IL MIGRANTE MAROCCHINO
COME AGENTE DI SVILUPPO E DI
INNOVAZIONE NELLE COMUNITÀ
DI ORIGINE
AMERM – Associazione marocchina di studi e di ricerche sulle migrazioni BP 8025 Nations Unies Rabat, Marocco Tel. +212.37712809 - Fax +212.37713450 El Sur – Piccola Società Cooperativa a responsabilità limitata Via G. Porzio Isola, G1, Scala C, Int. 7 – 80143 Napoli, Italia Tel. +39.081.2128142 – Fax +39.081.2128142 punto.sud – Organizzazione no profit Via Angera 3 – 20125 Milano, Italia Tel. +39.02.67574344/5 – Fax +39.02.7003654 Cooperazione Internazionale (COOPI) – Organizzazione non Governativa Via Francesco De Lemene 50 – 20151 Milano, Italia Tel. +39.02.3085057 – Fax +39.02.33403570
Co-Finanziato:
Commissione Europea – Direzione Generale Giustizia ed Affari Interni - Direzione A
Unità A2 Immigrazione ed Asilo – B7667
Titolo progetto:
Il migrante marocchino in Italia come agente di sviluppo e di innovazione nelle
comunità di origine: un’esperienza pilota nelle Province del Nord del regno del Marocco.
2002/HLWG/23.
Foto di copertina: Paolo Palmerini e Mounir Bjijou
Stampa:
Exodus edizioni srl, Viale Marotta 18/20 20134 Milano
Il presente documento è stato realizzato con finanziamenti della Comunità Europea. Le opinioni contenute non possono essere in nessun caso considerate la posizione
ufficiale della Unione Europea sull’argomento e rimangono esclusiva responsabilità dei singoli autori. La Commissione non è responsabile dell’utilizzo che potrebbe essere fatto
delle informazioni contenute nella pubblicazione. ISBN Exodus Edizioni s.r.l.
INDICE
Lista degli Autori ……………………………………………………………………………………… xi
PRESENTAZIONE ………………………………………………………………………………………
Fabrizio Alberizzi, Mohamed Khachani, Antonio Maspoli, Mattia Vitiello
1
INTRODUZIONE …………………………………………………………………………………………
Mattia Vitiello
6
PARTE PRIMA
Politiche migratorie e politiche di co-sviluppo
Capitolo UNO
1.1. IL QUADRO DI RIFERIMENTO …………………………………… 13 1.1.1. Il binomio cooperazione immigrazione e le
politiche di co-sviluppo viste dall’Italia …………………
Mattia Vitello (IL VALORE E LO SPAZIO DEI MOVIMENTI MIGRATORI NEI PROCESSI DI
SVILUPPO; I MOVIMENTI MIGRATORI E I PROCESSI DI SVILUPPO. BREVE PREMESSA TEORICA SUL PROCESSO DI SVILUPPO E DEL
FENOMENO MIGRAZIONE; LA VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DEI
MOVIMENTI MIGRATORI SUI PAESI DI PARTENZA: LA CONFIGURAZIONE
DELL’INTRECCIO TRA IL FENOMENO MIGRATORIO ED I PROCESSI DI
SVILUPPO NEL MEDITERRANEO; COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO DELLE
ONG E MIGRAZIONE)
13
1.1.2. Il binomio cooperazione immigrazione e le politiche di co-sviluppo viste dal Marocco………………
Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed
Khachani, Mohamed Nadif, Ahmed Zekri
(LA COOPERAZIONE EURO-MEDITERRANEA ALL’INTERNO DI UN APPROCCIO INTEGRATO; LA COOPERAZIONE FINANZIARIA)
38
1.2. LE POLITICHE MIGRATORIE IN ITALIA ED IN
MAROCCO …………………………………………………………………
46 1.2.1. Le politiche migratorie in Italia. Una lettura critica
contestualizzata ………………………………………………………
Dario Tuorto (LA LEGISLAZIONE NAZIONALE)
46
1.2.2. Le politiche migratorie in Marocco. Una lettura critica contestualizzata……………………………………………
Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed
Khachani, Mohamed Nadif, Ahmed Zekri
(LA QUESTIONE MIGRATORIA NEGLI ACCORDI EURO-MAROCCHINI; LA
POLITICA MIGRATORIA IN MAROCCO)
57
1.3. ESPERIENZE DI VALORIZZAZIONE DEGLI IMMIGRATI
MAROCCHINI COME AGENTI DI SVILUPPO …………………
68 1.3.1. Il contesto marocchino……………………………………………
Meriem Afellat, Maddalena Spada (INTRODUZIONE; L’APPROCCIO DELLE ASSOCIAZIONI FONDATE DA
MIGRANTI IN FRANCIA: IL MIGRANTE COME VETTORE DI INNOVAZIONE
SOCIALE; L’APPROCCIO DELLE ISTITUZIONI MAROCCHINE ED EUROPEE:I MIGRANTI COME INVESTITORI; L’APPROCCIO DELLE ASSOCIAZIONI
LOCALI: LA SENSIBILIZZAZIONE CONTRO I RISCHI DELLA EMIGRAZIONE
CLANDESTINA; CONCLUSIONI; RACCOMANDAZIONI)
68
PARTE SECONDA
Studio dei flussi migratori: i contesti di partenza e di approdo
Capitolo DUE
2.1. ANALISI DEI FLUSSI MIGRATORI DAL MAROCCO
VERSO L’ITALIA ………………………………………………………
89 2.1.1. L’emigrazione marocchina verso l’Europa e l’Italia
Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed
Khachani, Mohamed Nadif, Ahmed Zekri
(PROFILI DEI MIGRANTI E VALUTAZIONE QUANTITATIVA DEL
FENOMENO; LE INTENZIONI DI RITORNO; L’IMPATTO DELLA
MIGRAZIONE SULL’ECONOMIA MAROCCHINA)
89
2.1.2. L’immigrazione marocchina in Italia ………………………
Mattia Vitiello (LA SCOPERTA DELL’IMMIGRAZIONE IN ITALIA E LA PRESENZA
MAROCCHINA COME PRECURSORE DEI PRIMI FLUSSI; LA CONSISTENZA
NUMERICA DELLA PRESENZA MAROCCHINA E LA SUA ARTICOLAZIONE
TERRITORIALE NEL QUADRO DEL FENOMENO IMMIGRAZIONE IN ITALIA; IL PROFILO DEMOGRAFICO E I MOTIVI DELLA PRESENZA MAROCCHINA;
IMMIGRATI MAROCCHINI E MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA: OPERAI, COMMERCIANTI E "IMPRENDITORIA ETNICA"; IL MODELLO
MIGRATORIO MAROCCHINO)
111
Capitolo TRE
3.1. IL CONTESTO DI PARTENZA DEI FLUSSI MIGRATORI…… 143 3.1.1. La struttura demografica, economica e il mercato
del lavoro in Marocco e nelle 4 regioni oggetto della ricerca e la loro relazione con i flussi migratori …………………………………………………………………
Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed
Khachani, Mohamed Nadif, Ahmed Zekri
(IL CONTESTO SOCIOECONOMICO DELLE QUATTRO REGIONI;
L’EMIGRAZIONE INTERNAZIONALE)
143
3.1.2. L’impresa artigiana in Marocco e il suo ruolo nel processo di sviluppo locale………………………………………
Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed
Khachani, Mohamed Nadif, Ahmed Zekri
(INTRODUZIONE; METODOLOGIA D’INDAGINE; PROFILO
DELL’ARTIGIANO E DELLA PICCOLA IMPRESA)
190
3.1.3. Il ruolo dell’emigrazione nello sviluppo e nella internazionalizzazione delle piccole imprese in Marocco……………………………………………………………………
Maddalena Spada, Mattia Vitiello (L’EMIGRANTE MAROCCHINO E LO SVILUPPO IMPRENDITORIALE:
OBIETTIVI E METODOLOGIA; NON SOLO RIMESSE. GLI EMIGRANTI E LE
PICCOLE IMPRESE: I RISULTATI DELL’INDAGINE PER PROVINCIA;
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE)
257
3.1.4. I punti critici, i bisogni delle imprese marocchine e il possibile ruolo del migrante marocchino per lo sviluppo e l’innovazione delle imprese artigiane …
Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed
Khachani, Mohamed Nadif, Ahmed Zekri
275
Capitolo QUATTRO
4.1. L’IMMIGRAZIONE MAROCCHINA IN LOMBARDIA………… 277 4.1.1. Una descrizione quantitativa e qualitativa
dell’immigrazione marocchina in Lombardia …………
Sofia Borri, Gisella Raimondi (LA CONSISTENZA DELLA PRESENZA MAROCCHINA IN LOMBARDIA;
PROFILO DEMOGRAFICO E MOTIVI DELLA PRESENZA
MAROCCHINA;FLUSSI MIGRATORI DAL MAROCCO ALLA LOMBARDIA;
L’IMPRENDITORIALITÀ MAROCCHINA IN LOMBARDIA )
277
4.1.2. Le reti istituzionali in Lombardia ……………………………
Fabrizio Alberizzi, Sofia Borri (INTRODUZIONE; LE ISTITUZIONI; CONCLUSIONI E
RACCOMANDAZIONI)
297
4.1.3. Le reti associative dei cittadini marocchini residenti in Lombardia ……………………………………………
Sofia Borri
(INTRODUZIONE; LA RICERCA DI CAMPO; STRUTTURA ASSOCIATIVA;
RETI E CAPITALE SOCIALE; CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI)
321
4.1.4. Le attività di lavoro autonomo degli immigrati marocchini in Lombardia ………………………………………
Sofia Borri, Gisella Raimondi
(INTRODUZIONE; CAPITALE UMANO; CAPITALE SOCIALE; CAPITALE
FINANZIARIO; CONCLUSIONI)
340
4.1.5. Le attività di lavoro autonomo degli immigrati marocchini in Lombardia ………………………………………
Sofia Borri, Viviana Sacco (INTRODUZIONE; CAPITALE UMANO; CAPITALE SOCIALE; CAPITALE
FINANZIARIO; CASE STUDIES; INDICAZIONI DI POLICY)
381
4.1.6. Le donne marocchine in Lombardia ………………………
Sofia Borri, Viviana Sacco
(INTRODUZIONE; CAPITALE UMANO; CAPITALE SOCIALE; CAPITALE
FINANZIARIO; CASE STUDIES; INDICAZIONI DI POLICY)
406
Capitolo CINQUE
5.1. L’IMMIGRAZIONE MAROCCHINA IN CAMPANIA 432 5.1.1. Una descrizione quantitativa e qualitativa
dell’immigrazione marocchina in Campania……………
Mattia Vitiello (LA CONSISTENZA DELLA PRESENZA MAROCCHINA IN CAMPANIA;
PROFILO DEMOGRAFICO E MOTIVI DELLA PRESENZA MAROCCHINA;
L’INSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI IMMIGRATI MAROCCHINI IN
CAMPANIA; IL MODELLO MIGRATORIO MAROCCHINO IN CAMPANIA)
432
5.1.2. Istituzioni, associazionismo e mediazione culturale: la rete sociale di supporto dei cittadini marocchini residenti in Campania …………………………
Catello Formisano
(INTRODUZIONE; RETI DI SUPPORTO ISTITUZIONALI; BREVE
DESCRIZIONE DELLA PRESENZA; INTERVENTI E RISORSE A FAVORE
DELLA POPOLAZIONE IMMIGRATA)
451
5.1.3. Il migrante marocchino in Campania come agente di sviluppo: lavoratori autonomi e operai specializzati. Alcuni risultati ……………………………………
Mattia Vitiello
(LA SCELTA DEI SOGGETTI, LA METODOLOGIA E GLI OBIETTIVI
DELL’INDAGINE; L’IMPRENDITORIA MAROCCHINA A NAPOLI. ALCUNI
CARATTERI; IL MIGRANTE MAROCCHINO IN CAMPANIA COME AGENTE
DI SVILUPPO: I PRIMI RISULTATI; LIMITI, POTENZIALITÀ E
PROSPETTIVE)
481
CONCLUSIONI ………………………………………………………………………………
Antonio Maspoli, Mattia Vitiello
498
Lista degli autori
MERIEM AFELLAT
Dottoranda in Migrazione e Diritto, Facoltà di Scienze Giuridiche Economiche e Sociali,
Università Hassan II, Casablanca.
FABRIZIO ALBERIZZI,
Dottore in Economia, Responsabile settore migrazioni, Associazione punto.sud, Milano.
SOFIA BORRI
Dottoressa in Filosofia, Coordinatrice di ricerca, Associazione punto.sud, Milano.
MOHAMED CHIGUER
Professore di economia, Facoltà di Legge, Università Mohammed Ier, Oujda.
CATELLO FORMISANO
Dottore di ricerca in politiche del lavoro, Ricercatore, Cooperativa El Sur, Napoli.
NOUREDDINE HARRAMI
Professore di Sociologia, AMERM, Facoltà di Lettere, Università Moulay Ismaël, Meknès.
MOHAMED KHACHANI
Professore di Economia, AMERM, Facoltà di Legge, Università Mohammed V, Agdal-
Rabat.
ANTONIO MASPOLI
Dottore in Scienze Politiche, Responsabile settore migrazioni, COOPI, Milano.
MOHAMED NADIF
Professore di Economia, AMERM, Facoltà di Legge, Università Mohammed V, Soussi-
Rabat.
GISELLA RAIMONDI
Dottoressa in Scienze Politiche, Ricercatrice, Associazione punto.sud, Milano.
VIVIANA SACCO
Dottoressa in Lettere, Ricercatrice, Associazione punto.sud, Milano.
MADDALENA SPADA
Master in Cooperazione e Sviluppo, Responsabile attività in Marocco, COOPI, Rabat.
DARIO TUORTO
Dottore di ricerca in studi migratori, Ricercatore, Cooperativa El Sur, Napoli.
MATTIA VITIELLO
Dottore di ricerca in studi migratori, Ricercatore, Cooperativa El Sur, Napoli.
AHMED ZEKRI
Professore di Economia, AMERM, Facoltà di Legge, Università Mohammed V, Agdal-
Rabat.
1
PRESENTAZIONE
Fabrizio Alberizzi, Mohamed Khachani, Antonio Maspoli, Mattia Vitiello
La natura del progetto
I movimenti migratori, al pari di quelli di capitali e di merci, hanno
conosciuto negli ultimi anni una notevole espansione, assumendo un
carattere marcatamente globalizzato.
Congiuntamente alla crescita costante dei flussi migratori ed alla
mondializzazione di tale fenomeno, tuttavia, si è manifestata una crescita del
grado di regionalizzazione e localizzazione dei flussi; nel corso degli ultimi
decenni, infatti, le migrazioni internazionali si sono sempre più concentrate
verso un numero ristretto di aree geografiche.
Il progressivo radicamento locale dei fenomeni migratori ha dunque assunto
un’importanza decisiva per la formulazione di politiche appropriate – cioè
articolate, differenziate ed adatte alle specificità dei territori – e per la
comprensione dei rapporti tra paesi di origine e paesi di emigrazione
(Pastore, 2003).
Il sistema di governance delle migrazioni, in Italia come nel resto dei paesi
dell’Unione Europea, si trova oggi a rispondere ad un quadro di riferimento
sempre più complesso, dove sono le stesse categorie di “paese di
destinazione” e “paese di origine” a risultare superate; i paesi dell’area sud
del Mediterraneo, infatti, sono al contempo aree di destinazione, di origine e
di transito.
Il bacino del Mediterraneo, rappresentando una delle aree geografiche dove
la combinazione dei processi di mondializzazione, espansione e
localizzazione dei flussi migratori assume un peso ed una rilevanza
crescente, costituisce dunque un’area cruciale per la comprensione e lo
studio delle dinamiche migratorie mondiali.
Nell’area mediterranea, infatti, convivono paesi caratterizzati da calo
demografico e fabbisogno di forza–lavoro e paesi caratterizzati da crescita
demografica e mancanza di prospettive occupazionali.
2
Questi squilibri fanno del Mediterraneo l’area geografica in cui i movimenti
migratori sono più intensi ed assumono un’elevata rilevanza economica,
politica e sociale. Tra tutti, i paesi dell’Europa meridionale, essendo i primi
punti di approdo dei flussi migratori verso l’Unione Europea, sono chiamati a
confrontarsi in misura crescente con le spinte migratorie provenienti in
particolare dal Maghreb.
La dimensione del fenomeno è resa evidente dalle cifre: nel 2000 gli
immigrati di origine maghrebina in Italia, Spagna e Francia erano circa un
milione e settecentomila (Fargues, 2003). E’ dunque nel bacino del
Mediterraneo che si pone con forza la necessità di attuare una vera politica
di co-sviluppo tra i paesi di origine ed i paesi di destinazione dei flussi
migratori, intendendo con ciò:
“Una proposta per integrare l’immigrazione e lo sviluppo in una forma tale che entrambi
i paesi – quelli di origine e quelli di destinazione dei flussi migratori – possano trarre
beneficio dai flussi stessi e dove l’apporto dei migranti al paese di accoglienza non si
traduca necessariamente in una perdita per il paese di invio” (Naïr, 1997).
Se si guarda all’area euro-mediterranea, occorre ripensare le responsabilità
condivise tra i paesi delle due rive all’interno di tutte le dimensioni citate,
adottando un approccio globale e integrato che leghi politiche di sviluppo, di
coesione e di cooperazione sulle migrazioni e che lavori per la promozione di
partenariati territoriali interregionali nel quadro del Partenariato Euro
Mediterraneo e della Politica di Prossimità promossa dall’Unione Europea
(CeSPI, 2003). La particolare posizione geopolitica dell’Italia, la sua lunga
storia di paese in cui si incrociano diverse culture, flussi migratori in entrata
ed in uscita ed una presenza di immigrati articolata e policentrica, la
rendono uno dei luoghi più interessanti per lo studio e l’analisi dell’intreccio
tra sviluppo ed emigrazione.
Il Marocco, d’altro canto, data la cospicua presenza di cittadini marocchini in
tutti i paesi europei ed il fatto che la comunità marocchina è una delle più
numerose in Italia, rappresenta un paese particolarmente interessante per
analizzare l’intreccio tra emigrazione e processo di sviluppo nel pieno del suo
funzionamento e per delineare il ruolo del migrante come agente di sviluppo
e di innovazione. Obiettivo prioritario del progetto è pertanto la produzione
di un programma di interventi e strategie per lo sviluppo delle comunità di
appartenenza dei migranti marocchini in Italia che, partendo dai loro bisogni
3
e dalle loro potenzialità, individui nello stesso migrante/immigrato e nella
sua comunità di origine gli attori principali ed i beneficiari di ogni intervento
e progetto.
Le ragioni alla base del consorzio
L’impianto strategico e metodologico del programma è basato sulla
convinzione che esista complementarietà e reciprocità tra politiche
migratorie e di cooperazione, le cui potenzialità non sono state finora
adeguatamente valorizzate. Il progetto, dunque, vuole rappresentare un
contributo conoscitivo per l’elaborazione di politiche di co-sviluppo,
incentrate sulla valorizzazione del capitale umano, sociale e finanziario dei
migranti e sulla necessità di coniugare finalità di cooperazione con finalità di
gestione dei flussi migratori.
Consapevoli del fatto che chi lavora nella cooperazione allo sviluppo
generalmente non si cura – o si cura poco – delle tematiche migratorie (e
viceversa), involontariamente riproponendo la dicotomia tra politiche di
cooperazione e politiche migratorie (Crespo Ubero, 2001), il progetto si è
proposto di superare tale divisione di saperi almeno in tre modi:
1. Dando vita, in Italia, ad un consorzio atipico formato da tre strutture:
una con competenze esclusive in materia di cooperazione allo sviluppo
(l’organizzazione non governativa Cooperazione Internazionale); una
con competenze esclusive in materia di immigrazione (la cooperativa El
Sur); infine, una struttura (l’associazione punto.sud) che, per la sua
particolare propensione alla ricerca applicata ed alle tematiche di co-
sviluppo, agisce da trait d’union tra i due precedenti “saperi”.
2. Definendo, in Marocco, accordi di partenariato strutturati in maniera
similare, attraverso il coinvolgimento di molteplici organizzazioni tra
loro complementari e sinergiche per saperi e competenze.
3. Realizzando un progetto di co-sviluppo che tenga in considerazione tre
sfere di riferimento: i paesi di destinazione, i paesi di origine e gli
immigrati.
Per evitare di incorrere nel consueto errore di lavorare per gli immigrati
senza gli immigrati, infine, il progetto ha assicurato il coinvolgimento diretto
4
degli immigrati in tutte le fasi del processo, dalla identificazione alla
realizzazione ed alla valutazione.
E’ nostra convinzione, infatti, che la “cooperazione per il co-sviluppo” non possa
che essere prodotta attraverso la partecipazione dei migranti e la valorizzazione
piena del loro ruolo di agenti di sviluppo per i paesi di origine; in questo senso,
l’apporto potenziale dei migranti investe non soltanto la sfera economica, ma
anche la dimensione culturale, sociale e, non ultima, politica.
Spetta dunque alle organizzazioni e istituzioni a vario titolo impegnate sul
fronte della cooperazione allo sviluppo e delle migrazioni creare e
sperimentare insieme – e congiuntamente ai loro omologhi nei paesi di
emigrazione – le condizioni per lo sviluppo del giusto ed appropriato
ambiente istituzionale, giuridico, culturale ed economico, capace di
valorizzare al massimo ed al meglio il ruolo di attori di sviluppo dei migranti,
con riferimento tanto ai contesti di origine che a quelli di accoglienza
(Khachani, 2003).
Bibliografia
Caponio T., (2003), “Il ruolo delle Regioni nelle politiche di integrazione e accoglienza
dei migranti”, Documento di base per la Commissione I della Conferenza su
“Partenariato interregionale e politiche migratorie”, Bari, 23-24 ottobre.
CeSPI, (2003), Rapporto della “Commissione migrazioni e sviluppo integrato nel
Mediterraneo”, Conferenza su “Partenariato interregionale e politiche migratorie”,
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Crespo Ubero R., (2001), “Migraciones y cooperaciòn entre Africa y Cataluña. Dos vías
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Framework for Preparatory Actions, Budget line “Cooperation with third countries
in the area of migration”, settembre, Bruxelles.
EU, (2002), Communication from Commissioner Vitorino to the Commission on
Framework for Preparatory Actions in 2002, Budget line “Cooperation with third
countries in the area of migration”, febbraio, Bruxelles.
5
Fargues, (2003), “Le politiche migratorie nel Mediterraneo occidentale: contesto,
contenuto e prospettive”, in Dialogo sulla cooperazione nel Mediterraneo
Occidentale, OIM, Roma.
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sviluppo nel Mediterraneo e nei Balcani”, Documento di base per le Commissioni
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Naïr S., (1997), “Rapport de bilan et d’orientations sur la politique de co-
développement lié aux flux migratoires”, Mission Interministérielle Migrations–
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Salemi P., (2003), Il mercato del lavoro in Marocco tra migrazioni e sviluppo locale,
Programma MigraCtion Working Paper, No.1, CeSPI.
Vitorino, (2000), Intervento al Seminario Europeo “Codéveloppement et migrants”,
Parigi, 6-7 luglio.
6
INTRODUZIONE
Mattia Vitiello
Il migrante come agente di sviluppo: ipotesi di ricerca, obiettivi,
concetti e definizioni
L’ipotesi guida della presente ricerca è che il migrante marocchino presente
in Italia possiede una serie di dotazioni di capitale che possono essere
utilizzate come fattori di innesco dei processi di innovazione e di sviluppo
nelle proprie comunità di origine.
Questa serie di capitali che il migrante in parte ha acquisito ed in parte ha
sviluppato e consolidato durante la sua esperienza migratoria in Italia,
riguarda essenzialmente:
1. l’insieme delle conoscenze tecnologiche dell’ambito lavorativo e
professionale in cui egli è inserito, e dell’ambito del contesto
istituzionale e legislativo con cui interagisce durante lo svolgimento della
propria attività lavorativa e lo sviluppo della propria esperienza
migratoria. Questa serie di conoscenze e di risorse è qui definita come
capitale umano;
2. l’insieme delle reti sociali dei migranti e cioè, l’insieme dei legami
interpersonali che collegano migranti e non migranti nelle aree di origine
e di destinazione1. I legami possono essere sia di natura relazionale
(amicizia, parentela, ecc.) sia di natura strumentale (economici, politici,
ecc.) e possono riguardare connazionali, immigrati di altre nazionalità e
la popolazione locale. L’insieme di tali relazioni qui è definito come
capitale sociale;
3. le rimesse, la parte di reddito derivante dalla propria attività lavorativa
che egli riesce a risparmiare e che assume i contorni di un vero e
proprio capitale finanziario.
1 D. Massey et al., (1998), Worlds in motion, Clarendon Press, Oxford, pag. 42.
7
L’obiettivo fondamentale di questa ricerca è, in primo luogo, quello di
individuare le dotazioni di capitale, globalmente inteso (finanziario, sociale,
umano) acquisite dai migranti marocchini durante la loro esperienza
migratoria in Italia e, in secondo luogo, capire attraverso quali strumenti,
modalità e politiche di sostegno, queste dotazioni di capitale possono essere
utilizzate allo scopo di attivare i necessari processi di innovazione e di
sviluppo economico nelle zone di origine.
Il primo passaggio per il raggiungimento di questi obiettivi è rappresentato
dallo studio dell’intreccio tra movimenti migratori e sviluppo. Tale studio
richiede che l’analisi venga effettuata sia nei paesi di origine che di arrivo dei
flussi migratori. Nel caso di questa ricerca essa deve essere svolta sia in
Italia che in Marocco, ciò significa che devono essere analizzati la presenza
immigrata marocchina in Italia, i processi di stabilizzazione e di
incorporazione di questa popolazione nella società italiana, come anche la
composizione dei flussi migratori in partenza dal Marocco verso l’Italia.
Inoltre, si devono studiare i processi di cambiamento mostrati dall’economia
e dalla società marocchina allo scopo di individuare gli effetti che essi hanno
sui flussi migratori, in particolare in riguardo alla loro intensificazione e alla
loro composizione, e gli effetti che i movimenti migratori hanno sulle
comunità di appartenenza dei migranti. Questo primo livello di analisi è
indirizzato ad individuare gli elementi che caratterizzano l’intreccio tra
migrazioni e sviluppo e le proprie dinamiche. I risultati sono presentati nella
seconda parte del volume.
Il successivo livello di analisi prevede l’individuazione delle dotazioni di
capitale degli immigrati marocchini e degli strumenti necessari affinché tali
dotazioni possano essere utilizzate come risorse per lo sviluppo e
l’innovazione delle zone di origine. Esso contempla una serie di interviste in
profondità ad immigrati marocchini presenti in Italia e più precisamente in
Lombardia e Campania.
