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TECNOLOGIE DEI DISPOSITIVI DI POTENZA A
SEMICONDUTTORE.
1. INTRODUZIONE
Scopo di questa trattazione è capire come le caratteristiche elettriche di un dispositivo di
potenza sono correlate alle grandezze fisiche interne ed al modo col quale il dispositivo è stato
costruito.
Un altro obiettivo è quello di avere una panoramica sulle tecnologie utilizzate da un’industria
microelettronica per realizzare i dispositivi.
Premettiamo che i transistor, sia esso bipolare sia a tecnologia MOS, nella maggior parte delle
applicazioni è utilizzato come interruttore.
Deve pertanto avere opportune caratteristiche:
1) (Stato OFF) quando l’interruttore è aperto fra i suoi capi deve essere in grado di sopportare
una certa tensione che varia dai ,100050 − 2000 V , a seconda delle applicazioni in cui il
dispositivo sta lavorando;
2) (Stato ON) quando il dispositivo è nella fase ON deve avere la capacità di far passare
correnti elevate con una bassissima caduta di tensione;
3) Nella transizione acceso – spento (ON – OFF) e viceversa sopporterà un’energia dovuta
all’incrocio corrente – tensione, quindi sarà soggetto a sollecitazioni energetiche molto forti
che deve essere in grado di sopportare. Quando il dispositivo commuta i due fenomeni
(elevate correnti e tensioni) possono distruggere il dispositivo:
− Rottura secondaria diretta (ON);
− Rottura secondaria inversa (OFF).
4) Vedremo infine come si potrà ottimizzare la velocità di commutazione di un dispositivo di
potenza: questo ovviamente è molto importante perché se il dispositivo deve operare ad alte
frequenze deve avere un tempo di commutazione molto basso. Parleremo in fine di un
dispositivo a funzionamento misto (metà MOS e metà bipolare) che si chiama IGBT.
Tutta la produzione microelettronica è basata su delle fette di silicio ognuna delle quali ha una
matrice di righe e colonne cioè divisa in tanti quadratini, ognuno dei quali è un singolo
dispositivo che se buono verrà assemblato in modo opportuno. Nella fetta vi sono altresì dei
punti neri in corrispondenza dei dispositivi di scarto.
2
La fetta, completato il flusso di lavorazione, viene testata perché un dispositivo deve soddisfare
delle performance elettriche e successivamente rigata con una mola lungo le linee ottenendo
così un certo numero di dispositivi buoni e alcuni di scarto.
3
2. TECNOLOGIE PER DISPOSITIVI BIPOLARI
Si analizzano, adesso, le tecnologie che sono usate per realizzare i dispositivi bipolari di
potenza, che sono:
- EPIBASE;
- MULTIEPITAXIAL MESA;
- PLANARE.
La prima è utilizzata per realizzare dispositivi essenzialmente lenti con un alto tempo di
commutazione (qualche sμ ). Hanno il vantaggio di essere molto robusti alla rottura secondaria
diretta, cioè in accensione. Hanno però il limite: la massima tensione inversa che possono
sopportare circa 200 V e ci sono molte difficoltà a poter integrare con questa tecnologia due o
più transistori nello stesso chip, cioè nella stessa piastrina.
La seconda invece non ha limiti di breakdown (si possono raggiungere i 2000 V ed oltre) però
ha la difficoltà di poter integrare più transistori nella stessa piastrina.
La terza presenta due grandissimi vantaggi:
- grande facilità d’integrazione di più transistori nella stessa piastrina;
- si ottengono dispositivi più affidabili: per esempio su 000.100 dispositivi che lavorano per
1000 ore, il numero di fallimenti, invece di essere 2010 − tipici delle altre tecnologie, sono
invece dell’ordine di 21− .
2.1 Epibase
Si parte da uno strato di silicio (fetta) che ha la caratteristica di essere drogata (se
vogliamo fare un transistor NPN) di tipo +N , in genere con antimonio oppure arsenico (in
termini di resistività 2010 − cm⋅Ω ) ed ha inoltre uno spessore di mμ600 .
Il silicio, sotto opportune condizioni di temperatura e d’ambiente chimico, ha la
caratteristica che la struttura del cristallo cresce su dei piani reticolari con una
concentrazione che può essere controllata; si può cioè, su questa fetta di silicio, crescere
,2010 − 50 mμ di un’altra zona di silicio di resistività nota. Per far questo dobbiamo
inserire la fetta in un ambiente ad alta temperatura (oltre C°1000 ) e con particolari
condizioni di flussi di elementi: si dice che il silicio cresce epitassialmente. La crescita è
controllata ovviamente sia come spessore sia come drogaggio; quest’ultimo è fatto
inserendo delle impurità dall’esterno (fosforo pentavalente).
4
In conclusione su questo strato +N si cresce uno strato −N (cioè con una resistività
dell’ordine di 105 − cm⋅Ω , lo spessore è di circa 2010 − mμ ) che costituisce il collettore
del transistor.
Dopo di ciò con la stessa tecnica ma cambiando drogante (boro trivalente) si cresce del
silicio −P (spessore di circa 2010 − mμ , la resistività più o meno dello stesso ordine)
creando dunque una giunzione NP − .
Poi la fetta è massa in un forno con temperature tra i 1200900 − C° in ambiente
d’ossigeno, in queste condizioni crescerà dell’ossido di silicio ( )2SiO ; controllando la
temperatura ed il flusso d’ossigeno si può controllare lo spessore dell’ossido (circa mμ1 ).
Indi si opera la cosiddetta fototecnica, in altre parole sull’ossido si deposita un materiale
fotosensibile detto resist, sulla fetta si mette una maschera che presenta delle zone scure e
delle zone chiare e che il progettista ha opportunamente disegnato in fase di progettazione.
S’illumina il tutto e nella zona dove la luce ha colpito il fotoresist le caratteristiche
chimiche dello stesso cambiano completamente. Immergendo la fetta in una soluzione
chimica che attaccherà solamente il resist nella zona che non è stata colpita dalla luce, si
ottiene come risultato finale una zona coperta da resist ed una zona in cui non esiste più e
che prende forma dal disegno fatto sulla maschera.
S’immerge nuovamente la fetta in una soluzione che ha lo scopo solamente di attaccare
l’ossido, ma non il resist che è rimasto ottenendo così una zona in cui sul silicio c’è
dell’ossido e del resist. Immergendo il tutto in una soluzione che attacca solo il resist e non
il silicio si ottiene alla fine: zone in cui la fetta è coperta da ossido di silicio e zone
scoperte che si possono ulteriormente drogare.
Attualmente tutti i drogaggi si realizzano mediante impianto ionico, cioè ioni di fosforo
vengono accelerati contro la superficie di silicio con una certa energia. Secondo il valore
d’energia questi ioni entrano nel silicio ad una certa profondità ( )mμ5,0 , mentre quelli che
colpiscono l’ossido vengono fermati.
Mettendo la fetta nuovamente in un forno ad alta temperatura, il drogante che ritrova in
superficie si diffonde (anche fino a 10 mμ ). Si è cosi ottenuta una zona di tipo N molto
drogata, in corrispondenza della finestra creata in precedenza, che sarà l’emettitore del
dispositivo. Il transistor è dunque creato.
Esistono, in ogni caso, delle difficoltà reali che s’incontrano durante il processo.
Si è già affermato che la zona di tipo −P (ossia la base) non è stata ottenuta tramite una
fotolitografia in una zona della fetta, ma si trova su tutta la fetta stessa, questo vuol dire
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che tutti i transistor che sono stati realizzati hanno in comune tutte le basi e non solo i
collettori. Si pone allora il problema di separare le basi fra un transistor e l’altro. L’unico
modo è quello di asportare, lungo il perimetro d’ogni dispositivo, una quantità di silicio. Si
fa quella che si chiama fototecnica MESA, in pratica si protegge tutto con ossido, si
aprono soltanto due finestre lungo la periferia del dispositivo e si fa un attacco nel silicio
che deve superare la giunzione base – collettore.
Questo attacco nel silicio circonda tutto il dispositivo ed isola una base dall’altra, pertanto
tutti i singoli dispositivi sono fisicamente isolati, almeno per quanto riguarda la base, ciò è
necessario appunto perché la tecnologia prevede una base per via epitassiale.
In questo modo la giunzione rimane scoperta e per proteggerla, su questo canale detto
MESA, è depositato un passivante. Rimane dunque da aprire i contatti ed effettuare le
metallizzazioni.
Altro aspetto e che tra base e collettore, quando il dispositivo è spento (OFF) tutta la
tensione è sopportata dalla giunzione, che è quell’inversa.
5
1010
1019
cm-3
161010
15cm
-3
-3
cm20
10
-N
+N
P-
+N
fig. 1 Profilo concentrazioni per processo Epibase
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c
beP N
N
+ forno
Impianto ionico
NN
P
Fototecnica
SiO2
P
NN
+ ossido(P)
(N)
Epitax
collettore
NN
Crescita epitassiale
N
fig. 2 Procedimento Epibase
2.2 Distribuzione del campo elettrico
Si esamina adesso la distribuzione del campo elettrico nelle giunzioni utilizzando la legge
di Poisson. Essa afferma che la pendenza del campo elettrico è proporzionale alla sua
concentrazione N , infatti se q è la carica dell’elettrone ed ε la costante dielettrica, si ha:
( )ε
qNdx
xdE= (2.2.1)
Questo significa che se c’è uno strato molto drogato la pendenza è molto forte, se invece
c’è uno strato molto resistivo (poco drogato) è molto piccola. Uno strato quindi più è
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resistivo più tiene la tensione. Allora partendo da questa legge si può vedere come si
distribuisce il campo elettrico tra la base ed il collettore.
In particolare se si droga poco la base, ci può essere un campo elettrico tale che la
depletion della base possa raggiungere l’emettitore, cioè se non si riesce a dimensionare
opportunamente questa base ed essa ha una resistività molto alta, la pendenza del campo
elettrico può essere tale che questo raggiunga l’emettitore. Se ciò avviene si ha un
fenomeno di temperatura che si chiama punch – trough ed il dispositivo non può più
sopportare la tensione (è come se avessimo fatto un cortocircuito tra la base e
l’emettitore). Questo è il motivo per il quale i dispositivi che sono realizzati con una base
per via epitassiale e non diffusa, caratterizzati, quindi, da basi che non possono essere
molto drogate, hanno un limite alla tensione che possono sopportare, per questa tecnologia
il limite è circa 200 V .
Se volessimo integrare, con questa tecnologia, due semplici transistor in un'unica piastrina,
in configurazione Darlington, e realizzare tra le basi dei due transistor una resistenza,
essendo queste tutte in comune, per realizzarle si è costretti a fare un attacco MESA nel
silicio, che in questo caso è enorme, in modo che tra le due basi ci sia una resistenza.
Questo dimostra quale sia la difficoltà nel realizzare con una struttura non planare, cioè di
tipo MESA, un’integrazione anche semplice; infatti realizzare su una fetta di silicio tutti
questi attacchi chimici la rende più fragile. Inoltre la stessa piastrina quando è sottoposta
ad affidabilità a causa di tali attacchi, ha un numero di fallimenti che è superiore rispetto
quelli di un’altra tecnologia ad esempio quella planare.
2.3 Tecnologia MULTIEPI – MESA
Tale tecnologia è simile a quella epibase con la differenza, però, che il limite di tensione di
breakdown sale fino a 2000 V .
Si parte, al solito, dallo stesso substrato molto drogato +N , quindi si cresce il collettore
per via epitassiale (per un transistor da 1000 V il collettore avrà una resistività ed uno
spessore più alti rispetto a quello a 100 V ; infatti la resistività è dell’ordine di
6050 − cm⋅Ω , lo spessore è invece dell’ordine di ,8070 − 100 mμ ), si cresce, a questo
punto la base esattamente come nell’altra tecnologia.
Dopo aver cresciuto la base a concentrazione costante tramite una tecnica di fotolitografia,
si apre una finestra e si diffonde su di essa un’altra base ad alta concentrazione, si fa cioè
un impianto di boro ad alta dose e si diffonde.
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La base è dunque formata da due layer: una ad alto drogaggio; l’altra a drogaggio costante
(che rappresenta l’unica differenza con l’altra tecnologia), indi si realizza l’emettitore
nella stessa maniera completando la realizzazione.
Le principali differenze tra le due tecnologie già viste sono:
1) Differenza nello spessore e nella concentrazione del collettore (vogliamo raggiungere
tensioni più elevate);
2) Introduzione di uno strato di base diffuso su quello a concentrazione costante.
La differenza del profilo della base ha la funzione di aumentare la resistività con una
conseguente diminuzione del campo elettrico che non potrà arriva all’emettitore
consentendo al transistor di avere tensioni di breakdown più elevate. Si è cosi risolto il
problema del punch, ma resta quello della difficoltà d’integrazione.
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2.4 Tecnologia Planare
La tecnologia Planare è la più versatile. Si parte dal solito substrato, ma la crescita
epitassiale è usata solo per il collettore. Viene poi depositato dell’ossido attraverso cui
viene formata una prima finestra che serve a creare, per diffusione, la base +P e dopo altre
per formare l’emettitore ++N .
La base, con questa tecnologia, non si estende per tutta la lunghezza del dispositivo, ma è
racchiusa entro il collettore e la giunzione che resta all’esterno si trova in superficie dove è
facile realizzare una copertura d’ossido termico che è un passivante migliore del vetro.
La giunzione base – collettore ( )−+ NP , che è quella che deve sopportare le elevate
tensioni, per la tecnica con cui è stata realizzata è portata in superficie, ha cioè un suo
raggio di curvatura e parte della superficie.
Questo significa che è protetta da un ossido termico che cresce quando l’abbiamo diffusa,
a differenza di quando avveniva con le altre tecnologie dove la giunzione base – collettore
era protetta lungo il canale MESA da un passivante che non era chimicamente puro.
Se si opera una sezione si ottiene un emettitore diffuso uguale agli altri, una base
solamente diffusa, il collettore ed infine il substrato.
In questo modo quando si applica una tensione tra base e collettore si ha:
1) Poiché la base è molto drogata il campo elettrico va subito a zero, quindi non sopporta
alcuna tensione, ma tutta la tensione applicata è sopportata dal collettore. Questo
significa che il campo elettrico in un transistor planare non può raggiungere
l’emettitore; teoricamente si possono raggiungere tensioni elevate a piacere;
2) Tutto il campo elettrico è sopportato dal collettore;
3) Non essendoci attacchi chimici nel silicio l’integrazione di più transistor, all’interno
della stessa piastrina, è estremamente semplice.
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3. TENSIONE DI BREAKDOWN
Si considera adesso la capacità che ha, nel caso di un transistor, la giunzione base – collettore a
poter sopportare tensioni quando è polarizzata in inversa.
3.1 Effetto valanga
Tutte le giunzioni dei dispositivi di potenza, siano esse base – collettore, ma anche
emettitore – base, “rompono” la tensione di breakdown per il meccanismo della
moltiplicazione a valanga.
Applicando, dall’esterno, alla giunzione un C.E., cioè una tensione in modo tale che venga
polarizzata in inversa, si trasferisce una certa energia ad un elettrone fra un urto ed il
successivo. L’energia trasferta all’elettrone è data dalla seguente:
ENERGIAEdxsuccessivoiledurtountra
Δ=∫_____
(3.1.1)
Il campo lungo la giunzione si distribuisce secondo la legge di Poisson per cui
quest’ultimo crolla nelle zone ad alto drogaggio ed invece scende con pendenza più
graduale nelle zone a più basso drogaggio; si crea pertanto una zona di svuotamento che è
inversamente proporzionale al drogaggio, sarà cioè piccola dove i drogaggi sono alti,
grande dove i drogaggi sono bassi.
Esiste un valore del C.E. al di sopra del quale l’energia che acquista un elettrone è tale che
al primo urto questo produce una coppia elettrone – lacuna. Si dice allora che si ha la
moltiplicazione a valanga, perché il successivo elettrone che viene creato ha
statisticamente energia sufficiente a creare un’altra coppia elettrone – lacuna, e cosi via.
In seguito è palesato tale effetto.
Applicando ad un diodo una tensione inversa prima di un certo valore della tensione, la
corrente che circola nel dispositivo sarà prossima allo zero, ma non nulla. Infatti quando si
polarizza inversamente una giunzione NP − il sistema tende all’equilibrio generando
coppie elettrone – lacuna.
Si ha dunque una corrente di generazione dovuta al fatto che dall’esterno si è applicato un
C.E.; allora nella zona di svuotamento si generano le coppie elettrone – lacuna che
tendono a far ritornare il sistema in equilibrio.
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Tale corrente di leakage (generazione) non è comunque superiore al nA , che dal nostro
punto di vista è nulla.
Quando la tensione applicata raggiunge quella che si chiama tensione di breakdown,
l’utilizzatore vede come un brusco aumento di corrente.
Dal punto di vista della fisica del dispositivo se si considera la corrente di elettroni nel
punto O e nel punto W cioè agli estremi della zona di svuotamento, ci sarà un momento in
cui questa corrente, o meglio il rapporto tra queste correnti che si definisce fattore di
moltiplicazione, diventa infinito (perché la corrente improvvisamente sale a valori molto
elevati) e si dice che è avvenuto il breakdown a valanga:
x
E
WO fig. 3 Campo elettrico nella zona di svuotamento
( )( )
∫−== W
On
n
nn
dxOIWI
Mα1
1 (3.1.2)
che può essere approssimato a:
0
1
1
CB
BC
VV
M
⋅−
=
β
(3.1.3)
Come si vede, questo fattore di moltiplicazione è legato alla probabilità che durante il suo
libero cammino medio, un elettrone possa produrre una coppia elettrone – lacuna definita
da
∫W
Ondxα (3.1.4)
=nα coefficiente di ionizzazione;
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che dipende da un coefficiente e dalla distanza tra un urto ed il successivo e che durante il
breakdown è pari a 1.
La caratteristica di tutti i meccanismi di rottura a valanga è quella che all’aumentare della
temperatura la tensione di breakdown aumenta.
Si consideri un singolo elettrone che si muove all’interno del reticolo del silicio e che
possiede l’energia fornita dalla tensione applicata dall’esterno. Parte di questa energia gli
serve per aumentare la sua velocità; l’altra, invece, visto che il singolo elettrone è immerso
nel reticolo e quindi interagisce con esso, la cede allo stesso, del resto il singolo elettrone
non è in effetti libero all’interno del reticolo.
Supponendo di aumentare la temperatura di conseguenza aumenta la vibrazione reticolare
modificando cosi il reticolo. L’elettrone per mantenere l’equilibrio termico con il reticolo
deve fornire allo stesso più energia, infatti in esso sta cambiando lo stato energetico e lo
scambio di fononi aumenta.
In conclusione dall’esterno si applica la stessa tensione, però una parte di questa gli serve
per la sua accelerazione, l’altra la cede al reticolo; aumentando la temperatura al reticolo
ne deve cedere di più quindi quella che al singolo elettrone serve per muoversi diminuisce
rendendo minore la probabilità che al primo urto crei una coppia elettrone – lacuna.
Queste conclusioni sono molto importanti perché fanno capire che l’aumento della
tensione di breakdown legato all’aumento di temperatura è essenzialmente una
conseguenza del meccanismo della moltiplicazione a valanga e non del breakdown in
generale.
3.2 Effetto Tunnel
Quando i due lati della giunzione di un qualunque diodo sono molto drogati, ciò provoca
livelli d’accettori all’interno della banda di Gap del silicio; poiché vi sono tantissimi
livelli, essi diventano delle vere e proprie bande, e quindi è come se la banda proibita del
silicio fosse più piccola.
Se accade ciò, può avvenire il meccanismo della moltiplicazione, in quanto l’elettrone
salta direttamente dalla banda di valenza a quella di conduzione e diventa subito un
elettrone di conduzione. In questo caso gli effetti dell’aumento della temperatura sono
opposti a quelli esaminati precedentemente.
Da un monitoraggio delle temperature è possibile discriminare se si tratta di effetto tunnel
o di un effetto di moltiplicazione a valanga.
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4. DISTRIBUZIONE DEL CAMPO ELETTRICO
Il campo elettrico al quale avviene il breakdown o meglio la moltiplicazione a valanga, si
chiama campo elettrico critico CE e dipende esclusivamente dai drogaggi della giunzione.
Infatti, per la legge di Poisson, questo si distribuisce con pendenze che sono proporzionali ai
drogaggi.
Volendo quantizzare questo discorso, basta risolvere l’equazione (2.2.1) con le seguenti
condizioni al contorno:
( ) ( ) 0==− pn WEWE (4.1)
Sviluppando si ottiene la tensione che è sopportata da un qualunque diodo o da una qualunque
giunzione che ha dei drogaggi opportuni, essendo la tensione l’integrale del campo E .
I due triangoli, mostrati nella figura seguente, rappresentano le tensioni PV e NV sopportate dai
due lati N e P della giunzione.
x
x
Emax
VpVn
E
Wp-Wn
-qNA
Wp
-Wn
qND
NAND
pn ---
-
- - -
-----
++
++++++
fig. 4 Distribuzione del campo elettrico in una giunzione senza reach - through
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Ricordando la legge di Poisson:
( )ερ
=dx
xdE
nella regione p :
( ) ( )( )∫ ∫ −=⇒−=⇒−=⇒−=o
xE
W
xp
Ap
Ap
Ap
Ap
p
p
xWNqxEdxNqdEdxNqdEqNdx
dEεεεε
quindi:
( ) xNqExE Ap ε
−= max e ( ) xNqExE Bn ε
+= max .
Geometricamente:
A
pApp Nq
EWNqWEaltezzabaseV⋅⋅
⋅=
⋅
⋅⋅=
×=
×=
2222
2max
2max ε
ε
D
nDnn Nq
EWNqWEV
⋅⋅⋅
=⋅⋅⋅
=×
=222
2max
2max ε
ε
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛+
⋅⋅
=DA NNq
EV 11
2
2maxε
(4.2)
Nel caso in cui si manifesta il reach through, la distribuzione si modifica come mostra la figura
seguente:
15
NA
ND
-Wn Wp
Vn Vp
Emax
x
fig. 5 Distribuzione del campo elettrico in una giunzione con reach – through
Anche in questo caso, svolgendo i calcoli per la determinazione della tensione, otteniamo la
stessa formula trovata precedentemente.
L’area individuata dalla funzione ( )xE altro non è che la tensione di breakdown del dispositivo.
Ciò considerato si può pervenire graficamente (o per integrazione della funzione ( )xE ) al
seguente risultato:
+p- n
collettore x
Emax
EmaxWc
E
Wcbase molto drogata
n
fig. 6 Distribuzione del C.E. in una giunzione con reach – through e base molto drogata
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ε⋅⋅⋅
−⋅=2
2
maxcA
cpWNq
WEBV (4.3)
Dalla formula appena ottenuta sembrerebbe possibile ottenere, dai dispositivi, tensioni di
breakdown arbitrariamente elevate pur di adottare elevati spessori di collettore e bassi drogaggi
del medesimo.
Purtroppo le suddette formule hanno scarsa rispondenza pratica perché le tensioni di breakdown
misurate sui dispositivi reali sono ben al di sotto del valore teorico da essa previsto. Ciò è da
addebitarsi a:
1) Presenza di cariche all’interfaccia 2SiOSi − a causa dei legami non saturati nella crescita
dello strato d’ossido;
2) Presenza di cariche mobili all’interno dell’ossido alle impurezze di ioni positivi che si
introducono nel forno a causa di un processo non perfettamente “pulito”;
3) Le deviazioni rispetto ai valori teorici previsti dalla (4.3), si devono al fatto che alla periferia
della diffusione di base la superficie che delimita la giunzione metallurgica ha un raggio di
curvatura finito e quindi per il potere della punta il C.E. tende ad assumere ivi dei valori
maggiori di quelli previsti per la giunzione piana.
