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EMILE ZOLA - IL CASO DREYFUS 1

EMILE ZOLA. IL CASO DREYFUS

Sommario Note biografiche ............................................................................................................................................................... 1

PER GLI EBREI. ................................................................................................................................................................... 3

SCHEURER-KESTNER. ....................................................................................................................................................... 15

IL SINDACATO. ................................................................................................................................................................. 25

PROCESSO VERBALE. ....................................................................................................................................................... 38

LETTERA ALLA GIOVENTU' .............................................................................................................................................. 50

LETTERA ALLA FRANCIA. ................................................................................................................................................. 67

Note biografiche

Emile Zola (Parigi, 1840-1902) Scrittore e giornalista, è considerato il caposcuola del naturalismo. Serio polemista, oltre a difendere Manet e gli Impressionisti, fu fervido e appassionato difensore degli ebrei nel caso conosciuto di "Dreyfus” "Il capitano Dreyfus viene condannato da un tribunale militare per alto tradimento. Da quel momento, diventa il traditore, non più un uomo ma un'astrazione, colui che incarna l'idea della patria sgozzata, venduta al nemico vincitore.

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Non si tratta solo di tradimento presente e futuro, rappresenta pure il tradimento passato, poiché a lui si ascrive l'antica sconfitta, nell'ostinata convinzione che solo il tradimento abbia potuto far sì che fossimo battuti. Ecco quindi l'anima nera, il personaggio abominevole, la vergogna dell'esercito, il bandito che vende i fratelli, proprio come Giuda ha venduto il suo Dio. E, trattandosi di un ebreo, è semplicissimo: gli ebrei che sono ricchi e potenti e senza patria, del resto, lavoreranno sott'acqua, con i loro milioni, per toglierlo dai guai; compreranno le coscienze e tesseranno attorno alla Francia un complotto esecrabile pur di ottenere la riabilitazione del colpevole, pronti a sostituirgli un innocente...” E Zola schieratosi con gli innocentisti, denunciò il complotto militarista e reazionario contro gli ebrei e fu condannato, per questo, ad un anno di carcere. Fuggì e riparò in Inghilterra. In questo floppy-libro, i suoi interventi su "Le Figaro", e i famosi opuscoli da lui distribuiti per sollecitare la Francia a prendere coscienza dei suoi gravi errori e dei suoi squilibrati cenni

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antisemiti. Memorabile anche la sua "Lettera alla Gioventù" (pag. 54): "Gioventù, gioventù, sii sempre dalla parte della giustizia!”

PER GLI EBREI.

Pubblicato su "Le Figaro" del 16 maggio 1896 e raccolto in "Nouvelle Campagne” Da qualche anno, seguo la campagna che si tenta di montare in Francia contro gli ebrei con un senso crescente di sorpresa e di disgusto. Ha tutta l'aria di una mostruosità, voglio dire di una cosa completamente al di là del buon senso, della verità e della giustizia, di una cosa stupida e cieca che potrebbe farci arretrare di secoli, di una cosa, insomma, che potrebbe sfociare nel peggiore degli abomini, una persecuzione religiosa, che insanguinerebbe tutte le patrie. E lo voglio dire. Per cominciare, quale processo viene istruito contro gli ebrei, che cosa gli si rimprovera? Alcuni, perfino tra i miei amici, dicono di non poterli soffrire, di non poter dar loro la mano

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senza provare un brivido di ripugnanza. E' l'orrore fisico, la repulsione tra razza e razza, del bianco per il giallo, del rosso per il nero. Non mi chiedo se, in questa ripugnanza, non entri l'antica collera del cristiano verso il giudeo che ha crocefisso il suo Dio, un atavismo secolare di disprezzo e di vendetta. Insomma, l'orrore fisico è una buona ragione, anzi la sola, giacché non si sa che cosa rispondere a chi ti dice: "Li esecro perché li esecro, perché alla sola vista del loro naso vado fuori di me, perché la mia carne si ribella, nel sentirli diversi e contrari” In verità questa ostilità tra razza e razza non è una ragione sufficiente. Ritorniamo alle caverne, allora, ricominciamo la barbara guerra tra specie e specie, divoriamoci, per il solo fatto di non lanciare lo stesso richiamo o di avere il pelo diverso. Lo sforzo delle civiltà è proprio quello di cancellare questo bisogno selvaggio di gettarsi sul proprio simile quando non è del tutto simile. Nel corso dei secoli, la storia dei popoli non è altro che una lezione di tolleranza reciproca, tant'è vero che il sogno finale sarà di ricondurli tutti alla fratellanza

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universale, di sommergerli di una comune tenerezza, perché tutti, per quanto è possibile, siano salvi dal comune dolore. E, ai nostri giorni, odiarsi e azzannarsi, solo perché qualcuno non ha il cranio costruito proprio nello stesso modo, rischia di essere la più mostruosa delle follie. Arrivo al processo serio, che è soprattutto d'ordine sociale. E ne riassumo la requisitoria, la indico a grandi linee. Gli ebrei sono accusati di essere una nazione nella nazione, di condurre in disparte una vita di casta religiosa e di essere dunque, al di sopra delle frontiere, una sorta di setta internazionale, senza una vera patria capace un giorno, qualora trionfasse, di mettere le mani sul mondo. Gli ebrei si sposano tra loro, conservano strettissimi legami di famiglia; in mezzo alla moderna rilassatezza, si sostengono e s'incoraggiano; mostrano, nel loro isolamento, una straordinaria forza di resistenza e di lenta conquista. Ma, soprattutto, sono pratici e avveduti per natura e portano nel sangue un bisogno di lucro, un amore per il denaro, un così prodigioso senso degli affari che, in meno di cento anni, hanno accumulato nelle loro mani

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fortune enormi, e che sembrano assicurare loro la regalità, in un'epoca in cui il denaro è Re. Ed è vero, verissimo. Però, una volta constatato il fatto, occorre spiegarlo. Ciò che bisognerebbe aggiungere è che gli ebrei, così come sono oggi, sono opera nostra, l'opera dei nostri 1800 anni di imbecille persecuzione. Li abbiamo rinchiusi dentro quartieri infami, come lebbrosi, e ci meravigliamo che abbiano vissuto appartati, conservando tutte le loro tradizioni, stringendo i legami familiari, vivendo da vinti in casa dei vincitori. Li abbiamo schiaffeggiati, ingiuriati, colmati di ingiustizie e di violenze; niente di strano perciò se in fondo al cuore, magari inconsapevolmente, hanno conservato la speranza di una lontana rivincita, la volontà di resistere, di tirare avanti e di vincere. Soprattutto, abbiamo sdegnosamente lasciato nelle loro mani il dominio del denaro, che noi disprezzavamo, facendone socialmente dei trafficanti e degli usurai, e dunque perché meravigliarsi se, quando il regime della forza bruta ha lasciato il posto a quello dell'intelligenza e del lavoro, li abbiamo trovati

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padroni di capitali, la mente agile, esercitata da secoli di ereditarietà, pronti per l'impero? Ed ecco che oggi, atterriti davanti a questa opera di accecamento, spaventati nel constatare ciò che la fede settaria del Medio Evo ha saputo fare degli ebrei, non sappiamo immaginare niente di meglio che tornare all'anno mille, riprendere le persecuzioni, ricominciare a predicare la guerra santa affinché gli ebrei siano braccati, spogliati, risospinti nel ghetto, con la rabbia nell'anima, trattati da vinti in mezzo ai vincitori. Davvero intelligenti, parola mia! E che bella concezione sociale! Ma via! Siamo più di duecento milioni di cattolici, gli ebrei sì e no sono cinque milioni, eppure tremiamo, chiamiamo le guardie, ci mettiamo a schiamazzare di terrore come se orde di predoni si fossero abbattute sul paese. Coraggiosi, molto coraggiosi! Eppure le condizioni della lotta sembrano accettabili. Non potremmo, nel campo degli affari, cercare di essere altrettanto accorti e altrettanto forti? Durante il mese in cui ho

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frequentato la Borsa per tentare di capirci qualcosa, un banchiere cattolico riguardo agli ebrei mi diceva: "Eh, caro signore, sono più forti di noi, avranno sempre partita vinta" Se fosse vero, sarebbe veramente umiliante. Ma perché dovrebbe essere vero? Avranno predisposizione, d'accordo, ma se anche fosse? Il lavoro e l'intelligenza possono tutto. Ne conosco, di cristiani, che sono ebrei della più bell'acqua. Il campo è libero, e se gli ebrei hanno avuto secoli a disposizione per imparare ad amare e a guadagnare il denaro, a noi non resta che seguirli su questa via, vedere di acquisire le loro qualità, di batterli con le loro stesse armi. Ma sì, mio Dio! Smettiamola di ingiuriarli inutilmente, e conquistare la superiorità per vincerli. Non c è niente di più semplice e, in fondo, è la legge della vita. Pensate alla loro soddisfazione orgogliosa, di fronte al nostro grido di sconforto! Non essere che un'infima minoranza e scatenare un simile spiegamento di guerra! Ogni mattina gli scagliate i vostri fulmini, suonate disperatamente

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l'adunata come se la città corresse il pericolo di venire presa d'assalto! A sentirvi, bisognerebbe ristabilire il ghetto, avremmo di nuovo la via degli ebrei, da sbarrare ogni sera con le catene. Sarebbe veramente piacevole questa quarantena, nelle nostre città libere e aperte. Io non mi meraviglio che non si commuovano e che continuino a trionfare sui nostri mercati finanziari, poiché l'ingiuria è la freccia leggendaria che torna indietro per trafiggere l'occhio del cattivo arciere. Continuate, continuate a perseguitarli, se volete che continuino a vincere! La persecuzione: ma davvero siamo ancora a questo? Ci crogioliamo ancora nella bella fantasia, che perseguitando qualcuno lo si sopprima? Via, è proprio il contrario, se una causa s'è ingrandita è perché è stata arrossata dal sangue dei martiri. Se ci sono ancora degli ebrei, la colpa è nostra. Sarebbero scomparsi, si sarebbero fusi, se non li avessimo costretti a difendersi, a raggrupparsi, a intestardirsi nella loro razza. E ancora oggi, la loro potenza più reale viene da noi, che esagerandola la

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rendiamo importante. Si finisce per crearlo, un pericolo, gridando ogni mattina che esiste. A forza di mostrare al popolo uno spauracchio, si crea il mostro reale. Non parliamone più. Il giorno in cui l'ebreo sarà un uomo come noi, sarà nostro fratello. Quanto alla tattica indicata, è assolutamente opposta. Occorre spalancare le braccia, realizzare socialmente l'uguaglianza riconosciuta dal codice. Abbracciare gli ebrei, per assorbirli e confonderli con noi. Arricchirci delle loro qualità, poiché ne hanno. Far cessare la guerra delle razze mescolando le razze. Incoraggiare i matrimoni, affidare ai figli la cura di riconciliare i padri. Solo così si fa opera d'unità, opera umana e liberatrice. L'antisemitismo, nei paesi dove ha un'importanza reale, non è altro che l'arma di un partito politico o il risultato di una grave situazione economica. Ma in Francia, dove non è vero, come si vorrebbe farci credere, che gli ebrei siano i padroni assoluti del potere e del denaro,

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l'antisemitismo resta una cosa campata in aria, senza radice alcuna nel popolo. Per creare una parvenza di movimento, che in fondo è soltanto uno schiamazzo, c'è voluto il fanatismo di alcuni cervelli fumosi, in cui si agita un losco cattolicesimo settario che, per un abuso di letteratura, perseguita perfino nei Rothschild i discendenti di quel Giuda che ha tradito e crocefisso il suo Dio. Aggiungo che il bisogno di fare chiasso, la smania di farsi leggere e di conquistare una notorietà clamorosa, sicuramente non sono stati estranei a questa accensione e a questo pubblico discorrere di roghi, le cui fiamme sono per fortuna soltanto decorative. E che smacco penoso! Mesi e mesi di ingiurie, di delazioni, ebrei denunciati ogni giorno come ladri e assassini, cristiani stessi tacciati di essere ebrei al fine di poterli colpire, l'intero mondo ebraico braccato, insultato, condannato! E, al fine, null'altro che baccano, parole grosse, sfoggio di basse passioni, ma non un atto, non un assembramento, non una testa rotta né un vetro fracassato! Il nostro popolo francese dev'essere