Lo scopo principale delle interviste somministrate agli immigrati marocchini
nelle due regioni, era quello di ricostruire l’esperienza migratoria degli
intervistati per individuare le conoscenze, le abilità e le relazioni acquisite
durante questa esperienza e, attraverso la comparazione con le interviste
raccolte in Marocco, capire se queste dotazioni di capitale possono essere
utilizzate nelle zone di origine.
8
Lo strumento utilizzato è stato un questionario organizzato secondo le
seguenti aree tematiche: capitale umano; capitale sociale; capitale
finanziario; progetto migratorio; attività lavorativa ed imprenditoriale.
La sezione sul capitale umano contiene una serie di domande volte ad
individuare l’insieme delle conoscenze possedute dal migrante al momento
della partenza (livello di istruzione, formazione professionale, precedenti
esperienze lavorative, specializzazioni particolari, ecc.), mentre la sezione
sull’attività lavorativa ed imprenditoriale è mirata, attraverso la ricostruzione
del suo percorso lavorativo, ad individuare le conoscenze tecnologiche,
professionali e del contesto istituzionale acquisite dal migrante durante la
propria esperienza migratoria. La parte riguardante il capitale sociale
ricostruisce le relazioni costruite dal migrante nello svolgimento del suo
percorso migratorio sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista
del contenuto che tali relazioni veicolano. A questo riguardo occorre
specificare che per capitale sociale, seguendo la definizione data da Bourdieu
e Wacquant, in questo lavoro si intende:
“la somma delle risorse, reali o virtuali, che toccano ad un individuo o a un gruppo in
virtù di possedere una stabile rete più o meno istituzionalizzata di relazioni di mutua
riconoscenza e gratitudine”2.
Negli studi migratori il concetto di capitale sociale è stato introdotto per
spiegare la promozione e lo sviluppo di ulteriori flussi migratori tra paesi di
invio e di arrivo, però, in questa sede, ciò che interessa è che la
caratteristica chiave di tale capitale e che esso può essere convertito in
qualsiasi altra forma di capitale3. A tale riguardo, occorre sottolineare che le
rimesse vengono considerate anche come un indicatore di relazione tra
migrante e comunità di origine oltre che come forma di capitale finanziario.
Infine, il questionario serve non solo ad individuare le risorse del migrante,
ma anche ad individuare quello che era il suo progetto migratorio e quello
che è il suo modello migratorio. La scelta dei soggetti da intervistare è stata
guidata da una griglia di indicatori costruita essenzialmente sulla durata del
percorso migratorio, (almeno 5 anni di presenza in Italia) e sul tipo di
attività lavorativa attualmente svolta, che deve essere o di tipo
2 Bourdieu P., Wacquant L., (1992), An invitation to reflexive Sociology, University of Chicago Press, Chicago, p. 119. 3 Harker et al., (1990), An introduction to work of Pierre Bourdieu: the practice of theory, MacMillan, London.
9
imprenditoriale o con un certo contenuto di specializzazione professionale, in modo da garantire un minimo di conoscenze tecnologiche e professionali da trasferire nelle comunità di origine. Per quanto riguarda l’attività imprenditoriale essa deve essere stata intrapresa da almeno 2 anni. In Lombardia l’individuazione delle dotazioni di capitali (umano, sociale
finanziario) dei migranti marocchini è stata svolta individuando tre categorie
di migranti potenzialmente in possesso di un significativo complesso di
risorse da investire nello sviluppo del proprio paese di origine. L’inchiesta di
campo ha riguardato quindi i lavoratori autonomi (considerando i settori del
commercio, edilizia, artigianato e servizi), i mediatori culturali e le donne.
Sono state svolte interviste in profondità attraverso l’utilizzo di un
questionario composto da sezioni specifiche sui tre capitali e sul progetto
migratorio; è stata inoltre prevista un’ultima sezione che indagasse in modo
diversificato alcuni aspetti specifici di ogni gruppo (l’attività imprenditoriale e
le relazioni economico-professionali con il Marocco, la mediazione come
pratica transnazionale, la questione di genere nel vissuto migratorio e nel
rapporto con il paese di origine).
La ricerca nel contesto lombardo ha interessato anche altri due ambiti: le
realtà associative che coinvolgono gli immigrati marocchini e le istituzioni
regionali che operano nel campo dei fenomeni migratori e della cooperazione
allo sviluppo.
Le associazioni, censite attraverso interviste in profondità a uno o più
rappresentanti, hanno permesso di render conto del grado di coesione e
della dotazione di capitale sociale collettivo dei migranti di nazionalità
marocchina in Lombardia.
Le istituzioni hanno fornito un quadro dell’esistente in relazione alle
possibilità di valorizzazione dei migranti come agenti di sviluppo e di
internazionalizzazione dei territori locali. Si è cercato inoltre di valutare
anche il grado di integrazione esistente tra interventi in ambito migratorio
sul territorio lombardo ed interventi in collaborazione con i paesi di origine,
con particolare attenzione all’area Mediterranea.
In Campania si è ritenuto che il ruolo di agente di sviluppo potesse essere
svolto da immigrati con percorsi lavorativi ben delineati, stabili e di tipo
ascendente, cioè finalizzati all’inserimento in quel settore del mercato del
lavoro caratterizzato da occupazioni stabili e garantite.
In base a questo presupposto la ricerca di possibili soggetti da coinvolgere
10
nelle attività del progetto si è concentrato intorno alla figura dell’immigrato
lavoratore autonomo/imprenditore oppure operaio specializzato.
I risultati dell’indagine di campo in Lombardia e Campania sono presentatati
nel capitolo quarto e quinto.
Il progetto pilota, nella sua componente operativa, è stato focalizzato su
attività di formazione: creazione e gestione d'impresa e miglioramento delle
tecniche produttive.
Le attività di formazione in creazione e gestione d'impresa in Italia hanno
visto come beneficiari un gruppo di migranti marocchini che sono stati
selezionati sulla base dei risultati delle indagini di ricerca effettuate in
Lombardia, Campania e, marginalmente, in Piemonte.
I migranti, che erano imprenditori e mediatori culturali, hanno partecipato
ad una formazione residenziale organizzata dalla Confederazione Nazionale
dell'Artigianato (CNA) a Torino.
L'obiettivo della formazione era duplice: da un lato migliorare le competenze
e le capacità imprenditoriali dei migranti, dall'altro permettere di facilitare la
relazione con i loro omologhi marocchini (in larga misura artigiani ed
imprenditori) sulla base di un linguaggio e di interessi comuni, in prospettiva
dell'instaurazione e del rafforzamento di relazioni imprenditoriali tra l'Italia
ed il Marocco. In effetti in seguito alla formazione i migranti hanno
soggiornato in Marocco partecipando alle formazioni in loco in qualità di
facilitatori ed apportatori d'esperienza diretta. Il percorso si è concluso con
un seminario sull'internazionalizzazione della piccola impresa, tenutosi a
Béni Mellal a fine luglio 2004, in partenariato con il Centro Regionale degli
Investimenti (CRI) e la Camera di Commercio locali.
Le attività di formazione in Marocco hanno riguardato sia gli aspetti della
gestione e della creazione d'impresa, che il miglioramento delle tecniche di
produzione.
I beneficiari sono stati i funzionari delle delegazioni provinciali del Ministero
dell'Artigianato di Béni Mellal, Casablanca, Nador e Khouribga ed alcuni
membri di dinamiche associazioni locali attive nell'appoggio alle attività
produttrici di reddito. Il percorso ha avuto come prima tappa la formazione
dei formatori e, successivamente, la formazione di quasi 800 artigiani,
imprenditori e membri di cooperative ed associazioni delle quattro zone
selezionate.
PARTE PRIMA
Politiche migratorie e politiche di co-sviluppo
13
UNO
1.1. IL QUADRO DI RIFERIMENTO
1.1.1. Il binomio cooperazione-immigrazione e le politiche di
co-sviluppo viste dall’Italia
Mattia Vitiello
IL VALORE E LO SPAZIO DEI MOVIMENTI MIGRATORI NEI PROCESSI
DI SVILUPPO
L’argomento di indagine della presente ricerca riguarda l’intreccio tra i
movimenti migratori ed i processi di sviluppo dei paesi di partenza dei flussi
migratori. In particolare il focus dell’analisi sarà centrato sulle potenzialità e
sul ruolo che il migrante può assumere come agente di sviluppo e di
innovazione per le proprie zone di origine. Per tale motivo l’analisi e
l’indagine sul campo riguarderà, da un lato, il migrante marocchino presente
in Italia e, dall’altro lato, le zone di origine degli stessi migranti marocchini.
Questo doppio livello di analisi vuole cogliere, sia le capacità acquisite dal
migrante durante la sua esperienza migratoria e le sue relazioni con le zone
di origine, sia i bisogni delle zone di partenza allo scopo di individuare
strumenti e progettualità che possano coinvolgere i migranti nel
soddisfacimento di questi stessi bisogni. La relazione tra processi di sviluppo
e migrazioni assume un valore significativo dal punto di vista politico in
quanto la sua interpretazione può fornire indicazioni di misure politiche per
la riduzione dei flussi migratori, ma la sua significatività diviene
particolarmente rilevante dal punto di vista economico.
Stanton Russel e Teitelbaum dimostrano la portata e l’importanza di tale
intreccio in termini economici attraverso il calcolo del livello delle rimesse
che, per molti paesi, superano il livello dell’aiuto pubblico allo sviluppo
14
ricevuto durante gli anni Ottanta1. Inoltre, le migrazioni sono una delle
principali modalità (per alcuni paesi rimane l’unica) attraverso le quali ha
luogo l’integrazione economica internazionale2. Acocella e Sonnino a tale
proposito affermano che:
“In quadro di inserimento internazionale dei paesi arretrati, la soluzione del problema
del sottosviluppo non può che essere associata a movimenti di capitale e di persone
regolati dai paesi ospiti in cooperazione con i paesi di partenza”3.
Il programma di azione adottato dalla Conferenza internazionale sulla
Popolazione e lo Sviluppo del 1994, sostiene che le migrazioni possono avere
effetti positivi sia sui paesi di destinazione che sui paesi di invio dei flussi
migratori e che se le politiche migratorie sono concertate tra gli stessi paesi
e vengono inserite in un più ampio quadro di politiche di cooperazione allo
sviluppo possono essere anche uno strumento per la rimozione delle cause
delle migrazioni internazionali4.
Queste osservazioni rappresentano i principali motivi della crescente
attenzione che i governi europei stanno riservando alla tematica
dell’influenza delle migrazioni internazionali sui processi di sviluppo dei paesi
di emigrazione. Le contraddizioni che si presentano nella gestione politica del
fenomeno migratorio e la complessità insita nel fenomeno stesso hanno
portato a considerare lo sviluppo economico come uno degli elementi chiave
per la riduzione dei fattori di spinta che sono alla base degli attuali flussi
migratori.
In questo modo la cooperazione internazionale e gli aiuti allo sviluppo
diventano importanti strumenti per il governo degli stessi flussi. La stessa
necessità di una politica di cooperazione con i paesi della riva sud del
Mediterraneo, per quanto riguarda l’Europa, viene rafforzata dalla rilevazione
dell’esistenza di un legame tra sviluppo economico ed emigrazione.
1 Stanton Russel S., Teitelbaum M. S., (1992), International migration and International trade, “World Bank discussion paper”, 160, Washington D. C., World Bank, p. 29. 2 Faini R., De Melo J., Zimmermann K. F., (1999), Migration: the controversies and the evidence, Cambridge University Press, Cambridge. 3 Acocella N., Sonnino E., (2003), Movimenti di persone e movimenti di capitale in Europa, Il Mulino, Bologna, p. 12. 4 United Nations Population Fund (UNFPA), (1994), Cairo Programme of Action of International Conference on Population and Development (ICPD), Cairo, p. 17.
15
La letteratura disponibile rileva come la relazione tra movimenti migratori e
processi di sviluppo si presenti estremamente complessa da decifrare, per
cui è sempre molto difficile predire come lo sviluppo socio-economico possa
influenzare le decisioni dei potenziali migranti e come le migrazioni a loro
volta possano influenzare lo sviluppo5. L’analisi di diversi studi sul rapporto
tra azioni di sviluppo e migrazione fa emergere il più delle volte l’esistenza di
una relazione positiva tra sviluppo economico, inurbamento e possibile
successiva migrazione internazionale. E’ stato empiricamente rilevato che,
nelle prime fasi dello sviluppo economico di un paese relativamente
arretrato, la crescita economica stimoli invece che frenare le migrazioni6.
Questo può accadere sostanzialmente per tre ordini di motivi strettamente
connessi allo sviluppo economico:
• la crescita economica porta almeno nel breve periodo un aumento del
reddito disponibile;
• fa diminuire allo stesso tempo i costi connessi all’emigrazione;
• stimola direttamente l’emigrazione, perché libera quote di forza lavoro
attraverso innovazioni produttive.
Nonostante il fatto che la relazione tra processi di sviluppo e movimenti
migratori non sia definita in modo chiaro ed univoco, nessun autore dubita
che esista una connessione tra i processi migratori internazionali e lo
sviluppo economico7. Il problema è capire quali sono le forme in cui questo
rapporto si declina nella realtà, ovvero quali sono gli effetti delle azioni di
sviluppo che stimolano la propensione migratoria e quali effetti invece la
frenano, e attraverso quali meccanismi l’emigrazione influenzi lo sviluppo
delle aree di partenza. L’ipotesi guida di questo lavoro si basa su un doppio
assunto. In primo luogo, qui si ritiene che l’intreccio tra migrazione e
sviluppo intravede nel migrante l’attore principale, in altre parole per
l’interpretazione di questo intreccio non è importante solamente l’atto di
emigrare, ma anche e soprattutto chi intraprende l’atto di emigrare.
5 Skeldon R., (1997), Migration and development: a global perspective, Longman, Edinburg; Hammar T., Brochman G., Tamas K., Faist T. eds., (2000), International migration, immobility and development, Berg, Oxford. 6 Breier H., (1994), Development and migrations: The role of aid and co-operation, in OECD, (1994), Migration and development, OECD, Paris. 7 Appleyard R., (1992), International migration and development. An unresolved relationship in Migration and development, “International Migration”, Special issue, n° ¾.
16
Inoltre, l’influenza sullo sviluppo delle zone di origine dei flussi migratori non
si esaurisce solamente nel momento della partenza e dell’esito finale
dell’emigrazione, cioè nel ritorno del migrante, ma gli effetti dell’emigrazione
sullo sviluppo delle comunità di origine del migrante si registrano anche
durante la sua esperienza migratoria, cioè durante la sua permanenza nel
paese di accoglienza. Questa osservazione introduce il nostro secondo
assunto di base. Il migrante durante il suo percorso migratorio acquisisce
una serie di capacità e di risorse. Prima di passare alla definizione delle
capacità e delle risorse acquisite dagli emigranti che si vogliono rilevare in
questa ricerca, e all’enunciazione degli obiettivi e della metodologia adottata
nella presente indagine, risulta utile fare una premessa in merito ai
fondamenti teorici dell’ipotesi guida di questa ricerca.
Nei prossimi paragrafi saranno illustrati gli elementi principali della relazione
tra emigrazione e sviluppo secondo gli approcci più diffusi per
l’interpretazione degli stessi fenomeni. Una volta che saranno stati enucleati
gli elementi fondamentali dell’intreccio tra i movimenti migratori ed il
processo di sviluppo nel bacino mediterraneo, essi potranno essere utilizzati
per la lettura dell’intreccio in questione, legandoli alle caratteristiche
socioeconomiche del Marocco e dell’emigrazione marocchina in Italia.
I MOVIMENTI MIGRATORI E I PROCESSI DI SVILUPPO. BREVE
PREMESSA TEORICA SUL PROCESSO DI SVILUPPO E DEL FENOMENO
MIGRAZIONE
E’ già stato sostenuto che la relazione tra migrazione internazionale e
sviluppo economico si presenta irrisolta e probabilmente l’impossibilità di
articolare tale relazione è dovuta in gran parte tanto alla sua complessità
quanto all’eterogeneità propria sia del fenomeno migratorio che dello
sviluppo. Quindi tale relazione non si presenta in nessun caso empirico in
maniera tanto lineare da poter distinguere causa ed effetto, ma spesso lo
sviluppo e il sottosviluppo possono essere non solo la causa, ma anche la
conseguenza del processo migratorio8. Tutto ciò porta a considerare la
connessione tra i due fenomeni come un intreccio in cui non è importante
stabilire delle catene causali, ma è necessario stabilire il funzionamento di
8 Idem, p. 252; Cesareo V., (1998), Le migrazioni, risorsa per lo sviluppo e la cooperazione, in “Studi Emigrazione”, n° 129, p. 50.
17
tale intreccio e i meccanismi attraverso i quali esso si manifesta e spinge alla
decisione migratoria. La conoscenza di tali meccanismi può far capire quale
ruolo, realmente, gioca l’emigrazione nel processo di sviluppo del paese di
partenza e, su quali basi è possibile costruire un’esperienza di cooperazione
allo sviluppo che individua nel migrante una risorsa preziosa e l’attore
principale per lo sviluppo della propria comunità di partenza. A tale scopo,
occorre prima chiarire brevemente che cosa qui s’intende per migrazioni e
cosa per sviluppo. In questa sede si esamineranno fondamentalmente gli
spostamenti di forza lavoro, quindi per migrazioni qui si intende lo
spostamento di lavoratori da un zona di origine ad un'altra zona che viene di
solito denominata di destinazione. Le migrazioni possono essere di tipo
interno, quando hanno luogo all’interno di una stessa regione o di un stesso
stato, o di tipo internazionale, quando lo spostamento implica
l’attraversamento di un frontiera. Inoltre esse possono essere di tipo
temporaneo, ad esempio lo spostamento per un ciclo di lavori agricoli
stagionali, o semi-permanente, di durata temporale ampia ma circoscritta, o
permanente cioè che portano all’insediamento definitivo nelle zone di
accoglienza. Lo sviluppo, che per molto tempo è stato considerato con
parametri economici, si configura sempre più come un fenomeno
multidimensionale, complesso e dinamico. Questo richiede che nello studio
dello sviluppo, delle sue problematiche e dei suoi effetti si debba cogliere
sempre più la complessità e le relative articolazioni. Tutto ciò ha prodotto,
negli anni, diverse definizioni di questo fenomeno, che contengono
affermazioni riguardanti la sua natura, le cause, gli ostacoli e, soprattutto,
riguardanti gli obiettivi dello sviluppo e le strategie da adottare per
raggiungerli9. Ogni definizione dello sviluppo porta necessariamente con sé
una teoria dello sviluppo, che tenta di avere ragione della complessità dello
sviluppo, pensando di avere trovato gli elementi fondamentali che lo
regolano. Tale riduzione di complessità, seppur necessaria per lo studio di
questo concetto, porta sempre ad una teoria parziale che privilegerà alcuni
aspetti rispetto ad altri, perché questi si ritengono prioritari, mentre gli altri
aspetti verranno considerati come elementi di sfondo, anche se non per
questo tralasciati del tutto dall’analisi.
9 Arndt H., (1990), Lo sviluppo economico. Storia di un’idea, Il Mulino, Bologna; Hettne B., (1995), Teorie dello sviluppo, ASAL, Roma; Rist G., (1997), Lo sviluppo. Storia di una credenza occidentale, Bollati Boringhieri, Torino.
18
In questo modo si vuole sottolineare che la scelta di una determinata
definizione del processo di sviluppo e di conseguenza di una teoria dello
stesso non è mai neutra, perché ogni scelta di campo a livello teorico
comporta anche l’adesione ad una determinata visione del processo di
sviluppo stesso.
Quindi ogni elaborazione teorica non sarà mai del tutto oggettivamente vera,
ma potrà esserlo per le persone che condividono lo stesso modello teorico e
la stessa visione teorica.
Nel caso dello studio delle relazioni tra migrazioni e sviluppo, il modo in cui
sarà definito lo sviluppo definirà a sua volta il modo di concepire e studiare i
fenomeni migratori oltre che la relazione tra questi due fenomeni. A questo
punto verranno sinteticamente descritti alcuni degli approcci teorici più noti
allo studio del problema dello sviluppo riguardo alle migrazioni, mentre in
seguito si cercherà di affrontare il problema della definizione del fenomeno
migratorio.
Le teorie dello sviluppo e le migrazioni
Il nesso tra migrazioni e sviluppo conta una maggiore produzione teorica ed
analitica da parte dei paesi di arrivo. La preoccupazione maggiore è sempre
stata quella di individuare l’impatto dell’emigrazione sulle strutture
economiche e sociali dei paesi di accoglienza mentre l’impatto economico e
sociale del fenomeno migratorio sui paesi di partenza ha prodotto meno
ricerche ed elaborazioni teoriche.
Le teorie dello sviluppo, utilizzando generalmente come unità di studio lo
stato nazione, hanno mostrato, per lo più, un interesse maggiore per i
fenomeni di migrazione interna, cioè per il passaggio campagna-città,
fenomeno ritenuto utile e necessario per la modernizzazione e lo sviluppo dei
“paesi terzi”.
Questa elaborazione è stata poi applicata al fenomeno delle migrazioni
internazionali, sia per quanto riguarda la sua spiegazione che per i suoi
effetti sui paesi di partenza10.
10 Venturini A., (1989), Un’interpretazione economica delle migrazioni mediterranee, in Maccheroni C., Mauri A., (1989), a cura di, Le migrazioni dell’Africa Mediterranea verso l’Italia, Giuffré Editore, Milano.
19
A tale proposito, occorre precisare che il dibattito teorico circa lo sviluppo ha
conosciuto una notevole accelerazione alla fine della seconda guerra
mondiale, quando l’osservazione delle grandi disparità esistenti tra i paesi
occidentali industrialmente avanzati ed il resto del mondo ha posto l’urgenza
politica ed economica di colmare questo divario, o per lo meno di attenuare
le differenze più eclatanti. Questa emergenza ha provocato la produzione di
numerose teorie dello sviluppo proponenti il percorso che i “paesi
sottosviluppati” devono intraprendere per colmare le differenze esistenti con
i “paesi sviluppati”.
I paesi industriali avanzati vengono considerati come esempio da imitare,
per cui le fasi che essi hanno attraversato per arrivare ad essere “sviluppati”
assumono valore generale ed universale e, in ragione di ciò, tutti i “paesi
arretrati” dovranno attraversare tali fasi se vogliono diventare “moderni”.
Le teorie della modernizzazione, che sono state il paradigma egemone negli
anni ’50 e ’60, si muovevano in questo quadro.
I teorici di questa scuola sostenevano che ciascuno stato-nazione, assunto
come unità di analisi significativa, seguiva un identico percorso di sviluppo,
concettualizzato a partire da uno schema evoluzionista che segnava il
passaggio dalla “tradizione” alla “modernità”. Il processo di sviluppo era
presentato nei termini di un cambiamento unilineare da una società
tradizionale, indifferenziata e prerazionale, ad una società moderna
differenziata e razionale11.
Una tesi ampiamente accettata da questo approccio, sostiene l’esistenza nei
paesi sottosviluppati di economie “dualistiche”, composte cioè di due settori
coesistenti, ciascuno con una propria storia e con strutture indipendenti, cioè
uno tradizionale, concentrato nelle aree rurali e caratterizzato da bassa
produttività, bassi salari e abbondanza di forza lavoro ed uno moderno,
caratterizzato da produttività più alta, alti salari, relativa scarsità di forza
lavoro. Secondo quest’ottica per innescare un processo di sviluppo ci deve
essere un travaso di risorse da quello tradizionale (campagna) a quello
moderno (città)12, travaso che non può avvenire se non privilegiando il
settore moderno a scapito di quello tradizionale e iniziando processi di
innovazione produttiva anche nel settore tradizionale, per liberare quote di
11 Di Meglio M., (1997), Lo sviluppo senza fondamenti, Asterios Editore, Trieste. 12 Todaro M., (1990), Economia dei paesi in via di sviluppo, Nuova Italia Editrice, Firenze, pp. 52-80.
20
forza lavoro da impiegare nel settore moderno. Secondo quest’approccio,
l’urbanizzazione dei ceti rurali, visto come effetto della migrazione tra
campagna e città, costituisce una tappa fondamentale del processo di
modernizzazione, perché viene considerato come una condizione necessaria
per il passaggio da un assetto societario ad un altro.
Le stesse migrazioni internazionali vengono lette all’interno di tale
paradigma e, vengono assunte come l’indicatore di un’ulteriore fase del
processo di modernizzazione. Le stesse diventano veri e propri propulsori del
processo di modernizzazione poiché riescono a coinvolgere le masse e,
quindi, l’intera società13. Secondo questa lettura, i migranti in quanto
minoranze economicamente dinamiche, sarebbero in grado di farsi portatori
di innovazione sociale e di crescita economica. Per questi autori le migrazioni
internazionali servono anche per la diffusione di una serie di valori culturali e
sociali che influiscono sulle società di partenza e non hanno solamente un
ruolo economico, contrariamente a quanto sostiene la tradizione neoclassica
che interpreta i movimenti migratori come l’esportazione di una merce
qualsiasi e che è, quindi, regolata dai principi del commercio internazionale.
I movimenti migratori rappresentano quindi secondo questa tradizione un
modo per migliorare l’andamento economico tanto del paese esportatore
quanto di quello importatore di manodopera. I teorici della dipendenza e più
di recente dell’approccio sistema mondo, si discostano da questa visione
ottimista del ruolo delle migrazioni internazionali nel processo di sviluppo.
Questi autori ritengono che gli attuali spostamenti di individui dai paesi
periferici ai paesi centrali sono dovuti in gran parte alla nuova divisione
internazionale del lavoro e all’insufficiente ed inadeguata creazione di
occupazione nei paesi periferici di fronte alla crescita demografica. Quindi
essi collocano le migrazioni fra i fenomeni di una nuova interdipendenza che
accentuano le condizioni di subordinazione economica e politica delle aree
più arretrate, accelerando i processi di marginalizzazione e perpetuando
forme di potere e di proprietà tradizionali, riprese e addirittura sostenute
dagli stessi migranti di ritorno14.
13 Fischer P. A., Martin R., Straubhar T., (2000), Interdipendencies between development and migration, in Hammar T., Brochman G., Tamas K., Faist T. eds., (2000), International migration, immobility and development, Berg, Oxford, p. 105. 14 Skeldon R., (1997), Migration and development: a global perspective, Longman, Edinburg, p. 36.