Le cause elencate tendono a far si che la tensione di breakdown RBV in una giunzione reale sia
inferiore rispetto a quella che avrebbe una giunzione piana, pBV , a parità di drogaggi:
pR BVBV < (4.4)
Si definisce, allora, l’efficienza di breakdown :
p
R
BVBV
=γ (4.5)
che dipende esclusivamente dalla struttura di bordo.
Una prima soluzione e quella del field plate che consiste nel far debordare la metallizzazione al
di fuori dell’area coperta dalla diffusione. Il volume occupato dalla metallizzazione costituisce
una regione equipotenziale e quindi vincola le linee a potenziale ad aggirarla. Cosi facendo
queste ultime sono costrette ad assumere un andamento meno fitto in prossimità del bordo della
diffusione.
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La situazione risulta notevolmente migliorata e ne sono testimoni i più alti valori di BV che in
tali configurazioni sono ottenute.
Si nota, altresì, che il punto critico della struttura ottenuto non è più sul bordo della diffusione
ma corrisponde al bordo della metallizzazione. Ulteriori miglioramenti nella tensione di
breakdown possono essere ottenuti ove si riesce a migliorare la configurazione di campo pure in
corrispondenza di questo nuovo punto critico. Ciò risulta possibile utilizzando la tecnica del
doppio field plate basato sulla realizzazione di un doppio livello d’ossido e quindi di un anello
di metallizzazione sviluppato su due differenti altezze rispetto alla superficie.
Con questi due metodi non si riesce, comunque, a superare gli 800 V . Per tensioni più alte si fa
utilizzo dei dispositivi MCT che raggiungono tensioni di 2000 V .
Si osserva che la motivazione cui si devono addebitare l’eccellenti prestazioni in breakdown
degli MCT è la configurazione essenzialmente piana della giunzione B – C, che in essa si
realizza, la quale risulta più vicino al modello descritto dalla (4.3) di quanto non lo sia la
giunzione B – C dei planari.
Più di recente sono stati sperimentati alcuni metodi logici per l’irrobustimento dei dispositivi
rispetto al breakdown.
Un primo metodo consiste nel prolungamento della giunzione tramite anelli diffusi a drogaggio
progressivamente decrescente:
p--p-p+p
fig. 7 Giunzione ad anelli diffusi a drogaggio progressivamente decrescente
18
Questa struttura consente un ulteriore miglioramento dell’efficienza di breakdown rispetto a
quanto ottenibile con i soli field plate come si evidenzia nelle figure successive.
Tale vantaggio è ottenuto a spese di un’ovvia complicazione del processo che prevede un
impianto in più e quindi una fotolitografia in più per ogni anello di prolungamento.
Risultati equivalenti, ma con processo costruttivo più semplice, si ottengono tramite con anelli
a drogaggio più basso palesa la seguente figura:
-p+ p
fig. 8 Giunzione ad anelli diffusi a drogaggio progressivamente decrescente
19
Affinché questa soluzione consenta di ottenere gli stessi vantaggi prima evidenziati necessità
che l’anello sia più profondo della diffusione (es.: diffusione mμ5 ed anello mμ8 ).
Un anello più profondo può essere ottenuto in due modi:
1) S’impianta e si diffonde l’anello prima dell’impianto e la diffusione della regione +P della
base; cosi facendo il drogante dell’anello subisce un carico termico superiore durante il
processo e quindi si distribuisce più in profondità;
2) S’impiantano separatamente ma si diffondono contemporaneamente usando come drogante
del −P l’alluminio che ha una diffusività 10 volte superiori a quella del boro usato per il +P e che quindi raggiunge profondità maggiori.
Un’ultima soluzione è quella che sfrutta un anello con drogaggio progressivamente decrescente
e quindi con spessore anch’esso decrescente ottenibile tramite maschera.
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5. RELAZIONE TRA 0CBV E 0CEV
Nei paragrafi precedenti si è descritto il fenomeno del breakdown nei transistor bipolari facendo
esplicito riferimento alla giunzione B – C come se fosse un semplice diodo. Ciò equivale ad
aver considerato la tensione di rottura tra base e collettore con l’emettitore aperto. Essa prende il
nome di 0CBBV .
open
VCB0
E
B
fig. 9 Transistor bipolare con emettitore aperto
Questa configurazione non è tuttavia l’unica. Altra tipica è quella relativa alla CESBV cioè alla
tensione di rottura tra collettore ed emettitore con la base cortocircuitata all’emettitore.
B
C
E
VCES
fig. 10 Transistor bipolare con base cortocircuitata all’emettitore
Nella pratica i valori di CESBV sono molto prossimi a quelli della 0CBBV . Non altrettanto,
invece, può dirsi per la 0CEBV cioè la tensione di rottura tra collettore ed emettitore con la base
aperta.
21
openVCE0
E
C
B
fig. 11 Transistor bipolare con base cortocircuitata all’emettitore
BVCES
BVCB0BVCE0
IC
VCE
fig. 12 Andamento delle BV nelle diverse configurazioni
Si riscontra un comportamento corrente – tensione come dal grafico precedente; in particolare si
nota che i valori di 0CEBV sono circa la metà rispetto a quelli di 0CBBV ed inoltre è
notevolmente diverso l’andamento della relativa corrente.
In seguito s’intende chiarire quanto già detto. A questo scopo si osserva che per tensioni
prossime a quelle di rottura il legame tra CI e EI deve necessariamente contemplare il fattore di
moltiplicazione M :
( ) ( ) BCCBCEC IMMIIIMIIMI ⋅⋅=⋅−⋅⇒+⋅=⇒⋅⋅= αααα 1
22
BC IM
MI⋅−
⋅=
αα
1 (5.1)
Nella configurazione relativa alla 0CEV la base è aperta e quindi 00 =⇒= CB II . Ciò è tuttavia
vero solo finché il fattore moltiplicativo ( )MM ⋅−⋅ αα 1 è una quantità finita. Quando, invece,
diverge ad infinito anche CI aumenta illimitatamente e si incorre nel fenomeno della rottura.
Ovviamente ciò accade quando il denominatore è nullo, ovvero quando: α1=M .
Questa è la condizione che si deve verificare affinché la tensione CBV raggiunga il valore di
rottura nella configurazione a base aperta. Questa relazione può essere ancora scritta sfruttando
la formula empirica per M :
n
CB
CB
BVV
M
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛−
=
0
1
1 (5.2)
Sostituendo ed approssimando alla rottura CECB VV ≅ :
nCB
nCBCE BVBVBV
ααα −
⋅≅−⋅=11 000
n
CBCE
BVBV
β0
0 ≅ (5.3)
Con quest’ultima si giustifica il fatto che 0CEBV è minore della 0CBBV (circa la metà) e si
giustifica pure lo strano andamento della corrente in 0CEBV .
È sufficiente a questo proposito considerare la dipendenza di β da CI . Per bassi valori di CI il
valore di β è ridotto, ma al crescere della corrente aumenta e quindi 0CEBV diminuisce.
Successivamente β torna a diminuire e quindi 0CEBV torna ad aumentare nuovamente.
23
IC
fig. 13 Andamento di β
essendo:
11 −
⎟⎠⎞
⎜⎝⎛ −
=ααβ (5.4)
24
6. PORTATA IN CORRENTE DI UN DISPOSITIVO BIPOLARE DI POTENZA
Considerato un BJT di potenza, le sue caratteristiche d’uscita sono riportate nel piano CEC VI −
al variare del parametro BI quando il dispositivo è nello stato ON.
IB
VCE
IC
fig. 14 Caratteristica d’uscita del BJT
Un’altra caratteristica è il guadagno di corrente del transistor definito come il rapporto tra la
corrente di collettore e quella di base e che ha un andamento del tipo in figura in funzione della
corrente di collettore:
fig. 15 Guadagno di corrente
IC
25
B
C
II
=β (6.1)
alle basse correnti si ha una leggera pendenza del guadagno, poi c’è un valore di picco indi
crolla molto rapidamente alle alte correnti.
Si consideri un transistor bipolare NPN ( τPI è la corrente di ricombinazione):
IP
IL
INC
IPE
INE
NP+N
CBE
IC
IB
IE
fig. 16 Transistor bipolare NPN
Supponiamo che la giunzione base – collettore sia polarizzata in inversa e che la giunzione
base – emettitore sia polarizzata in diretta, ciò implica che il transistor funziona in zona attiva.
Poiché la giunzione +N P è polarizzata in diretta c’è un flusso d’elettroni NEI che
dall’emettitore va verso la base. Ovviamente c’è anche un flusso di lacune PEI che dalla base va
verso l’emettitore. La corrente d’emettitore non è altro che la somma di queste due correnti:
PENEE III += (6.2)
Gli elettroni che partono dall’emettitore e vanno verso la base sono ivi delle cariche minoritarie
per cui tendono a ricombinarsi con i portatori maggioritari. Quindi solo alcuni di questi
elettroni, che partono dall’emettitore, riescono a raggiungere il collettore.
26
La quantità di elettroni che dall’emettitore raggiungono il collettore definiscono la corrente del
medesimo:
NCC II = (6.3)
La parte di elettroni che si ricombinano nella base con le lacune formano la cosiddetta corrente
di base:
τPPECEB IIIII +=+= (6.4)
Inoltre, all’interno della zona svuotata della giunzione base – collettore che è polarizzata in
inversa, per ristabilire l’equilibrio visto che il prodotto 2inpn <⋅ , si devono creare altri elettroni
ed altre lacune. Quindi, nelle zone svuotate di una giunzione polarizzata in inversa c’è una
corrente detta di generazione che rappresenta la cosiddetta corrente di leakage LI in
polarizzazione inversa.
Si definisce efficienza d’iniezione il rapporto tra la corrente di elettroni che va dall’emettitore
alla base e la corrente di lacune che va dalla base all’emettitore:
PE
NE
II
=γ (6.5)
essa dipende esclusivamente dal profilo di drogaggio dell’emettitore e della base.
Un altro parametro che da un indice di quanti sono gli elettroni che dall’emettitore riescono a
raggiungere il collettore senza ricombinarsi è il fattore di trasporto, che è dato dal rapporto tra la
corrente di collettore ed il flusso d’elettroni che è partito dall’emettitore:
NE
PNE
NE
NC
III
II τα
−== (6.6)
α dipende chiaramente dalla larghezza effettiva della base (se la base molto larga sicuramente
molti elettroni non ce la fanno ad attraversarla perché si ricombinano) e soprattutto dal tempo di
vita degli elettroni della base (e quindi anche dal drogaggio della base).
27
α e γ sono i due parametri essenziali che ci permettono di capire il funzionamento del
transistor.
ric
IC
fig. 17 Guadagno di corrente
Per capire meglio il funzionamento del transistor, quindi la particolare curva su descritta, si deve
ipotizzare β come somma di più guadagni:
1) Un guadagno alle basse correnti che chiamiamo ricβ ;
2) Un guadagno di picco 0β che è costante ed indipendente dalla corrente di collettore e che
determina il valore massimo che può raggiungere il guadagno β ;
3) Un guadagno ad alti livelli di corrente legato all’efficienza d’emettitore γβ e un altro legato
alle alte correnti ed al tempo di vita dei portatori minoritari τβ che determinano il crollo del
guadagno.
Quindi, ci sono dei termini che dipendono fortemente dalla corrente di collettore.
In virtù di ciò, il guadagno β di un transistor di potenza si può considerare come somma degli
inversi dei parametri sopra definiti:
11
0111 −−−−− +++= ricβββββ γτ (6.7)
Il termine di ricombinazione può essere trascurato visto che un dispositivo di potenza non lavora
mai nella zona delle basse correnti, ma la sua zona di lavoro è sempre quella delle alte correnti
per cui:
28
10
111 −−−− ++= ββββ γτ (6.8)
dove
2
4
B
B
WD τ
βτ⋅⋅
= (6.9)
BD è la diffusività e BW lo spessore della base. Il termine legato al tempo di vita, quindi al
fattore di trasporto, deve essere inversamente proporzionale allo spessore e direttamente
proporzionale al tempo di vita; inoltre:
B
B
E
E
B
B
E
E
QD
DQ
DQ
DQ
⋅==0β (6.10)
dove EQ è la quantità di carica presente nell’emettitore.
Quindi il guadagno di picco dipende dalle quantità di cariche che ci sono nell’emettitore e nella
base. L’altro termine che fa crollare il guadagno è:
CB
EE
EB
IW
ADQDq
⋅
⋅⎟⎠⎞⎜
⎝⎛⋅⋅⋅
= 2
24γβ (6.11)
γβ è funzione della corrente di collettore, dello spessore ma soprattutto del termine E
ED
Q che
risulta legato solo all’emettitore e non alla base.
Si noti che 0β rappresenta il valore massimo a cui può arrivare il guadagno di un transistor e
risulta, in teoria, molto più alto del guadagno reale infatti quest’ultimo è limitato dal crollo del
guadagno alle alte correnti e da quello di ricombinazione.
Poiché nei processi del tipo “la ricombinazione” il guadagno, il tempo di vita, sono tra di loro
indipendenti, nell’espressione del guadagno bisogna fare non la somma delle singole grandezze
ma la somma degli inversi in quanto la linearità dei fenomeni non è rispettata.
Da tali considerazioni concettuali è possibile ricavare una formula che ci permette di capire
perché dell’andamento della caratteristica d’uscita del BJT ha quell’andamento.
29
Si trascuri, adesso, il guadagno di picco per i seguenti motivi:
1) 0β è molto più alto del guadagno reale;
2) La zona di funzionamento di un transistor sta, molto spesso, più a destra del valore di picco.
In generale un transistor lavora sempre nella zona di saturazione in cui 0ββ << e si ha:
111 −−− += γτ βββ sat (6.12)
Sostituendo i rispettivi valori, si ottiene:
τβ ⋅⋅+
⋅⋅⋅⋅
⋅==
B
B
E
EEB
CB
C
B
sat DW
DQADq
IWII
44
1 2
2
2
(6.13)
Da questa espressione ricaviamo la corrente di collettore che prende anche il nome di corrente
di ginocchio KI del transistor e che si considera come un indice della portata in corrente del
dispositivo:
⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢
⎣
⎡
⋅−
⋅⋅
⋅+⎟
⎠⎞
⎜⎝⎛
⋅
⋅⋅⋅=
ττ 24
2
2B
E
EE
BB
B
E
EEB
KW
DQAq
IWW
DQADq
I (6.14)
dove:
− BD è la diffusività degli elettroni nella base;
− EA è l’area del dispositivo: se si costruisce un dispositivo di area più grande è chiaro
che a parità di tutto porterà più corrente;
− E
ED
Q si definisce come efficienza dell’emettitore;
− BW è lo spessore effettivo della base: più grande è questo spessore e minore sarà la
corrente che il dispositivo riuscirà a sopportare;
− τ è il tempo di vita degli elettroni nella base: più alto è il tempo di vita maggiore è la
corrente che il dispositivo riesce a pompare.
30
C’è poi la corrente di base come parametro, infatti all’aumentare di essa aumenta la corrente
CI . Le grandezze di cui bisogna tener conto sono l’efficienza dell’emettitore E
ED
Q , lo
spessore BW ed il tempo di vita τ :
saturazione
VCEsat
IKIB
VCE
IC
fig. 18 Caratteristica d’uscita del BJT
6.1 Efficienza d’emettitore
Si consideri la giunzione base – emettitore di un qualsiasi transistor polarizzato in diretta:
WBOWE
JNE
JPE
CB
N(x)
NP
+N
fig. 19 Profilo delle concentrazioni in un BJT
31
L’efficienza d’emettitore γ , che è data dal rapporto tra la densità d’elettroni che
dall’emettitore vanno verso la base e la densità di lacune iniettate dalla base verso
l’emettitore, si valuta tenendo conto che una qualunque corrente può essere espressa come
il prodotto della diffusività per la quantità di carica (che a sua volta è l’integrale lungo
tutta la profondità di base o d’emettitore del profilo di concentrazione ( )xN ):
( )
( ) BE
EBW
OBE
W
OB
PE
NE
QDQD
dxxND
dxxND
JJ
B
E
⋅⋅
=
⋅
⋅==
∫
∫γ (6.1.1)
Da queste considerazioni risulta semplice aumentare l’efficienza d’iniezione, infatti basta
aumentare EQ e quindi ( )xN . Si potrebbe anche diminuire la quantità ( )xN B nella base
ma in effetti succede che la quantità BQ aumenta all’aumentare del drogaggio della base o
dello spessore BW , mentre la quantità EQ si comporta in modo anomalo: aumenta
all’aumentare della concentrazione d’emettitore ma dopo un certo limite diminuisce
all’aumentare del drogaggio dell’emettitore. Quindi se si realizzano degli emettitori molto
drogati il guadagno diminuisce bruscamente.
Le cause per le quali la quantità EQ diminuisce all’aumentare del drogaggio sono
essenzialmente due:
1) Il restringimento del gap del silicio;
2) La diminuzione del tempo di vita delle lacune iniettate dalla base verso l’emettitore
con conseguente riduzione della lunghezza di diffusione EL .
6.1.1 1° fenomeno: restringimento del bandgap
Si supponga di disporre di silicio da drogare con fosforo, per quanto riguarda
l’emettitore, in maniera molto alta. Ogni volta che si droga il silicio con fosforo si
crea un centro di tipo “donore” in prossimità della banda di conduzione. Se si
continua a drogare si crea un altro centro donore e cosi via; se si droga ad altissimi
livelli tutti questi centri donori si possono assimilare ad una vera e propria banda di
conduzione che ha come effetto risultante quello d’abbassare il gap del silicio.
32
fetta di silicio
E VALENZA
E CONDUZIONE
Gap abbassato
GAP
E
fig. 20 Bandgap
Se ciò succede, si devono modificare le formule fondamentali della trattazione e
precisamente si deve supporre che la concentrazione intrinseca di portatori sia
modulata da un certo termine che dipende dalla variazione EΔ che a sua volta è
funzione del drogaggio: ( )
20
20
2i
KTNE
ii nnn >= ⎥⎦⎤
⎢⎣⎡ Δ
(6.1.1.1)
dove 0in è la concentrazione intrinseca dei portatori per bassi drogaggi. Questo
comporta che il profilo del drogaggio dell’emettitore, che apparentemente era
quello indicato con ( )xN , nella realtà deve essere modificato, perché è cambiata 2in e quindi si ha un altro profilo indicato con ( )xN I che è del tipo:
(x)N
x
N
N(x)
fig. 21 Profilo concentrazioni modificato
33
La concentrazione degli elettroni è minore perché essendosi ridotto il gap, molti
più elettroni si ricombinano passando in banda di valenza. Questo significa che
nella formula (6.1.1) si deve introdurre un primo cambiamento sostituendo ( )xN I
al posto di ( )xN . Per quanto riguarda la base nulla è cambiato:
( )∫=BW
OBB dxxNQ
( )( )
∫ ⎥⎦⎤
⎢⎣⎡ Δ−=
EW
O
KTNE
IE dxxNQ (6.1.1.2)
6.1.2 2° fenomeno: diminuzione del tempo di vita dei portatori minoritari
nell’emettitore
Prima di specificare il problema, si definisce meglio il tempo di vita dei portatori.
Si supponga di avere un semiconduttore in condizioni di equilibrio termodinamico:
quantità di elettroni – quantità di lacune.
Si supponga di perturbare l’equilibrio con una qualsiasi fonte di energia esterna ed
ancora di creare una quantità in eccesso di lacune rispetto all’equilibrio. Eliminata
la causa della perturbazione il sistema tenderà a ritornare allo stato d’equilibrio in
un certo tempo.
Il rapporto tra l’eccesso di lacune rispetto all’equilibrio e la velocità con cui queste
lacune variano è il tempo di vita dei portatori minoritari. Se P è l’eccesso di
lacune e tP∂
∂ la velocità con cui queste lacune si ricombinano, il rapporto tra
queste due quantità è il tempo di vita delle lacune.
tPP
H
∂∂
=τ (6.1.2.1)
Si veda in seguito il perché della ricombinazione delle lacune:
1) Il meccanismo più comune è la RICOMBINAZIONE SHOCKLEY – READ:
ogni volta che il reticolo cristallino del silicio è perturbato per un qualsiasi
motivo si creano, all’interno della banda proibita, dei livelli intermedi che
favoriscono proprio la ricombinazione delle coppie elettrone – lacune. Quindi
34
la ricombinazione S – R è una ricombinazione tramite centri intermedi ed è
regolata da una legge del tipo:
PdtdP
⋅= 1γ ; HSRτ
γ 11 = (6.1.2.2)
2) Quando il materiale è molto drogato si crea un’enorme quantità di livelli in
prossimità della banda di conduzione che danno luogo ad una diminuzione del
gap (vedi fig. 20). Quando questo avviene c’è la probabilità che un elettrone ed
una lacuna, invece di ricombinarsi mediante centri intermedi, si ricombinino
attraverso un meccanismo detto banda a banda.
Ovvero si ha un salto dalla banda di valenza alla banda di conduzione e questa
ricombinazione diretta banda a banda tra un elettrone ed una lacuna si chiama
ricombinazione – Auger ed è fortemente proporzionale al drogaggio del
dispositivo:
PndtdP
⋅⋅= 22γ ; 2
2
1nA ⋅
=γ
τ (6.1.2.3)
Quindi il tempo di vita dei portatori minoritari in emettitore (molto drogato)
dipende da due meccanismi di ricombinazione e si ha:
HSRAH τττ111
+= (6.1.2.4)
Si noti che HSRτ è inversamente proporzionale al livello di drogaggio, mentre Aτ è
inversamente proporzionale al quadrato del livello di drogaggio. Questo significa
che per alti drogaggi il tempo di vita Aτ crolla molto più rapidamente e quindi il
meccanismo Auger è predominante.
Nei dispositivi di potenza, il drogaggio dell’emettitore è molto alto per cui
nell’emettitore è predominante proprio il meccanismo di ricombinazione banda a
banda. A causa dell’alto drogaggio dell’emettitore e della ricombinazione Auger
una lacuna che, statisticamente, entra nell’emettitore ha una lunghezza di
diffusione molto più piccola rispetto alla profondità dell’emettitore:
35
EEE WLmW <<⇒≥ μ5
Quindi una lacuna non vede tutta la carica che è stata immersa nell’emettitore, ma
vede una certa quantità di carica, quella fino a quando essa si è ricombinata.
Se quindi le lacune si ricombinano prima di raggiungere la superficie, nella
formula (6.1.1) si devono cambiare gli estremi d’integrazione perchè il profilo
della concentrazione è tra 0 e EL e non tra 0 e EW , avendo indicato con EL la
lunghezza di diffusione effettiva delle lacune nell’emettitore.
La densità di lacune iniettate nell’emettitore decade con la distanza secondo una
legge esponenziale del tipo:
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛−
ELxexp
per cui oltre a cambiare i limiti d’integrazione è necessario aggiungere un termine
in più:
( )( )
∫ ⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛−⎥⎦
⎤⎢⎣⎡ Δ−=
E
E
L
O
Lx
KTNE
IE dxxNQ (6.1.2.5)
EQ rappresenta la quantità di carica utile per l’efficienza d’emettitore;
BQ non è modificata dai processi di ricombinazione a causa del basso drogaggio
della base.
Tutte le considerazioni fatte hanno portato alla realizzazione di un nuovo processo
per l’emettitore che si chiama emettitore leggero.
6.2 Emettitore leggero
Rispetto all’emettitore standard, l’emettitore leggero ha un impianto più basso, cioè ha un
concentrazione superficiale SC (valore più alto del profilo di drogaggio) molto più bassa.
Ciò da luogo ad una diminuzione del banding del silicio e ad un aumento del tempo di vita
delle lacune nell’emettitore e quindi aumenta la lunghezza di diffusione.
36
In questo modo si è raddoppiata l’efficienza d’emettitore con conseguente incremento
della portata in corrente.
6.3 Dipendenza del guadagno dalla temperatura (fenomeno dell’alta iniezione)
Si supponga di trascurare il termine del guadagno dovuto al tempo di vita, essendo
proporzionale allo spessore W per dispositivi che hanno uno spessore basso.