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proprio un popolo buono, saggio, onesto, per non ascoltare appelli quotidiani alla guerra civile, per conservare la ragione in mezzo a queste istigazioni abominevoli, a questa quotidiana richiesta del sangue di un ebreo! Non è più con un prete che il giornale fa colazione ogni mattina, ma con un ebreo, il più grasso, il più florido che si possa trovare. Un pasto mediocre quanto l'altro, e per lo meno altrettanto sciocco. E che cosa resta di tutto ciò? Soltanto la bassezza dello sforzo compiuto, il più folle e il più esecrabile che si possa compiere. Anche il più inutile, a Dio piacendo, poiché i passanti non si voltano neppure, per la strada, trattando gli energumeni alla stregua di cani in chiesa, e per di più rognosi. La cosa straordinaria è che costoro ostentano la pretesa di fare opera indispensabile e giusta. Quanto li compiango, poveri diavoli, se sono in buona fede! E' un documento spaventoso, quello che lasceranno di se stessi: un cumulo di errori, di menzogne, di invidia furibonda, di follia senza limiti, che essi ammassano giorno per giorno. Quando un critico vorrà calarsi in questo pantano, indietreggerà inorridito nel constatare

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che alla base c'è solo fanatismo religioso e squilibrio dell'intelletto. E verranno messi alla berlina della storia come malfattori sociali, i cui crimini sono abortiti proprio in grazia dello stato di ottenebramento in cui sono stati commessi. Perché la cosa che non finisce mai di stupirmi è che un simile ritorno di fanatismo, un tale tentativo di guerra religiosa si sia potuto produrre nella nostra epoca, nella nostra grande Parigi, tra il nostro bravo popolo. E per di più in tempi di democrazia, di tolleranza universale, mentre si manifesta ovunque un immenso movimento verso l'uguaglianza, la fraternità e la giustizia! C'è, in noi, la tendenza a distruggere le frontiere, a sognare le comunità dei popoli, a riunire le religioni a congresso perché i sacerdoti di tutti i culti si abbraccino, a sentirci fratelli nel dolore, a volerci salvare tutti dalla miseria di vivere con l'elevare un unico altare alla pietà umana! E c'è un pugno di pazzi, di imbecilli, o di furbi, che ogni mattina gridano: "Uccidiamo gli ebrei, divoriamo gli ebrei, massacriamo, sterminiamo, ritorniamo ai roghi, alle persecuzioni care ai dragoni di Luigi

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Quattordicesimo!" Veramente ben scelto, il momento! Non potrebbe esserci nulla di più idiota, se non ci fosse niente di più abominevole. Che ci sia, tra le mani di qualche ebreo, un doloroso accaparramento della ricchezza, è un fatto innegabile. Ma lo stesso accaparramento esiste anche tra alcuni cattolici e alcuni protestanti. Sfruttare le rivolte popolari col metterle al servizio di un fanatismo religioso, gettare soprattutto l'ebreo in pasto alle rivendicazioni dei diseredati, con il pretesto di gettarci il riccone, è un socialismo ipocrita e menzognero, che bisogna denunciare, marchiare d'infamia. Se un giorno la legge del lavoro verrà formulata in nome della verità e della felicità, potrà ricreare l'umanità intera; e poco importerà che uno sia ebreo o cristiano, poiché i conti da rendere saranno gli stessi, e gli stessi saranno i nuovi diritti e i nuovi doveri. Eppure è all'unità umana, alla quale dobbiamo tutti insieme sforzarci di credere, se vogliamo avere il coraggio di vivere e se, nella lotta, vogliamo conservare qualche speranza! E' un grido ancora incerto, ma che a poco a poco si

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libera, si gonfia, sale da tutti i popoli affamati di verità, di giustizia e di pace. Disarmiamo i nostri odi, amiamoci nelle nostre città, amiamoci al di sopra delle frontiere, lavoriamo a fondere le razze in un'unica famiglia, finalmente felice! Ammettiamo pure che occorrano i millenni, ma confidiamo almeno nella realizzazione finale dell'amore, per cominciare se non altro ad amarci, oggi, quel tanto che la miseria dei tempi attuali ce lo permetterà. E lasciamo i pazzi, lasciamo i cattivi tornare alla barbarie e alle caverne, quelli che credono di poter fare giustizia a coltellate. Che Gesù dica ai suoi fedeli esasperati che egli ha perdonato agli ebrei, e che gli ebrei sono uomini!

SCHEURER-KESTNER.

Articolo pubblicato su "Le Figaro" il 25 novembre 1897. Che dramma straziante, e quali splendidi personaggi! Di fronte a documenti di una bellezza così tragica che la vita ci mette davanti, il

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mio cuore di romanziere freme di appassionata ammirazione. Non so intravedere una psicologia più nobile. Non è mia intenzione parlare del caso. Se talune circostanze mi hanno permesso di studiarlo e di farmene un'opinione formale, non dimentico che un'inchiesta è in corso, che la giustizia se ne sta occupando e che per onestà è giusto attendere, senza contribuire all'ammasso di pettegolezzi volti a ostruire un caso così chiaro e così semplice. Ma i personaggi, da questo momento, appartengono a me, che sono soltanto un passante con gli occhi aperti sulla vita. E se il condannato di tre anni or sono e l'accusato d'oggi per me rimangono sacri fino a che la giustizia non avrà completato la sua opera, il terzo grande personaggio del dramma, l'accusatore, non avrà certo a soffrire se parlerò di lui con onestà e con coraggio. Ecco che cosa ho visto di Scheurer-Kestner, ecco che cosa penso e che cosa affermo. Forse un giorno, se le circostanze lo permetteranno, parlerò degli altri due.

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Una vita cristallina, la più nitida, la più diritta. Non una tara, mai la più piccola debolezza. Una medesima opinione, costantemente seguita, senza ambizione militante, sfociata in un'altra posizione politica dovuta unicamente alla simpatia rispettosa dei suoi pari. E non un sognatore, né un utopista. Un industriale, che ha vissuto chiuso nel suo laboratorio, dedito a ricerche particolari, senza contare la preoccupazione quotidiana di una grande ditta commerciale da mandare avanti. Ed anche una situazione patrimoniale invidiabile. Tutte le ricchezze, tutti gli onori, tutte le gioie, il coronamento di una bella vita interamente dedicata al lavoro e alla lealtà. Più un solo desiderio da esprimere, ossia quello di finire in modo degno, in questa felicità e nella stima generale. Eccolo, l'uomo. Lo conoscono tutti, non vedo chi mi potrebbe smentire. Ed è proprio l'uomo attorno al quale si sta per svolgere uno dei drammi più tragici e più appassionati. Un giorno, un dubbio si affaccia nel suo spirito, poiché è un dubbio che è nell'aria e che ha già rubato varie

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coscienze. Un tribunale militare ha condannato, per alto tradimento, un capitano che, chissà, forse è innocente. Il castigo è stato tremendo, la degradazione pubblica, l'internamento in un luogo lontano, l'esecrazione di tutto un popolo che si accanisce, infierendo sull'infelice già a terra. E, qualora fosse innocente, gran Dio! che brivido di pietà, che orrore agghiacciante! al pensiero che non ci sarebbe riparazione possibile. Nello spirito del signor Scheurer-Kestner, è nato il dubbio. Da quel momento, come ha spiegato lui stesso, inizia il tormento, rinasce l'ossessione man mano che le cose gli giungono all'orecchio. E' un'intelligenza solida e logica quella che, a poco a poco, finisce per essere conquistata dal bisogno insaziabile della verità. Non c'è nulla di più alto, di più nobile e il travaglio che quest'uomo ha vissuto è uno spettacolo straordinario ed entusiasmante, per me, portato come sono dal mio mestiere a scrutare nelle coscienze. Il dibattito sulla verità e in nome della giustizia, non esiste lotta più eroica. In breve, alla fine Scheurer-Kestner giunge alla

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certezza. La verità la conosce, ora deve fare giustizia. E' un momento pauroso e posso immaginare cosa debba essere stato per lui quel momento d'angoscia. Non gli erano certo ignote le tempeste che stava per sollevare, ma la verità e la giustizia sono sovrane, poiché esse soltanto assicurano la grandezza delle nazioni. Può accadere che interessi politici le oscurino per qualche istante, ma un popolo che non basi su di esse la sua unica ragione d'essere sarebbe, oggi, un popolo condannato. Fare luce sulla verità, certo; ma potremmo avere l'ambizione di farcene un vanto. Alcuni la vendono, altri vogliono almeno trarre vantaggio dall'averla detta. Il progetto di Scheurer-Kestner era di restare nell'ombra, pur compiendo la sua opera. Aveva deciso di dire al governo: "Le cose stanno così. Intervenite, abbiate voi stessi il merito d'essere giusti, riparando a un errore. Chi fa giustizia, trionfa sempre". Circostanze delle quali non voglio parlare fecero sì che non venisse ascoltato. Da quel momento in poi, ebbe inizio la sua

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ascesa al calvario, un'ascesa che dura da settimane. Si era sparsa la voce che egli fosse in possesso della verità, e chi detiene la verità, senza gridarla ai quattro venti, che altro può essere se non un nemico pubblico? Stoicamente, per quindici giorni interminabili, rimase fedele alla parola data di tacere, sempre nella speranza di non doversi ridurre a prendere il posto di quelli che avrebbero dovuto agire. E sappiamo bene quale marea d'invettive e di minacce si sia abbattuta su di lui durante questi quindici giorni; un vero torrente di accuse immonde, di fronte al quale è rimasto impassibile, a testa alta. Perché taceva? Perché non mostrava il suo incartamento a chiunque lo volesse vedere? Perché non faceva come gli altri che riempivano i giornali delle loro confidenze? Quanto, ah, quanto è stato grande e saggio! Taceva, perfino al di là della promessa fatta, proprio perché si sentiva responsabile nei confronti della verità. Una povera verità, nuda e tremebonda, schernita da tutti e che tutti sembravano avere interesse a soffocare, lui pensava soltanto a proteggerla contro l'ira e le

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passioni altrui. Aveva giurato a se stesso che non l'avrebbero fatta sparire e intendeva scegliere il momento e i mezzi adatti per assicurarle il trionfo. Che può mai esserci di più naturale, di più lodevole? Per me non esiste niente di più sovranamente bello del silenzio di Scheurer-Kestner, dopo tre settimane di ingiurie e di sospetti da parte di un intero popolo fuori di sé. Ispiratevi a lui, romanzieri! In lui sì avreste un eroe! I più benevoli hanno avanzato dubbi sul suo stato di salute mentale. Non era per caso un vegliardo indebolito, caduto nell'infantilismo senile, uno di quegli spiriti che il rimbambimento incipiente rende inclini alla credulità? Gli altri, i pazzi e i delinquenti, l'hanno accusato senza tante cerimonie d'essersi lasciato "comprare" Semplicissimo: gli ebrei hanno sborsato un milione per acquistare tanta incoscienza. E non si è levata una risata immensa, come risposta a tanta stupidità! Scheurer-Kestner, è là, con la sua vita cristallina. Fate un confronto tra lui e gli altri, quelli che lo accusano e lo insultano, e giudicate.

