Caro Lettore, è passato quasi un anno dall'uscita del primonumero della nostra rivista. Molte cose sono cambiate,mentre molte altre sono rimaste le medesime. Un anno
sta per terminare, e il tempo – stacanovista per natura –continua col suo inesorabile lavoro. Un'altra stagione ci
abbandona, e mi sembra ieri che in redazione stavamo organizzando ilmateriale per questo numero, cercando di capire quali potessero essere
i testi migliori da porgervi perché, in un certo qual modo, ci avrebbefatto piacere far parte del vostro Natale.
É inderogabile che il numero invernale di una rivista sia probabilmentequello più importante. Bisogna cercare di non scadere nel moralismo o,
ancor peggio, nel buonismo. Gli articoli e gli scritti proposti devonoavvolgere ma non soffocare. Devono essere più simili a una carezza
che a una stretta. Si dice sempre che questa sia la festa piùcommerciale dell'anno. Non penso esista frase più banale. Il Natale è
l'esaltazione di uno stato d'animo che ci appartiene a priori: la personavenale o pessimista avvertirà questa festa in modo commerciale, quella
placida e ottimista come un'occasione per stare assieme.D'altronde il Natale è una festa che ognuno si crea.
Ma perdonatemi, non voglio di certo cavillare sul Natale.Da parte nostra però vi posso dire che abbiamo deciso di non inserire
pubblicità in questo numero, cosicché, a modo suo, possa essere considerato unico. Abbiamo intessuto pagine di argomenti che svelerannoalcuni segreti di questa celebrazione, e nel contempo abbiamo volutonon dimenticare l'attualità. È vero che il Natale è anche la festa della
memoria passata e dei pensieri più lievi, ma non possiamo non considerare che in questo periodo sono accaduti molti fatti sconcertanti, pri
mo fra tutti l'alluvione che ha colpito la nostra regione.Dunque anche di questo si parlerà.
Oltre a non aver inserito pubblicità, abbiamo deciso di regalare la nostrarivista. Nei bar, locali, librerie, edicole di tutta la città infatti sarà possibi
le trovarla. Ma se voi state leggendo queste parole significa che dunquene avete una copia in mano. Allora prendetene una copia in più e rega
latela a qualche amico o conoscente, portatela ai vostri parenti, potrebbe essere un modo alternativo per dire “Buon Natale!”.
Da metà gennaio 2011 ci potrete trovare in tutte le edicole del Veneto, atenervi compagnia per un altro anno, ma questa è un'altra storia.
Con queste parole vi saluto, a nome mio e di tutta la redazione, e assieme vi auguriamo Buon Natale e un felice Anno Nuovo.
Emanuele Scicolone
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HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMEROCarlo Ferri, Claudia Parola, Diego Corona, Marcello Piu, Michele Sciarra, Emiliano Ventura
Gli articoli non firmati sono ad opera della RedazioneIN COPERTINA
The Nutcracker, Hong Kong Ballet, particolare
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I GIORNI DELL'AQUILARomanzo ad episodiTerzo EpisodioLa Terza guerra Mondiale
ALLA DERIVA DELLA NOTTENoir & Detective's Stories• BALLATA DEI GIARDINI D'AUTUNNO
Racconto
DA LEGGERSI ALL'IMBRUNIREMistero & Soprannaturale
LOVECRAFT •Letteratura
FANTASMI A NATALE •Mistero
LA LEGGENDA DEI DUE BUCANEVE •Leggende
MONDO PERDUTOStoria & Avventura• COLOMBO
Storia• IL CUORE CHE RINASCE
Racconto• ON THE ROAD: USA Terza Parte
Itinerari
LO SCHIACCIANOCISpettacoli
RUBRICHEQUARTO POTERE
L'alluvione: ricordi di una tragediaI RACCONTI DELLA REDAZIONE
Un altro Canto di NataleJ'ACCUSE
Dante: il paradiso e l'infernoCITTÀ MAGICHE
Padova: Il PedrocchiL'ARTE DELLA GUERRA
Il Backgammon: le aperture miglioriLO SAPEVATE CHE... ?
Curiosità dal mondo del Natale
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L'UOMO CHE SFIDÒ SE STESSOLetteratura
PARADISO DI METALLOScienza & Fantascienza• A SPASSO PER IL CYBERSPAZIO
Fantascienza• LA NOTTE POLARE
AstronomiaPOESIELe vostre poesie
LO SCRITTOIONarrativaBUIO IN SALACinema• FELLINI: TEATRO DEL SOGNOArticolo
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PAOLO RUFFILLIIntervista
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DEL TEATRO VENETO E DEL SUO DRAMMATeatro10
Alle prime luci dell’alba,un rumore sordo, come di automezzi in movimento e vociindistinte di alto
parlanti, mi ha fatto sobbalzare, ealla vista mi è apparsa una scenaapocalittica: brevi onde intense edimpetuose di acqua color ocra stavano velocemente occupando tuttigli spazi allagando il cortile ed ilgiardino pensile della Corte dei Roda, da me abitata, facendomi immediatamente intuire che i sottostantigarage erano già tutti completamente saturi di acqua, per ogni dove, risultato drammaticodell’invasione del fiume.Da subito mi è apparsa chiara la dimensione della tragedia che si stava consumando, quando ho vistopersone che, con l’acqua fino allacintola, in calzoncini, a piedi nudi ocon scarpe e jeans, si avventuravano barcollando in questo pantano liquido e maleodorante, doveiridescenti chiazze di gasolio rendevano ancora più grottesco il quadro. Ormai la situazione era chiara:l’esondazione del fiume era in attoed il dramma che si stava consumando appariva di momento in momento sempre più grave efortemente preoccupante.L’aspetto che via via si presentavaai miei occhi era sempre più allucinante. Dalla volta di accesso allacorte entrava una processionegalleggiante di ogni genere: cassonetti della nettezza urbana di ognidimensione e colore che, roteando
nella corrente, perdevano continuamente il loro maleodorante caricodi sacchetti, mentre sterpaglie,tronchi mozzi, mobiletti, sedie, tavole, scale di legno, cuscini e materassi mi scorrevano davanti in undrammatico susseguirsi, per poidisperdersi chissà dove. Intanto, unsordo scoppio con imprevistascomparsa della luce, mi avvertivache erano saltate tutte le centralinedella corrente elettrica. Ora ero veramente isolato mentre, aiutata daun cielo plumbeo, l’oscurità avanzava rapidamente.Due candele erano tutta la mia luceed il cellulare, unico mio contattocon il mondo esterno, si stava rapidamente esaurendo. Confesso cheun po’ di ansioso sconforto si stavaimpadronendo di me, ma cercavodi vincerlo leggendo o scrivendo,insomma tenendo impegnata lamente. Le tenebre fitte ormai miavvolgevano in un silenzio surrealerotto solo dallo sciabordiodell’acqua che la corrente del fiumecontinuava a sospingere. L’acquacontinuava a salire di livello e giàaveva invaso la prima rampa di scale. Ogni tanto, qualche flebile lucesi affacciava a qualche finestra delcircondario della corte accompagnata da voci che si interrogavanosul da farsi, con sempre maggiorepreoccupazione: dei disperati cercavano di avere o dare conforto adaltri disperati!Le ore passano monotone e silenziose, quando vengo colpito daun grosso faro che rompe le tene
bre. Dei vigili del fuoco, accompagnando un gommone, come angelicustodi si sono accampati sotto lavolta di ingresso. Una voce si leva,ingiungendoci di lasciare le abitazioni, per chi non l’avesse già fatto,in quanto il muro di contenimentoche ci separava dal Bacchiglioneera crollato, aprendo una falla dicirca 20 metri. Eravamo un tutt’unocon il fiume, con i rischi che ciòcomportava: continuava a pioveree non si poteva attendere oltre. Veniamo anche informati che la nevecaduta da poco si stava rapidamente sciogliendo sotto lo scirocco. Dai 2000 metri in giùpioveva e quindi si attendevaun’altra piena. Eravamo all’epilogo.Raccolte in fretta poche, indispensabili cose, sulle spalle dei vigili del fuoco, veramenteeccezionali, siamo stati portati ecaricati su un grosso mezzo anfibio, mentre tutti gli occhi lucidi siincrociavano muti, accomunati daun commosso sentimento. Una ultima occhiata e via: ora eravamo veramente degli sfollati, cuirimanevano stampate nella mentee nel cuore queste due allucinantigiornate. Lasciamo sul posto tantanostalgia e tanto fango, solo fangonauseabondo, ma anche tantarabbia per una tragedia sottovalutata. Qualcuno con la coscienzasporca c’è di sicuro ma, tanto,avendo la villa in collina, tutta questa desolazione non lo tocca minimamente. Il pelo sulla stomaco deipolitici è sempre più fitto.
LL''AALLLLUUVVIIOONNEERRIICCOORRDDII DDII UUNNAA TTRRAAGGEEDDIIAAddii GGiioorrggiioo DD''AAuussiilliioo
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quarto potere
uunn aallttrroo ccaannttoo ddii NNaattaalleeEra il giorno di Natale, e il mio collega ed ioeravamo come al solito in redazione. Puòapparire strano come fatto: chi è che lavora in un giorno come questo? Ma forse èmeglio fare un piccolo passo indietro.
Tutto ebbe inizio la sera del 24 dicembre.Come di consuetudine avevamo dato una festa di Natale in redazione, e avevamo invitato tutti i nostri collaboratori. Tra crostini al salmone e calici di spumantestavamo festeggiando l’inizio delle vacanze e la fine diun altro anno della nostra rivista. Si mangiò e si bevveabbondantemente, e verso la mezzanotte la seratavolse al termine.«E adesso dobbiamo pulire, prima di tornare a casa!»disse il mio collega.«Dai, in un’oretta facciamo tutto» conclusi, ancora inebriato dallo spumante.E mentre il mio collega ripuliva con solerzia, io mi sedetti alla mia scrivania, e mi addormentai.Quando ebbe finito mi svegliò, ringraziandomi dell’aiuto, indispensabile, che gli avevo dato.«Torna pure a casa» mi disse «chiudo io la redazione.»Ci salutammo e me ne andai.La mattina di Natale ricevetti la sua chiamata. Disseche era urgente e che dovevo recarmi immediatamentein redazione. Pensai a una burla inizialmente. Maquando lo raggiunsi, i miei occhi non credettero aquello che vedevano!«Ma com'è potuto succedere!» gli dissi allibito.«Non ne so niente! Stamane mi ero ricordato di aver dimenticato il menabò in redazione. Sono venuto immediatamente qui. Quindi, appena ho aperto la porta,ecco quello che ho trovato!»«E i vestiti che indossi? Nemmeno di quelli sainiente?»«Appena ho acceso la luce me li sono trovati addosso!Ma non fare tanto il sorpreso: guarda come sei vestitotu!»Guardai i miei abiti, e mi accorsi che erano simili aquelli del mio collega.Eravamo entrambi vestiti come due redattori di inizionovecento, con tanto di bretelle, papillon e cappello intesta. La redazione stessa sembrava uscita dagli annitrenta: al posto dei nostri computer c’erano vecchissime macchine da scrivere.Gli oggetti di plastica erano tutti spariti. Le penne si erano tramutate in penne d’oca con tanto di calamaio, e iquadri appesi alle pareti erano diventati vecchie
stampe ingiallite.La fotocopiatrice era sparita, così come la macchinettadel caffè col suo mobiletto. La radio adesso era unvecchio modello sempre degli anni trenta, e persino lanostra rivista aveva cambiato forma. Adesso contavasolamente quattro fogli enormi, i caratteri erano pieni disbavature di inchiostro, e il prezzo era di 3 lire.Come un pazzo allora uscii in terrazzo e osservai lacittà: una lieve nevicata cominciava a coprire quel panorama di macchine d’epoca e di eleganti signori inpapillon.C'erano alcuni ragazzetti che correvano per le strade,felici per l’improvvisa nevicata.«Ragazzo!» urlai a uno di questi «sai dirmi che giornoè oggi?»«Oggi è il giorno di Natale, signore» mi disse.«Sì, ma di che anno?»Il ragazzo mi guardò con occhi straniti e disse «del1930!» e corse via.Io rientrai sconsolato, e guardai il mio collega.«Ma come può essere successo?!» dissi.«Non riesco nemmeno a immaginarlo! Anch’io non riesco a credere ai miei occhi.»Si erano fatte le 11 del mattino, e noi eravamo ancoraseduti sulle nostre sedie di legno, a fissare le nostrevecchie macchine da scrivere. Nel frattempo fuori eratutto innevato.«Proprio un gran bel guaio!» disse il mio collega.«Proprio grande!» dissi. «Soprattutto se le cose rimangono in questo modo. Ti immagini se non torniamopiù nel 2010? Come facciamo a stampare la rivista?»«Sarebbe il caso di andare in tipografia a vedere seanche là si trovano nella nostra stessa situazione.»«Ti ricordo che oggi è il giorno di Natale!»«Non importa. Andiamo solo a dare un’occhiata. Vuoivedere che siamo i soli che si rendono conto di quelloche è accaduto?»Quando raggiungemmo le nostre macchine facemmoun’altra bella scoperta. Di queste non vi era l’ombra,dato che entrambe erano di marche straniere. C’eranosolamente due misere biciclette, arrugginite, nere esenza freni.«Meglio di niente» disse il mio collega. «Perlomenonon sono cavalli…»Ci impiegammo non poco a raggiungere la tipografia.Grazie a Dio era ancora là, seppur l’edificio era fatiscente e privo di insegne. C’era solo un misero cartellocon scritto “Tipografo”.
i racconti della redazione
«Meglio di niente» disse nuovamente il mio collega.«Smetti di ripeterlo…» dissi a mia volta. E tornammo inredazione.Oramai erano le 3 del pomeriggio. Non avevamo neppuremangiato.«Ascoltami,» infine disse il mio collega «è inutile perdersid’animo. Mandiamo avanti la rivista come niente fosse, epoi vediamo cosa succede.»Verso le 6 di sera ci salutammo, dandoci appuntamentoper l’indomani.Trascorremmo tutto il giorno di Santo Stefano a scrivere.Provammo anche a telefonare ai nostri collaboratori ma,nel momento in cui scoprimmo che appena alzata lacornetta rispondeva il centralino domandandoci il numerodi chi volevamo contattare, noi non sapevamo cosa rispondere. I nostri cellulari erano chiaramente scomparsi,e con essi anche i numeri utili.Non ci rimaneva che scrivere in quanto, avendo la nostrarivista cambiato formato, ogni articolo era da accorciare eadattare all’epoca in cui ci trovavamo.Un po’ alla volta, col trascorrere dei giorni, ci abituammoa quella nuova – seppur più remota – epoca. Facemmoamicizia coi giornalai e i giovani strilloni, e con tutti coloroche vivevano nel quartiere. Erano tutte persone differentirispetto a quelle che nel 2010 vi risiedevano. Solamentenoi due eravamo gli unici provenienti da un’altra epoca.La sera dell’ultimo dell’anno decidemmo dunque di dareuna festa in redazione, e invitammo alcuni dei nostri nuovi amici.A pochi minuti dalla mezzanotte ci preparammo tutti astappare le bottiglie di vino portate in dono dal bottegaioall’angolo.Non so cosa accadde ma a mezzanotte in punto si udì ungrosso boato: erano cominciati i fuochi d’artificio. La portadella terrazza si spalancò e un terribile vento invase la redazione. La gente urlò e la luce se ne andò. Mentre eravamo al buio realizzammo che, man mano che siaffievolivano le urla dei nostri ospiti, aumentava il rumoredei fuochi.Finalmente il mio collega riuscì a ripristinare la luce. Erasolamente scattato l’interruttore generale…Ci guardammo attorno. A parte noi due non c’era nessunaltro in redazione. I computer erano ai loro posti, e i nostrivestiti erano quelli di tutti i giorni.«Vuoi vedere che è stato tutto un sogno?» dissi.Il mio collega mi guardò e fece un lieve sorriso, e indicò ilcalendario. Era segnato il primo giorno di gennaio del2011.
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ddii EEmmaannuueellee SScciiccoolloonneeÈÈ iill ggiioorrnnoo ddii NNaattaallee.. EElleeggaannttii ccooppppiieeppaasssseeggggiiaannoo ppeerr ii vviiaallii iinnnneevvaattii ee iirraaggaazzzzii ddeell ppaaeessee ssii ddiivveerrttoonnoo aaggiiooccaarree aa ppaallllee ddii nneevvee.. TTuuttttoo sseemmbbrraaiinnccaannttaattoo,, ee ffoorrssee lloo èè:: qquuaallccoossaa ddiibbiizzzzaarrrroo ee mmaaggiiccoo èè aaccccaadduuttoo,, aanncchheessee,, aa qquuaannttoo ppaarree,, ssoolloo ii dduuee rreeddaattttoorriiddeellllaa RRiivviissttaa sseemmbbrraannoo aaccccoorrggeerrsseennee......
DDAANNTTEE
C'è stato un Benigni che facevaBenigni, e riscuoteva ottimosuccesso. Piace
va perché era genuino, e non voleva esser niente di più di sestesso. Chi non lo ricorda ne Ilpiccolo diavolo, commediabrillante di rara intelligenza, o neidivertenti Johnny Stecchino e Ilmostro? A quei tempi Roberto Benigni era regista e attore. Un ottimo risultato, si potrebbe pensare.Dopodiché accade l'irreparabile. Persfruttare il successo e la toscanità diBenigni, improvvisamente quest'ultimo è stato improvvisato cantoredantesco. In un'Italia in cui la DivinaCommedia non si conosce, si studiamale a scuola e, purtroppo, non interessa, chiaramente un Benigni diventala reincarnazione di Dante Alighieri.Impossibile non dimenticare la suainterpretazione cantilenante, più simile auno stornello o a una filastrocca, priva didizione, in cui Benigni non mette di proprio neppure i pensieri, considerato chechiaramente ogni sua parola è statascritta da qualcuno per lui.
Far leggere Dante a Benigni equivaleall'incirca a far leggere Shakespeare a
Benny Hill. Non voglio essere caustico,tuttavia è difficile non esserlo nel momentoin cui l'attore toscano pretende un cachet di1 milione e mezzo di euro per una singolaserata di recitazione dantesca. La serata,chiaramente cancellata a causa dell'elevatissimo costo, era prevista per questo dicembre.E pensare che stiamo parlando della stessapersona che una volta, davanti all'Italiaintera e in prima serata, ha elencato centomodi di denominare l'organo riproduttivomaschile...Si è accennato a Shakespeare. Come quest'ultimo anche Dante ha una sua prepotente severità e solennità, e non può essererecitato da chiunque, per la stessa ragioneche non è un testo che chiunque potrebbescrivere. Negare questo fatto è una profanazione, obbedire al sistema commercialesfruttando Dante è un abuso. Chiedere 1milione e mezzo di euro per massacrareDante è un crimine.La memoria degli italiani è – ahinoi! – cortae discutibile. Sono passati solo 10 annidalla dipartita dell'immenso Vittorio Gassman, uno dei più grandi interpreti di Dantee della sua opera, eppure gli italiani non nehanno più memoria.Ma perché, seppur non c'è paragone traGassman e Benigni, il secondo ha avutoquesto enorme successo? Per il semplicefatto che questi ha ridotto la potenza dellaDivina Commedia a quella di un qualsiasi
di Emanuele ScicoloneVittorio Gassman e Roberto Benigni. Il primo è statoprobabilmente il più grande attore italiano e uno dei piùimportanti a livello mondiale, un raffinato intellettuale, uninterprete poliedrico e versatile. Il secondo è un comicofiorentino, autore di uno dei film più sopravvalutati del nostrocinema, La vita è bella, oggi in tour con TuttoDante, spettacolo
teatrale semiserio su Dante.
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iill ppaarraaddiissoo ee ll''iinnffeerrnnooii dduuee vvoollttii ddeellllaa DDiivviinnaa CCoommmmeeddiiaa
carosello popolare. In questo modo, chiunque ha avuto il sentore di"partecipare" all'opera dantesca ealla sua grandezza. In realtà hapartecipato esclusivamente a unoshow di Benigni.
Dante Alighieri, autore diun'opera soprannaturale emistica, ne è uscito male.
Benigni ci ha insegnato che Dantefa parte di quella colonna di scrittirecitabili da chiunque e chechiunque, senza gran impegno,può permettersi di far suo. Perché ilDante di Benigni è privo di devozione, di sentimento, di musicalità, diritmo, di ispirazione, di fuoco sacro.Riascoltando Gassman, come unserpente antico sembra risorgeredalle viscere per strappare l'anima:è il demone dell'arte. Gassman cifa immergere tra i dannati quandorecita un canto dell'Inferno, solamente per farci planare nella diafana regione del Paradiso con uncenno o una parola. La sua recitazione è impeccabile, più simile a untesto teatrale, pur senza perdernein musicalità e ritmo. La sua voce sifa misterica e sotterranea, piena difoglie autunnali e di radici, solamente per rinascere come unalancia
di gigli e rose.Benigni invece non recita. Ripete amemoria le terzine apprese,sempre con la stessa cadenza,sempre con quella monocordearitmia che rischia di fare andare aipazzi chiunque abbia una minimaconoscenza di drammaturgia. Si potrebbe paragonare a una gocciad'acqua che seguita a battere sullostesso punto del cranio fino allasua inesorabile rottura. Il flussoacquifero di Gassman invece è come la sorgente improvvisa che disseta colui che ha attraversato ildeserto.Principalmente la differenza è cheGassman è attore di teatro, unintellettuale raffinato, Benigni invece è un guitto – non in senso spregiativo, sia ben chiaro –, un attoreche ha successo solamente nellasua regionalità.Molta confusione in Benigni. E la sipuò percepire anche da uno deisuoi ultimi film, La tigre e la neve,in un certo qual modo concepitosotto l'ebrezza dantesca. Il protagonista (lo stesso Benigni) è autoredella silloge eponima, di ispirazionedantesca. Fa sorridere il fatto che iltitolo tuttavia ricordi di più unaraccolta haiku piuttosto che un'opera dantesca.Il New York Times etichettò il filmcome “un affronto brucianteall’intelligenza degli italiani, degli ira
cheni e del pubblico cinematografico ovunque“. Paradosso deiparadossi, visto che il film non èaltro che una versione piùaggiornata ma altrettanto buonistade La vita è bella, pellicola pluripremiata agli Oscar.Quel che è triste è che Benigni eraun buon attore comico, adesso èsolamente un pessimo attoredrammatico.Ricordo alcune letture di Gassman.Senza essere pedante e accademico, interpretava Dante e ilpubblico stava in un solenne silenzio fino all'ultima parola. Dopodiché esplodeva in un'ovazione.Non si ascoltavano risate ocommenti come accade con Benigni. Il pubblico di Gassman nonaveva bisogno di capire e interpretare le sue parole. Le avvertiva nelprofondo dell'anima, perchégiungevano dall'alto.Benigni invece ha preso la DivinaCommedia e l'ha resa l'ennesimomezzuccio per parlare e nemmeno troppo velatamente di politica,tirando in ballo il solito Berlusconi.Dante e politica di parte nel medesimo calderone. Tutto questo èemblematico, fa paura e non dovrebbe essere trascurato: in Italia,oggigiorno, tutto è profanabile. E diquesta violenza i telegiornali nonne parlano mai.