Si consideri, quindi, il guadagno come la composizione di due soli termini: il guadagno di
picco alle medie correnti ed il guadagno alle alte correnti.
( ) ( ) ( ) 110
1 −−− += TTT γβββ (6.3.1)
A questo punto è conveniente scindere il problema in due:
− dipendenza di 0β dalla temperatura T ;
− guadagno approssimabile a γβ .
In altre parole si separa la zona delle medie correnti da quella delle alte correnti:
AltaBassa
IC
fig. 22 Bande d’iniezione
01 ββ =− Bassa iniezione;
γββ =−2 Alta iniezione;
37
6.3.1 Bassa iniezione
La relazione è la seguente:
( ) 0ββ ≅= Tf (6.3.1.1)
In questa zona la corrente d’elettroni NI , che è una corrente di diffusione ottenuta
come la diffusività per il gradiente della concentrazione d’elettroni, si può
approssimare alla corrente CI e la corrente di lacune PI ottenuta sempre con la
diffusività per il gradiente della concentrazione di lacune, si può approssimare alla
corrente di base BI di un qualsiasi transistor NPN :
⎪⎪⎩
⎪⎪⎨
⎧
≅⋅⋅⋅=
≅⋅⋅⋅=
BEEP
CBEN
IdxdpDAqI
IdxdnDAqI
(6.3.1.2)
D’altronde, la corrente in un diodo si può esprimere mediante la formula generale:
⎥⎦⎤
⎢⎣⎡ ⋅
= KTVq BE
II 0 (6.3.1.3)
dove:
BEV è la tensione in diretta applicata al diodo B – E;
0I è una costante molto complessa che dipende dalla temperatura e
dall’ampiezza della banda proibita tramite la concentrazione intrinseca dei
portatori:
( )( )
⎥⎦⎤
⎢⎣⎡−
⋅=⋅= KTNE
i TCnkI 320
dove:
( ) ( )NEENE Δ−= 0
38
0E è il bandgap del silicio a 0 K ;
( )NEΔ è la variazione del bandgap in funzione del drogaggio.
Quindi in generale la corrente di una qualunque giunzione si può esprimere in
questo modo:
( )( )
⎟⎠⎞
⎜⎝⎛ ⋅−⎥⎦
⎤⎢⎣⎡−
⋅= KTVq
KTNE BE
TCI 3 (6.3.1.4)
In tale relazione si nota un termine legato alla temperatura, un termine legato alla
variazione del bandgap del silicio ed un termine legato alla tensione in diretta
applicata.
Esprimendo in questo modo sia la corrente di collettore che la corrente di base ed
eseguendo il rapporto, otteniamo il guadagno β del dispositivo:
⎥⎦⎤
⎢⎣⎡ Δ−⎥⎦
⎤⎢⎣
⎡ −−
=== KTE
KTEE
B
Cemetbase
II
00 βββ (6.3.1.5)
dove:
0β è il guadagno indipendente dalla temperatura;
baseE ed emetE sono rispettivamente i bandgap della base e dell’emettitore.
Come si nota, la dipendenza diβ dalla temperatura per bassi livelli di iniezione è
dovuta alla differenza di bandgap tra base ed emettitore.
Si nota, altresì, che:
1) Poiché nella formula non compare nessun livello di corrente, si può affermare
che la variazione del guadagno con la temperatura è indipendente dalla corrente
di collettore;
2) Poiché il bandgap in base è maggiore di quello dell’emettitore e quindi la
variazione 0>ΔE sempre, si ha che il guadagno aumenta sempre con la
temperatura sia per l’emettitore standard che per quello leggero;
3) Poiché stdemetleggeroemet EE .. Δ<Δ si può dire che la dipendenza del guadagno dalla
temperatura è più forte nell’emettitore standard che in quello leggero. Ovvero
un dispositivo realizzato con l’emettitore leggero risente meno delle variazioni
di temperatura.
39
Osservazione: il motivo per il quale il guadagno varia con la temperatura è che in
qualunque transistor il bandgap in base e quello in emettitore sono
diversi; infatti se fossero uguali il guadagno potrebbe non
dipenderebbe dalla temperatura.
Si riportano di seguito i grafici guadagno – temperatura di due dispositivi di
potenza: uno con emettitore standard e l’altro con quello leggero.
200
100
standard
leggero
%
T(°C)
fig. 23 Dipendenza di β dalla temperatura
Riportando anche la variazione di β con la temperatura prevista dalla teoria, si
può concludere che nonostante le approssimazioni introdotte ( EΔ indipendente
dalla temperatura, corrente di base ideale, τβ trascurabile, ecc) si ha un notevole
accordo con i dati sperimentali: cioè per bassi livelli d’iniezione il guadagno
aumenta sempre con la temperatura e l’emettitore leggero risente molto meno di
quello standard.
6.3.2 Alta iniezione
La relazione è la seguente:
( ) γβββ ≅= T (6.3.2.1)
40
Si supponga di avere una giunzione base – emettitore di un qualunque transistor
polarizzata in diretta:
0>BEV (dispositivo in stato ON)
Si supponga, inoltre, che la lunghezza di diffusione degli elettroni che vanno
dall’emettitore verso il collettore sia molto più grande della lunghezza di base:
BNB WL >>
Questa approssimazione è in generale valida, in quanto, poiché il transistor deve
guadagnare, ci saranno moltissimi elettroni che dall’emettitore raggiungeranno il
collettore. Sotto queste ipotesi, quando la tensione BEV è relativamente piccola, ci
saranno degli elettroni che passeranno dall’emettitore verso la base.
Fin quando il numero di elettroni è piccolo rispetto al numero di ioni fissi che ci
sono nella base, la neutralità della carica garantita; ci sarà solo una corrente di
diffusione degli elettroni data dal prodotto della diffusività per il gradiente della
concentrazione di elettroni:
dxdNDqJ NN ⋅⋅= (6.3.2.2)
Si supponga, adesso, d’aumentare la tensione in diretta applicata alla giunzione,
ciò implica che aumenterà la quantità d’elettroni iniettati dall’emettitore verso la
base.
Quando la concentrazione d’elettroni risulta essere paragonabile alla densità di ioni
fissi presenti nella base viene alterata la neutralità di carica. Si crea, quindi, un
flusso di lacune con un profilo ( )xP simile a ( )xN in modo da ristabilire la
neutralità della carica. Questo flusso di lacune produce una corrente di diffusione
de lacune:
dxdNDqJ PP ⋅⋅= (6.3.2.3)
41
Poiché, però, la corrente totale di lacune deve essere nulla, si crea un campo
elettrico trasversale di lacune che genera una corrente di drift che annulla PJ ,
cosicché la corrente di lacune è nulla e si ristabilisce la neutralità della carica.
Inizialmente si ha una corrente data dalla (6.3.2.2), ma il campo elettrico, se da un
lato produce una corrente di lacune che serve ad annullare PJ , accelera anche gli
elettroni nel loro verso. Quindi produce una componente di drift d’elettroni che in
questo caso si somma alla corrente di diffusione:
⎪⎩
⎪⎨⎧
=
⋅⋅⋅+⋅⋅=
0P
NNN
J
NqdxdnDqJ εμ
(6.3.2.4)
Risultato di tutto ciò e che quando si verifica il fenomeno dell’alta iniezione, la
corrente d’elettroni è come se fosse doppia, ovvero come se avesse ampiezza
doppia.
dxdNDqJ NN ⋅⋅⋅= 2 (6.3.2.5)
È possibile vedere tutto ciò se riportiamo in un grafico la corrente di un diodo
qualsiasi in funzione della tensione in diretta applicata ai capi dello stesso:
eqV
2KT
KTqV
ebass
a ini
ezio
ne
alta iniezione
Vf
I
fig. 23 Dipendenza tra iniezione e corrente
42
Se le misure sono accurate si determina un andamento della corrente crescente nel
primo tratto con una certa pendenza, successivamente la pendenza cambia.
Questo significa che quando siamo in alta iniezione la corrente di collettore risulta
modificata rispetto a prima della presenza di un 2 nell’esponente:
KTVq
BA
EiBC
BE
WNAnDq
I222⋅
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛⋅
⋅⋅⋅⋅= (6.3.2.6)
La corrente di base non subisce modifiche, si ha:
⎪⎩
⎪⎨
⎧
=
=
⎥⎦
⎤⎢⎣
⎡ −
⎥⎦⎤
⎢⎣⎡ −
KTEqV
IB
KTEqV
C
CBE
BBE
II
II
0
20 (6.3.2.7)
Eseguendo il rapporto si determina il guadagno che avrà una formula più
complicata rispetto alla precedente:
⎥⎦⎤
⎢⎣⎡ −Δ−
= KTqVEE BEC
20ββ (6.3.2.8)
Quindi alle alte correnti si può dire che:
1) La dipendenza del guadagno dalla temperatura è legata al livello di corrente a
causa della presenza della BEV (variare la BEV significa variare la corrente di
collettore);
2) La dipendenza di β dalla temperatura è determinata dal segno dell’esponente.
Ci sono due possibilità:
se ( ) ⇒⋅>Δ− BEC VqEE il gradiente 0>dTdβ ;
se ( ) ⇒⋅<Δ− BEC VqEE il gradiente 0<dTdβ .
Si può affermare con certezza che alle alte correnti esiste sempre un livello di
corrente, che deve essere appropriato, in cui il gradiente del guadagno rispetto alla
temperatura è nullo e tale che al di sotto, il guadagno aumenta all’aumentare della
temperatura, al di sopra il guadagno diminuisce al crescere della temperatura. Visto
43
che stdemetleggeroemet EE .. Δ<Δ la formula trovata mostra che il punto di viraggio che
delimita il passaggio da un gradiente positivo ad uno negativo è molto più basso
per l’emettitore leggero che per l’emettitore standard.
6.4 Influenza del tempo di vita sulle caratteristiche in corrente di un BJT
La portata di un dispositivi bipolare è data da:
⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢
⎣
⎡
⋅−
⋅⋅
⋅+⎟
⎠⎞
⎜⎝⎛
⋅
⋅⋅⋅=
ττ 24
2
2 W
DQAq
IWW
DQADq
I
E
EE
BE
EEB
K (6.4.1)
L’influenza del τ è tanto più forte quanto più spesso è il collettore (il perché verrà chiarito
in seguito) e per i dispositivi H.V. (Alta Tensione) è necessario tener conto, in fase di
progetto, di questo parametro come di vede dal grafico seguente:
W=30 m
W=70 m
W=50 m
100908070605040302010
10
8
6
4
2
s)
IK(A)
fig. 24 Influenza del tempo di vita sulla corrente
Per collettori spessi mW μ50> è necessario un tempo di vita sμτ 15> se non si vuole
una notevole riduzione della portata in corrente. Quindi per dispositivi alta tensione
( 500> V ) sono indispensabili alti tempi di vita ( 20> sμ ).
44
6.5 Influenza del tempo di vita sul guadagno
La componente di guadagno legata al tempo di vita è funzione dello spessore W della
struttura e del tempo di vita dei minoritari:
2
4WD τβτ⋅⋅
= (6.5.1)
Da questa formula si può ricavare di quanto varia il guadagno del transistor al variare del
tempo di vita:
τβ
ββ
⋅⋅⋅
=Δ
DW4
2
(6.5.2)
6.6 Caratteristiche d’uscita
Si considerino le caratteristiche d’uscita di un transistor di potenza:
IB
VCE
IC
fig. 25 Caratteristica d’uscita di un transistor di potenza
Ci si pone l’obiettivo di capire per quale motivo le curve seguono questa forma e se per
caso essa è legata alla struttura interna del transistor. A tale scopo si analizzano le
45
caratteristiche d’uscita di un transistor realizzato secondo un profilo di concentrazione del
tipo in figura:
CBE
+N
-NNP
++N
fig. 26 Profilo delle concentrazioni
Si noti che il collettore è costituito da diversi strati di tipo N :
− Lo strato −N è quello che serve per tenere la tensione e quindi deve avere un certo
spessore ed una certa resistività in funzione della tensione di breakdown che il
dispositivo deve avere;
− Uno strato N più drogato che non serve per tenere le tensioni perché il campo
elettrico crolla quasi subito a zero, ma serve per la robustezza del dispositivo;
− Infine c’è il substrato +N che serve a dare consistenza meccanica alla fetta.
Quindi, se si guardano in dettaglio le caratteristiche d’uscita di un transistor di potenza
realizzato in questo modo, si possono individuare diverse zone:
46
saturazione (BJT di potenza)
R crescente
zona lineare
R3R2R1
CB
AIK
IB = cost
VCE
IC
fig. 27 Caratteristica d’uscita di un transistor di potenza con tI B cos=
Una prima zona che arriva fino alla corrente di ginocchio KI (quella che è stata chiamata
portata in corrente), indi vi sono due cambiamenti di pendenza fino a quando la corrente di
collettore rimane costante al variare della CEV .
Si individuano cosi tre resistenze che determinano il cambiamento di pendenza e si
individuano anche i livelli di corrente legati ai tre punti A, B e C in modo tale da costruire
questa curva. La formula che determina la portata in corrente è la (6.4.1). Per semplicità si
trascuri il contributo legato al tempo di vita dei portatori e quindi si consideri la seguente
formula:
BE
EEB
IW
DQADq
I 2
2
24 ⋅⋅⋅
= (6.6.1)
Resta da vedere quale W bisogna considerare. Partiamo dal punto A.
In esso la giunzione base – emettitore del transistor è polarizzata in diretta e lo è anche la
giunzione base – collettore per cui c’è un flusso d’elettroni che dal collettore va verso la
base ed un altro flusso che dall’emettitore va verso la base e si ha quindi un flusso
risultante molto grande.
47
CBE
+N
-NNP
++N
fig. 28 Profilo delle concentrazioni al punto A
Nel caso in cui la giunzione B – E è polarizzata in diretta e la giunzione B – C è
polarizzata in inversa, allora il profilo d’elettroni decresce linearmente dalla B – E fino a
B – C annullandosi ivi.
Se però anche la giunzione B – C è polarizzata in diretta, pure il collettore emette elettroni
verso la base per cui il profilo d’elettroni non è più nullo in B – C, quindi il profilo
risultante si modifica. Ovviamente se il collettore continua ad iniettare elettroni il profilo
si alza sempre più.
Si dice che c’è un livello d’iniezione di portatori sempre più alto e se il processo
d’emissione d’elettroni è molto forte, tale livello è cosi alto che gli elettroni invadono non
solo la base e lo strato di collettore meno drogato, ma anche lo strato N .
Quindi tutto il dispositivo si trova in una condizione che si definisce d’altissima iniezione
dove il flusso d’elettroni che parte dall’emettitore ha una concentrazione molto più alta di
tutte le concentrazioni della base e del collettore. Questo significa che la resistività del
collettore non è più quella che abbiamo definito ad alta resistività per tenere tensioni ma
è modulata da questa enorme quantità di portatori.
Quindi la resistività del collettore collassa; tale effetto prende il nome di modulazione di
conducibilità o effetto Kirk.
48
Il concetto è che tutta la zona ( )NNP −− − è come fosse la base del dispositivo; la
resistività di tale zona è prossima a zero e poiché la base del dispositivo è la somma della
base metallurgica, della parte di collettore meno drogata e di quella più drogata:
NNB WWWW ++= − (6.6.2)
Sostituendo nella (6.6.1) si ottiene:
( ) BNNB
E
EEB
IWWW
DQADq
I 2
2
24
++
⋅⋅⋅=
−
(6.6.3)
Ciò implica che nel punto A il livello di corrente sarà molto basso, perché al denominatore
c’è una grandezza molto grande; infatti nel punto A, a parità di BI , il guadagno è basso,
cioè la corrente è bassa.
In questa zona la resistenza 1R non è quella del collettore, ma è la resistenza del substrato,
le resistenze dei fili, la resistenza di contatto tra la piastrina ed il package.
Sono tutte le resistenze esterne: infatti 1R è una resistenza estremamente bassa.
Quando il dispositivo lavora nella zona delimitata da A, la sua portata in corrente è
bassissima perché la base effettiva del dispositivo non è solo quella metallurgica ma si
aggiunge anche il collettore.
Quindi la portata in corrente dipende anche dallo spessore del collettore oltre che da quello
della base.
Ci si sposta, adesso, al punto B.
Questo primo cambiamento di pendenza è dovuto al cambiamento del livello d’iniezione
dei portatori dall’emettitore verso la base, ovvero questi elettroni riescono a modulare la
conducibilità della base e solamente dello strato meno drogato del collettore.
49
N++
P NN-
N+
E B C
fig. 29 Profilo delle concentrazioni al punto B
In questa situazione la base effettiva del dispositivo è la somma della base metallurgica
della parte −N del collettore:
−+=NB WWW (6.6.4)
Sostituendo si ottiene:
( ) B
NB
E
EEB
IWW
DQADq
I 2
2
24
−+
⋅⋅⋅= (6.6.5)
Questo significa che nel punto B la corrente di collettore è più alta. Nello stesso tempo la
resistenza d’uscita aumenta perché bisogna aggiungere il tratto di silicio di tipo N che ha
una propria resistività Nρ ed un suo spessore NW per cui si ha:
E
NN A
WRR ⋅+= ρ12 (6.6.6)
50
Il fatto che la resistenza d’uscita aumenta implica che CI aumenta più lentamente
all’aumentare della CEV come indicato dalla variazione di pendenza della caratteristica.
Ci si sposta infine nel punto C.
Si passa alla zona di normale funzionamento dei transistor di segnale in cui la base
effettiva coincide con la base metallurgica, cioè quando la giunzione B – E è polarizzata in
diretta e la giunzione B – C è polarizzata in inversa.
In tal caso il profilo degli elettroni si annulla proprio nella base, ma tutto il collettore ha
una sua resistenza: per cui mentre nella formula si deve inserire soltanto lo spessore della
base BW :
BB
E
EEB
IW
DQADq
I 2
2
24 ⋅⋅⋅
= (6.6.7)
CBE
+N
-NNP
++N
fig. 30 Profilo delle concentrazioni al punto C
per la resistenza totale del dispositivo bisogna aggiungere alla 2R un altro termine, che è
più pesante, perché ha la resistività dello strato di collettore che deve tenere la tensione:
E
NN
E
NN A
WA
WRR
−
− ⋅+⋅+= ρρ13 (6.6.8)
51
Tutto ciò significa che il punto C ha una maggiore portata in corrente perché la base
effettiva del dispositivo si è ristretta ma la resistenza d’uscita è molto alta.
Dal punto C in poi si ha il funzionamento classico di un transistor di segnale, mentre la
zona di saturazione è tipica dei dispositivi di potenza. Infatti, mentre un dispositivo di
segnale non lavora quasi mai come interruttore, uno di potenza lavora sempre come
interruttore.
Per lavorare come interruttore quando è nella fase ON deve avere una bassa caduta di
tensione e quindi non può lavorare in zona attiva perché se il dispositivo di potenza
lavorasse in quella zona, la caduta di tensione nella fase ON sarebbe di parecchi Volt.
52
7. ROTTURA SECONDARIA INVERSA
7.1 Fenomeno della rottura
Finora si è descritto il funzionamento di un transistor quando è acceso, non tenendo conto
che il transistor continuamente, durante il suo funzionamento, passa da una fase ON ad
una fase OFF e viceversa.
Uno dei problemi più interessanti per quanto riguarda la realizzazione dei dispositivi di
potenza è capire cosa succede durante le transizioni tra lo spegnimento e l’accensione, che
sono le fasi più critiche perchè il dispositivo è sempre sottoposto contemporaneamente ad
un incrocio tensione – corrente e quindi ad una potenza molto alta e deve avere la capacità
di sopportare questa potenza e di smaltirla senza alcun pericolo.
Si consideri, allora, il problema della rottura secondaria inversa ovvero della
sollecitazione che il dispositivo deve sopportare durante lo spegnimento.
Le condizioni sono:
1) Il dispositivo è inizialmente acceso.
Questo significa che c’è una corrente di collettore che sta attraversando il dispositivo
che è polarizzato opportunamente.
B
C
E
VCE
VBE
+
-
-
+
VCEsat
IK
VCE
IC
fig. 31 Transistor acceso
Affinché il dispositivo possa funzionare si sta forzando una corrente di base,
polarizzando la giunzione B – E in diretta;
2) Ad un certo punto vuole spegnere il dispositivo dando un gradino di corrente alla base
(o mediante una tensione BEV negativa ed imponendo una corrente d’estrazione
controllata): la corrente BI positiva diventa un impulso di corrente negativo;
3) Dopo un certo ritardo dal momento in cui si è iniziato ad estrarre le cariche dalla base,
la corrente di collettore comincia a diminuire, cioè il dispositivo inizia a spegnersi.
53
Nello stesso tempo la tensione CEV , che prima era bassissima ( )V5,11÷ incomincia ad
aumentare e tende al valore di tensione imposto dal circuito esterno.
t
P
tsto
IC
IB
VCE
t
fig. 31 Variazioni tensione – corrente durante lo spegnimento
L’intervallo di tempo compreso tra l’istante d’inizio dell’estrazione in base e l’istante
d’inizio della caduta a zero della corrente di collettore si chiama tempo di storage. Questo
è abbastanza lungo in alcuni dispositivi di potenza ( )sμ21÷ : in ogni caso durante questa
transizione la corrente sta scendendo, una tensione sta salendo e il dispositivo è sottoposto
ad una certa sollecitazione.
Quindi, le ipotesi base sono:
1) Il transistor opera in Turn – off con carico induttivo;
2) La corrente di base è uscente in seguito a una forte estrazione di base;
3) La giunzione B – E è polarizzata in inversa.
-
+
IB
+V CC
B
fig. 32 Transistor con B – E polarizzata in inversa
54
In virtù di ciò, il transistor è costretto a sopportare la potenza relativa all’incrocio VI −
per 0CEVV >> .
Il problema sta nel trovare quale zona del transistor è maggiormente sollecitata.
La struttura interna può essere rappresentata come di seguito:
BA+N
P
N
IBB
E (campo elettrico)
fig. 33 Struttura interna di un BJT
Quando si spegne il dispositivo significa che si stanno estraendo cariche dalla base e
questa corrente passa sotto l’emettitore. Visto che la base ha un suo drogaggio, quindi una
sua resistività, anche se bassa, sotto l’emettitore il silicio ha una sua resistenza intrinseca.
Ciò implica che la corrente di base attraversando questa resistenza produce un c.d.t. tra i
punti A e B. Dall’esterno si è convinti di stare polarizzando in inversa la giunzione B – E,
applicando per esempio 5−=BEV V , ma la c.d.t. precedentemente determinata tra A e B fa
in modo che alcuni punti al centro dell’emettitore siano ancora polarizzati in diretta. Si ha
dunque un terzo della giunzione B – E polarizzata in diretta nonostante si pensi che tutta la
giunzione sia polarizzata in inversa.
Durante lo spegnimento si determina un’altra condizione:
la tensione tra base e collettore non è più bassa come nella fase ON, ma ha raggiunto
valori dell’ordine di 400300 ÷ V , per cui il campo elettrico è distribuito come in figura.
Nella base c’è poco campo elettrico perché è molto drogata; nel collettore c’è invece quasi
tutto il campo elettrico, la cui area rappresenta proprio la tensione che si sta applicando.
55
Questi due fenomeni fisici, che normalmente nella fase ON e nella fase OFF sono separati,
durante la transizione sono presenti contemporaneamente e producono un danno molto
grave, perché la c.d.t. provocata dal passaggio della BI sulla resistenza laterale di base bbr
da luogo ad una polarizzazione in diretta al centro del dito d’emettitore:
BbbBEBC IrVV ⋅+= (7.1)
e si ha il fenomeno dell’alta iniezione nel collettore (un enorme flusso d’elettroni cerca
d’invadere sia la base sia il collettore determinando forti addensamenti di corrente).
