Fiandre
J A N V A N ESSEN
Queste brevi note su alcuni maestri dell'insediamento fiammingo hanno inizio con uno degli autori-ponte con l'Olanda. Nato nel penult imo decennio del X V I secolo, Jan van Essen è documentato come apprendista nella bottega di Simone Haeck, come maestro nel 1609 per poi trasferirisi a Amsterdam, dove nel 1619 è registrato i l suo matrimonio.
Ci troviamo davanti allora, come ha segnalato in modo esemplare I . Bergst ròm (1956) al passaggio nel territorio olandese di un generista che, all'atto di inserirsi nella corrente degli anni dieci e venti in Olanda, soprattutto in contatto con la «tavola apparecchiata» di Gill is e di F. van Dijck, ha già acquisito i temi e i modi della «colazione» fiamminga di una Clara Peeters e di un Osias Beert i l vecchio.
E proprio quest'ultimo pittore, di pochi anni più giovane di Essen essendo nato nel
1580 e essendo divenuto maestro nel 1602, p u ò essere i l termine di riferimento più convincente per la produzione anversese del nostro. E da questo punto di vista esemplare indicare i l documento n. 93 attribuito a Essen da E. GreindI per trovare sicuri richiami al sistema «disseminato» con cui Beert organizzava gli clementi sul piano. Prima di «acquisire» la maniera olandese, nella sovrabbondanza e nell'accumulo dell'apparecchio di Haarlem, la maniera del pittore sembra privilegiare una riduzione dell'ampiezza del campo ritrattato, una definizione periferica degli elementi più fusa, una cromia più calda e omogenea rispetto all'ambiente.
Questi caratteri stilistici associati al forzato punto di vista e alla giacitura rigida che Essen denuncia nelle figure dei contenitori o dei singoli elementi disposti sul piano, a indicare ulteriormente una fase «arcaica» del genere, permettono allora, evidentemente in via indi-
195
93 - Jan van Essen, coli. priv.
ziaria, di attribuire alla mano del pittore i n una fase precedente l'esperienza olandese, la tavola ammantata di ridotte dimensioni (tav. 36) in cui tali caratteri sembrano ricorrere puntualmente.
I l soggetto illustrato nel d ipinto è comunque già conosciuto: Ferdinando Bologna (Roma 1983, tavv. 4-8) rendeva nota l'esisten
za di cinque d ip in t i aventi come soggetto d i verse colazioni, l 'u l t ima delle quali replicava con alcune limitate varianti derivate anche dal formato più orizzontale, i l tema dell'angolo di interno qui documetato. Ribadendone l'arcaicità e l 'origine fiamminga, lo studioso faceva riferimento al pittore Hans A n t o n i Francois, una cui «colazione", firmata e datata
196
tav. 36 - Jan van Essen, coli. priv.
1589 (Bergamo 1971, tav. 5) costituisce a tutt 'oggi uno degli incunaboli del genere nell'ambiente anversese.
L'ipotesi formulata da Bologna si presenta alquanto difficoltosa, anche per la diversità di dimensioni fra i documenti pit torici che vengono accostati: quel che è certo comunque è che le cinque tavolette, caratterizzate da una
naiveté che lo stesso studioso denuncia, sembrano essere una collezione affrettata di temi «fortunati» dell 'immaginario fiammingo: alcuni «luoghi comuni» di Osias Beert (le ostriche ma soprattutto i l carciofo tagliato e disposto sul piatto), di Clara Peeters ( i l gatto r i tratto a trequarti che irrompe sul pesce) e la già citata replica rispetto al dipinto di tav. 36
197
94 -Jan van Essen (attr.), ubic. ignota.
possono far inclinare il giudizio per un sintetico catalogo di soggetti fortunati. Anche se l'osservazione presente è purtroppo fatta sul solo materiale fotografico, le indicazioni sti l istiche dei due identici soggetti inclinano a leggere, a dispetto delle dimensioni simili , una diversità d'esecuzione: approssimativa i n un caso, più attenta e finita nel dipinto i l lustrato, dove all'arcaicità dell ' impianto corrisponde una omogene i t à d'atmosfera di incisiva qualità. E sufficiente osservare come Es
sen, con colpi di bianco, delinei le pieghe della tovaglia ammantante, come ancora i colpi di luce sul bicchiere alludano alla asperità della superficie decorata, per avere sufficienti elementi atti a valutare l'attenzione esercitata nella realizzazione delle diverse soluzioni cromatiche e figurali.
E la particolare diligenza nella replica degli effetti luministici sulle superfìci riflettenti ritornano, sempre nel corpus riferibile a Essen, in una composizione con figura umana (n . 94) recentemente passata sul mercato an-tiquariale, che pure denuncia una fase matura nella produzione del maestro, quando la semplicità d ' impianto degli esordi viene abbandonata a vantaggio di una composizione in cui accostamento e sovrapposizione di elementi di ascendenza da Haarlem si associano all'aringa tagliata sul piatto e alla coppia di pani disposti in avanti, figure quindi della tradizione.
Ma la ricorrenza, anche la persistenza nell ' immaginario di un pittore, come nel singolo insediamento, sono caratteri ormai troppe volte puntualizzati per ricostruire una novità: in particolare i l tagliere rosso che si pone come base al bicchiere e la forma di pane nero tagliata che campeggiano agli estremi della «colazione» di tav. 36 ritorneranno, sempre in ambiente fiammingo, nella pittura di Jacob van Es, i n un d ip in to in particolare (GreindI , 1983, tav. 28), a testimoniare i l desiderio di citazione, anche l'indicazione di una cont inu i tà dei caratteri di una scuola.
198
J A C O B FOPPENS V A N ES
Se i l caso di Essen è quello della iniziale esperienza fiamminga che si sposta in area olandese, Jacob van Es, di circa dieci anni più giovane del pr imo - diventerà maestro a A n versa nel 1617 - si p u ò come fra i prosecutori più genuini del pr imo tempo della scuola locale di Osias Beert i l vecchio e di Clara Peeters prolungandone i soggetti fino alla metà degli anni trenta, in significativa coincidenza con l'apparire in Anversa di Jan Davidsz. de Heem.