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Bisogna scegliere tra questo e quelli. Trovatela, la ragione che lo farebbe agire, al di fuori del suo bisogno così nobile di verità e di giustizia. Coperto d'ingiurie, l'animo lacerato, sentendo vacillare il suo prestigio sotto di sé, ma pronto a sacrificare tutto pur di portare a buon esito il suo eroico compito, egli tace, aspetta. Fino a che punto si può essere grandi! L'ho detto, del caso in sé non mi voglio occupare. Tuttavia, è bene che io lo ripeta: è il più semplice, il più trasparente del mondo, per chi voglia prenderlo per quello che è. Un errore giudiziario, eventualità deplorevole, sì, ma sempre possibile. Sbagliano i magistrati, possono sbagliare i militari. Cos'ha a che fare, questo, con l'onore dell'esercito? L'unico bel gesto, qualora sia stato commesso un errore, è di porvi riparo: e la colpa nascerebbe nel momento in cui qualcuno s'intestardisse a non voler ammettere di essersi sbagliato, nemmeno di fronte a prove decisive. Non ci sono altre difficoltà, in fondo. Andrà tutto bene, purché si sia decisi a riconoscere di aver potuto commettere un

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errore e di avere esitato, in seguito, a convenirne, perché era imbarazzante. Quelli che sanno, mi capiranno. Quanto al temere complicazioni diplomatiche, è uno spauracchio per gli allocchi. Nessuna delle potenze vicine ha niente a che spartire con il caso e converrà dirlo forte. Ci troviamo soltanto di fronte a un'opinione pubblica esasperata, sovraffaticata da una campagna che è tra le più odiose. La stampa è una forza necessaria; sono convinto che nel complesso faccia più bene che male. Ma certi giornali, quelli che gettano lo scompiglio, quelli che seminano il panico, che vivono di scandali per triplicare le vendite, non sono certo meno colpevoli. L'antisemitismo idiota ha gettato il seme di questa demenza. La delazione è dappertutto, nemmeno i più puri e più coraggiosi osano fare il loro dovere per il timore di venire infangati. E così, eccoci in questo orribile caos, nel quale tutti i sentimenti sono falsati, in cui non è possibile volere la giustizia senza venire trattati da rimbambiti o da venduti. Le menzogne mettono radici, le storie più assurde vengono

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riportate con sussiego dai giornali seri, l'intera nazione sembra in preda alla follia, quando un po di buon senso rimetterebbe subito a posto le cose. Oh, come sarà semplice, torno a dirlo, il giorno in cui quelli che sono alla guida oseranno, nonostante la folla aizzata, comportarsi da galantuomini! Immagino che nel silenzio altero di Scheurer-Kestner, ci sia anche il desiderio di aspettare che ciascuno faccia il suo esame di coscienza prima di agire. Quando ha parlato del suo dovere che, perfino sulle rovine del suo prestigio, della sua felicità e dei suoi beni, gli ordinava, dopo averla conosciuta, di servire la verità, quest'uomo ha detto una frase ammirevole: "Non avrei più potuto vivere" Ebbene, ecco che cosa devono dirsi tutte le persone oneste immischiate in questa storia: che non potranno più vivere, se non faranno giustizia. E, qualora ragioni politiche volessero che la giustizia venisse ritardata, si tratterebbe di una notizia falsa che servirebbe soltanto a rinviare l'epilogo inevitabile, aggravandolo ulteriormente. La verità è in cammino e niente la potrà fermare.

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IL SINDACATO.

Articolo Pubblicato su "Le Figaro" il primo dicembre 1897. Contavo di scrivere per "Le Figaro" tutta una serie di articoli sul caso Dreyfus, un'intera campagna, via via che gli avvenimenti si fossero svolti. Per caso, durante una passeggiata, ne avevo incontrato il direttore, Fernand de Rodays. Ci eravamo messi a discorrere, accalorandoci, proprio in mezzo ai passanti, e da lì era nata bruscamente la mia decisione di offrirgli degli articoli, avendolo sentito d'accordo con me. Mi trovavo così impegnato, quasi senza volerlo. Aggiungo, tuttavia, che prima o poi ne avrei parlato, poiché tacere mi era impossibile. Non dimentichiamo con quale vigore "Le Figaro" cominciò e soprattutto finì per sposare la causa. Il concetto è noto. Ed è di una bassezza e di una stupidità semplicistica, degne di quelli che l'hanno immaginato. Il capitano Dreyfus viene condannato da un tribunale militare per alto tradimento. Da quel

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momento, diventa il traditore, non più un uomo ma un'astrazione, colui che incarna l'idea della patria sgozzata, venduta al nemico vincitore. Non si tratta solo di tradimento presente e futuro, rappresenta pure il tradimento passato, poiché a lui si ascrive l'antica sconfitta, nell'ostinata convinzione che solo il tradimento abbia potuto far sì che fossimo battuti. Ecco quindi l'anima nera, il personaggio abominevole, la vergogna dell'esercito, il bandito che vende i fratelli, proprio come Giuda ha venduto il suo Dio. E, trattandosi di un ebreo, è semplicissimo: gli ebrei che sono ricchi e potenti e senza patria, del resto, lavoreranno sott'acqua, con i loro milioni, per toglierlo dai guai; compreranno le coscienze e tesseranno attorno alla Francia un complotto esecrabile pur di ottenere la riabilitazione del colpevole, pronti a sostituirgli un innocente. La famiglia del condannato, anch'essa ebrea, naturalmente, entra nell'affare. Affare sì, poiché è a peso d'oro che si tenterà di disonorare la giustizia, d'imporre la menzogna, di sporcare un popolo con la più impudente delle campagne. Il

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tutto per salvare un ebreo dall'infamia e sostituirlo con un cristiano. Insomma, si crea quasi un consorzio finanziario. Vale a dire che alcuni banchieri si riuniscono, mettono dei fondi in comune, sfruttano la credulità pubblica. Da qualche parte, c'è una cassa che paga per tutto il fango smosso. C'è una vasta impresa tenebrosa, uomini mascherati, forti somme consegnate di notte, sotto i ponti, a degli sconosciuti, ci sono grandi personaggi da corrompere, pagandone a prezzi folli l'antica onestà. E a poco a poco questo sindacato si allarga, finisce per essere un'organizzazione potente, nell'ombra, tutta una spudorata cospirazione per glorificare il traditore e per annegare la Francia sotto una marea d'ignominia. Esaminiamolo, questo sindacato. Gli ebrei si sono arricchiti, e sono loro a pagare l'onore dei complici, profumatamente. Mio Dio, chissà quanto avranno già speso! Ma, se sono arrivati appena a una decina di milioni, capisco benissimo che li abbiamo sacrificati. Siamo di fronte a cittadini francesi, nostri uguali e nostri

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fratelli, che l'antisemitismo imbecille trascina quotidianamente nel fango. Si è tentato di schiacciarli per mezzo del capitano Dreyfus; del crimine di uno di loro, si è cercato di fare il crimine di un'intera razza. Tutti traditori, tutti venduti, tutti da condannare. E volete che gli stessi non protestino furiosamente, non cerchino di discolparsi, di restituire colpo su colpo in questa guerra di sterminio della quale sono oggetto? Va da sé, naturalmente, che si augurino con tutto il cuore di vedere risplendere l'innocenza del loro correligionario; e se la riabilitazione appare loro possibile, chissà con quanto ardore si staranno impegnando per ottenerla. Ciò che mi lascia perplesso è che, se esiste uno sportello dove si va a riscuotere, non ci sia nel sindacato qualche autentico briccone. Vediamo un po, voi li conoscete bene: come si spiega che il tale, o il tal altro, o il tal altro ancora, non lo siano? E' incredibile, ma tutta la gente che si dice gli ebrei abbiano comprato gode di una solida reputazione di probità. C'è forse un fondo di civetteria? Forse, gli ebrei

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vogliono soltanto merce rara, essendo disposti a pagarla? Io, però, dubito molto di questo sportello, anche se sarei prontissimo a giustificare gli ebrei qualora, portati all'esasperazione, si difendessero con i loro milioni. In un massacro, ognuno si serve di quello che ha. E parlo di loro con la massima tranquillità perché non li amo e non li odio. Non ho amici ebrei particolarmente vicini al mio cuore. Per me sono uomini, e tanto basta. Ma per la famiglia del capitano Dreyfus è ben diverso, e qui se qualcuno non comprendesse, non s'inchinasse, sarebbe un cuore davvero arido. Sia ben chiaro! tutto il suo oro, tutto il suo sangue, la famiglia ha il diritto e il dovere di offrirlo, se crede innocente il suo rampollo. Quella è una soglia sacra che nessuno ha il diritto di insozzare. In quella casa che piange, dove c'è una moglie, dei fratelli, dei genitori in lutto, è d'obbligo entrare con il cappello in mano; e soltanto gli zotici si permettono di parlare ad alta voce e mostrarsi insolenti. Il fratello del traditore! è l'insulto che si getta in faccia a quel fratello. Sotto quale morale, sotto

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quale Dio viviamo, mi chiedo, perché ciò sia possibile, perché la colpa di uno dei componenti venga rimproverata a tutta la famiglia? Non c'è niente di più vile, di più indegno della nostra cultura e della nostra generosità. I giornali che ingiuriano il fratello del capitano Dreyfus, solo perché ha fatto il suo dovere, sono un'onta per la stampa francese. E chi mai doveva parlare, se non lui? E' compito suo. Quando la sua voce si è levata a chiedere giustizia, nessuno più aveva il diritto d'intervenire, si sono fatti tutti da parte. Lui solo aveva la veste per sollevare la spinosa questione di un possibile errore giudiziario, della verità su cui far luce, una verità lampante. Hanno un bell'accumulare ingiurie, nessuno potrà oscurare il concetto che la difesa dell'assente l'hanno in mano quelli del suo sangue, che hanno conservato la speranza e la fede. E la prova morale più forte in favore dell'innocenza del condannato è proprio la convinzione incrollabile di un'intera e onorata famiglia, di una probità e di un patriottismo senza macchia. Poi, dopo gli ebrei fondatori, dopo la famiglia

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che ne è a capo, vengono i semplici membri del sindacato, quelli che si sono fatti comprare. Due tra i più anziani sono Bernard Lazare e il comandante Forzinetti. In seguito, sono venuti Scheurer-Kestner e Monod. Ultimamente, si è scoperto il colonnello Picquart, senza contare Leblois. E spero bene, dopo il mio primo articolo, di far parte pure io della banda. Del resto, appartiene al sindacato, viene tacciato d'essere un malfattore e d'essere stato pagato, chiunque, ossessionato dall'agghiacciante brivido di un possibile errore giudiziario, si permetta di volere che sia fatta la verità, in nome della giustizia. Siete stati voi a volerlo, a crearlo, questo sindacato. Voi tutti che contribuite a questo spaventoso caos, voi falsi patrioti, antisemiti sbraitanti, semplici sfruttatori della pubblica sconfitta. La prova non è forse completa, di una luminosità solare? Se ci fosse stato un sindacato, ci sarebbe stata un'intesa; e dov'è l'intesa? E' semplicemente nato in alcune coscienze, all'indomani della condanna, un senso di malessere, un dubbio, di fronte all'infelice che

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grida a tutti la sua innocenza. La crisi terribile, la pubblica follia alla quale assistiamo, è sicuramente partita da lì, dal lieve brivido rimasto negli animi. Ed è il comandante Forzinetti l'uomo di quel brivido che tanti altri hanno provato, quello che ce ne ha fatto un racconto così cocente. Poi, c'è Bernard Lazare. Preso dal dubbio, lavora a far luce. La sua inchiesta solitaria si svolge però in mezzo a tenebre che gli è impossibile diradare. Pubblica un opuscolo, ne fa uscire un secondo alla vigilia delle sue rivelazioni di oggi; e la prova che lavorava da solo, che non era in relazione con nessun altro membro del sindacato, è che non ha saputo, non ha potuto dire niente della verità vera. Un sindacato proprio strano, i cui membri si ignorano! C'è poi Scheurer-Kestner, a sua volta torturato dal bisogno di verità e di giustizia, e che cerca, tenta di arrivare a una certezza, senza sapere niente dell'inchiesta ufficiale ufficiale, dico - che contemporaneamente veniva svolta dal colonnello Picquart, messo sulla buona strada dalle sue stesse funzioni presso il ministero della