Questi elettroni che dall’emettitore vanno verso il collettore cambiano la legge di Poisson
secondo cui il gradiente del campo elettrico è proporzionale alla concentrazione di
portatori:
( )ε
xNqdxdE ⋅
= ⎩⎨⎧
>>>
WLV
n
BE 0
Questo significa che preso un dispositivo con un profilo di concentrazione del tipo in
figura, nelle condizioni statiche il campo elettrico si distribuisce come in figura:
P(x)E
N(x)
-N
+N
P-
+N
E
x
fig. 34 Distribuzione del campo elettrico
56
( ) ( )
⎪⎪⎩
⎪⎪⎨
⎧
⋅⋅⋅=
=
dxdNDqJ
dxxdP
dxxdN
N 2 (7.2)
Questo però vale quando la concentrazione ( )xN che c’è nell’equazione è quella che
abbiamo voluto per il collettore.
Quando, però dall’emettitore si ha un’alta iniezione d’elettroni nel collettore, queste
cariche mobili hanno una densità paragonabile o addirittura superiore alla concentrazione
di collettore (cioè alla densità di cariche fisse).
Quindi nell’equazione di Poisson al posto di ( )xN si deve tener conto di questa enorme
concentrazione d’elettroni che arriva dall’emettitore e che cambia sicuramente la
resistività dello strato di collettore.
Quindi, all’interno della regione di carica spaziale B – C l’equazione di Poisson diventa:
( )[ ]xNNqdxdE
D −=ε
(7.3)
dove:
DN è la concentrazione di donori nel collettore;
( )xN è la concentrazione d’elettroni.
All’interno di questa regione di collettore si ha un campo molto alto per cui il legame tra la
velocità degli elettroni ed il campo elettrico risulta essere alterato. Infatti, se si grafica la
velocità degli elettroni in funzione del campo elettrico applicato, si ottiene un andamento
del tipo in figura:
vS
E
v
EC fig. 34 Velocità degli elettroni in funzione del campo elettrico
57
Per CEE << si ha la proporzionalità tra velocità e campo elettrico:
Ev ⋅= 0μ (7.4)
avendo indicato con 0μ la mobilità degli elettroni e delle lacune.
Quando il campo supera il valore CE questa linearità non c’è più e la velocità comincia a
saturare secondo la relazione:
CEEE
v+
⋅=
1
0μ (7.5)
Esiste, per gli elettroni, una velocità satura Sv che rimane costante al variare del campo
elettrico:
Svv = per CEE >> (7.6)
Analogo discorso vale per le lacune.
Nel nostro caso il campo elettrico è talmente alto che gli elettroni si muovono alla velocità
satura Sv per cui la densità di corrente di questi elettroni è data da:
( )xNvqJ SC ⋅⋅= (7.7)
Sostituendo nell’equazione di Poisson:
⎥⎦
⎤⎢⎣
⎡⋅
−=S
CD vq
JNq
dxdE
ε (7.8)
che determina la pendenza del campo elettrico, che è funzione del drogaggio del collettore,
dipende dalla densità di corrente degli elettroni che arrivano dall’emettitore.
Esisterà, allora, un valore di corrente 0J in cui la pendenza è nulla e due classi di valori in
cui la pendenza è positiva nella prima e negativa nella seconda.
58
Precisamente si ha:
− Per ⇒⋅⋅== DSC NvqJJ 0 la pendenza è nulla;
− Per ⇒< 0JJC la pendenza è positiva quindi verso il basso;
− Per ⇒> 0JJC la pendenza è negativa quindi verso il alto.
Con ciò per bassi livelli di corrente il campo elettrico è massimo in corrispondenza della
giunzione B – C e poi decresce nel collettore secondo la classica legge di Poisson:
( )ε
xNqdxdE ⋅
=
Se però, durante lo spegnimento del dispositivo s’innesca una corrente elevata d’elettroni,
il campo elettrico comincia a variare la sua pendenza e diventa, ad un certo punto, costante
su tutto il collettore e se poi si vuole far commutare il dispositivo molto più velocemente
(quindi la densità di corrente diventa elevatissima), il campo elettrico cambia pendenza ed
il suo massimo non si ha più sulla giunzione B – C, ma all’interno del silicio verso il
substrato.
Ciò è molto grave a causa del fatto che durante la sollecitazione si hanno
contemporaneamente due fenomeni:
1) Alta iniezione in collettore;
2) Una tensione inversa B – C costante.
Bisogna, cioè, soddisfare contemporaneamente a due equazioni:
( ) ( )
( )⎪⎪
⎩
⎪⎪
⎨
⎧
=−=
⎥⎦
⎤⎢⎣
⎡⋅
−+=
∫I
N
I
W
CB
S
CD
KdxxEV
vqJ
NqExE
0
0ε
(7.9)
dove:
( )0E è il valore del campo elettrico nel punto 0=x (giunzione B – C);
( )IIN OW ÷ rappresenta la larghezza della regione di carica spaziale;
K è una costante;
59
Il campo elettrico è dunque funzione della distanza e la sua pendenza è funzione della
densità di corrente. Inoltre l’area racchiusa dal campo elettrico deve essere costante.
Tutto ciò ha conseguenze molto gravi: infatti, supponendo d’essere inizialmente come in
figura:
WNO
+NNP
JC<<J0
fig. 35 Campo elettrico
L’area tratteggiata rappresenta la tensione CBV che è applicata, quella che deve rimanere
costante.
Quando spegniamo in maniera brusca il dispositivo, perché si vuol rendere molto veloce,
esso è sottoposto contemporaneamente ad un alto campo elettrico nella giunzione B – C e
all’alta iniezione. Ciò implica che la corrente è molto alta per cui il campo elettrico
comincia ad evolvere, la sua pendenza decresce sempre più, diminuisce la base del
triangolo e quindi aumenta moltissimo l’altezza, perché l’area deve rimanere costante.
L’altezza del triangolo non è altro che il campo elettrico per cui, all’aumentare della
corrente, esso cambia pendenza e l’interazione di carica spaziale è spinta verso il substrato
e tende a collassate.
Di conseguenza, poiché la tensione è costante, il campo elettrico aumenta moltissimo
nell’interfaccia tra il collettore ed il substrato e addirittura raggiunge valori talmente alti da
superare il campo elettrico critico del silicio.
60
VCB
VCB
EC
IO
JC>>J0
WNO
+NNP
JC<<J0
fig. 35 Campo elettrico per 0JJC >>
ciò implica che in quel punto si raggiunge una densità di corrente elevatissima tanto che si
ha la fusione del cristallo di silicio (aumento incontrollato di temperatura) ed il dispositivo
durante lo spegnimento si rompe.
Questo fenomeno della rottura secondaria inversa non è fenomeno termico (non è cioè
dovuto all’innalzamento della temperatura ma è fisicamente un prodotto di come è
progettata la struttura: s’innesca perché E supera CE ).
7.2 Tecniche adottate per far resistere i dispositivi alla rottura secondaria inversa
Verranno, adesso, disquisite le tecniche per far in modo che un dispositivo possa
sopportare la suddetta sollecitazione.
Il campo elettrico, durante la fase di transizione, è distribuito sul collettore e tende ad
assumere un picco molto elevato all’interfaccia collettore – substrato che fa fallire il
dispositivo. Se invece di utilizzare un collettore che abbia solamente uno strato −N (con
una certa resistività ed un certo spessore che sono dettate dalla tensione di breakdown che
il dispositivo deve sopportare) si utilizza lo stesso strato −N ed in più uno strato a
concentrazione intermedia fra −N ed il substrato, ma chiaramente molto più vicina al
collettore, si irrobustisce il dispositivo in SBE . Infatti, se si osserva la figura ci si accorge
che la tensione nel primo caso è distribuita, più o meno, in maniera triangolare: la zona
svuotata rappresenta la base di questo triangolo, il campo elettrico l’altezza.
61
N-
<< N +NEE N+N-
N
-EC
+NNP
V
V
N+N
-N +N
V
V
P N+EC
N
N+
-N
N-
+N
IB IB
P
N+
+N
P
IBIB
fig. 36 Differenze di campo elettrico
Se si aggiunge un altro strato la tensione si distribuirà in parte anche su questo strato e vi
saranno due diverse pendenze del C.E., poiché l’area deve rimanere la stessa dal punto di
vista geometrico, si trasforma (a parità d’area) un triangolo in una specie di trapezio, di
quadrilatero, per cui introducendo una strato N , prima che il campo raggiunga un valore
critico inizia a diventare significativo il suo contributo nel sostenere tensione.
Si ottiene un aumento della quantità ( )BC xx − che prima tendeva a collassare. Come
conseguenza il campo si raggiunge per densità di correnti superiori rispetto alla struttura
monostrato.
Allo spessore −NW si deve aggiungere uno spessore NW in modo che il nostro dispositivo
sia robusto. Aumentando lo spessore del collettore il dispositivo, a parità di tutte le altre
grandezze, porta meno corrente perché la corrente di ginocchio per un dispositivo dipende,
come visto, da parecchie grandezze però è essenzialmente funzione dello spessore del
collettore: poiché in questo caso si sta incrementando lo spessore del collettore per quanto
detto in precedenza, si sta abbassando la capacità che ha il dispositivo di portare corrente.
Un altro effetto parecchio importante è che nelle caratteristiche d’uscita di un transistor,
poiché si è cambiato il profilo del collettore, ci si deve aspettare che cambierà la zona di
transizione tra la zona attiva e la zona di saturazione (vedi pag. precedente).
62
Si fissi l’attenzione sulle caratteristiche: il primo è un dispositivo ad un solo strato di
collettore. Se si considera la zona di saturazione, in cui il dispositivo porta una corrente di
A17≅ con una corrente di base di A1 , uscito dalla saturazione il dispositivo ha
praticamente una sola pendenza; l’altro dispositivo in cui il profilo del collettore è più
complesso la situazione è molto diversa. Innanzitutto a parità di corrente di base (sempre
A1 ) la corrente di ginocchio è diminuita a meno di A10 (quindi parecchio) però è
cambiata anche la forma come si arriva verso la zona attiva; si nota che vi sono diverse
pendenze a differenza del primo caso in cui ve ne era solo una.
In conclusione, quando si introduce un ulteriore strato di collettore a bassa resistività
(quindi ininfluente ai fini della tensione) di opportuno spessore, si alterano profondamente
le caratteristiche d’uscita nella condizione d’accensione (condizioni ON statiche).
7.3 Area di sicurezza
Si vedrà, adesso, cosa succede nelle condizioni di spegnimento.
L’utilizzatore, che deve impiegare un transistor di potenza, richiede sempre quelle che
sono chiamate aree di sicurezza del dispositivo.
Si tratta di una zona nel piano tensione – corrente in cui l’utilizzatore vuol fare lavorare il
dispositivo essendo sicuro che esso non fallisca. Nel caso visto (vedi fig. precedente) si
tratta dall’area si sicurezza inversa; l’utilizzatore sa che all’interno di quest’area può
sempre spegnere il dispositivo (cioè può farlo passare dallo stato ON allo stato OFF) senza
che lo stesso fallisca. Sono dunque confrontati questi due dispositivi in area di sicurezza.
Il livello massimo di corrente è poco significativo sul dispositivo, infatti sono circa A15
che valgono per tutti e due i dispositivi (siamo a tensioni bassissime, meno di 100 V ),
però l’utilizzatore, se il dispositivo ha una tensione di breakdown come in questo caso di
circa 800 V , non può utilizzare il dispositivo a 100 V , ma a tensioni più alte.
In genere, un dispositivo che ha una tensione di breakdown di 900 V , l’utilizzatore
preferisce mettersi verso la metà perché quasi sempre si vogliono prendere:
1) Dei margini di sicurezza;
2) Occorre tenere in considerazione il fatto che ci sono sempre dei transistor spuri che
possono far si che la tensione i alcuni istanti possa andare oltre il valore della tensione
di lavoro.
In queste condizioni il primo dispositivo, cioè quello con doppio strato di collettore,
garantisce 500≅ V alla corrente massima; se si utilizza, invece, quello con lo strato
63
singolo (anche se il dispositivo porta più corrente), si può garantire all’utilizzatore di
lavorare con una corrente massima a meno di 300 V .
La differenza in termini di area di sicurezza, cioè di capacità di poter commutare in questo
caso nel piano I – V ad alta corrente e tensione, è sicuramente migliore nel primo caso che
nel secondo.
In questo modo, anche se è raggiunto l’obiettivo dell’irrobustimento del dispositivo, si
paga molto per quanto riguarda le performance in diretta.
Di seguito sono riportate alcune soluzioni che permettono di avere un dispositivo robusto
senza penalizzarlo in portata di corrente.
7.4 Doppio emettitore
Da un punto di vista tecnologico invece di realizzare l’emettitore di una certa lunghezza,
se ne possono realizzare due più piccoli contattati da una metallizzazione:
per evitare il corto circuito base - emettitore
BP
E
SiO2
+N+N
IBIB
fig. 36 Transistor con doppio emettitore
La struttura risulta essenzialmente diversa per il fatto che al centro dell’emettitore, che è la
zona dove durante lo spegnimento si focalizza il massimo della corrente, l’emettitore
manca: per cui la focalizzazione è inferiore.
Ci si chiede: visto che l’area d’emettitore è proporzionale alla portata in corrente, se si
ricaveranno gli stessi vantaggi visti prima.
64
In effetti non è cosi, perché quando il dispositivo è acceso la corrente di base è entrante e
la c.d.t. sotto l’emettitore è, di conseguenza, opposta a quella di spegnimento; saranno
soltanto le zone periferiche ad essere più polarizzate direttamente rispetto alla zona
centrale e la corrente invece di distribuirsi al centro dell’emettitore si distribuirà alla
periferia.
L’area centrale è quindi meno utilizzata per la corrente durante la fase ON ed è solo per
questo che possiamo permetterci di togliere una piccola parte dell’emettitore della zona
centrale senza essere penalizzati in portata di corrente.
7.5 Dispositivo a due stadi
Si consideri un dispositivo a due stadi (si può fare anche in maniera analoga su un
dispositivo ad un solo stadio) più precisamente su un Darlington che è costituito da due
transistor: il driver ed il finale.
Il driver è di area molto più piccola rispetto al finale, l’emettitore del driver è collegato
con la base del finale in modo che l’amplificazione complessiva sia quasi il prodotto dei
due guadagni.
Il vantaggio di avere un driver è quello di avere un’alta corrente in uscita ed una corrente
di base amplificata, poiché questa subisce per due volte il guadagno; con pochi mA , allora
riusciamo ad avere in uscita degli ampere o delle decine di ampere.
Questo fatto è importante perché in questo modo si riesce a pilotare il dispositivo di
potenza, non con decine o centinaia di mA , ma solo con qualche mA , il che significa
avere dei circuiti di pilotaggio più semplici ed anche molto meno costosi.
Si supponga, dapprima, di poter applicare, da un punto di vista circuitale, a questo
Darlington un diodo tra il collettore e la base con la caratteristica di avere una tensione di
breakdown più bassa di quella del transistor.
Il diodo può essere messo in due posizioni: all’ingresso (nel driver) oppure all’interno (nel
finale).
65
- area "grande" del diodo- necessità diodo di "blocco"
- area "piccola" del diodo
Diodo di Clamp
T2
T1T1
Diodo di Clamp
La sollecitazione energetica deve essere trasformata da ESB in ISB
La tensione di Clamp deve essere minore di quella di breakdown
DIODO DI CLAMP INTEGRATO
B
C
EE
C
B
fig. 37 Diodo di Clamp integrato
( )CLVV
CCL darlin
II
=
≅β
( )CLVV
CCL T
II
=
≅2β
Si veda, adesso, cosa succede dal punto di vista circuitale se si compie tale operazione.
Quando si spegne il dispositivo e la tensione comincia a salire (se la tensione di
breakdown del diodo è più bassa di quella del transistor) appena questa raggiunge il
breakdown del diodo, questo farà passare corrente che è immessa nella base del transistor.
In realtà se il diodo è messo all’ingresso, affinché si possa esser certi che la corrente entri
nella base, è necessario un diodo di blocco per evitare che la corrente ritorni nel circuito di
pilotaggio.
Nel secondo caso questa scelta non si rende necessaria perché il potenziale è tale che la
corrente possa andare solamente all’interno della base del transistor.
Pertanto se, dal punto di vista circuitale, si riesce a mettere un diodo tra il collettore e la
base, quando il dispositivo si sta spegnendo sul finale arriva una corrente di base entrante.
Occorre ancora osservare che nel secondo caso però la corrente che circola nel diodo sarà
data dalla corrente di collettore diviso il guadagno del transistor 2T .
Nel primo caso, invece, questa corrente sarà data dal rapporto tra la corrente di collettore
ed il guadagno del Darlington, cioè quasi il prodotto dei due guadagni.
66
Il diodo in questo caso deve sopportare una corrente più piccola, mentre nel caso
precedente dovrà sopportare una corrente più grande e tale dovrà, quindi, essere l’area del
diodo stesso.
Ci si chiede cosa potrebbe succedere se durante lo spegnimento si facesse in modo che una
corrente entri dalla base.
Si è detto che durante lo spegnimento del dispositivo la corrente è uscente dalla base
(quindi stiamo estraendo cariche dalla base), se fisicamente questo processo sta avvenendo
all’interno del transistor e contemporaneamente tramite questo diodo c’è una corrente
entrante, non si fa altro che rallentare la velocità di spegnimento del dispositivo perché con
quella corrente entrante si tende di riaccenderlo. Se si fa in modo che questa corrente
entrante sia talmente grande che il dispositivo non venga più sottoposto alla rottura
secondaria inversa ma al meccanismo della rottura secondaria diretta, che avviene
quando il dispositivo si sta accendendo (cioè quando c’è una corrente entrante), allora si
riescono ad ottenere dei dispositivi molto robusti alla rottura secondaria inversa.
Si riesce quindi a raggiungere l’obiettivo facendo in modo che il dispositivo sia molto più
lento oppure facendo si che la sollecitazione in rottura secondaria inversa si trasformi in
un’altra sollecitazione di rottura secondaria diretta visto che costruttivamente si possono
realizzare dispositivi che sopportano meglio questa che quell’altra sollecitazione.
7.6 Diodo di Clamp
In un qualunque transistor di potenza quando si integra nella stessa piastrina un diodo,
inevitabilmente integriamo un transistor, perché tutti i dispositivi di potenza hanno il
collettore in comune, quindi se in superficie si fa un diodo, automaticamente si è creato un
transistor (vedi pag. seguente).
67
BVCL=BVCE0<BVCER (T1, TC)
Il diodo è realizzato con un transistor con base open (VCE0)
TCB
C
E
Il diodo è inserito tra il driver ed il finale
Diodo di ClampT1
T2
fig. 38 Diodo di Clamp realizzato con transistor con base open
si può eliminare lo strato intermedio
é necessario progettare il Finale in modo che sia robusto in ISB
T2TCT1 (C)
(B) (B) (B)
(E)(E)(E)
P +
P +P +
N+
N+
tale transistor ha un guadagno più alto di quello del driver o del finale
+N
Larghezza di base
fig. 39 Diodo di Clamp: struttura interna
Il diodo pertanto è realizzato con un transistor con base open, con il collettore collegato a
quello del transistor e l’emettitore collegato alla base del finale, ovvero all’emettitore del
driver.
68
Si nota che i transistor 1T e 2T sono realizzati allo stesso modo: il finale ha un’area più
grande rispetto al driver.
Il transistor, col quale si è realizzato il diodo di Clamp, è differente, infatti il suo
emettitore è più profondo rispetto agli emettitori degli altri due transistor ( 1T e 2T ), in
quanto si vuole che la base di questo transistor sia molto più piccola rispetto alla larghezza
di base di 1T e 2T , che sono uguali.
Se la larghezza di base è più piccola ad alta tensione, quando il dispositivo sta
funzionando, il suo guadagno sarà molto alto.
Si consideri il transistor CT e la sua caratteristica:
VCE
IC
fig. 40 Caratteristica d’uscita del CT
il transistor funziona da diodo solo quando arriva al suo breakdown ( 400,300 V ) quindi,
sicuramente non starà funzionando nella zona di quasi saturazione, ma in quella attiva ad
altissima tensione.
Se funziona nella zona attiva il suo guadagno dipende solamente dalla larghezza della base
e non dalla somma della stessa e di quella di collettore e poiché è stato realizzato con una
base molto più stretta questo transistor guadagnerà molto di più rispetto a 1T e 2T .
Tipicamente questo transistor guadagna un centinaio, gli altri invece poco meno della
metà.
Detto questo si cercherà di spiegare come facendo guadagnare molto di più questo
dispositivo si riesca a fare in modo che al sua 0CEBV sia molto più bassa rispetto a quella
degli altri.
Nella figura seguente si rappresenta la 0CBBV , ossia la tensione di breakdown tra collettore
e base quando l’emettitore è aperto: se invece si considerano configurazioni tipo tra
69
collettore ed emettitore, quando si inserisce una resistenza tra emettitore e base, queste
tensioni sono più basse (dipende dalla resistenza). Inoltre se si tiene conto che la tensione
di breakdown 0CEBV , cioè con base OPEN, è circa la metà di 0CBBV , si ha una differenza
molto grande:
600 V1000 V
BVCER
VCE
BVCES
BVCB0BVCE0
IC
fig. 41 Andamento delle tensioni di breakdown
Si osserva ancora che aumentando man mano il guadagno del dispositivo la sua 0CEBV
diminuisce e viceversa, cioè esiste una correlazione molto forte tra il guadagno del
transistor e la sua 0CEBV ; considerato ciò è chiaro che facendo guadagnare questo
dispositivo molto di più rispetto agli altri due, quando integriamo questo dispositivo
all’interno della struttura si è certi che avrà una tensione di rottura più bassa.
La corrente passa, dunque, prima attraverso questo transistor e poi entra nella base del
finale realizzando quello che si voleva ottenere da un punto di vista circuitale. La
possibilità d’integrare il diodo di Clamp in transistor di potenza ha permesso di realizzare
dispositivi monolitici (quindi molto compatti) estremamente robusti in SBE senza la
penalizzazione in corrente introdotta dallo strato intermedio di collettore.
Questa soluzione è particolarmente adatta per applicazioni in cui sono richieste modeste
velocità di commutazione e sono essenziali semplificazioni circuitali di pilotaggio
(accensione elettronica).
7.7 Emitter switchin
L’emitter switchin è una tecnica che è utilizzata per fare in modo che un dispositivo sia
robusto nella condizione di rottura secondaria inversa ed anche molto veloce:
70
Power MOS
VBE ID=0=IE
LIB=IC
fig. 42 Emitter Switching
Si consideri un dispositivo di potenza che si vuole spegnere; il circuito di spegnimento
classico per tutti i dispositivi è quello mostrato in figura, con induttanza e diodo di
ricircolo.
In questo caso il transistor, invece d’essere spento con la tecnica usuale attraverso la base
estraendo corrente, è spento dall’emettitore.
Si metta sull’emettitore di tale transistor un PMOS, cioè un dispositivo che ha due
caratteristiche:
1) È pilotato in tensione invece che in corrente;
2) Si spegne subito, cioè rispetto ad un dispositivo bipolare, un PMOS si spegne in
maniera istantanea.
Il dispositivo si spegne agendo sul gate del PMOS e non sulla corrente di base BI del
transistor, il dispositivo bipolare è d’alta tensione ,1000500 − 2000 V , il PMOS, invece, è
un dispositivo di bassissima tensione ,4030 − 50 V (non deve avere un’alta tensione).
Applicando al gate del PMOS una tensione negativa, in queste condizioni il PMOS si
spegne subito (in 50 ns ) ciò significa che la sua corrente di drain è nulla, per cui anche la
corrente dell’emettitore del dispositivo bipolare è nulla.
Quindi nel momento in cui si applica un segnale negativo al gate, dopo qualche decina di
ns si è annullata la corrente d’emettitore del bipolare; di conseguenza la corrente di
collettore si trasforma tutta in corrente di base, ciò significa che questo transistor si sta
spegnendo alla sua corrente di collettore.