21
Il fenomeno migratorio e le sue interpretazioni
Ogni definizione dello sviluppo dunque, comporta una diversa visione delle
migrazioni e delle sue conseguenze sul processo di sviluppo del paese di
partenza dei movimenti migratori.
La definizione del fenomeno migratorio presenta lo stesso tipo di
problematica, questo perché le motivazioni che stanno alla base della
decisione migratoria sono quasi sempre contemporaneamente di tipo
economico, politico e culturale, per cui costruire una tipologia che ci
permetta di distinguere all’interno di questo fenomeno complesso quegli
elementi che più direttamente sono intrecciati con il processo di sviluppo,
risulta sempre un operazione arbitraria che conserva, però, un importante
valore euristico15.
In primo luogo, bisogna dire che ogni migrazione è la manifestazione e il
risultato dei rapporti tra due società e due culture: è l’emigrazione che dà
origine all’immigrazione e l’immigrato rimane sempre anche un emigrato.
Esiste quindi il problema per la società di arrivo, per quella di partenza, per
l’immigrato stesso a causa della sua doppia appartenenza, ovvero per essere
membro di entrambe le società seppur a titolo diverso, problema che si
acuisce quanto più il migrante si integra nella società di arrivo, accettandone
anche i valori socio-culturali16. Se si analizza la natura del fenomeno
migratorio seguendo un’ottica relazionale-processuale ci si prospetta un
itinerario di ricerca che ci porta a studiare anche gli aspetti di retroazione
dell’emigrazione stessa sulla società di partenza o, meglio ancora, che
considera la circolarità alimentata dai flussi migratori tra le due realtà della
società di partenza e della società ospitante. Questa circolarità si riferisce a
molteplici aspetti: aspetti culturali, demografici, politici, sociali ed, ancora, i
flussi finanziari, l’impiego delle rimesse, le strategie microeconomiche degli
emigrati e delle loro famiglie di origine. In tale circolarità ben si inserisce il
tema dello sviluppo e l’impatto che le migrazioni hanno su tale processo17.
15 Moulier Boutang Y., Papademetriou D., (1994), Typology, evolution and performance of main migration systems, in OECD, (1994), Migration and development, OECD, Paris. 16 Il migrante in molti casi riesce ad oscillare tra più modelli di comportamento, differenziandoli a seconda del luogo dove si trova ad agire. 17 Cesareo V., (1998), Le migrazioni, risorsa per lo sviluppo e la cooperazione, in “Studi Emigrazione”, n° 129, p. 51.
22
E’ chiaro, a questo punto, che il considerare la natura del fenomeno
migratorio come relazionale-processuale aiuta a districare l’intreccio tra i due
fenomeni presi in considerazione, per cui non del tutto soddisfacenti
risultano essere le impostazioni cosiddette “idrauliche” che spiegano
l’emigrazione con variabili demografiche.
E’ proprio nello studio dei forti scompensi demografici presenti nelle diverse
aree del pianeta che le problematiche migratorie e le teorie dello sviluppo
sembrano trovare un solido momento di sintesi.
Ma i movimenti migratori degli anni ottanta sembrano seguire meccanismi
propri, che per essere interpretati necessitano di superare le ipotesi
“idrauliche” e le sole variabili demografiche18.
Quindi per poter comprendere l’intreccio bisogna certamente tenere conto
degli squilibri demografici ed economici esistenti tra i paesi di partenza e di
arrivo19, che si definiscono effetti push e pull ma bisogna anche sottolineare
come questi non bastano certo a spiegare la decisione migratoria, infatti
come afferma la nota studiosa Sassen
“la possibilità che la crescita demografica, la povertà e la stagnazione economica
contribuiscano a determinare pressioni migratorie non può essere negata. Tuttavia è
evidente che da sole queste condizioni non sono sufficienti a innescare flussi migratori
su larga scala. E’ necessario identificare i processi che trasformano queste condizioni in
una situazione che induce emigrazione”20.
Per arrivare a ciò bisogna tenere conto delle caratteristiche del sistema
mondo e del modo in cui le differenti aree sono incorporate al suo interno, in
altre parole, affinché dei flussi migratori si attivino, non è sufficiente che nei
paesi industriali avanzati si creino condizioni del mercato del lavoro, che
attraggano i lavoratori dei paesi periferici.
E’ anche necessario che questi ultimi siano incorporati nella sua orbita e
penetrati dai meccanismi economici e anche dai valori culturali della società
occidentale, anche se questa non è necessariamente una condizioni
necessaria.
18 SOPEMI, (2001), Tendances des migrations internationales - Rapport Annuel 2000, OECD, Paris. 19 Bruni M., a cura di, (1994), Attratti, sospinti, respinti, F. Angeli, Milano, pp. 22-23. 20 Sassen S., (1988), The mobility of labour and capital, Cambridge University Press, London, p. 6.
23
Il risultato di questo intreccio è la formazione di uno spazio transnazionale
all’interno del quale la circolazione dei lavoratori si combina con altri flussi
che comprendono capitale, beni, servizi e informazione.
In queste condizioni, i flussi migratori sono il risultato di molti fattori: facilità
di accesso, tipo di legislazione esistente, vicinanza geografica, contatti con la
domanda, ma anche di scelte sociali e individuali dei potenziali migranti, che
sono influenzate da una serie complessa di fattori di diversa natura21.
Secondo questa visione il fenomeno migratorio non è che uno dei risvolti
della mondializzazione dell’economia, cioè dell’aumento dei traffici di merci
in un quadro di concentrazione dello sviluppo e del potere decisionale in
alcune aree ristrette del globo.
Ciò determina un’interdipendenza sempre più forte delle diverse economie
nazionali ed un ritmo di sconvolgimento delle strutture produttive arretrate
sempre più intenso. Le economie dei paesi periferici diventano sempre più
integrate nel modello economico, imposto dalle istituzioni economiche
internazionali. Le zone periferiche arrivano ad essere sempre più dipendenti
e le prospettive di sviluppo autocentrato si riducono progressivamente, in
modo particolare attraverso l’imposizione dei processi di liberalizzazione
dell’economia, ottenuti attraverso i Piani di Aggiustamento Strutturale (PAS)
da parte di I.M.F e W.B., e la spinta alla liberalizzazione imposta dai round di
discussione all’interno del W.T.O. E’ in questo contesto che deve essere
inserito lo studio del fenomeno migratorio e del suo intreccio con lo sviluppo,
tenendo conto della grave contraddizione rappresentata dall’aumento
generalizzato della spinta all’emigrazione e alla contemporanea politica
d’immigrazione fortemente restrittiva dei paesi occidentali meta dei flussi
migratori. Inoltre, occorre evidenziare, come fanno alcuni autori, che nelle
teorie delle migrazioni internazionali bisogna far emergere non solo il valore
della mobilità, legata per essi alla migrazione internazionale, ma anche
quello dell’immobilità, collegata alla stabilità residenziale e all’attivazione di
processi di migrazione interna di tipo temporaneo e/o permanente22.
Un altro elemento da analizzare nello studio dei rapporti tra migrazione e
sviluppo è quello del ruolo delle rimesse degli immigrati per lo sviluppo delle
zone e dei paesi di partenza.
21 Massey D. et al., (1998), Worlds in motion, Clarendon Press, Oxford, p. 57. 22 Hammar T., Brochman G., Tamas K., Faist T. eds., (2000), International migration, immobility and development, Berg, Oxford, p. 8.
24
Esse si possono considerare come veri e propri elementi di sviluppo. Come
sostiene Cesareo23 non si può parlare chiaramente dell’esistenza di un
circuito virtuoso o vizioso nel rapporto tra rimesse e sviluppo, perché non
sempre i diversi attori coinvolti (le famiglie dei migranti, le comunità locali,
lo stato nazione), hanno interessi coincidenti. Il discorso del rapporto tra
sviluppo e migrazione, e dell’attivazione del migrante come facilitatore di
sviluppo, al di là delle scelte teoriche di campo, tende sempre di più a
ruotare intorno allo stesso problema: il modo in cui il migrante è integrato
nella società di arrivo.
Solo se un migrante è integrato nella società di arrivo può divenire un
partner efficace per la diffusione di azioni di sviluppo. Quindi solo se il
migrante viene riconosciuto come un soggetto sociale attivo, globalmente
inteso come singolo individuo o a livello collettivo, sarà possibile utilizzare le
sue dotazioni di capitale per la diffusione efficace di azioni di sviluppo.
LA VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DEI MOVIMENTI MIGRATORI SUI
PAESI DI PARTENZA
Ogni interpretazione dei fenomeni migratori reca con sé una propria visione
della relazione che gli stessi hanno con lo sviluppo dei paesi di invio e
dunque, ognuna di esse privilegia quella che ritiene essere la dimensione
principale nell’interpretazione dei movimenti migratori nella valutazione degli
effetti di quest’ultima sullo sviluppo economico e sociale. Per cui l’approccio
che assegna un valore preponderante nella spiegazione dell’emigrazione al
fattore demografico concentra l’attenzione sui cambiamenti della struttura
demografica del paese di partenza.
L’approccio economico invece, individuando come causa principale
dell’emigrazione, a livello macro, le differenze geografiche di offerta e di
domanda di lavoro e, a livello micro, le differenze tra i salari nei paesi di
partenza e di invio, privilegia la valutazione degli effetti dell’emigrazione sul
mercato del lavoro del paese di partenza. Inoltre, un ulteriore aspetto di
quest’approccio è derivato dal fatto che esso considera l’esportazione di beni
perfettamente sostituibili con l’esportazione di forza lavoro, per cui i
movimenti migratori internazionali possono essere considerati alla stregua
23 Cesareo V., (1998), Le migrazioni, risorsa per lo sviluppo e la cooperazione, in “Studi Emigrazione”, n° 129, pp. 56-59.
25
del commercio internazionale, in questo caso le rimesse, più precisamente
gli usi delle rimesse, costituiscono gli elementi principali attraverso i quali
sono valutati gli effetti dell’emigrazione sia sulla bilancia dei pagamenti, sia
sul reddito e la struttura del reddito del paese di partenza dei flussi
migratori. La valutazione dunque di solito avviene lungo quelle che sono
considerate le tre dimensioni principali dell’emigrazione: popolazione,
mercato del lavoro e rimesse.
Essa viene svolta attraverso la comparazione della situazione sociale ed
economica delle regioni di partenza dopo l’emigrazione con la configurazione
sociale ed economica che le zone di esodo avrebbero potuto assumere in
mancanza di emigrazione.
Il processo valutativo risulta molto più praticabile ed attendibile quando si
calcolano gli effetti dell’emigrazione sulla struttura demografica delle regioni
di invio dei flussi migratori. Per tale motivo si parte dal calcolo degli effetti
demografici dell’emigrazione e, successivamente, si calcola il loro impatto sul
mercato del lavoro e sulla struttura occupazionale ed economica delle regioni
di partenza dei flussi. L’altro modo di procedere è più strettamente
economico e considera le rimesse inviate dagli emigranti e il loro impatto in
termini di sviluppo economico. L’emigrazione, interessando soprattutto gli
individui situati nelle classi di età centrali, altera innanzitutto la struttura
della popolazione dei paesi di emigrazione. Da questo punto di vista l’effetto
dell’emigrazione può assumere un valore positivo in quanto potrebbe
implicare un alleggerimento del carico demografico sul mercato del lavoro,
che non solo comporterebbe una diminuzione netta della disoccupazione
nelle zone d’esodo, e quindi un allentamento delle potenziali tensioni sociali,
ma porterebbe anche ad un miglioramento netto delle condizioni salariali dei
lavoratori rimasti nelle zone di partenza. Per quanto riguarda l’assorbimento
dell’eccesso di forza lavoro presentato dai paesi di partenza, alcuni studi
effettuati dimostrano che esso è insufficiente data la forte consistenza della
popolazione in età lavorativa di questi ultimi24. In merito all’occupazione
invece, altri studi fanno emergere un interessante effetto positivo
dell’emigrazione sul mercato del lavoro.
24 Bruni M., Venturini A., (1995), Pressure to migrate and propensity to emigrate, “International Labour Review”, n. 3; Giubilaro D., (1997), Les migrations en provenance du Maghreb et la pression migratoire, “International Migration Papers”, n. 15.
26
Courbage, in uno studio che ha interessato i paesi maghrebini, a tale
proposito ha stimato che per il Marocco, per l’anno 1988, nel caso di
mancata emigrazione, il tasso di disoccupazione sarebbe cresciuto dal 2,3 al
4,5 per cento25.
L’impatto delle rimesse dei migranti sulle economie locali risulta molto più
difficile da valutare anche se è ipotizzabile che le rimesse stimolino le
economie delle zone di esodo attraverso un’espansione dei beni di consumo
e del mercato abitativo. Lo studio degli effetti delle rimesse in alcune zone
ha mostrato come gli effetti siano più significativi sul benessere dei nuclei
familiari dei migranti e sulle loro comunità di origine, mentre hanno effetti
meno marcati sullo sviluppo delle regioni di origine e ancor meno forti per gli
stati26. Lo stato nazionale riesce con difficoltà a canalizzare questa ricchezza
anche perché i possibili soldi raccolti, quando non sono utilizzati per pagare il
debito estero, non sempre vengono utilizzati in progetti di sviluppo nelle
zone di provenienza degli immigrati, ma nelle zone o nei settori economici
considerati più produttivi.
Per lo stato nazione l’invio delle rimesse svolge un importante ruolo di
riequilibrio della bilancia dei pagamenti ma esso non riesce a canalizzare
queste risorse verso lo sviluppo economico perché le rimesse arrivano
direttamente alle famiglie che le utilizzano per aumentare il loro tenore di
vita, per investimenti immobiliari o per avviare piccole imprese commerciali
o artigiane. Le famiglie hanno l’interesse immediato ad elevare il proprio
tenore di vita, ma non per questo le loro decisioni di spesa devono essere
considerate improduttive, anche se in non pochi casi sono dirette all’acquisto
di beni di consumo durevoli provenienti dall’estero, contribuendo allo
squilibrio della bilancia dei pagamenti.
Le rimesse contribuiscono allo sviluppo dell’economia delle zone di
provenienza dei migranti, perché, grazie ad esse, vengono avviate piccole
attività commerciali e immobiliari, che certamente animano l’economia
locale. Bisogna sottolineare anche come le politiche di chiusura delle
frontiere attuate dai paesi ricchi indebolisce la posizione degli immigrati sia
regolari, che vedono restringersi gli spazi di agibilità loro concessi, che
25 Courbage V., (1990), Effetti dell’emigrazione sui paesi della riva Sud del Mediterraneo, in Ancona G., a cura di, (1990), Migrazioni mediterranee e mercato del lavoro, Cacucci, Bari, p. 120. 26 Zuppi M., (2003), Finanza per lo sviluppo. L’importanza dell’economia informale e delle rimesse dei migranti, in “Inchiesta”, n. 142.
27
irregolari, la cui possibilità di accedere a canali di trasferimento monetario
regolari ed economici viene ristretta dal loro precario status giuridico.
Questo indebolisce ulteriormente la posizione dei migranti nel mercato del
lavoro e fa abbassare i loro livelli di reddito, e di conseguenza la parte di
salario che può essere risparmiata per spedirla a casa. Inoltre, l’irregolarità
nell’arrivo delle rimesse indebolisce sia il ruolo che la migrazione assume per
gli stati di provenienza, cioè quello di fonte importante di valuta estera per
garantire la restituzione delle rate del debito e, contemporaneamente, sia il
suo ruolo di attivazione, in maniera indiretta, dell’economia locale grazie
all’incremento della spesa, seppur non totalmente canalizzata verso
investimenti, ma per l’acquisto di beni di consumo o di status.
Alcuni autori pongono in evidenza che la valutazione degli effetti delle
migrazioni sulle zone di partenza può essere fatta anche a livello micro
prendendo in considerazione singole comunità27. In quest’ultimo caso, risulta
più facile valutare gli effetti dell’emigrazione sul mercato del lavoro in
termini di alleggerimento demografico, di miglioramenti delle condizioni
salariali e dell’effetto delle rimesse sulla struttura del reddito. Gli stesi autori
alla fine di un’attenta analisi dei vari lavori di ricerca disponibili su tale
argomento condotti a livello micro affermano che
“uno dei modi migliori per un paese di promuovere lo sviluppo locale attraverso
l’emigrazione è migliorare l’economia domestica attraverso il finanziamento di lavori
pubblici in infrastrutture che garantiranno un alto ritorno agli investimenti fatti dai
migranti nelle loro comunità di origine”28.
L’emigrazione, quindi, può essere un’occasione di sviluppo locale solo se è
inserita all’interno di un quadro più complessivo di investimenti pubblici e di
politiche di sviluppo. Un ultimo fattore da analizzare nello studio della
relazione tra sviluppo e movimenti migratori, in particolare nell’ottica di una
progressiva riduzione della pressione migratoria, riguarda l’incentivazione
della creazione di reti di scambi sempre più forti tra comunità di arrivo e di
partenza, attraverso il consolidamento delle cosiddette comunità
transnazionali29.
27 Massey D. et al., (1998), Worlds in motion, Clarendon Press, Oxford, p. 254. 28 Idem, pp. 273–274. 29 Portes A., (1998), Globalization from below: The Rise of Transnational Communities, in Smith W.P. and Korczenwicz R.P., eds., (1998), Latin America in the World Economy, Greenwood Press, Westport.
28
Queste comunità possono esistere solo se il migrante ha la possibilità di
creare dei flussi di risorse materiali e immateriali tali che possano creare un
ponte tra la comunità di arrivo e quella di partenza.
La possibilità di creazione di questi flussi dipende dalla posizione economica
e sociale in cui si trova il migrante nelle società di arrivo, in quanto se lo
stesso è situato in una posizione socialmente marginale, non ha risorse da
veicolare e non ha occasioni e mezzi per veicolarle, ragione per cui il
migrante deve essere integrato economicamente e socialmente nel paese di
accoglienza. Solo se i flussi creati tra le due comunità esistono e sono stabili
si consolida la comunità transnazionale, intesa come uno spazio variabile che
si crea tra la comunità di partenza e quella di arrivo e che può fungere da
ponte tra le stesse.
Questi spazi variabili possono essere utilizzati come volano per lo sviluppo
perché si può pensare di creare una sinergia tra i flussi di risorse veicolati
attraverso i canali delle comunità transnazionali e quelli della cooperazione,
al fine di arrivare all’elaborazione di progetti condivisi e presi in carico dai
beneficiari delle azioni di sviluppo.
LA CONFIGURAZIONE DELL’INTRECCIO TRA IL FENOMENO
MIGRATORIO ED I PROCESSI DI SVILUPPO NEL MEDITERRANEO
Nei paragrafi precedenti sono stati individuati gli elementi configuranti
l’intreccio tra migrazione e sviluppo ed i meccanismi di funzionamento di tale
intreccio; in questo paragrafo tale intreccio sarà illustrato per il bacino del
Mediterraneo. I movimenti migratori, al pari dei movimenti internazionali di
capitali e di merci, hanno conosciuto negli ultimi quarant’anni una forte
intensificazione. Si potrebbe affermare che solo in questi anni essi siano
divenuti un fenomeno realmente globale non tanto in termini numerici30, ma
perché ora essi interessano veramente tutte le popolazioni del mondo intero.
Si può notare che l’emigrazione dai paesi periferici stia crescendo mentre
quella dai paesi centrali si sta gradualmente riducendo, in modo particolare
si escludono dal conteggio i lavoratori del settore dei servizi avanzati ed i
turisti.
30 Anzi si deve sottolineare come il numero di persone interessate dalle migrazioni avvenute tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX secolo sia stato più elevato. Bade K. J., (2001), L’Europa in movimento, Editori Laterza, Roma.
29
La portata e l’importanza di tale crescita si possono dimostrare in modo
molto evidente in termini economici, attraverso il calcolo del livello delle
rimesse mandate dai migranti verso i paesi di origine, che per molti paesi
superano il livello dell’aiuto pubblico allo sviluppo ricevuto31.
Accanto a queste due tendenze (intensificazione e globalizzazione dei flussi
migratori), che secondo i due noti studiosi Castles e Miller32 caratterizzano la
fase odierna delle migrazioni, si deve sottolineare come le migrazioni si
caratterizzino anche per il loro crescente grado di regionalizzazione.
Con l’utilizzo del termine regionalizzazione si pone l’accento sul fatto che gli
attuali sistemi migratori sono caratterizzati da un serie di fenomeni di spinta
(push) e richiamo (pull), caratterizzati ad un livello sovraregionale, ma non
immediatamente globale33, che determinano l’orientamento dei percorsi
migratori. In altre parole non si emigra indiscriminatamente da un paese ad
un altro, ma vi sono una serie di legami che determinano, o quantomeno
indirizzano, seppure non in modo rigido, i movimenti migratori, cosicché i
flussi migratori, sono andati sempre più concentrandosi in un numero
ristretto di aree geografiche.
Questa compresenza di globalizzazione e regionalizzazione non è tipica solo
dei flussi migratori ma si presenta anche nel mercato globale delle merci,
dove insieme alla crescita dei flussi globali delle merci, si assiste alla
creazione di sistemi economici macroregionali (NAFTA, MERCOSUR, UE), che
sono a loro volta i nodi di sistemi economici più ampi: grosso modo il
continente americano per gli USA, l’Africa per l’U.E., e l’area del sud est
asiatico per il Giappone. Queste organizzazioni sovraregionali comportano la
creazione di una combinazione di aree di libero scambio all’interno e di
barriere verso l’esterno34. Partendo da queste brevi osservazioni si individua
quindi l’esistenza di un intreccio tra i processi di internazionalizzazione e di
interdipendenza economica, di cui i movimenti migratori sono un’espressione
molto importante.
31 Stanton Russel S., Teitelbaum M.S., (1992), Internationa migration and International trade, “World Bank discussion paper”, 160, World Bank, Washington D. C., p. 29. 32 Castles S., Miller M.J., (1993), The age of migration. International population movements in the modern world, The Guilford Press, New York, p. 8. 33 Questo avviene perché vi è la compresenza di legami storici, culturali, politici, economici, di vicinanza geografica, che influenzano in modo forte le decisioni migratorie in un senso più che in un altro, seguendo un percorso più che un altro. 34 Grilli E., (1994), Interdipendenze macroeconomiche Nord-Sud, Il Mulino, Bologna, p. 34.
30
Quest’intreccio può portare alla creazione di sistemi migratori regionali,
infatti le scelte dei singoli migranti si basano su delle reti migratorie che si
configurano come il frutto di un intreccio che si instaura tra paese di invio e
paese di arrivo dei flussi migratori e che assume sempre più una forma
stabile con il passare del tempo e il sedimentarsi dell’esperienza migratoria.
Questo avviene perché la creazione e/o l’esistenza di legami politici ed
economici, culturali, condizioni favorevoli, tra i paesi di arrivo e quelli di
partenza, può rafforzare o indebolire la costruzione di sistemi migratori a
base regionale. Nel bacino del Mediterraneo la combinazione dei processi di
mondializzazione, espansione e regionalizzazione, sia nel caso delle
interdipendenze economiche sia, in quello dei flussi migratori, assume un
peso ed una rilevanza sempre più crescente.
Cross, in un suo recente studio riguardante le migrazioni internazionali nel
contesto di una rapida globalizzazione delle economie, ha rilevato come nel
caso dei paesi dell’Europa meridionale e dei paesi nordafricani esista un
nesso tra i fenomeni di globalizzazione ed i movimenti migratori35. Si può
ipotizzare dunque che il Mediterraneo rappresenti un’area cruciale per la
comprensione e lo studio delle dinamiche migratorie mondiali e dell’intreccio
tra processi di sviluppo economico e migrazioni. Tali caratteristiche formano
gli elementi fondamentali sui quali il nostro oggetto di studio fonda i
meccanismi del suo funzionamento e formano il primo elemento del rapporto
tra emigrazione e sviluppo. Il dibattito storico sulle migrazioni internazionali,
l’osservazione empirica delle stesse e dei loro riflessi sulle economie dei
paesi di partenza, rileva che le migrazioni conoscono un aumento notevole in
un’economia mondiale fortemente integrata, mentre perdono la propria
incidenza in una situazione di forte chiusura e di disarticolazione del sistema
economico mondiale, come rilevato da Tapinos36. Questa correlazione tra
flussi migratori e l’interdipendenza economica dei paesi interessati da tali
flussi, introduce quello che è il secondo elemento fondamentale
dell’intreccio. I flussi migratori alla partenza interessano raramente i paesi
poveri e più periferici, ma, per la maggior parte, quei paesi che hanno già
avviato un processo di sviluppo e che sono integrati, o in via d’integrazione,
nel sistema economico mondiale.
35 Cfr. Cross M., (2000), Migration, economic integration and the European south, in Aa. Vv., (2000), Europa, migrazione e lavoro, Giuffrè editore, Milano. 36 Tapinos G., (1994), Regional economic integration and its effects on employment and migration, in OECD, (1994), Migration and development, OECD, Paris.
31
In queste condizioni, il fenomeno migratorio rappresenta, molte volte, una
strategia adottata dagli individui per sfuggire agli squilibri economici ed ai
guasti sociali provocati da tale integrazione e non una cosciente e pianificata
strategia di sviluppo adottata in maniera sistematica dai paesi di partenza
dei flussi migratori. Inoltre, l’atteggiamento di chiusura delle attuali politiche
migratorie dei paesi europei, nei confronti dei nuovi arrivati, costituisce un
ulteriore ostacolo all’adozione, da parte dei paesi di partenza dei flussi
migratori, di una politica organica di promozione dell’emigrazione, che
invece era molto diffusa nei due decenni che seguirono la seconda guerra
mondiale37.
Il tipo di politica adottata da questi paesi africani prevedeva la promozione
attiva dell’emigrazione attraverso piani di sviluppo nazionali nel tentativo di
ridurre le crescenti pressioni della disoccupazione e della sottoccupazione.
Questo prevedeva la sottoscrizione di accordi bilaterali attraverso i quali i
paesi di partenza potevano controllare l’emigrazione e selezionare gli
emigranti in base ai bisogni dell’economia nazionale e delle esigenze dello
sviluppo economico.
In questi anni la preoccupazione dei paesi d’invio di proteggere e/o
migliorare i livelli di professionalità all’interno del mercato del lavoro
nazionale si è manifestata principalmente in politiche e procedure elaborate
esplicitamente per governare la composizione dei flussi migratori. Lo stesso
interesse di questi paesi a promuovere la migrazione di ritorno generava la
priorità del reinserimento degli emigranti specializzati e intraprendenti. E’
tuttavia chiaro che, in generale, l’emigrazione non produsse alcun
significativo ritorno di lavoratori qualificati e motivati alle loro regioni di
provenienza, e di fatto portò spesso a perdite consistenti di personale
specializzato. Situazione questa che si può imputare, probabilmente, alle
insufficienze ed alle distorsioni dello sviluppo economico locale, ma che
comunque segnala una volontà di usare l’emigrazione come una risorsa per
lo sviluppo.