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Guerra. C'è voluto un caso, un incontro, come si saprà in seguito, perché i due uomini che non si conoscevano, che lavoravano ognuno per conto proprio alla stessa opera, finissero all'ultimo momento per raggiungersi e procedere fianco a fianco. La storia del sindacato è tutta qui: uomini di buona volontà, di verità e di equità, partiti dai quattro punti cardinali, senza conoscersi e lavorando a leghe di distanza, ma incamminati tutti verso uno stesso fine, procedendo in silenzio, esplorando il terreno e convergendo tutti un bel mattino verso lo stesso punto d'arrivo. Com'era inevitabile, si sono trovati tutti e presi per mano a quel crocevia della verità, a quel fatale appuntamento della giustizia. Come vedete siete voi che, ora, li riunite, li costringete a serrare i ranghi per dedicarsi a un medesimo sforzo sano e onesto, questi uomini che voi coprite d'insulti, che accusate del più nero complotto, quando miravano unicamente a un'opera di suprema riparazione. Dieci, venti giornali, ai quali si mescolano le passioni e gli interessi più diversi, una stampa

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ignobile che non posso leggere senza che mi si spezzi il cuore per lo sdegno, non ha cessato, come dicevo, di convincere il pubblico che un sindacato di ebrei fosse impegnato nel più esecrabile dei complotti, acquistando le coscienze a peso d'oro. Lo scopo era in un primo momento quello di salvare il traditore e sostituirlo con un innocente; poi, quello di disonorare l'esercito, di vendere la Francia come nel 1870. Sorvolo sui romanzeschi particolari della tenebrosa macchinazione. E questa opinione, lo riconosco, è diventata quella della grande maggioranza del pubblico. Quante persone ingenue mi hanno avvicinato in questi otto giorni, per dirmi con aria stupefatta: "Come! Dite che Scheurer-Kestner non è un bandito? e anche voi vi mettete con quella gentaglia? Ma non lo sapete che hanno venduto la Francia?” Il cuore mi si stringe per l'angoscia, perché so bene che una simile perversione dell'opinione pubblica rende molto facile imbrogliare le carte. E il peggio è che i coraggiosi sono rari, quando c'è da andare controcorrente. Quanti ti

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mormorano all'orecchio di essere convinti dell'innocenza del capitano Dreyfus, ma che non se la sentono di assumere un atteggiamento pericoloso, nella mischia! Dietro l'opinione pubblica, sulla quale contano naturalmente di potersi appoggiare, ci sono gli uffici del ministero della Guerra. Non voglio parlarne, oggi, perché ancora spero che giustizia sarà fatta. Ma chi non si rende conto che siamo di fronte alla cattiva volontà più cocciuta? Non si vuole riconoscere di aver commesso degli errori e, vorrei dire, delle colpe. Ci si ostina a coprire i personaggi compromessi e si è pronti a tutto, pur di evitare il tremendo repulisti. E la cosa è talmente grave, che gli stessi che hanno in mano la verità, dai quali si esige furiosamente che la dicano, esitano, aspettano a gridarla pubblicamente, nella speranza che la stessa si imponga da sé e che venga loro risparmiato il dolore di doverla dire. Ma è pur sempre una verità quella che, da oggi, io vorrei diffondere in tutta la Francia. Ossia che si è sul punto di farle commettere, a lei che è la giusta, la generosa, un autentico crimine. Non è

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più la Francia, dunque, perché si possa ingannarla a tal punto, aizzarla contro un infelice che, da tre anni, espia, in condizioni atroci, un crimine che non ha commesso? Sì, esiste laggiù, in un'isola sperduta, sotto un sole spietato, un essere che è stato separato dai suoi simili. E non solo il mare lo isola, ma undici guardiani lo circondano notte e giorno come una muraglia vivente. Undici uomini sono stati immobilizzati per sorvegliarne uno solo. Mai assassino, mai pazzo furioso è stato murato in modo così totale. E l'eterno silenzio e la lenta agonia sotto l'esecrazione di una nazione intera! Osereste dire, ora, che quest'uomo non è colpevole? Ebbene, è proprio quello che affermiamo, noi, gli appartenenti al sindacato. E lo diciamo alla Francia e ci auguriamo che prima o poi ci ascolti poiché sempre essa si infervora per le cause giuste e belle. Le diciamo che noi vogliamo l'onore dell'esercito, la grandezza della nazione. E' stato commesso un errore giudiziario e, finché non sarà riparato, la Francia soffrirà, malaticcia, come per un cancro segreto che corrode a poco a poco le armi. E se, per farla ritornare sana, è

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necessario ricorrere al bisturi, si faccia! Un sindacato per agire sull'opinione pubblica, per guarirla dalla demenza in cui l'ha gettata certa ignobile stampa, per riportarla alla sua fierezza, alla sua secolare generosità. Un sindacato per ripetere ogni mattina che le nostre relazioni diplomatiche non sono in gioco, che l'onore dell'esercito non è affatto in causa, che solo alcune individualità possono essere compromesse. Un sindacato per dimostrare che qualsiasi errore giudiziario è riparabile, e che perseverare in un errore del genere, con il pretesto che un consiglio di guerra non può sbagliarsi, è la più mostruosa delle ostinazioni, la più spaventosa delle infallibilità. Un sindacato per condurre una campagna fino a che verità sia detta, fino a che giustizia sia resa, al di là di tutti gli ostacoli, quand'anche occorressero ancora anni di lotta. Sì, di questo sindacato faccio parte anch'io e spero tanto che voglia farne parte tutta la brava gente di Francia!

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PROCESSO VERBALE.

Articolo pubblicato su "Le Figaro" il 5 dicembre 1897. Quello che leggerete è il terzo e ultimo articolo che mi fu permesso di dare a "Le Figaro" Ho avuto persino qualche difficoltà a farlo passare e, come si vedrà, ritenni saggio congedarmi con lo stesso dal pubblico, intuendo che mi sarei trovato nell'impossibilità di continuare la mia campagna, che tanto turbava i lettori abituali del giornale. Riconosco perfettamente, a un giornale, la necessità di fare i conti con le abitudini e le passioni della sua clientela. Perciò, ogni volta che ho subito questo genere di battuta d'arresto, me la sono presa soltanto con me stesso, per essermi sbagliato sul terreno e sulle condizioni di lotta. "Le Figaro" si è dimostrato comunque coraggioso nell'accettare i miei tre articoli, e io lo ringrazio. Ah! quale spettacolo, dopo tre settimane, e quali tragici, indimenticabili giorni abbiamo attraversato! Non ne ricordo altri che abbiano suscitato in me tanta umanità, tanta angoscia e

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tanta generosa collera. Esasperato, ho vissuto nell'odio della stupidità e della malafede, a tal punto assetato di verità e di giustizia da riuscire a comprendere i grandi moti dell'anima che possono portare un placido borghese al martirio. In verità, si è trattato di uno spettacolo inaudito, che per brutalità, per sfrontatezza, per ammissioni ignobili andava al di là di tutto quello che di più istintivo e di più vile abbia mai confessato la belva umana. Un simile esempio di follia e di perversione da parte di una folla è raro ed è sicuramente per questo che, oltre a ribellarmi come uomo, mi sono tanto appassionato come romanziere, come drammaturgo, sconvolto dall'entusiasmo di fronte a un caso di così tremenda bellezza. Oggi, ecco, la storia entra nella fase regolare e logica, quella che abbiamo desiderato, che abbiamo incessantemente chiesto. Un tribunale militare è all'opera, il nuovo processo ha come scopo la verità, e noi ne siamo convinti. Non abbiamo mai voluto altro. Non resta, ora, che tacere e aspettare, perché non siamo noi a doverla dire, la verità, è il Consiglio di guerra che

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la deve accertare, renderla lampante. E non ci sarà un nostro nuovo intervento, a meno che essa non ne esca incompleta ed è un'ipotesi del tutto inammissibile. Ma, essendo terminata la prima fase, vero caos in piena tenebra, vero scandalo in cui tante coscienze sporche si sono messe a nudo, dev'esserne redatto il processo verbale, bisogna trarne le conclusioni. Perché, nella profonda tristezza delle constatazioni che si impongono, c'è l'ammaestramento virile, il ferro rovente con cui si cauterizzano le piaghe. Riflettiamoci: l'orrendo spettacolo che abbiamo appena dato a noi stessi deve guarirci. Per cominciare, la stampa. Abbiamo visto la stampa scadente in fregola, intenta a battere moneta con le curiosità malsane, a guastare la folla per vendere le denigrazioni dei suoi scribacchini, che non trovano più compratori da quando la nazione è calma, sana e forte. Sono soprattutto i facinorosi della sera, i giornali di tolleranza che adescano i passanti con i loro titoli a caratteri cubitali, promettendo dissolutezza. Facevano il loro

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commercio abituale, ma con un'impudenza significativa. Abbiamo visto, un gradino più su, i giornali popolari, i giornali da un soldo, quelli che si rivolgono alla massa e che formano l'opinione dei più, rinfocolare passioni atroci, condurre furiosamente una campagna di settari, uccidendo nel nostro caro popolo di Francia ogni generosità, ogni desiderio di verità e di giustizia. Voglio credere alla loro buona fede. Ma quale tristezza, questi cervelli di polemisti invecchiati, di agitatori dementi, di patrioti meschini che, diventati conduttori di uomini, commettono il più nero dei crimini, quello di ottenebrarne la coscienza pubblica e di fuorviare un intero popolo! Quest'impresa è tanto più esecrabile quando è condotta, come in certi giornali, con una bassezza di mezzi, un'abitudine alla menzogna, alla diffamazione e alla delazione che rimarranno l'onta più grande della nostra epoca. Infine, abbiamo visto la grande stampa, la stampa detta seria e onesta, assistere a tutto questo con un'impassibilità, direi quasi una serenità stupefacente. Questi giornali onesti si

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sono accontentati di registrare tutto con cura scrupolosa, la verità come l'errore. Hanno lasciato che il fiume avvelenato scorresse, senza omettere un solo abominio. Sì, certo, questa è imparzialità. Però, a stento qua e là una timida valutazione, e non una sola voce alta e nobile, non una, capite? che si sia alzata da questa stampa onesta, per schierarsi dalla parte dell'umanità, dell'equità oltraggiata! E abbiamo visto soprattutto - poiché in mezzo a tanti orrori è sufficiente scegliere il più ripugnante - abbiamo visto la stampa, quella ignobile, continuare a difendere un ufficiale francese che aveva insultato l'esercito e sputato sulla nazione. Non basta! Abbiamo visto giornali che lo scusavano, altri che gli infliggevano il loro biasimo, sì, ma con qualche riserva. Ma come! non c'è stato un grido unanime di rivolta e di esecrazione! Che cos'è mai accaduto perché un crimine che in un altro momento avrebbe sollevato la coscienza pubblica in un bisogno furente di immediata repressione, abbia potuto trovare delle circostanze attenuanti in quegli stessi giornali tanto suscettibili in tema di fellonia

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e di tradimento? L'abbiamo visto, ripeto. E ignoro cosa abbia prodotto un sintomo come questo sugli altri spettatori, visto che nessuno parla, nessuno s'indigna. So che, per quanto mi riguarda, mi ha fatto rabbrividire, poiché rivela con inaspettata violenza la malattia di cui soffriamo. La stampa ignobile ha divorato la nazione e un accesso di quella perversione, di quella corruzione in cui essa l'ha gettata, ha finito per mettere l'ulcera completamente a nudo. L'antisemitismo, ora. E' il vero colpevole. Ho già detto come questa campagna barbara, che ci riporta indietro di secoli, offenda il mio bisogno di fraternità, la mia passione per la tolleranza e l'emancipazione umana. Ritornare alle guerre di religione, ricominciare le persecuzioni religiose, volere lo sterminio tra le razze, sono cose di un'assurdità tale, nel nostro secolo di affrancamento, che un simile tentativo mi sembra soprattutto imbecille. Non poteva nascere che da un cervello fumoso e squilibrato di credente, che da una grande

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vanità di scrittore rimasto a lungo sconosciuto e desideroso di recitare una parte a tutti i costi, sia pure odiosa. E non voglio ancora credere che un movimento del genere possa davvero prendere un'importanza decisiva in Francia, in questo paese di libero esame, di bontà fraterna e di limpida ragione. Eppure, assistiamo a misfatti terribili, devo confessare che il male è gravissimo. Il veleno è nel popolo, anche se il popolo non è tutto avvelenato. Dobbiamo all'antisemitismo la pericolosa virulenza che gli scandali di Panama hanno preso qui da noi. E questo penoso caso Dreyfus è tutta opera sua: soltanto l'antisemitismo ha reso possibile l'errore giudiziario e sconvolto oggi la folla, impedendo che quell'errore venga tranquillamente e nobilmente riconosciuto, per la nostra integrità e il nostro buon nome. Non c'era niente di più semplice e di più naturale del fare luce sulla verità, appena sorti i primi seri dubbi; come si può non capire che, perché si sia arrivati alla pazzia furiosa in cui ci troviamo, è giocoforza che ci sia un veleno nascosto che ci fa delirare tutti?