71
Si tratta dunque di uno spegnimento molto forte, la corrente di collettore diventa corrente
uscente di base che spegne il bipolare.
Se si osservano le forme d’onda reali ci si accorge che durante lo spegnimento la corrente
di base e quella di collettore sono praticamente uguali. Chiaramente la corrente di base
crolla subito perché c’è un tempo di storage del dispositivo (che non viene annullato ma è
notevolmente ridotto) che è pero minore di sμ1 , il tempo di fall invece può essere basso.
Utilizzando, quindi, questo PMOS si riesce ad annullare la corrente d’emettitore, spegnere
il transistor con una corrente di base altissima a precisamente pari alla sua corrente di
collettore.
Ci si chiede, allora, perché il dispositivo debba essere più robusto alla rottura secondaria
inversa.
Semplicemente, nonostante si stia estraendo con una corrente di base fortissima, la
corrente d’emettitore è nulla per cui il problema della focalizzazione sotto il dito
d’emettitore è praticamente inesistente o meglio è notevolmente ridotto.
Questo significa che si riesce a spegnere il dispositivo senza che si possa innescare il
fenomeno della rottura secondaria inversa.
Tanto per avere un’idea: se si spegne attraverso la base un dispositivo da 10 A , esso ha un
tempo di storage di sμ2 ed un tempo di fall di 200 ns , se invece si spegne tramite
emettitore, con questa tecnica, il tempo di storage diventa 5,0≅ sμ ed il tempo di fall
100≅ ns . La cosa che però interessa maggiormente è che le aree di sicurezza sono
completamente diverse, in particolare se si spegne il dispositivo tramite l’emettitore si
ottiene la cosiddetta area piena, vuol dire la massima tensione e la massima corrente (il
dispositivo guadagna moltissimo per quanto riguarda la sua sicurezza d’applicazione).
nuova area di sicurezza
VG
IE
IC
fig. 43 Emitter Switching, area di sicurezza
72
8. ROTTURA SECONDARIA DIRETTA
8.1 Fenomeno della rottura
La rottura secondaria diretta è il meccanismo di fallimento a cui sono sottoposti i
transistor bipolari di potenza nel momento dell’accensione, quindi il transistor si trova
nello stato OFF ad alta tensione e bassa corrente ed è acceso con una corrente di base,
ovvero polarizzando la giunzione B – E in diretta.
Anche in questo caso, come nella rottura secondaria inversa, gli utilizzatori richiedono per
il transistor di potenza un’area di sicurezza, detta area di sicurezza diretta. Tale area,
sempre nel piano I – V, consiste nell’area all’interno della quale l’utilizzatore può
accendere il dispositivo senza incorrere nel fallimento dello stesso.
Questa è delimitata dalla corrente massima del dispositivo, dalla massima tensione che il
dispositivo può sopportare ed infine dovrebbe essere delimitata da una retta a °45 dettata
dalla resistenza termica del silicio; in effetti c’è una situazione diversa nella pratica,
perché esiste una zona che non risponde alle leggi dello scambio di calore tra interno ed
esterno, considerando il dispositivo come un oggetto con una sua resistenza termica.
t
P
t
ONOFF
ICVCE
RTH area dovuta al fenomeno della rottura secondaria diretta
SOA
VCE0 VCE
IC
R
IB
fig. 44 Area di sicurezza e transizione OFF – ON
73
Per ben capire l’anomalia che si evidenzia nel grafico bisogna capire da dove inizia il
fenomeno della rottura secondaria diretta.
Inizialmente il dispositivo è spento con una bassissima corrente di leakage della giunzione
B – C o C – E, ed un’alta tensione che è quella che stiamo applicando al dispositivo, poi
durante l’accensione va alla sua CESV in pochi Volt e la corrente sale al suo valore
massimo: in questo incrocio il dispositivo è sottoposto ad un flusso di potenza e deve
avere la capacità di smaltirla, di sopportarla.
8.2 Descrizione macroscopica
Per vedere cosa succede si parte da un modello semplice considerando il dispositivo come
un oggetto di silicio con una resistenza termica ed applicando a questa scatola una potenza
data dal prodotto della corrente di collettore per la CEV :
salto termico
TIC
P=VCE IC RTH
TP=
RTH
fig. 45 Modello termico
A causa di questo impulso di potenza si ha un aumento della temperatura. Tale incremento
produce un aumento della corrente che a sua volta produce un aumento della potenza
d’ingresso e quindi un feedback positivo.
Nello stesso tempo, a causa della resistenza termica, il dispositivo dissipa verso l’esterno
una certa potenza data dal salto termico che subisce a causa dell’impulso dato diviso la
resistenza termica.
Se il prodotto CCE IV Δ⋅ , che è la potenza fornita al dispositivo, è minore della potenza che
lo stesso riesce a smaltire verso l’esterno allora il dispositivo è stabile, in caso contrario è
instabile. Nel secondo caso, dal punto di vista termico si ha un feedback positivo che porta
74
alla distruzione dl dispositivo solamente perché raggiunge una temperatura al di sopra
della quale esso non può funzionare.
Si può determinare un fattore di stabilità, dato da:
TI
VRS CCETH Δ
Δ⋅⋅= (8.2.1)
Se 1<S il dispositivo è stabile, altrimenti ( )1>S è instabile.
Tale modello, comunque, risulta inadeguato in quanto:
1) Non si spiega l’influenza della geometria orizzontale sulla SBI ;
2) Non si spiega perché, se si cambia la base, lasciando inalterato il resto, cambia anche
la robustezza in questa sollecitazione, ovvero il perché c’è una influenza della struttura
verticale del dispositivo la quale non determina sicuramente una variazione della
resistenza termica;
3) Non spiega il motivo della asimmetria corrente – tensione ovvero il perché se si
applica dall’esterno la stessa potenza, una volta con un’alta tensione, una volta con
un’alta corrente, il dispositivo è molto più robusto in questo secondo caso che nel
primo.
8.3 Descrizione microscopica
Il fenomeno può essere compreso se si considera il dispositivo costituito da un insieme di
N transistor elementari tutti in parallelo tra di loro (vedi fig. pag. successiva):
75
Coefficiente di stabilità locale
Ti
ICiSi=RTHi VCEi
Condizione di stabilità
RTH
TVCE IC <
RTHi
1i=1
n= 1PTRTH=
n
i=1P=VCE IC= Pi
S>1
S<1
I
E
C
N321
Forward second breakdown
V
B
fig. 46 Forward second breakdown
Per ognuno di questi N transistor si deve calcolare il singolo fattore di stabilità, cosi come
è stato fatto per quello totale, cioè si presuppone che dall’esterno si applichi una certa
potenza su questi N dispositivi.
Tale potenza si distribuisce in maniera più o meno uniforme (questo è da stabilire) ed
ognuno di questi dispositivi ha un suo coefficiente di stabilità, cioè una sua resistenza
termica, ha una sua potenza che deve essere smaltita e cosi via.
Bisogna pensare quindi ad un coefficiente di stabilità localizzato in un qualunque punto
del dispositivo, ma tali fattori di stabilità possono essere uguali o diversi da una zona
all’altra.
Una volta trovato il singolo fattore di stabilità, si deve cercare d’esplicitare qualcuna di
queste grandezze in maniera da legarle ad alcuni parametri fisici e geometrici del
dispositivo.
L’unica grandezza che può essere legata a parametri fisici o geometrici e la corrente di
collettore. Vi sono tante formule per la corrente di collettore a seconda se i dispositivi
sono planari o epibase, però tutte queste hanno delle espressioni in comune che sono
76
l’esponenziale della corrente, che è sempre del tipo KT
EVq gBE −⋅ e poi una grandezza
legata alla larghezza di base che rappresenta il guadagno del dispositivo, BW
1 .
i
CiCETHii T
IVRS
ΔΔ⋅⋅= (8.3.1)
KTEVq
B
B
iEC
gBE
DQ
nAqI
−⋅
⎟⎟⎟⎟
⎠
⎞
⎜⎜⎜⎜
⎝
⎛⋅⋅
=2
PLANARI (8.3.2)
KTEVq
B
iEC
gBE
WnDAq
I
−⋅
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛ ⋅⋅⋅=
2
EPIBASE (8.3.3)
Dove BW è la base effettiva.
WB0
WB
x
E
-N
+N
P-
+N
fig. 47 Scelta dello spessore BW
77
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛+⋅⋅
⋅⋅−=
C
BB
BB
NNNq
VWW1
20
ε SENZA REACH – THROUGH (8.3.4)
BC
BCBB Nq
VNN
XWW⋅⋅⋅
+⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛+⋅−=
ε210 CON REACH – THROUGH (8.3.5)
Nei planari va usata la base metallurgica.
Si vuole vedere come si distribuisce nella giunzione la BEV che è applicata dall’esterno.
Tale tensione non determina la corrente perché, per le modalità con le quali si è costruito il
dispositivo, fra il contatto di base e la giunzione deve esserci una certa distanza altrimenti
la Metal metterebbe in cortocircuito la giunzione.
Questa distanza per i dispositivi di potenza è di 10 mμ o anche di più che comporta una
certa resistenza tra il contatto di base e la giunzione, che si chiama resistenza di base.
Lo stesso vale fra il contatto d’emettitore e la giunzione, anche in questo caso esiste una
certa distanza e quindi una resistenza d’emettitore che è più bassa di quella della base
essendo, esso, molto più drogato.
Esistono sempre nei dispositivi reali delle resistenze che producono un effetto
fondamentale: la tensione che vede la giunzione, che è quella che determina il passaggio
della corrente di collettore, è pari alla BEestV che si sta applicando meno le cadute di
tensione su queste due resistenze prodotte dalla corrente di base e d’emettitore:
( ) ( )⎟⎟⎠⎞
⎜⎜⎝
⎛+⋅−≅⋅+⋅−=
TRRIVIRIRVV BB
BECBEestEBEBBBBEestBE β (8.3.6)
Tenuto conto che:
( ) KTE
B
C
II
TΔ
−== 0ββ
ed assunto che la corrente d’emettitore sia circa uguale a quella di collettore.
78
β è il guadagno del transistor che dipende dalla temperatura tramite EΔ che è la
differenza tra il gap d’emettitore ed il gap dalla base.
BER , BBR sono anche chiamate resistenze di Ballast e si possono visualizzare a cavallo
alla giunzione B – E.
Con queste considerazioni si sono raggiunti importanti risultati:
1) Esistono nella struttura interna del dispositivo delle resistenze che in qualche modo
(tramite la BEV ) rientrano nel fattore di stabilità;
2) Nel fattore di stabilità entra anche in gioco il guadagno del transistor che è a sua volta
legato alla temperatura.
È possibile esplicitare il fattore S ottenendo la seguente relazione:
( )⎟⎠⎞⎜
⎝⎛ +⋅+
Δ⎟⎠⎞⎜
⎝⎛ ⋅+
⋅⋅−
=
β
β
BBBEC
BBC
C
Ci
A
RRIqKT
KTERII
I
qKT
TTS
ln1 (8.3.7)
( )THCEC RVISS ,,,β= (8.3.8)
Si nota che il fattore di stabilità è proporzionale alla corrente di collettore, al guadagno,
alla CEV ed alla resistenza termica (un aumento del fattore di stabilità significa che il
dispositivo è più instabile).
Il dispositivo diventa più stabile se le resistenze sono molto grandi ( )BEBB RR , (il fattore di
stabilità è inversamente proporzionale alle resistenze, allo spessore della base).
Si esamina, adesso, l’asimmetria del diagramma I – V in rottura secondaria diretta.
Quando il dispositivo si sta accendendo, s’inietta una corrente di base che produce nella
resistenza, che c’è sotto l’emettitore, una c.d.t. che provoca un valore diverso di BEV tra
centro e periferia del dito d’emettitore con conseguente addensamento di corrente alla
periferia. Ciò si ricollega al fatto che per irrobustire un dispositivo in rottura secondaria
inversa, si può eliminare una parte dell’emettitore senza perdere molto nella fase ON in
portata di corrente. Il tutto è giustificato dal fatto che la corrente si distribuisce soprattutto
alla periferia e poco al centro del dito d’emettitore.
Tale aumento di corrente produce un aumento dell’iniezione d’elettroni in questa zona che
produce un allargamento della base, cioè in queste zone periferiche l’alta iniezione si ha
prima che nel centro del dispositivo.
79
la corrente si distribuisce più nella periferia che nella parte centrale
IC
B
E+N
P
IBIB
fig. 48 Distribuzione della corrente
BbBEbe IrVV ⋅−= (8.3.9)
ALLARGAM ENTO
fig. 49 Allargamento della base
In queste zone il dispositivo è come se avesse una base più larga che lo protegge e lo
irrobustisce a questa sollecitazione.
80
Adesso si spiega perché quando si sollecita un dispositivo ad alte correnti e basse tensioni
risulta più robusto, infatti in queste occasioni il fenomeno d’allargamento della base è
molto forte.
La base non è più quella metallurgica, ma si è aggiunto il collettore; il dispositivo
guadagna meno e si protegge da questa sollecitazione di feedback corrente – temperatura.
Prima di esaminare l’asimmetria si chiariscono due concetti:
1) La corrente si distribuisce in maniera non uniforme all’interno del dito d’emettitore a
causa di questa c.d.t. trasversale;
2) Più alta è la corrente, più l’allargamento della base dovuto all’alta iniezione, si
comporta da feedback negativo al processo d’innesco corrente – temperatura che
porterebbe il dispositivo alla distruzione.
8.4 Influenza della geometria orizzontale sulla robustezza in ISB
Fisicamente le resistenze di Ballast BER ed BBR sono benefiche, infatti un loro aumento
determina una maggiore robustezza del dispositivo. Esse sono date da:
RBB = RSBdCJb
PE
PE
dCJeRBE = RSE
+
P
N
contatto emettitore contatto basecontatto base
fig. 50 Resistenze di Ballast
81
-+
rbe IC
VBE IT
IC
IC
VBE =VBEest - rbe IC
E
B
fig. 51 Variazione della BEV
dove EP è il perimetro dell’emettitore, CJd è la distanza contatto – giunzione, SER ed SBR
sono le resistenze superficiali d’emettitore e base.
SR è una resistenza per unità di strato che è inversamente proporzionale alla
concentrazione superficiale che c’è nell’emettitore o nella base. Per cui queste resistenze
sono tanto più grandi quanto più grande è la distanza contatto – giunzione, ma sono anche
funzione del perimetro d’emettitore e dipendono per tanto dai processi tecnologici e dalla
geometria orizzontale del dispositivo.
Rimane, allora, giustificata l’affermazione fatta in precedenza, che un dispositivo poco
interdigitato, con dita abbastanza grosse, è molto robusto a questa sollecitazione, perché è
chiaro che progettando dita sottili d’emettitore si ottiene un aumento del perimetro
d’emettitore e quindi diminuiscono, a parità di distanze contatti – giunzione, le resistenze
di Ballast.
Occorre sottolineare che quando si realizza una struttura interdigitata non solo aumenta
molto il perimetro d’emettitore ma nello stesso tempo diminuisce la distanza che c’è tra il
contatto e la giunzione, si hanno quindi due effetti che vanno nella stessa direzione.
Si può affermare, dunque, che una struttura molto interdigitata ha le resistenze di Ballast
molto più basse rispetto ad una struttura poco interdigitata: se ne deduce che una struttura
di quest’ultimo tipo è sicuramente molto più robusta in SBI .
82
La funzione di BER ed BBR è quella di produrre una reazione negativa tra corrente CI e
BEV tendente a limitare le focalizzazioni di corrente. Infatti un aumento di CI , creato da
un punto caldo, in uno qualunque dei transistor elementari provoca una variazione di
potenziale che si oppone ad un aumento della BEV , stabilizzandolo.
Nella figura che segue sono riportati i dati sperimentali che fanno vedere l’influenza dello
spessore del silicio e della larghezza dei contatti sulla robustezza del dispositivo,
rappresentata con percentuali di fallimento durante l’accensione ad una tensione di 30 V
al variare della corrente di collettore.
contatti larghi
contatti stretti
RSB =350
VCE =30 V
xp =180 mxp =320 m
xp
xp
fallimenti%
432 IC(A)
10
50
30
70
90
N
P
+
+
P
N
fig. 51 Influenza dello spessore del silicio e della larghezza dei contatti
Si hanno due classi di curve, una dove è scritto 320 mμ ed una dove è scritto 180 mμ . Si
tratta dello spessore della fetta di silicio che incide sulla resistenza termica e quindi sulla
robustezza del dispositivo (minore è la resistenza termica maggiore è la robustezza).
Come si nota in figura, nell’ambito della stessa classe ( )S , a seconda se si utilizzano
contatti stretti oppure larghi si hanno curve diverse.
Se ad esempio si fanno commutare 100 dispositivi a 3 A e 30 V , si nota che nel caso di
contatti stretti ne falliscono 10 , nel caso di contatti larghi ne falliscono 20 . Dato che con
tale tecnologia si producono milioni di pezzi l’anno, incrementare la resa anche di un
punto percento significa risparmiare milioni di pezzi e di dollari.
83
Esistono diversi motivi per i quali tra gli N dispositivi elementari ce ne deve essere
almeno uno diverso dagli altri:
1) In primo luogo, per il fatto che la corrente non si distribuisce in modo uniforme lungo
il dito d’emettitore, ciò implica che non è vero che questi transistor elementari devono
essere uguali anzi forse devono essere tutti diversi;
2) La piastrina di silicio deve essere poi saldata su un contenitore ponendo sul retro uno
strato di piombo – stagno. Questo strato metallico si fa passare attraverso un forno ad
alta temperatura ottenendo la saldatura tra la piastrina ed il suo supporto. Si suppone
che il flusso del gas all’interno di questo forno, per un qualunque motivo, o a causa di
vortici, o a causa di particelle, crea in un punto qualsiasi un vuoto dove non si ha una
saldatura perfetta. Se ciò succede, si può asserire che il transistor elementare che è
associato a questo punto sarà diverso rispetto a quelli in cui la saldatura è stata
realizzata perfettamente, ciò perché la sua resistenza termica sarà diversa e quindi
anche il suo fattore di stabilità sarà diverso, perciò tale transistor avrà un peso diverso
rispetto agli altri;
3) Supponendo che nella giunzione ci sia un difetto cristallografico si produce un difetto
nella zona in cui si presenta, procurando funzionamenti del transistor sicuramente
anomali.
8.5 Misura dei punti caldi
Per rilevare i cosiddetti punti caldi del dispositivo si utilizza la tecnica del BEVΔ .
Essi s’introducono, come si è già visto, per mezzo di:
− Difetti cristallografici del Si ;
− Non ottimizzazione geometrica orizzontale;
− Mancanza lega saldante in zone limitate.
In ogni caso si ha un aumento locale di temperatura che può essere rilevato dalla
variazione della BEV del transistor elementare associato a quel punto.
La misura della BEVΔ permette di rilevare anche un solo punto caldo, cosa che non si può
fare con la misura della resistenza termica totale che non viene modificata
apprezzabilmente da variazioni locali.
84
VBE = 2 (TC - T0)
T0
T1
TC
P P P
+N+N N+
fig. 52 Misura dei punti caldi
Si consideri la sezione di un ipotetico transistor formata da tanti transistor elementari; si
supponga che, associati ad uno di questi transistor elementari, vi sia un punto caldo.
Per punto caldo si intende un’anomalia che può essere dovuta ad una della cause elencate
in precedenza. Applicando un impulso di potenza al complesso del dispositivo e
precisamente tra la base e l’emettitore dello stesso, esso produce una variazione della
temperatura di giunzione.
Se tutti i dispositivi elementari fossero uguali si porterebbero tutti alla stessa temperatura
1T , supponendo però che c’è ne sia uno diverso (anomalo) e quindi per qualche motivo, a
differenza degli altri, si porta ad una temperatura CT più alta.
È possibile vedere tale effetto dall’esterno. Infatti se si misura la variazione di BEV dovuta
a quest’impulso, quello che si vede dall’esterno è solo quella dovuta al dispositivo che ha
subito il salto termico maggiore, cioè:
( )02 TTV CBE −⋅≅Δ (8.5.1)
dove 0T è la temperatura iniziale.
85
Quindi, se dall’esterno misuriamo la variazione di BEV monitoriamo il salto termico
( )0TTC − e non la media di tutti i valori.
Invece la variazione anche rilevante della THR locale può non provocare variazioni
apprezzabili della THR totale misurata.
86
9. COMMUTAZIONE NEI TRANSISTOR BIPOLARI DI POTENZA
9.1 Commutazione su carico resistivo
Si consideri inizialmente la commutazione su carico resistivo tenendo conto del seguente
schema:
R
VCC
IB
fig. 53 Commutazione su carico resistivo
Le forme d’onda che si registrano sono le seguenti:
tOFFtON
IB
VCEsat
t
ONOFF
ICVCE
fig. 54 Tempi di commutazione
87
Il dispositivo si accende somministrando alla base un impulso di corrente BI positivo;
dopo un certo intervallo di tempo il dispositivo reagisce facendo crescere la corrente CI e
nel contempo riducendo la CEV fino al valore di saturazione.
Lo spegnimento avviene, invece, con un impulso negativo in base; anche questo avvertito
con un certo ritardo e provoca un eccessivo annullamento della corrente ed un ritorno della
CEV a valori elevati ma comunque già imposti.
9.2 Definizione dei tempi d’accensione e spegnimento
Si possono valutare i tempi d’accensione e spegnimento ONt e OFFt come somma di due
contributi:
rdON ttt += fsOFF ttt += (9.1.1)
ove dt (delay time) e st (storage time) rappresentano gli intervalli di tempo necessari
affinché la corrente di collettore “senta” l’impulso di base, mentre rt (rise time) e ft (fall
time) rappresentano i tempi realmente necessari affinché CI vada dal valore massimo al
valore minimo e viceversa.
Più precisamente si definiscono:
1) dt (delay time): tempo necessario affinché la BEV passi da )(OFFBEV (negativa perchè a
dispositivo spento la giunzione B – E è polarizzata in inversa) a )(ONBEV . Esso coincide
con il tempo richiesto affinché venga caricata la capacità d’ingresso ed è quindi
funzione del valore di quest’ultima;
2) rt (rise time): tempo necessario affinché la corrente CI vada da zero al valore
massimo. Fisicamente coincide con il tempo necessario alle cariche per transitare dalla
base al collettore e portare la giunzione B – C in polarizzazione diretta. Esso dipende
dunque dal tempo di transito dei portatori minoritari in base ed anche dalla capacità
della giunzione B – C;
3) st (storage time): per comprendere il motivo del ritardo st si considerano i seguenti
diagrammi ed il percorso nel piano CEC VI − del transistor in commutazione su carico
resistivo (percorso rettilineo):
88
WCWB
5
4
3
2
1
ts
Profilo portatori minoritari
4 32
1
OFF
ON
VCE
IC
fig. 55 Percorso transistor in commutazione su carico resistivo
Trovandosi il dispositivo inizialmente nello stato ON a causa dell’alta iniezione, tanto
la base quanto il collettore sono invase da un’elevata concentrazione di portatori
minoritari (elettroni) che devono essere smaltiti attraverso la base e/o per
ricombinazione prima che si possa passare allo stato OFF.
Nello svuotamento, dalla condizione d’alta iniezione (5) a quella di funzionamento in
zona attiva (2), la pendenza del profilo dei portatori minoritari non varia e quindi non
varia neppure la corrente di collettore; dunque si deve attendere un certo tempo
affinché la CI manifesti apprezzabili variazioni del suo valore.
Questo tempo è proprio lo storage time che è quindi definito come il tempo necessario
affinché il transistor si porti dalla zona di saturazione al limite della zona attiva.
Lo storage time dipende da:
− Condizioni di sovrassaturazione (cioè quando profonda fosse la saturazione prima
dello spegnimento ovvero quando elevato fosse l’accumulo dei minoritari);
− Tempo di vita dei minoritari;
− Condizioni d’estrazione (se si drenano con la CI negativa o si lasciano
ricombinare).
