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ilCIVETTINOperiodico della contrada priora della civetta

GIUG

NO

2012

ilCIVETTINOperiodico della contrada priora della civettaGIUGNO 2012

Progetto grafico e impaginazioneIrene BimbiStampaIndustria Grafica Pistolesi

Spedizione in abbonamento postale

Art. 2 comma 20/C legge 662/96 - Filiale di Siena

Iscrizione al Tribunale di Siena n° 589 del 20/12/1993

DirettoreRiccardo Cerpi

Direttore ResponsabileDirettore ResponsabileGiuseppe Stefanachi

Capo RedazioneSalvatore Granata

CollaboratoriCarlo Agricoli, Lorenzo Depau,Alberto Fiorini, Pino Gilioli,Camilla Marzucchi, Guido Pescatori

UNO STILE INCONFONDIBILE

GUARDANDO AL DOMANI CON GLI OCCHI DI IERI

CIVETTINO DA SEMPRE

LA FESTA DE’ NO’ ANTRI

ONDEON, OVVERO: I CIVETTINI SONO UNO SPETTACOLO!

IL VOLTO DEL TERRITORIO NEI PROGETTI DEL 1932

A MODO MIO

PER SPORT E PER PASSIONE

PROGRAMMA FESTA TITOLARE

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SOMMARIO

Come da tradizione, esce Il Civettino

in concomitanza con la Festa Titolare,

della quale, oltre al programma com-

pleto, vengono ricordati il significato e l’impor-

tanza dall’On.do Priore nel pezzo d’apertura.

Approssimandosi il Palio, anche se more solito

la dea bendata non ci ha baciato, non pote-

vamo mancare di parlarne, con la speranza

che il consueto entusiasmo del Fagiano, inter-

vistato da Beppe Stefanachi, sia contagioso e

foriero di gioie agostane.

A proposito di Palio, Salvatore Granata espri-

me il suo parere, controcorrente, relativamente

all’opportunità della diretta televisiva, mentre

venendo ad argomenti più frivoli, vi racco-

mandiamo il pezzo di Carlo Agricoli, che que-

sta volta si è veramente superato. Sempre a

proposito di amenità, che in questo numero fe-

staiolo abbondano, Guido Pescatori e Lorenzo

De Pau ci narrano le gesta del glorioso Cecco

nel Dudo Casini, mentre Camilla ci racconta

della meravigliosa esperienza di Ondeon,

dove i nostri cittini — riandranno in scena nel

Castellare — sono stati davvero encomiabili.

Nel pieno rispetto dei veri valori contradaio-

li, dai cittini passiamo quindi a ricordare, con

grande gioia, i centanni di Pia, mentre Pino Gi-

lioli racconta con dolcezza i suoi ricordi di gio-

ventù, per poi chiudere, in ossequio allo stile

variegato del giornalino, con un articolo dotto

e interessante dell’insostituibile Alberto Fiorini.

Godiamoci il giro dunque, sfoggiando con or-

goglio le fiammanti monture per le vie della

città, dove oltre ai tamburi riecheggeranno le

nostre voci innamorate.

W la Civetta.

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di Riccardo Cerpi

Quell’umido che ti entrava fin dentro

le ossa e quel senso infinito di attesa

che caratterizza la stagione inverna-

le, finalmente sono alle spalle; seppur abbinato

a noiosi e dispettosi piovaschi, che ultimamente

rovinano solo i week end, il timido e tiepido sole

accompagna di nuovo le nostre giornate più lun-

ghe e si riaffaccia la voglia di estate, di novità,

di cene all’aperto. La voglia di aprire il cassetto

dove si custodiscono le cose più preziose e tirare

fuori quel fazzoletto che ci piace tanto. La voglia

di Contrada!

Castellare-parking finalmente sta cambiando

aspetto, è di nuovo vivo: gli intrusi motorini e le

vespe fuori luogo pian piano stanno lasciando

il posto ai ragazzi che si allenano con bandiere

e tamburi, il silenzio ovattato dei pomeriggi bui

e freddi si è trasformato in schiamazzi e vocii di

citti e citte, il rombo stonato di uno scooter che

parte è diventato uno sghembo berebenanà di

UNO STILE INCONFONDIBILE

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un tamburino alle prime… mazze. Quei tre sca-

lini di marmo bianco, dopo che solo la pioggia

invernale si è curata di lavarli, vengono di nuo-

vo lucidati a lustro da jeans e calzoni di chi ama

sedersi lì per fare quattro chiacchiere e trovare

l’ora di cena o quella per andare a letto.

Ci risiamo! La Contrada, con il nuovo Seggio,

il nuovo Capitano, la nuova classe dirigente, è

pronta. È pronta per affrontare una nuova sta-

gione paliesca, a dir poco delicata, con mille dif-

ficoltà “istituzionali” dettate da un’instabilità non

solo politica che investe la città, ma anche da

uno sbandamento collettivo, dove punti di riferi-

mento e certezze si sono persi come un gitante

senza mappa in un nuovo paese da visitare. Ed

è proprio in questa incertezza di fondo che noi

senesi, noi contradaioli, noi amanti e difensori di

questa splendida città e delle sue secolari tradi-

zioni, scevri di qualsiasi identità o fede politica,

dobbiamo dotarsi del massimo senso di autore-

golamentazione e di autodisciplina per traghet-

tare la nostra Siena e la sua Festa verso porti più

sicuri e riparati.

Nell’ultima domenica maggiolina, purtroppo la

sorte non ci ha arriso, ma l’immediato e com-

prensibile sconforto si è subito stemperato nella

certezza di essere fra le dieci di Agosto per po-

ter finalmente dimostrare quanta voglia abbiamo

accumulato e quanta energia Francesco & Co.

hanno dentro per mettere sul piatto tutte le idee

che nel lungo inverno appena trascorso hanno

maturato.

Ma per Agosto ancora c’è tempo, prima dob-

La Contrada

è il nostro mondo

variegato, poliedrico e

multicolore ma unico

nella sua essenza

“ “

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biamo vivere con i sentimenti giusti e con pro-

fonda intimità la Festa Titolare in onore dei nostri

Patroni: lo storico Sant’Antonio da Padova e il gio-

vane Bernardo Tolomei. Una Festa Titolare il cui

programma, nell’insieme, rispecchia il canovaccio

ormai consolidato degli ultimi anni ma che, nello

specifico, in questo 2012, assume un sapore di-

verso per un evento davvero eccezionale e di

assoluto rilievo nella storia della nostra Contra-

da: il rinnovo dei costumi del Giro. I cappottoni

di velluto – come qualcuno li definì – rinnovati nel

lontano ’89, che ci hanno accompagnato nei due

decenni a cavallo fra questo e il secolo scorso,

hanno fatto ormai il loro tempo; rammendi, rat-

toppi, orli ricuciti, automatici e bottoni che sal-

tavano continuamente, calzamaglie sempre più

ornate da “arabeschi” di filoforte, velluti bianchi

solo di nome, erano ormai gli assilli degli Economi

e delle infaticabili e laboriose formichine che han-

no animato l’Economato negli ultimi anni. Ebbene,

dopo un anno di rinvio, eccoci a sfoggiare, con

una manciata di orgoglio, un pizzico di vanto e

fierezza q.b., le nuove monture, frutto della cre-

atività artistica di Maurizio Sampieri che le ha

disegnate – al quale vanno, fin da ora, il miei

personali e quelli di tutta la contrada, sentimenti

di gratitudine – e dell’amore e della passione di

molti contradaioli che hanno dimostrato ancora

una volta, una spiccata sensibilità e un grande

senso del dovere. Grazie a tutti per i sacrifici che

avete sopportato per rendere la nostra Contra-

da ancora più bella, più elegante e più immersa

nella storia che le appartiene.

Ci si veste di nuovo quest’anno, ma il mio auspi-

cio è che insieme al guardaroba si possa anche

rinnovare, o perlomeno rinfrescare, il rigore e lo

stile della Comparsa; la Contrada, bontà nostra,

è cresciuta, i giovani che la vivono sono sempre

di più e questo, per chi si trova come me a veder-

la dall’alto, è un fatto che fa lustrare gli occhi, ci

riempie di orgoglio, ma è altrettanto vero che nel

perpetuarsi dei rinnovi generazionali, ci si può tro-

vare, come nel caso della vestizione della Com-

parsa, a dover far scelte che per qualcuno posso-

no rivelarsi difficili ed impegnative. La Contrada

ha bisogno di tutti, di chi gira perché è giovane

ed è un abile alfiere o un virtuoso tamburino, e

di chi è dietro a cantare e portare con fierezza

il fazzoletto al collo; perché la Civetta siamo noi,

tutti, giovani e vecchi, adulti o bambini, dirigenti o

ciesse, uomini o donne, in divisa o in borghese… La

Contrada è il nostro mondo variegato, poliedrico

e multicolore ma unico nella sua essenza.