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Questo veleno è l'odio feroce contro gli ebrei che ogni mattina, da anni, viene versato al popolo. Sono una banda, quelli che fanno questo mestiere di avvelenatori, e il bello è che lo fanno in nome della morale, in nome di Cristo, atteggiandosi a vendicatori e a giustizieri. E chi ci dice che sul Consiglio di guerra non abbia agito l'ambiente stesso in cui esso deliberava? Un ebreo traditore che vende il suo paese, la cosa va da sé. E se anche non si trova alcuna ragione umana che spieghi il crimine, se anche l'imputato è ricco, savio, lavoratore, senza passioni e con una vita impeccabile, non basta forse il fatto che sia ebreo? Oggi, da quando cioè chiediamo che si faccia luce, l'atteggiamento dell'antisemitismo è ancora più violento, più tracotante. E' il suo processo, quello che si sta per istruire, e che schiaffo sarebbe per gli antisemiti qualora l'innocenza di un ebreo trionfasse! Un ebreo innocente. Possibile? Crolla tutta un'impalcatura di bugie, subentra l'aria pura, la buona fede, l'equità, ed è la rovina per una setta che agisce sulla folla degli

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ingenui solamente in forza dei suoi eccessi ingiuriosi e dell'impudenza delle sue calunnie. Ed ecco cos'altro abbiamo visto: il furore di questi malfattori pubblici al solo pensiero che si possa fare un po di luce. E inoltre, ahimè, abbiamo visto lo smarrimento della folla che costoro hanno pervertito, e tutta questa opinione pubblica sconvolta, tutto questo caro popolo di umili e di semplici, che oggi si scaglia contro gli ebrei e che domani farebbe una rivoluzione per liberare il capitano Dreyfus, se qualche onest'uomo lo infiammasse del fuoco sacro della giustizia. Infine, gli spettatori, gli attori, voi e io, noi tutti. Quale confusione, quale pantano accresciuto di continuo! Abbiamo visto infervorarsi di giorno in giorno la mischia delle passioni e degli interessi, e poi storie insulse, pettegolezzi vergognosi, smentite di inaudita impudenza, il semplice buon senso venire preso a schiaffi ogni mattina, il vizio acclamato, la virtù zittita, insomma l'agonia di tutto quello che costituisce l'onore e la gioia di vivere. Si è finito per odiarlo, tutto questo, certo! Ma chi aveva voluto questo stato

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di cose, chi lo trascinava per le lunghe? I nostri capi, quelli che, avvertiti da più di un anno, non osavano far niente. Inutile supplicarli, inutile preconizzare loro, fase per fase, la tremenda tempesta che si stava addensando. L'inchiesta l'avevano già fatta; l'incartamento l'avevano tra le mani. Ma fino all'ultima ora, nonostante le suppliche, si sono intestarditi nella loro inerzia, piuttosto che prendere in mano la situazione, per limitarla, a rischio di sacrificare subito le individualità compromesse. Il fiume di fango è straripato, com'era stato loro predetto, ed è colpa loro. Abbiamo visto energumeni trionfare con l'esigere la verità da quelli che dicevano di saperla, quando questi non potevano dirla finché c'era in corso un'inchiesta. La verità è stata detta al generale incaricato dell'inchiesta, e a lui soltanto è affidata la missione di farla conoscere. La verità sarà inoltre detta al giudice istruttore, e lui soltanto ha la veste per ascoltarla e per basare sulla stessa il suo atto di giustizia. La verità! che concezione ne avete, in un'avventura come questa, che scuote tutta

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un'organizzazione decrepita, per credere che sia un oggetto semplice e maneggevole, da tenere nel cavo della mano e da mettere quando si vuole in mano ad altri, come se fosse un sasso o una mela? La prova, ah sì, la prova che si pretendeva, immediata, come i bambini pretendono che si mostri loro il vento che passa. Siate pazienti e la vedrete splendere, la verità; ma occorrerà in ogni caso un po d'intelligenza e di probità morale. Abbiamo visto sfruttare vilmente il patriottismo, agitare lo spettro dello straniero in una questione d'onore che riguarda unicamente la famiglia francese. I peggiori rivoluzionari hanno gridato che si insultavano l'esercito e i suoi capi, quando, com'è giusto, si chiede solo di non metterli troppo in alto, fuori della portata di chiunque. E, di fronte ai caporioni, di fronte a qualche giornale che aizzava l'opinione pubblica, ha regnato il terrore. Non un esponente delle nostre assemblee ha avuto un grido da onest'uomo, tutti sono rimasti muti, esitanti, prigionieri dei loro gruppi, tutti hanno avuto paura dell'opinione pubblica, sicuramente

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preoccupati, in previsione delle prossime elezioni. Né un moderato, né un radicale, né un socialista, nessuno di quelli che dovrebbero tutelare le pubbliche libertà, si è ancora alzato a parlare secondo coscienza. Come volete che il paese sappia orientarsi nella tormenta, se quegli stessi che si dicono sue guide tacciono per meschina tattica di politicanti oppure per il timore di compromettere la loro situazione personale? E lo spettacolo è stato così penoso, così crudele, così duro per la nostra fierezza, che intorno a me sento ripetere: "La Francia è proprio malata perché abbia potuto prodursi una simile crisi di aberrazione pubblica" No! è soltanto sviata, fuori di sé del suo cuore e della sua indole. Le si parli il linguaggio dell'umanità e della giustizia e si ritroverà intera, nella sua generosità leggendaria. Il primo atto è terminato, sull'orrendo caso è calato il sipario. Auguriamoci che lo spettacolo di domani ci consoli e ci ridia coraggio. Ho detto che la verità era in cammino e che

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niente l'avrebbe fermata. Un primo passo è fatto, un altro si farà, poi un altro, poi il passo decisivo. E' matematico. Per il momento, in attesa della decisione del Consiglio di guerra, la mia parte è terminata; ed è mio ardente desiderio che, fatta la verità, resa giustizia, io non debba più lottare né per l'una né per l'altra.

LETTERA ALLA GIOVENTU'

Pubblicata sull'opuscolo messo in vendita il 14 dicembre 1897. Visto che nessun giornale, in quel momento, sembrava disposto ad accettare i miei articoli e poiché desideravo essere assolutamente libero, concepii il progetto di continuare la mia campagna per mezzo d'una serie di opuscoli. In un primo momento avevo pensato di pubblicarli regolarmente, a giorni fissi, uno alla settimana. Poi, preferii rimanere padrone delle date di pubblicazione, in modo da scegliere le mie ore e da intervenire sugli argomenti soltanto nei giorni in cui l'avrei giudicato utile.

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Dove andate, giovani, dove andate, bande di studenti che correte per le strade, manifestando in nome delle vostre collere e dei vostri entusiasmi, provando il bisogno imperioso di levare pubblicamente il grido delle vostre coscienze indignate? Andate a protestare contro qualche abuso di potere, qualcuno ha offeso il bisogno di verità e di equità che ancora arde nelle vostre anime nuove, ignare dei compromessi politici e delle quotidiane viltà della vita? Andate a raddrizzare un torto sociale, a mettere la protesta della vostra gioventù vibrante sulla bilancia infida dove così falsamente si pesano la sorte dei fortunati e quella dei diseredati di questo mondo? Andate a fischiare per affermare la tolleranza, l'indipendenza della razza umana, qualche settario dell'intelligenza, dal cervello ristretto, che avrà tentato di ricondurre i vostri spiriti liberati all'antico errore, proclamando la bancarotta della scienza? Andate a gridare, sotto la finestra di qualche personaggio sfuggente e ipocrita, la vostra fede

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invincibile nell'avvenire, in quel secolo venturo che portate con voi e che deve realizzare la pace del mondo, in nome della giustizia e dell'amore? "No, no! andiamo a protestare contro un uomo, un vegliardo che, dopo una lunga vita di lavoro e di lealtà, ha creduto di poter impunemente sostenere una causa generosa, di volere che si facesse luce e che un errore venisse riparato per l'onore stesso della patria francese!” Ah, quando anch'io ero giovane, l'ho visto, il quartiere latino, fremere tutto delle accese passioni della gioventù: l'amore della libertà, l'odio verso la forza bruta che schiaccia i cervelli e comprime le anime. L'ho visto, sotto l'Impero, fare la sua coraggiosa opera di opposizione, perfino ingiusta a volte, ma sempre per eccesso di libera emancipazione umana. Fischiava gli autori graditi alle Tuileries, malmenava i professori il cui insegnamento gli sembrava sospetto, si levava contro chiunque si mostrasse a favore delle tenebre e della tirannia. Vi bruciava il sacro fuoco della bella follia dei vent'anni, quando tutte le speranze sono delle realtà e il domani appariva come il trionfo certo

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della Città perfetta. E se risalissimo più indietro, in questa storia delle nobili passioni che hanno sollevato la gioventù delle scuole, la vedremmo sempre indignarsi sotto l'ingiustizia, fremere e levarsi per gli umili, gli abbandonati, i perseguitati, contro i feroci e i potenti. Ha manifestato in favore dei popoli oppressi, si è dichiarata per la Polonia, per la Grecia, ha preso le difese di tutti quelli che soffrivano, che agonizzavano sotto la brutalità di una folla o di un despota. Quando si diceva che il quartiere latino si accendeva, si poteva star certi che, dietro, c'era qualche vampata di giustizia giovanile, incurante delle precauzioni, che reagiva con entusiasmo ai dettami del cuore. E quanta spontaneità, allora! era come se un fiume in piena straripasse per le strade. So bene che anche oggi il pretesto è la patria minacciata, la Francia consegnata al nemico vincitore da una banda di traditori. Soltanto, mi chiedo, dove troveremo la chiara intuizione delle cose, la sensazione istintiva di ciò che è vero, di ciò che è giusto, se non in queste anime nuove,

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in questi giovani che nascono alla vita politica, dei quali niente dovrebbe ancora oscurare la ragione diritta e sana? Che gli uomini politici, corrotti da anni di intrighi, o i giornalisti, squilibrati da tutti i compromessi del mestiere, possano accettare le menzogne più impudenti, far finta di non vedere cose che sono di una chiarezza abbagliante, è un fatto che si spiega, che si capisce. Ma la gioventù, via! dev'essere già molto incancrenita perché la sua purezza, il suo naturale candore, non si riconoscano a colpo d'occhio in mezzo a errori inaccettabili e non abbiano ogni diritto a quanto è evidente, limpido, di una luminosità onesta, da pieno giorno! Non c'è storia più semplice di così. Un ufficiale è stato condannato e nessuno si sogna di sospettare della buona fede dei giudici. L'hanno colpito secondo la loro coscienza, su prove che hanno ritenuto certe. Poi, succede un giorno che qualcuno, anzi più d'uno, abbia dei dubbi e che dal dubbio giunga poi alla convinzione che una delle prove, la più importante, o almeno la sola sulla quale i giudici si sono pubblicamente basati,