VVIITTTTOORRIIOO GGAASSSSMMAANNAAttttoorree ddrraammmmaattiiccoo mmaa nnoonn ssoolloo,,ccoonnoosscciiuuttoo ccoommee ""iill mmaattttaattoorree"",, ffaammoossooppeerr llaa ssuuaa rreecciittaazziioonnee mmaaggnneettiiccaa,, èè ssttaattoouunnoo ddeeii ppiiùù iimmppoorrttaannttii iinntteerrpprreettii ddeellllaaDDiivviinnaa CCoommmmeeddiiaa.. GGrraannddee aattttoorree eeccoonnoosscciittoorree ddii tteeaattrroo,, sseeppppuurr eerraa iinn ggrraaddooddii iimmiittaarree qquuaallssiiaassii ddiiaalleettttoo iittaalliiaannoo,, aavveevvaaiinn ooddiioo qquuaallssiiaassii iinnfflleessssiioonnee ddiiaalleettttaallee eeddiizziioonnee iimmppeerrffeettttaa..
RROOBBEERRTTOO BBEENNIIGGNNIIAAttttoorree ccoommiiccoo ffiioorreennttiinnoo,, iinnddiimmeennttiiccaabbiillee nneellssuuoo IIll ppiiccccoolloo ddiiaavvoolloo,, aabbbbaannddoonnaattoo iill ggeenneerree
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hhaa ffaattttoo gguuaaddaaggnnaarree bbeenn 33 pprreemmii OOssccaarr..
j'accuse!
Chiunque voglia festeggiare in manieracorretta e consueta ilNatale bisognerebbeascoltasse, ben como
do su di un divano avvolto dal calore di un caminetto, qualche branoda quello che è il signore deiballetti, il capolavoro immancabileche celebra la redenzione e i buonisentimenti, che fa rifletteresull’anno che volge alla conclusione, e su tutto quello che si è fattodurante quel tempo. Mi riferisco aLo Schiaccianoci.La vicenda che tale sublime composizione mette in scena trae spuntoda un racconto del grande novellista tedesco Ernst Theodor Hoffmann, che lo scrisse nel 1816. Iltitolo completo di quello scritto eraLo Schiaccianoci e il Re dei topi. LoSchiaccianoci in questione altri nonè che un giocattolo, la cui funzioneè comunque quella di rompere lascorza di quei frutti, ma ha la formadi un soldatino. L’incipit è quelloclassico di ogni vigilia di Natale: inuna grande casa, in un paese delNord Europa, si approssima l’arrivodella festa. Clara, la figlia del sindaco, riceve in dono da un amico di famiglia, Drosselmeier, che staintrattenendo tutti i bambini, il piccolo soldato Schiaccianoci. Dopo lacena, la bambina, piuttosto stanca,
va a dormire ed inizia a fare un sogno, nel quale l’intera casa prendevita e con essa tutti i giocattoli postisotto l’enorme albero che domina ilsalotto. Assieme ad essi, però, sono i topi che abitano nelle cantine aprendere possesso della dimora, evogliono impadronirsi delloSchiaccianoci. Egli, di colpo, s’anima e prende parte alla battagliache gli altri giocattoli stanno iniziando, opponendosi a quelle mostruose creature. Durante unoscontro, il Re dei topi e lo Schiaccianoci si fronteggiano, e quest’ultimoha la meglio, uccidendo il sovrano.Questa azione lo trasforma in unprincipe, il quale porta Clara dentrouna foresta innevata, e di seguitonel Regno dei Dolci. Tutta questaparte costituisce il primo atto. Nelsecondo, assistiamo alle danze chela Fata Confetto, che regna nel luogo dove Clara e il principe si dirigono, fa esibire in loro onore, ed allafine delle quali, possiamo goderedel bellissimo passo a due che li vede protagonisti. L’opera si concludecon un ultimo, splendido valzer,congedo del sogno, dal quale Clarasi sveglia, ripensando alla suasplendida avventura, e potendoabbracciare il suo balocco prediletto.Il balletto, originariamente commissionato al direttore del teatro di Mosca dalla famiglia degli zar, fu
composto dal musicista russo PёtrIl’ìč Čajkovskij tra il 1891 e il 1892,ed è, assieme a Il lago dei cigni eLa bella addormentata, uno deicapolavori della sua enorme produzione, nel merito specifico di questo genere. È curioso ricordare,tuttavia, come la prima rappresentazione, che avvenne il 18 dicembre 1892 presso il teatroMarinskij di San Pietroburgo, diretta dal compositore italianoRiccardo Drigo e coreografata dalballerino Lev Ivanov, non riscosseparticolare successo. La coreografia di base seguiva le indicazioni diun altro coreografo, Marius Petipa,ed è sostanzialmente sul suo reticolo che l’opera viene messa inscena ancora oggi.La fortuna de Lo Schiaccianoci,che ne ha fatto il banco di prova diqualsiasi interprete di danza, e unadelle immancabili scelte musicali direfrain pubblicitari e soprattutto diopere cinematografiche (da ricordare il film Fantasia della Disney in cui fate, funghi e pescidanzano sulle note della suite o lapellicola Angeli con la pistola diFrank Capra) è arrivata, cionondimeno, gradualmente, nel corso delXX secolo. Innanzitutto, gran partedel merito va ad una suite che lostesso Čajkovskij derivò dalballetto, estraendone sette movimenti. In seguito l’autore inserì, nel
LLOO SSCCHHIIAACCCCIIAANNOOCCIIddii AAlleessssaannddrroo RRoommaannoo
ÉÉ uunnaa ddeellllee ssttoorriiee ppiiùù cceelleebbrrii ddii NNaattaallee ee pprroobbaabbiillmmeennttee iill bbaalllleettttoo ppiiùù ccoonnoosscciiuuttoo.. CCaappoollaavvoorroo ddiiČČaajjkkoovvsskkiijj,, hhaa aalllliieettaattoo ccoonn llaa ssuuaa mmaaggiiaa ggllii iinnvveerrnnii ggeelliiddii ee bbiiaanncchhii..LLoo SScchhiiaacccciiaannooccii èè uunn''ooppeerraa iimmppeerrddiibbiillee,, ddaa gguussttaarree mmeennttrree sscceennddee llaa nneevvee ee ssii vvuuoollee rriissccoopprriirreell''iinnccaannttoo ddeell NNaattaallee..
spettacoli
secondo atto, uno strumento cheaveva visto a Parigi, la celesta, laquale diede un particolare saporeal già stupefacente lavoro del musicista. Col passare del tempo,vennero allestiti diversi spettacoli:da ricordare le versioni di Gorskijnel 1917 e di Lopuchov nel 1929.In tempi più recenti l’opera, che dura in verità soltanto novanta minuti,ha subito tagli e aggiunte, a seconda della sua collocazione e delmezzo scelto per allestirla. In unadattamento televisivo del 1983,per esempio, le musiche originali furono ordinate secondo un’altra scaletta e persino sostituite da quelledi un altro compositore russo, Michaìl IppolitovIvanov: si tratta diuna versione pensata per unospettacolo di pattinaggio artisticosu ghiaccio, e il cui titolo è proprioLo Schiaccianoci: fantasia sughiaccio. L’attuale popolarità parecomunque essere dovuta a WilliamChristensen, fondatore della compagnia San Francisco Ballett, cheimportò lo spettacolo negli USA nel1944. La coreografia di George Balanchine, nella prima rappresentazione di dieci anni dopo, creò unavera e propria tradizione invernalenella nazione americana.Il cinema ha sempre cercato direndere in maniera spettacolare LoSchiaccianoci. Si ricordano versionigiocate in gran parte sulla presenza scenica dei primi ballerini, co
me Michaìl Baryšnikov in unaregistrazione del 1977. In granparte si tratta, comunque, di messinscene tradizionali, in cui non vi èuna vera e propria trasposizioneche si adegui al mezzo cinematografico, ma una semplice, calligrafica riproduzione di quel che si puòvedere meglio, e in maniera piùintensa, sulle assi del palcoscenico. Una versione che tenta di inserire anche attori non ballerini, ma purmesso in scena dal New York CityBallett, è datata 1993, per la regiadi Emile Ardolino (autore del filmmusicale Dirty dancing), con protagonista l’allora divo bambino Macaulay Culkin.Tra breve assisteremo all’uscita neicinema statunitensi, e in seguitoanche in Italia, di una versione in3D ad opera del grande cineastarusso Andrej Končalovskij, giàinscenatore di adattamenti da opere del repertorio classico (si ricordauna sua celebre Odissea conArmand Assante), oltre che conoscitore, per ovvie ragioni, della culturain cui Lo Schiaccianoci è nato. Laversione dovrebbe essere aderenteallo spirito dell’opera originale diHoffmann, più cruda e violenta rispetto a quella che fu alla base delballetto, desunta da una versioneredatta dallo scrittore francese Alexandre Dumas, padre del ciclo de Itre moschettieri. La sceneggiaturaè stata però riscritta con evidenti
differenze, variazioni che forse susciteranno qualche polemica neicuori dei più tradizionalisti.L’importante sarà mantenere lamusica, affidata ad un adattamentoad opera di Eduard Artemev, musicista che ha lavorato molto spessocon Končalovskij, e famoso peraver scritto le partiture delle colonne sonore per alcuni film del regista russo Andrej Tarkovskij(Solaris, Lo specchio, Stalker).Al di là delle trovate e dei cambiamenti che si possano apportare adun’opera così eloquente e intrigante quale è Lo Schiaccianoci,quel che ci si augura è che anchele nuove generazioni, di bambini edi adulti allo stesso modo, possanogodere della forza del balletto,delle sue fantasmagorie e dellesue sfumature, dei suoi giochi dicolori e del suo gusto spiccato perl’esotico (da ricordare che, nel secondo atto, Čajkovskij inscenaquattro diverse danze, come se sientrasse in mondi diversi a seconda delle variazioni musicali: cinese, russa, spagnola e araba),che, se da una parte sono il manifesto di un’epoca che cercava dicontaminare la sua predilezione romantica con influssi di altre culturecon cui a quel tempo veniva acontatto per la prima volta,dall’altra celebrano l’universalitàdel suo messaggio.
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Una vita data al teatro.Questo è stato il filoconduttore della serata che il Comune diTreviso, in collabora
zione con l’Associazione Puntospettacolo, ha dedicato sabato 5giugno al commendator Toni Barpi,ultimo erede della irripetibile stagione del grande teatro veneto cheebbe in Cesco Baseggio l’indiscusso alfiere. La manifestazione ha voluto festeggiare il novantesimocompleanno di un attore che praticamente fin da ragazzo ebbe ilpalcoscenico nel sangue: nato il 13giugno del 1920 a Feltre debutteràa 16 anni a fianco del mitico Baseggio, suo unico maestro, facendouna piccola parte in un film girato aRoma (ed immaginiamo un ragazzodi allora che se ne parte dal paesenatio per andare nella capitale conla sua piccola valigia...) e nello stesso periodo recitando in un testo diGino Rocca, il maggiore commediografo del Novecento veneto: segnoforse non casuale del suo futuro,dato che non solo come lui erafeltrino e i testi del quale interpreterà spesso nella lunga carriera. Faràparte della Compagnia Baseggioper quasi trent’anni, conoscendo tral’altro in essa Wanda Benedetti, chediventerà la sua compagna di vita.Tra i suoi autori i nomi più prestigiosi del teatro veneto: da Ruzante aGoldoni, da Gallina a Simoni, daRocca a Palmieri, ed altri ancora.Sarà diretto da registi quali Simoni,Fersen, Lodovici, Maffioli, Sbragia,Ronconi, Castri, e con la compagniaBaseggio registrerà diverse commedie del nostro repertorio a metà degli anni Sessanta, lavorando per laRAI in alcuni sceneggiati e in programmi per ragazzi. Ha partecipatoanche a qualche film.Ma il suo vero e grande amore èstato il teatro veneto, del qualeanche in anni recenti ha auspicato ilmeritato ritorno sulla scena nazionale, essendo il primo per storia edautori. E proprio su tale importante
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DDEELL TTEEAATTRROO VVEENNEETTOOEE DDEELL SSUUOO DDRRAAMMMMAA
di Carlo Manfio
tema ha voluto soffermarsi il Presidente della Regione Luca Zaia, chein una lettera di auguri così si èespresso: Toni è stato “alfiere umileed intelligente della letteraturateatrale in lingua veneta, che non èlocale bensì patrimonio culturaleuniversale e lui lo ha dimostratocon applauditissime tournée in tuttii maggiori teatri d’Italia.” Questopunta allora l’accento su un problema assai importante e spinoso, visto che proprio l’ente preposto alladiffusione e alla conoscenza del nostro patrimonio drammaturgico, ecioè il Teatro Stabile del Veneto,per nulla porta i nostri autori, Goldoni a parte, nei grandi teatri italiani:ne è prova che il testo che verràprodotto per la stagione in corso ecioè Se no i xe mati, no li volemo diGino Rocca, andrà fuori del Venetosolo a Milano (e la ragione è semplice: viene coprodotto con il TeatroCarcano in forma di omaggio a Giulio Bosetti che lo diresse fino allamorte e lo interpretò nel 1996 congrande successo e pure coraggio,visto che non si rappresentava dadecenni, anche in contemporaneacon l’uscita di Tutto il Teatro, ideatoe curato da chi scrive) e Brescia.Allora così si promuove “il nostrogrande patrimonio di letteraturateatrale in lingua veneta”, per citarele parole di Zaia nella letteramenzionata? Del resto, la dirigenzadel Teatro Stabile, pur informata,non ha avuto la cortesia di mandare un messaggio augurale, comeinvece hanno fatto diversi attori,operatori, politici: eppure Barpi
molto ha dato al nostro grandeteatro e assai scorretto è stato nonmanifestare la propria vicinanza. Aseguito di tale assenza ho ritenutodoveroso scrivere una lettera al direttore Alessandro Gassman e perconoscenza al Presidente Zaia, mapurtroppo dallo Stabile nessuna risposta: probabilmente non mettonoin pratica questa stupenda fraseche il Beato Giovanni XXIII ripetevaspesso: “La cortesia è un ramodella carità”. Altra conferma diquanto anni addietro disse in unaintervista Toni Barpi: “Lo Stabile èveneto di nome ma non di fatto.”
Basti allora ricordare che Tramonto, opera del veroneseRenato Simoni prodotta
dallo Stabile nell’ultima stagione,non era nel programma ufficiale delTeatro Nuovo di Verona e che èstato inserito in fretta e furia primadi Natale (a seguito di una mia segnalazione alla segreteria delSindaco) per una serata fuori abbonamento e di lunedì, giorno notoriamente di pausa teatrale. Così sirende omaggio ad un grandeconcittadino che è stato una delle figure più importanti nel teatro italiano del Novecento? Mi piacerebbeconoscere in proposito il parere delprimo cittadino Tosi.Purtroppo il Teatro Stabile del Veneto non ha ancora compreso comeprima di tutto esso si deve radicarenel territorio di appartenenza e trovandosi in una regione che per storia teatrale è prima in Italia deve
valorizzarla e farla conoscere atutta la Nazione appunto perché“patrimonio culturale universale”.Bisogna con amarezza constatareche aveva profondamente ragioneMauro Carbonoli (direttore delloStabile dal ’97 al ’99 quando si dimise) facendo queste sconsolatedichiarazioni: volevo “organizzareun teatro pubblico, che avesse come elemento portante la lingua veneta [...] e raccogliesse unacompagnia di attori veneti. Qualcosa di simile a quello che per tantianni aveva fatto Mario Giusti aCatania, portando in tutta ItaliaSciascia e De Roberto. Sentivoinsomma che si stava ripetendo ilfallimento che si era verificato conGrassi, perché la classe politica delVeneto non aveva interesse ad uncerto tipo di teatro di qualità.” Sonoparole pronunciate nel 2002, mache sembrano di ieri, conservandointatta la loro validità e lezione. Inbuona sostanza vanno nella direzione di quanto ha scritto il Presidente Luca Zaia nella letteraaugurale inviata a Toni Barpi: datoallora che la Regione è la maggiorsostenitrice a livello economicodell’Ente si fanno voti che autorevolmente possa intervenireaffinché l’impostazione culturale finalmente prenda una via nuova,quella che conduce nel silenzioasolano dove riposa colei che disse “Quanto è meschino il teatroquando non sale all’ultimo girone”.Si chiamava Eleonora Duse.
teatro
NNeellllaa nnoossttrraa rreeggiioonnee iill tteeaattrroo ccoonnsseerrvvaa uunn ppaassssaattoo gglloorriioossoo.. AAllllaa ssccooppeerrttaa ddeellllee rraaddiiccii cchhee ll''hhaannnnoo rreessaacceelleebbrree,, uunnaa ddiissiinnccaannttaattaa aannaalliissii ddii qquueell cchhee aavvvviieennee iinn tteemmppii rreecceennttii..
CCTTHHUULLHHUU!!ddii EEmmiilliiaannoo VVeennttuurraa
LLaa ssuuaa mmeennttee hhaa ggeenneerraattoo ll''oorrrroorree ppuurroo.. IIll ssuuoo nnoommee èè lleeggaattoo aa tteerrrriibbiillii mmiittii aanncceessttrraallii.. LLaa ssuuaappeennnnaa hhaa ppaarrttoorriittoo ddiivviinniittàà pprriimmiittiivvee ee bbrruuttaallii,, uunn uunniivveerrssoo ccoommppoossttoo ddaa ppaaeessii ee llooccaalliittàà ssooggggeettttiiaa mmaalleeddiizziioonnii.. IIll ssuuoo NNeeccrroonnoommiiccoonn,, iill lliibbrroo ppeerrdduuttoo ddeeii mmoorrttii,, hhaa iinnfflluueennzzaattoo ggeenneerraazziioonnii ddiissccrriittttoorrii,, cciinneeaassttii ee aarrttiissttii.. ÈÈ LLoovveeccrraafftt,, ffiigglliioo ddeell mmiisstteerroo ee ppaaddrree ddii oossccuurrii sseeggrreettii..