Siamo pronti! Siamo nuovamente pronti a sfilare

per la città con il vestito bono, e dimostrare an-

cora una volta il nostro inconfondibile stile che ci

appartiene, stile fatto di eleganza e di passione

come il nero ed il rosso delle nostre bandiere. E

il bianco? Il bianco non è altro che la limpidezza

dei nostri animi accomunati dal grande amore

verso questi magici colori e dal senso di appar-

tenenza alle nostre radici ed alla nostra storia!

Buona Festa Titolare a tutti.

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GUARDANDO AL DOMANI CON

GLI OCCHI DI IERI

La sua avventura da mangino è iniziata

nell’ormai lontana stagione paliesca del

2008, ma Fabio Guerrini (per tutti noi “Fa-

giano”) ha ancora intatto l’entusiasmo del primo

giorno di questa inebriante esperienza.

Ha un carattere che si adatta particolarmente

bene al ruolo che ricopre: la sua simpatia e la

sua giovialità, arricchite da quel pizzico di im-

prevedibilità che ti può spiazzare in qualunque

momento, rappresentano il miglior biglietto da

visita per misurarsi con ogni interlocutore.

“Ho vissuto – racconta Fabio - pensando al Palio

e parlando di Palio ogni giorno: in fondo la mia

vita, facendo il mangino, non è cambiata molto,

nonostante l’impegno quotidiano e la responsa-

bilità che tale incarico richiede”.

Hai iniziato la tua esperienza quando è di-

ventato capitano Paolo Betti: cosa hai provato

quando ti è stato proposto di fare il mangino?

“Le sensazioni sono state indescrivibili, esaltan-

ti soprattutto perchè appoggiate dal pensiero

degli amici più vicini con i quali ho sempre con-

diviso uno spiccato attaccamento nei confron-

di Giuseppe Stefanachi

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ti della contrada: un esempio per tutti sono e

saranno Roberto Papei e Daniele Ricci. La vi-

cinanza di un amico fraterno come Francesco

Ricci, è stata per me molto importante. L’intesa

tra noi è assoluta, fin da quando eravamo ra-

gazzi... un po’ birichini e forse con qualche “sa-

latino” di troppo sulle spalle. Paolo? Eccellente

fuoriclasse! Mi ha dato fiducia ed io ho fatto di

tutto per non deludere le sue aspettative. Sono

profondamente legato da rispetto, amicizia

e dai bellissimi momenti passati insieme. Sono

stati quattro anni straordinari, caratterizzati,

ovviamente, dal trionfo del 2009, ma anche

da tutta una serie di segnali che dimostrano

come la Civetta abbia giocato un ruolo attivo

di grande rilievo nello scacchiere del Palio: lo

dimostra il modo con cui abbiamo superato il

trauma dell’infortunio a Jesael, la condotta di

gara di Brio nell’agosto 2010, l’atteggiamento

della Contrada nel Palio con Marrocula, l’im-

portante supporto ad una delle nostre alleate

nello scorso agosto. Ci sono tutti i presupposti

per continuare su questa falsariga”.

Ora inizia una nuova avventura, con Francesco

Capitano…

“Sì, stavolta sono io il mangino che rappresenta

la continuità con il passato, così come nel 2008

lo fu il Ricci. Ecco, questo ci tengo a sottolinearlo:

la continuità è un valore indispensabile nel Palio,

sia perché dimostra che una contrada è unita

ed ha un suo progetto nel tempo, sia perché ti

rende più affidabile al cospetto del tuo interlo-

cutore. Questo non toglie che sia molto prezioso

anche l’inserimento di forze fresche, che hanno

così modo di fare esperienza e di confronta-

re le proprie riflessioni con lo staff Palio. A tal

proposito, sottolineo il valore della nostra stalla,

costituita da elementi particolarmente giovani e

supportata da professionisti di primo piano (ve-

terinario e maniscalco). Esalto inoltre l’importan-

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za di Gabriele, Eraldo e Nicola: quest’ultimo in

pochi mesi è riuscito a prendere confidenza nei

rapporti con contrade e fantini”.

Già, i fantini: com’è il rapporto con loro?

“Iniziamo da Andrea Mari, sempre molto vicino

alla Civetta e inevitabile punto di riferimento sia

per la gioia che ci ha regalato, sia per le sue

notevolissime doti che dimostra di carriera in

carriera. Tuttavia negli ultimi anni si è visto che

molti fantini sono riusciti a vincere e sono quindi

in grado potenzialmente di ripetersi. Abbiamo

frequenti contatti ed interesse anche nei loro

confronti”.

A luglio non correremo…

“Purtroppo, ma nessuno di noi ha preso le ferie.

Il Palio di oggi vive di improvvisi cambiamenti di

strategie. Nel corso di pochi giorni capita che

cambi completamente lo scenario e non si può

certo rischiare di farsi trovare impreparati, an-

che perchè agosto è molto vicino”.

Cosa dici alla contrada?

“Di continuare così, di essere unita e di starci

vicino, per poterci ripetere con una’altra vitto-

ria che darebbe ulteriore conferma ai percorsi

intrapresi. A tal proposito vorrei spendere due

parole per Riccardo Cerpi, neo Priore, con il

quale il rapporto è ottimo. L’unità di intenti è il

miglior presupposto per raggiungere traguar-

di importanti e per portare avanti una nuova

scommessa generazionale, ricordandogli che,

come mi suggeriva il mio amico Attilio, ‘quando

si vince... è l’unico conto che torna’”.

La chiaccherata è finita, è l’ora di pranzo. Ci sa-

lutiamo con amicizia e, mentre attraverso il cor-

so, mi viene spontanea una domanda: Fagiano

avrà già trovato qualcuno con cui continuare a

parlare di Palio?

...la continuità

è un valore

indispensabile nel

Palio...

“ “

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CIVETTINO DA SEMPRE

Quando avevo quattro anni, purtrop-

po nel 1931, e frequentavo I’asilo al

cosiddetto “Refugio” in fondo a via

Fieravecchia, non erano molti i contradaioli del-

la Civetta.

L’unico inconveniente di essere un “civettino”

era quindi la facilità con cui nella mia infanzia

potevo essere preso in giro dai miei coetanei di

altre Contrade. Per prima cosa gli ignoranti ri-

tengono la civetta una menagramo. In secondo

luogo essere pochi è considerata una forma di

manifesta inferiorità. ll mondo da sempre prefe-

risce la quantità alla qualità: e se ne vedono gli

effetti devastanti. Fra i bambini delle Contrade

più abitate era facile stabilire alleanze o rivali-

tà. Bastava prendere spunto dall’atteggiamento

dei grandi e si riusciva facilmente ad esaltarsi

all’interno di una identità prepotente. Io a quat-

tro anni all’asilo ero I’unico della Civetta. Inoltre a

quei tempi la mia Contrada non vinceva il Palio

dalla fine dell’Ottocento: esattamente dal 1893.

Quando si nasce a Siena, si è sempre contra-

daioli: specialmente da piccoli. Da giovani o da

adulti si potrà poi anche fare la scelta di essere

contradaioli accaniti o partecipanti con distac-

co o addirittura agnostici. Alcuni preferiscono

ignorare i natali contradaioli e scelgono poi una

Contrada più conveniente. Non è frequente, ma

chi pratica questo passaggio viene considerato

un “rivenduto”.

Da bambini ,almeno ai miei tempi , era impossi-

bile rinnegare la propria nascita.

Quando ci si conosceva, all’asilo o altrove, per

quanto piccoli si fosse, la domanda era di rito:

- E te di che Contrada sei? -

Se non si era in grado di rispondere con prontez-

za, I’interlocutore insisteva con aria sospettosa:

- Ma dove sei nato? Dove stai di casa? -

Una risposta bisognava darla. Così si offriva

all’altro la possibilità di concludere

saccentemente:

- Allora sei del Drago -

O dell’Aquila o del Nicchio e via andare. Am-

mettere di non avere una propria Contrada o di

non provare per lei nessun entusiasmo equivale-

va a dichiarare di essere uno “di fuori”. E questo

scatenava irridenti e a volte sboccate illazioni

sulla nascita, sui genitori, su usi e costumi fuori del

di Pino Gilioli

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normale. Io non ho mai avuto esitazioni. Sono

sempre stato fiero di appartenere alla Civetta.

L’ho sempre dichiarato a viso aperto, costasse

quello che costasse. Devo quindi anche a||a mia

Contrada se ho imparato a non consegnarmi

mai mani e piedi a||a prepotenza. A volte mi ca-

pitava di invidiare insegreto chi apparteneva a

una Contrada mo|to rumorosa, chiassosa e ma-

gari vincitrice. Ma mi vergognavo subito di que-

sto pensiero come se, rinnegando la mia iden-

tità contradaiola avessi desiderato anche per

un attimo qualcosa di immorale. Allora tornavo

vo|entieri co| pensiero alla realtà della mia casa

in via dei Rossi e alla Civetta, picco|e magari ma

mie. Fina|mente nel 1934, quando avevo sette

anni, |a Civetta riuscì a vincere i| Palio dopo più

di quarant’anni di attesa. E anch’io potei sentirmi

un contradaiolo a tutti g|i effetti affermando |a

fierezza di una appartenenza.