La chiusura delle frontiere da parte dei paesi europei, oltre a generare un
costante aumento di immigrati “non autorizzati” negli stessi paesi, segna
anche l’aumento delle difficoltà nell’usare, da parte dei paesi di partenza,
37 Fadloullah A., (1994), Les flux migratoires des pays du Sud vers l'Europe occidentale, in Cagiano de Azevedo R., a cura di, (1994), Migration et coopération au développement, études démographiques, "Direction des affaires sociales et économiques", n° 28, Edizioni del Consiglio d’Europa.
32
l’emigrazione come leva per lo sviluppo, oltre che come valvola di sfogo per
calmierare la pressione sul mercato del lavoro, aumentata anche per la
crescita del tasso di attività femminile.
A questo punto è importante introdurre quello che è l’ultimo elemento
dell’intreccio tra emigrazione e sviluppo, ma che è, forse, il più importante.
Esso è dato dalle politiche migratorie adottate dai paesi europei di arrivo dei
flussi migratori, che condizionano i flussi in questione sia nell’entità che nella
composizione. E’ chiaro che la politica di chiusura dell’Unione Europea inficia
l’emigrazione come leva per lo sviluppo in quanto essa rende più difficile
ogni programmazione dei flussi ed ogni programma di cooperazione tra i
paesi incentrato sulla questione migratoria. A conferma di ciò basta ricordare
che ogni sforzo dei paesi di partenza e in modo particolare dei paesi africani
nella questione migrazione è orientato ad attrarre la maggior quantità
possibile di valuta forte attraverso le rimesse dei migranti in Europa. Ciò
significa scoraggiare la migrazione di ritorno, i ricongiungimenti familiari e
l’abbandono di qualsiasi forma di programmazione e selezione
dell’emigrazione di manodopera.
In conclusione si può affermare che nel bacino del Mediterraneo i processi di
interdipendenza economica e di regionalizzazione che si sviluppano tra i
paesi europei ed i paesi della riva africana del Mediterraneo influenzano i
flussi migratori sia nella loro direzione e quantità sia nella loro composizione
e tempi di attuazione. In un secondo momento, gli stessi movimenti
migratori determinano un migliore adattamento dei futuri flussi alle realtà
socio-economiche dei paesi meta ed ai bisogni dei paesi di partenza,
svolgendo anche un qualche ruolo nello sviluppo degli stessi processi di
globalizzazione. In questo modo si configura un vero e proprio intreccio tra
questi ultimi ed i movimenti migratori che dà vita al sistema migratorio
Mediterraneo38. Ciò implica che, in ultima analisi, tale intreccio influenzi
anche le dinamiche dei processi di incorporazione della popolazione
immigrata nei paesi europei. Il noto economista Harris ha però rilevato una
profonda contraddizione tra i processi di globalizzazione ed i fenomeni
migratori, contraddizione che assegna ulteriori ed inedite caratteristiche agli
attuali flussi migratori rispetto alle fasi precedenti.
38 Zlotnik H., Empirical identification of international migration systems, in Kritz M., Lim L., Zlotnik H., International migration systems: a global approach, Clarendon Press, Oxford, 1992.
33
Tale contraddizione riguarda il fatto che mentre i processi di globalizzazione
delle merci e dei capitali hanno luogo in un contesto di crescente
liberalizzazione degli scambi e di abbattimento degli ostacoli alla loro libera
circolazione, i flussi migratori invece si svolgono in un contesto istituzionale
segnato da una crescente limitazione dei canali di ingresso legali della forza
lavoro immigrata.
Questa contraddizione fornisce una chiara spiegazione della forte
componente clandestina degli attuali flussi migratori in entrata nei paesi
europei. Queste considerazioni spingono a ritenere che nel breve e medio
termine i flussi migratori tra paesi europei e paesi nordafricani
continueranno ad avere luogo e probabilmente continueranno a crescere. Se
è vero che per l’integrazione economica i movimenti di persone sono
assimilabili ai movimenti degli altri fattori produttivi, allora le migrazioni
creano un’interdipendenza tra i paesi di invio e di arrivo dei flussi migratori
e, data la particolare natura dei flussi, questa interdipendenza non può
fermarsi alla sola struttura economica.
Questa interdipendenza implica che il governo di questi flussi e le occasioni
di sviluppo create dagli spostamenti di persone devono essere gestite sia dai
paesi di invio sia dai paesi meta dei flussi migratori ad un livello cooperativo
paritario. Inoltre, è il soggetto principale di tale interdipendenza, cioè il
migrante, la chiave di ogni intervento istituzionale sulla tematica delle
migrazioni.
Quindi, l’impiego dei migranti come agenti di sviluppo può avere luogo ed
essere efficace solo se esso viene incardinato in un quadro più ampio di
politiche di sviluppo e di cooperazione tra paesi di invio e di arrivo dei flussi
migratori.
Tali politiche dovrebbero essere centrate sulla costruzione di politiche sia
migratorie sia commerciali volte al sostegno del migrante e dei suoi progetti
di investimento nelle comunità di origine.
Infine, si rende necessaria l’attivazione di politiche di integrazione degli
stessi migranti nelle società dei paesi di arrivo, perché solo se l’immigrato è
integrato nella società di arrivo sarà in grado di svolgere quella funzione di
ponte tra la società di partenza e quella di arrivo necessaria al pieno
dispiegamento dell’azione di innovazione e di sviluppo delle sue risorse.
34
COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO DELLE ONG E MIGRAZIONE
Gli organismi di cooperazione allo sviluppo, e tra questi le ONG, si sono
confrontate con la questione migratoria solo nel passato recente.
Questo interesse si è sviluppato all'interno dell'evoluzione che le attività e i
progetti di cooperazione hanno avuto: i progetti di sviluppo locale
partecipato nei PVS erano accompagnati da attività di sensibilizzazione e di
educazione allo sviluppo dell'opinione pubblica in Europa, ma spesso, dal
punto di vista operativo, le attività erano separate.
Questo approccio generale si è in parte modificato con la cooperazione
decentrata e, in seconda battuta, con i progetti che vedono come attori
anche i migranti dei PVS (di cui quello all'interno del quale è stata sviluppata
la presente ricerca è un esempio).
Questi progetti vedono un ruolo sempre maggiore degli attori del sud in
termini di partecipazione e di concezione delle attività di sviluppo, e
alimentano e danno corpo ai processi di co-sviluppo all'interno di relazioni di
partenariato che si stanno costruendo tra i paesi del nord e del sud del
mondo, ed in specifico tra le due sponde del mediterraneo. In questa
dinamica i migranti possono dare un apporto importante per la
comprensione dei diversi punti di vista e priorità se sono inseriti
direttamente all'interno di attività di cooperazione, come beneficiari e, in
prospettiva, come agenti.
Se la migrazione è una perdita di risorse per i paesi e le comunità di
partenza, è probabilmente limitante immaginare di compensarla solo con le
rimesse39, ma è necessario pensare a dei processi di integrazione
transnazionale che permettano di avvicinare e di dare benefici reciprochi sia
al paese di partenza che a quello di accoglienza. Dal punto di vista operativo,
che è quello sul quale, in ultima analisi, si giudicano la rilevanza ed il
successo dei progetti di cooperazione, il migrante deve essere portatore di
legami nelle due realtà, all'interno di attività che considerino i bisogni e le
dinamiche dei paesi di partenza.
39 Che sono sicuramente importanti per le famiglie e per le bilance dei pagamenti dei paesi di partenza, ma che sono spesso utilizzate in settori non particolarmente produttivi ed innovativi.
35
Il radicamento del migrante nella comunità di origine è probabilmente uno
dei fattori determinanti della sua utilità e della sua efficacia strumentale per
l'accompagnamento e la facilitazione dei processi di sviluppo.
Per questo motivo è fondamentale coinvolgere i migranti in fase
d'identificazione delle attività di cooperazione e prevedere all'interno dei
progetti attività di riavvicinamento dei migranti alla loro comunità di origine.
Per le ong e per le associazioni che si occupano di cooperazione e di
solidarietà internazionale, l'implicazione dei migranti all'interno dei processi
di co-sviluppo può essere l'occasione per continuare ad avere una
conoscenza profonda, vissuta ed operativa, della realtà. Caratteristica questa
che da sempre ha contraddistinto le attività di cooperazione delle
associazioni.
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38
1.1.2. Il binomio cooperazione-immigrazione e le politiche di
co-sviluppo viste dal Marocco.
Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed Khachani,
Mohamed Nadif, Ahmed Zekri
LA COOPERAZIONE EURO-MEDITERRANEA ALL’INTERNO DI UN
APPROCCIO INTEGRATO
La questione migratoria, come ci ricorda Chris Patten, si colloca al centro del
progetto euro-mediterraneo dove i partner sono condannati dalla storia e
dalla geografia al vicinato strategico ed allo sviluppo solidale:
“Prima di tutto un dato certo: il presente ed il futuro dell’Unione Europea e dei paesi del
sud del Mediterraneo sono inestricabilmente legati”.
Questa dimensione geostrategica ci conferma che la reale risposta
all’immigrazione non è il controllo dei flussi, ma lo sviluppo anche se
quest’ultimo non costituisce effettivamente una alternativa ma come ci
ricorda Georges Tapinos:
“Lo sviluppo economico migliora la qualità di vita e rende l’emigrazione meno
vantaggiosa”.
Si tratta di una prospettiva a medio e lungo termine accompagnata da un
calo della pressione demografica, da un superamento dell’isolamento delle
zone più sottosviluppate e dai progressi dei servizi sociali (sanità,
educazione, ecc..).
I paesi firmatari della Dichiarazione di Barcellona riconoscono il ruolo
importante che rappresentano le migrazioni nelle loro relazioni e la necessità
di accrescere la loro cooperazione per ridurre la pressione migratoria.
E’ importante sottolineare come dopo Tampere, la Commissione Europea
abbia cominciato ad integrare differenti questioni direttamente legate alla
migrazione regolare e clandestina nella sua politica e nei suoi programmi di
cooperazione a lungo termine.
Un aiuto comunitario, diretto ed indiretto, è stato programmato per
sostenere gli sforzi dei paesi terzi generatori di flussi migratori per affrontare
i problemi della migrazione regolare e clandestina.
39
Il Consiglio europeo ha avallato questo approccio durante l’incontro di
Siviglia nel 2002, affermando che:
“un approccio integrato, globale ed equilibrato orientato ad affrontare le cause profonde
dell’immigrazione illegale debba rimanere l’obiettivo costante a lungo termine
dell’Unione Europea”.
Ha inoltre sottolineato in questo contesto che:
”l’intensificazione della cooperazione economica, lo sviluppo degli scambi commerciali,
l’aiuto allo sviluppo, così come la prevenzione dei conflitti, sono tutti degli strumenti per
favorire la prosperità economica dei paesi interessati e conseguentemente ridurre le
cause che stanno all’origine dei movimenti migratori”1.
Trattandosi della regione mediterranea ci si rende conto che il programma
regionale, concede un’attenzione particolare alla lotta contro la migrazione
clandestina ed alla lotta contro la criminalità organizzata ed in forma
specifica alle reti criminali di traffico ed alla tratta di esseri umani.
Per garantire coerenza alla politica comunitaria, è necessario valutare
sistematicamente i legami fra le differenti questioni legate alla migrazione ed
identificare i settori prioritari ed i temi trasversali della politica di
cooperazione prima di progettare le azioni da intraprendere. In questo
contesto, la creazione ed il mantenimento di posti di lavoro nei paesi in via
di sviluppo rappresenta il mezzo più efficace per rispondere al principale
fattore responsabile dei flussi migratori internazionali: la disoccupazione e
l’assenza di prospettive economiche. La Comunità Europea dovrebbe
garantire un nuovo slancio alla sua cooperazione con i paesi dell’area
mediterranea e progettare un approccio alla migrazione, che si inscriva in
una prospettiva di lungo termine ed in un’ottica di corresponsabilità storica e
che le permetta di contribuire alla promozione delle risorse umane nei paesi
di emigrazione, chiave del co-sviluppo solidale e duraturo, garantendo la
stabilità e la sicurezza reciproche. Da questo punto di vista, la questione
principale è quella di sapere in che misura il progetto euro-mediterraneo (la
zona di libero scambio) potrebbe permettere l’innesco di un processo di
convergenza economica (riduzione degli scarti di sviluppo che in questo
modo limiterebbero la spinta ad emigrare).
1 Conclusioni del Consiglio europeo di Siviglia, 21 e 22 giugno 2002.
40
L’integrazione di paesi come la Grecia, la Spagna ed il Portogallo all’interno
della U.E. aveva all’origine questa stessa problematica. I dati relativi a questi
paesi dimostrano una graduale tendenza significativa alla convergenza
economica. Questa graduale convergenza economica è stata accompagnata
da considerevoli apporti di capitale esterno, situazione ben diversa da quella
di paesi come il Marocco e gli altri paesi dell’area mediterranea. Le
conclusioni della quarta conferenza euro-mediterranea dei ministri degli
affari esteri (Marsiglia, 15-16 novembre 2000) confermano le suddette
affermazioni.
Facendo il bilancio dei componenti economici e commerciali i ministri hanno
constatato che il livello di investimento straniero (IDE), risultava essere
insufficiente per sostenere la crescita e stimolare l’offerta di partner, come
già lo avevano sottolineato le conclusioni della conferenza di Lisbona sugli
investimenti nel Mediterraneo (29 febbraio-1 marzo 2000). Questo livello
risulta sensibilmente al di sotto dei flussi di investimento che i paesi della
U.E. destinano ad altre regioni del mondo. Questa situazione è lungi dal
contribuire alla costituzione di uno spazio di prosperità condivisa nel
Mediterraneo secondo i termini della Dichiarazione di Barcellona.
Ragione per cui le conclusioni formali indirizzate dai ministri degli affari
esteri riunitisi a Marsiglia hanno sottolineato l’idea di privilegiare un
approccio globale ed equilibrato e di rafforzare le politiche di co-sviluppo.
E’ necessario constatare che fin dall’inizio è stato possibile rilevare uno
sfasamento fra i discorsi e le pratiche nel trattamento della questione
migratoria da parte della U.E.
Di fronte alla reticenza degli investitori stranieri, l’incitamento agli immigrati
ad investire nelle loro regioni d’origine, può risultare un’alternativa. Si tratta
di promuovere un nuovo approccio di co-sviluppo che si differenzia dal
progetto francese iniziale.
Il suddetto progetto è risultato erroneo nei suoi obiettivi perché si indirizzava
principalmente - se non esclusivamente - ai migranti in situazione irregolare,
lasciando fraintendere che l’obiettivo ricercato era la partenza di questi
immigrati. Sarebbe quindi più sensato allargare il progetto ai migranti
residenti in situazione regolare per eliminare l’effetto del sospetto che ha
fatto fallire le anteriori iniziative di aiuto al rientro e permettere allo stesso di
ispirare fiducia.
41
Bisogna ricordarsi a proposito di queste iniziative che la Francia con un
progetto del 1977, la Germania a partire dal 1972 ed i Paesi Bassi dopo il
1975 (programma REMPLOD in Marocco) hanno promosso una politica di
rientro degli immigrati verso i loro paesi di origine. Ma il bilancio che ne è
stato fatto verso la metà degli anni ottanta ha evidenziato dei risultati molto
modesti.
Nonostante le intenzioni inizialmente espresse questa politica non è stata
accettata dai marocchini in quanto la perdita di diritti sociali legata al rientro
era lungi dall’essere compensata dagli aiuti proposti.
Un trattamento razionale della questione migratoria richiede un nuovo
approccio che metta in evidenza i legami fra migrazione e sviluppo. In
Francia la missione interministeriale “Co-sviluppo e migrazioni internazionali”
affidata nel 1998 a Sami Naïr ha cercato percorsi innovativi proponendo ai
paesi firmatari di convenzioni di co-sviluppo una “mobilità controllata” che
permettesse ai beneficiari ed agli anziani immigrati in situazione regolare di
rientrare in Francia per effettuarvi degli stages (visto di circolazione).
In questo caso, l’aiuto ai progetti deve superare il semplice aiuto al rientro
tramite la crescita dell’aiuto finanziario, la creazione di sistemi finanziari e
decentralizzati ed il rafforzamento dei dispositivi di accompagnamento e
d’appoggio. Si tratta di “trasformare l’aiuto al rientro in aiuto al progetto”, di
stabilire delle relazioni di partenariato. I risultati non sono stati nemmeno in
questo caso all’altezza delle aspettative. Un anno dopo solo ventuno
contratti di reinserimento sono stati firmati2.
Questo fallimento ci invita a pensare ad altre formule più flessibili e meno
costrittive per l’immigrato ed interroga contemporaneamente sia i governi
dei paesi della U.E. che quelli dei paesi di origine.
La costituzione di una élite immigrata che interessa diversi spazi economici
nei paesi di accoglienza è una vantaggio per il Marocco. I giovani della
seconda o terza generazione, popolazione biculturale, potrebbero diventare
gli attori di legami di tipo nuovo fra i paesi di origine ed i paesi
d’accoglienza. Le competenze tecniche e professionali acquisite nei paesi di
accoglienza, l’importante potenziale di sviluppo presente nei paesi di origine,
le prospettive di creazione di attività nuove generatrici di impiego
rappresenteranno dei vantaggi importanti che meritano di essere valorizzati.
2 Vedi anche De Wenden C., (1999), Faut-il ouvrir les frontières?, Presses des Sciences Politiques, p. 100.
42
Gli investimenti così realizzati contribuirebbero attraverso i posti di lavoro
creati ad arginare l’ondata dei candidati all’emigrazione ed a soddisfare
almeno in parte l’offerta di lavoro addizionale, chiaramente all’interno di una
congiuntura caratterizzata da politiche migratorie restrittive successive alla
convenzione di applicazione degli accordi di Schengen (giugno 1990).
Tuttavia, conviene sottolineare che l’attaccamento affettivo e culturale di
questa élite non è sufficiente. Bisogna quindi cercare di appoggiarlo
attraverso degli incentivi di ordine economico e di creare un ambiente
adeguato per l’investimento. Conviene ricordarsi a questo proposito, che gli
investimenti degli immigrati marocchini si scontrano con le stesse
opportunità e con le stesse difficoltà di quelli dei residenti.
Facendo riferimento all’inchiesta realizzata da INSEA, solo il 24,4 per cento
degli immigrati che hanno investito in Marocco hanno dichiarato di aver
usufruito di vantaggi particolari durante la realizzazione dei loro progetti,
contro il 70,3 per cento di quelli che hanno investito nei paesi di residenza.
Disequilibrio che diventa imperativo correggere per incitare i migranti ad
investire nei loro paesi di origine.
Una situazione simile la riscontriamo per ciò che concerne gli ostacoli
incontrati durante gli investimenti, 48 per cento dei migranti dichiarano di
aver incontrato dei problemi durante la realizzazione dei loro progetti di
investimento in Marocco, contro il 29,9 per cento di quelli che hanno
investito nei paesi di residenza (il 22% non ha risposto).
I problemi riscontrati durante la realizzazione dei progetti di investimento
sono legati principalmente all’amministrazione (42,2%), al finanziamento
(18,4%), alla corruzione (13,4%), al sistema fiscale (13%), alla fiducia
(6,8%), ed all’accoglienza (3,8%).
Sono queste le difficoltà che il potere pubblico dovrebbe affrontare, ed esiste
una presa di coscienza in questa direzione come testimonia la creazione dei
Centri Regionali d’Investimento (sportello unico). La proposta di creare uno
sportello unico specialmente per i migranti è una soluzione idonea in quanto
eliminare i problemi legati all’investimento, aprirebbe delle prospettive
interessanti per l’investimento degli immigrati nel loro paese d’origine.
Questo approccio suppone una revisione da parte delle diverse istituzioni
della percezione del ruolo attuale e potenziale dei migranti. Questi ultimi
devono essere considerati come degli attori e dei partner che appoggiano gli
sforzi di sviluppo.
43
Possiamo immaginare uno scenario in cui l’imprenditorialità marocchina
immigrata parteciperebbe in una forma sostanziale all’investimento nel
paese d’origine e si integrerebbe nel processo di delocalizzazione che
caratterizza la globalizzazione dell’economia mondiale. A questo proposito è
interessante segnalare le pratiche dei migranti tunisini.
Mantenendo lo status legale e regolamentare dei migranti residenti nei paesi
d’accoglienza (permesso di soggiorno, copertura sociale, regime fiscale,
ecc..) riescono ad amministrare ed a controllare una rete di imprese, sia in
Tunisia che in Francia. Sviluppano delle “pratiche di circolazione molto
complesse fatte di soggiorni e viaggi ripetuti ed intermittenti fra i due spazi.
Sono in effetti dei residenti delle due rive”3.
Questo nuovo approccio considera il migrante come un vettore di sviluppo
della sua regione d’origine, e si articola intorno a tre componenti: (i) un
componente migrazione strutturato in funzione del profilo del migrante; (ii)
un componente aiuto al progetto (consulenze, finanziamenti); (iii) un
componente mobilità: una garanzia di circolazione fra il paese di origine e
quello di accoglienza.
Questo approccio si può manifestare anche in altro modo e procedere in una
logica partecipativa associando il paese d’origine - nel contesto di una
convenzione di partenariato - e tutti gli attori interessati: i migranti, le
associazioni di migranti e le comunità locali. Si tratta di forme di
cooperazione economica regionale gestite da ONG.
Costatando i limiti dello stato in questo campo le ONG sviluppano con
l’adesione della popolazione delle strategie parallele ai processi di sviluppo.
LA COOPERAZIONE FINANZIARIA
Il Programme Indicatif National MEDA (2000-2004) è lo strumento di
cooperazione finanziaria per un ammontare globale di 426 milioni di euro
che testimonia l’interesse, per la dimensione migratoria, nelle relazioni fra il
Marocco e la U.E.
3 Boubakri Hassan, (1996), « Opérateurs en réseaux entre le Maghreb et l'Europe: les entrepreneurs migrants tunisiens ». Conferenza mediterranea sulla popolazione, le migrazioni e lo sviluppo. Palma de Maiorca, 15-17 ottobre 1996.
44
Tabella 1.1 – Progetti relativi alla migrazione finanziati da MEDA
Importo Linea di
finanziamento Anni Azione Descrizione
70.000.000 B7-410 2002 2004
Development
Soutien au développement économique de régions sujettes à émigration telles que Province du Nord, soutien à la réintégration.
5.000.000 B7-410 2002 2004
Migration management
Organisation de l'émigration légale via la création d'un centre
des migrations.
40.000.000 B7-410 2002 2004
Fighting illegal
immigration
Lutte contre l'immigration illégale par le soutien à l'amélioration de
la gestion des contrôles aux frontières.
376.276 B7-667 2001 Fighting illegal
immigration
CGED-DPG (Spain): technical equipment and training for
border control, fighting illegal immigration and detection of
falsified documents.
1.500.000 B7-667 2001 Migration
management
AFD (France): development of the country of origin by
Moroccans residing in France and through rural tourism and the
creation of SME.
450.241 B7-667 2001 Migration
management
IntEnt (Netherlands): support to entrepreneurs of Moroccan origin residing in Europe in setting up economic activities in Morocco.
665.980 B7-667 2001 Fighting illegal
immigration
French National Police: concours financier et technique dans le cadre de la lutte contre les migrations clandestines.
1.055.315 B7-667 2002 Migration
management
IOM: Socio economic development of migration prone
areas.
889.316 B7-667 2002 Migration
management
COOPI (Italia): Il migrante Marocchino in Italia come agente
di sviluppo-cooperazione.
Fonte: Commissione della comunità europea. Comunicazione della commissione al Consiglio ed al Parlamento Europeo: Integrare le questioni legate alle migrazioni nelle relazioni dell’Unione Europea con i paesi terzi, Bruxelles, 3/12/2002.
Le voci più importanti si riferiscono a tre progetti (per un totale di 115
milioni di euro):
• Programma di appoggio istituzionale alla circolazione delle persone: 5
milioni di euro.
45
• Controllo delle frontiere orientato alla lotta contro l’emigrazione
clandestina tramite la fornitura dell’equipaggiamento e dell’assistenza
tecnica necessarie: 40 milioni di euro.
• Sviluppo delle province del Nord: 70 milioni di euro.
E’ necessario ad ogni modo ricordare che dei 630 milioni di euro destinati
finora da MEDA al Marocco, 228,25 milioni di euro (il 45% del totale) sono
stati utilizzati da differenti enti amministrativi marocchini per progetti che
presentavano una componente “Province del Nord”. L’interesse dell’Unione
Europea per le province del Nord si spiega in base al fatto che queste regioni
costituiscono sia un focolaio di emigrazione importante sia uno spazio di
transito per l’emigrazione clandestina subsahariana.
46
1.2. LE POLITICHE MIGRATORIE IN ITALIA ED IN MAROCCO
1.2.1. Le politiche migratorie in Italia. Una lettura critica
contestualizzata
Dario Tuorto
LA LEGISLAZIONE NAZIONALE
L’immigrazione in Italia, come negli altri paesi del Sud Europa, assume una
certa rilevanza solo a partire dagli anni ’80, quando l’entità dei flussi
comincia a diventare più consistente. Il fenomeno migratorio nel nostro
paese si è sviluppato in una sostanziale assenza di un quadro legislativo che
regolasse la materia (Pugliese e Macioti, 1991). Fino alla metà degli anni ’80
non esisteva una disciplina specifica ed autonoma in materia, se si esclude
l’attuazione di specifiche circolari. L’unico quadro di riferimento esistente era
il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931, risalente al periodo
fascista. Questo testo poneva l’attenzione esclusivamente sul controllo del
fenomeno migratorio, peraltro assai limitato in termini quantitativi, e sulla
tutela dell’ordine pubblico. Imponeva agli stranieri di presentarsi presso
l’autorità di Pubblica Sicurezza entro tre giorni dal loro ingresso sul territorio
nazionale per fare la dichiarazione di soggiorno. Obbligava il datore di lavoro
al momento dell’assunzione alle proprie dipendenze di un lavoratore
straniero (o di cessazione del rapporto stesso) di darne comunicazione
all’autorità di polizia entro un termine stabilito. A rendere più restrittive le
disposizioni in materia contribuiva poi la forte componente di discrezionalità
nell’applicazione delle misure di polizia.