L'arco di lavoro del pittore si presenta, anche per l'ampiezza cronologica che abbraccia - circa un cinquantennio - estremamente diversificato e ricco di soggetti: alla tradizionale «colazione» che, come già indicato, van Es mutua dalla tradizione locale sostanzialmente basata su una contrapposizione rigida fra piano disseminato di contenitori e alzato dei bicchieri o delle caraffe, sarà successivamente aggiunta anche la seconda grande famiglia dei soggetti, quella del fiore composto nel vaso
che troverà esiti, per maniera pittorica e i m paginazione, assolutamente originali.
L'universo della limitata disposizione di cibi e suppellettili, che costituisce l'argomento del presente contributo, conosce nella sostanza una elaborata esplorazione della profondità del piano cadenzata dalla successione dei piatti metallici, la diversità del cui contenuto viene esaltata da Es con la accentuazione della gamma cromatica delle vivande.
Se si osservano in parallelo i dipint i di tav. 37 e 38, nella diversità di una atmosfera omo-genizzante presente nel secondo che risulta invece assente nel pr imo documento, a denunciarne una maggiore arcaicità, si deve comunque rilevare l ' identità della disposizione delle figure circolari che in entrambi i casi partono dal piatto che fuoriesce dal bordo alla destra del tavolo - tale figura viene equilibrata dal manico del coltello in posizione centrale, anch'esso emergente - per poi conoscere in posizione mediana la presenza di un ap-
199
tav. 37 - Jacob vari Es, coli. priv.
parato quantitativamente e cromaticamente più elaborato - se vogliamo i l protagonista della vicenda - e un ulteriore punto di stazione nel piatto confinato nel fondo, che chiude una esplorazione zigzagante.
Se possono essere figure complementari al cibo raccolto nel piatto, le presenze sparse sul tavolo ( i l l imone sbucciato dall'architettura
imponente e l'arancia in un caso; i gamberetti nell 'altro) la seconda classe di oggetti present i è costituita da quelli che impegnano la verticalità della composizione: i due vetri facon de Venise nel d ip in to di tav. 38, la figura complessa della caraffa «Jan Steen» e del bicchiere di v ino rosso in quello di tav. 37. E a proposito della soluzione impaginativa singolare che
200
la composizione presenta ( i l bicchiere roemer infilato nel becco della suppellettile metallica) occorre segnalare come non si tratti assolutamente di un evento episodico nel mondo della natura morta, in ambito olandese come in quello fiammingo. In altra occasione (Bergamo 1983) si erano segnalati alcuni di questi episodi riferibili all 'immaginario di Clara Peeters (n . 176); di Pieter Claesz. (n . 175); di Abraham van Beyeren (n . 182): a questi, che evidentemente spaziano per luoghi di produzione e per cronologia, si può aggiungere un ulteriore esempio di Maerten Boelema de Stomme (n . 95) singolarmente speculare r i spetto alla figura presente nel dipinto in discussione. Senza voler suggerire particolari percorsi per cui una soluzione impaginativa certamente non consueta p u ò aver toccato ambienti così diversi, o tantomeno ipotizzare priorità di invenzione, è questo un ulteriore esempio del contatto e dello scambio che avveniva, nel mondo evidentemente ristretto degli specialisti di nature morte, fra i due insediamenti rivali.
Rileggendo comunque i l modo impaginativo dei due dipint i in esame il pr imo, come si è detto cronologicamente da anticipare, presenta una compattezza e un accentramento dell'apparato, sottolineato dalla posizione asimmetrica delle figure verticali e dal carattere dominante del piatto di ostriche - una evidente citazione, come altre, da Osias Beert i l vecchio - che sovrasta cromaticamente e fisicamente gl i altri due piatti metallici, che nel documento di tav. 38 si stempera in una disseminazione più decantata, capace di occupare con agilità la quasi totalità del campo ritagliato.
95 - Maerten Boelema de Stomme, pari., Musée des Beaux-Arts, Nantes.
A questa maggiore fusione concorre l'atmosfera ambientale che, assente del tut to nel pr imo documento, smorza nel secondo le di verse cromie delle materie e ridisegna in modo soffuso rispetto all'ambiente i l contorno degli oggetti stessi. N o n che sia venuta meno la «fedeltà ottica», ma i l rapporto cromatico, da autonomo e netto, sembra conoscere una
201
tav. 38 - Jacob vari Es, firmato, coli. priv.
maggiore integrazione rispetto alla totalità dell'assieme.
L' impianto scenico che van Es replica i n queste opere, e che abbiamo visto mutuare dalla tradizione fiamminga della «colazione» di un Osias Beert i l vecchio, conosce un r innovamento all'apparire sulla piazza di Anversa nel 1636 di Jan Davidsz. de Heem: l'accumulo o la sovrapposizione intorno a una figu
ra principale, la varietà disordinata e concentrata dei cibi e delle suppellettili sostituiranno la disposizione disseminata a cui Es aveva fatto costantemente riferimento. C iò che viene particolarmente sottolineato dal pittore, è l'acquisto di una maggiore ampiezza e libertà della scena; in alcuni casi, come nel d ipinto n. 96 riferibile a una fase matura del pittore, allontanando i l punto di osservazione della
202
96 - Jacob van Es, coli. priv.
scena e quindi nducendo, le dimensioni dell'apparato rispetto all'ambiente illustrato. U n acquisito equilibrio fra i due elementi in gioco permette una osservazione del complesso meno concitata e aggressiva: lo stesso campo moltiplica una profondi tà che g l i esiti precedenti, nel proporre in pr imo piano le diverse architetture, evidentemente sacrificavano.
Ma tale ricchezza di spunti, se vogliamo di evoluzione nelle scelte stilistiche, è ulteriore conferma, all'interno della traiettoria del singolo pittore, come in generale nell'universo della pittura «di genere", di una già richiamata mult i formità degli esiti, quindi di una ricchezza di «scelte», di significati formali che la ripetitività dei soggetti immediatamente non sospetterebbe.