da leggersi all'imbrunire
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Howard Phillips Lovecraft nasce il 20 agosto del 1890 nelRhode Island nellacasa dei nonni
materni a Providence. Lo stato e lacittadina torneranno spesso nellamemoria e nella letteratura delloscrittore.È considerato uno dei maggioriscrittori di horror e di letteratura delmistero, la sua opera è stataoggetto di culto e di venerazioneper moltissimi appassionati, dopo lamorte diviene autore di culto, similmente a quanto avvenuto per ilmondo narrativo di Tolkien.Mai goduto di ottima salute, alto emagro, avrebbe voluto combatterela Prima Guerra Mondiale, ma viene considerato inabile. Introverso epoco incline a socializzare, lavoreràspesso nelle ore notturne ai suoiracconti e all’unica occupazionedella sua vita, la redazione e lacorrezione di testi letterari altrui. Lepoche entrate di questo lavoro se lefarà bastare per il suo aristocraticodisinteresse per il guadagno.Sarà sempre avverso alle metropoli, al brulicare della folla umana di lavoratori e faccendieri di altre‘razze’. Il nostro autore infatti non èimmune da una forma di razzismo,anche se forse snobismo rende meglio l’idea della sua visione. Saràsempre anticonsumista, disprezza ildenaro e sebbene abbia pubblicato
molto manterrà sempre un distaccoverso il guadagno con la narrativa.Convinto che la democrazia sia inutile si sentirà per tutta la vita ungentleman di provincia.Ai grattacieli di New York preferiscele atmosfere dimesse e decadentidi Providence. Qui ama cercareangoli del passato seguendo gli itinerari di Poe, viene anche soprannominato “il recluso diProvidence”, e da buon reazionarioconsidera il progresso una bruttafantasia.Secondo Victor Hugo “occorre uncaos a chi voglia creare un mondo”:non sappiamo quanto caos vedesse Lovecraft ma di sicuro è riuscitoa creare un mondo, anzi una veramitologia dell’orrore. Molti scrittoriscrivono racconti dell’orrore, luiun'epopea coerente che diviene cosmografia del male.Gli va riconosciuto il fatto di avercreato un mito popolare; egli non èinfatti solo uno scrittore di raccontidel mistero, bensì un piccolo demiurgo che dal caos delle idee edella vita estrae una forma coerente. Crea il mito di Cthulhu,diffonde con sapienza nelle sueopere l’indizio dell’esistenza di un libro maledetto, un grimorio chiamato Necronomicon, il cui nome sipronuncia solo a bassa voce e dicui è autore l’arabo pazzo AbdulAlhazred. I suoi racconti della maturità hanno nomi, fatti, entità preuma
ne e antichissime, luoghi che siinseguono e si intersecano coerentemente in un mondo che distillalentamente un orrore cosmico.Al racconto del terrore e ai suoi topoi letterari fatti di anime dannate espettri, al gotico inglese, alle apparizioni e ai vampiri, Lovecraft risponde con una rivoluzionecosmica. La sua narrativa si spostadal geocentrismo al cosmocentrismo, le creature del male nonappartengono più a una realtàultraterrena, a un oltreumanoinfernale. L’orrore di Lovecraft èantichissimo e proviene da regionitemporali e spaziali che sidistendono in milioni di anni luce.Non è un caso che l’astronomia siastata una sua passione.Altri grandi interessi sono l’architettura e la storia coloniale americana; questi infatti si ritrovanopienamente nelle sue opere. Cosìcapita di visitare antiche architetture dall’aura coloniale, come nel memorabile racconto La casa sfuggita,in aggiunta a una precisa e dettagliata storia della sua costruzionecon date precise (in questoracconto è impressa l’ombra diPoe, ricordato anche nei luoghi enelle paseggiate che faceva a Providence). Deve appartenergli ungusto estetico per la numerologia,nelle sue pagine di prosa si trovanoinfatti spesso date e cifre.I suoi testi principali, quelli più noti
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e che vanno a comprendere “il canone” per gli appassionati lovecraftiani, sono: Il richiamo diCthulhu, Il colore venuto dallo spazio, L’orrore di Dunwich, Colui chesussurrava nelle tenebre, Allemontagne della follia (anche qui E.A. Poe viene citato spesso), I sognidella casa stregata, L’ombra suInnsmouth, L’ombra venuta daltempo, tutti compresi nell’arcotemporale che corre dal 1926 al1937, data della sua morte.Più che scrittore forse dovremmodefinire Lovecraft un mitografo, come Ovidio per Le metamorfosi eNonno di Panopoli per Le dionisiache. Nella sua visione l’uomo è unapedina nelle mani di entità che nonsono del nostro universo, e semplicemente nominando questi esserisi può precipitare nella follia:Azathoth è un dio blasfemo chegorgoglia al centro dell’universo(echeggia l’immagine di Lucifero alcentro dell’inferno dantesco),Nyarlathotep è il messaggero diquesta e altre entità. Tutto l’universo è un ribollente calderone diesseri terribili, il male serpeggiaovunque e se non si manifesta pienamente è solo perchè la minacciadi farlo è più terrificante. A questomacrocosmo spaziale corrispondeil microcosmo terrestre dello statodel New England, della sua atmosfera corrotta e dannata. È qui cheLovecraft fa convergere spesso ilsuo mito.Il suo procedimento narrativo siserve spesso della figura retoricadell’ossimoro, affianca alla novitàtecnologica, un manufatto, unevento o una presenza antichissima, oppure contrappone architemporali grandissimi come ‘trecento mila anni’ a uno più ridotto come ‘alle undici e un quarto’.Attua nelle sue opere quello chepuò definirsi un processo controiniziatico. Se un’iniziazione a una religione o a dei misteri ha uno scoponobile e virtuoso, come il camminoverso la conoscenza (sophia) o ladivinità, Lovecraft procede in senso
opposto: la conoscenza per l’uomoè un cammino verso il male e unprecipizio verso una follia dominatada entità di antiche ere preumane.È emblematico il racconto L’Orroredi Dunwich dove una contadinaanalfabeta vergine mette al mondouna creatura mostruosa dotata dipoteri sovrumani. La creatura subirà una passione simile a quella diCristo e sacrificata sulla cima delmonte di Dunwich, prima di morirelancia un grido simile, ma corrotto edegradato, all’evangelico “Dio mio,Dio mio perchè mi hai abbandonato!”Il mistero dell’incarnazione divinadel cristianesimo viene rovesciatonell’incarnazione del mostruoso edel male, perché nell'universo di Lovecraft non c’è salvezza, nè su questa terra nè tanto meno nell’aldilà.È nel cono d’ombra delle opere meno note o non compiute che spessosi colgono i lampi per unacomprensione maggiore di un autore, Lovecraft non sfugge a questaregola.
Nel 1926 scrive un breve madettagliato saggio critico daltitolo L’orrore soprannatura
le in letteratura (in italiano pubblicato da Sugarco). È l’analisi dellecorrenti e dei maggiori autori delracconto soprannaturale. Il 1926 èanche l’anno in cui cominciano adefinirsi i testi che saranno poi ilsuo ‘canone’, la sua mitologia comincia ad attuarsi in quell’anno,perché un testo critico è sempreuna piccola demiurgia, un desideriodi ordine, anche se a dispiegarsi èl’ordine del male. Lo scritto ha il pregio di farci conoscere le caratteristiche che per Lovecraftappartengono all’orrore cosmicoche poi perfezionerà nei racconti,scrive infatti “deve essere presenteuna certa atmosfera di terrore inesplicabile verso forze esterne eignote [...] una sospensione malefica e particolare, o una sconfitta, diquelle leggi fisse della natura che
sono la nostra unica salvezzacontro gli assalti del caos e dei demoni dello spazio inesplorato”.È scegliendo un maestro che diamo un’impronta alla nostra vita oalla nostra arte, nell’Orrore soprannaturale nella letteratura Lovecraft dichiara chi siano i suoimaestri: Edgar Allan Poe, WilliamHope Hodgson e Lord Dunsany. Èa loro e ai conseguenti scritti chededica più attenzione e un numeromaggiore di pagine. La foce dellanarrativa lovecraftiana deriva daquesti maestri, e da loro apprende isuoi elementi, il risvolto cosmico, lapresenza di entità assalitrici innominabili, l’apertura verso un ciclo euna mitologia dell’agire di questeforze. Questo breve saggio non èimmune da errori. Permanenell’opera un senso di oscurantismo, pensa ancora che il Medioevo sia un’epoca ‘buia’ mentre glistorici avevano già superato questa trita ed erronea convinzione(Autunno del Medioevo di Huizingaè del 1919).Lovecraft scrive un opuscolo manoscritto dal titolo Commonplacebook, una summa di appunti econsiderazioni sulla composizione(aleggia lo scritto di Poe Filosofiadella composizione). Ho sempreprestato grande interesse al noncompiuto, all’abbozzo o al progettonon realizzato, e in questo scritto sipossono rintracciare diamantigrezzi che la mano dello scrittorenon ha ancora ripulito. È su questepaginette che troviamo una voceche recita: “elemento orripilantefondamentale [...] qualunque progressione, irresistibile e misteriosa,verso un destino”. Questo è forse ilterrore più grande, superiore aqualsiasi caos, l’impossibilità diuscire da un destino, una claustrofobia esistenziale. Edipo può fuggire dove vuole ma non potrà evitaredi uccidere il padre e di giacerecon la madre. Non conosco nientedi più spaventevole di una irreparabile predestinazione.
Provate a immaginarecerte gelide serated'inverno, mentre fuori il vento ulula e la neve non cessa di
cadere. Assieme ai vostri familiarive ne state tranquilli, mentre un focolare allunga calde e rossicceombre in tutta la stanza. Magariavete messo un vecchio vinile concanzoni natalizie. Il “caldo buono”– come diceva Ungaretti – di casavostra vi rassicura e vi protegge.Ma se abbassate il volume dellamusica e ascoltate con attenzione,potete ascoltare le voci degli spiritidel Natale. Non vi sto ingannando:è proprio così. A Natale infatti neicieli si sbizzarriscono gli spettri piùantichi, volteggiando tra i fiocchi dineve, a cavallo del vento eterno.E di celebri apparizioni invernali vene sono molte.Prime tra tutte quelle dei Natali passati, presenti e futuri del celebreCanto di Natale di Dickens. Il protagonista del romanzo, EbenezerScrooge, vecchio avido e misantropo, riceverà la loro visita proprio durante la Vigilia, e compirà con loroun viaggio mistico attraversol'inverno e l'animo umano, ritrovando ricordi remoti e passioniperdute. Compirà un viaggio di redenzione, riscoprendo i valori dellavita e tornando a far parte del genere umano.Era il lontano 1843. Passano leepoche e cambia anche il modo diparlare di certe cose.Nel 1957 viene pubblicato il libroper ragazzi Come il Grinch rubò ilNatale! di Dr. Seuss. La storiaracconta di un essere, il Grinch, “di
verso” per natura, incattivito edemarginato, che riuscirà a ritrovare il suo lato umano grazieall'affetto dimostratogli da unabambina.In tempi più moderni a parlare difantasmi natalizi è il regista HenrySelick che, da un'idea di TimBurton, dirige nel 1993 la pellicolaNightmare Before Christmas. Ilprotagonista, Jack Skeletron, sovrano del tetro mondo di Halloween, scopre la festosa città diNatale. Affascinato dalle usanzedel ridente luogo, decide diimportare questa celebrazione nelsuo regno. I risultati saranno inizialmente deludenti, ma in seguito,grazie soprattutto alla magia dellaneve, le cose andranno per ilverso giusto.Difficilmente si potrà mairaggiungere la poesia di CharlesDickens e del suo Canto. I suoipersonaggi e i suoi spettri fannoparte dell'immaginario collettivo ehanno influenzato tutte le storienatalizie successive. Tuttavia, osservando le opere più moderne, èrassicurante sapere che c'è ancora gente che abbia voglia di parlare di redenzione (e non si tratta dimera redenzione religiosa) e dibontà mistica: Natale è la festagiusta per ritrovarsi e per ritrovareil senso più profondo del buono,che nulla ha a che fare col buonismo.Se ascoltate bene potrete ancoraudire gli spiriti invernali: essi sonoqui per ricordarci che, almeno unavolta all'anno, dato che a loro nonè più concesso, è nostro dovereessere un po' più umani.
FANTASMI A NATALE
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NNIIGGHHTTMMAARREE BBEEFFOORREE CCHHRRIISSTTMMAASSJJaacckk SSkkeelleettrroonn,, iill pprroottaaggoonniissttaa ddeellllaappeelllliiccoollaa,, ssoovvrraannoo ddeell mmoonnddoo ddiiHHaalllloowweeeenn.. AAnncchhee iinn qquueessttaa ssttoorriiaa ssiippaarrllaa ddii uunn ccooiinnvvoollggiimmeennttoo eemmoottiivvooddoovvuuttoo aallllaa mmaaggiiaa ddeell NNaattaallee..
di Diego CoronaNon vi è mai capitato a Natale di sedervi accanto a unoscoppiettante caminetto? E mentre il suo calore vi riscalda ilcuore, all'interno della vostra casa addobbata, proprio sul fardella sera, non vi è mai capitato di ascoltare una storia difantasmi invernali?
LLAA LLEEGGGGEENNDDAA DDEEII DDUUEE BBUUCCAANNEEVVEEFFoorrssee nnoonn ttuuttttii ssaannnnoo qquuaall èè ll''oorriiggiinnee ddeell ffiioorree bbuuccaanneevvee.. QQuueessttaa lleeggggeennddaa ccii rraaccccoonnttaa ccoommeessoonnoo nnaattii ii pprriimmii dduuee eesseemmppllaarrii ee ppeerr qquuaallee rraaggiioonnee qquueessttoo ppaarrttiiccoollaarree ffiioorree hhaa bbiissooggnnoo ddeell ggeellooee ddeellllaa nneevvee ppeerr ssoopprraavvvviivveerree..Nel piccolo paese nordico di Valle Innevata
viveva un boscaiolo. Il suo nome era Jona,e viveva in una piccola casa di legno conla figlia Lena, una ragazza di diciassetteanni, bionda e con profondi occhi cerulei.
Ogni giorno il vecchio Jona si recava nella foresta a recuperare legno per il camino. Ma una volta egli tardò a tornare.Lena, sconsolata, corse dagli uomini del paese, domandando di aiutarla a cercare il padre scomparso.Quando lo trovarono era oramai sera. Era disteso a terraassiderato. Fu portato immediatamente a casa e fu visitato dal medico del paese.«Cara Lena,» disse quest’ultimo «tuo padre è molto malato.»«Cosa possiamo fare?» domandò la ragazza.«Bisogna innanzitutto che la casa sia sempre ben riscaldata.»Lena tuttavia rispose che non sarebbe mai riuscita a procurare la legna nella foresta, dunque un bel giovane di nome Vance si offrì di aiutarla in questo proposito: ognimattina si sarebbe recato a recuperarla per lei. Lena erafelice di sapere che Vance, che segretamente amava datempo, le sarebbe stato accanto.Di giorno in giorno il giovane Vance tagliava la legna perLena e gliela portava.Una mattinata Lena si recò in paese per le provviste, eudì due vecchie parlare di suo padre.«Mio Dio, il povero Jona è perduto!»«L'unico che può salvarlo è il Principe!»A quelle parole Lena si incuriosì, e domandò: «chi è ilPrincipe?»«Il Principe d'Inverno! Egli è sempre esistito, ed è il sovrano dell’inverno. È lui che scaglia neve su tutto il mondo!»«E dove si trova questo misterioso sovrano?»«Egli dimora nel suo regno, il Paese d’Inverno, una regione di spiriti e magia nel cuore della foresta!»Quella stessa notte Lena, avvolta da un pesante mantoscarlatto, penetrò la foresta.Camminò per ore ed ore, finché non raggiunse il centro diquell’ammasso intricato di alberi bianchi e azzurri.Si ritrovò in una vallata immensa e desolata, che non aveva mai veduto, punteggiata solamente da qualche alberosecco, attraversata da sinuose alture. E proprio su una diqueste alture si ergeva un castello di ghiaccio. Aveva tretorri altissime che sembravano sparire nel cielo bianco.Lo raggiunse ed entrò.Su un trono di ghiaccio era seduto imponente il Principe
d’Inverno.«Dunque tu sei il signore degli inverni» disse la fanciullatremante.Il Principe non disse nulla.«Io sono qui per pregarti, Principe, di liberare da questamorsa di freddo il paese da cui provengo, Valle Innevata,per salvare mio padre.»«Ebbene ti accontenterò, ma a un patto: tu siederaiaccanto a me, e sarai la mia regina» disse il Principe.Quando, tempo dopo, in paese Vance venne a saperel'accaduto, si recò a sua volta nel palazzo del Principe.Entrò e si mise a spiare quest'ultimo.Il Principe cercava invano di accarezzare Lena, ma piùinsisteva e più la ragazza si cristallizzava in ghiaccio. Leparlava, le sussurrava alcune parole, ma senza averemai risposta.Lena oramai era una statua di ghiaccio, e il Principe erapiegato dal dolore. Infine si alzò dal suo trono, sconvolto,e scomparve dietro un’enorme porta.Vance allora sfruttò il momento, e levò Lena dal suo trono, la avvolse nel proprio manto, e si diede alla fuga.Mentre usciva dalla fortezza, quest’ultima iniziò a tremaree a sgretolarsi. Si udì un urlo agghiacciante: era il Principe.Vance correva portando il corpo cristallizzato di Lena,mentre il Principe lo inseguiva governando una tremendanube carica di neve. Il Paese d’Inverno fu travolto da unatormenta.Nel frattempo Lena si disgelava, e riprendeva conoscenza. «Amato mio…» sussurrò.«Lena, sono io, il tuo Vance!»«Principe, mio principe… !» disse la fanciulla. Vancedunque arrestò la sua corsa, stravolto da quelle parole.Ma proprio nel momento in cui si fermò, gli si scagliòcontro il Principe d’Inverno, e tutti e tre rimasero travoltida quella furia di neve.Dei due giovani e del Principe non si ebbero più notizie.Sono trascorsi settantatre anni da quel giorno
ma, se mai riusciste a raggiungere Valle Innevata e a penetrare la sua foresta, esiste una ra
dura che assolutamente dovreste visitare: in questoluogo incantato vi è un punto in cui la neve non si èmai più sciolta. Qui, durante tutto l’anno, è possibileammirare due splendidi esemplari di bucaneve.In quella radura, che sia primavera o estate, quella neveantica non vuole abbandonare quei due fiori invernaliche, senza il suo abbraccio, altrimenti morirebbero.
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Nel pieno centro dellacittà di Padova, in viaVIII Febbraio 15,sorge uno dei simbolistessi della città vene
ta. Esso si erge in un punto nevralgico, equidistante dai maggiorimonumenti del luogo. Questoperché, da quando fu fondata labottega del caffè ad esso preesistente ad opera del commerciantebergamasco Francesco Pedrocchinel 1772, il luogo deputato allavendita e al consumo della nuovabevanda doveva raccogliere ilmaggior numero possibile di persone. Da sempre ritrovo di intellettualie facoltosi, il Pedrocchi prese lasua collocazione definitiva tra il1831 e il 1842, ad opera dell'architetto veneziano Giuseppe Jappelli,contattato dallo stesso Pedrocchidopo la sostituzione del primo architetto, Giuseppe Bisacco. L'apportodi Jappelli fu essenziale per dare alCaffè un'impronta illuminista: realizzando un'opera di sapore eclettico, Jappelli unì, all'impianto di basedi stile neoclassico, una serie di elementi eterogenei, contraddistinti dallavoro di altri artisti i quali, ognunoa loro modo, dettero un contributodecisivo: a Giuseppe Petrelli si de
ve la fusione delle balaustredelle terrazze con i grifi, GiovanniDi Min ideò la sala greca, mentreIppolito Caffi, Pietro Paoletti eVincenzo Gazzotto crearono, rispettivamente, quelle romana,pompeiana e rinascimentale. Come detto, infatti, il Pedrocchi èreso celebre dalla sua commistione di stili, frutto di una concezione cosmopolita e laicadell'arte e della cultura.Nel 1852 moriva il suo fondatore: inseguito, nel 1891, l'erede designatoda Pedrocchi, DomenicoCappellato, lasciò l'edifico alla città,con la promessa “di promuovere esviluppare tutti quei miglioramentiche verranno portati dal progressodei tempi [...] onde nel suo generepossa mantenere il primato in Italia”. Tuttavia, per un certo periodo,in conseguenza anche dei gravidanni riportati dal primo conflittomondiale, il Pedrocchi andràincontro a un degrado dovuto alledifficoltà determinate dalla guerra eche si protrarranno sino al 1924.Negli anni successivi va purtroppodispersa la gran parte degli arredioriginari disegnati dallo stessoJappelli, che verrà sostituita durante l'epoca di Mussolini. Sarà so
lo dopo la Seconda GuerraMondiale che il progetto dell'architetto Angelo Pisani avvierà un veroe proprio restauro, che ridisegna eridefinisce molta parte della costruzione.Soltanto nel 1998 il Pedrocchi ètornato, pur con delle sensibili variazioni, alla cittadinanza in una veste il più possibile vicinaall'originale, dopo una decinad'anni, tra gli '80 e i '90 in cui vi furono difficoltà tra la gestione del locale e il Comune.Oggi il caffè Pedrocchi è punto diritrovo di studenti, professionisti ecuriosi. Tra le sue mura si puòancora assaporare quel gusto raffinato che tanto piaceva agliintellettuali e agli illuministi diun'epoca che purtroppo non è piùla nostra.
città magiche
IILL CCAAFFFFÈÈ SSEENNZZAA PPOORRTTEEPPaaddoovvaa èè aanncchhee ccoonnoosscciiuuttaa ccoommee llaa cciittttàà ddeeii 33""sseennzzaa"":: ddeell pprraattoo sseennzzaa eerrbbaa ((llaa ppiiaazzzzaa ddii PPrraattooddeellllaa vvaallllee)),, ddeell ssaannttoo sseennzzaa nnoommee ((SSaanntt''AAnnttoonniioo,,cchhiiaammaattoo ddaaii ppaaddoovvaannii sseemmpplliicceemmeennttee ""IIllSSaannttoo"")) ee ddeell ccaaffffèè sseennzzaa ppoorrttee..IIll PPeeddrroocccchhii iinnffaattttii èè ccoonnoosscciiuuttoo aanncchhee iinn qquueessttoommooddoo ppeerr iill ffaattttoo cchhee ffiinnoo aall 11991166 eerraa aappeerrttooggiioorrnnoo ee nnoottttee..
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mondo perduto
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Circa alla metà del XVsecolo gli stati europei si erano trovatesbarrate le vie deitraffici con l’Oriente
dall’espansione dell’Impero Ottomano, ed erano quindi stati costretti acercare nuove vie di comunicazione: da qui i viaggi di circumnavigazione dell’Africa effettuati da diversinavigatori, quali Alvise Cà da Mosto, Antoniotto Usodimare e Bartolomeo Diaz.Inoltre, la formazione delle grandimonarchie nazionali europee necessitava di eserciti di massa, di amministrazioni complesse ed articolatee comunque di spese per politichedi prestigio: tutte esigenze vitali chenon potevano essere soddisfattedal solo prelievo fiscale. Si imponeva dunque la necessità di procurarsi in altro modo le ricchezzesufficienti per il mantenimento diuna organizzazione statale e diforze armate adeguate: occorrevamettere le mani su nuove fonti diricchezza. Premessa e conseguenza di questa politica di potenza furono dunque i grandi viaggidi esplorazione: l’era delle grandiscoperte fu aperta dalla piùimportante di tutte, quella legata alnome di Cristoforo Colombo.Pur di umili origini, egli cominciòpresto ad avere rapporti con legrandi case commerciali genovesi:almeno a partire dal 1473 fu sovente sulle rotte del Mediterraneoper conto di imprese quali quelledei Centurione, degli Spinola, deiDi Negro. E quando i Centurione
estesero all’Atlantico i lorocommerci, alle loro dipendenze sitrasferì a Madera, dove visse diverso tempo. E fu qui che Colombomaturò la sua grande idea: giungere alle Indie proseguendo sempreverso occidente, attraverso l’Oceano. La leggenda ha diffuso un quadro artefatto di un Colombotrascinantesi da una corte all’altraper propugnare il proprio progetto:in realtà egli era riuscito a fargiungere notizia dei suoi piani alleorecchie di quei ceti mercantili genovesi con i quali era sempre statoin stretti rapporti, e che nella Spagna di allora avevano mano in ognivicenda finanziaria. Interessatissimiad una nuova via per le Indie, essifecero pressioni sulla corte spagnola: se i Reali avessero concesso illoro alto patronato, essi avrebberomesso il denaro necessario. E fu inquesto modo che Colombo potèsbarcare a San Salvador il 12 ottobre 1492. I due viaggi successividel 1493 e del 1498, il governatorato esercitato sui nuovi territori furono un trionfo per il genovese ma,a mano a mano che appariva evidente come quelle terre non eranole Indie ricercate, a mano a manoche dilagava la pur erroneaconvinzione che esse erano privedi ogni ricchezza, l’opera di Colombo venne progressivamente svalorizzata. Le calunnie di cui fuoggetto per vicende accadute durante il suo governatorato locondussero addirittura in carcere:liberato per opera della regina Isabella, sua protettrice, ottenne nel
1502 di compiere un ultimo, quantoinfruttuoso, viaggio atlantico: caduto definitivamente in disgrazia, morì dimenticato da tutti il 20 maggio1506 a Valladolid, ma fino al suoultimo giorno sostenne caparbiamente di aver scoperto le estremepropaggini dell’Asia.