Con la fine del regime fascista, nonostante l’entrata in vigore della Carta
Costituzionale, la gestione del fenomeno migratorio resta improntata alla
tutela della comunità nazionale e dell’ordine pubblico. La circolare più
importante dopo il Testo Unico risale al 1970, quando il Ministero degli Affari
Esteri delinea le “Norme per l’ingresso, il soggiorno ed il transito degli
stranieri in Italia”4.
4 Si tratta della circolare n. 007 del 28.12.1970.
47
Per entrare in Italia il cittadino straniero doveva essere in possesso di
passaporto o di visto d’ingresso rilasciato dalle autorità consolari competenti,
ma tali norme non riguardavano gli ingressi per studio e per lavoro.
La questione degli ingressi per lavoro era stata in precedenza affrontata con
la circolare del 1963 (“Norme per l’impiego in Italia dei lavoratori stranieri”),
che si proponeva il compito di riorganizzare la materia delle autorizzazioni.
L’autorizzazione per chiamata nominativa veniva rilasciata al datore di
lavoro, entro 30 giorni dalla richiesta – previa verifica di indisponibilità di
lavoratori nazionali idonei e disposti ad occupare il posto offerto – e doveva
poi essere corredata da un nulla-osta della Questura, successivo agli
accertamenti di pubblica sicurezza. La autorizzazione veniva poi inviata al
lavoratore ancora all’estero e gli consentiva di ottenere dalle autorità
consolari del paese di residenza un visto d’ingresso per entrare regolarmente
nel territorio nazionale. Negli anni successivi altre circolari invitavano gli
uffici provinciali del Lavoro ad adottare rigorosi controlli prima di rilasciare
l’autorizzazione al lavoro. In questa fase comincia a delinearsi il problema
degli ingressi irregolari, attraverso visti turistici. Molti immigrati, a causa di
un inefficace meccanismo di incontro tra domanda ed offerta e di una
inadeguata disciplina del collocamento al lavoro e di applicazioni poco
coerenti della normativa su permessi, autorizzazioni, controlli, non riuscivano
a collocarsi sul mercato del lavoro in modo regolare, andando così ad
allargare la fascia del lavoro nero.
Con la circolare emanata dal Ministero dell’Interno nel 1979 (“Disposizioni di
massima sull’ingresso e soggiorno degli stranieri in Italia”), che stabiliva il
decentramento delle competenze per la concessione delle autorizzazioni di
soggiorno, la politica d’immigrazione comincia già ad oscillare tra apertura e
chiusura, controllo rigido e periodiche possibilità di regolarizzazione.
Nel 1982, attraverso una serie di disposizioni del Ministero del Lavoro,
veniva favorita la regolarizzazione dei rapporti di lavoro per gli stranieri
entrati in Italia entro il 31.12.81.
Per avere l’autorizzazione scompare il vincolo dell’accertamento della
indisponibilità di lavoratori nazionali. Le uniche condizioni richieste erano il
possesso, da parte dell’immigrato, di un certificato di sana e robusta
costituzione, e, da parte del datore di lavoro, un deposito cauzionale del
biglietto aereo di ritorno al paese d’origine dello straniero.
48
Restava fuori da questa regolarizzazione chi era entrato regolarmente in
Italia per studio, turismo o attività formativa. Gli effetti di questo intervento
risultarono però scarsi. L’obiettivo dell’emersione delle condizioni di
irregolarità non fu raggiunto per i limiti stessi insiti nella disposizione.
L’accertamento della data di ingresso in Italia veniva infatti demandato alle
Questure senza alcun chiarimento sui mezzi idonei ad attestare la presenza
dello straniero alla data prescritta, favorendo quindi un uso discrezionale e
arbitrario del potere da parte dell’autorità di pubblica sicurezza.
Bisogna aspettare la normativa del 1986 per cominciare a registrare, anche
nel nostro paese, una effettiva regolamentazione del fenomeno
dell’immigrazione straniera. La legge n. 943/1986, prima vera e propria
legge in materia, contiene, a livello di enunciazione di principio, alcuni
fondamentali elementi di garanzia per i lavoratori extracomunitari, come i
diritti relativi all’uso dei servizi sociali e sanitari, al mantenimento
dell’identità culturale, alla scuola ed alla disponibilità dell’abitazione, al
ricongiungimento familiare, insomma tutti i diritti civili e sociali (non quelli
politici). Viene quindi promossa l’integrazione dello straniero mediante il
riconoscimento della parità tra lavoratori italiani ed immigrati. In realtà
questa normativa finisce per essere in gran parte disattesa per le difficoltà
che incontravano gli immigrati ad usufruirne, dato il gran numero di
condizioni richieste per regolarizzare la posizione (certificazione notarile,
passaporto in regola, disponibilità alla regolarizzazione da parte dei datori di
lavoro). La legge ha comunque rappresentato un passo in avanti rispetto alla
situazione precedente, per il carattere innovativo e per la dichiarazione di
intento di un più ampio inserimento (Pugliese e Macioti, 1991).
In base ai nuovi provvedimenti legislativi i beneficiari della parità di
trattamento e dell’uguaglianza di diritti sono tutti i lavoratori extracomunitari
residenti in Italia e le loro famiglie. Per lavoratore migrante viene inteso, in
conformità con la convenzione O.I.L. n. 143 del 1975, qualsiasi persona che
emigra o è emigrata da un paese ad un altro in vista di un’occupazione5.
5 Restavano esclusi dal campo di applicazione i lavoratori frontalieri, i marittimi, gli stranieri occupati temporaneamente presso organizzazioni o imprese operanti in Italia e tenuti a lasciare il paese a lavoro ultimato, gli stranieri occupati in istituzioni di diritto internazionale, gli artisti e lavoratori dello spettacolo, gli stranieri ospiti per motivi di studio o di formazione professionale.
49
L’ingresso in Italia per motivi di lavoro di extracomunitari è ammesso in
presenza del visto rilasciato dall’autorità consolare sulla base
dell’autorizzazione al lavoro concessa dal competente ufficio provinciale del
lavoro e della massima occupazione.
Non viene comunque prevista una vera e propria programmazione, ma solo
una disciplina degli accessi, caso per caso, in relazione alle disponibilità
occupazionali di volta in volta manifestatesi. E’ assente anche una disciplina
specifica dell’espulsione, genericamente rimessa ai principi di pubblica
sicurezza. Accanto all’integrazione, il secondo asse portante della legge
punta sul controllo delle nuove migrazioni e sul blocco delle immigrazioni
clandestine, prevedendo il rimpatrio e le sanzioni nei confronti di chi compia
attività di intermediazione e o movimenti illeciti o clandestini o che
impieghino i lavoratori stranieri in condizioni illegali.
Con la legge 943/1986, s’inaugura la serie delle regolarizzazioni a sanatoria.
La sanatoria prevede che tutti i presenti per motivi di lavoro (e capaci di
dimostrarlo) prima del 31 dicembre 1986 fossero regolarizzati. Viene esclusa
ogni forma di punibilità per illeciti pregressi in presenza della positiva
volontà degli interessati, sia lavoratori che datori di lavoro, di consentire
l’emersione del fenomeno immigratorio clandestino. Per effetto dei dispositivi
di regolarizzazione del lavoro dipendente circa 100 mila immigrati
regolarizzano la loro posizione. Un numero limitato, sia in ragione
dell’esclusione dalla sanatoria dei lavoratori autonomi che della difficoltà nel
convincere i datori di lavoro (che assumono in nero) a procedere alla
denuncia dell’avvenuta assunzione (Pugliese-Macioti, 1991, p. 17, 44).
Alla fine degli anni ‘80 il governo italiano si rende conto in maniera più
precisa dell’entità del fenomeno, e, cerca di dettare una disciplina più ampia
della precedente, nel tentativo di ricomprendere in un corpus unitario la
regolamentazione del fenomeno immigratorio extracomunitario. La nota
legge 28 febbraio 1990, n. 39, cd. Martelli disciplina sia il riconoscimento
dello status di rifugiato che l’ingresso in Italia di cittadini extracomunitari per
qualsiasi ragione, non limitatamente cioè ai motivi occupazionali. E’ previsto
che tutti gli stranieri possano entrare in Italia per motivi di turismo, studio,
lavoro subordinato o autonomo, cura, familiari e di culto.
Il tentativo di un’effettiva programmazione dei flussi migratori per ragioni di
lavoro si fa più serio.
50
Vengono previsti decreti interministeriali a cadenza annuale che tengono
conto sia dell’economia nazionale che delle effettive disponibilità finanziarie,
delle strutture amministrative volte ad assicurare adeguata accoglienza,
delle richieste di soggiorno per lavoro di cittadini extracomunitari già
presenti sul territorio nazionale per altri motivi e di quelli già iscritti nelle
liste di collocamento. Con l’entrata in vigore della legge i decreti di
programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro subiscono un
mutamento.
Si riconosce in primo luogo la priorità dell’inserimento socio-economico degli
immigrati extracomunitari muniti di permesso di soggiorno ancora
disoccupati, consentendo l’ingresso soltanto ai richiedenti lo status di
rifugiati, ai familiari ed agli extracomunitari chiamati ed autorizzati
nominativamente a soggiornare per motivi di lavoro (P. Munari, 1998). La
legge Martelli prevede due tipi di “filtro” per l’accesso in Italia di
extracomunitari: il primo direttamente alla frontiera, dove è valutata la
regolarità dei documenti e l’insussistenza di cause ostative. Il secondo
presso la questura del luogo di dimora, ove l’autorità decide se rilasciare il
permesso di soggiorno, in relazione ai motivi dell’ingresso in Italia,
stabilendone anche la durata. Altra novità è l’introduzione, nell’ordinamento,
della specifica procedura dell’espulsione del cittadino extracomunitario, che
aggiorna le norme precedenti sul soggiorno e sull’espulsione degli stranieri,
risalenti al regio decreto del 1931. Anche la legge 39/1990 ripropone la
procedura della sanatoria. Per la regolarizzazione non viene più richiesta la
capacità di dimostrare di avere un lavoro dipendente come condizione. Si
ammette che una larga parte di immigrati arriva in Italia per ragioni legate
alle vicende dei paesi di origine. Si fa anche riferimento a ragioni di asilo
politico. Le condizione per trarre profitto dalla sanatoria sono quindi meno
limitative. Nonostante ciò i regolarizzati non superano di molto le 200mila
unità, lasciando fuori un ampia fetta di immigrati. Si configura quindi una
situazione in cui prevale un doppio trattamento: massima apertura per i
regolarizzati, chiusura per chi arriva successivamente (Pugliese, Macisti,
1991). La legge dispone una limitazione drastica degli ingressi, anche dei
visti turistici, mentre la prosecuzione dell’immigrazione per motivi di lavoro
viene subordinata alla programmazione dei flussi.
51
Dopo cinque anni, ad aggiornare il quadro legislativo interviene il decreto
legge 18 novembre 1995, n. 489, che va a disciplinare alcuni aspetti
specifici: i flussi d’ingresso per lavori stagionali, le procedure di ingresso e di
soggiorno, le espulsioni, il ricongiungimento con i familiari. In particolare, la
materia delle espulsioni registra un importante cambiamento. Oltre la
ridefinizione delle diverse ipotesi di reato che rendono obbligatoria
l’allontanamento dal territorio nazionale, il decreto legge sottrae, in molti
casi, la competenza dal giudice amministrativo a quello penale,
configurando, in questo senso, un’importante inversione di tendenza su una
questione che negli anni diventerà sempre più significativa.
La necessità di definire un quadro normativo generale porta alla legge n. 40
del 6 marzo 1998, conosciuta come legge Turco-Napolitano, poi confluita nel
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico sull’immigrazione),
che rappresenta il provvedimento di più ampia portata per disciplinare
l’immigrazione. Questa legge si prefigge tre obiettivi principali: a)
contrastare l’immigrazione clandestina e lo sfruttamento criminale dei flussi
migratori; b) realizzare una politica di ingressi legali limitati, programmati e
regolati; c) avviare percorsi di integrazione per i nuovi immigrati legali e per
gli stranieri già regolarmente soggiornanti in Italia.
La normativa si propone, in particolare, di disciplinare le modalità di ingresso
e di controllo alle frontiere, il respingimento e le espulsioni, le norme di
contrasto delle organizzazioni criminali che gestiscono l’immigrazione
clandestina. Per garantire maggiormente l’immigrazione legale vengono
previsti strumenti come la carta di soggiorno, il diritto a salvaguardare la
propria famiglia o a costruirne una nuova, il riconoscimento di diritti di
cittadinanza nel campo della salute, dell’istruzione, dei servizi sociali, della
rappresentanza politica. Nella legge è posta particolare attenzione allo
sviluppo di un sistema di accordi di cooperazione e di specifica
collaborazione in materia di immigrazione con i paesi di maggior provenienza
del flusso migratorio, così come ad un impegno sistematico di adeguamento
delle strutture amministrative ai compiti loro affidati dalla nuova legge, ad
una più ampia collaborazione con gli enti locali e con le Regioni, cui spetta
un ruolo determinante specie per la realizzazione di una politica
dell’accoglienza, dell’integrazione e dei diritti. L’aspetto più innovativo della
legge 40 è l’introduzione, nei due primi anni di effettiva applicazione, della
figura dello sponsor.
52
Secondo questa nuova disposizione, il datore di lavoro italiano può chiamare
il lavoratore all'estero e la sua richiesta è accolta dal governo solo se non
risulta già superata la quota flussi. In base al decreto vengono accettate
circa 15.000 sponsorizzazioni per il 2000 e altre 15.000 per il 2001, a fronte
di una richiesta che supera di dieci volte il tetto massimo fissato per i
permessi. Se da un lato la disposizione, come mostrano alcuni studi locali, si
è dimostrata efficace nel favorire l’inserimento lavorativo degli immigrati,
dall’altro la quota di ingressi con contratto (e quindi attraverso sponsor)
finisce per rappresentare solo una parte minoritaria degli ingressi.
Altra novità introdotta dalla legge è la costituzione dei Centri di permanenza
temporanea (CPT), strutture gestite dall’Amministrazione dell’interno e
finalizzate al trattenimento degli immigrati privi di permesso di soggiorno,
quando è impossibile procedere con la necessaria immediatezza
all’esecuzione dell’espulsione o del respingimento. La permanenza nei CPT si
configura come una misura di custodia (non penitenziaria) provvisoria, della
durata massima di 30 giorni.
Per concludere, il provvedimento più recente ed attualmente in vigore, la
legge n. 189/2002 o legge Bossi-Fini, rivede radicalmente la legislazione
italiana sugli stranieri. L’obiettivo di questa legge è realizzare un intervento
ampio e organico sui principali testi legislativi concernenti gli stranieri
provenienti dai paesi non appartenenti all’Unione Europea (il testo unico 25
Luglio 1998, n° 286 ed il decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416),
proponendosi, essenzialmente, di migliorare la disciplina dei flussi migratori
e di contrastare l’immigrazione clandestina.
La linea guida del nuovo intervento normativo è quella di giustificare
l’ingresso e la permanenza sul territorio nazionale dello straniero per
soggiorni duraturi solo in relazione all’effettivo svolgimento di un’attività
lavorativa sicura e lecita, di carattere temporaneo o di elevata durata. In
tale prospettiva viene prevista la nuova figura del contratto di soggiorno per
lavoro, caratterizzato dalla prestazione, da parte del datore di lavoro, di una
garanzia di adeguata sistemazione abitativa per il lavoratore straniero
nonché dall’impegno assunto dallo stesso datore di lavoro al pagamento
delle spese del rientro del lavoratore medesimo. Tale contratto diviene
requisito essenziale per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di
lavoro.
53
Il permesso, della durata massima di due anni, è rinnovabile altri due, in
caso di accertamento della continuazione del rapporto e della regolarità della
posizione contributiva del lavoratore straniero. Per ciò che concerne le quote
di ingresso legate al lavoro, la decisione viene subordinata a decreti infra-
annuali basati sull’effettiva richiesta di lavoro. Con la nuova legge decade
quindi l’istituto dello sponsor, ritenuto non adeguato a garantire un reale
inserimento occupazionale. Collegando il contratto lavorativo ad un impegno
del datore di lavoro nei confronti del lavoratore e dello Stato, la legge si
propone di inserire l’immigrato in un circuito di legalità, riducendo quindi i
rischi di eventuali tentativi di reclutamento della criminalità.
E’ stato però osservato, da più parti, come questa disposizione renda più
difficile il mantenimento della condizione legale del soggiorno, soprattutto
per quanti svolgano occupazioni saltuarie che non si configurano come
rapporti di lavoro subordinati (oltre che, naturalmente, per quanti abbiano
rapporti di lavoro in nero). Essendo i permessi di soggiorno strettamente
legati al lavoro, se un immigrato perde il suo posto prima della scadenza del
permesso di soggiorno, ha al massimo 6 mesi per trovarsi un’altra
occupazione prima del decreto di espulsione, mentre in precedenza poteva
restare in Italia iscritto al collocamento fino a 12 mesi dopo la scadenza del
vecchio permesso. Un ulteriore complicazione è data dal rifiuto di accettare
autocertificazioni nella dimostrazione delle fonti di reddito. Se la legge
abolisce l’istituto dello sponsor, allo stesso tempo mantiene il meccanismo di
ingresso mediante autorizzazione dell’assunzione dall’estero, con tutte le
difficoltà connesse all’incontro a distanza tra domanda ed offerta6.
Con l’adozione del contratto di soggiorno la legge ha disposto una procedura
di regolarizzazione o emersione degli immigrati irregolari presenti in Italia
(d.l. 9 settembre 2002, n. 195, poi convertito in legge 9 ottobre 2002, n.
222). Si tratta sostanzialmente di una forma di sanatoria che deve fungere
da correttivo in corso d’opera. Alla sanatoria di collaboratori e “badanti”
(persone che assistono soggetti portatori di handicap) si sono aggiunti
successivamente i lavoratori extracomunitari che hanno svolto un lavoro nei
tre mesi antecedenti all’entrata in vigore della legge. La disciplina della
sanatoria è diventata così unica per tutti i lavoratori.
6 Come è stato osservato, l’incontro a distanza tra domanda ed offerta rappresenta una procedura assolutamente inverosimile, date le difficoltà dei Centri per l’Impiego di effettuare un monitoraggio del mercato del lavoro persino a livello provinciale (intervista a Marco Paggi).
54
Per i collaboratori domestici viene mantenuta la limitazione di una sola
possibile regolarizzazione per ogni nucleo familiare; per i rapporti di
assistenza alla persona non vi sono invece limiti numerici, ma è prevista la
presentazione di una certificazione medica della patologia o handicap del
componente della famiglia alla cui assistenza è destinato il lavoratore.
La dichiarazione di emersione, compiuta dal datore di lavoro, consente al
lavoratore di rimanere sul territorio nazionale fino a quando il procedimento
non è terminato ed al datore di lavoro di non essere punito per la violazione
delle norme sul soggiorno ed il lavoro.
Se la questura accerta la mancanza di motivi ostativi e la prefettura
considera ammissibile la dichiarazione, la prefettura invita le parti (datore di
lavoro e lavoratore) a presentarsi per stipulare il contratto di soggiorno e per
il contestuale rilascio del permesso di soggiorno. Tra i motivi ostativi al
rilascio del permesso di soggiorno la legge prevede l’insussistenza a carico
del prestatore d’opera straniero di provvedimenti di espulsione adottati per
motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno, di
segnalazioni ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato, di
denunce anche senza accertamento penale.
Altro aspetto importante della legge riguarda le procedure di espulsione. Il
contrasto dell’immigrazione clandestina deve avvenire innanzitutto prima
dell’ingresso, attraverso la vigilanza che consente l’impiego di navi militari,
in ausilio a quelle del normale servizio di polizia al fine di fermare
imbarcazioni sospette.
Per quanto riguarda l’espulsione degli stranieri già presenti in Italia, la legge
aggiunge ai motivi tradizionali di respingimento alla frontiera (minaccia per
l’ordine pubblico), quello di aver riportato una condanna per vari reati per i
quali è previsto l’arresto. In sostituzione delle disposizioni precedenti che
ricorrevano esclusivamente ad un provvedimento preventivo di intimazione a
lasciare il territorio dello stato (entro 15 giorni), viene prevista l’immediata
operatività dell’espulsione dell’irregolare, con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica anche se sottoposto ad impugnativa
da parte dello straniero7.
7 Le conseguenze di questo automatismo in alcuni casi sono ben facilmente immaginabili. Ad esempio i ricercati per reati politici in paesi “a rischio” in quanto a condizioni di detenzione e rispetto dei diritti umani, vedono negata la richiesta di rimanere in Italia e vengono espatriati con grave rischio per la loro incolumità.
55
L’espulsione con accompagnamento alla frontiera diviene la regola ordinaria
e l’intimazione rimane solo per alcuni limitati casi di mancato rinnovo del
permesso di soggiorno, assistita comunque dalla possibilità del trattenimento
presso i Centri di permanenza temporanea qualora sia rilevato un pericolo di
fuga. Questa permanenza viene portata da trenta ad un massimo di
sessanta giorni, entro i quali si prevede di provvedere al riconoscimento
della quasi totalità dei trattenuti. La norma sulle espulsioni prevede inoltre
che lo straniero entrato illegalmente in Italia e detenuto in via definitiva con
una pena, anche residua, di due anni, sia espulso in via alternativa alla
rimanente pena da scontare. In caso di rientro illegale la detenzione in
carcere è ripristinata ed aumentata da 2 a 4 anni.
Il periodo di divieto di reingresso per gli espulsi è portato a 10 anni (dai 5
della legge precedente). Dal punto di vista dei rapporti internazionali con le
nazioni di provenienza degli immigrati, la legge introduce alcune norme
nuove che innovano la legislazione vigente. Ad esempio vengono adottate
disposizioni che consentono al Governo di tenere conto, nell’elaborazione dei
programmi bilaterali di cooperazione ed aiuto nei paesi terzi (interventi non
di carattere umanitario), della collaborazione prestata da questi paesi in
materia di immigrazione e su materie quali il contrasto nei confronti dello
sfruttamento criminale dell’immigrazione clandestina, della prostituzione, del
traffico di stupefacenti ed armamenti, ma anche la prevenzione e
repressione dei flussi migratori illegali tout court (controllo sul rientro in
Italia dei cittadini già espulsi). Altra novità introdotta nell’ambito delle
relazioni internazionali è la costituzione di un “Comitato per il coordinamento
e il monitoraggio delle disposizioni del testo unico”, con ampi poteri in
termini di organizzazione dei controlli alle frontiere e repressione delle
immigrazioni clandestine. La legge prevede poi una razionalizzazione dei
ricongiungimenti familiari, eliminando la possibilità per lo straniero di
ricorrervi per i parenti entro il terzo grado, riducendo la possibilità del
ricongiungimento familiare al coniuge ed ai figli minori e subordinando la
possibilità di ricongiungimento del genitore a carico all’impossibilità di altro
sostegno nel paese di origine.
Infine viene affrontata la questione dei richiedenti asilo. Le novità principali
sono tre: il decentramento a livello provinciale della Commissione per il
riconoscimento del diritto d'asilo; il trattenimento obbligatorio dei richiedenti
asilo che si trovano in condizioni, rispetto al soggiorno, tali da determinare la
56
loro espulsione; la cancellazione dell'effetto sospensivo automatico del
ricorso contro una decisione negativa della Commissione, nei casi in cui si
applichi il trattenimento obbligatorio. In attesa di una disciplina organica a
livello europeo, il disegno di legge si limita ad alcune norme procedurali, che
confermano l’orientamento generale restrittivo dell’intera impalcatura
legislativa. In primo luogo, si propone di correggere l’obbligatorietà della
concessione del permesso di soggiorno contenuto nell’articolo 1 della legge
Martelli per risolvere il problema costituito dalle domande di asilo
strumentali, ossia presentate al solo scopo di sfuggire all’esecuzione di un
provvedimento di allontanamento ormai imminente.
A differenza della legge Martelli, che imponeva la sospensione del
provvedimento e la concessione di un permesso di soggiorno provvisorio, la
disciplina introdotta instaura, per le domande ritenute manifestamente
infondate, una “procedura semplificata” in grado di concludere l’esame delle
domande entro i tempi previsti per il trattenimento nei Centri di
identificazione (CID) nel caso di irregolari o clandestini, e nei Centri di
permanenza temporanei (CPT) se espulsi o respinti (Nascimbene, Corriere
giuridico n, 4).
57
1.2.2. Le politiche migratorie in Marocco – una lettura critica
contestualizzata
Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed Khachani,
Mohamed Nadif, Ahmed Zekri
LA QUESTIONE MIGRATORIA NEGLI ACCORDI EURO-MAROCCHINI
Una riflessione approfondita sulle politiche migratorie in Marocco non può
prescindere dall’analisi sia della questione migratoria negli accordi euro-
marocchini sia della politica migratoria interna del Marocco. Nelle differenti
generazioni di accordi conclusi fra Marocco ed UE l’attenzione al fenomeno
migratorio è stata crescente.
Le prime generazioni di accordi
Il primo accordo, quello firmato nel 1969, non faceva riferimento alcuno alla
questione migratoria, ignorando questa importante dimensione sociale nelle
relazioni fra i due partner. Il secondo accordo, firmato nell’aprile del 1976,
appartenente alla seconda generazione degli accordi euro-marocchini,
implicava oltre che i componenti commerciali ed industriali, un componente
sociale relativo alla questione dei lavoratori marocchini. In effetti, l’accordo
non aggiungeva nulla rispetto agli accordi bilaterali conclusi dal Marocco con
diversi paesi europei, ma confermava un certo numero di diritti riconosciuti
al lavoratore marocchino:
• Il diritto del trasferimento delle pensioni e dei sussidi d’invalidità o di
morte in Marocco.
• Il pagamento degli assegni familiari per i membri della famiglia.
• La cumulabilità dei versamenti assicurativi eseguiti all’interno dei
differenti paesi membri.
L’accordo associativo con l’Unione Europea
Questo accordo, firmato nel febbraio del 1996, appartiene alla terza
generazione di accordi euro-marocchini, e consolida le acquisizioni degli
accordi precedenti riproducendo però la logica di sicurezza e di controllo dei
58
flussi migratori della convenzione di Schengen. In questo accordo
associativo, la questione migratoria è trattata nel titolo VI (Cooperazione
sociale e culturale). Tre capitoli su quattro ed otto articoli su dieci si
riferiscono ai lavoratori marocchini nel paese d’accoglienza, trattano delle
disposizioni applicabili ai lavoratori immigrati ed ai membri delle loro famiglie
in materia di condizioni di lavoro e di sicurezza sociale, di lotta contro
l’immigrazione clandestina e delle azioni e programmi sociali prioritari per
ridurre la pressione migratoria dal Marocco.