203
tav. 39 • Alexander Adriaensen, firmato, coli. priv.
A L E X A N D E R A D R I A E N S E N
Accennando alla «specializzazione» della vis onbijet a proposito della produzione di Jacob Gi l l ig , si è richiamato i l favore che i l soggetto marino, nella versione della presenza l i mitata sui tavoli della prima natura morta, ma anche in quella dell'angolo di cucina interamente dedicato alle varietà diverse di pesci, conosce in ambito olandese come in quello fiammingo.
E questo i l caso di una consistente parte
della produzione di Alexander Adriaensen che, accanto ai temi tradizionali delle composizione di fiori e di frutta, associa anche quello della porzione del tavolo di cucina dominato dal soggetto marino. Pittore della prima generazione di Anversa - nasce infatti nel 1587 e diviene maestro nel 1610 - Adriaensen, a differenza di altri maestri della medesima generazione, ha conosciuto una mediocre fortuna nella attenzione della critica e del
204
tav. 40 • Alexander Adriaensen, coli. priv.
mercato contemporanei, probabilmente perché le proprie composizioni di ridotte dimensioni e di impianto altrettanto semplificato (l'arredo replica insistentemente e con poche variazioni l'angolo del tavolo in legno eventualmente associato al gancio nel muro da cui possono pendere le prede) messe a confronto con quelle dei maggiori genetisti della stagione successiva, in particolar modo di Abraham van bcyeren, denunciano l'austerità e La l imi
tatezza dell'apparato a confronto con l'esuberanza teatrale del secondo.
Ma appunto in una possibile lettura in parallelo è necessario tener conto delle date, e quindi del clima e della «maniera» fiamminga della «colazione» di ridotte dimensioni e di apparato altrettanto l imitato, in una ristretta profondità del piano d'appoggio, Adriaensen impagina un repertorio di suppellettili di l i mitata varietà ( i l bacile metallico, i l tagliere)
205
97 • Alexander Adriaensen, 1660, Museo statale, Budapest
e l'animale pescato colto in un significativo campionario di figure, dal pesce intero, replicato in un atteggiamento vicino alla vita, al trancio che l 'uomo ha già manipolato, modificando in questo modo la fisionomia naturale dell'animale.
Come è naturale, proprio la varietà delie-taglie e delle fisionomie stesse dei pesci, i l comportamento diverso del corpo che p u ò conoscere la rigidità dello scheletro o un più
cedevole adeguarsi alla forma del bacile o alla posizione in bilico sul tagliere, ancora la cromia differenziata, che le singole speci denunciano, costituiscono g l i interessi portanti nel repertorio di Adriaensen. Se si eccettua infatt i i l d ip in to firmato di tav. 39, i n cui al soggetto marino si associa i n secondo piano, quasi un «prestito» dalla coeva «colazione», la brocca i n gres e i l vetro, i l soggetto trattato risulta uniformemente omogeneo: proprio questo
206
tav. 41 - Alexander Adriaensen, firmato, 1646, coli. priv.
restringimento tematico e l'approfondimento esplorativo che ne consegue, permettono una analisi dettagliata del singolo animale, replicato con una attenzione che sembra sposare l'abilità contraffattiva all'interesse per un disordinato «catalogo" delle merci esposte. Quest 'ult imo aspetto poi corrisponde al desiderio e alla competenza anche del pubblico a cui i l dipinto era r ivolto, costituisce una ulteriore prova del rapporto di causa/effetto fra
professionalità, specializzazione del pittore, e esigenze del mercato che i l mondo del N o r d realizza per la prima volta, almeno quando si pensi a un fenomeno esteso, di massa, e non al rapporto fra i l committente singolo e il singolo maestro.
E ancora l'esigenza di soddisfazione di un acquirente ormai numeroso quanto conoscitore e competente del soggetto ritrattato, una merce che equivale al sostentamento prima-
207
98 - Alexander Adriaensen, 1649, coli. priv.
rio e alla ricchezza, spinge Adriaensen al sistema della replica di soluzioni di impianto o di singole figure che abbiamo visto essere caratteristica del modo di produrre pittura in una fase di estensione del mercato e di specializzazione. E sufficiente mettere in parallelo i l d i pinto di tav. 41 con quello n. 97 per segnalare identi tà di impianto, anche di singole figure come la testa mozzata del pesce di grossa taglia in p r imo piano, e variazioni, che po
tranno ritornare, come nel caso del pesce in tero collocato sul piatto, in altri d ip in t i . La replica identica del soggetto permette comunque a Adriaensen, soprattutto quando è i m pegnato nella descrizione delle pelle iridescente dell'animale, o della carne viva dello spaccato, di esibire la propria qualità di pi t tore, i n un esercizio di stile che abbandona la fedeltà del dettaglio per ostentare la sapienza dell'effetto, della sensazione.
208
FRANS SNYDERS
I l contributo di Frans Snyders alla storia della natura morta dei paesi del N o r d risulta fortemente intrecciato con la «grande maniera» della pittura fiamminga inaugurata e propagandata da Pietro Paolo Rubens. 11 dato r i sulta essere tanto più importante quando si consideri la sostanziale «indifferenza» che la pittura di genere conosce rispetto al gusto e alla sua evoluzione in atto nell'arte «maggiore», o meglio per la pittura sacra o di storia.
Ma le vicende in qualche modo parallele dei due pi t tor i d i Anversa, la presenza ancora di Jan Brueghel, patrocinatore del viaggio in Italia di Snyders, la collaborazione infine che avviene, nella «fucina» di Rubens, fra i pi t tor i citati, accanto a Paul de Vos e van Dyck, in un rinnovato connubio fra specialista di genere e specialista di figura, rendono l'episodio, e quanti a essi verranno connessi, di gran lungo eccezionale.