La Spagna aveva però trattoun vantaggio di notevole peso politico dal primo viaggio
di Colombo, ottenendo dal papaAlessandro VI Borgia il riconoscimento dei propri diritti su tutte lenuove terre d’occidente con laBolla Inter caetera del 1493. Talericonoscimento provocò le protestedel Portogallo che si vedeva cosìpreclusi i mari d’occidente; ragionper cui il 7 maggio 1494 Spagna ePortogallo firmarono il Trattato diTordesillas che regolava le rispettive sfere di espansione: l’Oceano,dall’Artico all’Antartico, fu diviso daun meridiano, la “rraya”, distante370 leghe dalle isole di CapoVerde; alla Spagna sarebberotoccate tutte le terre ad occidentedel meridiano, al Portogallo quellead oriente. Il riconoscimento papale comportava tuttavia l’impegno diprocedere all’evangelizzazionedelle popolazioni sottomesse, laqual cosa avvenne come vedremoin seguito.I viaggi effettuati da Vespucci fra il1499 ed il 1502, quindi da Magellano nel 1519, definirono le caratteristiche continentali delle terrescoperte, che furono chiamate
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“Mundus Novus”; a seguito diqueste nuove certezze, chesmentivano le teorie di Colombo, circa quindici annidopo la scomparsa delgenovese, cominciaronoa risvegliarsi nella penisola iberica interessi cheparevano sopiti.Le prime esplorazionicondotte sulla terrafermaebbero un carattere di ricerca, anche se gli spagnoli,dovunque andassero, prendevano possesso della terra in nomedel re, secondo le antiche usanze.Ma da questi esploratori iniziaronoa diffondersi notizie riguardantiricchi e popolosi regni situati framonti e foreste, e in Spagna si desiderava ardentemente che essecorrispondessero alla realtà. Edimprovvisamente ciò avvenne: nel1519 una spedizione condotta daHernán Cortéz, che stava esplorando la costa dell’odierno Messico, si imbattè in prove inconfutabilidell’esistenza di una ricca civiltà negli altopiani dell’interno: era l’impero Azteco, le cui origini risalivano acirca due secoli prima. Gli Aztechi,che avevano la loro capitale in Tenochtitlán , in poco più di centoanni avevano sottomesso tutte lecomunità di una vasta regione chesi estendeva su di un territorio corrispondente agli attuali Messico eGuatemala. Questo popolo, pertanti aspetti evoluto, non conosceva né l’applicazione della ruota négli utensili di metallo, ma l’architettura delle loro città colpì gli invasorieuropei per la cura e l’eleganzadelle costruzioni. Nonostante questo, senza attendere alcuna autorizzazione, Cortéz si lanciò allaconquista e due anni più tardi, nel1521, dominò vittorioso le rovine diTenochtitlán, con le spoglie di unimpero a sua disposizione.La grandezza del successo feceottenere a Cortéz l’approvazione aposteriori della sua impresa daparte dell’imperatore Carlo V insieme a titoli ed onori, ma fece anche
si che ondate di avventurieri attraversassero l’Atlantico per la scoperta e la conquista di “otrosMexicos”.Ovviamente queste nuove spedizioni dovettero darsi una organizzazione, basata sulle licenze reali checontenevano anche una disposizione che ricordava a tutti gli “adelantados” (i capi delle spedizioni),che fra i motivi della presenza spa
gnola nel Nuovo Mondo vi eraquello della evangelizzazio
ne dei popoli sottomessi eche imponeva la presenza, in ogni spedizione, di uno o dueecclesiastici che introducessero gli indigeni allaconoscenza di Cristo. Equesto avvenne rego
larmente a mezzo dellalettura alle esterrefatte po
polazioni appositamente radunate, senza interprete ma in
presenza di uno scrivano pubblico,di un lunghissimo documento chiamato “requerimiento” redatto inspagnolo o in latino: retorica intimazione che li esortava aconvertirsi alla religione cattolica eche si concludeva con la frase “senon lo farete o porrete maliziosamente indugio affermo che conl’aiuto di Dio io entrerò con forzacontro di voi e vi farò guerra in tuttii luoghi e in tutti i modi a me possibili, e vi assoggetterò al giogo eall’obbedienza della Chiesa e diSua Maestà, e prenderò le vostremogli ed i vostri figli e li farò schiavie come schiavi li venderò, edisporrò di loro come sua Maestàcomanderà, e prenderò i vostri beni e vi farò tutto il male e il dannoche potrò”. Padre Bartolomé deLas Casas, autore della Brevissimarelazione della distruzione delleIndie, dopo aver preso visione deldocumento, disse che non sapevase ridere o se piangere.Oltre agli ecclesiastici e ad uncongruo numero di fanti e di soldatia cavallo, le spedizioni di conquistacomprendevano un rappresentantedell’erario reale che aveva l’incarico di controllare che la quinta partedel bottino destinata alla Coronafosse regolarmente accantonata,ed uno o più notai che dovevanoregistrare gli avvenimenti piùimportanti: la forza delle spedizioniera comunque di entità non moltorilevante.
IL SERPENTE PIUMATOIl Serpente Piumato (Quetzalcoatl)è una delle più antiche divinitàdell'America Centrale.Venerato da Maya e Aztechi, haorigini molto antiche: un primotempio gli fu edificato nel 200d.C.. Nel suo significatoprincipale, esso simboleggiaquello che, nella culturaoccidentale, potrebbe essere ilmito di Prometeo: il primomaestro spirituale, che supera ilpeccato e trascende la materia perridivenire luce. La leggendaazteca lo vede come un re castoche, sotto l'effettodell'ubriachezza, commette unpeccato carnale e, pentito, si dà lamorte nel rogo appiccato da sestesso per espiare la sua colpa.Secondo altri miti, discende nelmondo dei morti in forma dicoyote e ruba delle ossa prezioseche consentono la creazionedell'essere umano: o meglio, lasua rinascita, dato che, per ilpopolo precolombiano, il mondoaveva già subito quattrodistruzioni, e Quetzacoatl, con lasua azione, sarebbe riuscito afarne nascere un quinto.
20 continua nel prossimo numero
Il sole splendeva alto nel cielo, a pochi giorni dallasua entrata nell’anno nuovo. Il caldo torrido diquella giornata non impensieriva, tuttavia, l’animodel giovane, fulgido e sprezzante, di fronte all’avvicinarsi di quel grande evento. La festa più
importante dell’anno, in cui il dio più imponente, il re degli dei, avrebbe avuto una nuova nascita, scaturendonudo e possente come fosse appena stato generato,era solo questione di un avvicendarsi rapido di attimi,di circoli intorno alla terra di quel meraviglioso disco dorato. Il giovane, un ragazzo dalla carnagione olivastracon lunghi capelli neri, era chiamato Tezcatlipoca.Un anno prima, era stato designato come incarnazioneumana del sole. Il sole, l’unico e primigenio dio, avido econsumatore, era entrato dentro di lui come un amantedentro un’amante, come l’ape in una antera, come unatempesta in un deserto: aveva brillato e reso infuocatoil grande regno azteco per un intero ciclo, ma adessotutto questo sarebbe finito. Tezcatlipoca, incoronatodio, lo sapeva bene. Lo aveva saputo fin dal giornostesso in cui il re Montezuma lo aveva portato sullavetta più alta, sulla cima di Quautixicalco, la grande,immensa, invalicabile piramide che campeggiava sullacapitale del regno, Tenochtitlàn. «Per un intero anno sono stato dio» si ripeteva fra sé il giovane, il quale non ricordava nemmeno più il suo vero nome, poiché, per
tutta la durata del suo regno sulla terra, egli era statoper tutti nient’altro che Tezcatlipoca. E questo gli avevaconferito poteri immensi, l’autorità che solo una forzasovrumana può avere sulle emozioni di quegli esseriinferiori che si chiamano uomini. Tezcatlipoca, infatti,non era stato un uomo tramutato in dio: egli era statodio.Camminava tranquillamente per tutto il suo regno, enessuno, nemmeno il più miscredente fra i figli del soleaveva osato toccarlo se non tramite previo consenso.Egli era il sole, e solo la sua intercessione potevapermettere lo si toccasse: sempre con deferenza,sempre chinando il capo, quasi la luce che emanavanon si potesse guardare per paura di rimanerne abbagliati. Poiché il sole genera, cura, riscalda, maannienta anche, brucia, disfiora, egli così leggero edimmenso.Durante questa sua fortunata e tracotante parentesi,Tezcatlipoca aveva potuto godere di tutte le gioie che,da uomo, non gli erano state permesse: essere trattatonon più come un fanciullo, un giovane imberbe che deve rispetto ai vecchi, ma essere più rispettabile e autorevole del più anziano di tutto il popolo. Quando sifermava al mercato, la gente gli baciava la mano, insegno di rispetto. Vi era chi si inginocchiava, quasi prostrandosi al suolo, temendo di sfiorare i suoi piedi, deli
IL CUORE CHE RINASCEdi Alessandro Romano
È quasi giunta la fine dell'anno tra gli Aztechi. Tezcatlipoca, il giovane prescelto dallapopolazione come reincarnazione del dio sole, è venerato come una divinità. Ma il suo destino ègià segnato: immerso nel lusso e nel benessere, si avvicina inesorabile all'appuntamento conl'evento più importante per tutto il suo popolo, e per la sua stessa esistenza.
TENOTCHTITLAN E TEOTIHUACANLa grande capitale del regno azteco, Tenochtitlàn, sorgeva sull'attuale Città del
Messico, luogo dove i fondatori videro quel che è uno degli emblemi per eccellenzadella loro civiltà: un'aquila che uccide un serpente sopra un cactus. La città poi venne
distrutta da Hernàn Cortès, conquistador spagnolo, nel 1521. L'altro grande centro,religioso e artistico del regno, Teotihuacan ("la città dove nascono gli dei"), a tutt'oggi il
maggior centro archeologico del Messico, ospitava il luogo simbolo di Quetzalcoatl,una piramide tronca, con base quadrata, formata da 7 piattaforme sovrapposte, e
denominata, per via del sacrificio legato alla rinascita, la Piramide del Sole.
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cati e profumati. Le frequenti abluzioni che giovanid’ambo i sessi gli riservavano più volte al giorno, le tuniche profumate e policrome, lo rendevano desiderabilea chiunque, nonostante ciò non fosse necessario perfargli avere amanti e amori in un numero indescrivibile.Ciononostante, solo due furono le prescelte che più diuna volta giacquero con lui nel suo talamo, in mezzo afiori d’ogni sorta, prelibatezze e frutti dai colori accesi edal sapore ricercato. La prima si chiamava Quetzal, e isuoi occhi avevano il colore del mare più casto e puro,quale Tezcatlipoca mai avrebbe potuto osservare nellasua vita precedente. Il suo corpo era sempre cosparsod’olio, facendo risaltare le sue forme sinuose, atte allaprocreazione, floride e forti come una cacciatrice, e rapide e guizzanti come un corridore. L’altra aveva nomeXochtil: più minuta e dimessa, sapeva intrecciare sapientemente le trame di una cetra quanto quelle di unordito. Servizievole e ossequiente, obbediva ad ognicapriccio e stimolo che potesse sorgere nel cuore diTezcatlipoca, quel cuore così imponente, che era necessario sfamare perché, un giorno, esso sfamassetutto il popolo.Tezcatlipoca sapeva che, al congedo del ciclo annuale,tutto quel tesoro che si dispiegava di fronte a lui, e chepoteva gestire a suo piacimento, sarebbe stato destinato ad essergli tolto. Non tolto per l’eternità, ma terminato nel suo ciclo materiale. Nella sfera lontana edimmutabile delle stelle, il suo corpo avrebbe continuatoad essere sempre uguale a se stesso, poiché nulla poteva distruggere il sole, una volta che esso fosse riuscito a risorgere.Egli aveva la morte nel cuore, anche se questo timoreben fondato gli faceva vivere ogni attimo in maniera totale: ogni bacio di Xochtil, ogni carezza di Quetzal,ogni zolla di terra toccata ed ogni fuoco acceso, ognipasto consumato e ogni bevanda ingerita, conteneva
in sé tutta la potenza dell’universo. Tutto l’universo eranelle sue mani, perché egli era il sole.
Un mattino, dopo una notte dolce come la rugiada e saziante come il miele, Quetzal, mentreTezcatlipoca ancora dormiva, iniziò a mas
saggiargli il ventre e il petto, stimolando le sue fantasie, e cercando di allietare i suoi sogni. Tanto feceroquelle sagge ed esperte mani, che il sole si svegliò, eguardata in viso la sua amante, le ordinò: «chiama Xochtil ed eseguite per me una danza». Quetzal, pur tracotante e indipendente, obbedì, e si mise a svegliare lasua compagna, che riposava su un giaciglio a pocadistanza dal talamo dei due. La baciò invitandola a destarsi, e le sussurrò all’orecchio quel che Tezcatlipocadesiderava.Pochi minuti dopo, entrambe discinte e vestite di pochiveli, iniziarono una danza accompagnata dal suono celestiale di una cetra, sulle cui corde poggiavano le ditainsaziabili di un musico, il cui compito era di allietare lemattine annoiate e tremende di Tezcatlipoca.Alla fine della danza, Tezcatlipoca ordinò ad entrambedi stendersi al suo fianco e di giacere con lui, a turno.Mentre una guardava, l’altra avrebbe sorriso e si sarebbe beata del piacere degli altri due amanti: così fecero, perché il sole lo ordinava.Quello fu l’inizio dell’ultima giornata di Tezcatlipoca.Quando egli era alto nel cielo, verso la metà del girodiurno, si alzò dal talamo e pranzò, durante uno deibanchetti più cospicui di tutto il suo regno. Il re inpersona lo venne ad omaggiare, e furono bevute e divorate le scorte di un intero mese. A poche ore dal tramonto, Tezcatlipoca volle star solo. Passeggiò a lungoattorno alla grande piramide, guardandone la sommità
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nello stesso modo in cui avrebbe guardato la punta piùalto del grande vulcano, e diceva tra sé: «io sono piùalto del più alto vulcano del mondo, io sono più infuocato ed ardente di ogni fuoco, io sono il sole, e tra breve morirò. Morirò per rinascere a nuova vita». E mentretornava alla sua casa, la casa che il re gli aveva lasciato per un intero anno, Tezcatlipoca si preparò algrande sacrificio. Vestito di un manto rosso, adornatodi piume di pavone, l’uccello le cui carni non si consumano, il giovane dio correva verso la propria immortalità nei cieli, dopo averla avuta per un intero anno sullaterra. A vestirlo e profumarlo furono Quetzal e Xochtil.Ognuna di loro, nell’atto di essere una sola cosa con ilsole, provava e sentiva dentro di sé tutta la forza el’energia che egli promanava: esse erano corteccia, lucertole che perdono le loro squame, erano fiori impollinati, erano bambini dati alla luce, erano acqua chescende da una cascata. E Tezcatlipoca provava ecaptava le loro emozioni, proprio come i pensieri e isentimenti di ogni persona, di tutto il popolo azteco.Egli era l’unico, era l’universo, era la totalità delle cose,quelle che muoiono, quelle che vivono, quelle che nascono.Tezcatlipoca era seduto sul talamo. Alla sua destra stava Quetzal, completamente vestita di smeraldo, lucente come la pelle di un ramarro. Alla sua sinistra, ilviso di Xochtil, giallo e splendente per via delle scaglied’oro di cui era formato il suo peplo, per la prima voltaebbe un sussulto. Ma esso si trasformò subito in sorriso, per poi farsi immoto come una maschera. Le duegiovani fanciulle lo presero per mano. Fuori, la nottestava per entrare nella terza parte del suo corso. Eral’ora del compimento della vita del sole. Il vecchio sole,Tezcatlipoca, stava per andarsene. Montezuma loattendeva al varco, al portale che conduceva alla scalinata della piramide. Per percorrere tutti gli scalini vi
avrebbero impiegato non meno di un’ora. Un tamburobatteva lentamente i passi cadenzati dei quattro individui. Montezuma teneva la piccola mano di Toxchil. Asua volta, Tezcatlipoca stringeva, in quegli ultimi minutiche lo separavano dalla sua nascita, la forte stretta diQuetzal.Erano giunti alla cima. Sopra di loro, il cielo stellatostava dando spazio alle prime luci dell’aurora. Il tempoera finalmente compiuto. L’universo era al suo apice.L’universo stava morendo. Quetzal e Xochtil si separarono dai loro uomini, e si misero ai lati del quadrato posto sulla cima del Quautixicalco. Quando ebbero fattoquesto, una smorfia di dolore le colse entrambe.Montezuma, dolente ma deciso, estrasse dal suogrande mantello un pugnale non più grande della suamano, dalla punta acuminata, e si approssimò a Tezcatlipoca. Lo prese per mano ed assieme si miserosotto il pinnacolo del Quautixicalco. Tezcatlipoca fissònegli occhi Montezuma e disse: «io muoio e facciotornare l’alba. Io risorgo e risorgerò per un anno intero». Quando ebbe terminate queste parole, Montezuma lo trafisse in pieno petto col pugnale, e, senza cheTezcatlipoca potesse reagire, gli estirpò lentamente ilcuore dalla cassa toracica. Il cuore di Tezcatlipoca, oraprono al suolo, venne sollevato verso il cielo da Montezuma. La popolazione, agguerrita e numerosa ai piedidel Quautixicalco, inneggiava alla nascita, la nascitadell’anno nuovo. I loro volti, inferociti ed avidi, adoravano il sangue, purulento e eccessivo, del cuore di Tezcatlipoca. I suoi occhi, aperti a vedere la sua nascita,erano un tutt’uno con la luce che splendeva e penetrava in lui. Il sole, nel giorno che s’appressava a nascere, entrava in un nuovo anno di vita. E per farlo, avevadecretato la morte di Tezcatlipoca, la morte che nonera morte, la morte che per vivere aveva bisogno di risorgere.
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ON THE ROADIgiorni trascorrono in unincalzare frenetico, è come sestessi sfogliando in fretta le pagine di un fantastico libro diavventure.
Cerco di immagazzinare quanto piùposso anche se ciò toglie verve allamia penna.Lo sguardo mi scorre dentro lungola verdissima catena dei montiAppalachi, selvaggia nella suabellezza, quando mi ha dato un brivido nell’improvviso incontro con ilmaestoso orso nero, incessantemente impegnato nella ricerca dibacche e miele, brivido subitostemperato dalla deliziosa visionedi una dolce cerva.La Toyota macina la stradaoffrendomi sempre quadri diversamente esaltanti, a volte anche deprimenti, in cui guerra civile, natura,storia, etnie mi passano dinnanzicreandomi variegati stati d’animo.Anche le emozioni hanno facce diverse a seconda di quello che sipresenta davanti agli occhi comequando, a Memphis, ho varcato lasoglia della neoclassica villa diElvis Presley dagli interni molto kitsch con le pareti foderate daidischi di platino e d’oro di questogrande interprete di musica countrye blues. Pensate: è il secondo sitopiù visitato in America, è un mondoirreale in cui Elvis vive ancor oggi inmezzo alle sue Cadillac, ai suoi aerei, alle sue migliaia di abiti laminati
idolatrato, come un tempo, dai milioni di fans che qui convergono daogni parte del mondo.Ma ecco che girando la pagina diquesto inserto, discutibile, maanch’esso fotografia di un’Americacosi varia e piena di contrasti, mi sipara dinnanzi il mondo tragico dellaguerra civile americana che dal1860 al 1865 ha mietuto circa600.000 vite umane.Nord e sud si sono ferocemente dilaniati e queste tragiche vicende sono oggi testimoniate dalle decine edecine di memorials da meincontrati.È una sorta di mea culpa che gliamericani delle due parti oggi recitano.Continuo ad inanellare chilometricon visioni sempre nuove, inediteed affascinanti quand’ecco apparirmi placido e maestoso il Mississipi, spina dorsale dell’America elinea di frontiera acquea fra est edovest. Fu qui, su queste sponde,che i bianchi conquistatori affamatidi terre nuove spingevano semprepiù in là le impotenti, per mezzi edarmamenti ma non per fierezza, tribù indiane che chiamarono questoloro esodo “il sentiero delle lacrime”.Sto attraversando le riserve deiCherokee, degli Apaches, dei Seminole e di tante altre tribù indianeche, sotterrata per sempre l’ascia diguerra, gestiscono oggi remunerativi Casinò ricordandomi nei lorotratti somatici quell’orgoglio con cui
disperatamente difesero i loro territori.E così, senza quasi accorgermene,ho percorso quasi 5000 km, mentreal mio sguardo si offrono le infinitepianure del Texas e del New Mexico, pascoli per milioni di bovini, chemi salutano.Paesaggi mozzafiato da me spesso vagheggiati nella visione dei filmwestern.La costa atlantica si allontanasempre più e quella californiana delPacifico lentamente si avvicina,mentre oggi mi si stanno per aprirele porte del Colorado e dell’Arizonacon i loro fantastici canyon.
MONUMENT VALLEYCon intensa emozione stoattendendo l’alba in questavalle incantata.