4) ft (fall time): è il tempo necessario per svuotare pure la base metallurgica. Esso
dipende ancora dal tempo di vita dei minoritari ma anche dalla geometria adottata.
89
9.3 Commutazione su carico induttivo
Le considerazioni fatte finora hanno tuttavia valenza puramente didattica, infatti nella
pratica non accade mai che un transistor commuti esclusivamente su un carico resistivo,
non fosse altro che per le inevitabili componenti induttive del collegamento.
Quello che ha dunque una valenza pratica maggiore è la commutazione con carico
induttivo. Le definizioni prima date sono ancora valide; ciò che varia sono le forme d’onda
rilevate:
dtdi
LP LP
IB
VCC
VCE IC
OFF ON
t
VCEsat
IB
tON tOFF
L ID
fig. 56 Tempi di commutazione su carico induttivo (reale)
Novità rispetto alle forme d’onda viste nel caso precedente sono:
1) In accensione la CI presenta una sovraelongazione rispetto al valore di regime dovuta
alla corrente inversa da cui è percorso il diodo prima del suo completo spegnimento.
Sempre in accensione la CEV presenta un piccolo gradino negativo prima di ridursi
definitivamente al valore di saturazione dovuto alla c.d.t. su PL (parassita) che vede
variare la sua corrente:
dtdiLVV PCCCE −= (9.3.1)
90
Il secondo termine del secondo membro rappresenta il gradino negativo che è tanto più
pronunciato quanto più rapido è lo spegnimento e quanto maggiore la capacità
parassita;
2) In spegnimento è la CEV a presentare una sovraelongazione rispetto al valore di regime
sempre a causa dell’induttanza parassita.
Differente è pure il percorso seguito in commutazione sul piano delle caratteristiche
CEC VI − che sarà del tipo mostrato in seguito:
IC
VCE
1° tratto
2° tratto
OFF
ON
SPEGNIMENTOACCENSIONE
ON
OFF
2° tratto
1° tratto
VCE
IC
fig. 57 Caratteristiche CEC VI − in commutazione
Si osserva che nel caso di commutazione su carico resistivo il percorso seguito constava di
una sola pendenza (percorso rettilineo), quando il dispositivo commuta su carico induttivo
si registrano due tratti: uno a corrente costante ed un altro a tensione costante (in
spegnimento) viceversa (in accensione). Ciò rende la commutazione su carico induttivo
più stressante per il dispositivo perché esso deve attraversare uno stato nel quale si trova
contemporaneamente sottoposto alla massima tensione e massima corrente (o anche più
per i picchi di tensione e di corrente illustrati nelle figure precedenti).
9.4 Problema del diodo
Si riveda il discorso riguardante il picco di corrente che si ha in accensione.
91
Esso è causato dalla corrente inversa che percorre il diodo durante il suo spegnimento per
il drenaggio della cariche in eccesso dallo stesso immagazzinate.
Quindi l’area in figura rappresenta la carica totale rrQ in eccesso nel diodo e pertanto
l’entità della sovraelongazione sarà funzione del diodo utilizzato:
Qrr
VCE
IC
t
IB
fig. 58 Carica totale in eccesso nel diodo
in particolare se il diodo ha un tempo di recupero grande (cioè un diodo lento) la quantità
rrQ può essere elevata ed il picco può essere pronunciato tanto in ampiezza quanto in
durata. Quindi, sollecitazione più grande per i BJT, commutazione più lenta, potenza persa
maggiore.
Si può dunque capire perché in molte applicazioni le perdite in commutazione causate dal
diodo siano più ingenti e risulta chiara l’esigenza di avere diodi veloci.
Vista la relazione:
τ⋅⋅= Frr IkQ (9.4.1)
si comprende che ridurre la carica rrQ significa avere diodi con bassi tempi di vita.
Un espediente a questo proposito può essere quello d’impiantare un’opportuna dose di
platino che crea dei centri di ricombinazione all’interno della banda riducendo cosi il
tempo di vita. Cosi facendo si ottengono picchi di sovraelongazione di minore ampiezza e
minore durata.
92
Qrr = 0,5 c
t
ID
Qrr = 2,5 c
fig. 59 Variazione della carica totale sul diodo
Esistono inoltre degli espedienti di tipo circuitale tesi a ridurre non l’area rrQ ma l’entità
di picco a spese della sua durata temporale. Se, infatti, s’impone dall’esterno una pendenza
minore nella decrescenza di FI (con valori d’induttanza serie maggiori) essendo fissata
l’area sottesa dal picco, la corrente inversa massima RMI risulterà minore e la durata rrt
aumenta (tempo di recupero inverso maggiore):
ID
tIRM
trr trr
IRMt
ID
fig. 60 Pendenza della caratteristica imposta dall’esterno
Questo può tornare utile qualora si voglia limitare lo stress sul BJT dovuto a questa
sovracorrente oppure le emissioni elettromagnetiche che a tale spike si accompagnano.
9.5 Diodi di antisaturazione
Una delle tecniche più usate per la commutazione dei bipolari di potenza è l’utilizzo di
diodi antisaturazione come quelli della figura seguente:
93
D2
D1
VBE
VCE
fig. 61 Diodo antisaturazione
Scrivendo la L.K.T. alla maglia in figura:
12 DCEBED VVVV +=+ (9.5.1)
Supponendo 21 DD VV ≅ (in conduzione) BECE VV ≅⇒ .
Si riesce cosi a vincolare la CEV ad un valore non troppo basso evitando la saturazione
profonda e l’eccessivo accumulo di minoritari. L’espediente dunque ha l’effetto utile di
ridurre lo storage time st (che fra i quattro è più lungo).
9.6 Emitter switching
VCC
Power MOS
VBE ID=0=IE
LIB=IC
fig. 62 Emitter switching
94
In questo schema la base del transistor è polarizzata da una tensione costante mentre si
opera sul gate del Mosfet per pilotare la commutazione e non più con un impulso in base.
Il Mosfet utilizzato è un dispositivo a bassa tensione, perché non sopporta che pochi watt,
quindi è particolarmente veloce: se ad un certo istante la sua tensione di gate si abbassa di
valore, in poche decine di ns esso annulla la sua corrente di drain e quindi anche la
corrente d’emettitore del BJT. Ne segue che la corrente di base coincide con la corrente di
collettore quindi si dice che il BJT “si spegne alla corrente di collettore” (cioè i suoi
portatori in eccesso sono drenati con una corrente di base pari alla corrente di collettore) il
che rappresenta le condizioni di spegnimento più efficienti perché più veloci.
Ci si potrebbe chiedere: ma non è possibile spegnere il transistor con una corrente di base
altrettanto grande senza l’uso dell’emitter switching?
La risposta e NO!
Infatti uno spegnimento cosi violento determinerebbe il fallimento per rottura secondaria
inversa. Nel caso dell’emitter switching, invece, la rottura secondaria inversa è del tutto
evitata. Per giustificare ciò basta osservare che s’incorre nella rottura secondaria inversa
quando si verificano contemporaneamente due fattori:
1) Si ha una elevata tensione alla giunzione B – C;
2) Si ha un’alta iniezione nel collettore o nella base a causa di una forte corrente
d’elettroni proveniente dall’emettitore;
Nel caso dell’E.S. il secondo fattore non interviene semplicemente perché la EI è nulla.
La conseguenza è che la R.S.I. non si verifica e quindi si ha un’area di sicurezza piena.
300200100
2
1
base switching
emitter switching
VCE
IC
fig. 63 Confronto tra le aree di sicurezza
95
Riassumendo i vantaggi dell’E.S.:
− Riduzione dei tempi di spegnimento;
− Area di sicurezza piena;
I problemi legati alle componenti parassite presenti in una soluzione d’E.S. o componenti
discrete, sono evitati grazie alla soluzione integrata nella quale sono stati realizzati
ambedue i dispositivi necessari allo scopo (struttura compatta perché sviluppata in
verticale e non orizzontale).
Tutto è realizzato a partire da una normale struttura planare; al di sopra di questa è
cresciuto un secondo strato epitassiale di tipo N (durante questa fase l’emettitore +N si
diffonde anche verso l’alto) sul quale vengono poi eseguiti i normali passi del processo per
la realizzazione del Mosfet. L’emettitore del dispositivo non si trova più, quindi, sulla
superficie ma in profondità: per questo si parla di una struttura ad “emettitore sepolto”.
9.7 Riduzione del tempo di fall
Per comprendere in quale direzione bisogna operare, osserviamo la distribuzione
dell’eccesso di cariche lungo una sezione di un dito d’emettitore:
t = 4 s
t = 3 s
t = 2st =
0
dist
ribuz
ione
car
iche
+
P
N
fig. 64 Distribuzione dell’eccesso di cariche
Si nota che inizialmente (dispositivo acceso) la maggiore concentrazione di cariche si ha ai
bordi dell’emettitore a causa del fatto che, come già osservato, la corrente tende a
distribuirsi ivi in modo preferenziale. Per lo stesso motivo, però, nel momento in cui le
96
cariche sono estratte (spegnimento) esse sono drenate più rapidamente ai bordi più che al
centro. Cosi alla fine del st (inizio del ft ) le cariche da estrarre si trovano principalmente
addensate al centro del dito d’emettitore. È dunque chiaro che per ridurre il tempo di fall si
deve limitare tale addensamento.
1) Una prima soluzione a questo scopo è la riduzione delle dita d’emettitore:
tS = 1,80 str = 155nstr = 240ns
tS = 1,85 s150 m300 m
N+ +
N
fig. 65 Riduzione delle dita d’emettitore
I risultati appena riportati mostrano che si ha un notevole vantaggio (quasi
esclusivamente nel ft visto che il st è legato alle cariche inizialmente immagazzinate
nella periferia).
Vantaggi:
− Riduzione del fall;
− Irrobustimento del dispositivo in R.S.I. perchè un assottigliamento delle dita
d’emettitore rende più difficile la focalizzazione della corrente sotto l’emettitore
stesso.
Svantaggi:
− Indebolimento del dispositivo in R.S.D. perché un emettitore più interdigitato
significa un perimetro d’emettitore maggiore ed una diminuzione della distanza
contatti – giunzione, quindi resistenze di Ballast più piccole e coefficiente di
stabilità più grande.
97
2) Questo svantaggio non si ha sfruttando un’altra possibile soluzione per la riduzione del
tempo di fall: essa consiste nell’aumentare la parte centrale dell’emettitore al di sotto
del quale si ha un addensamento delle cariche residue.
hollowstandard
N+
N+
N+
fig. 66 Hollow emitter
Vantaggi:
− Riduzione del tempo di fall perché è diminuita la regione del dispositivo in cui si
ha l’accumulo residuo;
− Robustezza in R.S.I. perché si ostacola la focalizzazione sotto l’emettitore che
solitamente si verifica al centro del medesimo.
Svantaggi:
− Diminuzione della portata in corrente. Va però considerato che la perdita non è
proporzionale all’area eliminata perché si è osservato che la zona centrale
d’emettitore contribuisce poco perché la parte principale della corrente si concentra
alla periferia del medesimo: la perdita di portata è perciò del tutto accettabile
( )%10≅ .
− Possibilità di cortocircuiti emettitore – base.
98
9.8 Soluzione Darlington
Q2 si ricombinano
Q1 vengono rimosse
IB
VBE(off)
R1 R2
Q2
Q1
T2
T1
fig. 67 Schema Darlington
Possibili soluzioni:
1) Estrarre con una ( )offBEV maggiore del breakdown base – emettitore;
2) Inserire una resistenza 1R (in parallelo alla giunzione B – E del driver) molto piccola;
3) Inserire un diodo d’estrazione in parallelo tra base – emettitore del driver.
IB
T2
T1
fig. 68 Schema Darlington con diodo d’estrazione
Da un punto di vista circuitale è possibile estrarre con una ( )offBEV inversa maggiore della
tensione di breakdown base – emettitore; tale tensione raggiunge circa 12 V , mentre il
dispositivo dovrebbe spegnersi con una tensione di circa 2015 − V . Ciò da un punto di
vista applicativo crea molti problemi ed un costo elevato.
Si veda adesso la seconda opportunità.
Durante la fase ON, quando il dispositivo è acceso, nella base del driver vi sono
accumulate una certa quantità di cariche 1Q , nella base del finale una quantità di
99
cariche 2Q più grande rispetto a quella del driver perché l’area 2T è molto più grande di
quella 1T . Durante lo spegnimento con una corrente di base si tenta d’estrarre queste
cariche. Per quanto riguarda il transistor 1T valgono tutte le considerazioni fatte per il
transistor singolo, tutte le cariche che però ci sono in 2T non hanno alcuna possibilità di
essere estratte. Infatti, queste non possono essere estratte attraverso la giunzione B – E
polarizzata inversamente; teoricamente però potrebbero essere estratte attraverso la
resistenza 1R . Ci si rende conto, però, che affinché ciò possa avvenire in maniera
apprezzabile è necessario che questa resistenza abbia un valore molto basso. Ciò comporta
che l’emettitore e la base di 1T sono in cortocircuito e che quindi il Darlington è un
semplice transistor, perdendosi cosi il significato della struttura a due stadi. In effetti la 1R
è molto elevata e le cariche che sono estratte attraverso essa sono praticamente inesistenti.
Le cariche rimangono quindi bloccate in questa sacca di potenziale e quindi
apparentemente si è condannati ad avere un dispositivo a due stadi estremamente lento.
La terza soluzione sembra la più conveniente. Infatti, questo diodo ha la capacità di creare
un cortocircuito tra la giunzione B – E. quando, invece, il dispositivo è in funzione, questo
diodo deve avere una tensione abbastanza alta a far si che da un punto di vista circuitale, è
come se non ci fosse. In tal caso il problema dello spegnimento è risolto.
Si passa, adesso, alla realizzazione del diodo d’estrazione (vedi figura).
Durante la fase ON, la giunzione B – E è polarizzata direttamente il diodo invece deve
essere polarizzato inversamente, in questa fase il flusso della corrente è indicato in basso,
come si nota dalla stessa figura, il diodo è come se non ci fosse.
ON
D
R1 R2
E
B
T2
T1
fig. 69 Schema Darlington con diodo d’estrazione in fase ON
100
Fase ON:
Giunzione B – E in diretta, diodo D in inversa
Fase OFF:
Giunzione B – E di 1T in inversa, diodo D in diretta.
-+ T1
T2
OFFON
T2
T1
fig. 70 Schema Darlington con diodo d’estrazione: direzioni delle correnti d’estrazione
Durante lo spegnimento, la giunzione B – E di 1T è in inversa, il diodo in diretta e la
corrente uscente.
Si ha la possibilità d’integrare all’interno della struttura un diodo di questo tipo, però
occorre osservare che, quando in un transistor di potenza caratterizzato dal fatto che sul
retro del dispositivo si ha il collettore si realizza il diodo, necessariamente è stato creato un
transistor (il collettore c’è sempre).
La struttura reale è quella della figura seguente:
101
IB1
IB3Te
R1 R2
E
B
T2
T1
fig. 71 Schema Darlington con diodo d’estrazione: direzioni delle correnti d’estrazione
Il diodo d’estrazione si può realizzare con un transistor a bassissimo guadagno ( )1<<β .
1) La base del transistor d’estrazione è nella base del finale;
2) L’emettitore è collegato alla base del driver mediante metallizzazione;
3) Il collettore è comune.
Quindi è la giunzione B – E di questo transistor a svolgere il compito di diodo
d’estrazione.
Dove il collettore è comune a tutti e tre i transistor, questa è comunque una necessità
tecnologica e non una scelta.
Come si nota la base di eT è collegata alla base del finale, l’emettitore invece alla base del
driver mediante metallizzazione.
Si esamini adesso la figura seguente:
102
B
C
B
E
T2Te
T1
diodo finaledriver
++P
+N
P++
+N+
P
N
fig. 71 Realizzazione del diodo d’estrazione
1) La base del transistor d’estrazione è formata separatamente con una deposizione di
boro ++P ;
2) In tal modo la giunzione B – E è estremamente sottile ( )mμ2≤ ;
3) La base è molto profonda e drogata.
emettitore standard
emettitore Te
base standardbase Te
C
108642
+P
P++
+
m
N
fig. 72 Profilo delle concentrazioni del diodo d’estrazione
103
Driver e finale sono realizzati allo stesso modo. All’interno della base del transistor finale
realizziamo una base molto più drogata ++P ed infine un emettitore realizzando cosi un
transistor NPN +++ .
Il collettore è in comune a tutti e tre i transistor, l’emettitore di eT è collegato alla base del
driver, infine la base del finale è collegata all’emettitore del driver.
eT si realizza con una base molto drogata, perché deve avere un guadagno molto più
piccolo dell’unità. L’unico modo per far sì che un transistor si avvicini ad un diodo è
quello di farlo guadagnare molto poco (circa 10001 per essere efficiente).
Si veda, adesso, il perché del basso guadagno dal punto di vista circuitale. La struttura
quella della figura seguente:
IB3
IB2
T3
R1
R2
T2
T1
fig. 73 Dimensionamento del diodo d’estrazione
dove:
=2BI corrente estratta dalla base del Darlington;
=3BI corrente estratta dalla base del finale del diodo.
Il guadagno del transistor 3T ( )eT è dato da:
104
3
23
3
23 β
β BB
B
B IIII
≅⇒≅ (9.8.1)
Si nota che affinché 3BI sia molto grande il guadagno deve essere estremamente piccolo.
Infatti, se 1<<β si ha un aumento della corrente d’estrazione e la 0CEV di 3T sarà uguale
alla 0BEV di 2T .
Più piccolo è il guadagno più facilmente si riesce ad estrarre le cariche dalla base.
Per avere un ordine di grandezza un Darlington senza diodo d’estrazione ha un tempo di
spegnimento di circa 65 − sμ , l’unico per renderlo veloce è, in teoria, quello di abbassare
il tempo limite in modo da far ricombinare più velocemente le cariche.
Se, invece, si utilizzano dei diodi d’estrazione si ottengono dei Darlington con tempi di
spegnimento anche più bassi.
105
10. POWER MOS
10.1 Introduzione
I Power Mos hanno dei grossi vantaggi rispetto ai bipolari:
1) Il pilotaggio di questi dispositivi non è in corrente ma in tensione. Questa è una
caratteristica importante in quanto si riescono ad ottenere elevate intensità di corrente;
2) La conduzione dei dispositivi avviene per cariche maggioritarie il che elimina il
problema della R.S.I. ;
3) Mentre nei dispositivi bipolari esiste un feedback positivo tra temperatura e corrente,
nei dispositivi Mos avviene esattamente il contrario, cioè un aumento della
temperatura fa diminuire la portata in corrente (feedback negativo che tende a
stabilizzare il dispositivo);
4) Un altro punto molto importante è che il PMos è un dispositivo a due livelli di
metallizzazione, cioè si ha la possibilità di realizzare la metallizzazione dei source
(equivalente dell’emettitore) in modo molto più uniforme rispetto a quella di un
emettitore.
10.2 Tecnologie dei Mos
Si sviluppano in avanti i metodi costruttivi dei Power Mos.
1) Si parte dalla solita fetta di silicio drogata di tipo +N e si fa crescere per via
epitassiale, cosi come per i bipolari, l’equivalente del collettore, cioè uno strato di tipo −N ossia il drain del PMos;
2) A questo punto sulla superficie del drain è cresciuto un ossido dello spessore di 1 mμ ,
indi si aprono delle finestre ed attraverso queste s’impianta del boro ad alta dose,
creando cosi una giunzione −+ NP ;
3) Successivamente viene eliminato questo ossido e si fa crescere, su tutta la superficie
del silicio, un ossido sottile che è una parte vitale del dispositivo, questo è l’ossido di
gate del dispositivo;
4) Su questo ossido sottile è depositato un silicio policristallino detto polisilicio (tipo
amorfo, resistività molto ridotta);
5) A questo punto si fa un’altra fototecnica la cui caratteristica è che la larghezza di
questa finestra è più grande rispetto a quella aperta in precedenza. Si fa allora un altro
impianto di boro con dose ancora più bassa rispetto al caso precedente. Tale giunzione
sarà caratterizzata da due profili uno a basso ed uno ad alto drogaggio ( +P e −P );
106
6) Indi si diffondono ancora queste specie con un processo tecnico ad alta temperatura.
Quando diffondiamo il dispositivo, ci si trova in una situazione in cui si è creata una
giunzione del tipo ( )PN , con una forma particolare. Si è cosi creato il body del PMos;
7) Bisogna dunque realizzare il source del PMos. Si opera un’altra fototecnica: si crea in
una zona centrale di questa sacca una mascheratura e quindi delle finestre;
8) Dall’alto si fa un impianto d’arsenico di tipo N con dose molto alta, formando cosi
delle sacche in superficie di tipo +N . Il secondo impianto di boro e l’impianto
d’arsenico sono stati realizzati con la stessa mascheratura, questo significa che la linea
che serve per delimitare la zona in cui impiantiamo, da quella in cui non impiantiamo è
la stessa sia per quanto riguarda il −P sia per quanto riguarda il source (struttura
autoallineata). La zona −P è stata portata sotto perché prima era stata piantata in
superficie, ma quando diffonde in verticale diffonde anche in lateralmente. Pertanto
questo −P che è stato impiantato a filo con il silicio per la diffusione laterale va sotto
l’ossido di gate e sotto il polisilicio. A questo punto si elimina quel pezzettino d’ossido
che è servito per evitare che il source avesse continuità e depositiamo su tutta la
superficie un isolante detto P – VAPOX (si tratta di un ossido drogato che non è
cresciuto termicamente ma depositato su tutta la struttura);
9) Dopo di ciò si realizzano i contatti del dispositivo; viene aperta una finestra e
successivamente si mette una metallizzazione, evaporando dappertutto dell’alluminio
che serve per contattare il source del PMos. Si osserva che il source è cortocircuitato
con il body. A questo punto, almeno concettualmente, si è realizzato il dispositivo;
infatti dalla parte inferiore si prende il drain, dalla parte superiore si ricava il source,
per quanto riguarda il gate uscirà un punto del body in cui si pescherà proprio il gate.
10.3 Principio di funzionamento
Si supponga d’applicare un potenziale positivo al drain del dispositivo (substrato N );
all’interno del source, che è molto drogato e di tipo N , si ha una quantità molto elevata di
elettroni. Un elettrone che si trova in questa zona, quando si polarizza positivamente il
drain, tende a scendere verso quest’ultimo attratto dalla tensione positiva DSV ; nel suo
cammino, però, trova una giunzione PN e non ha energia sufficiente per oltrepassarla.
107
S
G
D
D
PP
N-
N+N+
+N
fig. 74 PMos
Si supponga adesso di polarizzare anche il gate del dispositivo (anche in questo caso
positivamente, 21− V ). Polarizzando positivamente il gate, vengono richiamate alla
superficie del silicio delle cariche negative.
Quando sono richiamati degli elettroni in superficie, la zona di tipo N si arricchisce e
diventa +N (più drogata). Si ha, quindi, una zona molto sottile, al di sotto del mμ , di tipo +N . Gli elettroni che sono richiamati in superficie in una zona di tipo P non fanno altro
che impoverire la superficie che da tipo P tende a diventare −P .
Ci sarà un valore di tensione, per esempio 5 V , per cui nel silicio di tipo P le
concentrazioni di elettroni e lacune iniziano ed essere paragonabili.
Ci saranno valori di tensione per cui la concentrazione d’elettroni sulla superficie supera
quella delle lacune, si dice allora che il materiale inverte (la zona di tipo P è diventata di
tipo N ), ovviamente questo accade in uno strato molto sottile ( 5,0≅ mμ ).
La tensione alla quale ciò avviene è detta tensione di soglia del dispositivo.
Superata la tensione di soglia, l’elettrone che dal source deve andare al drain, per obbedire
alla DSV , si trova davanti strati di tipo N passando tranquillamente. Cioè tutto il suo
percorso sino al substrato è di silicio di tipo N questo è molto importante perché ciò
108
significa che l’elettrone considerato si comporta da portatore maggioritario: è come un
elettrone che si muove in una resistenza.