Ancora oggi, quando vedo sventolare |e ban-

diere della Civetta, provo un’emozione unica. l

nostri colori araldici sono il rosso vinato e il nero:

affrontati, disposti in modo da dividere in due

metà esatte lo scudo araldico. In mezzo com-

pare un filo di bianco come ripartizione. ll ros-

so simboleggia Ia passione, l’accesa vitaIità. ll

nero le forze sotterranee, dove la vitalità e la

passione si rigenerano e tornano alla Iuce, con-

tinuamente rinnovate. l| bianco simbo|eggia un

campo di potenzia|ità, dove avviene lo scambio

di energie tra la vitalità deI rosso e la profondi-

tà rigeneratrice del nero. È naturale essere fieri

dei nostri co|ori ed emozionarci ogni volta che si

vedono sventolare.

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LA FESTADE’ NO’ ANTRI

(dove si dimostra come si possa rincretinire del tuttoinfilando il capo nell’Albo dei Protettori della Civetta)

di Carlo A

gricoli

A Siena correva l’anno 807421, ma nessuno

sapeva perché corresse, visto che tut-

ti erano sicuri che il futuro sarebbe stato

parecchio peggio del passato. Si vivevano tempi

magri e sconsolati. Il Palio era un mito perduto nel-

la notte dei tempi. A un certo punto si era dovuto

smettere di farlo... il perché io lo so, ma ve lo dirò

un’altra volta perché se no qui si fa buio prima che

si faccia giorno. E così il 2 luglio e il 16 agosto i

Civettini non sapevano più che fare. Ogni volta suo-

nava il campanone, ai più gli veniva da piangere,

ma nessuno sapeva perché. E allora tentavano di

consolarsi con la festa de’ no’ antri.

In quei giorni un tempo felici, a primi Baglioni del

giorno s’incamminavano un po’ tristemente per lun-

ghissime scampagnate andando alla Bentura fuori

le mura. I più lesti a mettersi in moto erano sempre

i Partini, ma in testa a tutti volevano subito andare i

Guideri, convinti di sapere la strada meglio di tutti,

ma anche loro erano presto superati dai Passavanti

e allora bisognava spinteggiarsi a furia di Bracci,

ma quasi sempre volavano diversi Ciacci e qualche

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Manasse e per rimettere tutti d’accordo ci voleva-

no tutti i Pacini, i Pacetti, i Bonacci e i Benocci, men-

tre i Guerri e i Guerrini facevano invece il possibile

per creare dell’altra gazzarra. Il Ruffoli a chi gli pas-

sava vicino gli struffava i capelli. «Mac-cari miei,»

ammoniva Lorenzo, «ma non vorrete mica picchiarvi

fra voi?» - «Chi c’ha chiamato?,» domandavano

subito altri Maccari parecchio più grossi. «No, per-

chè, allora, semmai, vi si picchia noi!,» si offrivano

servizievoli. «Giammò, Giammò! Non sia mai!,» si

raccomandavano i litiganti, ma... «Chi mi vuole?,»

e stavolta si presentava un tizio di Roma che era il

doppio più grosso del Maccari piccino. Spaventati

a morte, si strigavano subito tutti e per sicurezza si

mettevano anche zitti e Muti più di Maria Ottavia,

a volte, non volendo, avessero a chiamare qual-

cun altro ancora più grosso. Arrivati a una qualche

porta cittadina, c’era da litigare di brutto con i Ga-

bellini di guardia perché loro volevano tirargli su le

maniche per controllare che non avessero ai polsi

orologi Tissot di contrabbando. E i Polzi-netti a volte

arrossivano di vergogna, se le guardie gli faceva-

no gli occhiacci per via che i loro polsi non erano

così “netti” come garantiva il loro nome. Finalmente,

già lezzi far schifo, uscivano fuori per campi e per

boschi.

Per la parte religiosa Don Enrico intonava inni Ma-

riani a tutto foco dietro alle statue di San Bernardo,

Sant’Antonio e del beato Pier Pettinaio. Era seguito

in processione da tutti i Santi, i Santioli, i Belsanti, i

Sampieri e i Santoro, ma in testa a tutti sfilava una

santa spagnola che di nome faceva Candela Fuen-

santa... incredibile... e che già fumava dal capo per-

ché se l’era subito acceso. Dietro, i Cortigiani con la

Paruca in testa portavano in groppa un baldacchino

a drappi variopinti e dentro, sdraiati sui cuscini ri-

empiti di Foglia secca, c’erano i Cardinali, i Papi, i

Papini e i Papei. «Foederis Arca,» cantilenava Don

Enrico snocciolando le litanie dei Santi. E Antonello

gongolava. Seguivano i dignitari del potere tempo-

rale, i Cesari, gli Imperatori, un piccolo re straniero

detto Reyes e tutti i Conti, alcuni a cavallo, altri sui

cAlessi, e un tale Imperato che, così a prima vista,

pareva un intruso, si difendeva dicendo che ave-

va perso il suo “re” quando era andato a fare la

pipì, ma che l’avrebbe presto ritrovato. Gli armigeri

di scorta sfoggiavano in testa Elmi più belli di quelli

di Solange, altri si pavoneggiavano con eleganti

Cappelli e portavano nelle cinture Trafieri affilati e

parecchio Lunghetti. In fondo sfilavano tutti i Dami di

compagnia e i figlioli Del Ministro.

«Gaury, Gaury, beata te che sei Silvie!,» esclama-

va a caso un cretino che diceva sempre scemenze.

A sentir parlare francese, eccoti Pascal, «e Voyat

moi! Dopo trent’année je suis rentré ne la Ciovett

con tutta la mi’ famiglia e se je fuss italien, je saré

content comme una Pasqua!»

Stranamente, in quei tempi stravaganti, nel Popo-

lo del Castellare di Senesi c’era solo Marcella,

mentre abbondavano Corsi, Mantovani, Cortone-

si, Franci e Francini, i Mori, gli spagnoli Martinez, i

piccoli Turchi, detti anche turchetti, e tantissimi greci

chiamati Pappadopuli. C’era più di un Pugliese, una

Calabrese, un Pisano e altri svariati suoi concittadini

Pisani e Pisaneschi. Altri erano invece di Ferrara e

certi stranieri si diceva fossero nati addirittura nelle

lontane Amerise. Alcuni erano Silvestri e altri Mon-

tagnani e c’era anche una Stirpe di Terroni, mentre

Chiara era D’Itri, ma nessuno sapeva che strano

posto fosse quello. Martha e Tobias vantavano la

loro discendenza da un buon uomo, ma parlava-

no inglese e nessuno capiva perché il loro babbo

Goodman dovesse essere per forza più boncitto

di tanti altri babbi normali. E infatti, «vuoi mettere

con me che sono De Lellis?,» faceva Annamaria. E

allora era tutto un coro a vantarsi ciascuno dei su’

babbi e di chi era Di Pietro e chi Di Tomaso e chi De

Luca e chi Del Brenna.

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A volte si ritrovavano su certi Viali più Lunghi di Sira,

fra i tacchini che facevano Eggli, Eggli e Denise che

gli rispondeva contenta con gridolini di soddisfazio-

ne. Qua e là si vedevano i Pescatori andare lesti

verso la Tressa, convinti di acchiappare tantissimi

Pescini, ma erano armati solo di Lenzi e di Lanza

perché le lenze non c’erano. I cacciatori già pren-

devano la mira su qualche Falcone e su stormi di

Grifoni, altri si contentavano di più modesti Tordini. I

più esuberanti Guasconi scappavano dietro a una

Gallina di razza Cinzia, scambiata per un Fagiano

o una Starna, mentre Saviano, furbo come una fai-

na, tendeva Taglioli alla Volpe e a stanarla ci pen-

sava la signora Cavani. Il Ruzzenenti ruzzenentava

per terra come una Talpa per scovare i Ricci in le-

targo, i più Baldi si azzardavano ad assalire i De

Leo e i Feroci Leoncini che dormicchiavano sdraiati

sul Monteleone. Alla fine davano dietro anche a

Giorgina, e lei allora a scappare berciando, «Im-

becilli, levatevi di torno, ‘un no vedete che io so’

appena una Leonzi.» E allora via, all’inseguimento

di Pia, ma anche lei, «disgraziati che ‘un séte altro!

Ringraziate Dio che ‘un posso più corre’ tanto lesta,

se no ve lo farei vede’ io a veni’ a dà noia a’ Gatti

con più di cent’anni!»

Nei campi ancora ricoperti dai Brini del mattino, gli

Agricoli avrebbero zappettato volentieri intorno ai

Pedani dei Perini e dei Peruzzi, ma convincere Tizia-

na che lei, come Marri, a norma di vocabolario,

doveva fare la zappa, non era per niente facile e

quando gli riusciva di chiapparla, lei gli sguisciava

di mano e gli dava di taglio nei piedi. A primave-

ra concimavano i Vigni perché facessero tantissimi

uvi, ma il merito maggiore era sempre della signora

Alba che due o tre volte all’anno veniva a Ramalli.