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è stata erroneamente attribuita al condannato e che il documento è sicuramente di mano di un altro. E lo dice, e quest'altro viene denunciato dal fratello del condannato, che aveva il preciso dovere di agire così; ed ecco che, per forza di cose, ha inizio un nuovo processo, processo che, se ci sarà condanna, dovrà condurre alla revisione del primo. C'è forse qualcosa di non perfettamente chiaro, giusto e ragionevole? Dov'è la macchinazione, dov'è il nero complotto per salvare un traditore? Che ci sia un traditore, nessuno lo nega; si vuole soltanto che a espiare il crimine sia un colpevole, non un innocente. Lo avrete ugualmente, il vostro traditore, si tratta soltanto di darvene uno autentico. Un po di buon senso non dovrebbe essere più che sufficiente? A quale movente obbedirebbero mai quelli che perseguono la revisione del processo Dreyfus? Lasciamo da parte l'antisemitismo imbecille, la cui feroce monomania ci vede un complotto ebreo, l'oro ebreo che si sforza di sostituire un cristiano a un ebreo nell'infame prigione. E' una teoria che non sta in piedi, le inverosimiglianze e le impossibilità

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crollano le une sulle altre, non basterebbe tutto l'oro della terra a comprare certe coscienze. E bisogna per forza arrivare alla realtà che è poi l'espansione naturale, lenta, invincibile di qualsiasi errore giudiziario. La storia è tutta lì. Un errore giudiziario è una forza in movimento: uomini di coscienza sono conquistati, sono assillati, si dedicano in modo sempre più ostinato, rischiano la loro fortuna e la loro vita affinché giustizia sia fatta. E non c'è altra spiegazione possibile di quanto accade oggi, il resto non è altro che fanatismi politici e religiosi abominevoli, che torrente straripato di calunnie e d'ingiurie. Ma quale giustificazione avrebbe mai la gioventù se le sue idee di umanità e di giustizia venissero a esserne oscurate foss'anche per un istante? Nella seduta del 4 dicembre, una Camera francese s'è coperta di onta, votando un ordine del giorno per "stigmatizzare i caporioni dell'odiosa campagna che turba la coscienza pubblica" Lo dico francamente, per l'avvenire che mi leggerà, spero: un voto simile è indegno del nostro generoso paese e resterà come una

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macchia incancellabile. "I caporioni” sono gli uomini di coscienza e di coraggio che, certi di un errore giudiziario, l'hanno denunciato perché ci si ponesse riparo nella patriottica convinzione che una grande nazione, nella quale un innocente agonizzasse tra le torture, sarebbe una nazione condannata. "La campagna odiosa", è il grido di verità, è il grido di giustizia che quegli uomini levano, è l'ostinazione che essi mettono nel volere che la Francia, di fronte ai popoli che la osservano, resti la Francia che ha creato la libertà e che creerà la giustizia. E la Camera, tutti potete vederlo, ha certamente commesso un crimine, poiché ecco che ha corrotto perfino la gioventù delle nostre scuole, poiché ecco che questa, ingannata, sviata, sguinzagliata per le nostre vie, manifesta, come non si era finora mai visto, contro quanto di più fiero, di più coraggioso, di più divino c'è nell'animo umano! Dopo la seduta del Senato, il 7, si è parlato di crollo a proposito di Scheurer-Kestner. Ah sì, che crollo nel suo cuore, nel suo animo! Mi immagino la sua angoscia, il suo tormento, nel vedersi franare intorno tutto quello che ha

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amato della nostra Repubblica, tutto quello che per essa ha contribuito a conquistare nella nobile battaglia della sua vita; la libertà, prima di tutto, poi le maschie virtù della lealtà, della franchezza e del coraggio civico. E' uno degli ultimi della sua generazione di forti. Sotto l'Impero, ha saputo che cos'è un popolo sottomesso all'autorità di un singolo, un popolo divorato dalla febbre e dall'impazienza mentre, la bocca brutalmente imbavagliata, vede negare ogni giustizia. Col cuore sanguinante ha assistito alle nostre disfatte, ne ha saputo le cause, tutte dovute all'accecamento, all'imbecillità dispotica. In seguito, ha fatto parte di quelli che hanno lavorato nel modo più saggio e più ardente a sollevare il paese dalle pastoie, a restituirgli il suo rango in Europa. Data dai tempi eroici della nostra Francia repubblicana e potrebbe credere, immagino, di aver fatto opera buona e solida: il dispotismo cacciato per sempre, la libertà conquistata e intendo soprattutto quella libertà umana che permette a ogni circostanza di affermare il suo dovere, tra la tolleranza delle opinioni altrui.

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Ebbene sì, tutte le conquiste sono state possibili, ma ancora una volta è crollato tutto. Attorno a lui, dentro di lui, ha solo e unicamente rovine. Essere stato in preda al bisogno di verità è un crimine. Avere voluto la giustizia è un crimine. L'orrendo dispotismo è ritornato, sulle bocche è calato di nuovo il più duro dei bagagli. Non è lo stivale di un Cesare a schiacciare la coscienza pubblica, è un'intera Camera a condannare chi brucia della passione del giusto. Proibito parlare! I pugni colpiscono le labbra di chi tenta di difendere la verità, si aizzano le folle perché riducano gli isolati al silenzio. Mai un'oppressione altrettanto mostruosa era stata organizzata e utilizzata contro la libera discussione. E l'obbrobrioso terrore regna, i più coraggiosi diventano codardi, nessuno più osa dire quello che pensa per la paura di essere denunciato come venduto e traditore. Quei pochi giornali ancora onesti sono supini di fronte ai loro lettori, resi ormai folli da troppe sciocchezze sentite. E mai un popolo, ne sono convinto, ha attraversato un'ora più agitata, più torbida, più angosciosa per la sua ragione e per la sua dignità.

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Allora è vero, tutto un passato grande e leale ha dovuto crollare per Scheurer-Kestner. Se egli crede ancora alla bontà e all'equità degli uomini, dev'essere di un ottimismo ben solido. Per tre settimane lo hanno trascinato nel fango solamente per avere compromesso l'onore e la serenità della sua vecchiaia con la pretesa di voler essere giusto. Non c'è tortura più dolorosa, per un galantuomo, del dover soffrire il martirio della propria onestà. Si uccide in quest'uomo la fede nel domani, gli si avvelena lo spirito; e, se egli muore, dice: "E' finita, non c'è più niente, tutto quello che ho fatto di buono se ne va con me, la virtù è solo una parola vuota, il mondo è nero e desolato!” E, per schiaffeggiare il patriottismo, siamo andati a scegliere quest'uomo che, nelle nostre Camere, è l'ultimo rappresentante dell'Alsazia-Lorena! Lui un venduto, un traditore, uno che insulta l'esercito, quando il suo nome sarebbe dovuto bastare a rassicurare le inquietudini più diffidenti! E' chiaro che egli ha avuto l'ingenuità di credere

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che la sua qualità di alsaziano, la sua fama di patriota ardente costituissero la garanzia stessa della sua buona fede, nell'assumere la delicata parte del giustiziere. Se si occupava lui del caso, non era come dire che una conclusione rapida gli sembrava necessaria all'onore dell'esercito, all'onore della patria? Lasciate che si trascini ancora per settimane, procurate di soffocare la verità, di rifiutarvi alla giustizia e vedrete se non avrete fatto ridere l'Europa intera, se non avrete messo la Francia all'ultimo posto tra le nazioni! No, no! gli stupidi fanatismi politici e religiosi non vogliono assolutamente capire e la gioventù delle nostre scuole offre al mondo lo spettacolo di andare a fischiare un uomo come Scheurer-Kestner, il traditore, il venduto, quello che insulta l'esercito e che compromette la patria! So bene che i pochi giovani che manifestano non rappresentano tutta la gioventù e che un centinaio di chiassosi per strada fanno più rumore di diecimila lavoratori, chiusi in casa a studiare. Ma cento chiassoni sono già troppi, ed è un sintomo doloroso che un movimento del

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genere, per limitato che sia, si possa produrre, in un'ora come questa, nel quartiere latino! Dei giovani antisemiti... è mai possibile che esistano? E' possibile che ci siano cervelli nuovi, anime nuove, già squilibrate da questo veleno idiota? Che tristezza, che inquietudine per il ventesimo secolo che sta per schiudersi! A cent'anni dalla dichiarazione dei diritti dell'uomo, cent'anni dopo l'atto supremo di tolleranza e di emancipazione, ecco che si ritorna alle guerre di religione, al più odioso e al più stupido dei fanatismi! E possiamo ancora capirlo da parte di certi individui che interpretano la loro parte, che hanno un atteggiamento da conservare e un'ambizione vorace da soddisfare. Ma nei giovani, in quelli che nascono e premono per il fiorire di tutti i diritti e di tutte le libertà, di cui avevamo sognato di veder risplendere il prossimo secolo! Sono loro gli artefici che aspettavamo, ed ecco che già si dichiarano antisemiti, vale a dire che daranno inizio al secolo massacrando tutti gli ebrei, perché sono concittadini di un'altra razza e di un'altra fede!

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Un inizio del genere come appannaggio per la Città dei nostri sogni, la Città dell'uguaglianza e della fratellanza! Se davvero la gioventù ci si riconoscesse, ci sarebbe da singhiozzare, da negare qualsiasi speranza e qualsiasi felicità umana. O gioventù, gioventù! pensa, te ne supplico, alla grande impresa che ti attende. Sei tu la futura classe operaia, tu getterai le fondamenta di questo secolo imminente che, ne abbiamo la fede profonda, risolverà i problemi di verità e di equità posti dal secolo ormai agli sgoccioli. Noi, i vecchi, gli anziani, ti lasciamo l'imponente cumulo della nostra inchiesta; molte contraddizioni e punti oscuri, probabilmente, ma senza alcun dubbio lo sforzo più appassionato che mai secolo abbia fatto verso la luce, i documenti più onesti e più solidi, le fondamenta stesse di quel vasto edificio della scienza che tu dovrai continuare a costruire per il tuo onore e la tua felicità. E ti chiediamo soltanto d'essere ancora più generosa, più libera di spirito, di superarci nell'amore per la vita vissuta in modo normale, nello sforzo tutto dedito al lavoro,

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questa fecondità degli uomini e della terra che saprà bene, alla fine, far germogliare la traboccante messe di gioia sotto il sole splendente. E ti cederemo fraternamente il posto, felici di sparire e di riposarci della nostra parte di impresa compiuta, nel placido sonno della morte, e sapremo che tu ci continui e che realizzi i nostri sogni. Gioventù, gioventù! ricordati delle sofferenze che i tuoi padri hanno sopportato, delle terribili battaglie che hanno dovuto vincere, per conquistare la libertà di cui tu in questo momento gioisci. Se ti senti indipendente, se puoi andare e venire come ti aggrada, dire sulla stampa tutto quello che pensi, avere un'opinione ed esprimerla pubblicamente, è perché i padri hanno offerto la loro intelligenza e il loro sangue. Tu non sei nata sotto la tirannia, tu ignori che cosa voglia dire svegliarsi ogni mattina con lo stivale di un padrone sul petto, tu non ti sei battuta per sfuggire alla sciabola del dittatore, ai falsi pesi del cattivo giudice. Ringrazia i tuoi padri e non commettere il crimine di acclamare la menzogna, di fare una

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campagna insieme alla forza bruta, all'intolleranza dei fanatici e alla voracità degli ambiziosi. Tutto questo porta alla dittatura. Gioventù, gioventù! sii sempre dalla parte della giustizia. Se mai il concetto di giustizia si oscurasse in te, andresti incontro a tutti i pericoli. E non ti parlo della giustizia dei nostri codici, che è soltanto la garanzia dei legami sociali. Bisogna rispettarla, certo; ma è una nozione più alta, la giustizia, quella che pone come principio che il giudizio degli uomini è sempre fallibile e che ammette la possibile innocenza di un condannato senza per questo recare offesa ai giudici. Non c'è forse, in questo, un'avventura fatta per risvegliare la tua accesa passione per il diritto? Chi si leverà per esigere che giustizia sia fatta se non tu, che non fai parte delle nostre lotte d'interessi e di persone, che ancora non sei né impegnata né compromessa in alcun affare losco, che puoi parlare chiaro, in tutta purezza e in tutta buona fede? Gioventù, gioventù! sii umana e generosa. Se anche noi ci sbagliamo, stai con noi quando diciamo che un innocente subisce una pena

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terribile e che il nostro cuore in rivolta si spezza per l'angoscia. Basta ammettere per un solo istante il possibile errore, di fronte a un castigo a questo punto smisurato, perché il petto si serri e le lacrime sgorghino agli occhi. Certo, gli aguzzini rimangono insensibili, ma tu, tu, che piangi ancora, che ancora non hai fatto esperienze di tutte le miserie, di tutte le pietà! Com'è che, se da qualche parte c'è un martire che soccombe vittima dell'odio, non ti abbandoni al sogno cavalleresco di difenderlo e di liberarlo? Chi, se non tu, potrà mai tentare la sublime avventura, lanciarsi in una causa generosa e superba, tenere testa a un popolo, in nome della giustizia ideale? E non ti vergogni che ad appassionarsi, ad assumersi oggi la tua impresa di generosa follia, siano degli anziani, dei vecchi? Dove andate, giovani, dove andate, studenti che battete le strade manifestando, gettando nel bel mezzo delle nostre discordie il coraggio e la speranza dei vostri vent'anni? "Andiamo verso l'umanità, verso la verità, verso la giustizia!”

