'Asia
quanto quel Mediterraneo Allargato che così a cuore sta all'Italia. Proprio nel Mediterraneo
Allargato abbiamo visto anche di recente, in occasione del conflitto siriano, l'impiego che
una grande potenza di ritorno come la Russia ha fatto dell'arma subacquea, impiegata per
l'occasione sia come piattaforma d'intelligence occulta, in funzione essenzialmente anti-
NATO, sia come piattaforma per lo strike convenzionale in profondità contro obbiettivi legati
ad infrastrutture terroristiche ampiamente sviluppate e consolidate sul terreno.
Nel bel mezzo di questo contesto l'Italia è chiamata a fare importanti scelte sul piano
dell'acquisizione di nuovi sottomarini considerando il numero di otto battelli "un minimo
sindacale" per far fronte all'evoluzione della minaccia. Questo studio nasce, pertanto,
proprio dall'esigenza di analizzare l'evoluzione dello scenario e del mercato, con tutti i relativi
vincoli, e di valutare, sulla base di detta evoluzione, le opzioni più realistiche e costo-efficaci
per il procurement di almeno quattro nuovi sottomarini convenzionali da parte della Marina
Militare.
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Ebbene, sulla base di quanto analizzato, abbiamo ritenuto come migliore – in termini
di rapporto costo/efficacia – la prospettiva di continuare con la cooperazione internazionale
implementando una prudente e realistica strategia di italianizzazione del disegno U-212.
Le ragioni, in parte abbastanza evidenti, in parte più complesse, potrebbero essere
riassunte come segue.
La prima, e più ovvia, è che l'esperienza U-212A si è dimostrata un successo e come
tale non ci sarebbero ragioni valide per distanziarvisi e intraprendere strade strettamente
nazionali, soprattutto alla luce delle attuali condizioni di mercato. L'U-212A è un
progetto/disegno vincente sia sul piano delle prestazioni operative sia sul piano dei benefici
logistici, di esercizio e di interoperabilità. Pertanto, continuare su questa strada sarebbe la
scelta più ovvia e sensata per non veder disperso quel patrimonio di benefici ed esperienze
accumulato nell'arco di un ventennio.
In aggiunta a ciò, bisogna considerare il fatto che ad oggi l'industria nazionale non
avrebbe la capacità di sviluppare e realizzare su base interamente nazionale un nuovo
sottomarino a costi accettabili o quanto meno paragonabili a quelli dell’opzione sostanziata
dalla prosecuzione della cooperazione internazionale. Ancora oggi, difatti, esistono alcuni
gap – il sonar, ma pure la progettazione di alcune aree più critiche (abbiamo visto a tal
proposito il sistema di lancio dei siluri) – che per essere colmati in tempi ragionevolmente
brevi necessiterebbero di investimenti massicci, ammortizzabili solo nel caso della
produzione di un cospicuo numero di unità, ovvero di un’affermazione all’export, alquanto
imprevedibile con le condizioni di mercato da noi analizzate nel dettaglio.
Ecco spiegato, dunque, perché ci sembra più prudente e realistico – ed in un'ultima
analisi costo-efficace con un occhio al contribuente – implementare, nell'ambito di una solida
architettura di cooperazione internazionale, una strategia di "italianizzazione" del progetto
U-212 volta ad incrementarne progressivamente il contenuto e l'apporto da parte
dell'industria nazionale. Tale strategia potrebbe essere declinata in una serie di investimenti
mirati ad alcuni settori dove ad oggi l’industria nazionale ha acquisito un know how che
promette di essere premiante. Stiamo parlando di settori quali le batterie al litio, la
propulsione indipendente dall’aria, i materiali compositi e/o gli acciai amagnetici, ecc. che,
se adeguatamente sostenuti, potrebbero garantire il consolidamento di una know how
tecnologico eventualmente spendibile non solo sui battelli destinati alla Marina Militare, ma
anche su quelli destinati alla Marina norvegese o tedesca, ma non solo.
Una base composta da un elevato numero di piattaforme, derivate tutte dal medesimo
design, permetterebbe difatti lo sviluppo di ampie sinergie e la creazione di importanti
opportunità per l’industria nazionale di entrare con i prodotti maggiormente consolidati e di
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successo, dove cioè il presidio tecnologico italiano è saldo e competitivo, anche sul progetto
tedesco-norvegese. Una prospettiva concreta, certo, posto che, come si diceva, la strategia
che dovrà portare al dischiudersi di tale prospettiva sia adeguatamente sostenuta in termini
finanziari e sia implementata in tempi rapidi.
77
Suggerimenti bibliografici
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• www.nato.int
• www.defensenews.com
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NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SUGLI AUTORI
Ce.Mi.S.S.54
Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.) è l'Organismo che gestisce, nell'ambito e
per conto del Ministero della Difesa, la ricerca su temi di carattere strategico.
Costituito nel 1987 con Decreto del Ministro della Difesa, il Ce.Mi.S.S. svolge la propria
opera valendosi si esperti civili e militari, italiani ed esteri, in piena libertà di espressione di
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Quanto contenuto negli studi pubblicati riflette quindi esclusivamente l'opinione dei
Ricercatori e non quella del Ministero della Difesa.
BIOGRAFIA AUTORE
Pietro Batacchi
Pietro Batacchi è attualmente Direttore di RID – Rivista Italiana Difesa
– la principale rivista del settore Difesa in Italia, e una delle principali
in Europa, collaboratore del CEMISS (Centro Militare di Studi
Strategici) e di numerose riviste specializzate e non italiane ed estere.
Commentatore di radio e TV nazionali e docente presso istituzioni
accademiche e militari - CASD (Centro Alti Studi della Difesa), RIS
(Reparto Informazioni e Sicurezza), Università di Firenze (Corso di
Perfezionamento Intelligence e Sicurezza Nazionale) ecc. - Pietro Batacchi in precedenza
è stato Direttore e Senior Analyst del Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali – e Caporedattore
di Panorama Difesa.
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