11 nuovo modo di dipingere è un «nuovo modo» di concepire la totalità del mondo rap
presentabile, legata a una scenografia destabilizzante l 'unicità rinascimentale; Io spazio e la sua percezione subiscono ingigantimenti e deformazioni soggettive che non permettono una tradizionale e tranquillizzante separazione fra generi e temi della pittura. Con sensibilità diversa e con esiti altrettanto divaricanti siamo sulla stessa lunghezza d'onda della r i voluzione che Caravaggio andava portando a Roma dagli esordi del secolo, in cui un analogo progetto pittorico totalizzante cancellava la distinzione fra scena e pittura di figura, proponendone una nuova sintesi.
La rivoluzione avviene negli anni dieci a Anversa; Rubens vi è già ritornato, carico di esperienze e di successi italiani nel 1608; Snyders, che è stato introdotto presso i Borromeo e compie i l viaggio fra Roma e Milano, è nella capitale fiamminga l'anno successivo, -dove due anni dopo sposerà Margarete de Vos. Se la tradizione della natura morta fiamminga si era costantemente legata al formato
209
99 " Frans Snyders, ubic ignota.
di ridotte dimensioni e alla presenza di un numero altrettanto l imitato di elementi disposti, la soluzione che Snyders preferibilmentepredi-ligerà (si veda la grande tela, cm. 158x218, datata 1614 del Wallraf-Richartz Museum di Colonia) sarà quella della dilatazione della superficie dipinta e dell'esuberanza quantitativa dell'apparecchio.
Viene in qualche modo individuato un pubblico diverso rispetto al borghese biso
gnoso di d ip in t i di impegno impaginativo minore, che pure Snyders non tralascerà del tut to come negli esempi nn. 101, 103; la natura morta che si era proposta come int ima e r i dotta riflessione sugli oggetti quotidiani o preziosi, letti comunque nell'ottica della facile e ravvicinata osservazione, cede i l passo a una soluzione che rinnova, ma se vogliamo reiventa, i l grande mercato tardomanierista rompendone l 'ordine compositivo ma accet-
210
tav. 42 - Frans Snyders, coli. priv.
tando di esso la propensione per la sovrabbondanza dell'accumulo. E proprio i l riferimento a una tradizione cinquecentesca della pittura di Anversa, nel momento della sua maggiore originalità creativa caratterizza anche ideologicamente i l programma di Snyders, in sintonia con quanto andava testimoniando con la pittura e con l'azione diplomatica lo stesso Rubens.
Da dipint i che discendono e rinnovano il
tema tradizionale del «mercato» è possibile inaugurare questa breve ricognizione sulla natura morta di Snyders. La grande cacciagione disposta del n. 95 si pone allora specularmente rispetto al «Pescivendolo» di tav. 42, manifesto programmatico dell'esuberanza scenografica dell ' impianto e della accensione cromatica che Snyders ricerca. E in entrambi i casi l'accumulo degli animali sul piano a costituire la massa attrattiva principale: è sparita,
211
100 - Frans Snyders, coli. priv.
rispetto al passato, ogni distanza dell'osservatore rispetto alla scena; la cattedrale inanimata si offre nell'incoerenza di pose concitate e contorte, come se l'animazione che rendeva fremente la vita dei singoli soggetti avesse mantenuto una traccia una volta che i l rovesciare del pescatore o del cacciatore le prede sul tavolo, abbia prodotto La casuale posa. Ma ogni figura risulta, per cosi dire, stravolta nella sua fisionomia. Nella figura si incrociano i l
gusto per la meraviglia, per i l contrasto, una allusione anche alla possibili tà «metamorfica" della natura raccolta sul piano in quan t i t à sovrabbondante, ambiguamenteacelebrareoesor-cizzare nell ' immagine la dovizia del magazzino anche quando esso assume le fattezze caotiche di una ingigantita cornucopia che Cerere, la dea delle messi e della terra, dispensa a una gente che si considera investita di una funzione e di un ruolo assolutamente singolari.
212
104 • Frans Snyders, coli. priv.
All'esuberanza di una costruzione pol i centrica, in cui ogni animale distinto risulta protagonista per l 'eccezionalità della posa, la forza del contrasto cromatico che ne delinea torte-mente le fattezze, si aggiunge una felicità esecutiva che alla pennellata costretta all'esecuzione dettagliata, preferisce i l libero andamento, capace di costruire in apparenza quanto viene sottratto al ritratto fedele; la distanza fisica accentuata che permette una lettura
complessiva dell'insieme concede al contrasto cromatico che Snyders fortemente ricerca, di annotare la netta e distinta corporei tà del singolo soggetto.
N o n a caso si è parlato di una composizione basata su diversi centri nevralgici: così come la lettura dell'apparecchio inanimato conosce continui spostamenti, avanzamenti e r i torni perché l 'occhio possa coerentemente essere padrone del tut to, analogamente alcu-
214
tav. 43 - Frans Snyders, coli. priv.
ne figure periferiche rispetto all ' impianto centrale assumono progressivamente i l ruolo di calibrato disturbo rispetto alla centralità, amplificano i l percorso visivo fino a rendere la periferia altrettanto importante rispetto al prevedibile «cuore» della composizione: in entrambi i casi illustrati la figura umana, colta in un analogo atteggiamento di «messa in mostra» teatralmente rivolta verso lo spettatore, è illustrata a tre quarti al di là del tavolo
imbandito e collocata in una posizione fortemente laterale rispetto all ' impianto. In entrambi i casi ancora i due soggetti da preda esibiti dall 'uomo partecipano figuralmente della parte più alta dell'apparato disposto sul tavolo, costituendo i l necessario legame fra i due universi messi a confronto. Ma l'esplorazione delle «periferie» dei quadri riserva altre sorprese: se nel dipinto di tav. 42 oltre i l bordo del tavolo, in basso, possiamo osservare i l
215
nervoso estendersi dell'apparecchio, mi¬schiando code, tentacoli e teste ancora rigidamente erette, nel dipinto dcHT'rmitage la parte bassa del tavolo è occupata da una "figura animata- supplementare: la tensione divaricante dei due cani che vengono colti oltretutto in atteggiamenti assolutamente contrastanti. Si è già precedentemente accennato, parlando del «tempo di posa» presente nel mondo della natura morta, alla predilezione-espressa da Snyders per la fissazione dell'istantaneo sulla tela, sulla sua drammatic i tà in un contesto sostanzialmente immoto, destinato alla posa ferma. Aver collocato, una volta che si possa osservare i l complesso dell'immagine, il contrasto di pose alla perifer i a della composizione rende funzionalmente conto del complesso di sollecitazioni che vengono messe in atto dal pittore.