L’articolo 64 dell’accordo garantisce ai lavoratori di nazionalità marocchina
ed alle loro famiglie gli stessi diritti lavorativi e di assistenza sociale dei
cittadini dei paesi firmatari:
“Ogni stato membro concede ai lavoratori di nazionalità marocchina occupati sul suo
territorio un trattamento caratterizzato dall’assenza di ogni tipo di discriminazione,
basata sulla nazionalità, in relazione ai propri cittadini, in riferimento alle condizioni di
lavoro, di retribuzione e di licenziamento”.
Queste disposizioni sono ugualmente applicabili ai lavoratori a titolo
temporaneo “in relazione alle condizioni di lavoro e di retribuzione”
(Paragrafo 2 dell’articolo 64).
Tutto sommato, l’accordo di associazione non ha eliminato la diversità
d’approccio alla questione migratoria fra il Marocco ed i suoi partner europei.
In ogni caso degli spazi di concertazione sono stati creati per approfondire
differenti aspetti della questione migratoria.
Con questo proposito, il Comitato di Associazione ha creato un gruppo di
lavoro “Affari sociali e migrazione”. Il lavoro di questo gruppo ha permesso
di esaminare gli aspetti legati alla migrazione legale, in forma specifica
l’uguaglianza di trattamento in campo lavorativo, di sicurezza sociale, di
formazione continua e di condizioni abitative oltre ai differenti aspetti legati
all’integrazione sociale dei migranti legali.
Prendendo in considerazione gli strumenti di lotta contro l’emigrazione
clandestina, le analisi di questo gruppo di lavoro hanno confermato
l’importanza di un approccio globale ed integrato al fenomeno migratorio ed
hanno sottolineato come la cooperazione in questo ambito debba riferirsi in
forma simultanea e coerente al rafforzamento dei controlli delle frontiere,
alla promozione di progetti di cooperazione economica nelle regioni a forte
potenziale migratorio ed alla promozione del sistema delle quote.
59
Questa concertazione si è concretizzata attraverso:
• L’implementazione di un progetto di gestione del controllo frontaliero.
Con questo obiettivo, una missione di esperti si è recata in Marocco per
valutare “la dimensione dell’impegno che spetta alle autorità marocchine
in materia di lotta contro la migrazione clandestina”.
• L’altro progetto si riferisce all’appoggio alla Agence Nationale pour la
Promotion de l’Emploi e des Competénces (ANAPEC), organismo
nazionale incaricato della gestione della migrazione lavorativa. Questo
progetto ha come componenti principali, la formazione, l’informazione, e
l’elaborazione di un sistema di monitoraggio dell’offerta e della domanda
di lavoro che contribuirebbe ad una migliore gestione della migrazione
legale.
Il piano d’azione speciale
Su proposta del governo olandese, il Consiglio Europeo di Vienna aveva
ratificato nel 1998 la creazione del “Groupe de Haut Niveau Asile et
Migration”. Questo gruppo ha elaborato un piano d’azione speciale per il
Marocco. Questo piano fa parte di una progettualità più ampia che coinvolge
altri 5 paesi: Irak, Albania, Afganistan, Somalia e Sri Lanka.
La selezione di questi paesi è legata al fatto che costituiscono dei focolai
importanti di emigrazione e/o dei focolai di tensione originata da guerre civili
per ragioni etniche o religiose generanti flussi di rifugiati in direzione della
Unione Europea. Questa scelta ha come obiettivo di sottoporre questi paesi
ad un “esame clinico” in modo da elaborare delle proposte destinate a
interrompere i flussi migratori provenienti da questi focolai e ad espellere
verso questi paesi gli emigrati irregolari e quelli che non hanno ottenuto lo
status di rifugiati in Europa. Questo piano consacra un approccio alla
migrazione basato sulla sicurezza, si articola in 18 provvedimenti ed
enfatizza in forma specifica gli aspetti di sicurezza e di prevenzione della
migrazione clandestina. Le sue componenti principali sono: (i) lotta contro le
reti della migrazione clandestina; (ii) implementazione effettiva degli accordi
di espulsione e rientro esistenti; (iii) firma di nuovi accordi di espulsione e
rientro; (iv) valutazione del traffico di esseri umani originari dell’area
subsahariana con destinazione Unione Europea; (v) ripristino per il Marocco
di un sistema di visti in relazione ad alcuni paesi africani: Senegal, Mali,
60
RDC, Costa d’Avorio, Guinea (Conakry), Nigeria; (vi) invio di ufficiali di
contatto nei principali aeroporti, in modo da migliorare i controlli nelle aree
di imbarco,….
Tutti provvedimenti destinati a far svolgere al Marocco il ruolo di poliziotto
d’Europa8. Questo piano che non risponde alle preoccupazioni marocchine e
manifesta una mancanza di concertazione nelle relazioni della U.E. con i
paesi terzi ha suscitato una prima reazione durante la visita del 2 e 3 ottobre
del 2000 del Groupe de Haut Niveau Asile et Migration in Marocco. La
posizione marocchina, contenuta nella « Déclaration du Royaume du
Maroc », è stata presentata alla prima sessione del Comitato di Associazione
fra il Marocco e la UE il 9 ottobre del 2000 in Lussemburgo. In questo
documento il Marocco critica l’approccio della questione migratoria “ancora
troppo dominato da aspetti legati al discorso della sicurezza” a scapito delle
considerazioni socio-economiche. Nonostante le critiche espresse, sembra
poi che questo piano abbia ispirato la legge 02-03 relativa all’entrata ed al
soggiorno degli stranieri nel Regno del Marocco, all’emigrazione ed
immigrazione irregolari.
LA POLITICA MIGRATORIA IN MAROCCO
Complessivamente, l’attitudine dei diversi governi rispetto a questo
fenomeno sembra rispondere a tre principi:
• Mantenimento del flusso migratorio come meccanismo di regolazione del
mercato del lavoro.
• Consolidamento dei legami umani e culturali degli immigrati con il paese
d’origine.
• Promozione dei trasferimenti di divisa. Questi ultimi costituiscono la
principale fonte di divisa per il paese (circa 36 miliardi di dirham nel
2002).
Nel frattempo ed a seconda della congiuntura, il potere pubblico ha
manifestato il suo interesse per la questione migratoria. Questo interesse è
qui analizzato rispetto a due livelli: quello giuridico e quello istituzionale.
8 Belguendouz A., (2003), Le Maroc non africain. Gendarme de l'Europe?, Imprimerie Beni Snassen, Salé, Maroc.
61
Gli interventi istituzionali
A partire dal 1990, l’interesse istituzionale per la questione migratoria si è
concretizzato nella creazione il 31 luglio dello stesso anno, di un Ministero
delegato presso il Primo Ministro, incaricato degli Affari della Comunità
Marocchina Residente all’Estero. L’obiettivo di questa iniziativa era di
centralizzare la gestione di questa tematica che in quell’epoca era suddivisa
fra vari dipartimenti. Con l’appoggio di un’adeguata strategia comunicativa,
un lavoro di base è stato svolto e parecchi progetti sono stati messi in
cantiere (programmi in ambito socio-educativo, socio-religioso e socio-
culturale); l’obiettivo era quello di ricucire il cordone ombelicale fra il
Marocco ed i suoi cittadini residenti all’estero.
Ma cinque anni dopo, nel febbraio del 1995, in seguito al rimpasto
ministeriale del governo Filali II, questo interesse sembrava attenuarsi. Il
dipartimento incaricato di questa tematica era un sotto segretariato di Stato
presso il Ministro degli Affari Esteri e non del Primo Ministro. Due anni e
mezzo più tardi, in seguito al rimpasto ministeriale del 13 agosto del 1997
(governo Filali III) questo dipartimento fu sciolto e le sue competenze
trasferite al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione.
La stessa sorte è toccata alla rappresentanza parlamentare della comunità
marocchina all’estero.
Durante la legislazione 1984-1992, cinque circoscrizioni sono state istituite
per designare dei rappresentanti di questa comunità: due per la Francia, una
per Parigi e la Regione Nord ed una per Lione e la Regione Sud, un deputato
per rappresentare i marocchini del Belgio, dell’Olanda, della Germania e dei
paesi scandinavi, un rappresentante per la comunità marocchina residente
nel mondo arabo e infine un rappresentante di uno spazio molto più vasto
che comprendeva non solo la Spagna, il Portogallo, l’Inghilterra e l’Italia ma
anche tutto il continente asiatico e americano ed i paesi subsahariani.
Non si è trattato sicuramente di una esperienza molto felice a causa sia della
mancanza di trasparenza che della impossibilità di mantenere contatti fra
aree così vaste. Questa considerazione, che fra l’altro risulta valida anche
per le circoscrizioni interne al paese, non dovrebbe essere sufficiente per
giustificare l’abrogazione di questa rappresentatività della comunità
marocchina residente all’estero.
62
Questa regressione politica si accompagna con un paradosso in quanto nei
parlamenti di un certo numero di paesi d’accoglienza: l’Olanda, il Québec, il
Belgio, la Regione di Bruxelles, siedono ormai dei deputati di origine
marocchina.
Questi deputati che hanno la doppia nazionalità sono eleggibili nel loro paese
d’accoglienza e possono dare risonanza alla voce dei loro compatrioti mentre
questa possibilità non è più loro offerta all’interno delle due camere del
parlamento marocchino9. Questa espulsione della comunità marocchina
residente all’estero è stata ratificata dal governo dell’avvicendamento: il
gabinetto designato il 14 marzo del 1998 non attribuiva nessuno dei 41
dipartimenti ministeriali a questa comunità. Un calcolo semplicistico rivela
una ratio di 725.000 abitanti per dipartimento, situazione che avrebbe
giustificato facilmente un dipartimento ministeriale per occuparsi dei 2,25
milioni di marocchini residenti all’estero.
Quel governo è stato interrogato su questa defezione nella fattispecie da dei
rappresentanti delle associazioni della comunità marocchina all’estero. Delle
timide reazioni si sono quindi registrate, quali la creazione di una
commissione ministeriale composta da 15 ministri che ha designato un
comitato tecnico che avrebbe dovuto prendere in considerazione le differenti
problematiche relazionate alla questione migratoria, nella fattispecie
l’emigrazione clandestina ed il mantenimento dei diritti ed interessi dei
residenti marocchini all’estero10.
E’ stato necessario attendere il nuovo governo diretto dal Primo Ministro
Driss Jettou per rimediare a questa deficienza istituzionale e creare un
dipartimento ministeriale (Ministero delegato presso il Ministro degli Affari
Esteri incaricato della Comunità Marocchina Residente all’Estero).
In effetti, questa iniziativa ristabilisce la dimensione politica della questione
migratoria, anche se sarebbe stato auspicabile delegare questo Ministero
presso il Primo Ministro.
9 Alcuni, come Mr. Azzimane, Presidente delegato della Fondazione Hassan II per i marocchini residenti all’estero, considerano che la istituzione di un « Consiglio superiore dell’Immigrazione » potrebbe essere una soluzione percorribile per garantire rappresentatività a questo gruppo sociale. Un Consiglio superiore è “una formula interessante che non è mai stata implementata in Marocco, ma che si è utilizzata in paesi europei come la Spagna ed il Portogallo nell’epoca in cui erano aree di forte emigrazione ». Intervista al Mr. Azzimane su “La Vie économique”. 10 Non ci risulta che questa Commissione cosi come il Comitato dalla stessa creato abbiano prodotto un bilancio concreto delle attività da loro svolte.
63
Questo statuto avrebbe potuto garantire un maggior peso a questa
istituzione fornendole risorse umane e materiali che le avrebbero permesso
di espletare correttamente le sue funzioni.
La situazione inoltre è ulteriormente complessa in quanto la gestione della
questione migratoria in Marocco risulta ancora dispersa fra diversi
dipartimenti: il Ministero dell’Interno, il Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione, il Ministero del Lavoro, degli Affari Sociali e della Solidarietà
oltre alla fondazione Hassan II ed alla Fondazione Mohammed V.
Questa molteplicità di attori interessati aggrava lo spinoso problema del
coordinamento fra le diverse istanze, da cui nasce l’interesse di avere un
ministero forte con delle funzioni e delle prerogative che gli permetterebbero
di coordinare ed eventualmente di dirimere le difficoltà fra gli attori in gioco.
Il Ministero ha pubblicato un documento, approvato dal Consiglio dei Ministri
il 13 marzo del 2003, all’interno del quale definisce la sua strategia sulla
questione migratoria11.
Il programma d’azione a medio termine di questa strategia persegue i
seguenti obiettivi:
• Facilitare le condizioni di investimento in partenariato con gli organismi
interessati in particolare con i Centri Regionali di Investimento (CRI).
• Incitare le banche marocchine ad investire i crediti ed i depositi della
comunità marocchina residente all’estero ed a concedere loro dei prestiti
a tassi preferenziali.
• Stimolare i programmi di partenariato con i rappresentanti della società
civile, le organizzazioni non governative e gli organismi internazionali
specializzati nella realizzazione di progetti a favore della comunità
marocchina residente all’estero.
• Assicurare il monitoraggio dei progetti di investimento degli immigrati
marocchini in stretta collaborazione con esperti economici.
• Creare una banca dati sulle competenze scientifiche e tecniche attive
all’estero incitandole ad integrarsi nel tessuto economico nazionale.
• Promuovere l’immagine del Marocco e delle sue potenzialità economiche
presso i circoli dei decisori nei paesi d’accoglienza della comunità
marocchina residente all’estero.
11 Si veda Ministre déléguée auprès du Ministre des Affaires Etrangères et de la Coopération Chargée de la Communauté Marocaine Résidant à l’Etranger (2003), La politique du gouvernement Jettou en direction des MRE, Document de stratégie, marzo.
64
Questi obiettivi sono sicuramente ambiziosi. Ma in assenza di risorse umane
e materiali orientate all’accompagnamento di questo processo, sarà difficile
raggiungerli.
Inoltre, è importante segnalare che in seguito alle pressioni esercitate
dall’Unione Europea, l’anno 2003 è stato caratterizzato dall’adozione di una
“strategia nazionale di lotta contro l’emigrazione clandestina”.
Questa strategia si basa su due componenti:
(i) una componente istituzionale rappresentata dalla creazione
dell’“Osservatorio nazionale della Migrazione” e soprattutto della
“Direzione della migrazione e del controllo delle frontiere”. Questa
Direzione ha istituito sette delegazioni regionali per coprire le prefetture
e province identificate come principali focolai di emigrazione: Tanger,
Tétouan, Al Hoceima, Nador, Oujda, Larache e Laâyoune. La Direzione
ha inoltre creato dei comitati locali nelle altre regioni interessate dal
fenomeno, incaricati della raccolta e trasmissione dei dati relativi
all’emigrazione.
(ii) La seconda componente è di ordine giuridico ed è rappresentata dalla
legge 02-03 relativa all’ingresso ed al soggiorno degli stranieri nel
Regno del Marocco, all’emigrazione ed all’immigrazione irregolari.
La legge 02-03 relativa all’ingresso ed al soggiorno di stranieri nel
Regno del Marocco, all’emigrazione ed all’immigrazione irregolari12
In Marocco, la legislazione relativa tanto all’emigrazione marocchina quanto
all’ingresso ed al soggiorno degli stranieri in Marocco è anacronistica, risale
al epoca del Protettorato.
Fino all’adozione della legge 02-03, il dahir13 che serviva da riferimento
giuridico per le infrazioni in materia di emigrazione clandestina era quello del
6 novembre del 1949. L’aggiornamento delle leggi in vigore sulla materia è
risultato essere quindi una necessità imprescindibile. Così, un progetto di
legge, preparato da anni, è stato finalmente adottato dal Consiglio del
Governo giovedì 16 gennaio 2003 e sottomesso al Parlamento.
12 Vedi Bulletin Officiel del 13 novembre 2003 13 Decreto del Re del Marocco
65
Il “progetto di legge 02-03 relativo all’ingresso ed al soggiorno degli stranieri
nel Regno del Marocco14, all’emigrazione ed all’immigrazione irregolari” era
orientato a riempire un vuoto ed a rispondere ad una nuova situazione,
quella che vede il Marocco diventare lo snodo ed una destinazione sempre
più privilegiata dai migranti provenienti da altri paesi maghrebini e sub-
sahariani, una tappa nell’attesa del presunto eldorado europeo. Un transito
che in molti casi si trasforma in un soggiorno forzato in condizioni difficili.
In effetti, le difficoltà che implica l’attraversata dello stretto di Gibilterra,
trasformano il Marocco ed in particolare le regioni del nord, del nord-est e le
province del Sahara, in scalo permanente dei migranti sub-sahariani.
Solamente nella città di Oudja, 3017 clandestini sono stati arrestati nel 2002
rispetto ai 2151 del 2001, a Nador circa 2000 sono stati catturati nel 2002.
Ispirato direttamente alle leggi francesi (all’ordinanza del 2 novembre 1945
relativa al diritto di ingresso e di soggiorno degli stranieri in Francia), questo
testo di 58 articoli si struttura in 8 capitoli suddivisi in tre titoli, il primo
tratta «Dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri in Marocco», il secondo
definisce le «Disposizioni penali relative all’emigrazione ed all’immigrazione
irregolari» ed il terzo si riferisce alle «Disposizioni transitorie». Questa
legge, come già sottolineato nella sua presentazione, ha per obiettivo:
• L’unificazione e l’aggiornamento dei testi legislativi e della normativa
riferiti a questo argomento.
• La codificazione dei delitti, infrazioni e delle sanzioni legate ai tentativi
di emigrazione clandestina ed al traffico di clandestini attraverso una
precisa categorizzazione penale.
• La razionalizzazione delle modalità e dei criteri di soggiorno nel regno.
• L’armonizzazione delle pene previste con le disposizioni del Codice
penale.
• Permettere al Marocco di conformarsi alle convenzioni internazionali
relative agli obblighi e diritti dei migranti e degli stranieri residenti, e di
assumere integralmente i suoi impegni nei confronti dei principali
partner, nella fattispecie per ciò che concerne la lotta contro la
migrazione clandestina transfrontaliera, nella sua doppia componente
nazionale e straniera.
14 Khachani Mohamed, (2004), Loi 02-03 relative à l’entrée et au séjour des étrangers au Royaume du Maroc, Rapport Social, in pubblicazione.
66
Questa legge definisce le condizioni di accesso al paese, disciplina i requisiti
e le procedure per ottenere il permesso di soggiorno ed i casi in cui questo
permesso può essere rimesso in discussione. Questa situazione si verifica
quando le autorità dispongono di informazioni o vengono a conoscenza di
fatti che permettono loro di considerare che le condizioni necessarie al
soggiorno dello straniero non sono soddisfatte, nella fattispecie nel caso
possa rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale ed
internazionale. Sono ad ogni modo garantiti agli stranieri dei canali per
appellarsi contro queste decisioni.
Questo progetto legislativo conferisce inoltre all’amministrazione il potere di
procedere al ritiro del permesso di soggiorno, o di pronunciare, in base ad
una decisione motivata, l’espulsione di un residente straniero ed il suo
riaccompagnamento alla frontiera. L’amministrazione può inoltre
pronunciarsi per la interdizione dal territorio nazionale, sentenza contro la
quale l’interessato può presentare un ricorso presso le istanze giudiziarie.
La legge sanziona duramente il delitto di traffico di migranti clandestini.
Multe e pene che vanno dai 10 a 15 anni di carcere sono previste per coloro
che organizzano o facilitano questo traffico. Le pene possono arrivare ai 15 o
20 anni di carcere se il traffico genera una inabilità nel migrante ed
all’ergastolo se ne causa la morte (articolo 51).
Se da una parte l’elaborazione di questo progetto di legge rappresenta
indiscutibilmente un progresso sul piano della cultura giuridica in Marocco,
dall’altra il contenuto di questo testo solleva seri interrogativi.
Questo progetto di legge che sembra rispondere, almeno in parte, a delle
pressioni esterne si inserisce all’interno di una congiuntura internazionale e
regionale che privilegia la dimensione della sicurezza a scapito di quella dei
diritti umani. L’enfasi sulla dimensione della sicurezza di questo progetto di
legge è ben evidente in diversi articoli che si riferiscono alle misure da
prendere in caso di minaccia della sicurezza o dell’ordine pubblico. Questa
idea è espressa in forma ricorrente negli articoli 4, 16, 17, 21, 25, 27, 35,
40 e 42.
Ciò che rende problematica l’applicazione di questa legge è il fatto che la
nozione di ordine pubblico risulta ambigua in quanto non ne è data nessuna
definizione precisa; situazione questa che può portare ad una interpretazione
arbitraria del concetto e quindi a degli abusi.
67
Questa enfasi sulla sicurezza si collega a quello che succede nei paesi
dell’Unione Europea, dove si assiste ad una abbondante produzione di leggi
repressive sulla migrazione. Sembra paradossale quindi che il Marocco,
paese di emigrazione, si inserisca all’interno di questa stessa logica e non
difenda piuttosto come ha sempre fatto un approccio globale che
indiscutibilmente risulta il mezzo più efficace per arrestare il fenomeno della
migrazione clandestina.
Inoltre, adottando questa legislazione, il Marocco rompe con una tradizione
di accoglienza che lo caratterizzava da secoli ed intacca delle relazioni
privilegiate che manteneva in particolare con certi paesi africani.
Pare che in questo modo il Marocco voglia dimostrare la sua buona volontà,
in vista del raggiungimento dello “status di partner privilegiato” dell’Unione
Europea.
Sembra che questa strategia stia cominciando a dare i suoi risultati. In base
alle statistiche fornite dal Ministero dell’Interno, le autorità interessate hanno
potuto smantellare 1200 reti specializzate nel traffico di esseri umani e
procedere all’arresto di 65.000 emigranti clandestini15 e noleggiare dei
charter per ricondurre dagli aeroporti di Nador, Oujda e Fez ai loro paesi di
origine centinaia di migranti subsahariani.
Un accordo, firmato nel novembre del 2003 dai Ministri dell’Interno del
Marocco e della Spagna e ratificato a Marrakech in dicembre durante il
summit Marocco-Spagna, ha stabilito una collaborazione transfrontaliera per
lottare contro l’emigrazione clandestina sotto forma di “pattugliamenti misti”
coinvolgenti agenti marocchini e spagnoli, che saranno operativi fra le due
rive dello Stretto di Gibilterra.
In questo modo, il Marocco inserisce la sua azione all’interno della strategia
europea che focalizza i suoi sforzi sulla logica della sicurezza, quando il
fenomeno della migrazione clandestina non può essere sradicato che
all’interno di un approccio globale orientato allo sviluppo delle regioni
produttrici di flussi migratori.
15 Vedi La Gazette du Maroc, N° 347, dal 22 al 28 dicembre 2003.
68
1.3. ESPERIENZE DI VALORIZZAZIONE DEGLI IMMIGRATI
MAROCCHINI COME AGENTI DI SVILUPPO 1.3.1. Il contesto marocchino
Meriem Afellat, Maddalena Spada
INTRODUZIONE
L’obiettivo di questo lavoro è dimostrare come il binomio migrazione e
sviluppo si concretizza nei programmi delle ONG e delle istituzioni marocchine
e straniere.
Per rispondere a questa domanda è necessario analizzare se le ONG e le
istituzioni vedono la migrazione come un fattore generatore di sviluppo e, se
la risposta è positiva, in che modo possono creare il suddetto sviluppo.
La volontà di legare migrazione e sviluppo è a priori di grande interesse. Trae
spunto da diverse dinamiche quali: le rivendicazioni degli immigrati ad essere
riconosciuti come attori di sviluppo, l’accento posto sullo sviluppo locale, la
decentralizzazione e la conseguente crescita dei poteri locali, l’intervento
delle associazioni di migranti a sostegno dello sviluppo dei loro villaggi e delle
loro regioni, le pratiche di partenariato delle associazioni di solidarietà
internazionale e dei collettivi locali nella cooperazione decentralizzata.
Per analizzare la relazione fra migrazione e sviluppo nei programmi e nelle
azioni degli attori interessati, è importante tornare indietro nel tempo e fare
riferimento alla storia della migrazione ed alle politiche migratorie che l’hanno
accompagnata, facendo allusione all’evolversi della situazione economica del
mondo.
Come ci ricorda Mohamed Charef la migrazione marocchina è un fenomeno
complesso ed in costante evoluzione:
“ Lo spazio geografico e cronologico all’interno del quale si sviluppano gli emigrati
marocchini non è immutabile, si tratta di uno spazio complesso, risultato di storie
antiche e di nuove opportunità. Dipendendo dall’altro, è soggetto a riassestamenti
permanenti ed evolutivi in funzione delle politiche migratorie. Inoltre, l’emigrato
69
marocchino ha una percezione scissa dello spazio, egli appare come lacerato fra quello
d’origine e quelli d’accoglienza”16.
Nella letteratura si sottolinea come questa circolazione nello spazio obblighi il
migrante a mettere in discussione il suo ruolo nella società di partenza e
d’arrivo, come sostengono Mohamed Charef :
“ La circolazione incessante fra il Marocco ed i paesi d’immigrazione, il mantenere una
doppia residenza “qui” e “laggiù”, l’importanza dei trasferimenti di denaro, la crescita
delle naturalizzazioni, l’emergenza di un emigrato-immigrato cittadino trasnazionale,
lasciano supporre la nascita di una doppia idealizzazione sociologica”; 17
e Abdelmalake Sayad:
“L’immigrato è atopos, senza luogo, profugo, inclassificabile. Ne cittadino ne straniero,
ne realmente dal lato di se, ne completamente dal lato dell’altro, si colloca in quel luogo
“bastardo” di cui parla anche Platone, la frontiera dell’essere e del non essere sociale.
L’immigrato obbliga a ripensare da cima a fondo la questione dei fondamenti legittimi
della cittadinanza e della relazione fra il cittadino e lo Stato, la Nazione o la nazionalità,
che diventa sempre più importante amplificandosi con il tempo».18
Queste nuove dinamiche collocano i migranti sull’interfaccia fra le diverse
civilizzazioni, all’interno di una doppia idealizzazione ma anche di una doppia
assenza del luogo di origine e del luogo di arrivo; i migranti si sentono quindi
lacerati fra due culture quella d’accoglienza e quella d’origine.
Per rimediare alle sue sofferenze, l’emigrato è spinto a creare un nuovo
spazio identitario. Il modo in cui è concepito questo spazio dipende dalle
possibilità d’integrazione offerte nel paese d’arrivo, e collega sempre il paese
di partenza con quelli d’arrivo. Gli attori impegnati in processi di sviluppo si
chiedono quindi se sia possibile valorizzare ed in base a che processi, questo
nuovo spazio identitario nella cooperazione fra i paesi (“Possono i migranti
rispondere a questa doppia idealizzazione sociologica attraverso la
cooperazione?”).Questo studio consiste quindi nel presentare le risposte
fornite a questa domanda dalle ONG e dalle istituzioni che lavorano sulla
problematica migratoria in Marocco.