È chiaro che aumentando il potenziale del gate aumenta anche il flusso di corrente che
passa nel canale, si può pertanto modulare la corrente che passa nel dispositivo.
Seguono le caratteristiche d’uscita del dispositivo:
ID
RON
vG
VDS
ID
fig. 75 Caratteristiche d’uscita del PMos
Esse sono completamente determinate da:
− Resistenza d’uscita:
MEPYJFACCICON RRRRRR ++++= (10.3.1)
− Portata in corrente:
( )2
2 TGOX
nD VVLWC
I −⋅⋅
= μ (10.3.2)
Le grandezze che determinano il comportamento in corrente sono:
1) Mobilità nμ ;
2) Tensioni di soglia TV ;
3) Capacità dell’ossido gate OXC ;
4) Lunghezza di canale L ;
109
5) Larghezza del canale W ;
All’interno del canale la concentrazione non è costante. Ciò significa che quando si
applica un potenziale al gate, si avranno delle zone a concentrazione più bassa che
s’invertono prima delle zone a concentrazione più alta.
La concentrazione che determina la soglia è quella più alta, in quanto la corrente passa
soltanto quando s’inverte il punto di massima concentrazione del canale, che determina la
tensione di soglia del dispositivo.
Si veda, adesso, di spiegare i motivi per i quali il source (che è costituito dalle sacche +N )
deve avere un vuoto (per quanto visto finora, il dispositivo PMos funziona allo stesso
modo anche se il source risulta continuo), e per quale motivo è stata inserita la sacca +P
visto che invece il cuore del funzionamento è la sacca −P .
Se si osserva attentamente la struttura del PMos, si vede che mentre si realizza il
dispositivo, nello stesso tempo è stato realizzato anche un transistor bipolare. Come si
nota, l’emettitore di tale transistor bipolare è collegato con il source, la base è
cortocircuitata, attraverso la metal, con il source, che a sua volta è cortocircuitato con il
body. Il collettore, invece, è cortocircuitato con il drain, da qui lo schema equivalente di
figura:
Al
P-VAPOXTHERMAL OXIDE
SOURCE
GATE POLISILICON
+
+
PP
N-
N+N+
+N
fig. 76 Componenti parassite nella struttura PMos
110
Se si osserva attentamente lo schema equivalente si capisce perché il source è stato fatto
con un vuoto e il perché è stata inserita la sacca +P .
Infatti la mancanza del source serve a cortocircuitare l’emettitore e la base di questo
transistor bipolare parassita che è venuto spontaneo, ma che non è desiderato in quanto si
è visto che i transistor bipolari hanno parecchi problemi (rottura secondaria diretta,
inversa, problemi d’alta iniezione che nei PMos non esistono).
Questo però non basta perché nei bipolari, in alcuni casi, anche mettendo dall’esterno un
cortocircuito tra emettitore e base, internamente possono esserci situazioni in cui, a causa
delle resistenze trasversali sotto l’emettitore, alcune zone sono polarizzate in diretta.
D
S
GG
S
D
fig. 77 Rappresentazione dei transistor parassiti
Per essere certi che ciò non avvenga nel PMos si realizza questa sacca +P allo scopo di
ridurre al minimo la resistenza che c’è sotto il source evitando cosi che in alcune
condizioni questo transistor possa innescarsi, pur essendo con la base e l’emettitore
cortocircuitati, procurando seri problemi.
Consideriamo il circuito equivalente di figura, dove PR è la resistenza intrinseca del
silicio sotto il source e C la capacità della giunzione body – drain:
111
C
VBE
RP
D
S
GCC
BB
E
RP+
-P
BODY +
DRAIN
PP
N-
E
fig. 78 Innesco del transistor parassita
Si ha la necessità, quindi, di diminuire la resistenza PR :
− Diminuzione della lunghezza del source;
− Diminuzione della SR sotto il source;
la corrente in tale circuito, si può esprimere nella forma:
dtdvCi =
Tale corrente può creare una c.d.t. data da:
dtdvCRiRV PP ⋅=⋅=
Questo significa che ci possono essere delle condizioni di dtdv che sono dettate
dall’equazione differenziale scritta in precedenza, al disopra delle quali ci possono essere
punti dell’emettitore polarizzati in diretta.
Infatti perché ciò avvenga basta che sia:
112
CRV
dtdv
P
BE
⋅> (10.3.3)
deve, pertanto, essere soddisfatta la condizione:
CRV
dtdv
P
BE
⋅< (10.3.4)
Questi alti valori di dtdv possono produrre una situazione in cui s’innesca il transistor
parassita ed il dispositivo PMos si rompe e fallisce, ma non perché la struttura del PMos è
debole ma soltanto perché all’interno s’innesca il transistor parassita.
Per migliorare questa situazione si realizzano, in genere, due accorgimenti:
1) I source sono realizzati quanto più corti possibile ( 43− mμ );
2) Si fa in modo che la resistenza PR sia quanto più bassa possibile (si deve quindi
drogare questo P in maniera molto alta).
10.4 Mobilità
Quando si studia il moto di un elettrone (lacuna) in un reticolo si associa ad esso una
massa efficace che non coincide con la massa effettiva della particella perché ingloba in se
l’effetto delle interazioni di questa con il reticolo e permette di considerare la particella
libera nella struttura cristallografica.
Se si indica con E il campo elettrico cui l’elettrone è soggetto e con cτ il tempo medio tra
due collisioni si può uguagliare l’impulso forza per tempo alla variazione della quantità di
moto:
vmEq ec ⋅=⋅⋅− τ (10.4.1)
Da quest’ultima:
Em
qv
e
c ⋅⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛ ⋅−=
τ posto
e
cn m
q τμ
⋅= (mobilità) segue:
Ev n ⋅−= μ (10.4.2)
113
Ciò che interessa capire è quale sia la dipendenza della mobilità dalla temperatura e dalla
concentrazione. A questo scopo si consideri che μ si può ottenere come:
111 −−− += ILn μμμ (10.4.3)
ove Lμ è il contributo dovuto all’interazione con il reticolo e Iμ è quello dovuto
all’interazione con le impurità, cioè con il drogante. Si hanno dipendenze del tipo:
23
25
−−⋅∝ TmLμ e 2
312
1
TNm II ⋅⋅∝ −−μ (10.4.4)
ovvero Lμ decresce con la temperatura mentre Iμ è crescente con T .
In generale esiste un range di temperatura in cui nμ cresce con T (predomina Iμ ) seguito
da un range nel quale nμ decresce con T . Tuttavia come evidenziato nella prima figura
della pagina successiva, per normali valori di concentrazione e temperatura non si risente
apprezzabilmente del primo range. Quindi nelle condizioni pratiche si può sempre
assumere che la mobilità sia decrescente con la temperatura (prima figura).
Per quanto riguarda, invece, la dipendenza dalla concentrazione di drogante basta
osservare che il contributo d’interazione con le impurità è crescente con la quantità IN .
Ne segue che la mobilità è sempre decrescente con la quantità di drogante (seconda
figura).
È interessante notare anche la dipendenza della mobilità dal valore del campo elettrico.
Dalla (10.4.2) sembrerebbe di poter assumere nμ indipendente da E e quindi v sempre
proporzionale al campo elettrico. In realtà ciò è vero solo entro certi intervalli di E poiché
superati i 32 − mV μ l’andamento della velocità tende ad assestarsi ad un certo valore
detto velocità di saturazione, ulteriori aumenti di E non contribuiscono più ad aumentare
la velocità di drift della particella (terza figura).
Altra informazione utile è quella riguardante gli effetti dell’orientamento cristallografico
sulla mobilità. Si ricorda infatti che la mobilità dipende dalla massa efficace della
particella che a sua volta è funzione delle interazioni con il reticolo; da ciò si deduce che
una dipendenza deve sussistere necessariamente.
114
In particolare si riscontra che:
( ) ( )111100 ee μμ > (10.4.5)
e ciò giustifica il perché del fatto che nella realizzazione dei PMos si sfrutti una fetta con
orientamento 100 e non 111 come nei bipolari; cosi facendo si agevola la mobilità dei
portatori maggioritari ai quali si affida la conduzione dei Mosfet a canale N .
10.5 Tensione di soglia
Per la tensione di soglia si può scrivere la seguente relazione:
OX
SB
OX
SSmsT C
QCQ
V ±⋅+−= ψφ 2 (10.5.1)
ove:
msφ è la differenza tra le funzioni di lavoro del metallo e del semiconduttore (si ricorda
che per un generico materiale la funzione di lavoro è definita come l’energia che è
necessario spendere per strappare l’elettrone più esterno e portarlo ad una distanza
infinita);
SSQ sono le cariche positive all’interfaccia ossido – semiconduttore o all’interno
dell’ossido. Le prime sono dovute al fatto che all’interfaccia inevitabilmente si
vengono creare dei legami con ossigeno non saturati; quelle interne sono invece
dovute alle inevitabili impurezze (es. sodio) che si vengono a trovare nel forno per la
crescita dell’ossido.
Bψ⋅2 è il potenziale di forte inversione ove invece Bψ è il potenziale d’inversione, cioè
il potenziale necessario per richiamare nel canale una quantità d’elettroni pari a quella
del drogante P preesistente in modo tale che il materiale da P passi ad N .
SQ carica richiamata in superficie dal campo elettrico.
L’espressione precedente può essere posta nella seguente forma equivalente:
OX
OX
iiOX
OX
SSmsT
XnNNKT
nN
qKTX
QV
εε
εφ ⋅⋅⋅⋅⋅±⋅+−= ln4ln2 (10.5.2)
115
da cui si vede che i parametri di processo che influenzano la TV sono:
=OXX spessore dell’ossido;
=N concentrazione del drogante nel canale.
Notiamo che la concentrazione nel canale non è costante ma come in figura:
N
N--
+
P+N
P
-NP
++N
fig. 79 Profilo concentrazione delle cariche nel canale
Visto che s’inverte per ultima la zona del canale ove la concentrazione è più alta, il valore
di N da sostituire nella precedente formula è quello di massima concentrazione nel canale
cioè quello che si ha nel punto del canale più prossimo al source.
Per quanto riguarda la dipendenza dalla temperatura di TV , l’unico termine fortemente
dipendente è:
iB n
Nq
KT ln=ψ
ove il termine in è da considerarsi anch’esso dipendente dalla temperatura in quanto:
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛−⋅= KT
E
VCi
g
NNn2 (10.5.3)
Si calcola dunque che:
116
⎥⎦
⎤⎢⎣
⎡ ⋅⋅+=
BOX
BT NqCdt
ddTdV
ψεψ 12 (10.5.4)
ove:
( ) ( )⎥⎦
⎤⎢⎣
⎡⋅
⋅
=±≅ t
qtE
Tdtd
BgB ψ
ψ2
01 (10.5.5)
Dalle formule precedenti si deduce che:
1) La tensione di soglia diminuisce sempre con la temperatura (perché diminuisce gE );
2) L’entità di tale variazione è modulata dalla concentrazione N del canale: tanto più alta
è la concentrazione e tanto più sensibile è la variazione di TV con T .
117
10.6 Dipendenza delle caratteristiche dalla tensione di gate
Nell’andamento delle caratteristiche di un PMos si possono distinguere due regioni:
1) Una per bassi valori di GV nella quale s’incontra una dipendenza quadratica di DI da
GV ;
2) Una per valori di GV superiori nella quale si registra una dipendenza di DI da TV di
tipo lineare.
Il primo caso corrisponde alle condizioni in cui il campo elettrico nel canale è
sufficientemente più basso del valore critico, quindi nμ può considerarsi costante.
In questa regione la dipendenza di DI da GV risponde alla ben nota formula:
( )2
2 TGSOXn
D VVL
WCI −⋅
⋅=μ
(10.6.1)
e quindi
( )TGOXnG
Dm VVC
LW
VIg −⋅⋅⋅=
∂∂
= μ (10.6.2)
La prima formula sembrerebbe assicurare un’indipendenza di DI da DSV .
Sperimentalmente si constata il contrario in quanto si registra un aumento di DI con DSV .
Ciò è dovuto ad un fenomeno analogo all’effetto Early del bipolare.
Reale
Teorico
VDS
ID
fig. 80 Differenze tra la caratteristica reale e teorica
118
Infatti, all’aumentare di DSV aumenta pure la tensione inversa che contropolarizza la
giunzione drain – body. Conseguentemente la relativa regione svuotata tende ad estendersi
rubando spazio al canale e riducendone quindi la lunghezza L effettiva (anche se
l’allargamento della zona svuotata nel body è ben più piccola di quello nel drain visto che
quest’ultimo è molto meno drogata). Visto che nella formula di DI il parametro L figura
al denominatore, all’aumentare di DSV si ha una riduzione di L e quindi un aumento di
DI . Si adotta infatti la formula corretta:
( ) ( )DSTGSOXn
D VVVL
WCI ⋅+⋅−⋅
⋅= λμ
12
2 (10.6.3)
ove λ è la modulazione del canale.
Nel secondo caso, se la tensione di gate sale oltre certi limiti di campo elettrico raggiunge
valori tali che la velocità satura al valore satv . Ad esempio, già con una tensione di 6 V di
GSV , con una soglia TV di 2 V ed un canale 2=L mμ , si ha un campo elettrico:
22
26=
−=
−=
LVV
E TGSm
Vμ
che è proprio il valore di E in corrispondenza del quale inizia a manifestarsi la
saturazione della velocità. Considerato che:
LVV
E TGS −= Ev n ⋅−= μ
e sostituendo nella formula precedente si ottengono, in questa regione, delle
caratteristiche:
( )TGSsatOX
D VVvWC
I −⋅⋅⋅
=2
(10.6.4)
da cui si nota che la dipendenza da GV non è più quadratica ma lineare.
119
Inoltre:
satOXm vCWg ⋅⋅=2
(10.6.5)
che non è più linearmente crescente con GV ma costante.
10.7 Dipendenza delle caratteristiche dalla temperatura
Per valutare la variazione della DI rispetto a T è analiticamente sufficiente derivare le
note espressioni rispetto alla temperatura:
zona a mobilità costante
( )2
2 TGSOXn
D VVL
WCI −⋅
⋅=μ
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛∂∂⋅
−−
∂∂
⋅=∂∂
TV
VVTI
TI T
TG
n
nD
D 21 μμ
(10.7.1)
zona a mobilità funzione del tempo
( )TGSsatOX
D VVvWC
I −⋅⋅⋅
=2
( ) ⎥⎦⎤
⎢⎣⎡
∂∂⋅−
∂∂
−⋅⋅
=∂∂
TVv
Tv
VVWC
TI T
satsat
TGOXD
2 (10.7.2)
Eguagliando a zero le (10.7.1) e (10.7.2) si trova il valore di GV in corrispondenza del
quale il gradiente di DI rispetto a T è nullo:
T
TV
VVn
Tn
TG
∂∂∂∂
+=μ
μ2 (10.7.3)
120
Tv
TV
vVV
sat
Tsat
TG
∂∂∂∂
+= (10.7.4)
Ciò che di fondamentale si può dedurre dalle precedenti formule è il fatto che la corrente
dipende dalla temperatura attraverso due grandezze:
− nμ mobilità (decresce con la temperatura);
− TV tensione di soglia (decrescente di 42 − CmV ° ).
La dipendenza dalla mobilità tenderebbe a far diminuire DI con T mentre la dipendenza
dalla TV gioca un ruolo esattamente opposto. Nella pratica il primo effetto prevale ad alti
valori di corrente mentre il secondo per bassi valori.
Si può asserire, allora, che quando la temperatura aumenta le caratteristiche a basso livello
si alzano e quelle d’alto livello si abbassano compattandosi. In ogni caso esiste un punto in
cui il gradiente è sempre nullo ed ivi non si registrano variazioni della corrente con la
temperatura:
25°C 100°C
VG
ID
100°C25°C
VDS
ID
fig. 81 Variazione della caratteristica con la temperatura
Questo duplice comportamento è facilmente giustificabile. Si supponga di essere a bassi
livelli di corrente, cioè con valori di GSV poco superiori a TV : es. 5,2=GSV V e 2=TV V .
Se in queste condizioni aumenta la temperatura, il conseguente decremento di TV
121
determina una consistente variazione relativa dell’overdrive TG VV − , se ad esempio TV
passa da 2 V a 5,1 V l’overdrive passa da 5,0 V a 1V , cioè raddoppia.
Conseguentemente la corrente quadruplica.
Viceversa se ci si trova ad alti livelli di corrente (es. 10=GSV V una variazione di 5,0 V
nella TV non gioca più percentualmente un ruolo determinante su TG VV − mentre ben più
significativo è l’effetto della risoluzione della mobilità che fa diminuire pure la corrente.
10.8 RDS(ON) dei PMos
Tutto quello che si è detto a proposito della portata in corrente dei PMos è un sofisma
perché nella pratica è cosi grande da non essere un fattore limitante; infatti, visto l’elevato
valore di DI , la zona in cui normalmente sono sfruttati i PMos è sempre quella di tipo
resistivo (primo tratto lineare della caratteristica). Da questo punto di vista si può
comprendere perché tutti gli studi sui PMos siano concentrati sulla possibilità di ridurre al
minimo la ( )ONDSR .
La ONR si può valutare sommando tutte le componenti resistive che i portatori (elettroni)
si trovano ad attraversare lungo il percorso che li porta dal source al drain.
Con riferimento alla figura seguente si può scrivere:
epyjfacccretrofronteON RRRRRRR +++++= (10.8.1)
ove:
fronteR ed retroR sono le resistenze delle metallizzazioni e dei punti relativi ai contatti di
source e di drain, del substrato.
cR è la resistenza incontrata dagli elettroni al passaggio nel canale.
accR è la resistenza incontrata dagli elettroni nel tratto percorso immediatamente all’uscita
del canale. Infatti, nella parte del drain più vicina all’ossido di gate si manifesta la
presenza di una zona dalle caratteristiche di un +N (cosi come il canale pur essendo
P si comporta da N ) che costituisce un percorso preferenziale per gli elettroni: la
accR è proprio la resistenza associata a questo tratto.
jfR è la resistenza di jfet dovuta al fatto che tra una cella ed una adiacente a causa della
zona svuotata della giunzione body – drain, si crea una regione strozzata simile ad un
jfet.
122
epyR è invece la resistenza offerta dallo strato −N epitassiale.
Si analizzano dettagliatamente i fattori più significativi:
cR : la resistenza di canale si può calcolare come una qualunque resistenza:
SlRc ρ=
che si può scrivere come:
( ) ( ) WL
VVX
WL
VVCWL
QR
TGSOXn
OX
TGSOXnNc ⋅
−⋅=⋅
−⋅=⋅
⋅=
εμμμ11 (10.8.2)
da cui si vede che la resistenza di canale è positivamente influenzata (cioè ridotta) da:
− Una riduzione dello spessore dell’ossido OXX ;
− Una riduzione della lunghezza di canale L ;
− Un aumento del perimetro di canale W ;
accR : questa componente può essere calcolata usando una formula perfettamente analoga a
patto di sostituire ad L la quantità 2d , ove per d si è indicata la distanza tra due celle:
2d
fig. 82 Distanza tra le celle
( ) WVV
XdR
TGSOXn
OXacc ⋅−⋅⋅
⋅=
εμ2 (10.8.3)
123
Quindi, ancora una volta si vede un benefico effetto da:
− Riduzione di OXX ;
− Aumento del perimetro del canale W ;
− Avvicinamento delle celle (riduzione di 2d ).
Riepilogando, le strade da percorrere per ridurre le componenti orizzontali della ONR sono
principalmente:
1) Aumento della densità di celle, che determina:
− Un aumento del perimetro del canale;
− Una riduzione della distanza d .
2) Utilizzo del processo scalato, che determina:
− Una diminuzione dello spessore dell’ossido;
− Una diminuzione della lunghezza di canale.
jfR : tuttavia va sottolineato che procedendo su questa strada si potrebbe compromettere la
componente di jfet che ha una dipendenza del tipo:
( )11 ,,, −−−= cjNjf WdXfR ρ (10.8.4)
Si vede dalla formula che la dipendenza da jX è favorita da processi più scalati (processo
scalato ⇒ canale più corto ⇒ giunzioni meno profonde), ma che le dipendenze da d e
cW sono negativamente influenzate dallo “scolamento” del processo.
epyR : infine, per quanto riguarda la resistenza dello strato epitassiale:
−− ⋅⋅= NNepy XAKR ρ (10.8.5)
L’influenza di questo contributo è molto diversa a seconda se si stanno considerando
dispositivi di bassa tensione o d’alta tensione. Va, infatti, considerato che i dispositivi
d’alta tensione, pur avendo la stessa struttura superficiale (stessa cR , accR ,…) sono
realizzati su un substrato ben diverso da quello dei dispositivi di bassa tensione, perché
ben più profondo e resistivo (proprio per tenere più tensione). Allora, come evidenziato
nelle figure seguenti, se nei dispositivi di bassa tensione i vari contributi alla ONR sono
124
tutti dello stesso ordine di grandezza, in quelli d’alta tensione la epyR è il contributo di
gran lunga più importante. Questo lascia intendere che, nel caso dei dispositivi L.V. esiste
un certo margine d’ottimizzazione, in quelli H.V. c’è ben poco da fare. Si giustifica quindi
il fatto che a fronte dei grandi progressi recentemente ottenuti sui L.V. non è stato
possibile fare altrettanto con gli H.V..
10.9 Commutazione nei PMos
Si è già osservato che essendo i PMos dispositivi a portatori maggioritari, non sono sede di
accumulo di portatori minoritari come nei BJT e che quindi le commutazioni dei PMos si
risolvono in semplici cariche e scariche di capacità. Nella figura successiva si descrive tale
modello capacitivo.
11C è la capacità tra il gate e la metal di source attraverso l’ossido spesso P – VAPOX;
31C è la capacità tra gate e la superficie associata allo strato d’ossido sottile che li separa e
si pone in serie alla capacità 32C variabile associata alla zona svuotata tra le due celle;
21C è la capacità tra gate e body associata allo strato d’ossido sottile e si pone in serie alla
22C variabile che rappresenta la capacità associata al canale;
6C variabile è la capacità relativa alla regione svuotata della giunzione body – drain;
infine 12C è la capacità dovuta all’overlap tra gate e source. Il circuito equivalente è quello
della figura seguente:
C31
C32
C6
C22
C21C12C11
G
S
D
fig. 83 Circuito equivalente del PMos con capacità esplicitate
125
Si ha dunque:
⎪⎩
⎪⎨
⎧
=
=
++=
6
3231
22211211
CC
CCC
CCCCC
ds
gd
gs
(10.9.1)
Si può far riferimento alla seguente terna di capacità:
⎪⎩
⎪⎨
⎧
+=
=
+=
gddsoss
gdrss
gdgsiss
CCC
CC
CCC
(10.9.2)
Nella figura seguente sono illustrati schematicamente gli andamenti delle tensioni e delle
correnti per una commutazione OFF – ON su carico induttivo.
3 65421 VDS(ON)
ID
ID(ON)
VDS
t
t
VG
VT
fig. 84 Tensione e corrente in un commutazione su carico induttivo
Si osserva che nel tratto 21− , dal momento in cui GV inizia a salire a quello in cui
raggiunge la soglia, il dispositivo rimane spento perché il canale non è ancora formato.
Nel tratto 32 − quando GV raggiunge e supera TV , la DI inizia a crescere fino a
126
raggiungere il suo valore massimo mentre ancora DSV non ha subito alcuna variazione.
Nel punto 3 ci si trova in una condizione in cui contemporaneamente il dispositivo è
sottoposto alla massima tensione ed alla massima corrente. Nel tratto 53− , solo dopo che
la DI ha raggiunto il valore desiderato la DSV inizia a decrescere a GV costante. Si
evidenziano due tratti nel secondo dei quali la pendenza di DSV subisce una brusca
riduzione. Dal punto 5 in poi la GV ricomincerà a crescere fino al valore massimo e la
DSV si arresterà al valore minimo imposto dalla ONR .