L'aggressione, la minaccia, i l furto compiuto, i l disastro della devastazione: anche se la pittura di Snyders sembra far esplodere l'esuberanza e la vitalità di una società affluente, i temi frequentemente trattati, pur filtrati attraverso lo spostamento dall 'uomo all'animale, costituiscono, almeno dal punto di vista drammatico, una costante carrellata fra istinto non represso e punizione incombente, tra errore e danno, che assume la catastrofica sovrabbondanza del cestino rovesciato e della più intima, ma altrettanto evidente, tensione di sguardi fra i due antagonisti, l'animale colto nell'atto proibito e i l guardiano, come nella composizione n. 100, che confina lo scontro nel registro basso della scena.
Si p u ò parlare, nel modo di procedere di Snyders, di un andamento cinematografico che dal campo lungo passa al primissimo pia-
216
no: i l d ipinto n. 101 riprende della grande composizione precedente alcuni particolari, assemblandoli in uno spazio più ridotto, d i mensionato se vogliamo allo standard abituale della natura morta: come se i l particolare della ceramica orientale e del garofano che campeggia nel mezzo prima in bilico fra la varietà della cacciagione, trovasse una nuova collocazione accanto a un moderato e ridotto campionario di selvaggina e la cesta ricolma di frutta, depressa nella posizione laterale e tagliata nella figura del dipinto n. 100, progressivamente diventasse protagonista della scena per poi conoscere spostando «inquadratura» e «tempi di posa» nel dipinto n. 102 una nuova traumatica aggressione. I l riferimento teatrale, ma forse ancora più adeguato quello cinematografico, sembrano assumere un rilievo più stringente della analogia «suggestiva», o peggio del filtro di lettura attualizzante.
Si è parlato costantemente in queste pagine di «ricorrenza» di figure acquisite nella tradizione o all 'interno dell 'immaginario del singolo pittore, di come cioè i l modo di procedere del pittore possa conoscere ripetizioni spesso esatte, dipendenti dalla medesima posa. Snyders non sfugge alla regola ma il suo modo di concatenare dipinto a d ipinto sembra rispondere a un processo temporale costantemente rinnovato, una sorta di «catena» tematica che, nel progredire del tempo, nel variare del punto di vista lontano o vicino, ancora nello spostamento laterale, in una sorta di carrellata segmentata, aggiunge alla ripetizione un evidente elemento di novità. In alt r i termini i l medesimo soggetto - e per l'esuberanza dei temi probabilmente ciascuno può eleggere un proprio protagonista da privile-
105 - Frans Snyders, ubic. ignota.
giare - incontrato nel pr imo episodio ritorna in contesti contigui ma diversi, accentuando quella precarietà cui si è fatto riferimento affrontando le presenze «animate» nei quadri di natura morta di Snyders.
Il cesto di v imini , che precedentemente troneggiava immoto, conosce nel dipinto n. 102 i suoi trasgressori in acuta tensione: quello che noi cogliamo è un momento successivo rispetto al crimine avvenuto. La scim
mia, in una costanza iconografica sottolineata dalla sua fortuna a partire dall'immaginario medievale, è a un tempo, come tradizionalmente ogni animale, esempio dell'istinto che i l peccato disciplina con la catena, a un tempo, nella sua capacità imitativa del comportamento umano, ne rappresenta la caricatura più convincente e calzante, rasentando biblicamente i l «diabolico».
I n due dipint i , evidentemente dipendenti
217
l 'uno dall'altro (n . 104 e tav. 43) Snyders coglie, di una medesima scena che sembra esordire, nella parte sinistra, dall'immagine in posa del n. 101, due fasi diverse, spostando l'attenzione da una parte all'altra del piano d'appoggio. Quello che risulta essere figura centrale nel secondo quadro (la scimmia colta nell'acrobatico possedere la totalità dell'apertura della cesta) diventa nel primo quadro elemento periferico, tagliato traumaticamente, per lasciare spazio a una imbandigione e alla fotogenia del contendente che invece conosce, nel precedente dipinto, la già ricordata soluzione della mutilazione.
La ripetizione di soluzioni già adottate viene utilizzata da Snyders per dipanare una intricata matassa narrativa, tesa nel complesso a evidenziare la fragilità momentanea, an
che la contraddi t tor ie tà degli istanti che l'osservazione registra; quasi che i «disastri" della guerra- che Rubens recitava nelle sue tele allegoriche conosceressero una loro traduzione-in linguaggio humblt da parte del generista.
E l'assunto «teatrale» con cui abbiamo cercato di leggere alcuni esiti di Snyders, se frequentemente ha colto l'aspetto «frammentario» e momentaneo dell'architettura e dello spazio impaginati - si veda a questo riguardo la «parata" di soggetti inanimati che viene ostentata in una forzatamente voluta orizzontalità dell'apparato nel dipinto n. 105 - sembra essere la chiave più conveniente con cui leggere un episodio certamente importante nella storia della natura morta del N o r d , ma caratterizzato da peculiarità che ne rendono singolare la fisionomia.
J A N F Y T
L'ambiente di Anversa, ma a esso occorre aggiungere Madrid, Parigi e la stessa Italia, recepisce la «grande maniera» di Frans Snyders come svolta fortemente innovativa: se in città comunque una fattura per così dire tradizionale della natura morta cont inuerà autonomamente o sarà limitatamente toccata, la scelta del grande formato e della ampiezza dell'apparecchio si molt ipl icherà nelle opere degli allievi, pr imo fra tu t t i Jan Fyt.