16 Charef Mohamed (1999), La circulation migratoire marocaine: un pont entre les deux rives, Contact, Agadir, p 312. 17 Idem, p 312. 18 Sayad Abdelmalake, (1999), La double absence. Des illusions de l’émigré aux souffrances de l’immigré, Libre, Seuil, Paris.
70
La maggior parte delle associazioni e delle istituzioni concordano sul fatto che
la migrazione può generare sviluppo, ma la visione delle modalità attraverso
le quali è possibile realizzarlo differiscono: la migrazione può generare uno
sviluppo sociale o piuttosto economico, può indirizzarsi solamente al Marocco
o anche ai paesi Europei dove può essere uno strumento di sensibilizzazione
rispetto al pericolo della migrazione clandestina?
All’interno dei quadri complessi ed articolati dei programmi delle associazioni
e delle istituzioni abbiamo identificato tre diversi approcci relativi al binomio
migrazione/sviluppo:
• L’approccio delle associazioni fondate da migranti in Francia (presentate
nel paragrafo 1 attraverso l’analisi di tre casi: Migration &
Développement, Immigration Développement et Démocratie e
l’Association Tifawin.
• L’approccio delle istituzioni marocchine ed europee (presentato nel
paragrafo 2 attraverso l’analisi della Fondation Hassan II per i marocchini
residenti all’estero, il Ministero della comunità marocchina residente
all’estero presso il Ministero degli Affari Esteri, Bamke Al Amal e IntEnt,
fondazione del governo olandese.
• L’approccio delle associazioni locali (presentato nel paragrafo 3
attraverso l’analisi dell’ Association des Amis et Familles des Victimes de
l’Immigration Clandestine, AFVIC)
L’APPROCCIO DELLE ASSOCIAZIONI FONDATE DA MIGRANTI IN
FRANCIA: IL MIGRANTE COME VETTORE DI INNOVAZIONE SOCIALE
Migration et Développement, Immigration Développement et Démocratie e
Tifawin sono le ONG franco-marocchine prese in considerazione nel nostro
studio. Dopo una breve presentazione della storia delle tre associazioni e dei
loro programmi, identificheremo la visione di queste tre associazioni rispetto
al binomio migrazione e sviluppo.
Immigration Développement et Démocratie (IDD) è stata creata in Francia
grazie all’iniziativa di Abdellah Zniber in seguito al suo primo rientro in
Marocco nel 1995 dopo 20 anni di assenza.
Per rifare conoscenza con il suo paese natale, Zniber organizza un viaggio
che lo conduce nell’Alto Atlas, nei villaggi isolati, dove si rende conto dello
stato di disorganizzazione della popolazione, soprattutto della gioventù.
71
I bambini sono sprovvisti di libri e quaderni, ai rari visitatori chiedono
addirittura delle penne. Colpito dalla situazione, decide di promuovere dei
rapporti con il Marocco, di contribuire al suo sviluppo.
Al ritorno promuove un dibattito all’interno dell’Association des Travailleurs
Maghrébins en France (l’ATMF). I soci dell’ATMF si rendono così conto che fra
di loro vi erano già degli individui originari dello stesso villaggio o regione che
raccoglievano insieme dei fondi per aiutare il loro villaggio a realizzare dei
progetti di sviluppo e degli altri che facevano la carità inviando vestiti e
materiali19. Con il fine di meglio organizzare questi sforzi i militanti dell’ATMF,
che sono lavoratori marocchini generalmente impiegati nell’industria
automobilistica, nell’insegnamento, nei collettivi pubblici, nelle associazioni
(dove svolgono anche funzioni di quadri medi e superiori) hanno deciso di
creare nel 1999 a Parigi IDD.
Migration et Développement (M&D) è stata creata nel 1986 da un immigrato
marocchino di nome Jamal Lahoussain che aveva lasciato il suo villaggio
Taliouine nel 1970 per emigrare in Francia ad Argentière-la-Bessée, piccola
citta sviluppatasi intorno alla fabbrica Péchiney. Jamal si dedica alla vita
associativa e sindacale, impara il francese e se ne serve per svolgere una
funzione di intermediario fra francesi e marocchini. Nel 1980 è nominato
delegato sindacale della fabbrica Péchiney.
La politica francese di nazionalizzazione del 1982/1983 porta alla chiusura di
alcune fabbriche, ed alla riduzione del personale impiegato. Alcuni dei
lavoratori licenziati ricevono degli aiuti per la creazione di piccole imprese. Ma
le prospettive per 50 immigrati non sono chiare: 26 marocchini, 20 algerini e
8 tunisini hanno deciso di rientrare al loro paese d’origine. Jamal si batte
affinché i loro progetti siano finanziati, ma il finanziamento per questo aiuto
al rientro si scontra con il rifiuto della direzione di Péchiney. Jamal lotta allora
per i diritti dei suoi compagni ed il conflitto si risolve a loro favore.
I lavoratori marocchini rientrati nella loro regione d’origine (Taroudant) si
trovano ad affrontare le difficoltà di una reinserzione in questa zona dell’Anti-
Atlas dove le condizioni di vita sono rimaste invariate da secoli. Si rendono
conto quindi che la loro partenza aveva ulteriormente impoverito la regione,
area dove bisogna sottrarre tutto al deserto.
19 Daoud Zakya, (2003), Travailleurs marocains en France, mémoire restituée, Editions Tarik, pp. 139-141.
72
Gli emigrati considerano allora che il rientro al villaggio d’origine debba
rappresentare per loro un nuovo inizio. Coscienti dei limiti degli interventi
statali, coinvolgono gli abitanti della zona sviluppando un’azione solidale per
riuscire a dare vita al loro villaggio. E così che Migration et Développement è
stata fondata nel 1986 a Marsiglia, da dei migranti originari di quella regione
in appoggio a questo sforzo.
L’idea per la creazione dell’associazione Tifawin è sorta da una associazione
francese d’Angers chiamata Crepuscule.
Crepuscule è stata creata nel 1994 da un gruppo misto di Francesi e di
giovani maghrebini: Marocchini, Algerini e Tunisini.
L’associazione ha come obiettivo quello di aiutare i giovani maghrebini in
difficoltà nei quartieri di Angers dove esiste un livello di disoccupazione e di
delinquenza molto alto, per valorizzare le loro capacità e la ricchezza della
loro diversità culturale.
In collaborazione con le istituzioni pubbliche, quali le scuole ed i comuni, i
membri dell’associazione hanno cominciato a promuovere mostre di prodotti
artigianali maghrebini e ad organizzare conferenze sulla storia del Maghreb
favorendo all’interno di queste attività spazi di dialogo per promuovere
un’immagine positiva dei maghrebini, diversa da quella di persone mal
integrate e sempre in difficoltà.
In un secondo momento i giovani marocchini membri di Crepuscule hanno
pensato di promuovere dei progetti nelle tre regioni del Maghreb; ed è in
questa occasione nel settembre del 2000 che Tifawin è stata fondata da
giovani originari del villaggio di Ait Aiyate20.
Le tre associazioni create da migranti marocchini in Francia concordano sul
fatto che il migrante è un agente di sviluppo di grande importanza sia in
Europa che in Marocco. Per diventare dei veri attori di sviluppo nel loro paese
d’origine, gli emigrati marocchini hanno inizialmente lottato per acquisire il
diritto di cittadinanza nei paesi di accoglienza: associandosi in organizzazioni
sindacali per difendere i diritti dei lavoratori; lottando per una migliore
integrazione nelle società di accoglienza; valorizzando l’immagine degli
emigrati e rivendicando il riconoscimento della loro identità culturale.
20 Comunicazione personale di Melle Chadia Arab, membro fondatrice dell’associazione Tifawin.
73
La lotta per il suddetto riconoscimento è stata promossa all’interno di
associazioni attive nel campo sociale, culturale, religioso con lo scopo di
consolidare gli aspetti identitari nello spirito dei giovani marocchini residenti
all’estero.
Le associazioni hanno realizzato delle campagne e dei programmi di
sensibilizzazione diretti ai marocchini residenti all’estero, in forma specifica
per quelli di terza e quarta generazione in modo da insegnare loro i valori
autentici dell’Islam quali la tolleranza, la solidarietà e la convivenza pacifica,
proteggendoli così da ogni corrente estremista21.
La missione essenziale di queste associazioni è quindi la difesa degli interessi
degli emigrati marocchini all’estero e la loro integrazione nei paesi di
accoglienza22.
Riconosciuti cittadini nelle società d’accoglienza, i marocchini residenti
all’estero hanno pensato di impegnarsi anche nei loro paesi d’origine come
attori di sviluppo non solamente nei termini del trasferimento di soldi ma
anche di competenze, di know how (imprenditorialità, iniziative, rigore e
professionalità nel lavoro)23 e di cultura. Fra i progetti promossi all’interno di
questa logica da M&D, IDD e Tifawin vi sono quelli in ambito sanitario, di
educazione non formale, di elettrificazione ed idraulica rurali, di edificazione
di strade, di hammam rurali di alta qualità ambientale, d’integrazione delle
donne nello sviluppo locale, ed di rafforzamento della vita associativa nei
villaggi. Alcune istituzioni marocchine come la fondazione Mohamed V per la
solidarietà, la fondazione Hassan II per i marocchini residenti all’estero ed il
Mutuo Soccorso Nazionale hanno contribuito al finanziamento dei progetti di
queste associazioni. Le tre associazioni si sono interessate anche a progetti
di sviluppo culturale. Effettivamente, nel corso dei suoi primi quattro anni di
vita, IDD si è dedicata allo sviluppo culturale attraverso l’invio di libri e
l’appoggio alla costituzione delle biblioteche rurali. IDD spera attualmente di
promuovere e sostenere lo sviluppo culturale ed il diritto all’educazione per
tutti. Tifawin organizza dei corsi di alfabetizzazione24.
21 Conferenza stampa, del presidente del Congresso, a Rabat il 15 luglio 2003, durante la quale ha riaffermato, in occasione degli attentati terroristici di Casablanca del 16 maggio 2003, il sostegno e l’attaccamento dei marocchini residenti all’estero al loro paese di origine. 22 Dichiarazioni al giornale Assabah, del 27 agosto 2003, p.4 23 http://www.coordinationsud.org/coordsud/membres/migdev.html#contact 24 http://www.idd-reseau.org/
74
Riassumendo, l’approccio delle tre associazioni rispetto al binomio migrazione
e sviluppo possiamo articolarlo nei seguenti punti:
• Visione dello sviluppo: lo sviluppo è sociale-comunitario e basato su di un
approccio partecipativo.
• Visione del ruolo dei migranti nello sviluppo: i migranti sono degli attori
dello sviluppo sociale tanto nel paese d’accoglienza come nel paese
d’origine.
• Condizioni necessarie: ci si rende conto dalla storia della creazione delle
tre associazioni che tutte sono state create da gruppi di migranti attivi
all’interno dei movimenti associativi e sindacali maghrebini e francesi,
militanti per i diritti dei migranti. La partecipazione attiva nella società
civile del paese d’accoglienza è quindi una condizione essenziale per
valorizzare i migranti come attori di sviluppo sociale nei paesi di origine.
Concludendo possiamo affermare che M&D, IDD e Tifawin, si riconoscono
nella lettura fatta da Abedelmalake Sayad dei maghrebini in Francia: in
ricerca permanente di un punto di equilibrio fra la “vecchia vita” e la “nuova
vita”, fra le origini e quello che si sta diventando, fra il nuovo sistema di
relazioni ed il sistema di relazioni rimasto nel paese.
Da questo punto di vista gli immigrati marocchini sono spesso dei vettori di
innovazione e di nuove traiettorie che si concretizzano in programmi di
sviluppo (di emigrati-immigrati) sia nel loro paese d’origine che in quello
d’accoglienza.
L’APPROCCIO DELLE ISTITUZIONI MAROCCHINE ED EUROPEE: I
MIGRANTI COME INVESTITORI
L’Ufficio dei cambi ha indicato che i trasferimenti (le rimesse in divisa) dei
marocchini residenti all’estero hanno rappresentato nel 200325 circa il 7% del
PIL del Marocco. L’apporto degli emigrati risulta quindi essere una
opportunità di cui le istituzioni marocchine ed europee stanno cercando di
approfittare per lo sviluppo economico del paese.
Presenteremo in seguito i programmi che rientrano in quest’ottica: quelli
della fondazione Hassan II per i marocchini residenti all’estero, del Ministero
25L’ufficio dei Cambi in http://www.oc.gov.ma
75
delegato presso il Ministero degli Affari Esteri incaricato della Comunità
Marocchina residente all’estero, di BanK Al Amal, e della fondazione IntEnt
del governo olandese. E’ risultata di particolare importanza per i marocchini
residenti all’estero la creazione nel luglio del 1990 di un Ministero delegato
presso il primo Ministro incaricato degli affari della comunità Marocchina
Residente all’Estero (MRE). Eliminato cinque anni dopo, in seguito al rimpasto
ministeriale del febbraio 1995, il dipartimento incaricato risultava essere un
sotto segretariato di Stato presso il Ministro degli Affari Esteri e non del Primo
Ministro. Due anni e mezzo più tardi in seguito al rimpasto ministeriale del 13
agosto del 1997, questo dipartimento è stato eliminato e le sue competenze
trasferite al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione. E’ stato
necessario attendere fino al nuovo governo del primo Ministro Driss Jettou
affinchè si rimediasse a questa deficienza istituzionale attraverso la creazione
di un dipartimento ministeriale (Ministero delegato presso il Ministero degli
Affari Esteri incaricato della comunità Marocchina Residente all’Estero).
Processo questo rafforzato dalla creazione sia del Bank Al Amal costituito il 28
marzo 1989 per favorire gli investimenti dei MRE in Marocco, sia della
Fondazione Hassan II per i Marocchini residenti all’estero. Tutte queste
istituzioni sono state create per rispondere alle complesse problematiche che
i residenti marocchini avrebbero dovuto affrontare: la giustizia,
l’insegnamento, lo status personale, i progetti di investimento26. A livello
nazionale tanto la politica del Ministero dei MRE quanto quella della
Fondazione Hassan II per i MRE consistono nel consolidare i diritti e le
acquisizioni dei MRE a livello nazionale ed a livello dei paesi di destinazione
dei processi migratori, a migliorare le condizioni di accoglienza per i MRE ed a
promuovere ed orientare i loro investimenti. Il documento sulla strategia del
Ministero dei MRE, adottato dal consiglio di governo il 13 marzo 2003
testimonia l’importanza che rappresenta per il regno la sua comunità
residente all’estero. A livello dei paesi di accoglienza, questa strategia
consiste in: proteggere i MRE e consolidare le loro acquisizioni ed i loro diritti;
incoraggiare la loro integrazione, organizzarli e inquadrarli, coinvolgerli nei
processi di presa di decisione e di gestione dei loro affari; “modernizzare la
loro migrazione” e “intensificare la cooperazione con i paesi di accoglienza
per definire una politica razionale ed un approccio globale all’immigrazione”.
26 Belgandouz Abdelkarim, (1999), Les marocains à l’étranger citoyens et partenaires, édition Boukili, p 57.
76
A livello nazionale, la politica del Ministero consiste nel migliorare le
condizioni di accoglienza per i MRE, nel promuovere ed orientare i loro
investimenti, nel coinvolgerli nei trasferimenti di conoscenze scientifiche e
tecnologiche e nel sollecitarli allo sviluppo del turismo nel paese. Uno dei
progetti centrali del Ministero dei MRE è la preparazione di un annuario delle
associazioni attive in favore dei MRE, in modo che le stesse possano servire
da elementi di riferimento per associazioni interessate a collaborare fra di
loro27. La fondazione Hassan II per i MRE è stata creata nel luglio del 1990 e
struttura il suo operato alla luce della legge 19/89 del 13 luglio del 1990 che
si riferisce specificatamente alla creazione della Fondazione Hassan II per i
MRE. La fondazione Hassan II interviene per mantenere e sviluppare i legami
che i MRE hanno con il loro paese. La sua missione specifica è quella di
aiutare i MRE a superare le difficoltà relazionate all’emigrazione.
L’organigramma della Fondazione è composto da una struttura che si dedica
alla ricerca sulle condizioni dei MRE e sei strutture operative quali:
cooperazione e partenariato28, educazione e scambi culturali, sport e
gioventù, assistenza sociale e prevenzione, studi ed assistenza giuridica,
comunicazione e promozione economica.
Quest’ultima struttura ha come compiti essenziali: osservare la realtà
economica nazionale e le informazioni di cui dispongono i MRE sulla stessa e
sulle relative possibilità di investimento; consigliare ed accompagnare i MRE
interessati all’investimento, dalla fase di identificazione dei progetti fino
all’apertura dell’attività e assisterli in caso di difficoltà.
In una intervista concessa a Economie & Entreprises, il presidente delegato
della Fondazione Hassan II per i MRE ha sottolineato l’importanza della
cooperazione fra tutti gli attori e specialmente fra la fondazione ed il
Ministero dei MRE. Ha dichiarato che la creazione di questo Ministero
rappresenta un risultato per i MRE per tre ragioni:
• perché testimonia l’importanza riconosciuta alla comunità, che è
presente nell’organigramma del governo;
• perché la politica da seguire rispetto alla comunità è una politica
pubblica trasversale che coinvolge direttamente una decina di
27 Strategia del Ministero delegato incaricato della comunità MRE. 28 Fondazione Hassan II per i MRE, in www.alwatan.ma
77
dipartimenti e che evidenzia la responsabilità del governo e la necessità
di coordinamento e supervisione globale;
• perché numerose problematiche relative alla condizione, allo status ed ai
diritti dei MRE sono tema di negoziazione fra il governo marocchino ed i
governi dei paesi di accoglienza producendo degli accordi bilaterali che
compromettono i governi29.
La fondazione Hassan II per i MRE lavora e collabora con la banca Al Amal
succursale della banca El Maghreb (banca statale). La banca Al Amal ha come
obiettivo principale quello di appoggiare finanziariamente la realizzazione di
progetti di creazione e sviluppo di imprese, in forma specifica quelle costituite
da marocchini attualmente residenti all’estero o che abbiano risieduto
all’estero, con l’obiettivo di facilitare il loro reinserimento in patria. In base
alle necessità la banca Al Amal promuove lo spirito imprenditoriale assistendo
l’investitore nella concezione e nello studio di fattibilità del suo progetto,
sostenendolo durante la realizzazione del progetto d’investimento,
facilitandogli l’acquisizione di mezzi di finanziamento complementari presso
altri istituti di credito e fornendogli informazioni sulla realtà economica
nazionale. La banca mette inoltre a disposizione degli investitori per la
realizzazione dei loro progetti dei prestiti a condizioni particolarmente
vantaggiose, questi prestiti possono coprire il 40% del costo del progetto con
un tetto massimo di 5 milioni di dirham, senza necessità di garanzie reali e
con un tasso, in base alla durata che va dai 4 ai 15 anni30, dell’8 o 9 per
cento. Nei 13 anni d’attività, il numero di dossier gestiti dalla banca Al Amal è
arrivato a 674, corrispondenti ad un totale complessivo di investimenti di
5415 milioni di dirham e 18246 posti di lavoro creati. I contributi erogati dalla
banca sono stati di 1446 milioni di dirham. Questi investimenti sono stati
eseguiti principalmente nella regione del centro e del nord ovest del Marocco,
ed hanno interessato tutti i settori dell’economia, con una prevalenza per i
settori dell’agroindustria, del tessile, del cuoio, sanitario e chimico.
29Intervista con Mr. Omar Azziman, Presidente Delegato della Fondazione Hassan II per i MRE concessa alla rivista Economie & Entreprises, 2003, pp. 8-9. 30Documento di Banca Al Amal “Missione di BAA e suo contributo allo sforzo di investimento dei M.R.E.”.
78
Nonostante questi risultati Belgandouz Abdelkarim sostiene che la banca Al
Amal ha innumerevoli problemi fra cui la mancanza di una strategia operativa
specifica, essendo quest’istituzione un organismo ibrido che di banca ha solo
il nome poiché non riceve ne depositi, ne risulta essere una banca d’affari. La
banca Al Amal non possiede inoltre visibilità, poiché risulta assente nei paesi
d’accoglienza e nelle principali aree d’emigrazione in Marocco (escludendo
Casablanca)31.
A lato delle istituzioni marocchine, esistono anche istituzioni straniere
stabilitesi in Marocco come Internationalisation de l'Entrepreneuriat (IntEnt)
che appoggiano i progetti di investimento dei MRE. IntEnt è una fondazione
statale olandese creata nel 1955 alla Aja per incoraggiare gli investimenti
attraverso dei programmi di aiuto.
Rilevando la forte presenza di immigrati sul territorio olandese desiderosi di
conservare e di rinnovare i legami con i loro paesi di origine attraverso
l’imprenditoria, IntEnt ha proposto gli stessi programmi di aiuto rivolti agli
immigrati in Ghana, in Marocco, in Suriname ed in Turchia.
Il programma per il Marocco è iniziato nel 1998 una volta verificato la
capacità finanziaria della comunità marocchina in Olanda32.
Il programma della fondazione consiste inizialmente nella ricerca di persone
interessate alla creazione di progetti d’investimento in Marocco offrendo loro
una formazione in creazione e gestione di impresa piuttosto che uno studio di
mercato. Dopo la promozione del progetto in Marocco, IntEnt garantisce la
supervisione dei progetti tramite esperti.
Dalla sua creazione sono stati realizzati dieci progetti nel settore agricolo,
nella produzione plastica e nel turismo, da persone che avevano già
esperienze in questo campo in Olanda. IntEnt a volte svolge il ruolo di
garante per gli investitori presso le banche in modo da permettere loro di
avere accesso al credito, ma generalmente le persone dispongono di fondi
propri.
Riassumendo possiamo sostenere che la politica delle istituzioni suddette
rispetto ai MRE è orientata a rafforzare i legami di appartenenza dei MRE in
Marocco tramite il rafforzamento dei rapporti identitari e di attaccamento
patriottico per mantenere le relazioni finanziarie dei MRE con il loro paese in
31 Belgandouz Abdelkarim, (1999), Les marocains à l’étranger citoyens et partenaires, Edition Boukili, p. 271. 32 Comunicazione personale di Mr. Nagib, Direttore di IntEnt in Marocco.
79
termini di capitale finanziario ma anche umano come ci spiega il Sr Omar
Azziman presidente delegato della fondazione Hassan II per i MRE durante un
incontro:
“Alla Fondazione non cerchiamo di ostacolare l’integrazione dei marocchini all’estero. Al
contrario, siamo coscienti che la loro integrazione nel paese d’accoglienza incide sulle
loro possibilità di sviluppo umano. Noi desideriamo che i nostri compatrioti all’estero
vivano in armonia con il loro paese d’accoglienza e si sentano a loro agio tanto in
Marocco come all’estero.”
“ … è così che possono evitare la lacerazione dell’esilio, lo sradicamento della perdita dei
riferimenti ed è così che la nostra comunità all’estero diventa una ricchezza potenziale in
grado di contribuire allo sviluppo ed alla modernizzazione del Marocco” 33
Gli stessi propositi sono stati espressi anche dalla Signora Nouzha Chekrouni,
Ministro delegato presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione,
incaricato della Comunità Marocchina Residente all’Estero34.
Riassumendo l’approccio di queste istituzioni rispetto al binomio migrazione e
sviluppo possiamo articolarlo nei seguenti punti:
• Visione dello sviluppo: lo sviluppo è sociale con una priorità particolare
allo sviluppo economico privilegiando il migrante come investitore.
• Visione del ruolo dei migranti nello sviluppo: i migranti sono degli attori
dello sviluppo economico nel paese d’origine per quanto concerne i
trasferimenti di competenze, di know-how e di strumenti di
finanziamento.
• Condizioni necessarie: favorire una migliore integrazione dei MRE nelle
società di accoglienza, mantenere dei legami di appartenenza con la
società di origine e facilitare le condizioni necessarie per l’investimento
nei paesi d’origine.
33Maghreb Ressources Humaines, (1998), Rencontre avec Mr. Omar Azziman président-délègue de la fondation Hassan II pour les MRE, Paris, N° 19-20, giugno-luglio, pp. 38-39. 34 Dichiarazione di Madame Chekrouni al giornale Al Ittihad Al Ichtiraki del 13 giugno 2003, p. 6.
80
L’APPROCCIO DELLE ASSOCIAZIONI LOCALI: LA SENSIBILIZZAZIONE
CONTRO I RISCHI DELLA EMIGRAZIONE CLANDESTINA
L’aggravarsi del fenomeno della migrazione clandestina ha generato lo
sviluppo di istituzioni marocchine e di ONG locali, che con azioni differenti
cercano di trovare delle soluzioni a questa problematica.
A causa della pressione europea ed in nome della «rationalité sécuritaire», le
autorità marocchine hanno adottato la legge 02-03, relativa all’entrata ed al
soggiorno di stranieri in Marocco e all’immigrazione ed emigrazione
irregolare, e la legge 03-03 del 28 maggio del 200335 relativa alla lotta contro
il terrorismo. Sono state create inoltre due istituzioni di alto livello collegate
al Ministero dell’Interno. La Direzione della migrazione e del controllo delle
frontiere che ha come missione principale “rendere operativa la strategia
nazionale in materia di lotta alle reti che trafficano con esseri umani ed il
controllo delle frontiere”.
L’opera di questa Direzione sarà assicurata da: un gruppo nazionale di ricerca
e di studio incaricato della lotta contro la migrazione illegale, che avrà come
competenze l’istruzione di dossier relativi al traffico di esseri umani su tutto il
territorio nazionale; sette delegazioni a livello provinciale e delle prefetture
(Tanger, Tétouan, Al Houceima, Nador, Larache, Oujda e Laâyoune) il cui
compito sarà di rendere operativa a livello regionale la strategia nazionale in
materia di lotta contro la migrazione illegale; dei comitati locali nelle altre
province e prefetture collegati ai walis ed ai governatori, incaricati della
raccolta e trasmissione dei dati relativi alla migrazione. Un osservatorio della
migrazione la cui missione principale sarà l’elaborazione della strategia del
governo marocchino nel campo della migrazione. Questo osservatorio si
incaricherà di: centralizzare tutte le informazioni; aggiornare una banca dati
statistica a livello nazionale relativa alla migrazione; proporre al potere
pubblico delle soluzioni concrete; realizzare degli studi ed implementare dei
progetti di ricerca sulle tendenze dei flussi migratori; assicurare la diffusione
dei rapporti periodici sulla migrazione. Nonostante tutti questi dispositivi, il
Marocco non dispone dei mezzi sufficienti per svolgere il ruolo di poliziotto
alle porte dell’Europa.