La seconda ed ultima alba in questo parco pietrificato in cui dalnulla, come giganti, si ergono questi grattacieli di arenaria rossa.Li ascolto mentre mi parlano diantiche cavalcate degli indiani Navajos quando potevano liberamente cacciare e prosperare inquesto selvaggio, immenso territorio prima delle lunghe odissee edumiliazioni imposte loro dallegiubbe blu del bianco conquistatoreche li confinò nelle anguste riserve,dove ancor oggi vivono, sia pur conle giuste rivendicazioni ricevute.
OONN TTHHEE RROOAADDddii GGiioorrggiioo DD''AAuussiilliioo
CCoonnttiinnuuaa iill vviiaaggggiioo aattttrraavveerrssoo ggllii UUSSAA ddii GGiioorrggiioo dd''AAuussiilliioo.. QQuueessttaa vvoollttaa ccii ppoorrtteerràà aa MMeemmpphhiiss,,nneellllaa rreessiiddeennzzaa ddeell ggrraannddee EEllvviiss PPrreesslleeyy,, ppeerrccoorrrreerràà llee ssttrraaddee ppaarraalllleellee aall MMiissssiissssiippii ffiinnoo aaggiiuunnggeerree aallllaa mmaaeessttoossaa MMoonnuummeenntt VVaalllleeyy..
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Ma facciamo un passo indietro perinquadrare meglio, anche dal puntodi vista geologico, questa valle unica al mondo, icona degli USA occidentali posta al confine fra Utah eArizona.Si tratta di un’area piuttosto isolatadistante più di 60 miglia dalla più vicina cittadina di Kayenta.La strada che mi introduce alla Monument Valley è estremamentesuggestiva in quanto segue unpercorso rettilineo in leggera discesa che mi ha creato la stranaimpressione di calarmi all’interno diquesto straordinario luogo.Vi sono giunto percorrendo la Highway 163 e penetrando un territoriomorfologicamente pianeggiante cosparso di guglie dette Mesas: sonoquesti i Monumenti, che al tramontosi infiammano, con la sommitàpiatta, più o meno orizzontale, allabase dei quali si accumulano detritidi pietrisco e sabbia, ultimi resti diun immenso, compatto strato di arenaria rossa che 5 milioni di anni faricopriva tutta questa grandissimaarea, ed è molto triste pensare chefra circa un milione di anni di questa valle non rimarrà più nulla inquanto gli agenti atmosferici continueranno ad eroderla fino a farlascomparire del tutto.Si presentano al mio sguardo stupefatto come torri naturali formate daroccia e sabbia che assumonole forme più strane, tutte di colorerosso, tinta originatasi dall’ossidazione del ferro.
Questa Valle dei Monumenti faparte dalla Navajo Nation Reservation con gli indiani che ne gestiscono tutte le attività compreso ildiscusso e costoso View Hotel chemi ospita mentre scrivo queste mierighe. Inaugurato l’anno scorso, amio vedere, ha tolto naturalezzaalla valle prendendo il posto di unessenziale campeggio che esistevada 40 anni e che ben si inseriva nelcontesto morfologico di questo magnificente paesaggio.I rubescenti colossi di pietra miappaiono come usciti dal nulla inuna sconfinata pianura in cuisabbie di color porpora si alternanoa grassi cespugli spinosi.La pista è molto irta e accidentatada continui saliscendi, ma la jeepcondotta dalle mani esperte di unagiovane e bella donna navajo, miaindispensabile guida, procede sicura in questo labirinto naturale,fornendomi inattesi, stupefacentispunti di osservazione e di meditazione ad ogni curva.Sono nel santuario degli indiani fragli altari delle loro divinità.Per loro ogni enorme pilastro è unsimbolo, è una divinità invocata dasecoli come nume tutelare con rititribali carichi di fascino.Ogni rosso monumento per i navajos ha un nome: l’occhio del sole,l’orecchio del vento, la pietra cheparla, il dito che invoca la pioggia.Queste immani colonne di fuocopietrificato sono terribilmente affascinanti e nel mio immaginario ve
do drappelli di pellerossa cavalcarelungo i canaloni o sostare su altepiattaforme in atteggiamenti scrutatori.Questo è stato il palcoscenico deifilm western di John Ford e di JohnWayne che hanno immortalato,esportandola in tutto il mondo sullacelluloide, questa Valle dei Monumenti.Più di cento sono stati i film qui girati e non solo di natura western.La notte si scioglie spegnendo unacoltre incredibile di stelle, il sole staper nascere, il cielo si infiamma,l’emozione sale in un crescendo diimmagini stupefacenti in cui il rossodomina su tutto, incantandomi.Incanto rotto solo dai clik delle fotocamere dei giapponesi che quiinvadono il territorio sostituendosi,moderni conquistatori, alle tribù diun tempo.Tutto cambia: i costumi, i popoli simescolano confondendosi, mal’occhio pietrificato dei Monumenti,eterno ed impassibile, rimane ilmuto testimone delle fortune odelle disgrazie di questo nostroinquieto mondo.Cara valle fra poco ti devo lasciare,altri orizzonti mi attendono, ma ituoi colori rimarranno a lungostampati nella mia mente ricordandomi una natura, un luogofra i più belli al mondo da me visitati.
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LLaa MMoonnuummeenntt VVaalllleeyy èè uunn''iiccoonnaa ddeegglliiUUSSAA oocccciiddeennttaallii.. IIll ppiiaannoorroo ddeesseerrttiiccoo
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LLaa cciittttàà ppiiùù vviicciinnaa ddiissttaa ppiiùù ddii 7700 kkmm::ssii ttrraattttaa ddii KKaayyeennttaa..
letteratura
Cento anni fa, in unasperduta stazioneferroviaria nella Russia centrale, nei pressi di Astàpovo, moriva
il conte Lev Nikolàevič Tolstòj.Rampollo di una antica famigliadella nobiltà terriera russa, che aveva la sua dimora a Jàsnaja Poljàna,a circa duecento chilometri da Mosca, Tolstòj, il giorno 28 Ottobre1910, in piena notte, all’età di 82anni, decise di abbandonare la suatenuta, la moglie Sonja e i numero
si figli che amorevolmente avevaaccudito durante la sua esistenza.Quando lo ritrovarono, qualche settimana dopo, colpito dalla febbre, i famigliari scoprirono che eraintenzionato a rifugiarsi in unconvento in Bulgaria, isolato dalmondo. E difatti pare che le ultimeparole che egli pronunciò fosseroqueste: “andarsene, bisognaandarsene. Andrò in qualche postodove nessuno possa disturbarmi…lasciatemi in pace”.Per chi non conosca bene la figura
titanica e stentorea di questogrande scrittore e pensatore,parrebbero solo le farneticazioni diun folle in preda alla malattia. Invece, come nota il critico GeorgeSteiner : “il pensiero di Tolstòj, cheha dei debiti nei confronti di Socrate, Confucio e Buddha, è anchepervaso dallo spirito pastorale diRousseau.” Tutti personaggi a loromodo profetici, emblematici, dei redentori dell’umanità cui tuttavia, rispetto allo scrittore russo, parevamancare un vero senso della Natu
ra. Nelle opere di Tolstòj essa è,invece, il centro di tutti gli sforzidell’autore. Natura intesa come inclinazione più pura dell’essere umano. Come è noto, Tolstòj, nato nel1828, fu sempre pervaso da ansiereligiose, specialmente in conseguenza di una giovinezza dissipatae balorda a seguito dell’esercito: adesso dedicherà molti dei suoi scrittidel primo periodo, quello che vadalla trilogia autobiograficaInfanzia, Adolescenza, Giovinezza(18521857), sino alla stesura delcapolavoro sommo di una vita,Guerra e Pace, affresco storico che
lo occuperà per sei anni, dal 1863al 1869. La narrazione di quest’opera smisurata, per mole di particolaried intrecci, copre due decenni delXIX secolo, in pieno periodo napoleonico, culminante con l’incendiodi Mosca (1812). In essa il grandescrittore russo ha voluto rendereprotagonista la Storia, in qualchemodo contrapponendola al suogrande ideale, appunto la Natura,attraverso uno scontro interno frapersonaggi che rappresentano la civiltà, con tutte le sue affettazioni edartifici, e la vita della campagna, iritmi senza tempo, depositari del
mito, che soggiacciono all’esistenza reale del contadino russo, edi chi vi viveva al fianco, i nobiliproprietari delle terre. Ovviamente,Guerra e pace è anche molto altro:in esso si respira l’epica, il senso diun poema. E della struttura delpoema, questa immensa saga riprende gli espedienti, l’intrinsecodinamismo, la ripetitività vitale efluente.Pur nel formicolio incessante degliavvenimenti narrati, i romanzi diTolstòj sono plausibili e avvincenti,in quanto la grande struttura delleopere non si fa condizionare dai
ll''uuoommoo cchhee ssffiiddòò ssee sstteessssooddii AAlleessssaannddrroo RRoommaannoo
UUnn sseeccoolloo ffaa ssccoommppaarriivvaa iill ggrraannddee ssccrriittttoorree rruussssoo LLeevv TToollssttòòjj.. AArriissttooccrraattiiccoo ee gguueerrrriieerroo,,nneellll''uullttiimmaa ppaarrttee ddeellllaa ssuuaa vviittaa sscceellssee uunnaa vviittaa rriittiirraattaa ee aasscceettiiccaa.. DDooppoo uunn''aannaalliissii ddeelllleessuuee ooppeerree mmaaggggiioorrii sseegguuiirràà uunnaa rriifflleessssiioonnee ssuu qquueessttoo aassppeettttoo..
piccoli particolari, ma mantiene unocchio sempre aperto sull’interoapparato. L’arte di Tolstòj, sottolinea sempre Steiner, è umanistica:rispetto ad altri autori, il conte russodescrive i suoi personaggi senza bisogno di paragoni a cose od animali, tecnica tipica delle favole o deiromanzi naturalistici. L’integralità ela purezza dello stile tolstojano sono non solo il suo marchio di fabbrica, ma la sua ragione esistenziale:derivano dalla necessità di porsi come autentico portavoce di quel chela vita è e deve necessariamenteessere. Nel corso degli anni, in seguito alla stesura e al disconoscimento della sua altra operamaestra che è Anna Karénina(anche qui, quattro anni di lavoro,dal 1873 al 1877), nonché a lutti familiari e grandi sconvolgimenti storici, si convince a un integralismomorale sempre più austero. Divienevegetariano, partecipa alla vita deicampi coi suoi contadini (non piùservi della gleba, dopo le leggi del1861 sull’abolizione della schiavitù), rinuncia al fumo e all’alcool, esoprattutto, dà corpo al progetto diuna sorta di religione laica, di metodologia di vita che si rifà, in buonasostanza, a correnti evangelichedei primi cristiani, sotto l’influenzadi settari come Sjutaev e Bòndarev.Ma il grande individualismo dell’autore permane anche in questa suaennesima metamorfosi, in questasua ultima strenua lotta, col vero,grande nemico della sua vita: sestesso.Già, poiché in Tolstòj, molto più chenel grande “rivale” Dostoèvskij, la ricerca di brama metafisica, religiosa, di redenzione umana, si esplicanella vita, che è pervasa però dianeliti cui lo stesso nobile faticava,per sua stessa indole, a rinunciare.In questo senso, Anna Karénina è,paradossalmente, il personaggioche più gli somiglia. Il romanzo ècongegnato come la storia di due vite “parallele”, quella di Anna equella di Lёvin, l’altro protagonistadella storia. Entrambi appartengono
a pieno titolo alla suaanima, lacerata da“energie sensuali”.Anna Karénina rimane il romanzo piùpersonale di Tolstòj,del quale egli era, persua stessa ammissione, “invaghitocompletamente”: esso è la celebrazionedi una creatura radiosa e lucente, Anna,divisa tra la sua vitaprecedente, il matrimonio col buono mafreddo Karénin, equella attuale, la passione cocente col vacuo ed irruenteVronskij (non a caso,entrambi gli uomini sichiamano Aleksèj).Anna Karénina si pone quale verotestamento personale dello scrittore, per più di un motivo: è il romanzo della presa di coscienzadell’autore, che, pur disconoscendopoi il romanzo, giungerà alla faseculminante della sua vita, quelladella riflessione e dell’ascesi, allaquale non sarebbe mai pervenutosenza la sensualità e la vigoria chefanno di questo libro uno dei puntimassimi della sua opera, e dell’intera letteratura russa e mondiale. Rivela la studiosa Serena Vitale: “lacolpa di Anna, ragione narrativa delromanzo e suo movente conflittuale, non si rispecchia forse in quelle,meno appariscenti […] del marito,dell’amante, della società in cui vive, dell’istituto del matrimonio, e,infine, della natura stessa, chenell’amore cerca e celebra la suaeterna e assoluta volontà di devianza?” Nelle parole della nemesidi Tolstòj, Dostoèvskij, ai personaggi del libro “il male preesiste”,come vi fosse, nella concezione delsuo creatore, una insopprimibileangoscia, conseguenza di questainadeguatezza, alla quale non sipuò far fronte che nella rinuncia almale o nella morte. Sarà così infatti
per Anna, che si abbandona a untreno che la travolge nel finale dellasua storia. Per ironia della sorte,Tolstòj finirà i suoi giorni proprio come la sua creatura più adorata edodiata nel contempo, smarrendosiin una stazione a pochi passi daltreno che, nel mondo fittizio, avevadato fine per sempre alla Karéninae al suo destino di dannazione.In molte altre opere, dal raccontopostumo Padre Sergio, in cui unnobile rinuncia al suo lignaggio perfarsi frate, salvo poi scoprire che lasua vocazione è frutto di orgoglio ebrama personale, o nell’ultimogrande romanzo Resurrezione(1899), in cui il principe Nechljùdovsi trova suo malgrado a dover giudicare in un processo la donna cheaveva abbandonato e che era caduta per questo in disgrazia,accettando di seguirla nella sua deportazione in Siberia, si notasempre la grande angoscia chepervade lo spirito tolstojano: mairealmente pacificato, sempre oberato dal peso della colpa.Dopo cento anni dalla suascomparsa, il grande scrittore russo non smette di far riflettere e diispirare le generazioni future.
TOLSTOJ NELLA PITTURARitratto di Lev Nikolàevič Tolstòj di Ivan Nikolàevič
Kramskòj (18371887). Il dipinto è datato 1873,periodo durante il quale il grande scrittore iniziò acomporre uno dei suoi capolavori, Anna Karènina.
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BBAABBBBOO NNAATTAALLEEFFiigguurraa ddeell ffoollcclloorree ppooppoollaarree cchhee ddiisscceennddee ddaa uunn ppeerrssoonnaaggggiioo ssttoorriiccaammeenntteeeessiissttiittoo:: iill vveessccoovvoo NNiiccoollaa ddii MMiirraa,, cchhee,, ppeerr ddiiffffoonnddeerree iill CCrriissttiiaanneessiimmoo nneeii cceettiippiiùù ppoovveerrii,, eessoorrttaavvaa ii ssuuooii ppaarrrrooccii aa rreeccaarrssii ddaaii bbaammbbiinnii ccoonn uunn rreeggaalloo,, dduurraanntteellaa nnoottttee cchhee pprreecceeddeevvaa llaa NNaattiivviittàà.. PPeerr ffaarrlloo,, eessssii ssii vveessttiivvaannoo ccoonn uunn ppaassttrraannoorroossssoo bboorrddòò iinn uunnaa sslliittttaa ttrraaiinnaattaa ddaa ccaannii.. LL''iiccoonnooggrraaffiiaa ooddiieerrnnaa ddeerriivvaa iinnvveecceeddaaii ppaaeessii nnoorrddiiccii,, ee nneellllaa ffaattttiissppeecciiee ddaallllaa ffeessttaa oollaannddeessee nnoottaa ccoommee SSiinntteerrkkllaaaass((""ccoommpplleeaannnnoo ddeell ssaannttoo"",, mmaa aanncchhee ccoonnttrraazziioonnee ddii SSiinntt NNiiccoollaaaass,, SSaann NNiiccoollaa,,cchhee ccaaddee iill 66 DDiicceemmbbrree,, aannccoorraa ooggggii iill ggiioorrnnoo ddeelllloo ssccaammbbiioo ddeeii ddoonnii iinn mmoolltteennaazziioonnii))..
PPRREESSEEPPEEIIll pprreesseeppee ((oo pprreesseeppiioo)),, tteerrmmiinnee cchhee ddeerriivvaa ddaallllaa ppaarroollaa llaattiinnaa pprraaeesseeppeess ((mmaannggiiaattooiiaa)),, èèuunn''aannttiiccaa ttrraaddiizziioonnee rriissaalleennttee aall MMeeddiiooeevvoo.. IIll pprriimmoo pprreesseeppee ffuu rreeaalliizzzzaattoo aa GGrreecccciioo,, iinn UUmmbbrriiaa,,ddaa FFrraanncceessccoo dd''AAssssiissii nneell 11222233,, cchhee,, iinn qquueellll''ooccccaassiioonnee iinnsscceennòò uunnaa rraapppprreesseennttaazziioonnee vviivveenntteeddeellllaa NNaattiivviittàà,, oovvvveerroo llaa nnaasscciittaa ddii GGeessùù CCrriissttoo ee llaa sscceennooggrraaffiiaa aadd eessssaa ccoolllleeggaattaa.. IIll pprreesseeppeeppuuòò eesssseerree uunnaa rraaffffiigguurraazziioonnee vviivveennttee ooppppuurree uunnaa rriiccoossttrruuzziioonnee iinn ssccaallaa..
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ffeesstteeggggiiaattoo ccooll ccllaassssiiccoo vveegglliioonnee eeii ccaarraatttteerriissttiiccii ffuuoocchhii aarrttiiffiicciiaallii..
LA NATIVITÀLa nascita di Gesù è narrata neiVangeli di Matteo e Luca: pur conalcune differenze, essi concordanosu diversi punti. La gravidanzadella Madonna annunciata da unangelo, il successivoconcepimento ad opera delloSpirito Santo, il nome del bambino,Gesù, che sarà il redentoredell'umanità. La datazione,avvenuta al tempo di Erode ilGrande, e l'adolescenza del Cristo,svoltasi a Nazareth.
AALLBBEERROO DDII NNAATTAALLEELL''aallbbeerroo ddii NNaattaallee,, ssoolliittaammeennttee uunnaabbeettee oo uunn''aallttrraa ccoonniiffeerraasseemmpprreevveerrddee,, ddiisscceennddee ddaall tteemmaappaaggaannoo ddeell rriinnnnoovvaammeennttoo ddeellllaavviittaa dduurraannttee llaa ssttaaggiioonnee rriiggiiddaa,,ttrraaddiizziioonnee ppooii aassssiimmiillaattaa ddaallCCrriissttiiaanneessiimmoo.. LL''uuttiilliizzzzooooddiieerrnnoo èè ddii ccuullttuurraapprreevvaalleenntteemmeennttee ggeerrmmaanniiccoolluutteerraannaa.. TTrraa llee cciittttàà cchhee nneevvaannttaannoo iill pprriimmaattoo vvii ssoonnooBBrreemmaa ((11557700)) ee RRiiggaa ((11551100))..SSee iinniizziiaallmmeennttee ll''aallbbeerrooeerraa uunnaa ccoonnssuueettuuddiinneeppuubbbblliiccaa,, aa ppaarrttiirree ddaall''770000 ddiivveennnnee uunn''uussaannzzaaaanncchhee ddoommeessttiiccaa.. TTrraa iipprriimmii ppaaeessii ccaattttoolliiccii aaddiinnttrroodduurrnnee ll''uussoo vvii ffuull''AAuussttrriiaa,, aa sseegguuiittooddeellll''iinntteerreessssaammeennttooddeellllaa pprriinncciippeessssaaVVoonn NNaassssaauu..
BALLATA DEI GIARDINID'AUTUNNO
di Emanuele ScicoloneQuanto autunno. In questo luogo sembrache le stagioni non passino mai. Mi sonosvegliato qui pochi minuti fa, ma misembra di esserci nato. Non so se sitratta di un luogo vero o esistente solo
nella mia mente. Non lo so e non riesco a capirlo.La mia stanza è piccola. Le pareti sono di un rossoscolorito, per il resto c'è solo il mio letto. Non c'è un comodino, non ci sono armadi né quadri. C'è solo unaporta senza maniglia né serratura, e una finestra senzavetro né imposte.Mi avvicino alla finestra e guardo fuori: quello che vedoè tutto l'autunno che circonda questo edificio sconosciuto. Vedo dei giardini e dei viali. Lunghissimi e sottilialberi piangono foglie d'oro rosso e giallo. A terra è unmosaico di foglie dello stesso monotono colore. Avvertoun'aria sonnolenta, rigonfia di inedia e malinconia. Manon avverto tristezza.Sento delle voci, come delle cantilene, provenire dallealtre stanze. Ma per adesso non ho voglia di levare losguardo da quei giardini.Fissare quegli interminabili giardini rossicci in un certoqual modo mi rilassa. I sentieri creano un labirinto sinuoso, così arginati da ciottoli rotondi e levigati dalvento.Non ricordo niente.M'accorgo che addosso non ho più i miei vestiti. Indosso un abito bianco.Mi allontano dalla finestra: ho osservato troppo autunno. Adesso ho voglia di qualcosa di più colorato.Raggiungo il corridoio e osservo a destra e a sinistra.Non c'è nessuno. Allora esco dalla mia stanza e mi insinuo nelle altre. Nessuno.Ritorno alla mia finestra. Tra tutte quelle foglie mortescorgo qualcuno su una panchina. Sembra un'ombra.Realizzo che si tratta di un giovane sulla trentina, dellamia età. Anche lui mi osserva. Decido dunque diraggiungerlo, ed esco dalla mia stanza. Non conoscoquell'edificio, ma riesco a orientarmi. Scendo al pianoterra e mi trovo nei giardini autunnali.Mi avvicino allo sconosciuto. Osservo i suoi occhi, ilsuo naso, la sua bocca, i suoi capelli. Faccio mia la suaespressione, e mi rendo conto che quel viso ha qualcosa di familiare.«Buongiorno» gli dico.
alla deriva della notte
CC''èè uunn lluuooggoo cchhee iinn ppoocchhii ccoonnoossccoonnoo,, iillccuuii aacccceessssoo èè vviieettaattoo aaii ppiiùù.. QQuueessttoo èè iillppoossttoo iinn ccuuii ssii ttrroovvaannoo ii mmiissttiiccii eessoonnnnoolleennttii GGiiaarrddiinnii dd''AAuuttuunnnnoo.. CCoossaassiiaannoo èè ssaappuuttoo ddaa ppoocchhii,, ccoommee ssiiaannoo èèssaappuuttoo ddaa aannccoorraa mmeennoo ppeerrssoonnee..FFrraanncceessccoo NNeerroo,, iinn uunnaa sseerraa ddii ffiinneeaauuttuunnnnoo,, ssii rriissvveegglliiaa iinn uunnaa ssttaannzzaa ddiiqquueessttoo lluuooggoo iinnaacccceessssiibbiillee.. ÈÈpprriiggiioonniieerroo ee nnoonn ppuuòò ssccaappppaarree,, ee iinn ppiiùùuunn oossccuurroo ssttrraanniieerroo mmiinnaacccciiaa llaa ssuuaa vviittaa..RRiiuusscciirràà aa ssaallvvaarrssii ee aa ffuuggggiirree ddaaiimmiisstteerriioossii GGiiaarrddiinnii dd''AAuuttuunnnnoo??