Dopo l'apprendistato presso Hans van
der Berch e successivamente presso Snyders, Fyt è successivamente a Parigi, e in Italia per rientrare a Anversa nel 1641. Del repertorio inaugurato dal suo maestro viene recepito l'aspetto spettacolare dell 'imbandigione, la sua complessi tà architettonica, pur nella scelta di figure complessivamente più contenute. All'esplosione centrifuga del pr imo si deve sostituire una organizzazione maggiormente concentrata, ruotante intorno a un «centro» visivo non più moltiplicato. Si vuol dire che
218
tav. 44 - Jan Fyt, con. priv.
frequentemente Fyt organizza l'apparato sul tavolo a partire da una figura principale, evidente anche nella sua distinzione cromatica rispetto al resto dei soggetti presenti; questa figura di partenza conosce poi la consueta aggressione che amplifica architettonicamente la scena, fino a occupare buona parte del campo. Si veda a questo proposito il modo con
cui Fyt, nella «natura morta» di tav. 44, realizza l'impianto a partire dal forte contrasto cromatico fra i due uccelli adagiati; come poi, per indicare il «modo» compositivo del pittore, una analoga figura di base venga amplificata dall'associazione di un secondo «nucleo» visivo realizzato dalla cesta di vimini e dalla frutta nel dipinto n. 106.
219
106 -Jan Fyt, coli. priv.
Differentemente da Snyders, che privilegerà una «atmosfera» chiara, Fyt ritaglia l'apparato rispetto al fondo con una forzata contrapposizione tra luce e ombra, alludendo in questo modo a una «indeterminatezza» dello spazio lontano e realizzando una «incandescenza» del vicino da cui non deve essere estranea l'esperienza visiva che i l pittore compie nel suo tour in Italia e in Francia.
I l gusto internazionale espresso da Fyt e la squillante materia cromatica, realizzata con una stesura sovrabbondante, contribuiranno a rendere duratura la fortuna della produzione del generista, sia pure letto nell'ottica par-zializzante dello specialista nel riprodurre animali, vivi o mor t i che siano. Da questo punto di vista possono essere indicate due linee interpretative sulla vicenda pittorica di Fyt: da una parte quella di uno «strappo» rispetto alla
tradizione, in sintonia e in relazione con i l magistero di Frans Snyders, nella ricorrenza di soggetti che accentuano l'aspetto «decorativo" della pittura; dall'altra - e sarà per esempio la traiettoria proposta da Cìrimm (1977) -invece una lettura ancora «simbolica" dell ' immaginario dipinto, dove la stabilità dei dati emblematici attribuibili ai singoli soggetti si sposa con l'esuberanza della fattura cromatica e dell'impaginazione. Ne l pr imo caso p u ò giocare a favore la già ricordata e longeva «fortuna» del pittore che oltrepassa i l im i t i di produzione e di gusto per i l d ipinto di natura morta: nel secondo la riflessione critica che da quarantanni a questa parte cerca di interpretare i l soggetto stesso della natura morta come riflessione sul mondo e sull 'uomo, a partire dalla estrapolazione e dalla esaltazione di un ambito particolare come l'arredo circostante e i suoi protagonisti.
Le due anime ora ricordate probabilmente agiscono contemporaneamente senza necessariamente eliminarsi del tut to: certo i l «ridi-scgno» a cui Fyt sottopone i soggetti replicati, l'invadenza di una attenzione che dall'analisi del dettaglio è passata alla ri-creazione del sensibile, del percepibile - si noti come Fyt modelli le fattezze e le materie diverse della cacciagione deposta sul piano - sono termini inevitabili che implicano una sensibilità diversa rispetto allo stesso concepirsi come pittore. Fra tradizione e innovazione oltretutto, i l caso in esame, almeno dal punto di vista dell'impaginazione e delle dimensioni del dipinto, sembra configurarsi come una rilettura del passato, della tradizione, più che una ulteriore spinta in avanti dopo lo sconvolgimento nell 'immaginario proposto da Snyders.
220
107 - Adriaen van Utrecht, coli, priv
A D R I A E N V A N U T R E C H T
Anche per Adriaen van Utrecht, i l secondo pittore che in questa occasione possiamo associare alla «corte» di Frans Snyders, o comunque caratterizzato da una dipendenza tematica rispetto al maestro, l'esordio è quello del «giro d 'Europa», fra Germania, Francia e Italia, che si conclude con i l rientro a Anversa nel 1625, all'atto della sua elezione a
maestro della gilda cittadina. Se Fyt dimostra una autonomia tematica
maggiore rispetto ai modelli del maestro, come dimensioni e come impianto, Utrecht replicherà con costanza soggetti mutuati dall 'immaginario d'origine: una maniera «chiara» prima di tutto, modulata su una escursione di luce/ombra ridotta che permette l'intel-
221
108 - Adriaen van Utrecht, 1642, Museo del Prado, Madrid.
ligenza del primo come del secondo piano; la scelta ancora dei grande interno di cucina o del «mercato» nella particolare accezione che abbiamo già discusso: la grande imbandigione in primo piano e la figura umana a tre quarti al di là della tavola, in un impegno a volte della situazione ambientale architettonica, come nella tav. 45, dove quinta diagonale e finestra sul paesaggio animano e moltiplicano l'impegno compositivo.
La dipendenza rispetto ai modelli di Snyders può comunque presentarsi vincolata anche alla replica di alcune figure del maestro, come facilmente leggibile nel documento firmato del 1642 ora al Museo del Prado (n. 108), o può invece risultare più limitata, come nel «mercato» inedito di tav. 45 che,
nella disposizione ordinata e cadenzata fra un primo e un secondo piano, disciplina l'esuberanza e il disordine dei precedenti impianti.
Utrecht cerca - e il conforto a tale ipotesi può essere dato dal dipinto firmato n. 107 -una organizzazione degli elementi calibrata sul rapporto fra pieno e vuoto, su una lettura distinta e scalare dal proscenio al fondo, riacquistando una sicurezza compositiva unitaria. Non che in questi esiti la lezione di Snyders sia assente, ma essa viene filtrata da una sensibilità più incline alla stabilità compositiva, a una riacquistata articolazione dello spazio e delle sue scansioni.