D’estate, a segare il grano arrivavano a corsa tutti

i Falciani, mentre i Pagliantini contenti ammontinava-

no le presse e poi facevano a picca a chi le legava

più strette. Ma vinceva sempre Dario Giordo per-

ché ci faceva certi nodi che nessuno riusciva più a

scioglierli. «Eh, belle forze! A te ti basta spostare

una “i” e i nodi di Gordio ti vengono automatici!» I

UN TRAGUARDO INVIDIABILEAbbiamo tagliato il traguardo …. la nostra mamma il 28 aprile ha compiuto cento anni !!!!!! Non è retorica dire che nella sua lunga vita ha potuto vedere e vivere di tutto: gli anni tristi dei primi del ‘900, due guerre, la ricostruzione dell’Italia, lo sviluppo degli anni ‘70 e gli anni 2000 con tutte le nuove tecnologie.E’ arrivata a Siena, dalla vicina Gaiole in Chianti, nei primi anni ’20 insieme alla mamma e alla sorella e, poiché nostra nonna era al servizio di Don Vanni, sono andate ad abitare in un appartamento all’interno del Chiostro di San Cristoforo. Nei primi anni ‘40, insieme a nostro babbo, si è trasferita ove attualmen-te risiede in Banchi di Sopra. Pertanto ha trascorso più di 90 anni nel nostro territorio vivendo da vicino tutte le nostre delusioni e le nostre gioie contradaiole.Vogliamo ringraziare di cuore la Contrada per aver festeggiato con noi, rendendo il 28 aprile 2012 ancora più speciale!!! Viva la Civetta.

Alberto e Mauro Lorenzetti.

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Fracassi e gli Stanghini sbatacchiavano come dan-

nati i correggiati sopra alle spighe distese per ter-

ra e le spicciolavano a forza di botte, i Rabazzi si

arrabazzavano in tutti i modi a raccattare i chicchi,

escluso però una Rabazzina che era troppo picci-

na e per di più non c’era quasi mai perché stava

in Asia. Poi ci riempivano Sacchi e Sacchetti, e li

trascinavano nei Granai della signora Bruna, la

mamma dei Ciatti. Ma i sacchi subito risparivano

misteriosamente dalla porta di dietro. Del misfatto

veniva accusata Ilaria, che era Bognanni come il su’

babbo, ma allora avrebbe voluto essere Innocenti

come la su’ mamma. Quando poi si scopriva che

invece erano stati i Mugnaini che non stavano più

alle mosse dalla frenesia di macinare il grano, loro

negavano tutto, ma nessuno gli credeva perché

erano Falsetti.

«Serao quel che Dio vorrao,» sospirava ogni tanto

Almina che era della genia dei più Savini, «e bi-

sogna contentassi!» E i Senni approvavano, liscian-

dosi pensosi come vecchi saggi i loro folti Barbetti.

Ma nessuno si contentava mai di niente. Chi aveva

addosso Pannacci Lisi, sognava Pannini Migliori, ma

non tutti se li potevano permettere perchè anche a

comprarli di seconda mano da Spataru erano trop-

po Costin. Poi c’erano le manie di grandezza. I Masi

volevano essere Masoni, i Fini volevano diventare

Grossi, i Vannucchi smaniavano per diventare Van-

noni, i Pierucci, i Pierallini e i Pieraccini facevano car-

te false per camuffarsi da Pieri, ai Ceccherini sareb-

be garbato parecchio essere promossi Cecchieri,

ma questi invece non si contentavano per niente e

volevano essere Cecchi. I Bancheri si lamentavano

che gli mancasse una “i” per poter fare il mestiere

più ricco del mondo e i Peverelli cattivi sognava-

no di risvegliarsi Riccaboni. I Nerucci inalberavano

grandi Cartelli e facevano sciopero per diventare

Neri, gli Ottaviani si allenavano sei ore al giorno

per vede’ di passa’ in doppia cifra, i Giannozzi si

15

camuffavano da Giannetti per non essere confusi

con i Ganozzi, i Nacci si sentivano monchi e vo-

levano diventare Pannacci, i Fabbrini studiavano

da Fabbri e chi sapeva il latino anche da Fabris.

Soltanto Don Grassini non invidiava il Grassi, per-

ché l’invidia è uno dei sette vizi capitali, e anzi, al

contrario, tentava di convincerlo a essere umile e

rimpiccinirsi anche lui. I Lorenzetti si vantavano di

saper affrescare i Buongoverni sopra al Demuru,

ma tutti facevano spallucce perché si sapeva che

erano Borioni. E infatti, in tanti com’erano, riuscivano

soltanto a imbrattarlo con ignobili patacche. Lui si

arrabbiava di brutto perchè s’era appena rifatto

l’intonaco e allora toccava ai Muratori inseguirlo

per tentare di scalcinarlo e rifarglielo di un colorino

ancora più bellino.

«Se nei temi in classe non ci metti Belli Frasi è sicu-

ro che Bocci,» si sentiva dire ogni tanto dal solito

cretino di prima, e nessuno capiva che c’entrasse.

«Passano i Lamesi e gli anni, e te mi sembri sempre

più tendente al Pazzaglia,» gli dicevano in tanti.

Attraversando Landi sperduti e solitari alla fine giun-

gevano in certi leggiadri Locatelli dove zampillava-

no Vivarelli certi bellissimi Fontani e da lontano si

vedevano anche Tempestini di schizzi De la Fuente

da tutti chiamata Sotomayor. Ogni volta erano Ac-

colti da Gil con un bellissimo Addabbo neanche

fosse una reggia, ed erano sempre i Benvenuti. La

campagna era bellissima. I Lucherini svolazzavano

Vagaggini fra i rami in fiore, ma certi ragazzini Laz-

zeroni si arrampicavano sui Da Frassini per stuz-

zicare i Covati di Passero. Mesticciavano contenti

gli ovini tondi come Pallini, ma il più delle volte gli si

sfracellava l’Inguscio e allora era tutta una fritta-

ta addosso a Roberta. Nel frattempo le mamme

indiavolate strillavano dalla paura che cascasse-

ro per i Terrilli o che peggio si sforzassero troppo

e prendessero una bruttissima Enia. Certi Porciatti

grufolavano beati fra l’erba, mentre i Picchi bussa-

vano a più non posso nei tRonchetti dei Castagnini,

ma non sempre riuscivano a bucarli col becco per

farci il nido, e allora chiamavano in aiuto i Picchioni

e per sicurezza anche i Picchianti che arrivavano

a corsa con poderosi Martelli, ma fra che erano

Mancini, fra che erano Tontoli, se li davano nei diti.

In lontananza si udivano i Guarguaglini delle acque

nei Fossati, ma bisognava stare attenti a non fare

imprevisti Bagnoli sporgendosi troppo sul ciglio dei

Gori e dei Gorelli. E se disgraziatamente si scivo-

lava sui Sassi Petrunti si poteva anche capoficcare

nei Borri. In un posto selvaggio c’erano anche due

Geyer boraciferi bollenti come soffioni.

A Poggibonsi, sui Prati di Serena, l’erba ci cresceva

che era un piacere ed era più Verde di Clement.

Ci si coglievano Le Rose e i Gilioli da mettere a

tutti i sant’Antoni-ni di chiesa. Gli altri Fiorini normali

sbucavano da tutte le parti ed erano di tutti i colori.

Quelli Rossi ormai erano troppo dozzinali e nessu-

no ci faceva neanche più caso, mentre garbavano

parecchio i Rosini e i Roselli, e anche quelli di un

Rosso più smagliante di Lorenzo. Quelli Viola come

Massimiliano, invece, facevano schifo. Ma anche lui

e le su’ cittine, che erano della colonia milanese,

ormai c’erano abituati e sapevano bene perché.

Comunque, Marco tentava di coglierli tutti per far-

ci splendidi Mazzilli, Mazzini e Mazzeschi, ma da

quanti erano questi Fiorini, gliene avanzava sem-

pre qualcuno.