«Buongiorno» risponde.«Mi perdoni se la disturbo, ma mi sto domandando cheluogo sia questo.»«Non conosce il nome di questo luogo eppure ci si trova?»«Questo secondo lei è un fatto strano?»«Questo è un luogo difficile da raggiungere. Non a tuttiè concesso conoscerlo.»«Qualcuno mi ci ha portato mentre ero incosciente.»«Non lo credo. Se lei è qui è perché ci è venuto con lesue gambe.»«Non ricordo niente.»«Questo non cambia le cose.»«Dunque dove siamo?»«Questi sono i Giardini d'Autunno. Sono le distese delparadiso e dell'inferno.»«E lei chi è?»«Francesco Nero, investigatore, specializzato in persone scomparse, da poco rimasto vedovo.»«Come fa a conoscermi?»Nessuna risposta.«Come mai è qui?» continuo.«Non lo sa? Sono qui per ucciderla.»E lo strano individuo si alza, mi sorride, e scompare tragli alberi dei giardini.Ritorno nell'edificio, vacillando, come reduce da unbrutto sogno.Raggiungo il corridoio al secondo piano, dove si trovala mia stanza, e mi metto a cercare un qualsiasioggetto da usare come difesa. Ma non c'è niente chepossa servire al mio scopo. Non c'è niente di appuntito,nemmeno un paio di forbici. Non c'è niente.Improvvisamente, visitando quelle stanze desolate, riesco a udire un leggero sussurro. È la cantilena di prima, ma adesso riesco a distinguere le parole.«Signore del Tempo» dicono quelle voci in coro.«Signore del Tempo, Signore del Tempo...»«Basta!» urlo tappandomi le orecchie.Cerco di focalizzare il volto del minaccioso sconosciutoper cercare di ricordare dove lo avevo già visto, maaccade qualcosa di strano. Realizzo di non riuscire a ricordare nemmeno di che colore ha i capelli. La suaimmagine è completamente cancellata dalla miamente.Un volto buio, e niente di più.
Cado in ginocchio e urlo: «chi sei!?»Dopodiché raggiungo la mia camera e mi butto a letto.Sono stravolto.
Un rumore sinistro mi sveglia di soprassalto. È ilcuore della notte. Mi guardo attorno ma non c'ènessuno.
«Il Signore del Tempo, il Signore del Tempo...» siascolta provenire dai corridoi muti e neri.Mi alzo e mi avvicino alla finestra. C'è lui! Non lo vedoma lo avverto. È nascosto nel buio della notte, tra ilunghissimi e sottili alberi carichi di foglie morenti.Sento un leggero rumore di arbusti che si spezzanosotto il passo di qualcuno.È lui! Non lo vedo ma lo sento.«Fatti vedere, maledetto!» urlo dalla finestra.Nessuna risposta.Ho il cuore in gola, ma realizzo che non posso starecon le mani in mano.Penso, o perlomeno cerco di farlo.«Il Signore del Tempo, il Signore del Tempo...»«Maledetti!» urlo, «non mi volete permettere di pensare!»Scappo dabbasso. Esco dall'edificio e afferro la primapietra grande che trovo. É sporca di terra umida.Sento di essere nel cuore della notte.«Chi è il Signore del Tempo!?» grido fuori di me.Improvvisamente scorgo un'ombra tra gli alberi.Mi nascondo dietro un tronco e attendo che lo sconosciuto mi si avvicini. Appena è sotto tiro gli schiaccio ilcranio con la pietra. Cade a terra tramortito.«Il Signore del Tempo...» sussurra.«Chi è?!»Improvvisamente una nube si scosta e permette allaluna di illuminare quei sonnolenti giardini. Mi inginocchio e osservo lo sconosciuto.«Mio Dio!» sussurro, riconoscendo in lui i miei occhi, ilmio naso, la mia bocca, i miei capelli.«Sono... ero io!»Mi ritrovai coi miei soliti abiti, impermeabile e cappellonero. Avevo una Gauloises in bocca.Improvvisamente i Giardini d'Autunno erano solo unbrutto, lontano, impercettibile ricordo.
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PPaaoolloo RRuuffffiillllii ((11994499)) èè nnaattoo aa RRiieettii mmaa èè oorriiggiinnaarriioo ddii FFoorrllìì ee,, ddaall 11997722,, vveenneettoodd''aaddoozziioonnee.. NNeell 11998877 vviinnccee ll’’AAmmeerriiccaann PPooeettrryy PPrriizzee ccoonn llaa rraaccccoollttaa PPiiccccoollaaCCoollaazziioonnee,, mmeennttrree nneell 11999900 vviinnccee ll''aammbbiittoo PPrreemmiioo MMoonnttaallee ccooll ssuuoo DDiiaarriioo ddiiNNoorrmmaannddiiaa.. TTrraa llee ppuubbbblliiccaazziioonnii ddaa rriiccoorrddaarree vvii ssoonnoo:: CCaammeerraa oossccuurraa ((11999922)),,NNuuvvoollee ((11999955)),, LLaa ggiiooiiaa ee iill lluuttttoo ((22000011)).. QQuueesstt''aannnnoo èè iinnffiinnee uusscciittaa llaa ssuuaauullttiimmaa ooppeerraa,, UUnn''aallttrraa vviittaa,, eeddiittaa ddaa FFaazzii EEddiittoorree.. SSii ttrraattttaa ddii uunnaa rraaccccoollttaa ddiirraaccccoonnttii ooggnnuunnoo ddeeddiiccaattoo aa uunn nnoottoo ssccrriittttoorree ddeell ppaassssaattoo..
PPAAOOLLOO RRUUFFFFIILLLLIIiill ggiiooccoo ddeeggllii aammaannttii
intervista
La tua ultima opera si chiama Un'altra vita, e sitratta di una raccolta di racconti brevi, ognunodi essi dedicato a un grande scrittore del passato. Innanzitutto vorremmo chiederti come ènata l'idea.
L’idea dei racconti mi si è formata in testa già a partire daspunti, atmosfere o suggestioni di cose non solo vissutema lette nella grande letteratura. Così situazioni anche divergenti si sono organizzate dentro ogni singola storia inriferimento a uno scrittore amato. Che so, per esempio, rimescolando nel puro immaginario pagine di Čechovambientate nei grandi alberghi di centri termali (dove, tral’altro, è morto lui stesso) è nato il racconto Stazionetermale. Oppure, riattraversando sempre con la mente enon cogli occhi, insomma senza rileggerle, le pagine diGuy de Maupassant, ecco L’isola sul fiume, dove tral’altro trasformo in parole – come in altri racconti – i quadridegli Impressionisti. Già, perché non c’è solo altra letteratura sotto la mia letteratura, ma anche pittura e musica.Per esempio, le partiture di Mozart in Concerto per pianoforte…Abbiamo notato inoltre che i racconti si ispirano anchealle opere degli autori a cui sono dedicati. Hai trovato difficile adeguare il tuo stile e la tua poetica a quelli di questigrandi maestri così differenti l'uno dall'altro?In realtà, non adeguo mai né stile né poetica a quelli degliscrittori di riferimento. La sfida (e l’avventura) è proprioqui: rimanere me stesso mentre mi mescolo agli altri. Mi èsempre piaciuta la mescolanza (dei generi, dei livelli,delle situazioni…), la trovo creativamente produttiva. Delresto, non mi è mai passata per la testa l’idea di scriveredei pastiches di omaggio ad alcuni degli scrittori che prediligo – come ha subito visto la critica che si è occupata dellibro –. Se mai si tratta, per me, di dare la mia personalepiegatura agli scrittori che amo.Possiamo dire che questa è la tua prima opera che tratti iltema amoroso. Leggendola tuttavia si potrebbe parlare diracconti sull'amore più che d'amore. Ti trovi d'accordocon questa affermazione?Mi ero già occupato di amore, sia in poesia con il poemetto Per amore o per forza e con certi passaggi di Diario di Normandia, testi entrambi dedicatiall’innamoramento giovanile, sia in saggistica a propositodegli amori allegri di Carlo Goldoni o di quelli sofferti diIppolito Nievo (a primavera tra l'altro uscirà anche un romanzo su quest'ultimo). E ho sempre scritto d’amore,pubblicando poco o niente (nel precedente libro di narrativa Preparativi per la partenza), fino a questa raccolta diracconti che, giustamente, sono racconti sull’amore primae più che d’amore. La riflessione sul tema, narrativamente, per me è scatenante.
Adesso che hai parlato d'amore con la prosa, hai in progetto anche una silloge poetica di tema amoroso?A primavera, esce da Einaudi un’ampia raccolta delle miepoesie d’amore, quasi tutte inedite. Non tutte le poesied’amore, però. Una parte, la tengo ancora nel cassettoperché non ha trovato la sua stesura definitiva. Questione di orecchio e di anni, per tutto quello che scrivo. Questione, insomma, di musica. La musica, nella miascrittura, è tutto o quasi. È il flusso trainante, la ragionesostanziale, l’unica possibilità di dare una pronuncia siapure approssimativa a quello che chiamiamo verità.Racconti d'amore fugace, lascivo, sensuale, prepotente,appassionato, clandestino. Hai analizzato e descritto ognivolto di questo sentimento. C'è qualcosa di autobiografico?Non sono quello che si definisce un autore autobiograficoneppure in poesia, figuriamoci in narrativa. È chiaro chel’esperienza di vita personale conta, ma conta ancora dipiù il tesoro di vita che passa attraverso la letteratura.Come ripetono da sempre gli scrittori, ci sono così tantepossibilità di vita in letteratura che nessuna vita personale potrà mai testimoniare. Consapevole di questo e curioso da sempre di tutte le possibilità, a me piacerovesciarmi nelle vite degli altri e raccontarle, in poesiacome in narrativa. Indifferentemente usando la prima o laterza persona, io parlo sempre di altri e, nello stessotempo, è evidente che parlo anche di me stesso. Di unme stesso che immagina e sogna per sé anche quelloche riguarda altri.Cambiamo completamente argomento. Come ogni novembre anche quest'anno presiederai il prestigioso Festival Europeo di Poesia, appuntamento rinomato eacclamato che si tiene a Treviso nella Casa dei Carraresi. Rispetto agli anni passati c'è qualche novità?Sempre all’insegna della poesia intensa e della prospettiva culturale europea, anche quest’anno festeggiamo ungrande poeta, narratore e saggista: il polacco Adam Zagajewski. Nato a Leopoli in Ucraina dove non ha mai vissuto perché i suoi sono stati rimpatriati in Polonia dopo lasua nascita, ha passato l’infanzia a Gliwice, in Slesia, edè diventato noto come poeta guida della Generazione del‘68. Ha preso parte al movimento letterario non ufficialedegli anni ’70 e poi si è trasferito in esilio a Parigi nel1982. La sua opera è in via di pubblicazione in Italia daAdelphi, presso cui è già uscito il volume Tradimento.Della sua poesia ha detto Derek Walcott che “le sueparole ti entrano dentro piano piano. È una voce quietaall’angolo dell’immensa devastazione di un secolo oscuro, più intima di quella di Auden, cosmopolita come quelladi Miłosz, Celan, Brodskij”.
paradiso di metallo
Già vincitore del Premio Hugo (come Philip K. Dick) ilNeuromante è un libro culto, mentre il ci
nema ci proponeva la trilogia diMatrix, e prima ancora la virtualitàdi Strange Days, rintracciavamo nelromanzo di Gibson il pretesto letterario che generava quei film. Leatmosfere del romanzo ci inquietavano, vi è poco di umano e di naturale.L’incipit recita: ”Il cielo sopra il portoaveva il colore della televisionesintonizzata su un canale morto”.La tecnica diviene il metro di paragone su cui misurare le atmosferenaturali, i paesaggi. A uno sviluppofrenetico e veloce della scienza edella tecnologia non segue peròalcuno sviluppo dell’etica né dellabioetica.Diverse scuole filosofiche del passato lasciavano all’uomo due traiettorie ideali per il suo essere almondo: verso l’alto e quindi versola divinità, e verso il basso approdando allo stato bestiale o ferino.La libertà di intraprende una delledue vie è espressa in quel meraviglioso manifesto dell’umanesimo italiano che è La dignità dell’uomo diPico della Mirandola.
Nel Neuromante di Gibson sembrache l’uomo del futuro da lui immaginato, prendiamo Case il protagonista, indirizzi il suo essere nelmondo, e quindi il suo sentire,verso la ‘cosa’. La scena di sessotra Case e Molly introduce quelloche da Benjamin e da Perniola èstato definito ‘il sexappealdell’inorganico’, la modalità delsentire della cosa.È un mondo in cui l’alto livello ditecnologia e di informatica, così come la microchirurgia, rende l’uomopiù simile alla ‘cosa’ che all’esserevivente. Tutte le sue sensazioni sono filtrate o dalla droga, da unostato di alterazione e quindi di sospensione della soggettività, o dallaneutralità dello schermo e dellavirtualità; il tutto riconduce sempreal sentire neutro e orizzontale dellacosa.Vi è profusa un’aura di totale antiumanesimo, la carne è una prigione che impedisce al cowboy dellavirtualità di perdersi e di immergersinell’unica ‘irrealtà’ che per lui veramente conta, il cyberspazio che nellibro è definito “nonspazio dellamatrice... illimitati abissi di niente”.Case è uno dei migliori navigatoridell’interfaccia, il suo doppio irrealeriesce a intrufolarsi nelle banche
dati delle corporazioni e a rubare ipreziosi segreti che poi rivende apotenti ricettatori. Come tutti i piratitrattiene qualcosa per sé ma unavolta scoperto viene punito conuna operazione che lede la sua genetica neuronale, gli viene impeditodi ‘connettersi’. La sua ricercaverso la guarigione, verso unintervento ripristinante, non hal’anelito verso la salute ma è solo ildesiderio di tornare al virtuale.L’insieme della persona, con l’integrità del proprio organismo nonviene preso in considerazione, anziil sentirsi esclusi dal mondodell’interfaccia è una menomazione, vuol dire essere solo corpi, solocarne.La genetica e la tecnologia nonhanno creato un mondo migliorené condizioni migliori per l’uomo, alcontrario, tutta l’aria che si respiradal testo è di un’umanità degradatae corrotta. Uno dei personaggi, Julius Deane, ha centotrentacinqueanni, il suo metabolismo viene costantemente alterato da un’immissione di siero e ormoni, i genetistidi Tokyo rinnovano il suo DNA, mail suo aspetto è simile alla statua dicera: si approssima alla cosa. Lagenetica diviene il nuovo elisir dilunga vita.
aa ssppaassssoo ppeerr iill ccyybbeerrssppaazziiooddii EEmmiilliiaannoo VVeennttuurraa
UUnn aavvvviinncceennttee ee aalllluucciinnaannttee vviiaaggggiioo nneell ccyybbeerrssppaazziioo,, aallllaa ssccooppeerrttaa ddeell ggrraannddee ssccrriittttoorreevviissiioonnaarriioo WWiilllliiaamm GGiibbssoonn.. FFiigguurraa eesssseennzziiaallee ddeellllaa lleetttteerraattuurraa ffaannttaasscciieennttiiffiiccaa,, iinnnnoovvaattoorreeee aauuttoorree ddii uunnaa ddeellllee ppiieettrree mmiilliiaarrii ddeell ggeenneerree:: NNeeuurroommaannttee..
Un altro personaggio, assolutamente secondario di nome Angelo,viene così descrtitto: ”Il suo voltoera un semplice innesto cresciutosu collagene e polisaccaridi di squalo, liscio e orrido. Era uno dei lavoridi chirurgia selettiva più sgradevoliche Case avesse mai visto”.La descrizione di questa umanitàgeneticamente progettata rimane lacosa di maggior pregio del libro chenasce come un romanzo di fantascienza, con le sue belle scene diazione in cui Case nella matricelancia software e virus per dischiudere i programmi di grandi e potenticolossi economici, ma approda poialla meditazione e alla riflessionesulla genetica e la tecnica. Così ilgenere letterario della fantascienzadiviene il medium di interrogativi filosofici: almeno è questo il senso diuna rilettura fatta oggi, quello cheprima intratteneva ora produceinquietudine, la sua attualità è ancora più reale che non nell’84 quandouscì.Il mondo che ci consegna il Neuromante è dominato da uncommercio senza confini, visto cheapproda dalla realtà alla virtualità;tutto è merce, anche il corpo umano e la natura stessa.Tutto è manipolabile e alterabileperchè è la natura stessa dell’uomoe del mondo ad essersi evoluta inun esserenegativo, degradato e geneticamente modificato; su tuttopredonimina il colore asettico del silicio e del mercurio.In ogni grande scrittore, così comein ogni vero romanzo, affiora costantemente un’affermazione, unarichiesta di comprensione, come senella narrazione venisse rivelatauna verità inconsapevole, quelsegreto che in ogni operatenta di manifestarsicontro il volere dellostesso autore.William Gibson nelsuo Neuromantesembra chiedereall’uomo diinterrogarsi e di
regolare unaforma di etica edi bioeticavolta acomprenderele possibilitàche lo sviluppogeneticotecnologico impone.Come devecomportarsi l’uomodi fronte alla possibilità di autoprogettarsi?Come deve relazionarsicon il mondo della virtualitàche finisce di diventare piùvero della realtà? Comesente e che percezione ha della realtàl’uomocosaprogettatonei laboratori futuristici di unaTokyo irreale? Qualeetica deveimporsi l’uomo che diviene un‘funesto demiurgo’ di sestesso? Adaltri uominispettano le risposte in unfuturo, si spera, non troppolontano.
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llaa nnoottttee ppoollaarreeddii MMiicchheellee SScciiaarrrraa
EE ssee llaa nnoottttee dduurraassssee sseeii mmeessii?? IInn aallccuunnee nnaazziioonnii aaccccaaddee.. QQuueessttoo ffeennoommeennoo ppaarrttiiccoollaarree,, ooppppoossttooaall cceelleebbrree SSoollee ddii mmeezzzzaannoottttee,, èè ccoonnoosscciiuuttoo ccoommee NNoottttee ppoollaarree..Esistono delle zone, nel
nostro pianeta, in cuiavviene un curioso fenomeno, chiamatoNotte Polare, o, più co
munemente, Buio a Mezzogiorno.Esso è di natura astronomica,avviene d’inverno, e, come è abbastanza evidente, durante la suaestensione, non si assiste mai alsorgere del sole.Questo evento, di certo affascinante, avviene nelle regioni checonfinano coi circoli polari, sia Artico che Antartico: a causa dell'inclinazione dell'asse terrestre, il solenon sale mai sopra l'orizzonte equindi è notte per tutto l'arco dellagiornata. Il fenomeno opposto, chesi verifica d'estate, è il cosiddettoSole di Mezzanotte. Della medesima temperie è anche l'evento cheva sotto il nome di “notti bianche”:nei luoghi al di sopra dei 60º di latitudine, accade che, pur non arrivando alle misure del puntomaggiore dell'Europa con questecaratteristiche, Capo Nord, che haun lungo tramonto dal 14 Maggio al29 Luglio, anche città moderne eimportanti come Stoccolma o SanPietroburgo non dormono mai, poiché il Sole tramonta dietrol'orizzonte, ma a causa della rifrazione la luce del crepuscolo è sufficiente per svolgere ogni attivitànotturna senza l'utilizzo di luce artificiale.Tuttavia, benché appaia paradossa
le, non sempre nei punti in cui simanifesta un evento necessariamente si può assistere ancheall’altro. Questo si verifica a causadel crepuscolo: le regioni polari, durante l’anno, sono più vicine al solerispetto, ad esempio, a quelleequatoriali. Poniamo il caso di Kiruna, località posta a 67° 49′ N, appena sopra il Circolo Polare Artico.Ebbene, essa avrà più luce dellacittà di Stoccolma, che pure è benpiù in basso, a 59° 39′ N. La nottepolare, quando il sole è sottol’orizzonte, peraltro, non ha esattamente la stessa durata ovunque:può variare dalle 20 ore dei circolipolari, ai 179 giorni dei poli geografici (da notare che in queste zone ilsole è sopra l’orizzonte per 186giorni).