E sufficiente osservare come Utrecht, nel già citato «mercato», selezioni e ponga le diverse figure della frutta e degli ortaggi in base alle loro qualità formali, proiettando alternativamente verso l'esterno, in aggetto, e verso l'interno, vettori direzionali o punti di stazione centripeti che costituiscono espliciti richiami a una tradizione impaginativa del soggetto inanimato precedente alla rivoluzione messa in atto da Snyders. La possibilità di scomporre in singoli episodi l'intero apparato, la constatazione della relazione sintattica che si instaura fra elemento e elemento fino a determinare l'intero, sono caratteri della composizione che Utrecht, almeno in questo frangente, usa frequentemente.
L'ordine quasi geometrico con cui l'intero accumulo viene immaginato si incrocia con una lezione «scenografica» dell'intero dipinto che risulta sovrabbondante dal punto di vista delle citazioni ambientali: da quelle artificiali della quinta architettonica e dello sfondamento verso il paesaggio nel fondo, già citate, alla presenza naturale che incornicia in modo
222
tav. 45 - Adriaen van Utrecht, coli. priv.
frammentano i l perimetro della composizione. Avvicinamento in un caso, con i l tavolo i l cui bordo coincide con i l l imite basso della composizione rendendo i l piano immediato e diretto protagonista della scena; allontanamento nell'altro, distanza e intervallo fra l'osservatore e i l fondo, che suggerisce un «al di fuori» della stanza, e quindi amplifica uno spazio comunemente ridotto e l imitato.
Ma è da sottolineare a questo proposito come la produzione di Utrecht, dalle cucine
ai mercati, alle composizioni floreali, possa inclinare anche verso i l soggetto d'ambiente con figure, testimoniando in questo modo una fisionomia della competenza pittorica diversa rispetto a quella frequentemente incontrata in queste pagine. Si vuol dire che la lezione di Anversa alla metà del secolo può conoscere, accanto alla cont inui tà dello specialista, anche i l superamento delle distinzioni, della frammentazione delle competenze e delle abilità nella replica del naturale.
223
J A N V A N KESSEL
Nel 1645 Jan van Kessel, figlio del ritrattista Hieronymus e nipote di Jan Brueghel i l vecchio, viene registrato nella gilda di Anversa come «pittore di fiori»; ma la definizione può risultare determinata non solo dalla frequenza con cui i l pittore replica tale soggetto ma anche dalla ingombrante parentela, tanto più forte quanto si pensi alla cont inui tà della scuola del generista protetto del cardinal Borromeo.
La produzione di Kessel infatti, sia dal punto di vista tematico, sia dal punto di vista della fattura, si presenta «camaleontica» per usare una felice espressione di Bergst ròm 1971. A l soggetto di fiori , che Kessel replicherà su tela recependo le figure mutuate dalla grande tradizione dei pi t tori fiamminghi, soprattutto Daniel Seghers, si devono aggiungere i l ciclo dei «Continenti» nei quali i l pit tore avrà modo di spaziare in tu t t i i campi che la pittura fiamminga aveva separatamente sviluppato, dall'interno della Wunderkammer, al
paesaggio, alla natura morta. Esercizio replicativo sul piano tematico, virtuosistica capacità di concentrare nel r idot to spazio della lastra di rame una folla di soggetti r i tratt i nella complessi tà delle fisionomie: se si legge in questa prospettiva la figura centrale dell'«europa» del Bayerische S taa tsgemàldesammlun-gen di Monaco di Baviera, i «quadri» nel quadro che Kessel colleziona nella stanza e alle pareti, costantemente una «autocitazione» che culmina nella replica del rame di «Insetti, rettili e conchiglie» del 1657 con la firma dell'autore realizzata con le pose degli animali viventi , sono spunti per una ulteriore miniaturizzazione delle immagini .
Kessel sembra allora riproporre, nella citazione come nella attività diretta, una indagine-sistematica del mondo naturale che era stata fra le mosse iniziali dell'emergere, fra la fine del X V I secolo e quello successivo, la prima stagione della natura morta: l'enciclopedismo di un Savery, di un Hoefnaghel e dello stesso
224
tav. 46 - Jan van Kessel, Quattro interni di cucina, coli. priv.
Jan Brueghel i l vecchio viene riproposto in una vena ironica, incline alla bizzaria, che la distanza cronologica dagli esiti citati p u ò legittimare.
La produzione di Kessel legata al rame, quindi alla dimensione ridotta e all'abilità della miniatura, sembra porsi allora in una alternativa fra replica, e quindi divulgazione, di soggetti «noti», dal già citato Seghers, a Jacob van Es, a Frans Snyders, e capacità del
oollezionatore di concentrare tale accumulo sovrabbondante nella necessaria riduzione della scala. I due grandi rami della Panphily Doria già citati in altra occasione (Bergamo 1983, n. 185) costituiscono da questo punto di vista un esempio cardinale della capacità del pittore di aggregare nella coerenza della medesima tavola, figure, episodi, che presi frequentemente in prestito da altri pi t tori , costituiranno lo spunto per una produzione di
225
soggetti autonomi, di più modeste* proporzioni, che Kessel svilupperà nel corso della sua attività. E a tale produzione divulgativa non sarà estranea l'attività del figlio Jan l i che replicherà adeguatamente l'immaginario sintetico proposto dal padre.
Alla fase matura di quest'ultimo devono essere accostati i quattro rami, evidentemente coordinati fra loro, che vengono illustrati in questa occasione (tav. 46). Caratterizzazione dell'ambiente prima di tutto, esaltato ulteriormente dalla lettura sincronica e composta delle immagini: in questa occasione Kessel parte da un punto di osservazione lontano r i spetto all'apparato disposto sul terreno, esaltando per ampiezza e per complessità i valori spaziali dell'ambiente costantemente ritratto con aperture frontali o laterali verso l'esterno. I I senso di distanza e di ampiezza della scena ritrattata viene ulteriormente accentuato dal pittore collocando in secondo piano e sul tondo le frutta e i pesci della prima coppia, la cacciagione nella seconda serie: i l pavimento vuoto in proscenio costituisce una figura isolante che si collega uniformemente con le mura periferiche della stanza utilizzando oltretutto una cromia omogenea.