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LETTERA ALLA FRANCIA.

Pubblicata sull'opuscolo messo in vendita il 6 gennaio 1898. Era il secondo della serie e contavo sul fatto che la serie sarebbe stata lunga. Mi trovavo benissimo con questo tipo di pubblicazione che impegnava me soltanto, lasciandomi tutta la libertà e tutta la responsabilità. Inoltre, non ero più costretto entro le dimensioni ridotte di un articolo di giornale, il che mi dava la possibilità di dilungarmi. Gli avvenimenti erano in cammino e io li aspettavo, risoluto da quel momento a dire tutto, a lottare fino alla fine perché la verità risplendesse e venisse fatta giustizia. Nei giorni orribili di disordine morale che attraversiamo, nel momento in cui la coscienza pubblica sembra oscurarsi, è a te che mi rivolgo, Francia, alla nazione, alla patria! Ogni mattina, leggendo sui giornali quello che tu sembri pensare di questo deplorevole caso Dreyfus, il mio stupore aumenta, la mia ragione più che mai si ribella. Ma sei proprio tu, Francia,

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a lasciarti convincere dalle menzogne più palesi, a metterti con la turba dei malfattori contro pochi galantuomini, a lasciarti sconvolgere dal pretesto idiota che si voglia insultare il tuo esercito e si complotti di venderti al nemico, quando, all'opposto, è desiderio dei tuoi figli più saggi e più leali che tu rimanga, agli occhi dell'Europa attenta, la nazione dell'onore, la nazione dell'umanità, della verità e della giustizia? Ed è vero, la grande massa lo crede, soprattutto quella dei modesti e degli umili, la popolazione delle città, quasi tutta la provincia e tutte le campagne, quella considerevole maggioranza che accetta l'opinione dei giornali e quella dei vicini, che non ha né il modo di documentarsi, né quello di riflettere. Che cos'è mai successo, Francia, e come ha potuto il tuo popolo, il tuo popolo di buon cuore e di buon senso, farsi cogliere da questa ferocia della paura, da queste tenebre dell'intolleranza? Al tuo popolo dicono che un uomo forse innocente è in preda alla peggiore delle torture, che ci sono prove materiali e morali per cui s'impone la revisione

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del processo ed esso rifiuta violentemente la luce, si schiera dietro i settari e i banditi, dietro quelli che hanno interesse a lasciare a terra il cadavere, questo popolo che, soltanto poco tempo fa, avrebbe demolito ancora una volta la Bastiglia, pur di farne uscire un prigioniero! Che angoscia e che tristezza, Francia, nell'animo di chi ti ama, di chi vuole il tuo onore e la tua grandezza! Mi chino angustiato sul mare cupo e sconvolto di questo tuo popolo, mi chiedo dove siano le cause della tempesta che minaccia di distruggere il meglio della tua gloria. Non c'è niente di più mortalmente grave, e io vi leggo sintomi inquietanti. E oserò dire tutto, poiché nella mia vita non ho avuto che una sola passione, la verità, e qui non faccio che continuare la mia opera. Ti rendi conto che il pericolo è proprio in queste tenebre ostinate dell'opinione pubblica? Cento giornali ripetono quotidianamente che l'opinione pubblica non vuole che Dreyfus sia innocente, che la sua colpevolezza è necessaria alla salute della patria. E sai fino a che punto saresti colpevole se, in alto loco, si autorizzasse

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un sofisma del genere per soffocare la verità? Sarà la Francia ad averlo voluto, sarai tu ad avere preteso il crimine, e che grande responsabilità ogni giorno! Ecco perché in quest'ora grave, Francia, quelli dei tuoi figli che ti amano e ti onorano hanno un solo dovere ardente: il dovere di agire con forza sull'opinione pubblica, d'illuminarla, di ricondurla, di trarla dall'errore in cui la spingono cieche passioni. E non c'è impresa più utile, più santa. Sì! con tutta la mia forza io parlerò loro, agli oscuri, agli umili, a quanti vengono avvelenati e fatti delirare. E' la sola missione in cui m'impegno, griderò loro dov'è veramente l'anima della patria, la sua energia invincibile e il suo sicuro trionfo. Esaminiamo la situazione. E' stato fatto un altro passo, il comandante Esterhazy è stato deferito a un tribunale militare. Come ho detto fin dal primo giorno, la verità è in cammino e niente potrà fermarla. Nonostante le cattive volontà, ogni passo avanti sarà fatto, matematicamente, a tempo giusto. La verità ha in sé una potenza che travolge tutti gli ostacoli. E quando le si sbarra il

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cammino e si riesce a tenerla più o meno a lungo sotterrata, vi si ammassa, prende una tale violenza di esplosione che, il giorno in cui esplode, fa saltare tutto. Tentate, questa volta, di murarla per qualche mese ancora sotto le menzogne o un procedimento a porte chiuse e poi vedrete se non vi state preparando, per più tardi, un disastro dei più clamorosi. Però, man mano che la verità avanza, le bugie si accumulano per negare il suo cammino. Niente di più significativo. Quando il generale de Pellieux, incaricato dell'inchiesta preliminare, depositò il suo rapporto, che concludeva ammettendo la possibile colpevolezza del comandante Esterhazy, la stampa ignobile inventò che, unicamente per volontà di quest'ultimo, il generale Saussier, pur esitando, convinto com'era della sua innocenza, si adattò, per fargli piacere, a deferirlo alla giustizia militare. Oggi è ancora meglio: i giornali raccontano che, poiché tre esperti avevano nuovamente riconosciuto il "bordereau" come opera certa di Dreyfus, il comandante Ravary, nella sua inchiesta giudiziaria, era approdato di

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necessità a un non luogo a procedere, e che, se il comandante Esterhazy sarebbe finito davanti a un tribunale militare, era perché aveva forzato di nuovo la mano al generale Saussier, esigendo se non altro dei giudici. Tutto ciò è di una comicità irresistibile e di una idiozia totale! Ve lo figurate l'accusato che dirige il caso, dettando gli arresti? Ve lo figurate un uomo riconosciuto innocente, dopo ben due inchieste, e per il quale ci si prende la briga non indifferente di riunire un tribunale al solo fine di recitare una commedia decorativa, una sorta d'apoteosi giudiziaria? Equivarrebbe né più né meno a farsi beffe della giustizia, dal momento che si afferma che il proscioglimento è certo, perché la giustizia non è fatta per giudicare gli innocenti e occorre per lo meno che il giudizio non venga redatto dietro le quinte, prima ancora che si apra il dibattimento. Visto che il comandante Esterhazy è deferito a un tribunale militare, auguriamoci, per il nostro onore nazionale, che sia una cosa seria e non una semplice messinscena, destinata a divertire gli allocchi.

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Mia povera Francia, a tal punto ti credono stupida da raccontarti storie come queste che non stanno né in cielo né in terra? E, ad ogni modo, non tutto è menzogna nelle informazioni che la stampa ignobile pubblica e che dovrebbero bastare ad aprirti gli occhi. Da parte mia, mi rifiuto formalmente di credere ai tre esperti che non avrebbero riconosciuto, a colpo d'occhio, l'assoluta identità tra la grafia del comandante Esterhazy e quella del "bordereau" Prendete il primo bambino che passa per strada, fatelo salire, mostrategli i due fogli e vi risponderà: "E' lo stesso signore che ha scritto queste due pagine" Non c'è bisogno di esperti, può stabilirlo chiunque, la rassomiglianza di certe parole salta agli occhi. Ed è talmente vero, che il comandante ha ammesso questa incredibile rassomiglianza e, per spiegarla, asserisce che siano state ricalcate diverse sue lettere, tutta una storia di una complicazione laboriosa, d'altronde assolutamente puerile, di cui la stampa si è occupata per settimane. E vengono a raccontarci di essersi rivolti a tre esperti per dichiarare di nuovo che il "bordereau" è proprio

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di pugno di Dreyfus! Ah no, è troppo! tanta sfrontatezza sta diventando goffaggine, le persone oneste finiranno per irritarsi, spero! Certi giornali arrivano al punto di dire che quel "bordereau" sarà messo da parte, che in tribunale non se ne discuterà neppure. Di che cosa si discuterà, di grazia, e perché il tribunale si riunirà in seduta? Il nodo del caso è tutto lì: se Dreyfus è stato condannato per un documento scritto da un altro e che basta a far condannare questo altro, la revisione s'impone con logica irresistibile, poiché non ci possono essere due colpevoli condannati per lo stesso crimine. demange l'ha ripetuto formalmente, soltanto quel "bordereau" gli è stato presentato, Dreyfus è stato legalmente condannato unicamente in base a quel "bordereau" e, pur ammettendo che, in disprezzo di ogni legalità, esistano documenti tenuti segreti, cosa che personalmente non riesco a credere, chi oserebbe opporsi alla revisione qualora venisse dimostrato che il "bordereau", la sola prova conosciuta, ammessa, è di mano di un altro? Ed ecco perché vengono accumulate tante

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menzogne attorno al "bordereau", che in conclusione è il nocciolo dell'intero caso. Ecco un primo punto da sottolineare: l'opinione pubblica è fatta in gran parte di queste menzogne, di queste storie incredibili e stupide che la stampa divulga ogni mattina. L'ora della responsabilità verrà, e bisognerà regolare i conti con questa stampa ignobile, che ci disonora agli occhi del mondo intero. Alcuni giornali svolgono la loro solita attività, non hanno mai diffuso altro che melma. Ma, tra questi, che stupore, che tristezza nel trovare, per esempio, un giornale letterario come "L'Echo de Paris", così spesso all'avanguardia delle idee, e che, nel caso Dreyfus, si assume una parte così incresciosa! Le note, di una violenza, di un partito preso scandaloso, non sono firmate. Si dice che siano ispirate da quegli stessi che hanno avuto la disastrosa balordaggine di far condannare Dreyfus. Il signor Valentin Simond dubita forse che esse ricoprano il suo giornale di obbrobrio? E c'è un altro giornale il cui atteggiamento dovrebbe destare l'indignazione di tutta la gente onesta, e mi riferisco a "Le Petit Journal" Che i

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giornalacci che tirano qualche migliaio di copie urlino e mentiscano per far aumentare la tiratura, si può anche capire, e in fondo il danno è piuttosto limitato. Ma che "Le Petit Journal", che tira più di un milione di copie, che si rivolge agli umili, che penetra dappertutto, semini l'errore, svii l'opinione pubblica, è veramente di una gravità eccezionale. Quando si ha una simile cura d'anime, quando si è il pastore di tutto il popolo, si dev'essere di una probità intellettuale scrupolosa, pena il macchiarsi di un crimine civico. Ed ecco, Francia, che cosa trovo prima di tutto nella demenza della quale sei preda: le menzogne della stampa, il regime di storie insulse, di basse ingiurie, di perversioni morali al quale essa ti sottopone ogni mattina. Come potresti mai volere la verità e la giustizia, se c'è chi avvelena fino a questo punto tutte le tue virtù leggendarie, la limpidezza della tua intelligenza e la solidità della tua ragione? Ma ci sono fatti ancora più gravi, tutto un insieme di sintomi che, nella crisi che attraversi, sono oggetto di una lezione terrificante, per