Alle dodici Monica, con la sua vocina gentile, an-

nunciava, «andiamo a Manzan!» E tutti si metteva-

no a sedere per terra felici e contenti. Nessuno si

aspettava pranzi di Gala, ma semmai pasta e Ce-

cere, fagioli Barlotti, Mar-zucchine ripiene, Radicchi

conditi, ma l’olio spesso non c’era e un’altra Moni-

ca che era l’unica Oliva in circolazione scappava

a corsa dalla paura di essere strizzata. Qualcuno

segue a pag. 18

AL CENTRO Gente

immersa in una

piccola città già

vista piccola città che

insistepiccola città con

gli occhi aperti a metà

piccola città che,

sana o no,

un’anima però ce l’ha

se ripassate fra

cent’annici trovate sempre

qua ...Luciano Ligabue

SIAMO NOI

18

con due manciatine di Semboli voleva fare il pane

ma lo pigliavano per strullo. A Fiamma gli basta-

va un guizzo per accendere il fuoco e cuocere le

Carniti. Era Mirandi! Ma anche il fuoco bisognava

rispegnerlo subito perché faceva troppi Favilli. Non

tutti però si contentavano del mangiare che c’era e

allora s’ingaggiavano Lotti furiosi per i migliori boc-

concini. Eugenio scatenava addirittura una Bi-lotta

perché una sola non gli bastava. Ma non c’erano

mai Vittori e Vinci, perché alla fine scendevano a

patti e si facevano l’uno con l’altro Baratti e Cam-

biaghi di pietanze e contorni. «Chi s’è fregato il fia-

sco del vino, che io lo Piazzai proprio qui?,» diceva

il solito cretinetti, tanto per mettere zizzania. «Sarà

stata Brigitte che è Ladret, e la sua amica Martine,

che è Drevet, gli sta vicina perché ci fa rima, ma

non sempre ce la fa a guardalla.» L’unica cosa che

non mancava mai era l’acqua, e se uno la voleva

frizzante, bastava chiamare il Gassani. I frutti era-

no sempre aCerbai e le mamme si raccomanda-

vano, «Giovannino Pela per benino tutti i Bucci e i

Buccianti,» ma parecchi cittini mangiavano anche

quelli, gli rimanevano indigesti e gli facevano venire

la bua al Pancino. E allora rimanevano Biagi Biagi

e Bianchi Bianchi, ma di un colorito così Smorto che

facevano Pena-ti. Alcuni diventavano bigi come vEr-

mini svenuti. A volte sembravano quasi Morichelli e

le mamme morivano davvero Depau-ra. Ai più gra-

vi l’infermiera Isabella gli schioccava una Flebus e il

cittino ritornava subito vispo e Vitale. Come dessert

c’erano sempre ghiottissimi sorBetti, i Ricciardelli del

Sapori e montagne di squisitissimi Colussi di marca

Rosalba comprati dal Faleri all’Ingrosso di Alessan-

dro. I cittini, ormai col vomito, buttavano via anche i

biscotti e le nonne allora a berciare, «piccinino non

lo Buttà, non lo Buttà che ti toccherà andallo a ri-

cercà nell’inferno col ditino acceso come uno stoppi-

no!» E i cittini impauriti diventavano ancora più Bro-

gi, Nencini, Bianciardi e Bianchini di prima. Dopo

mangiato si riponeva la roba e, «guarda, guarda,»

dicevano quelli che non facevano mai niente, «Gui-

do e Duccio, piccini come sono, già Turano i fiaschi

19

meglio di tutte le Turillazzi!» Uno solo si sdraiava

Supino sotto un testucchio, lamentandosi che nella

Civetta non ci fosse neanche una Querci o alme-

no un Quercioli, ma dopo un pochino non ci stava

più bene e incominciava a fare un monte di Voltolini

di qua e di là che a guardarlo faceva venire i gi-

ramenti di capo. I notai approfittavano della sosta

per stilare qualche atto rimasto indietro, Michela ci

appiccicava La Marca da bollo e il Marchionni ci

schioccava sopra il Cimbro portato da Ilves.

Dopo essersi riposati riprendevano il cammino,

Pianigiani, Pianigiani, ma parecchi erano alTicci e

ciondolavano di qua e di là, Traballlesi, Traballesi.

«Mi sento Zullino, Zullino,» disse una volta un cittino.

«Non farò mica il cencino?» - «Mi Parricchi cretino!,»

rispose il suo amichino che si chiamava Lollini. «E te

mi Sparvoli scemino!» - «A me mi sembrate tutti e

due Fei!,» disse la mamma del cittino.

Filippone era aMigone di Mastrandrea, mentre

invece odiava a morte Aldino e ogni volta gli ber-

ciava dietro: «Te mi Somigli tanto a qualcuno che mi

faceva schifo. Se Petessi, ti darebbi foco!» E Aldino

rispondeva, «E io ti strapperei lo Scalfi dal capo e

’un vedo l’ora che tu Trapassi!»

«Attenta, che mi fai Cadelo,» diceva Ginevra a

Carolina, «reggiamoci invece l’una con l’altra e così

si fa a meno di mamma Anselmi.»

Alla vista dei Cavalli contornati da nugoli di Mo-

sconi e Moscatelli, mentre il Maniscalco gli tirava

in su le gambe per guardargli sotto i piedi, Vanda

Zucali domandava se avessero tutti i Denti come il

su’ marito, ma nessuno si azzardava a guardarli in

bocca perché si sapeva che i cavalli erano Donati.

I Bimbi correvano fra i motti, Garosi a chi faceva

prima per arrivare a toccarli, inseguiti dalle mam-

me a gridare, «attento, attento tu m’inCiampoli nei

Cerpi e mi ruzzoli Bacconi per terra!» E quando

non riuscivano a chiapparli si raccomandavano

alla signora Tosca che era lì vicino e a cui davano

del lei, «per favore, me lo Chiappi, me lo Chiap-

pi!» E Tosca si faceva aiutare dalla sua piccola ap-

prendista Ciapparelli. Altre mamme rincorrevano i

disgraziati cittini con una Granata portata apposta

da casa e, se li arrivavano, non c’era Salvatore che

tenesse e volava sempre qualche Botta e parecchi

Gragnoli di schiaffi. E allora i Bimbi gridavano, «Ha-

yek, Hayek!» Donatella, della genia dei Conforti,

accorreva subito pietosa e, «Piccinini, Piccinini, venite

qui che v’asciugo le lacrimucce.» Le mamme se la

rifacevano invece con gli Addetti ai Giovani, «Dio

bonino, ve ne scappa sempre qualcuno!» - «Venite

voi, allora, che per guardarli tutti ci vorrebbero di-

20

versi Centini di paia di Calocchi!»

Certi altri Lazzeroni da dietro gli Alberi tiravano

scapaccioni a tradimento a Ginevra Zondadari e

poi gli facevano Barabino, Barabino con le dita

sventolanti sulla punta del naso. I Tosi schioccavano

le forbici e guardavano vogliosi gli Agnelli, mentre

Renato Cardani si fregava le mani e pareva dices-

se, «vieni qua, che ti cardo bene, bene,» ...la lana,

ovviamente, e il Tessitore già sognava di mettere

in moto il telaio per fare sciarpe bianche, rosse e

nere, perché questi colori piacevano tanto, non si

sapeva più perché.

«Mirabella Concetta!,» diceva ogni tanto la gente

ammirata. «E la mi’ moglie allora, che è la figliola

Del Bello?,» domandava Umberto, impermalito di

brutto. «Anche lei, anche lei, è Mabel, è Mabel!,»

cantavano allora in coro i Visibelli che di bellezze se

n’intendevano a sfare e che anche loro erano Cari-

ni, ma secondo parecchi, erano invece anche Brut-

tini, meno che Amanda, e certuni che erano Mino-

rati, disgraziati loro, erano mezzi Cei. E altri, con

rispetto parlando, erano anche Finocchi. Uno dei

peggio, che per decenza manco si nomina, vestiva

da far schifo, i calzoni gli ciondolavano da tutte le

parti perché ogni pochino gli cascavano i Bertelli, e

in più gli rimaneva sempre aperta la Patta, tanto che

si temeva gli scappassero di fuori i Buzzigoli.

Ogni tanto, all’improvviso, Agota assicurava di es-

sere Csomor. Oh questa? I più furbi fingevano di

capire, mentre i più sprovveduti chiedevano inge-

nuamente, «che vol dire?» E lo Stefanachi allora

se n’aveva a male. Ma c’era di peggio, perché

Sara era Diana, Rosanna era Mercurio, la Civetta

era di Minerva, Giove era parecchio confuso, «né

di Venere, né di Marte, né si sposa, né si parte,»

ammoniva lo strullo che parlava a vanvera.

A sera, quando giù dai monti Bruni calavano le

prime ombre e si sentivano sonare i Batazzi delle

campane del vespero, stanchi morti, tutti ciondolo-

ni, riprendevano Klange, Klange la via per tornare

ai loro Casini, Capannini e Capannoli e Carlotta

ai suoi Castelli ornati di bellissimi Torricelli. I frati an-

davano tutti a rintanarsi nelle Celle-si della signora

Giovanna Nannini e i gazzillori al Borgogno e agli

altri Borghi del contado. I vecchi non ce la faceva-

no più. Camminavano Bogi, Bogi, a capo basso,

Lu-chini, Lu-chini, ai Fattorini toccava portargli le bor-

se e Pinto aiutato da Donata li spingeva da dietro,

ma loro dormivano ritti. A parecchi toccava fargli

le solite Flebus ricostituenti, una dietro l’altra. Quasi

sempre sul far della notte uno che parlava strano

diceva che uno Schicchio di Luni era alto nel cielo

e illuminava la strada come un Faro le onde del

mare. Un professore di latino aggiungeva che intor-

no brillavano tantissimi Sideri, ma parlava un latino

maccheronico e allora ai Di Cosmo, che d’astrono-

mia sapevano tutto, toccava spiegare che i Sideri

erano le stelle. Buonanotte!