Come nell'universo snyderiano, ma con soluzioni che ampliano l'orizzonte a autori e
sensibilità diverse come Clara Peeters e Pieter Claesz., Jan van Kessel associa alla presenza immota del vegetale e dell'animale cacciato o pescato, le figure vi ve, dal gatto proteso al fu rtt i e sporgente dalla finestra alla lentezza della tartaruga, all 'incontro immoto fra la coppia di galli e i l tacchino, alternando la provvisorietà della posa del mondo vivente alla precarietà drammatica dell'animale appeso per le zampe posteriori, al pesce sparso disordinatamente sul pavimento vicino alla cesta ricolma. Ma una riflessione sulla scenografìcità e sulla teatralità della natura morta all'epoca della matur i tà è già stata condotta a termine in occasione della discussione sul ruolo e sull'immaginario di Snyders a Anversa.
Richiamarla ancora analizzando un «frammento» significativo dell'ampia produzione tematica di Jan van Kessel costituisce una ulteriore dimostrazione della capacità ricettiva e divulgativa messa in atto dal pittore. Avendo nella precedente situazione richiamato i l problema del dipinto di grandi dimensioni, a rilievo ambientale, dover affrontare impianti analoghi e tematiche similari a proposito di d ip in t i di ampiezza particolarmente ridotta è indicazione significativa del carattere espansivo dell 'immaginario di cui stiamo discutendo.
226
CORNELIS DE BRIER
La nostra ricognizione su alcuni esempi di natura morta dell'insediamento fiammingo si conclude con un soggetto, quello della Vanitas, che, dal punto di vista tematico, risulta essere ricorrente come ideologica giustificazione della stessa selezione nei soggetti disposti sul piano ma che, per quanto riguarda strettamente i l soggetto legato alla «natura morta con teschio», dopo l'avventura in terra olandese fra Leida e Haarlem dagli anni venti agli anni trenta, viene vitalizzato in Anversa a opera di Jan Davidsz. de Heem e, dopo la metà del secolo, dal magistero di Cornelius Nor-bertus Gijsbrechts che dal 1659 risulta iscritto nella gilda della città.
La formula impaginativa che diventa vincente è quella del grande formato e dell'esposizione, associata al reperto umano, di un apparecchio particolarmente sontuoso, in una concentrazione fra ricchezza, bellezza e fragilità, deperibilità. Si tratta in altri termini della contaminazione fra la precedente «Vanitas»,
contenuta come scenografìa e come arredo, e la pronk still-life, la «natura morta da parata» realizzata nella dilatazione ambientale che sembra essere caratteristica del gusto fiammingo alla metà del secolo.
Per quant i tà e varietà di suppellettili la scena si presenta come una sintesi disordinata delle presenze che si sono ripetute nelle diverse specializzazioni della natura morta: la composizione di fiori, la frutta, la suppellettile metallica, gl i strumenti musicali, che potevano anche associarsi nel frequente soggetto dei «cinque sensi», ritornano quantitativamente aumentati nel grande apparecchio. All'ampiezza dell'elenco occorre aggiungere una varietà di pose, una aggressività dell'accumulo che conosce nel concentrato della scena un considerevole ventaglio di giaciture, di sovrapposizioni come di equilibri precari.
I l dipinto da cui abbiamo preso le mosse (tav. Al) è firmato C D . Brier e è datato 1658, in una contingenza precoce quindi rispetto al
227
109 - Franciscus Cìijsbrechrs, Vanitas, coli. priv.
gusto per la «grande vanitas» che conoscerà la sua stagione quantitativamente più rilevante dagli anni sessanta del secolo.
Con insistenza Brier - i cui dati anagrafici sono incerti potendo probabilmente identificarlo con un pittore nato a Anversa nel 1634/ 35 e di cui conosce un secondo dipinto, data
to 1650 realizzato «alla maniera» di Jan Da-vidsz. de Heem (Amsterdam, 1970, n. 12) -colleziona sul piano d'appoggio principale e su quelli aggiunti, la sedia in primo piano, lo stipetto in secondo, il vasellame prezioso, dalla coppa sbalzata posta al centro e al vertice della composizione, al piatto metallico il
228
tav. 47 - Cornelis de Brier, Vanitas, firmato, 1658, coli. priv.
cui bordo virtuosisticamente moltiplica i r i flessi, le apparenze, fornendo del senso della vista e del tatto una immagine caleidoscopica e contradditoria.
E comunque sempre nel continuo raffronto fra i l teschio collocato in posizione stabile e centrale e le diverse suppellettili che si ag
gregano sul piano d'appoggio che i l sistema impaginativo trova la sua conferma ideologica: viene in altri termini fortemente riaffermato quel sentimento di «eguaglianza» a dispetto delle fisionomie, delle funzioni, delle responsabilità diverse che i vari elementi presenti suggeriscono.
229
*s^fficiiini ^P'cftìctoi-
gioii cvtw
fieri qlmin
mt>!I"*VXG o t̂iomf me* incUmvitjt: J
tav. 48 - Fiandre, XVI secolo, pagina miniata dall'Ufficio dei defunti, coli. priv.
230
A dispetto dell'assunto ammonitore che la «grande vanitas» ostentatamente contrae, i l tema avrà divulgazione e fortuna in campo internazionale, dal già citato Gijsbrechts che esporterà i l tema alla corte di Danimarca, al figlio Franciscus (n . 108) e alla stessa grande
fortuna che sarà conosciuta dalla natura morta moraleggiante in Francia e in Spagna.
Ma questo sposta i confini cronologici e geografici con cui abbiamo cercato in questa occasione di circoscrivere un problema, altrimenti ramificato e di difficile ridisegno.
Alberto Veca
Luglio 1986
231