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quelli che sanno vedere e giudicare. Il caso Dreyfus è solo un incidente deplorevole. La testimonianza terribile è il modo in cui tu ti comporti in questa avventura. Uno ha l'aria sana e, d'improvviso, appaiono piccole macchie sulla pelle: in lui c'è la morte. Tutto uno stato di avvelenamento politico e sociale si è reso manifesto sul tuo volto. Perché hai lasciato gridare, e hai finito per gridare tu stessa, che il tuo esercito veniva insultato quando, al contrario, ardenti patrioti volevano soltanto la sua dignità e il suo onore? Il tuo esercito? ma, oggi, sei tu tutta intera; non si tratta di questo o quel capo, di questo o quel corpo di ufficiali, di questa o quella gerarchia gallonata; sono tutti i tuoi figli pronti a difendere il suolo francese. Fai l'esame di coscienza: era davvero il tuo esercito che volevi difendere, anche se nessuno lo aggrediva? non era piuttosto l'uniforme che sentivi il bisogno improvviso di acclamare? Per conto mio, nella rumorosa ovazione fatta ai capi che si diceva fossero stati insultati, vedo un risveglio, senza dubbio inconsapevole, del boulangismo latente da cui sei

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tuttora colpita. In fondo, non hai ancora il sangue repubblicano, i pennacchi che passano ti fanno battere il cuore, non può venire un Re senza che tu te ne innamori. Il tuo esercito, ebbene, sì! a quello non pensi mai! E' il generale che vuoi nel tuo letto. E quanto è lontano il caso Dreyfus! Mentre il generale Billot si faceva acclamare alla Camera, vedevo l'ombra della spada disegnarsi sul muro. Francia, se non stai attenta, ti aspetta la dittatura. E sai cos'altro ti aspetta, Francia? Ti aspetta il dominio della Chiesa. Ritornerai al passato, a quel passato d'intolleranza e di teocrazia che i più illustri tra i tuoi figli hanno combattuto, hanno creduto di uccidere, donando la loro intelligenza e il loro sangue. Oggi, la tattica dell'antisemitismo è molto semplice. Invano il cattolicesimo si sforzava di agire sulla popolazione, creava circoli di operai, moltiplicava i pellegrinaggi, tentava di riconquistarla, di ricondurla ai piedi degli altari. Era una cosa definitiva, le chiese restavano

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deserte, la gente non ci credeva più. Ed ecco che alcune circostanze hanno permesso di ispirare al popolo la rabbia antisemitica, lo si avvelena con questo fanatismo, lo si lancia per le strade a gridare: "Abbasso gli ebrei! A morte gli ebrei!” Quale trionfo, se fosse possibile scatenare una guerra religiosa! Certo, il popolo continua a non credere più; ma, ricominciare con l'intolleranza del medioevo, bruciare gli ebrei sulla pubblica piazza, non è forse l'inizio del credo religioso? Ecco, dunque, che il veleno è stato trovato; e, una volta riusciti a fare del popolo di Francia un fanatico e un carnefice, una volta riusciti a strappargli dal cuore la sua generosità, il suo amore per i diritti dell'uomo, così duramente conquistati, Dio farà sicuramente il resto. C'è chi ha l'audacia di negare la reazione clericale. Ma è dappertutto, esplode nella politica, nelle arti, nella stampa, per le strade! Oggi perseguitiamo gli ebrei, domani sarà la volta dei protestanti; e la campagna è già cominciata. La Repubblica è invasa da reazionari d'ogni genere, che l'adorano di un amore repentino e terribile, che l'abbracciano per

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soffocarla. Da ogni lato, si sente dire che l'idea di libertà ha fatto bancarotta. E, appena si è presentato il caso Dreyfus, questo odio crescente della libertà ci ha trovato un'occasione straordinaria, le passioni hanno cominciato a divampare, perfino negli indifferenti. Non capite che, se si sono scagliati su Scheurer-Kestner con tanto furore, è perché appartiene a una generazione che ha creduto nella libertà, che ha voluto la libertà? Oggi, si usa alzare le spalle, farsene beffe: vecchi barbogi, uomini d'altri tempi. La sua sconfitta consumerebbe la rovina della Repubblica, di quelli che sono morti, di quelli che si è tentato di seppellire nella melma. Hanno abbattuto il potere militare, sono usciti dalla Chiesa, ed ecco perché quel gran galantuomo di Scheurer-Kestner è oggi un bandito. Bisogna annegarlo nella vergogna, perché la Repubblica stessa venga insozzata e spazzata via. Poi, ecco che, d'altro lato, il caso Dreyfus mostra in piena luce l'ambigua pastetta del parlamentarismo, il che lo disonora e lo ucciderà. Il caso, per sua sfortuna capita alla fine di una

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legislatura, quando restano solo tre o quattro mesi per sofisticare la legislatura successiva. Il governo al potere vuole naturalmente arrivare alle elezioni, e con altrettanta energia i deputati vogliono farsi rieleggere. Allora, piuttosto che allentare la presa sui portafogli, piuttosto che compromettere le probabilità d'essere rieletti, sono tutti risoluti ad arrivare agli estremi. Neanche il naufrago si tiene così disperatamente attaccato alla tavola della sua salvezza. Ed è tutto lì, tutto si spiega: da una parte, l'atteggiamento inusitato del governo a proposito del caso Dreyfus, il suo silenzio, il suo imbarazzo, la cattiva azione che esso commette nel lasciare agonizzare il paese sotto l'impostura, mentre era stato incaricato di accertare direttamente la verità; dall'altra, il disinteresse così poco valoroso dei deputati che asseriscono di non saperne niente, che hanno una sola paura, quella di compromettere la loro rielezione, alienandosi il popolo che credono antisemita. Lo si sente dire ovunque: "Ah! se fossero state fatte le elezioni, vedreste il governo e il Parlamento regolare la questione Dreyfus in

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ventiquattr'ore!" Ed ecco che cosa la vile pastetta del parlamentarismo riesce a fare di un grande popolo! Francia, di questo, dunque, è fatta tuttora la tua opinione, del bisogno del bastone, della reazione clericale che ti riporta indietro di parecchi secoli, dell'ambizione vorace di quelli che ti governano, che ti mangiano e che non vogliono alzarsi da tavola! Te ne scongiuro, Francia, sii di nuovo la Grande Francia, ritorna in te, ritrova te stessa. Due avventure nefaste sono entrambe opera dell'antisemitismo: Panama e il caso Dreyfus. Ricordiamoci con quali delazioni, con quali pettegolezzi abominevoli, con quali pubblicazioni di documenti falsi o rubati, la stampa ignobile ha fatto di Panama un'ulcera orrenda che ha corroso e debilitato il paese per anni. Era riuscita a sconvolgere la pubblica opinione; l'intera nazione pervertita, ubriaca di veleno, vedeva rosso, esigeva spiegazioni, chiedeva l'esecuzione in massa del Parlamento perché era marcio. Ah! se Arton tornasse, se parlasse! E' tornato, ha parlato e tutte le

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menzogne della stampa ignobile sono crollate, a un punto tale che l'opinione pubblica, bruscamente ribaltata, non ha più voluto sospettare di nessuno e ha preteso l'assoluzione in massa. Certo, sono ben convinto che non tutte le coscienze fossero proprio candide, poiché sarà accaduto, in quel caso, quello che accade in tutti i Parlamenti del mondo quando imprese gigantesche comportano spostamenti di milioni. Ma alla fine l'opinione pubblica era presa dalla nausea dell'ignobile: troppa gente era stata insozzata, troppa gliene era stata denunciata e ora provava il bisogno di un bagno nell'aria pura, di credere all'innocenza di tutti. Ebbene! lo predico, sarà così anche per il caso Dreyfus, l'altro crimine sociale dell'antisemitismo. Di nuovo la stampa ignobile satura l'opinione pubblica di troppe menzogne e di troppe infamie. Eccede nel volere che gli onesti siano dei furfanti e che i furfanti siano gente onesta. Diffonde troppe storie imbecilli, alle quali i bambini stessi finiscono per non credere più. Si attira troppe smentite, va troppo

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contro il buon senso e contro la semplice probità. E' fatale, un bel mattino, l'opinione pubblica finirà per ribellarsi, avrà un brusco conato di vomito, per essere stata troppo nutrita di fango. E, come per Panama, la vedrete, per il caso Dreyfus, far valere tutto il suo peso, volere che non ci siano più traditori, esigere la verità e la giustizia, in un'esplosione di generosità sovrana. L'antisemitismo sarà così condannato in base alle sue opere, le due mortali avventure in cui il paese ha perso in dignità e in salute. Ecco perché, Francia, ti supplico di tornare in te, di ritrovare te stessa, senza aspettare oltre. Dirti la verità non è possibile, poiché la giustizia sta facendo il suo regolare corso ed è nostro dovere credere che sia decisa ad accertarla. La parola spetta unicamente ai giudici, il dovere di parlare si imporrebbe solo nel caso in cui non l'accertassero fino in fondo. Ma questa verità non è così semplice, un errore dapprima, poi tutte le colpe per nasconderlo, tu proprio non la sospetti? I fatti hanno parlato talmente chiaro, ogni fase dell'inchiesta è stata una confessione: il comandante Esterhazy coperto da protezioni

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inspiegabili, il colonnello Picquart trattato da colpevole, colmato di oltraggi, i ministri che giocavano con le parole, i giornali ufficiali che mentivano violentemente, l'istruttoria preliminare condotta a tentoni, di una lentezza esasperante. Non ti pare che in tutto questo ci sia puzza di bruciato, lezzo di cadavere e che debbano proprio esserci molte cose da nascondere, perché ci si lasci difendere così apertamente da tutta la teppaglia di Parigi, quando ci sono galantuomini che pretendono sia fatta luce, a prezzo della loro tranquillità? Svegliati Francia, pensa alla tua gloria. Com'è possibile che la tua borghesia liberale, che il tuo popolo emancipato, non vedano, in questa crisi, a quale aberrazione vengono spinti? Non posso crederli complici, allora sono creduloni, perché non si rendono conto di quello che c'è dietro: da una parte la dittatura militare, dall'altra la reazione clericale. E' questo che vuoi, Francia, la messa in pericolo di tutto ciò che hai pagato così a caro prezzo, la tolleranza religiosa, la giustizia uguale per tutti, la solidarietà fraterna di tutti i cittadini? E' sufficiente che ci siano dei dubbi

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sulla colpevolezza di Dreyfus e che tu lo abbandoni alla sua tortura, perché la tua gloriosa conquista del diritto e della libertà sia compromessa per sempre. Come! rimarremo un pugno d'uomini appena a dire queste cose, di tutti i tuoi figli onesti, di tutti gli spiriti liberi, di tutti i grandi cuori che hanno fondato la Repubblica e che dovrebbero tremare, vedendola in pericolo, nessuno sil leverà per unirsi a noi! E' a loro, Francia, che io faccio appello. Che si raggruppino, che scrivano, che parlino! Che lavorino con noi a illuminare l'opinione pubblica, gli oscuri, gli umili, quelli che vengono avvelenati e indotti a delirare! L'anima della patria, la sua energia, il suo trionfo sono unicamente nell'equità e nella generosità. La mia sola inquietudine è che luce non venga fatta fino in fondo e subito. Dopo un'istruttoria segreta, una sentenza a porte chiuse non metterebbe fine a niente. Soltanto allora il caso comincerebbe, perché bisognerebbe ben parlare, visto che tacere equivarrebbe a rendersi complici. Che pazzia

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illudersi che si possa impedire alla storia di venire scritta! Sarà scritta, questa storia, e non c'è responsabilità, per scarsa che sia, che non verrà pagata. E sarà così per la tua gloria finale, Francia, perché in fondo io non ho timori. Io so che si avrà un bell'attentare alla tua ragione, alla tua integrità, tu sei malgrado tutto l'avvenire, tu avrai sempre risvegli trionfanti di verità e di giustizia! Nel 1899 il giudizio contro Dreyfus fu annullato FINE.


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