21

di Cam

illa Marzucchi

ONDEON, OVVERO: I CIVETTINI SONO

UNO SPETTACOLO!

Quando mi è stato chiesto di redigere

un articolo su Ondeon, l’evento te-

atrale che biennalmente coinvolge i

bambini delle diciassette contrade, mi sono così

tanto emozionata da ritrovarmi a non sapere

cosa scrivere. Emozionata, lo ammetto, perché

quella del teatro è un’esperienza che non si

può descrivere, ma solo vivere. Specialmente

se è condivisa con i ragazzi. Dall’esterno, una

rappresentazione teatrale è di fatto qualcosa

che magicamente nasce, cresce e si esaurisce

nel tempo stesso in cui si svolge, tra risate,

applausi e sorrisi del pubblico; diversamente,

dall’interno è l’incontro tra l’aggregazione, il sa-

crificio, la coesione e l’impegno speso, nei mesi,

per creare qualcosa di unico, che c’è stato e

22

non cesserà di essere, nel momento in cui ca-

lerà il sipario. La nostra avventura è cominciata

prima dello scorso Natale, quando il caro ami-

co Vanni Righini del Bruco, goliardo e scrittore

di commedie, ha redatto per la Civetta il te-

sto che i bambini avrebbero portato in scena:

Una rondine non fa primavera.. Ovvero.. Se son

rose fioriranno. La scelta di far collaborare una

persona esterna, già avvezza all’ esperienza

Ondeon dei piccoli del Bruco, è stata frutto di

molteplici considerazioni. Desideravamo infatti

che la commedia fosse scritta tenendo conto

delle esigenze dei bambini, impegnati in inver-

no in forse troppe altre attività, ma che allo

stesso tempo fosse adatta ad educarli all’impe-

gno che si deve saper prendere in Contrada.

L’ambizione ultima, era che la storia narrata

risultasse divertente e dallo standard più alto

rispetto alla media, sia per gli attori che per il

pubblico, puntando a lanciare un messaggio e

una morale contradaiola condivisibile. Del re-

sto, Ondeon è un’attività per i più piccoli che

nasce con l’intento di trasmettere dei valori at-

traverso il gioco, nonché di avvicinare i giovani

al teatro, un’esperienza che sappiamo essere

estremamente formativa.

A gennaio sono cominciate le prove, che set-

timanalmente si sono svolte sia in galleria che

al teatrino della parrocchia di Santa Caterina

all’Acquacalda, una Chiesa dal grande orato-

rio con annesso palcoscenico. Per amore di sin-

tesi, mi limiterò a condividere con voi la gioia e

la soddisfazione che solo l’aggregazione che

nasce in virtù di un obiettivo comune, riescono

a provocare negli animi: vedere i nostri ragazzi

impegnarsi ad imparare la parte, migliorare ed

23

arrivare a recitare in modo perfetto, come solo

poche altre consorelle sono riuscite a fare, è

stata un’emozione che ha valso la stanchezza, i

timori e l’agitazione che sono sopraggiunti per

raggiungere lo scopo. Impagabile e insostituibi-

le l’aiuto di Martino Castellani, che pur non es-

sendo della Civetta si è offerto con simpatia e

generosità di rivestire il ruolo di regista. Il tempo

è volato e in men che non si dica, siamo giunti

al 21 Aprile, data in cui Ondeon è stato porta-

to in scena al Teatro dei Rozzi. I nostri ragazzi

sono stati impeccabili ed hanno riscosso un suc-

cesso oltre a quello sperato. Il lettore mi pas-

serà volentieri l’uso di un Senesismo, quando

dico senza falsa modestia che i Civettini sono

stati di “un’altra categoria”. Ruotando intorno

alle avventure di una coppia di pensionati e

dell’amico mattacchione( Lucrezia Panti, Nicco-

lò Betti ed Emilio Cerpi), propensi a cercare un

sostituto mimo degno del povero Omino d’Oro,

la storia ha affrontato con ilarità, comicità e

un po’ di satira, il tema del disinteresse socia-

le, argomento spesso trattato all’interno delle

contrade. I personaggi, colorati, vivaci e un po’

strampalati, hanno avuto la pretesa di essere

rappresentativi della società postmoderna e

cittadina, così da risultare divertenti e motivo

di riflessione. Partendo dalla turista tedesca

(Angelica Sparvoli), la storia ha visto susseguire

personaggi come i Tradizionalisti Contradaioli

(Guccio e Pietro Corsi), i Circensi della strada

(Massimo Turchi, Martina Nencini, Francesco

Giannetti, Adele Pierucci, Eleonora Granata),

il Ragazzo Triste (Enea Petessi) e il Profeta Side-

rale (Giuseppe Portos Pugliese), in un crescendo

di simpatia e comicità, per concludersi con un

colpo di scena ed un finale degno di leggera

morale. Il pubblico dei Rozzi ha riso e applau-

dito incessantemente per tutta la durata della

rappresentazione.

Infine, il giorno 11 Maggio i nostri ragazzi han-

no replicato la commedia alla Casa di Riposo

Campansi di Siena, al fine di allietare gli ospiti

della struttura. Forse, da questo mio racconto

non si evincerà ancora tutta la soddisfazione

e la gratitudine che provo verso i nostri citti-

ni, che sono stati bravi, pazienti e si sono tan-

to impegnati. in conclusione, scrivere di loro e

della stupenda avventura che mi hanno fatto

vivere, mi rende nuovamente euforica. Che dire

ragazzi, Grazie di cuore! La mia emozione più

grande, la cosa più bella della mia Contrada,

siete VOI!!!!

Rinnovo a tutti l’appuntamento per il giro, in cui

avremo il piacere di riproporre lo spettacolo di

Ondeon nel Castellare.. sono sicura che non

mancherete!

24

di Alberto Fiorini

Tutti i Senesi sanno che negli Anni Trenta del

secolo scorso si ebbe il cosiddetto “risana-

mento” di Salicotto e del Ghetto, ben pochi

sanno, però, che all’interno del piano regolatore

generale, progettato dal Comune di Siena nel

1932 era prevista una serie di interventi che, se

attuati, in alcuni casi avrebbero cambiato sostan-

zialmente volto alla nostra città ed al territorio

della nostra Contrada.

All’epoca Siena era afflitta da un problema mai

presentatosi prima: il congestionamento del traf-

fico nelle vie centrali lungo l’asse Porta Camollia-

Croce del Travaglio, e da qui verso Porta S. Marco

o Porta Romana. Il traffico, oltre che intenso, era

considerato pure pericoloso, visto che la struttura

urbanistica non era certo in grado di sopportare

i nuovi mezzi di trasporto. Fu ritenuto quindi ne-

cessario creare delle arterie alternative (oggi le

avremmo chiamate “tangenziali”) che potessero

collegare la città con le porte S. Marco e Romana,

nuove vie periferiche e un paio di strade trasver-

sali per unirle (cioè dei “raccordi”). Il progetto era

tutt’altro che facile, perché creare nuove strade

e piazze, ampliando quelle esistenti, presentava

difficoltà non comuni a causa delle caratteristiche

topografiche della città e delle sue numerose co-

struzioni di carattere storico. Ma fu cercato ugual-

mente di armonizzare le antiche bellezze colle

nuove necessità edilizie e igieniche ed anzi di ac-

centuare la fisionomia medievale (gotica) di Siena.

Il primo strumento di pianificazione urbanisti-

ca complessiva della storia cittadina fu redatto

dall’Ufficio Tecnico del Comune nella persona

dell’Ingegnere Capo Andrea Mascagni, il quale

lavorò insieme ad una Commissione Consultiva

presieduta dal Podestà Fabio Bargagli Petrucci.

All’interno della stessa, un ruolo importante fu svol-

to dal pittore senese Arturo Viligiardi, che tra 1933

e 1935 realizzò diciassette disegni rappresentan-

ti le trasformazioni più importanti che sarebbero

state compiute dal piano regolatore. I disegni del

Viligiardi e le piante realizzate dall’Ufficio Tecnico

Comunale in quegli anni, ci aiutano a capire come

sarebbe apparsa Siena se gli interventi progettati

IL VOLTO DEL TERRITORIO NEI

PROGETTI DEL 1932

25

fossero stati realizzati.

La direttrice Camollia-San Marco avrebbe utiliz-

zato nel suo primo tratto i già esistenti viali Ar-

mando Diaz e dei Mille sino a Camporegio. A

questo punto - riprendendo un’idea medievale-, a

fianco della chiesa di San Domenico sarebbe sta-

to costruito un imponente viadotto, snello, a larghe

curve, abbassandosi in curva per non disturbare

il panorama che si gode da San Domenico, che

sarebbe approdato sulla collina del Duomo, all’al-

tezza della metà del Costone. Da questo punto

la nuova via, passando a mezza costa, sarebbe

giunta fino a Pian dei Mantellini, dove fu prevista

la riapertura delle Due Porte.