Considerato che il tratto 32 − è percorso a tensione costante e che da 3 in poi si procede a
corrente costante, il percorso seguito in accensione sul piano delle caratteristiche è il
seguente:
ON
OFF
65 4
3
2
1 VDS
D
fig. 85 Percorso seguito in fase d’accensione
Si definisce gate charge la carica che è necessario fornire al gate per far commutare il
dispositivo. Per vedere quali contributi compongono la gate charge si fa riferimento a
diagramma seguente che illustra l’andamento della GV in funzione della carica di gate:
127
0
5
10 V
Vgm
5040302010
Vg(V)
fig. 86 Andamento della GV in funzione della carica di gate
128
11. IGBT
11.1 Introduzione
I transistor bipolari hanno il vantaggio di avere una bassa resistenza d’uscita alle alte
tensioni in quanto il cuore del funzionamento è l’alta iniezione di portatori nel collettore
che fa abbassare la resistività dello strato, per cui la resistenza d’uscita non dipende da
essa ma dalla resistività globale.
Lo svantaggio è quello che un transistor bipolare deve essere pilotato in corrente, questo
comporta svantaggi per il pilotaggio e la circuiteria ad esso associata.
Un altro svantaggio importantissimo è l’esistenza di fenomeni di rottura secondaria
durante le commutazioni.
Invece un transistor Mos ha il vantaggio di essere pilotato in tensione e quindi grande
semplicità per il circuito di pilotaggio, ha assenza di rottura secondaria e anche bassissimi
tempi di commutazione. Infatti, non essendoci portatori minoritari, i tempi di
commutazione di un PMos dipendono dal tempo necessario a caricare e scaricare le
capacità che la struttura ha internamente (e che sono molto piccole).
Lo svantaggio è quello di avere alte resistenze d’uscita nel campo delle alte tensioni.
11.2 Struttura dell’IGBT
La cella elementare di questo dispositivo, almeno come struttura verticale, è uguale a
quella di un PMos. La novità è che il substrato è differente in quanto è di tipo +P , la
differenza quindi, da un punto di vista della struttura, tra un PMos e un IGBT è che il drain
di quest’ultimo è di tipo P , cioè c’è una giunzione NP − che nel primo caso è
inesistente.
11.3 Funzionamento dell’IGBT
Il fatto stesso che è stato aggiunto lo strato P significa che nella struttura è stato creato
un transistor bipolare parassita nuovo, che è un +−+ PNP che non esisteva nel PMos e che
ora figura nel circuito equivalente.
Il transistor NPN è invece quello parassita del PMos.
Questi due transistor in questa configurazione rappresentano un tiristore che è una
struttura degenerativa, nel senso che è sufficiente un piccolo impulso per innescare una
reazione positiva che serve a portare il tiristore nella condizione d’essere attraversato da
una corrente che diverge sempre di più.
129
Si supponga di essere allo stato ON, cioè al gate, come nel PMos, è applicata una tensione
positiva maggiore di quella di soglia, anche al drain (o al collettore, usando la nuova
terminologia) è applicata una tensione positiva, per cui il diodo −+ NP è polarizzato in
diretta in quanto nella zona P vi è un potenziale positivo.
Questo significa che un flusso molto grande di lacune provenienti dal drain ( )+P invade la
zona ( )−N , si ha quindi una forte iniezione di lacune che da +P vanno verso −N che non
fa altro che modulare la conducibilità della zona −N con drastica riduzione della
resistività (fenomeno alta iniezione). Quindi la resistenza d’uscita, improvvisamente,
invece di essere alta, risulta essere molto bassa, perché i portatori non vedono più la
resistenza del diodo.
Quando invece il dispositivo è nello stato OFF la tensione di gate è zero e il PMos non da
corrente alla base di 2Q che quindi è spento. Allora tutta la tensione è sostenuta dal diodo
body – drain (come nel PMos).
Invece il diodo −+ NP non è in diretta, questo strato −N ha la resistività per la quale è
stato progettato e può sopportare la tensione che gli viene fornita.
Ovviamente ci sono una serie di problemi:
1) Esistenza di un tiristore parassita;
2) Tutte le lacune che sono iniettate durante la fase ON nella base −N del PNP durante
lo spegnimento non passano dalla base del bipolare, ma si devono smaltire facendole
ricombinare più velocemente possibile.
Si cerca, adesso, di capire come funziona: nello schema equivalente si possono trascurare,
ai fini del funzionamento, l’esistenza del NPN parassita (del resto si vuole che questo non
inneschi, perché può danneggiare il PMos).
Quindi, quando il dispositivo è nella fase ON si può semplificare in un PMos e un PNP .
Supponendo di polarizzare in diretta il dispositivo, cioè sul gate c’è un potenziale positivo
come del resto sul drain, ci sarà allora una corrente data da:
( ) ( )hIhII BCDS += (11.3.1)
essa è la corrente totale del dispositivo che in parte sarà una corrente d’emettitore del
PNP , in parte una corrente di collettore ed in parte una corrente di base, ma quest’ultima
coincide con la corrente di drain del Mos.
130
P+
N
-N
P
+N
ImosIB
IC
IDS stato ON
S
G
Q2
IB
IDS
IC
(source = body = collettore PNP)
( base PNP)
(emettitore PNP = drain Mos)
Q2
XEPY
+P
N
N -
P
N+
fig. 87 Flusso di correnti all’interno dell’IGBT
DSI corrente totale (lacune iniettate dal substrato);
( )hIC corrente di lacune raccolte dal collettore del PNP ;
( )hI B corrente di base del PNP (lacune);
( )eI mos corrente di elettroni del canale Mos.
Si veda, adesso, cosa succede ai portatori: si è detto che la giunzione E – B del transistor
PNP è polarizzata in diretta, vi è pertanto un flusso di lacune che dall’emettitore va verso
la base e tenta di raggiungere il collettore.
Ci saranno alcune lacune, che hanno un tempo di vita sufficientemente alto, che riescono
ad attraversare la base e raggiungono il collettore; queste rappresentano la corrente di
collettore.
C’è poi una parte di corrente di lacune che invece non riesce a raggiungere il collettore che
è quella che determina la corrente di base. Nello stesso tempo sul gate esiste un potenziale
positivo, il PMos funziona, quindi c’è un flusso d’elettroni che attraversa il source passa il
canale e tende ad arrivare verso il drain.
CI è la corrente di lacune raccolte dal collettore, BI è la corrente di base, infine mosI è la
corrente di elettroni che scende dal canale.
La corrente del Mos è uguale alla corrente di base, cioè:
131
( ) ( )hIeI Bmos = (11.3.2)
la corrente d’emettitore è quella di collettore più quella di base, per cui il guadagno risulta:
( )( )hIhI
B
CPNP =β (11.3.3)
e quindi:
[ ]PNPmosDS II β+= 1 (11.3.4)
Essendo:
PNPPNP α
β−
=1
1
Si può esprimere la corrente dell’IGBT in funzione di α :
( )( ) PNP
mosDS
DS
CPNP
II
LXIhI
αα
−=⇒≅=
1cosh1 (11.3.5)
o anche:
( )( ) ( )2
21coshcosh
TGOXnIC
DS VVCL
WLX
LXI −⋅⋅⋅
⋅⎥⎦
⎤⎢⎣
⎡−
= μ (11.3.6)
dove:
W è il perimetro di canale; ICL è la lunghezza effettiva di canale.
Nell’espressione di PNPα figurano altre due grandezze una è X spessore della base e
l’altra è L data da:
PPDL τ⋅=
che rappresenta la lunghezza di diffusione lacune in base.
132
La zona di svuotamento dipende dalla concentrazione e dalla DSV applicata, questo vuol
dire che il guadagno del transistor PNP è una funzione molto forte della tensione che
stiamo applicando.
Quindi, se si applica una DSV sempre più alta, visto che la zona svuotata aumenta, si
riduce la base effettiva del PNP , aumenta β ed aumenta la portata in corrente del
dispositivo.
Allo stato OFF in queste condizioni il circuito equivalente non è più quello di prima, ma
bisogna considerare che l’ NPN può innescare.
Pertanto si vengono a trovare due transistor in una configurazione molto strana.
Se si suppone che sulla base di uno dei due transistor ci sia un qualunque impulso (si
supponga positivo) che può essere la corrente entrante, trattandosi di un NPN , questa può
fare accendere il dispositivo. Se ciò accade si ha una corrente si collettore che ha il verso
in figura ( )1I , che comporta una corrente di base uscente dal PNP che lo fa accendere e
quindi si avrà una corrente di collettore ( )2I che è una corrente di base entrante per
l’ NPN .
Questo crea un feedback positivo e basta un qualunque impulso, anche piccolo sulla base
su uno dei due transistor per fare in modo che la corrente diverga, teoricamente,
all’infinito. Si dice, allora, che il tiristore innesca con una c.d.t. molto bassa ed una portata
di corrente elevatissima.
stato OFF
G
+ -I1
IK
NPN IKPNP IA
Ibase
A
I2
IL
N-
-
P+
-N
P
IA
IK
N-
fig. 88 Flusso di correnti all’interno dell’IGBT
133
Se si vuole vedere il tutto da un punto di vista del flusso di corrente, il funzionamento è
molto semplice: si ha una corrente AI che raggiunge il collettore del PNP tramite un suo
fattore di trasporto PNPα , lo stesso dicasi per gli elettroni; ci sarà infatti una corrente KI
nel collettore dello NPN che sarà KNPN I⋅α , a questo punto la corrente totale del
dispositivo sarà data dalla somma delle due correnti:
LKNPNAPNPA IIII +⋅+⋅= αα GAK III += (11.3.7)
Bisogna tener conto che è anche presente una corrente di leakage e pertanto si può ricavare
la AI come:
( )NPNPNP
LGNPNA
III
ααα
+−+⋅
=1
(11.3.8)
In tale espressione è presente al denominatore la somma di due α dei transistor
( )PNPNPN αα , ; quando:
∞→⇒=+ APNPNPN I1αα
la corrente diverge ad infinito e si ha l’innesco del tiristore, in questo caso del tiristore
parassita.
È evidente che tale effetto non è desiderato nell’IGBT, quindi bisogna cercare di ridurre o
meglio fare in modo che la somma dei due α sia minore dell’unità.
Per quanto riguarda NPNα non si hanno problemi, in quanto è possibile ridurlo al valore
più basso possibile.
Per quel che riguarda il PNP bisogna trovare il giusto compromesso (nell’abbassare il
guadagno) per non aumentare la resistenza d’uscita.
Mentre le caratteristiche di un PMos ad alta tensione sono del tipo in figura, per quanto
riguarda l’IGBT le caratteristiche salgono nel modo descritto; se si guardano in dettaglio si
può fare una considerazione: sul substrato del dispositivo c’è un diodo −+ NP .
134
IGBT
(riduzione 2
1
VDS
ID
0,6
ID
VDS
RON
PMOS
fig. 89 Caratteristica dell’IGBT
Questa giunzione inizia ad iniettare lacune quando la sua tensione è circa superiore a
6,0 V ; pertanto, se si polarizza l’IGBT con una tensione inferiore a tale soglia, il diodo
non sta funzionando, cioè nel dispositivo non sta circolando una corrente significativa.
Ovviamente se si abbassa il guadagno del transistor PNP , la pendenza inizia ad
aumentare, infatti abbassando il guadagno diminuisce l’iniezione di questi portatori, il
fenomeno della modulazione della conducibilità esiste ancora ma è meno marcato.
Si vede in seguito qualche tecnica per abbassare il guadagno dei due transistor:
un modo per controllare il guadagno del PNP consiste nell’introdurre uno strato
intermedio, cioè invece di realizzare un substrato +P ed uno strato −N , s’introduce uno
strato di drogaggio maggiore rispetto a quello della base ( )−N di spessore abbastanza
piccolo (circa 10 mμ ) che serve a controllare il guadagno del PNP ad evitare che questo
sia molto alto, in quanto se si verificasse ciò s’innescherebbe il tiristore parassita.
Un altro modo per controllare il guadagno del PNP è quello d’introdurre all’interno di
questa struttura dei centri di ricombinazione appropriati in modo da controllare il tempo di
vita, perché se questo si abbassa il guadagno diminuisce.
Per quanto riguarda NPN , invece, si usano tutte le tecniche che si utilizzano nei PMos per
abbassare il guadagno: si cercherà di ridurre al minimo la resistenza sotto il source
135
drogando la sacca +P con una dose maggiore di quella dei PMos, inoltre si utilizza sempre
la tecnica della riduzione del tempo di vita per controllare anche il guadagno dell’ NPN .
11.4 Funzionamento del tiristore
Il tiristore può essere rappresentato come nella seguente figura: a volte, vista la
somiglianza, è anche chiamato diodo controllato ed ha un gate attraverso il quale è
possibile dare un impulso per farlo passare dallo stato di blocco a quello di conduzione:
-+vAK
iA
iG
gate
catodo
P
P
N
N
C
G
A
iA
iK
J1
J3
J2
fig. 90 Tiristore
quando polarizziamo direttamente il tiristore, quindi si applica una tensione positiva tra
anodo e catodo, le giunzioni 1J e 3J sono polarizzate in diretta, mentre la 2J è in inversa.
In tale condizione, si osserva che nello stato di polarizzazione diretta si ha una piccola
corrente di dispersione che non permette al tiristore di andare nello stato ON e se si
continua a dare tensione positiva crescente si arriva ad una tensione BOV che consente
l’innesco del dispositivo.
Quindi, oltre che con un impulso in corrente sul gate si può innescare il dispositivo anche
con elevate tensioni AKv .
Se invece, durante l’applicazione della 0>AKv che è una delle due condizioni, si da anche
un impulso di corrente sul gate ( 1GI , 2GI oppure 3GI ) allora il tiristore innesca e va nella
zona (indicata con ZONA) che rappresenta il minimo della corrente GI che il tiristore
deve far passare perché possa restare nello stato ON.
È quindi un dispositivo che, se idealizzato, ha una caratteristica formata da tre semirette
che partono dall’origine.
136
iG1 > iG2 > iG3 > 0stato di blocco
A
stato di conduzioneB
Cpolar. inversa
caratteristica ideale
vAK
iA
IG2IG1
IG3
TENSIONE DI BREAKDOWN INVERSA VRWM
IBC
IH
VH
ZONA
TENSIONE DI BREAKDOWN DIRETTA
VBO
vAK
iA
fig. 91 IGBT idealizzato
Una ( )A va da zero verso la tensione positiva che rappresenta lo stato di blocco, una va da
zero verso l’alto e rappresenta lo stato di conduzione ( )B e una nella regione di
polarizzazione inversa ( )C .
La tensione HV e la corrente HI rappresentano quelle ipotetiche o reali V e I minime
che il tiristore deve sopportare perché esso possa restare nello stato ON.
Se il carico esterno, una volta che si è in conduzione, diminuisce sotto questi valori, il
tiristore non riesce più a tornare nello stato ON.
Se si polarizza inversamente il tiristore, si ha la caratteristica inversa e raggiunto un valore
di tensione RWMV si ha un breakdown distruttivo perché s’innesca un processo che porta
alla conduzione, ma anche alla distruzione dello stesso.
In genere i tiristori sono costruiti in modo tale che la RWMV e la BOV siano dello stesso
ordine di grandezza o molto vicini.
Per spiegare il funzionamento del tiristore, si usa talvolta il modello a due transistor che è
valido a basse frequenze, ma da una interpretazione qualitativa più che quantitativa del
funzionamento del dispositivo.
Se si taglia, idealmente, la struttura a quattro strati, s’individuano i due transistor 1Q
( )PNP e 2Q ( )NPN che sono fra loro collegati.
137
K
IB2
Q1
Q2
2
1
IA
A
IB1 = IC2
IC1
G IG
IK
IG J3
J2J2
J1
N
N
P
iK
iA
A
G
C
N
P
P
fig. 92 Schema fisico dell’IGBT
Si nota che 21 CB II = , mentre la corrente 1CI va a finire nella base di 2Q . Quindi si può
innescare un meccanismo di reazione positiva per cui il tiristore, dato un impulso, si
autoavvia e si mantiene nello stato ON.
Questa condizione porta alla seguente relazione per AI :
( )21
02012
1 ααα
+−++⋅
= CBCBGA
IIII (11.4.1)
che vede il coefficiente di retroazione ( )[ ]211 αα +− al denominatore, quindi tanto più
( )21 αα + si avvicina ad uno, tanto più la corrente AI cresce diventando elevata.
Si vede, adesso, cosa può causare l’accensione o il Turn ON del tiristore.
Può essere causato da un aumento di temperatura, questo fatto può innescare il tiristore,
ma tra tutte le possibilità è quella da evitare perché vuol dire far crescere progressivamente
la corrente che distruggerebbe il tiristore; non è quindi un metodo utile, ma semmai
rappresenta un difetto possibile del tiristore e quindi bisogna cautelarsi per esempio nel
caso di elementi connessi tra loro in serie o in parallelo e fare in modo che abbiano la
stessa temperatura in modo tale che non si abbiano squilibri fra l’uno e l’altro.
138
Il tiristore può essere attivato anche da un fascio luminoso incidente all’interno della fetta
o wafer e questa, viceversa, è una possibilità che viene utilizzata; esistono infatti dei
tiristore attivati mediante un diodo led emettitore e un tiristore che ha ricevuto l’impulso
entra in conduzione.
Possono essere innescati anche da una tensione maggiore di quella vista in precedenza:
anche questa non conviene sfruttarla perché in tal modo non è garantita l’accensione ed il
mantenimento del dispositivo in vita; può essere un’accensione che da luogo alla
distruzione.
Il tiristore può essere acceso anche mediante elevati gradienti di tensione fra A e K .
L’ultima causa d’innesco che viene utilizzata (oltre al metodo mediante diodo led) è quella
mediante impulso di corrente nel gate.
Scartando il primo metodo d’accensione del dispositivo, perché la reazione può essere
distribuita e considerando che il secondo metodo è utilizzato con tiristore adoperati nella
trasmissione in continua ed alta tensione, è necessario avere una separazione tra il circuito
di controllo ed il circuito che sta nel convertitore vero e proprio in quanto si è a livelli di
tensione molto elevati.
Il quarto metodo, si può dire che il tiristore innesca per l’elevato valore di corrente che
scorre attraverso le capacità parassite delle giunzioni.
Si riportano le capacità nello schema seguente nel quale si nota che nello stato diretto di
blocco ciò che non consente l’attivazione del tiristore è la giunzione 2J sicché se si
presenta ai capi A e B una tensione elevata si può avere l’innesco perché dato che:
( )dt
dVC
dtdC
Vdt
VCddt
dqi J
JJ
JJJS
J2
22
2222
2 ⋅+⋅=⋅
== (11.4.2)
si nota che (supponendo variabili sia la tensione 2JV che la capacità 2JC ) 2Ji dipende
appunto dalle derivate di 2JC e di 2JV . Quindi la corrente 2Ji è elevata, se è elevata la
dtdVJ 2 , attraversa il corpo del transistor e quindi attiva la conduzione:
139
CJ3
CJ2
CJ1
K
VJ2
A
G
A
B
fig. 93 Capacità parassite nel tiristore
Il turn ON dunque:
1) Causato da un aumento di temperatura;
2) Attivato da un fascio luminoso incidente nel wafer;
3) Per tensione maggiore di BOV (tensione di breakdown);
4) Per elevato dtdv tra anodo e catodo;
5) Per impulso di corrente sul gate.
1) Da evitare perché innesca una reazione positiva distruttiva;
2) Usato nei tiristore attivati da fascio luminoso;
3) Da evitare perché può dar luogo a innesco distruttivo;
4) Causato dalla presenza delle capacità parassite di giunzione.
I costruttori forniscono nei datasheet anche il valore massimo del gradiente dtdv che può
essere applicato al dispositivo.
11.5 Commutazione dell’IGBT
Nella commutazione degli IGBT i tempi più importanti sono quelli di spegnimento a causa
di una dinamica di portatori che di seguito si descriverà. Si è già osservato che durante la
fase ON la corrente di un IGBT si compone di due parti: una è quella di portatori
maggioritari (elettroni) costituenti la corrente di drain del Mosfet, ovvero la corrente di
140
base del BJT; l’altra è quella di portatori minoritari (lacune) che iniettati nell’ −N dal +P
raggiungono il body.
Quando la tensione di gate è portata a livello basso per spegnere il dispositivo, la corrente
relativa al Mos si annulla subito (cosi come è tipico delle rapide commutazioni del Mos)
mentre tutte le cariche minoritarie nella base del PNP rimangono “intrappolate” (non
possono essere estratte dal gate perché isolato) determinando una coda di corrente fino a
quando non pervengono tutte a ricombinazione.
Ciò detto si possono comprendere facilmente le seguenti forme d’onda relative alla
corrente di spegnimento:
A
p
Imos
21
I1
I0
t
ID
fig. 94 Forma d’onda relativa alla corrente di spegnimento dell’IGBT
Il tratto 1 è caratterizzato da una ripidissima decrescenza e corrisponde alla fase
d’annullamento della componente di corrente che attraversa il Mosfet. Quindi:
mosIII =− 10 (11.5.1)
e siccome:
mosPNP I
I1=β (11.5.2)
si ha:
141
001 1III PNP
PNP
PNP ⋅=⋅+
= αβ
β (11.5.3)
Il tratto 2 , invece, è caratterizzato da una coda ben più lenta durante la quale si ha una
ricombinazione dei portatori minoritari nella base del PNP . In questa fase la corrente
decresce in modo approssimativamente esponenziale:
( ) ⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛−
= PItI τ1
1 (11.5.4)
dove pτ è il tempo di vita medio delle lacune nella base del PNP .
Le formule appena ottenute danno un chiaro indirizzo di quale sia la strada da seguire cioè
ridurre il tempo di vita pτ . Infatti, ciò influisce positivamente sulle caratteristiche
dinamiche per due vie:
1) Determina una coda esponenziale più ripida come si deduce dalla (11.5.4);
2) Determina un punto A più basso perché si riduce la 1I : infatti, diminuendo pτ si
riduce pure PNPβ e quindi la predetta corrente come si evidenzia dalla (11.5.3).
Ambedue gli effetti sono visibili nella figura seguente:
p = 400 ns
I1I
II
p = 850 ns
I1
I0
t
D
fig. 95 Diminuzione esponenziale della corrente 1I
A questo punto però è fondamentale sottolineare come la riduzione del tempo di vita non
può essere illimitata in quanto va cercata come giusto compromesso tra le varie esigenze.
142
Infatti una diminuzione di pτ produce:
vantaggi:
1) Una riduzione del fallt ;
2) Una riduzione della probabilità d’innesco del tiristore parassita.
Ma anche una riduzione di PNPβ e quindi:
svantaggi:
1) Un aumento della ( )ONDSV e della ONR ;
2) Una riduzione della portata in corrente.
Si sottolinea in definitiva che il tempo di vita va dimensionato per ogni particolare
applicazione che il dispositivo è chiamato a compiere. In particolare si distinguono due
classi d’IGBT.
Una prima classe è quella dei dispositivi usati per accensioni elettroniche; si tratta
chiaramente di dispositivi per i quali la velocità non è una caratteristica essenziale perché
funzionano a frequenze di pochi Hz e che invece devono avere una CEsatV piccola per
usare al meglio la tensione fornita dalle batterie. In questo primo caso non si adopera
alcuna contromisura per ridurre pτ e dunque si ottengono dispositivi molto lenti ( fallt di
alcuni sμ ) ma con CEsatV molto piccole.
La seconda classe è invece quella dei dispositivi per alta frequenza per i quali la riduzione
del pτ si rende obbligatoria al fine di ridurre al minimo i tempi di commutazione al prezzo
di un incremento della CEsatV .
I metodi per la riduzione del pτ sono essenzialmente due e sono ambedue tesi alla
creazione di un congruo numero di centri di ricombinazione ausiliari nella base del PNP .