La notte polare non è, tuttavia,una coltre totale di buio, poiché vi è sempre dell’illumina
zione dovuta alla rifrazione, e ilcriterio è soggettivo, dato che siidentifica con giorno anche unsemplice e parziale superamentodell’orizzonte da parte della stelladella Via Lattea. Molto spesso, invece della notte, si ha un semplicecrepuscolo: questo si nota a latitudini elevate, dato l’angolo moltopiccolo del sole all’atto di tramontare, cosicché, per riuscire a portarea termine il tramonto, esso impiegamolto tempo, e il crepuscolo può du
rare diverse ore. Vi è poi la cosiddetta notte polare civile,ovverosia quel momento dell’annoin cui non avviene il crepuscolo civile, così chiamato perché coincidecon la possibilità di normali attivitàall’aperto, fra 0 e 6 gradi sottol’orizzonte. La notte di questo tipo,limitata a regioni superiori a 72°33',non avviene solitamente in Europa,anche se nello Svalbard, territorionorvegese, essa appare dal 12 Novembre sino a fine Gennaio, periodo in cui, generalmente in tuttaquella nazione, avviene tale fenomeno. Uno dei luoghi migliori dovepoter assistere alle notti polari (eanche al sole di mezzanotte) è lacittadina universitaria di Tromsø,una delle località urbane piùsettentrionali del mondo.Altre due tipologie, infine, interessano questo spettacolare fenomeno: la notte polare nautica, la nottepolare astronomica. La prima è ilperiodo in cui c'è soltanto un debole chiarore visibile a mezzogiorno.Accade quando non c'è il crepuscolo nautico, col sole fra sei e dodici gradi sotto l'orizzonte. A causadella diffusione atmosferica, si vede ancora chiaramente un postoall'orizzonte con più luce che in altriposti. La notte polare nautica è limitata alle regioni di latitudine superiore a 78°33', che èesattamente 12 gradi oltre il circolopolare. Quella astronomica, invece,non permette di vedere alcunatraccia di luce e, di conseguenza,
astronomia
non avviene alcun tipo di crepuscolo. Accade a latitudini superiori a84°33', che è esattamente 16 gradioltre il circolo polare e 5°66' dalpolo. Non vi sono terre emerse, adeccezione dell’Antartide, in cuiavviene questo fenomeno.Benché si pensi solamente al latoinconsueto di questo evento, essopuò provocare, negli individui piùsensibili, una vera e propria depressione, dovuta alla scarsa esposizione alla luce, e a una esistenzarelegata, per diversi mesi l’anno, auna vita non semplicementeappartata, ma, in concreto, circoscritta all’interno delle abitazioni,mentre all’aperto vige il regno delletenebre. Allo stesso modo, paradossalmente, avviene durante il perio
do di luce totale. Ritornando con lamemoria al celebre racconto di Fëdor Dostoevskij che si intitolaappunto Le notti bianche, ci sirende conto di quanto la luce o lasua mancanza possano influenzarele nostre abitudini, ormai consolidate non solo nel nostro lavoro maanche nei momenti di riposo.Pensando al Narratore protagonista di quell'opera, che vaga pergiorni e giorni durante il momentopiù brillante e lucente dell'anno,non ci si stupisce allora che egli vaghi solo e senza amici, alla ricercadi un contatto qualsiasi. Poiché,sprofondati nel buio come nella suaassenza, e indorati dai raggi del sole oppure costretti a sognarli perun'impossibile voglia di ottenerlo,
i malesseri che ci portiamo dietro,così come le nostre gioie, a volte simanifestano proprio nei momenticontrari a quel che lo spazioesterno sembra suggerirci. Cosìcome questo ciclo diurno onotturno va a compimento, anchele nostre forze ci lasciano o ci premiano a seconda dei nostri motisentimentali, molto influenzabilidall'ambiente circostante.Per queste e per altre ragioni, glieccezionali eventi che avvengononel tetto del mondo (e perconverso, ai suoi antipodi) sottolineano una volta di più la necessitàprimaria dell'essere umano, la presenza della luce: che a sua voltanon è altro che uno specchio dellanostra anima.
AAUURROORRAA BBOORREEAALLEELL''aauurroorraa ppoollaarree,, ((aauurroorraa bboorreeaallee oo aauussttrraallee aa sseeccoonnddaa ddeellll''eemmiissffeerroo
iinn ccuuii ssii mmaanniiffeessttaa)),, èè uunn ffeennoommeennoo oottttiiccoo ddeellll''aattmmoossffeerraaccaarraatttteerriizzzzaattoo ddaaggllii aarrcchhii aauurroorraallii,, ddeellllee bbaannddee lluummiinnoossee ddii ccoolloorree
cchhee ssppaazziiaannoo ddaall rroossssoo aall vveerrddee aallll''aazzzzuurrrroo..QQuueessttoo ffeennoommeennoo èè ccaauussaattoo ddaallll''iinntteerraazziioonnee ddii ppaarrttiicceellllee ccaarriicchhee
((pprroottoonnii eedd eelleettttrroonnii)) ddii oorriiggiinnee ssoollaarree ccoonn llaa iioonnoossffeerraatteerrrreessttrree ((ll''aattmmoossffeerraa ccoommpprreessaa ttrraa ii 110000 ee ii 550000 kkmm))..
TTaallii ppaarrttiicceellllee eecccciittaannoo ggllii aattoommii ddeellll''aattmmoossffeerraa cchhee,, ddiisseecccciittaannddoossii,,iinn sseegguuiittoo eemmeettttoonnoo lluuccee ddii vvaarriiee lluunngghheezzzzee dd''oonnddaa..
l'arte della guerra
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ALTRE APERTURE66: il mitico tiro che cipermette di avere unvantaggio eccezionale rispettoall'avversario. Si deve muovere assolutamente 24 in 18 (2pedine) e 13 in 7 (2 pedine).64: tiro interessante. Si puòspostare 24 in 18 e 13 in 9. Inquesto modo si smuovono leacque, nel contempo si obbliga l'avversario a difendersi eci si offre due possibilità danon sottovalutare: una fuga(runners), e un potenziale prime. Se ci viene presa la pedina in 18, poco male: il bianconon ha ancora costruito primenella sua zona interna.62: con questo tiro o si muove un runner prima 24 in 18 epoi 18 in 16 cominciando unapartita di corsa, o si muove unrunner 24 in 18 e l'altro 13 in11, aprendosi anche altre possibilità. Le due mosse, perimportanza, si equivalgono.41: tiro che si può sfruttarecon una piccola dose di rischio, muovendo 13 in 9 e 8 in7. C'è una buona percentualeche l'avversario ci mangi in 7,tuttavia, se questo non accadeci assicuriamo un enormevantaggio se riusciamo a costruire un prime in quella zona.22: spostiamo i due runners24 in 22, e 2 pedine 13 in 11.Ci portiamo avanti coi primi, eleviamo terreno alla fugadell'avversario.11: 2 pedine 6 in 5 e poi, ascelta, o i runners 24 in 23, o2 pedine 8 in 7.
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poesiepoesie
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IL DESTINORIZZONTEStracci di sonno coprono,masticano il corpo della nottediafano di tenerezza;lo avvinghianosinuoso di buio– flessuoso di membra stellate –e lo attraversano d’amore.Poi, fosforescente,lo sguardo della nebbia,scosso di stanchezza,si espande lento nel cuorecome un gas di desiderivolatilizzati.Mentre il mio destino,guantato dalla notte,scende nei sobborghi dell’anima:strade oscure di pensieroe siepi d’amores’intersecano nel mio nome.Il destinorizzontes’attorcigliaa questa landa di tempo.«Chi» – si domanda –«striscerà nella roccia del cantola gioia, turgidacome i seni di un fioreincantato?».
***PAROLE DAL SILENZIORicorda il misteroche fioriva in un sospiro,dove la morte ha tessuto il nidocome una spiaggiadi parole taciute;come un barbaglio di sognitrasparenti,orchestra di anime perdute.PIETRO PANCAMO
LA FORESTAMi alzai quel mattino imbiancatocon la voglia leggiadra d'uscireverso il bosco attorno alla mia casa.Dalla finestra, una coltre di nevecopriva la terra assiderata dal gelo.Intorno a me, all'aperto, il silenzio.D'improvviso, dal folto della foresta,s'avanzò un sibilo, sempre maggiore,sempre più forte, sempre più vivo.E, nel breve volgere dell'aurora,un immenso branco di renne s'avvicinòa me: rimasero a fissarmi impazienti,come in attesa di un mio intervento.Mai la natura, nella quale ero immerso,mi era stata così vicina.Mentre emergeva il giornodalle viscere della notte, esse tornarono,imponderabili, al loro regno innevato.
***UN ANGELOAppesa alla parete, integerrima,l'icona dell'Arcangelo mi squadravafredda come un vento sferzante.Era il giorno di Natale. Fuori dalla mia casa,parve scatenarsi il pandemonio.San Michele con la sua fervida lanciami ammoniva sulle mancanzedi un anno intero. Spaventatodal suo sguardo, protervo e rigido,mi segnai con la mano, voltandomi.Ruotai il busto, in attesa del giudizio:ma il volto di quel giudice inflessibiles'era mutato in un sorriso beato,fresco, clemente come una carezza.E nella mano, al posto della lancia,solo due dita di benedizione.DOMENICO DI ADAMO
UN CANTO DI NATALECharles Dickens, 1843La storia natalizia più conosciu
ta e più coinvolgente. Il protagonista è Ebenezer Scrooge,
vecchio tirchio e misantropo, e il suosarà un percorso di consapevolezzae redenzione attraverso la nottedella Vigilia di Natale.Come ben si sa, riceverà la visita ditre spettri, lo spirito del Natale Passato, quello del Natale Presente equello del Natale Futuro. Rivivrà lapropria giovinezza potendo osservare con occhio critico quelle scelteche lo hanno portato a una vitaarida e devota esclusivamente aldenaro. Potrà conoscere il presentein una sorta di momentanea onniscienza, in quanto sbircerà la vita dicoloro che gli stanno attorno e chegeneralmente maltratta. E infine potrà conoscere il proprio cupo futuro,inesorabile se seguiterà con quellostile di vita, modificabile se inveceprenderà coscienza delle propriacondotta e abbraccerà la redenzione. Un capolavoro senza precedenti, ispiratore di qualsiasi altroromanzo natalizio e non solo. Nonostante siano trascorsi 167 anni dallasua prima edizione è di impressionante attualità in quanto è questa lavera epoca dell'aridità spirituale governata dal dio denaro.Una perla adatta a tutti, semplice eimmediata, per un Natale magico,per chi ha voglia di sentire la beatitudine nell'anima.
UN'ALTRA VITAPaolo Ruffilli, 2010Paolo Ruffilli è poeta e
narratore residente a Treviso, e questa è la sua prima
vera opera dedicata all'amore. Unaraccolta di racconti suddivisa in stagioni, e ogni scritto è dedicato a unautore importante del passato. Oltrea questo, Ruffilli si ispira a questicelebri scrittori, talvolta in modo nostalgico, talvolta ironicamente,talvolta con la tipica passione di chiscrive di amanti e amati. Perché gliamanti di Ruffilli sono fedeli, appassionati, lascivi, lussuriosi, eterei, diafani, malinconici, euforici,disincantati, ingenui; insomma, vogliono rappresentare tutte lesfaccettature dell'amore. Sonoemblemi, e come tali non ci è datoconoscere il loro nome. Potremmoessere noi stessi, o qualcuno che inrealtà non è mai esistito. Questodubbio crea quell'alone di meravigliache come un'ombra serale avvolgeogni singolo racconto. Lo avvolge eparadossalmente lo abbaglia. Leambientazioni sono sempre differenti, e questi amanti – forse un'unica coppia reincarnataperpetuamente – sono trampolierisul filo di un fato improvvisato, ingovernabile, affascinante.Paolo Ruffilli non ci parla dell'amore,bensì dei suoi fautori: gli amanti.Amanti capricciosi che colgono l'attimo che fugge, riservati e impauriti,che ne vivono l'aspetto più sotterraneo e mistico.
NOBEL A VARGAS LLOSALo scorso 7 Ottobre, aStoccolma, è stato insignitodel premio Nobel per la Letteratura lo scrittore peruviano MarioVargas Llosa. Nato ad Arequipa nel1936, Llosa, pur vivendo a pieno titolo nel paese sudamericano (èstato persino candidato alle elezioni presidenziali nel 1990), ha unacultura fortemente legata all'Europa, avendovi soggiornato più volteper diverso tempo. Inizia la suacarriera nel 1959 con la raccolta diracconti Los jefes. Tra le sue opereprincipali, sempre sospese tra realismo della messinscena e sperimentazioni narrative di improntaora cinematografica ora satirica, visono i romanzi La casa verde(1966), ambientato in una casachiusa della provincia peruviana, eil suggestivo Conversazione nellaCattedrale (1969). Alcuni suoi romanzi sono anche diventatisoggetti per lungometraggi, tra cuisi ricorda Zia Julia e la telenovela(1977), divenuto un film (1990) conprotagonista Peter Falk. Llosa,anche autore teatrale e saggista, ècomunque uno dei maggiorinarratori latinoamericani, assiemeal suo nume tutelare GabrielGarcìa Marquez, dal quale, tuttavia, per divergenze politiche, ha poipreso le distanze. La sua ultimaopera narrativa in ordine di tempoè Avventure della ragazza cattiva(2006), cronaca picaresca di unamore nomade, tra una donna e ilsuo "angelo custode", semprepronto a proteggerla.
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IL NATALE DI POIROTAgatha Christie, 1939Durante la cena di Natale,l'investigatore Hercule Poirot, invitato dal capo della
polizia del Middleshire, dopo averdialogato sul suo tema abituale, ildelitto, deve risolvere un nuovo mistero: l'omicidio di un anziano milionario. Quest'ultimo, odiato da moltidei suoi familiari, viene trovatoall'interno di una stanza chiusa achiave con la gola squarciata. Rifacendosi a uno schema risaputo madi impareggiabile perfezione, conquesto giallo Agatha Christie inscena un'altra mirabile macchina adorologeria, che tiene col fiato sospeso sino alla fine. L'originalità, oltreche nel sapiente intreccio, è anchenella beffarda ironia alla basedell'opera: nel dialogo iniziale, unodegli interlocutori di Poirot sostieneche a Natale la gente sarebbe meno propensa al delitto, subitosmentito sia dal protagonista, cheincolpa del tutto la stretta vicinanzae la repressione dei propri istinti innome di una festa prestabilita, siadalla fatalità che, come sempre,pende sul capo dei personaggi diquesta scrittrice che conosce sia letecniche narrative che l'animo umano. Un libro insolito per un Natalesotto il segno del brivido, da leggerenei pomeriggi uggiosi dei giorni festivi. Poirot è sempre un ottimocompagno, grazie anche al suo caratteristico humour.
IL MASTINO DEI BASKERVILLEArthur Conan Doyle, 1902Terzo romanzo che vede pro
tagonista l'investigatore diBaker Street. Questa volta
Sherlock Holmes deve risolvere uncaso alquanto inquietante. ADartmoor, nella tetra brughierainglese, si aggira una creaturainfernale nella forma di un mastinoterribile. Questa a quanto pare sarebbe conseguenza di una maledizione ricevuta dai nobili Baskervillea causa del comportamento blasfemo di Sir Hugo Baskerville, un antenato che in tempi precedenti si eramacchiato di turpi e brutali nefandezze. Il fidato Watson verràspedito a Dartmoor a prendereinformazioni. La cupa e paludosabrughiera anglosassone, l'inquietante maniero dei Baskerville pienodi quadri e brutti ricordi, personaggisospettosi e custodi di turpi segreti,intrighi insospettabili e leggendemaledette fanno di questo romanzouno dei migliori, se non il migliore,della serie di Holmes. Assieme a Ilsegno dei quattro infatti è probabilmente il più riuscito, sia per atmosfere che per trama. L'investigatoredi Baker Street entra di diritto nellaleggenda portandosi appresso unastoria indimenticabile, portata svariate volte sul piccolo schermo. Unlibro da regalare per un Natale emozionante, un classico del mistero daleggere sotto le coperte, alla luceopaca di una candela.
IL FANTASMA DI CANTERVILLEOscar Wilde, 1887Questo classico di Oscar
Wilde, che appartiene allaproduzione giovanile
dell'autore, si pone come una parodia intelligente delle storie di spettri.Nel castello di Canterville, inInghilterra, arriva la famiglia di unpolitico americano. Il proprietariodella magione, il fantasma di sir Simon, colpevole dell'uccisione dellamoglie Eleonore, vorrebbe scacciare questi intrusi, spaventandoli conla sua presenza.Deluso e amareggiato non solodalla loro disincantata reazione, maanche dalle burle che è costretto aricevere, diventa triste, rassegnandosi alla sua condizione didannato. Sarà solo l'intervento dellafiglia minore del senatore americano, Virginia, che intercederà per luipregando Dio per il suo perdono, adare al fantasma la pace eterna.Come sempre provocatorio e fulminante, Wilde utilizza il più trito deicanovacci del genere per dileggiarequella usurata tipologia di storie eoffrire un momento di svago leggiadro. Da leggersi nella sera di Natale, all'ombra d'un caminoscoppiettante, in compagnia deipropri familiari.Da regalare a coloro che amano lestorie di fantasmi e che apprezzanoil particolare humor inglese. Un librointelligente per persone intelligentiche conoscono l'autoironia.
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I DEMONI DI SAN PIETROBURGOGiuliano Montaldo, Italia, 2008San Pietroburgo, Febbraio
1860. Lo scrittore Fёdor Dostoèvskij (Miki Manojlovič)
viene contattato da un presuntofolle, Gusiev, che è nella realtà unodegli anarchici responsabili dell’assassinio del principe ereditario, iquali stanno ora progettando unnuovo omicidio, ai danni del granduca. Mentre cercherà di sventare ilcomplotto, Dostoevskij proverà acompletare uno dei suoi romanzi piùcontroversi, Il giocatore, grazieall’aiuto della stenografa e futuramoglie Anna, e a contattare la nobile Aleksandra, unico modo per rovesciare lo scellerato piano deirivoluzionari. A quasi vent’anni dallasua ultima opera, Tempo di uccidere, Giuliano Montaldo, uno dei decani del cinema dell’impegno civile,gira un progetto che, pensato neglianni ’70, da un’idea del cineastarusso Andrej Končalovskij, mescolacon maestria fiction e realtà storicacome in poche occasioni si è visto inItalia. Se da più parti si è cercato dicontestare l'opera di Montaldo, questo è da imputarsi alla nostra critica,miope quando si tratta di premiare ilcoraggio di un film lontano dalla nostra cultura per tematiche eambientazione. Come diceva OrsonWelles, i critici non hanno ragione diesistere: mercenari dei potenti,hanno in mano un potere che il piùdelle volte non sanno gestire.
LA VITA È MERAVIGLIOSAFrank Capra, USA, 1946Uno dei classici del Natale,
firmato dall'intramontabileFrank Capra. In un paesino
di provincia, Bedford Falls, GeorgeBailey (James Stewart), a seguito didelusioni professionali, decide difarla finita. Ma, nel momento in cuisi sta gettando in un fiume, vienesalvato da Clarence (Henry Travers), un angelo inviato da Dio. Ilsuo compito sarà quello diconvincere George a ritrovare la fiducia in se stesso, e per farlo glimostrerà come sarebbe stato il destino della cittadina e dei suoi familiari se egli non fosse mai esistito.Di fronte a questa realtà alternativa,George comprende il senso realedella sua vita, e tornerà, alla fine,dalla sua famiglia. Una favola sullapresa di coscienza molto emblematica, in cui Capra opera una critica velata, ma vivida, sui vizi dellasocietà americana, e lo fa con il suostile scintillante e brioso. Una pellicola da rivedere con gusto, privadella zuccherosità di altre opere simili. Da vedere il giorno di Nataleassieme a tutta la famiglia, persentirsi pervadere da quell'incantoinvernale che solo Capra è cosìeccellente nell'offrire. Si tratta infattidi una fiaba senza tempo, fatta diangeli e persone apparentementesenza speranza. Ma il messaggio èchiaro e universale: la speranza èproprio l'ultima a morire.
ANGELI CON LA PISTOLAFrank Capra, USA, 1961Durante il proibizionismo, il
gangster Dave (GlennFord), duro dal cuore tene
ro, si ritrova controvoglia ad aiutarela mendicante e ubriacona AppleAnnie (Bette Davis): la donna staper ricevere la visita della figlia(AnnMargret) che, dall'Europa, stavenendo a trovarla assieme al futuro marito e alla sua famiglia altolocata. Nessuno di loro è aconoscenza della situazione economica di Annie, cosicché Dave siingegnerà per trasformare la poveramendicante in una signora dell'altasocietà. Remake di Signora per ungiorno (1933) dello stesso FrankCapra, e ultimo suo film, è unaperfetta commedia dell'inganno,che celebra lo spirito di cooperazione e solidarietà al servizio degli altrima, al di là del lieto fine apparente,ha un sapore agrodolce, poiché,alla fine della grande festa edell'inganno perfettamente riuscito,tutto tornerà com'era prima, puravendo conservato, agli occhi di chinon si voleva deludere, una visioneidilliaca. Ma questo non èimportante: la pellicola è una fiabain piena regola, e non pretende diessere nulla di più. E la colonna sonora tratta da Lo Schiaccianoci diČajkovskij, l'atmosfera magica e ilcrescente senso di coinvolgimentodei protagonisti del film, rendonoquest'ultimo un piccolo capolavoro.
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RICOMINCIO DA CAPOHarold Ramis, USA, 1993Phil Connors (Bill Murray), un
meteorologo televisivo dalcarattere impossibile, si reca
controvoglia al Giorno dellaMarmotta, una festa caratteristica inuno sperduto paesino dellaPennsylvania, per fare un reportage. Dopo aver girato il suo servizio,passa una serata noiosa e va adormire. Il giorno dopo, inizia asuccedergli qualcosa di strano: ognimattina, alle 6:00 in punto, la suagiornata si ripete invariabilmenteuguale alla precedente. Se all'inizioriesce a destreggiarsi abilmente inquesta ripetizione ossessiva, esaudendo ogni suo più recondito desiderio, alla lunga la cosa lo annoia eil tedio la vince, concludendo spesso la sua giornata con un suicidio.Per ritrovarsi, inevitabilmente, a rivivere la giornata il mattino dopo.Sinché un giorno... Commediaagrodolce con uno scatenato BillMurray, come sempre fuori daglischemi, il film si pone quale antidoto al film fracassone e pieno di gagstiracchiate come sono i cosiddetti“cinepanettoni”, e mette in scenauna serie di situazioni paradossali espassosissime che non sono immuni da una riflessione efficace sullescelte giuste da fare nella vita. Tra ivari remake vi è quello di AntonioAlbanese, È già ieri. Il film, noiosissimo e presuntuoso, non regge ilconfronto con l'originale.