L’asse viario Camollia-Romana, invece, si sarebbe

dovuto sviluppare sulla pendice nord-est con un

allargamento di Via del Pignattello, la costruzione

di un nuovo imbocco in Piazza del Sale, l’allarga-

mento di Via della Stufa Secca e la costruzione di

un tratto di strada che unisse Via Vallerozzi con

Piazza S. Spirito, passando dietro Piazza dell’Ab-

badia, ampliando il Vicolo di Provenzano e Via

delle Vergini. Un grande intervento avrebbe ri-

guardato la zona retrostante la basilica di Proven-

zano dove era prevista una grande piazza che

avrebbe isolato il Santuario Mariano. Una grande

scalinata a un ampio viale avrebbero congiunto

la zona di Provenzano con la valle di Follonica,

all’interno della quale dovevano sorgere nuove

abitazioni civili ed un villaggio per artisti.

A. Viligiardi, “Nuova Piazza delle Contrattazioni, già Piazza dell’Indipendenza”, 1933-35.

26

Il progetto non si fermava qui, ma prevedeva altre

arterie come una via nella valle di Porta Giustizia,

un accesso diretto fra Via Garibaldi e la Lizza e

soprattutto un collegamento tra le due direttrici

Camollia-Romana e Camollia-San Marco con una

traversa costruita sotto forma di galleria che sa-

rebbe partita da Via della Stufa Secca e, dopo

enormi sventramenti, sarebbe uscita in via della

Sapienza. Il Viligiardi ce la rappresenta con ingres-

si imponenti ed enormi torri angolari.

Un secondo attraversamento era previsto nel cen-

tro cittadino con interessamento del nostro territo-

rio, mediante una galleria, che avrebbe congiunto

Via delle Terme con Via dei Termini. Questa strada,

tramite l’ampliamento dei vicoli di Pier Pettinaio,

della Regina e del Viscione, sarebbe sfociata in

Banchi di Sotto in una piazza “medievale” davanti

al Palazzo Chigi Zondadari. Il disegno di Viligiardi

ci mostra come sarebbe dovuta essere la nuova

piazza, realizzata grazie all’abbattimento delle

brutte casupole che nascondo le due torri medio-

evali in prossimità del Castellare degli Ugurgieri. A

guardia di essa, sulla sinistra, si sarebbe elevata

più solitaria di quanto non lo sia oggi l’antica petri-

gna Torre di Serravalle o dei Guastelloni, facente

angolo tra Banchi di Sotto e Via delle Donzelle.

Costruita avanti l’anno Mille per sbarrare e con-

trollare la parte superiore del Campo quando era

ancora una valle selvaggia, la Torre di Serravalle

a canto di casa Cinughi - scrive il Pecci - fu comune

agli Ugurgeri, ai Maconi, ai Cinughi, ad altre fami-

glie, ed ai Cavalieri Templari. Sul fondo, al centro

di un palazzotto in falso stile medievale, posto tra

Via delle Donzelle e Via di S. Vigilio e nobilitato sul-

la destra da una loggia, sarebbe stata valorizzata

un’altra torre, appartenuta in passato agli Ugurgie-

ri. I Civettini conoscono molto bene l’interno di que-

sta torre in calcare cavernoso, perché costituisce

la corte a cui si accede dall’attuale economato. Di

essa purtroppo non resta che un rudere ingloba-

to nelle case, ma - come si vede dal disegno del

Viligiardi - era stato previsto di liberarne il fronte e

una sua completa ricostruzione, rialzandola di ben

tre piani. Essa, peraltro, non sarebbe stata la sola,

dato che l’ambizioso progetto del ‘32 prevedeva

di ricostruire ben 34 torri feudali del patriziato se-

nese scapitozzate dagli Imperiali dopo la caduta

della Repubblica Senese, per portare a 44 il nu-

mero di queste quadrate ferrigne vedette antiche

e conferire un nuovo aspetto al panorama di Siena.

Né quello di Banchi di Sotto sarebbe stato l’uni-

co intervento riguardante il territorio della nostra

Contrada. Un altro importante progetto di modi-

ficazione riguardò Piazza dell’Indipendenza, che

sarebbe dovuta divenire il nuovo centro della vita

commerciale cittadina, assumendo il più moderno

A. Viligiardi, “Nuova piazza fra Banchi di Sotto e il Castellare degli Ugurgieri”, 1933-35.

27

nome di Piazza degli Affari. La piazza era già sta-

ta ampliata nel 1812 con l’abbattimento dell’antica

chiesa di S. Pellegrino, per creare uno spazio più

comodo dinanzi all’ingresso del Teatro dei Rozzi.

Nel 1932 fu progettato di arretrare ulteriormente

il fondale della parte alta della piazza, distrug-

gendo l’attuale loggiato a tre arcate. In tal modo

sarebbe stato valorizzato il rosso palazzo merlato

dei Ballati - peraltro falso, perché costruito in sti-

le gotico nel 1883 su disegno dell’architetto Ar-

chimede Vestri - e la possente ed altissima torre

in filaretto di travertino appartenuta ai Gallerani,

popolarmente chiamata Torre dell’Orsa.

Uno dei disegni di Viligiardi ci mostra la sistema-

zione della Piazza degli Affari con al centro il Pa-

lazzo Ballati, tutto rifatto nella parte inferiore con

un enorme androne simile a quello del Palazzo del

Podestà di S. Gimignano. Affiancato ad esso, dalla

parte di Via delle Terme, il disegno ci mostra un

palazzotto gotico con un loggiato a quattro ar-

cate protetto da una tettoia; un altro palazzetto

gotico merlato, leggermente arretrato rispetto al

torrione Ballati, completa il fondale della piazza

dal lato di Via dei Termini.

La nuova Piazza degli Affari avrebbe consentito

di liberare il tratto di Via di Città dinanzi alla Log-

gia della Mercanzia, luogo abituale di ritrovo di

agricoltori e commercianti in occasione del mer-

cato settimanale delle merci di Piazza del Campo.

In passato, tale mercato avveniva di sabato. Per

ragioni di traffico, nel 1927, il mercato era stato

trasferito in Piazza Umberto I, nell’area antistante il

Palazzo della Camera di Commercio (dove anco-

ra si svolge), ma questa scelta non aveva trovato

buona accoglienza per essere la piazza suddetta

troppo esposta al vento e al sole. Le lamentele

della Federazione degli Agricoltori e Commer-

cianti avevano costretto così il Comune a spostare

temporaneamente questo mercato prima in Via

Pianigiani, poi in Piazza dell’Indipendenza, sfrut-

tando anche un locale a pian terreno dell’Acca-

demia dei Rozzi, e infine nelle vie di Diacceto e di

Beccheria chiuse al traffico dei veicoli. Le proteste

e una certa resistenza al cambiamento si manife-

starono anche quando nel 1935 entrambi i merca-

ti furono spostati al mercoledì in seguito all’introdu-

zione del “sabato fascista”, tanto che per qualche

tempo, ogni fine settimana, continuò a svolgersi

dinanzi alla Loggia della Mercanzia una specie

di mercatino “ufficioso” tollerato dalle autorità. In

tali giorni la folla intralciava non poco il traffico

della Croce del Travaglio, il punto maggiormen-

te critico della viabilità cittadina. Gli estensori del

nuovo piano regolatore si preoccuparono perciò

di migliorare anche la situazione di quell’incrocio,

progettando dei portici, ricavati nella parte bassa

della casa natale del pittore Galgano Perpignani,

lasciando però integralmente intatte tutte le co-

struzioni aventi anche il minimo carattere monu-

mentale come la torre del tribunale dell’Arte della

Lana all’inizio di Banchi di Sopra.

Il Podestà Bargagli Petrucci volle sentire in merito al

progetto il parere del Comitato Igienisti, del Sinda-

cato Fascista degli Artisti e del Sindacato Provin-

ciale Fascista degli Ingegneri e Architetti. Tutte e

tre le associazioni, convocate in riunioni collegiali,

dichiararono di condividere le eclatanti e costose

trasformazioni di Siena; ma quando nel 1936 -

sia pure discussioni e ridefinizioni - la stesura del

piano poté dirsi compiuta, di fatto, non essendo

stato ancora concretizzato alcun piano finanziario

per realizzarlo, non si pervenne ad alcuna appro-

vazione. Quell’anno cambiò anche il podestà e il

piano rimase solo sulla carta e nei disegni di Vili-

giardi. Così Siena (e la Civetta) si salvò dai sogni

ambiziosi e futuristici degli amministratori del tem-

po, conservando intatto il suo fascino antico senza

sventramenti e false ricostruzioni.

28

A MODO MIO

Purtroppo non mi è stato possibile essere

presente all’ultima assemblea, nel corso

della quale è stato trattato, tra gli altri,

il tema relativo alla divulgazione delle immagini

paliesche.

Ho appreso, direttamente dall’On.do Priore, che

l’argomento ha destato scarsissimo interesse,

penso con votazione quasi plebiscitaria a favore

dello status quo, ossia della commercializzazione

da parte del Consorzio della diretta delle car-

riere.

Ebbene, pur senza voler giungere a conclusioni

affrettate, mi spiace constatare come la nostra

Contrada – per quanto mi risulta al pari delle

altre – abbia sottovalutato il pericolo, ormai in-

combente, derivante dalla trasmissione televisi-

di Salvatore Granata

29

va del Palio in un momento storico, quale quello

attuale, dominato da superficialità, ignoranza e

demagogia.

Non volendo confermare un motto caro a mio

padre secondo cui “l’ingratitudine umana è più

grande della misericordia divina”, riconosco che

pochi quanto il sottoscritto hanno beneficiato del-

le dirette paliesche.

Ricorderò sempre quando ragazzino, trovando-

mi a Filicudi, imploravo i Carabinieri, possessori

dell’unico televisore dell’isola - 12 pollici alimen-

tato da un rumorosissimo gruppo elettrogeno - di

farmi vedere il Palio, emozionandomi oltre ogni

limite per i filmati e le appassionate parole del

compianto Frajese, che, perfettamente conscio

della gravosità del suo compito, pur ripetendosi

e attingendo a una dose di sana retorica, parla-

va col cuore e il cuore riusciva a toccare. Quan-

tomeno il mio.

La situazione però rispetto a trenta e passa anni

fa è profondamente mutata e gli effetti nefasti e

dirompenti della globalizzazione rischiano di mi-

nare anche le secolari, profondissime radici della

nostra Festa, sempre più esposta a vergognosi

attacchi nei confronti dei quali, a mio avviso, l’uni-

ca risposta efficace sarebbe quella di “mettere le

mani nel muso” all’interlocutore. È inutile infatti ten-

tare di far ragionare squallidi personaggi armati

dalla più smaccata malafede, ai quali la televi-

sione offre il destro per muovere verso il Palio e

Siena le accuse più assurde e infamanti, per sop-

portare le quali occorrerebbe avere la pazienza

di un santo e non quella di un contradaiolo.

A mali estremi pertanto occorre avere il corag-

gio di opporre estremi rimedi e, pur non sot-

tovalutando, soprattutto in questo periodo di

gravissima crisi economica, l’importante introito

derivante dalla vendita delle immagini palie-

sche, bisognerebbe a mio avviso prendere una

decisione drastica, chiudendoci, fieri e altezzosi,

entro le nostre mura.

Al più si potrebbe romanticamente tornare alla

cronaca radiofonica, perché Siena possa davve-

ro tornare a “trionfare immortale”.

30

PER SPORTE PER

PASSIONE

Per il sesto anno consecutivo la squadra

del Cecco Angiolieri si è presentata ai

nastri di partenza del Torneo “Dudo

Casini”, organizzato dalla Polisportiva Trieste.

Dopo la vittoria ottenuta al Rastrello nel 2009,

molti dei protagonisti di quella eccezionale,

quanto inaspettata impresa sono stati costretti

ad appendere gli scarpini al chiodo per rag-

giunti limiti di età, rimanendo in egual modo

parte integrante del gruppo dirigendolo, chi da

bordo campo e chi dalle tribune.

Quest’anno avevamo molte perplessità sulle ef-

fettive possibilità di poter partecipare al torneo

data l’evidente difficoltà nel reperire civettini di-

sponibili per tutta la durata della manifestazio-

ne, ma l’attaccamento alla gloriosa “maglia del

Cecco” ha fatto la sua parte facendoci scoprire

talenti in erba tra le nuove leve. Un grande aiu-

to nel creare subito la giusta atmosfera all’in-

terno del gruppo va sicuramente riconosciuto

ai “vecchi”, che stanno facendo da chioccia ai

più giovani, i quali a loro volta hanno portato un

rinnovato entusiasmo nello spogliatoio.

Siamo giunti così alla prima partita, che ci vede-

va contrapposti ai campioni in carica dell’Oca,

con molti punti interrogativi, che sono stati subito

spazzati via con un buon pareggio a reti bian-

che. Già dal secondo incontro, con l’Aquila, si è

notato il reale valore tecnico della rosa, che ci

ha consentito di ottenere i preziosi tre punti. La

terza giornata prevedeva in calendario l’atte-

sissimo derby contro il Cavallino, la partita che

tutti vorrebbero giocare. Prima del fischio d’inizio,

nello spogliatoio era palpabile la tensione ed

di Lorenzo Depau e G

uido Pescatori

31

allo stesso tempo la voglia in ognuno dei ragaz-

zi di fare una grande partita di fronte al nostro

pubblico, sempre numeroso e che non ci fa mai

mancare una sana dose di berci ed incitamenti.

Il risultato finale ci ha visto pareggiare per 1 a

1 lasciandoci forse qualche rimpianto di troppo.

Nella quarta gara abbiamo ottenuto la ma-

tematica qualificazione ai quarti di finale con

un turno di anticipo grazie ad una pirotecnica

partita contro il Montone terminata con la vit-

toria per 4 a 3 ottenuta soltanto nei minuti fina-

li. L’ultima partita, utile solo a stabilire l’effettiva

griglia dei quarti di finale, ci ha visto purtroppo

sconfitti per 3 a 2 dall’Onda, consegnandoci

il terzo posto ed il conseguente scontro con

La Pania, seconda classificata del girone B. La

squadra dei Pispini è la nostra autentica bestia

nera, avendoci già eliminato per tre volte nelle

edizioni precedenti.

Nel momento in cui stiamo scrivendo, la partita

non è ancora stata giocata, ma siamo convin-

ti che i nostri ragazzi ce la metteranno tutta

per portare il Cecco a calcare nuovamente il

glorioso prato del Rastrello, e perché no, ria-

scoltare le note del nostro inno schierati a cen-

trocampo.

Mercoledì 13Castellare degli UgurgieriCastellare degli UgurgieriOratorio di ContradaCastellare degli UgurgieriPiazza Indipendenza

Giovedì 14Chiostro di San CristoforoChiostro di San CristoforoCastellare degli UgurgieriCastellare degli Ugurgieri

Venerdì 15Castellare degli UgurgieriCastellare degli UgurgieriCastellare degli UgurgieriVia Cecco AngiolieriCastellare degli UgurgieriCastellare degli Ugurgieri

Sabato 16Chiesa di S. Cristoforo

Castellare degli Ugurgieri

Piazza TolomeiOratorio di ContradaVia Cecco AngiolieriVia Cecco AngiolieriCastellare degli UgurgieriPiazza Tolomei

Domenica 17Via Cecco AngiolieriOratorio di ContradaVia Cecco AngiolieriVia Cecco AngiolieriVia Cecco Angiolieri

Il Campo, Bocca del CasatoOratorio di ContradaCastellare degli UgurgieriVia Cecco Angiolieri

ore 17.00ore 17.45ore 18.30ore 19.30ore 20.30

ore 18.30ore 19.30ore 20.30ore 22.00

ore 18.00ore 18.30ore 19.30ore 20.30ore 22.00ore 22.30

ore 10.30ore 11.00ore 18.00ore 19.30ore 20.00ore 20.15ore 20.45ore 21.00ore 22.00ore 22.30

ore 07.00ore 07.45ore 08.20ore 13.00ore 15.00ore 15.40ore 19.30ore 19.50ore 20.15ore 20.30

Caccia al tesoro fra i bambini di tutte le contradeMerenda con i BambiniS. Messa in onore di S.Antonio da Padova e in suffragio dei contradaioli defuntiAperitivo in SocietàCena al Tegamino

Presentazione “Nuovi Costumi”AperitivoCena“Insieme nel Castellare” proiezione di filmati inediti

Cerimonia “Anni d’Argento”Cerimonia dei sedicenni “Ingresso in Contrada”Aperitivo CenaOndeon “Una rondine non fa primavera...”“GUFIG cabaret musicale arte varia”

Benedizione fiori per onoranzeOnoranze funebri ai Cimiteri cittadiniBattesimo ContradaioloRicognizione dei confiniRicevimento della SignoriaSolenne MattutinoAperitivo in “Galleria”CenaPalio dei CittiniPallavolando

Ritrovo e vestizione della ComparsaS. Messa, benedizione della Comparsa e “Maria Mater Gratiae”Partenza della ComparsaRientro della ComparsaRitrovo e vestizione della ComparsaPartenza della ComparsaIngresso della Comparsa, corteo di rientro“Maria Mater Gratiae”Aperitivo Cena di Chiusura Festeggiamenti

FESTA TITOLARE 2012in onore di Sant’Antonio da Padova e San Bernardo Tolomei

13-17 giugno 2012

È obbligatorio prenotarsi:per le cene di Giovedì, Venerdì, Sabato entro le ore 12.00 del giorno precedente, per la cena di Domenica entro le ore 12.00 di Venerdì 15

presso la Boutique del Caffè oppure [email protected]