FESTIVAL DEL CINEMA DI ROMASI è conclusa il 5 Novembre laquinta edizione del FestivalInternazionale del Cinema diRoma, ormai una delle kermessepiù importanti della settima arte. Lagiura del premio, presiedutadall'attore e regista Sergio Castellitto, e composta dalla scrittriceNatalia Aspesi, dai cineasti UluGrosbard e Edgar Reitz e dalla direttrice del museo del cinema diMosca Olga Viblova, ha decretatocome miglior film, premiato come èconsuetudine col Marco Aureliod'Oro, la pellicola Kill me please diOlias Branco. Il film, di produzionebelga, è una interessante meditazione sulla morte, in cui un medicocon teorie all'avanguardia, approntauna strana clinica dove si pratical'eutanasia. Il gran premio dellaGiuria è stato appannaggio del danese Haevnen della regista Susanne Bier, in cui un medicoappena tornato da una missione inSudan si confronta con la ben diversa esistenza dell'occidente.Menzione speciale al tedesco Polldi Chris Kraus, ambientato alle soglie della Grande Guerra in un paese sul Mar Baltico, crocevia dipopoli. In generale, la manifestazione si è quindi improntata versopellicole impegnate, ma tutte, a loromodo, alla ricerca di un linguaggiodiverso e innovativo. Da ricordare ipremi agli attori: il cast femminiledel messicano Las buenas hierbas,il nostro Toni Servillo con Una vitatranquilla, e un premio specialeall'attrice americana Julianne Moore.
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AVATARJames Cameron, USA, 2009Avatar è il film che ha guada
gnato di più nella storia delcinema. Distribuito in 3D
proprio mentre questa rivoluzionariainnovazione stava prendendo piede, ha attirato milioni di spettatori.Elogiato dalla critica, amato dalgrande pubblico, vincitore di 3Oscar, il film è l’apoteosi deipeggiori blockbuster hollywoodianie in generale delle più sciatte pellicole made in USA. Dopo aver“comperato“ svariati Oscar per ilsuo Titanic, pellicola tra le più bidimensionali della nostra epoca, Cameron ha ben deciso di sfornarel’ennesimo polpettone di quasi treore in cui ci si può sbizzarrire, scena dopo scena e senza possibilitàd’errore, a prevedere quello cheaccadrà. La pellicola è una palesescopiazzatura a film ben più prestigiosi, primo fra tutti Balla coi lupi diCostner. Ma non occorre di certoscomodare opere di tale blasone:basterebbe citare un qualsiasi Bmovie western, in cui i cowboyscombattono contro gli indiani. In 3Dla pellicola ha un sapore che,seppur annacquato, ricorda certispettacolari quanto insignificanti videogame di ultima generazione,senza il 3D tutto si tramuta in unmare di inedia. Pensando a certi registi del passato e non solo questo film sembra uno violenza allasettima arte.
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Presso El Cairo Cine Publico, antico cinema risorto nel cuore dellacittà di Rosario (SantaFe, Argentina) grazie ai
recenti restauri Provinciali, si è svoltadal 13 al 17 ottobre la rassegna cinematografica “Federico Fellini: teatrodel sogno”, dedicata alla memoriadel grande regista.L’evento, patrocinato dal ConsolatoGenerale d’Italia, si collocanell’ambito dei festeggiamenti indettiper celebrare il cinquantesimo anniversario dell’uscita cinematograficade La dolce vita, occasione coronatada una serie di iniziative che hannocoinvolto diversi paesi del mondo.Per quanto riguarda il territorioargentino, Buenos Aires, Cordoba eRosario, i tre maggiori centri del paese, si sono contesi le pellicole in 35mm restaurate e messe a disposizione da Cinecittà per un tardivo, macomunque attualissimo, tour mondiale.Il centro santafesino è riuscito a trasferire nella suggestiva location di ElCairo, i cui sedili scricchiolanti sonoancora impregnati dell’odore del tabacco, Luci del Varietà (1950), concui si è deciso di aprire la rassegna,Il bidone (1955), Giulietta degli spiriti(1965), Prova d’orchestra (1978),nonché E la nave va (1983), che hamarcato la conclusione dell’evento.I titoli a disposizione degli organizzatori, tutti in lingua originalesottotitolati in spagnolo, non rientrano nella rosa dei lavori più noti delregista riminese, bensì ripercorronole tappe del Fellini più sperimentale,alla ricerca degli elementi costitutividella sua personalissima poetica.A mio avviso, dunque, il requisito dipregio di questa iniziativa è rappresentato dalla creazione di unpercorso volto non tanto a consolidare il successo di capolavori quali La
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strada (1954), La dolce Vita (1960), Otto e mezzo(1963) e Amarcord (1973), ma ad individuare unagamma di stilemi presenti fin dagli incespicanti inizi delmaestro. Tali “elementi di stile”, ovvero il gusto per le“maschere”, per i personaggi caricaturali al limitedell’espressionismo, per il fantastico, il barocco, l’onirico e per la distorsione ironica della realtà, ne punteggeranno l’intera produzione e forniscono i migliori indizi aproposito della sua brillante originalità.
Luci del Varietà (1950), primo film da regista diFellini, apre la rassegna e permette di gettare luce sul rapporto tra il regista e le sue creature.
Grande soggettista, grazie alle figure di Liliana, Checcoe Melina dipinge un quadro desolante del mondo dellospettacolo, fatto di starlet vanitose e impresari satireschi. Si scorgono in nuce alcune costanti della produzione futura, su tutte la sensazione di profondasolitudine che permea le vite dei protagonisti, venataperò dal senso del ridicolo che colloca le figure, fortemente caratterizzate, all’interno di uno sgangheratoteatrino.Il bidone venne presentato a Venezia nel 1955 ma nonriscosse il favore di pubblico e critica sperato: definitodallo stesso regista “ambiguo” e oscuro, fu sottopostoa una serie di tagli e adattamenti che ne snaturaronol’essenza. La vicenda narrata, un sordido intrigo familiare, viene deformata dalla menzogna, vero fulcroconcettuale. Magali Piano, una delle organizzatricidell’evento, durante il discorso di presentazione istituisce un parallelismo tra Il bidone e una parte della produzione dei fratelli Coen, la più tetra e marcata da uncostante, incombente senso di predestinazione al fallimento.Giulietta degli spiriti (1965) narra l’esperienza di unaricca borghese alle prese con l’infedeltà del marito, leproprie inibizioni e i propri fantasmi. Prima opera a colori di Fellini, viene definita da Morando Morandini “unfilm da sfogliare” con riferimento alla bellezza di ognisingola inquadratura. Ancora una volta il regista riescead amalgamare in un turbinio fantastico emozioni, ricordi e visioni appartenenti ai ricchissimi tipi umanilanciati allo sbaraglio sul palcoscenico della loro maturità.Prova d’orchestra (1978) venne realizzato per la televisione, con un basso budget e appropriandosi dello stiledocumentaristico. Potrebbe essere definito una “metapellicola”, a causa delle continue oscillazioni tra lo stile
giornalistico, o dell’attualità, e quello cinematografico,della fantasia. In questo modo, entrambi gli universiconvergono in un nuovo risultato, che sgretola le differenze di genere.Una menzione particolare merita la musica compostada Nino Rota, grande amico e collaboratore del registariminese, morto l’anno successivo all’uscita di Provad’orchestra.Milena Vukotic ha dedicato alla coppia un commoventespettacolo teatrale, L’amico magico, che corroboral’amicizia tra i due artisti: l’attrice, citando scritti e dichiarazioni dello stesso Fellini, volteggia sul palcoaccompagnata dai pezzi più noti di Rota, e delinea lapoetica del regista toccando i temi della fantasia, deirapporti umani e dell’arte.E la nave va (1983), infine, descrive l’ultimo viaggiodella soprano Edmea Tetua, le cui ceneri sarannosparse nel Mar Egeo. Il pretesto del triste corteoconsente di riunire nel relativamente limitato spaziodell’imbarcazione la varia umanità bersaglio del regista: questi, attraverso le impietose descrizioni delgiornalista Orlando, ha modo di dare sfogo ancora unavolta alla propria acuta sensibilità, dettagliando i tic e lepaure dei presenti.Il “teatro del sogno”, dunque, si focalizza su dueaspetti peculiari della produzione felliniana, la maschera (intesa come personaggio marcatamente caratterizzato) e l’onirico: è così possibile seguire lo svolgersidi questi temi lungo un ampio spettro temporale, permetterne in luce diverse sfumature.Emerge il ritratto di un demiurgo che si conferma unappassionato amante della vita, che infonde l’anima afantocci gioiosi e malinconici al tempo stesso, modellati nelle ruvide sembianze del girovago Zampanò onello sgangherato corteo di pagliacci che movimenta ilfinale di Otto e mezzo. “È una festa la vita, viviamolainsieme”, con i suoi contrasti irrisolti ed i fugaci momenti di euforia, sembrano gridare queste creature.Il famoso disegnatore argentino Liniers ha battezzatocon il cognome del regista uno dei protagonisti dellesue surreali e delicatissime strisce. Il gatto Fellini è unamico silenzioso, compagno di giochi di una piccola filosofa, che viene spesso pizzicato ad osservare il passaggio delle nuvole o a bearsi del movimento diun'altalena. È anche in questi omaggi che si può individuare il fecondo lascito del cineasta riminese, poetadella leggerezza e delle piccole cose, rimescolatore diricordi e domatore delle proprie visioni.
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Prendimi così, confessò Valentina, regalandomi il suo corpo senza veli sul qualemi adagiai, a mia volta nudo e penetraidolcemente in lei. Il contatto con la suacarne mi fece fremere mentre la baciavo.
Mi pareva che fossi predisposto a stare con lei. Dopoaver fatto l’amore, fui svegliato da un buon odore dicaffé.«Buongiorno, dormiglione» disse lei, confessandomiche ci eravamo amati per tutta la notte: non avevamoavuto occhi ed orecchie che per noi. Nella mia mente,equivaleva a un tradimento, perpetrato nei confronti dimia moglie Demetra. Vedendo il corpo ancora nudo diValentina, notavo come la sua somiglianza con mia moglie fosse evidente.«Scusami, ho dormito troppo» aggiunsi, mentre Valentina mi allungava una tazza cilindrica di latta.«Perché mai dovresti farlo?» mi chiese incuriosita, unabambina divertita da un uomo più grande di lei, ma allaquale dovevo sembrare decisamente più vecchio. «Seiun po’ strano: è come se non riuscissi a sentirti in intimità con me» ammise, e si venne a sedere sulle mie ginocchia. Era ancora completamente nuda, e la suavicinanza continuava a farmi restare desto. Sorridevaed era felice. Mi toccai svogliatamente la croce cheportavo sul petto. Valentina la vide e mi chiese prontamente: «sei per caso un collezionista?».«Come?» le domandai, non capendo a cosa si riferisse.
«Vedo che hai addosso quel piccolo oggetto, come sichiama?»«Crocifisso.»«Sì, crocifisso. Una volta, quasi trent’anni fa, si usava.Prima che la Città del Vaticano sparisse.»«Sparisse?» chiesi impressionato da quel che speravodi non aver sentito.«Be’, sì» disse Valentina, mentre la depositavo con levità sul divano, mettendomi a camminare intorno allastanza.«Ma, scusa, cosa ho detto di così strano?» disse, sbalordita dalla mia reazione, che trovava fuori luogo.«Valentina, quello che mi stai dicendo è vero?»«Che cosa è vero?»«Che il Vaticano non esiste più!»«No, il Vaticano esiste. Non c’è più il papa, se è questoche vuoi sapere» disse lei, rimanendo in silenzio perun attimo. «Leonardo, a me puoi dirlo. Non sono unacosì facile. Ma mi piaci, e voglio aiutarti. Devo sapereperò che cosa stai cercando, e chi sei veramente.»A quelle parole così dolci e confortanti, non seppi resistere, e mi buttai sul letto, mentre Valentina mi guardava da sopra. Dissi:«ieri notte ti ricordi che ti ho dettoche ero venuto qui per salvare il mondo?»«Sì, ma credevo che fosse solo una frase che ti servisse per eccitarti, invece ho visto che sei molto dolce.»«Sono fatto così. Mi piace trattare le donne coi guantidi velluto: ma quello che ti voglio dire è che io, sul serio, sono qui per salvare il mondo. Almeno, questa era
romanzo
II GGIIOORRNNII DDEELLLL''AAQQUUIILLAAddii AAlleessssaannddrroo RRoommaannoo
DISEGNI A CHINA ddii MMaarrcceelllloo PPiiuu
TTEERRZZOO EEPPIISSOODDIIOO:: LLAA TTEERRZZAA GGUUEERRRRAA MMOONNDDIIAALLEE
la mia missione primaria.»Valentina mi fissava ancora divertita, ma non sapevase la stessi prendendo in giro o meno. «E perché saresti venuto qui? E da dove?» domandò.«Io vengo dal 1972.»«L’anno di Ziggy Stardust» disse lei.«Come?» chiesi, non intuendo quelle parole. «Che cosa intendi dire?» chiesi alla mia amante di quella notte.«Ma non sei un rocker? Non conosci il più bell’album diDavid Bowie del primo periodo?»«E chi sarebbe?»«No, non dirmi che non sai chi è David Bowie!»«Credo di non sapere molte cose di questo mondo.»Valentina si alzò, e fece un giro per la stanza. Perplessa, affermò: «non mi sono mai sbagliata sul conto dellepersone. Chi mi ha fatto godere, come sai fare tu, ame ha sempre detto la verità. Ti voglio credere, maadesso mi devi dire tutto.» Conducendomi sul letto, trovai il coraggio di raccontare della mia esperienza fuoridal comune. Quando però arrivai al particolare dellamorte di Mussolini, lei disse: «non è possibile, Mussolini è morto nel 1945, non quando dici tu, verso la fine
degli anni ’60. E poi non riesco a capire questa profezia. Come fa ad essere eletto un papa, se non esistepiù il papato?»Ero completamente pervaso dall’angoscia, e il fiato cominciò a mancarmi. A quel punto, senza che me nerendessi conto, svenni. Mi risvegliai diverso tempo dopo. Indossavo un grembiule, e l’ambiente in cui mi trovavo era completamente rivestito di mattonellebianche. Mi guardai attorno, accorgendomi che Valentina stava addormentata di fronte a me, distesa su unagrande poltrona a muro. La guardavo e, dopo qualcheattimo, lei aprì gli occhi.«Buongiorno a te, dormigliona» dissi io, facendole ilverso.«Stavolta sono stata io ad assopirmi» confessò lei.
«Ma dove siamo?»«In ospedale. Sei svenuto e non sapevo cosa fare.Allora ho chiamato il Pronto Intervento. Ti hannocontrollato, sei a posto.»«Non so più niente. Non mi capisco. Ma quello che hodetto non è frutto di fantasia. Ho un diario che può provare tutto.»«Per caso è questo?» disse Valentina, mostrandomi ilfrontespizio del mio quaderno, che doveva aver trovatonella mia giacca. Era bellissima anche ora, vestita conuna tuta di pelle molto aderente. «Credo sia moltobello, ma, credimi, secondo me hai avuto un’amnesia»terminò poi.«Un’amnesia?» chiesi.«Sì» disse Valentina, alzandosi e venendo al miocapezzale. «Credo che tu sia uno scrittore. Questo è iltuo romanzo. È meticoloso e pieno di particolari, nonpuò essere un diario, anche se ha i giorni riportati adinizio pagina. Secondo me hai perso la memoria, e,leggendo la tua opera, ti sei convinto che questa è larealtà.»Tutto sommato, l’ipotesi di Valentina era affascinante,ma non corrispondeva certo alla verità della mia esistenza. Quella sera stessa andammo a casa. Valentinafu ancora tenera e premurosa con me, e facemmol’amore tutta la notte. Nei giorni successivi lessi e rilessi I giorni dell’aquila, ma poi decisi di mettere da parteil manoscritto. Cominciavo ad essere innamorato sulserio di Valentina, ma volevo assolutamente rendermiutile. Un giorno, a pranzo, le chiesi allora quale fosse ilsuo lavoro. Lei rispose: «sono una creatrice di universitelematici.»«Amore mio, ne so quanto prima.»«Oh, scusa. Come hai visto, in questo tempo, che tunon ricordi, si è sviluppata una tecnologia basatasull’informatica. Come vedi, non ti ho mentito, dicendoti che il mondo non avrà mai fine, almeno finché riusciremo ad elaborarlo.»«Mi vuoi dire che, potenzialmente, tutte le informazionidel mondo possono finire dentro questi elaboratori?»«Non solo informazioni, ma anche immagini, suoni.Ormai, da qualche tempo, possiamo creare dei veri epropri universi. Aggregati di dati così complessi chesembrano realtà distinte dalla nostra.»«E come fai a crearli?»«Non è complesso. Si tratta, per lo più, di calcoli, diuna sistematica enumerazione di cifre, le qualipermettono di dare vita a questi dati, a loro voltacreatori di immagini, o di qualsiasi altra informazionenoi vogliamo dare loro. A volte, però, dovendo agiredall’interno, si rimane un po’ schiavi di quell’artificio,talmente è simile al nostro mondo.»«Posso capirlo. È un po’ quello che provo io.»Valentina non disse nulla: aveva finito per compatirequella che lei riteneva semplice amnesia. In quei
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giorni, esploravo Roma come fosse qualcosa di assolutamente avulso dalla mia vita. Era una città che non conoscevo, nonostante vi avessi trascorso ben quarantaanni. Le vestigia che ricordavo erano lì, mutate di poco,eppure erano diverse, finalizzate a scopi del tuttocambiati rispetto a quelli che ricordavo. Mi recavo spesso al Colosseo Quadrato, e, fu con mia grande sorpresa che scoprii che era la sede della Società per cuilavorava Valentina, il cui nome era Prosperus. Non nefui più sorpreso del fatto che avessero trasformato SanPietro in una Accademia di Belle Arti. Quel tempo, razionale e tecnologico, aveva abolito le religioni. Tutto erapreordinato a ben delimitato. Il lavoro di Valentina eracreare storie e intrecci che potevano essere vissuti,virtualmente, da questi annoiati cittadini. Gli organismigovernativi lasciavano grande libertà morale, ma quasitutti optavano per l’inseminazione artificiale: il sessonon era più praticato, come molte altre forme di divertimento o svago. Un giorno chiesi a Valentina, che era indolce attesa, di farmi entrare in una delle sessioni delsuo universo più richiesto. Il suo nome era Wojna. Eraun universo militare, dove l’unico scopo era uccidere erimanere vivi, e vincere un conflitto chiamato TerzaGuerra Mondiale.«Ormai, i sopravvissuti sono tutti morti, quindi il giocopuò essere affascinante per tutti, ignoto ed inatteso.Quasi nessuno sa più, nella mia generazione cosa vuoldire guerra» mi riferì Valentina, «anche se, due anni faho partecipato alla missione di pace nell’ultimo paesedove ancora si combatte: in quella regione sono inguerra civile da circa cinquanta anni. Ho visto dove veramente ci possiamo spingere. Ben al di là delle bestiepiù feroci. E solo per dare sfogo ai nostri istinti.»«Vedo che scalpiti per entrare» disse poi Valentina davanti al computer che le permetteva di controllare i cubidentro i quali era contenuta la memoria di tutto l’universo Wojna. Erano dislocati in un grande salone
rettangolare all’interno del Colosseo Quadrato.«Quando sarai lì, stai comunquemolto attento» disse Valentina,preoccupata.«Ma come? Non è forse tuttovirtuale, finto?»«Sì, ma per dare maggior veridicità, ultimamente abbiamo collegato il portale direttamente allaspina dorsale. Dovrai sottoporti aun piccolissimo intervento, cheposso farti anch’io, col quale tiaprirò una porta nel midollo, e dalì, inserendoti il cavo vivtual, fartiaccedere all’universo.»«Ma se mi sparano, cosa succede?»
«Non muori, ma i tuoi neuroni potrebbero risentirne,una volta che sarai tornato.»Non certo tranquillizzato da quel che mi aveva riferito,dissi che ci avrei pensato ancora un po’ sopra, ma poiscelsi di andare dentro Wojna.«Ho deciso» dissi a Valentina, che pensò che sareitornato sano e salvo dal suo universo. Fu lei a incidermi nel midollo il portale, con una sorta di trapano laser, mentre stavo sdraiato sulla pancia, in una piccolainfermeria vicino alla postazione di controllo, dal qualegestiva tutti i “passeggeri” della sua creatura virtuale.«Ora sei pronto» disse Valentina. Dopo aver toccato ilventre con dentro il mio terzogenito, lei mi disse:«adesso vai, o ti tratterrò qui, per sempre.»Fu così che, col vivtual collegato alla schiena, mi diressi verso il mio cubo, e collegai a sua volta l’estremitàdel cavo ad esso. Mi misi in piedi a braccia aperte, e,in quella posizione, indossai degli occhiali che mi sarebbero serviti per vedere, all’interno dell’universo. Dadietro la vetrata che la separava dal salone, Valentinami mostrò il mio crocifisso, che le avevo lasciato comeportafortuna, e il manoscritto de I giorni dell’aquila. Lemandai un bacio e poi lei accese il computer checontrollava il mio cubo. Tutto si fece bianco, e, gradatamente, apparve una stanza intorno a me: avevadelle forme che riconoscevo distintamente. Era la camera dove ero nato. Rammentai allora che Valentinami aveva fatto delle domande su quel che erano i mieiricordi, oltre a quelli che avevo segnato sul memoriale,e se li era annotati. Capii che aveva costruito il miouniverso a immagine e somiglianza di quel che erastata la mia vita. Non appena mi alzai dalla sedia sullaquale ero seduto nel salotto della mia casa di bambino,dalla porta principale, vestito di tutto punto, vidi il volto,monumentale e nobile, del mio Duce: l’unico e solo,Costantino di Rienzo.
continua nel prossimo numero48