35 Belguendouz Abdelkarim, (2003), Le Maroc non africain: gendarme de l’Europe? Imprimerie Beni Snassen, Salé, Maroc.
81
Il controllo totale dei flussi migratori è inoltre praticamente impossibile nel
quadro della divisione internazionale dell’economia. E’ illusorio credere che la
pressione dei paesi poveri sui paesi ricchi e prosperi diminuirà, mentre
continuerà ad esistere questa profonda differenza fra i due e mentre
l’attrazione dei paesi industrializzati rimarrà così forte.
Su una riva del Mediterraneo come sull’altra uno sforzo informativo di
sensibilizzazione e di cooperazione risulta quindi indispensabile per ridurre il
numero di “vittime della migrazione” .36
Fra le associazioni locali che in Marocco lavorano sulla problematica della
migrazione clandestina quella più rappresentativa è l’Association des Amis et
Familles des Victimes de l’Immigration Clandestine (AFVIC) creata il 2 agosto
2001 a Khouribga. In questa regione durante gli ultimi venti anni si è
verificata una crescita impressionante del fenomeno migratorio. La
migrazione in direzione dell’Italia è principalmente clandestina.
Sempre più giovani abbandonano la regione, fuggendo una situazione
economica disastrosa, per rischiare la loro vita in mare seguendo un sogno e
delle illusioni generati dalle dimostrazioni di ricchezza degli emigrati che
rientrano durante le vacanze. I giovani si costruiscono una idea dei paesi di
immigrazione basata sul fascino, l’idealizzazione ed il sogno di un mondo
migliore, visione questa diffusa dai mass media. Inizialmente questo
movimento non coinvolgeva che i senza-qualifica, i senza-formazione ed i
senza-lavoro, quindi una specie di emigrazione della disperazione.
Ma dalla metà degli anni ottanta, si è registrata la tendenza del movimento a
generalizzarsi anche alle persone qualificate. All’interno di questo contesto
l’AFVIC, creata da giovani diplomati e da intellettuali, si propone come una
cellula di riflessione e d’analisi del fenomeno migratorio a livello regionale e
nazionale. L’associazione considera “l’ossessione per la migrazione” come il
risultato di vari fattori causali: del contesto politico europeo e del sotto-
sviluppo della regione; della convenzione di Schengen: l’applicazione dei visti
e la mondializzazione dell’economia rafforzano la discontinuità economica e
sociale fra le due rive del Mediterraneo.
36 Mahfoudi Hafid, (1989), Trois études sur l’immigration marocaine, N° 1118, gennaio ; Labib Ali, (1996), L’immigration maghrébine en Italie: du transit à l’installation, Dossier L’Italie, enquête d’une politique de l’immigration, n° 1194, gennaio, in http://www.adri.fr/HM/articles /1242/1242.pdf
82
Il Marocco vive una situazione di disoccupazione e di sotto-occupazione
cronica, tanto nelle aree rurali quanto in quelle urbane e per la maggioranza
dei giovani la realizzazione personale passa attraverso l’emigrazione. L’AFVIC
vede inoltre la migrazione come una delle cause di depauperamento della
regione: le giovani generazioni partono all’estero invece di contribuire allo
sviluppo sociale ed economico della città di Khouribga, svuotandola del
segmento più attivo.
All’interno di questo contesto l’associazione è impegnata nello sviluppo della
regione e nella lotta contro la migrazione clandestina, nel sensibilizzare i
giovani marocchini sul pericolo della migrazione illegale e nel decostruire il
modello europeo importato dagli immigrati marocchini37. L’AFVIC interviene
anche con le famiglie marocchine delle vittime dell’immigrazione clandestina
rimpatriando i cadaveri dei loro familiari ed offrendo loro assistenza
psicologica.
Inoltre, in seguito all’inasprimento delle normative europee che si traduce
generalmente in un controllo sempre più sofisticato delle frontiere, ed alla
nuova legislazione marocchina che non lascia nessuna speranza agli emigrati
subsahariani in transito verso l’Europa, questi ultimi sono obbligati a
nascondersi nelle foreste o sulle montagne in prossimità delle frontiere,
vivendo in condizioni inumane durante 12 o 15 mesi aspettando di entrare in
Europa.
Sfortunatamente queste persone sono spesso cacciate dalla polizia verso la
frontiera algerina, spogliate dai ladri delle modeste risorse di cui dispongono
e vittime di diverse violenze. Nonostante questi soprusi, il numero di
subsahariani in transito in Marocco è in continuo aumento.
L’insufficienza delle strutture d’accoglienza e di difesa dei migranti
subsahariani e la dimensione delle difficoltà che quotidianamente devono
affrontare, richiedono all’AFVIC in quanto società civile marocchina di
organizzarsi in prospettiva di una azione comune.
L’AFVIC informa e sensibilizza la popolazione marocchina e internazionale
sulle condizioni di vita inumane e di estremo sconforto dei migranti in transito
in Marocco. Richiede l’intervento di Médecins Sans Frontière (MSF) in caso di
situazioni sanitarie estremamente gravi, richiama il governo marocchino ed
europeo al rispetto dei diritti umani fondamentali.
37 Comunicazione personale di Mr. Hicham Rachidi, membro fondatore dell’associazione AFVIC.
83
L’AFVIC considera che il rafforzamento delle misure di sicurezza non metterà
fine all’immigrazione clandestina.
Esorta l’Europa ad essere più sensibile sul tema dell’immigrazione illegale
garantendo il suo sostegno per circoscrivere il problema e difendere un
approccio pluridimensionale alla situazione, richiede inoltre al governo
marocchino di promuovere delle azioni per lo sviluppo del paese offrendo
cosi alternative alla migrazione. Riassumendo l’approccio di AFVIC rispetto al
binomio migrazione e sviluppo possiamo articolarlo nei seguenti punti:
• Visione dello sviluppo: lo sviluppo è locale, legato a politiche interne ben
strutturate tramite approcci multidimensionali (politico, economico,
sociale e culturale) e capaci di trattenere in patria la gioventù
marocchina.
• Visione del ruolo dei migranti nello sviluppo: i migranti devono essere
degli agenti sensibilizzatori sul pericolo della migrazione clandestina ed
interpellare la società civile internazionale sulle violazioni dei Diritti
Umani legate alle politiche migratorie basate su approcci strettamente
guidati dalla questione della sicurezza.
• Condizioni necessarie: mettere in rete la società civile sia nazionale che
internazionale.
CONCLUSIONI
Alla fine di questa analisi abbiamo identificato tre livelli di risposta alla
domanda legata al binomio migrazione/sviluppo posta in questo studio:
• il primo livello di risposta è quello delle associazioni degli immigrati
marocchini create in Francia, che valorizzano il migrante come attore di
sviluppo economico, sociale e culturale in quanto cittadino transnazionale
attore di sviluppo sulle due rive del Mediterraneo;
• il secondo livello di risposta è quello delle istituzioni marocchine ed
internazionali che valorizzano il migrante come agente di sviluppo
soprattutto in termini economici, costatando l’importanza dell’apporto
degli emigrati relativamente al trasferimento di fondi verso il loro paese
d’origine;
• il terzo livello di risposta sensibilizza la comunità marocchina ed
internazionale sul pericolo della migrazione clandestina, gestita in base
84
ad un approccio di sicurezza, constatando la necessità di una riflessione
internazionale per la implementazione di nuove politiche di cooperazione.
Ma, nonostante il fatto che la migrazione rappresenti uno dei principali
soggetti della società e dell’economia marocchina, non ha ancora trovato la
sua reale collocazione all’interno della sfera politica. La politica marocchina
orientata ai MRE è caratterizzata da una pluralità di azioni e da una diversità
di attori. Da novembre dell’anno scorso, è gestita contemporaneamente dalla
Fondazione Hassan II per i marocchini residenti all’estero, dalla Fondazione
Mohamed V ed dal Ministero delegato incaricato dei MRE.
Questa dispersione non può che indebolire la gestione del “dossier della
migrazione”. Il Marocco deve iniziare, senza sprechi, con pragmatismo ed una
solida determinazione, senza rifiutare nessun contributo, una politica
migratoria chiara e coerente nel tempo e nello spazio.
Una delle sfide da affrontare è quindi quella di riuscire a coordinare le azioni,
di evitare la duplicazione dei ruoli, che è alla base dello sperpero, e di
arrivare a instaurare una sinergia reale fra i differenti attori per proteggere e
garantire i diritti dei MRE nella loro integralità.
E’ esclusivamente a queste condizioni che si riuscirà a fermare l’emorragia
umana attuale, ma anche a strutturare in forma stabile le relazioni con i
propri cittadini all’estero.
Inoltre le migrazioni non devono essere percepite come un problema,
occasione di scontro e di tensioni, ma al contrario possono essere viste come
un elemento di unione, di connessione, di ponte, di valorizzazione reciproca. I
marocchini in Europa ne rappresentano un esempio, soprattutto nella
prospettiva della costruzione di una zona di libero scambio prevista per il
2010, con tutto ciò che implica per l’approfondimento ed il consolidamento
del partenariato a livello umano38, nel contesto di un nuovo modello
relazionale fra i paesi dell‘Unione Europea e quelli del Sud.
Come diceva J. Monnet:
“Bisogna aumentare lo spirito degli uomini in direzione del punto dove i loro interessi
convergono. Questo punto esiste sempre. E’ sufficiente fare lo sforzo per trovarlo”
38 Belgandouz Abdelkarim, (1999), Les marocains à l’étranger citoyens et partenaires, Edition Boukili, p. 291.
85
RACCOMANDAZIONI
Il problema della relazione fra migrazione e sviluppo è molto complesso e
richiede una riflessione particolare. In base alle interviste, alle visite di campo
che abbiamo fatto alle ONG ed alle istituzioni che lavorano su questa
problematica abbiamo constatato che:
• Per riuscire a valorizzare la comunità marocchina all’estero come attore
di sviluppo, è necessario: valorizzare i migranti come attori di sviluppo
nella società di accoglienza all’interno di un processo di evoluzione
comunitaria che inizia con la lotta per l’acquisizione di una cittadinanza
attiva nei paesi di accoglienza arrivando in seguito alla promozione delle
azioni di sviluppo nei loro paesi di origine; mobilitare successivamente i
migranti, ad avviare dei progetti di sviluppo a partire dalle necessità di
base delle regioni d’origine iniziando con azioni rivolte alla collettività,
come le infrastrutture, per permettere in un secondo momento la
realizzazione di progetti di sviluppo economico.
• La struttura geografica dell’iter migratorio, partendo da una città
determinata del Marocco verso un'altra in Europa, genera delle
associazioni concentrate in un solo paese europeo e specialmente in una
sola città europea dove esiste una forte presenza di una specifica
comunità, originaria della stessa area. Queste associazioni hanno degli
ambiti di intervento molto limitati. E’ quindi necessario mettere in rete
varie associazioni per ampliare i loro ambiti di intervento ed elaborare
delle strategie a livello nazionale.
• Esistono in Marocco diverse istituzioni che si interessano della questione
migratoria, ma considerata la sovrapposizione di competenze, è
necessario coordinare le loro azioni per una migliore divisione dei
compiti.
• Considerata l’importanza economica e sociale della migrazione in
Marocco, risorsa essenziale per molte famiglie e sogno di realizzazione
personale per la maggior parte dei giovani, è difficile che dei piccoli
progetti di sviluppo locale possano limitare la migrazione clandestina. Per
affrontare l’emergenza della migrazione clandestina è necessario
considerare il fenomeno nella sua complessità, attraverso la promozione
di programmi articolati su azioni economiche, sociali e culturali.
86
Bibliografia
Al Ittihad Al Ichtiraki, 13 giugno 2003.
Assabah, 27 agosto 2003.
Belguandouz Abdelkarim, (1999), Les marocains à l’étranger citoyens et partenaires,
Edition Boukili.
Belguandouz Abdelkarim, (2003), Le Maroc non africain: gendarme de l’Europe,
Imprimerie Beni Snassen, Salé, Maroc.
Charef Mohamed, (1999), La circulation migratoire marocaine : un pont entre les deux
rives, Contact, Agadir.
Conferenza Stampa del presidente del Congresso, Rabat 15 luglio 2003.
Daoud Zakya, (1997), Marocains des deux rives, Edition l’Atelier.
Daoud Zakya, (2003), Travailleurs marocains en France, mémoire restituée, Editions
Tarik.
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Labib Ali, (1996), L’immigration maghrébine en Italie: du transit à l’installation” Dossier
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http://www.adri.fr/HM/articles/1242/1242.pdf
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1989.
Satad Abdelmalake, (1999), La double absence. Des illusions de l’émigré aux
souffrances de l’immigré, Libre, Seuil, Paris.
Sito WEB Fondazione Hassan II per i MRE - http://www.alwatan.ma
Sito WEB Migration et Développement - http://www.migdev.org/
Sito WEB Immigration Développement Démocratie (IDD) - http://www.idd-reseau.org/
Sito WEB Ministero Delegato incaricato della comunità MRE -
http://www.marocainsdumonde.gov.ma/Ministre.asp
Strategia Ministero Delegato incaricato della comunità MRE.
PARTE SECONDA
Studio dei flussi migratori: i contesti di partenza e di approdo
89
DUE
2.1. ANALISI DEI FLUSSI MIGRATORI DAL MAROCCO VERSO
L’ITALIA
2.1.1. L’emigrazione marocchina verso l’Europa e l’Italia
Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed Khachani,
Mohamed Nadif, Ahmed Zekri
Il Marocco costituisce un bacino migratorio importante, se durante tutta la
prima metà del XX secolo è stato un paese di immigrazione, punto di
accoglienza di flussi migratori relativamente importanti provenienti da alcuni
paesi europei, è ora diventato un paese d’emigrazione soprattutto verso i
paesi dell’Unione Europea. L’emigrazione marocchina verso questo spazio è
diventata, dagli anni ’60, un rilevante fenomeno sociale.
L’espansione ed il consolidamento di questo flusso d’immigrazione (in
situazione regolare ed irregolare), fa si che nelle relazioni tra il Marocco e
l’Unione Europea le migrazioni risultino un tema prioritario. Interesse questo
sicuramente condiviso anche dalla comunità marocchina residente all’estero,
considerato il sistema di legami umani, economici e culturali molto solidi
instaurati con il paese d’origine.
PROFILI DEI MIGRANTI E VALUTAZIONE QUANTITATIVA DEL
FENOMENO
Un esame delle diverse fasi dell’emigrazione marocchina ci permetterà una
migliore comprensione del profilo del migrante.
Le diverse fasi dell’emigrazione marocchina
L’emigrazione marocchina ha conosciuto uno sviluppo importante a partire
dagli anni sessanta. Questa prima ondata di emigrazione era essenzialmente
90
maschile ed individuale. A partire dal 1974, a seguito della crisi petrolifera
che ha scosso le economie occidentali, l’aumento della disoccupazione ha
generato profondi cambiamenti nelle politiche migratorie, che hanno
rallentato i flussi dei marocchini in partenza verso l’Europa.
Questa politica restrittiva è stata accompagnata dall’apparizione di 4 forme
di emigrazione (alcune delle quali esistevano precedentemente ma si sono
intensificate a partire da quel momento storico):
(i) L’emigrazione nel quadro del ricongiungimento familiare si sostituisce
all’emigrazione individuale. Questo processo, che ha beneficiato
soprattutto i migranti da tempo stabilitisi in Europa, ha cambiato la
finalità del progetto migratorio che da provvisorio diventa definitivo.
Inoltre ha completamente trasformato la composizione per età e per
sesso della comunità marocchina, provocando un ringiovanimento e
soprattutto una femminilizzazione della popolazione immigrata
marocchina in Europa.
(ii) Parallelamente a questo flusso migratorio, si sviluppava un’altra forma
di emigrazione, l’emigrazione stagionale. Insignificante fino alla fine
degli anni ’60, in risposta ad una domanda cresciuta di manodopera in
alcuni settori di impiego temporaneo come l’agricoltura, la costruzione,
la ristorazione e gli hotel, l’emigrazione stagionale si amplia
progressivamente fino agli inizi degli anni ’80. Tra il 1972 ed il 1981,
essa porta in Francia circa 126.000 persone. Il fenomeno declinò in
seguito e non superò le 4.000 persone nel 1990.
(iii) A partire dalla metà degli anni ’80, l’emigrazione femminile ha
conosciuto uno sviluppo importante. Contrariamente alla fase del
ricongiungimento familiare, l’emigrazione femminile diventa individuale
ed autonoma. La stessa identifica nuove destinazioni quali l’Italia e la
Spagna in Europa, la Libia ed i paesi del Golfo nel mondo arabo11.
(iv) Dal 1990, i flussi d’emigrazione verso i paesi d’accoglienza tradizionali
sono molto diminuiti. Le disposizioni prese in seguito alla convenzione di
applicazione degli accordi di Schengen, firmata nel giugno del 1990
(istituzione dei passaporti, di controlli rigorosi alle frontiere, di un
1 Khachani Mohamed, (1999), La femme marocaine immigrée dans l'espace économique des pays d'accueil. Quelques repères, Atti del seminario internazionale "Femmes et Migrations", Numero speciale della Revue Juridique Politique et Economique du Maroc, Edizioni Facoltà di Scienze Giuridiche Economiche e Sociali, Rabat.
91
sistema selettivo di rilascio del permesso di lavoro, ecc.) hanno ridotto
l’emigrazione legale.
Le suddette misure hanno avuto ad ogni modo degli effetti perversi, hanno
facilitato lo sviluppo dell’emigrazione illegale; le reti clandestine si sono così
sostituite ai circuiti legali. L’evoluzione recente del fenomeno è stata
caratterizzata dall’apparizione di nuovi profili di emigrati clandestini.
I cambiamenti constatati in questa forma di emigrazione si sono verificati a
livello di quattro parametri12:
• Il sesso: la migrazione clandestina, inizialmente maschile, è diventata
mista; sempre più donne tentano l’avventura nelle stesse condizioni
difficili degli uomini13;
• L’età: i minori emigrano in clandestinità nascondendosi nei rimorchi dei
camion o nei container; la loro presenza è diventata visibile in maniera
evidente in Spagna ed in Italia.
• Il livello d’istruzione: i candidati all’emigrazione clandestina, che erano
analfabeti o con un livello di formazione professionale generalmente
basso, sono ora sempre più istruiti (una proporzione significativa degli
stessi risulta diplomata o ha frequentato scuole di formazione
professionale).
• Le regioni d’origine: i candidati all’emigrazione clandestina sono originari
non soltanto delle diverse regioni del Marocco ma ugualmente di alcuni
paesi dello spazio mediterraneo e dell’Africa subsahariana.
Che sia legale o illegale, l’emigrazione marocchina in Europa è ormai un dato
strutturale tanto a livello economico quanto sul piano socioculturale,
coinvolgendo a livelli più o meno estesi l’insieme delle regioni del paese, le
città e le campagne. Se le reti tradizionali d’emigrazione delle prime famiglie
si orientavano alla Francia come destinazione principale, nuove regioni si
sono distinte come fornitrici di flussi migratori come il Tadla e la Chaouia con
l’Italia e la Spagna come destinazioni principali.
2 Khachani Mohamed, (2000), La migration clandestine en Méditerranée: enjeux et perspectives, in Il bacino mediterraneo tra emigrazione ed immigrazione, Quaderni 19 del dipartimento per lo studio delle società mediterranee, Università degli studi di Bari. 3 Il giornale spagnolo ABC del 23 giugno 1999 riporta il caso di una “patera” intercettata dalla Guardia Civile spagnola con a bordo 15 donne ed uno “scafista”.
92
Valutazione quantitativa del fenomeno e paesi di destinazione
Il numero di Marocchini in Europa è difficile da quantificare a causa
dell’importanza dei flussi clandestini e del numero dei naturalizzati, fenomeni
questi che generano delle valutazioni molto spesso sproporzionate. Tra le
statistiche di Eurostat e quelle della Direzione degli Affari Consolari e Sociali
(DACS) del Ministero Delegato presso il Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione incaricato della Comunità Marocchina Residente all’Estero e tra
quest’ultima fonte e quella di alcuni paesi come l’Italia esistono significative
differenze. In Italia i dati ufficiali disponibili per il 2001 indicano un volume
d’immigrazione marocchina di 158.094 persone mentre le statistiche della
DACS indicano nello stesso periodo 201.000 migranti. Se la stima accettata
(la più recente) è quella del DACS, questa sembra rappresentare meglio le
caratteristiche dell’immigrazione marocchina all’estero.
Tabella 2.1 – Valutazione e ripartizione per paese di destinazione
dei Marocchini residenti all’estero. Marzo 2002
Paese v.a. Paese v.a.
Europa 2.185.894 Canada 70.000
Francia 1.024.766 America latina 432
Paesi Bassi 276.655 Paesi arabi 231.962
Belgio 214.859 Libia 120.000
Italia 287.000 Algeria 63.000
Spagna 222.948 Tunisia 16.500
Germania 99.000 Arabia saudita 11.973
Gran Bretagna 30.000 EAU 8.359
Danimarca 7.800 Oman 2.910
Norvegia 3.970 Siria 1.278
Svizzera 8.691 Altri 7.942
Svezia 3.781 Africa 5.355
Russia 2.409 Africa del sud 2.063
Finlandia 1.000 Costa d’Avorio 1.517
Lussemburgo 666 Sénégal 919
Altri 2349 Altri 856
America 155.432 Asia e Oceania 3527
Stati Uniti 85.000 Totale 2.582.170
Fonte: DACS, Ministero delegato presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione incaricato dei Marocchini Residenti all’Estero.
93
Grafico 2.1 - Ripartizione per paese di destinazione dei Marocchini residenti all'estero
85%
9% 6%
Europa Paesi arabi Altri
Le destinazioni privilegiate dei migranti marocchini rimangono i paesi
dell’Unione europea, seconda area mondiale d’immigrazione dopo l’America
del Nord. La parte più consistente di questa diaspora marocchina si
concentra nei paesi tradizionali di accoglienza cioè la Francia, i Paesi Bassi
ed il Belgio.
Fra le popolazioni “terzo-mediterranee” residenti nei paesi dell’Unione
europea, la comunità marocchina costituisce la seconda per ordine di
importanza dopo i turchi. Si tratta di una popolazione dispersa ma
fortemente rappresentata in alcuni paesi dell’Unione europea. I migranti
marocchini occupano il primo posto fra gli stranieri extracomunitari in Italia,
Spagna ed in Belgio, occupano il secondo posto in Francia (dopo gli Algerini),
nei Paesi Bassi ed in Germania (dopo i Turchi).
Questa valutazione della presenza dei migranti e la sua ripartizione tra i
diversi paesi di destinazione, confermano l’importanza della migrazione
diventata in Marocco un fenomeno di società e anche di cultura.
L’Italia come la Spagna, che erano fino a tempi recenti dei paesi
d’emigrazione, non costituivano una destinazione privilegiata dei Marocchini,
ma dei paesi di transito, una tappa verso i paesi d’accoglienza tradizionali.
La graduale chiusura di questi ultimi registrata a partire dalla fine degli anni
’80, inizi anni ’90, aveva generato una crescita dell’emigrazione dei
Marocchini verso questi paesi diventati in questo modo dei paesi
d’immigrazione.
Flussi questi che si sono stabilizzati a partire dal 1993, quando questi paesi
si sono dotati, in materia di immigrazione di un sistema giuridico
94
paragonabile a quello del resto d’Europa.14 Parallelamente, a causa della
prossimità geografica e/o della costituzione delle reti, questi due paesi sono
diventati una destinazione privilegiata dei flussi dei migranti clandestini.
L’Italia come destinazione privilegiata dei candidati all’emigrazione
marocchina
Tradizionalmente paese d’emigrazione, l’Italia è diventata a partire dagli
anni ’80 un paese d’immigrazione e a partire dalla fine di questo decennio
una destinazione privilegiata dei migranti marocchini. Sui 1,7 milioni di
stranieri che vivono in Italia, più di 287.000 secondo le statistiche ufficiali
marocchine, sono di origine marocchina (17%). Questa comunità con quella
albanese rappresentano i due gruppi di immigrati più importanti in Italia. Il
numero dei Marocchini che soggiornano regolarmente, è cresciuto da 1.188
nel 1981 a 15.705 nel 1987. Secondo i dati ufficiali italiani, i permessi di
soggiorno rilasciati a cittadini marocchini hanno cominciato a crescere molto
a partire dalla metà del ’90: il numero di questi permessi è passato dagli
81.247 del 1996 ai 146.491 del 2000 per raggiungere i 159.599 nel 2001.
Dati questi che indicano una crescita annuale media nell’ordine del 13,5 per
cento dal 1996 al 2001 (contro il 6,5% di crescita annuale media tra il 1993
ed il 199615). La presenza di migranti marocchini è distribuita in tutte le
regioni d’Italia, tuttavia si registra una concentrazione progressiva in tutte le
aree industriali del nord che nel 1999 accoglievano il 71 per cento di questa
comunità, contro il 16 per cento del centro ed il 13 per cento del sud.
4 Giubilaro D., (1997), Le migrazioni provenienti dal Maghreb e la pressione migratoria: situazione attuale e previsioni, Quaderno di migrazione internazionale n°15. BIT. 5 Fondation Hassan II (2003), I marocchini all’estero, Fondazione Hassan II. OMI , p. 291.
G r a f i c o 2 .9 - D in a m ic a d e i p e r m e s s i d i s o g g io r n o p e r m o t iv i d i la v o r o e f a m ig l ia .
I l c a s o d e l l ' im m ig r a z io n e m a r o c c h in a . A n n i 1 9 9 2 - 2 0 0 1
0
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A n n iL a v o r o F a m ig l ia
95
Quella marocchina è una migrazione, che per il suo carattere recente, è
perlopiù individuale e maschile, ma che diventa sempre più femminile. Il
numero di donne marocchine in Italia cresce dalle 8.189 del 1992 alle
34.349 del 1999. Esse rappresentavano nel 1999 il 27 per cento dei
Marocchini con permesso di soggiorno, mentre nel 1992 raggiungevano solo
il 10 per cento.
Questa tendenza è destinata ad accrescersi in conseguenza sia del
ricongiungimento familiare recentemente istituito in Italia sia della presenza
di donne nubili, divorziate o vedove, che non emigrano a seguito di un
marito.
Queste donne hanno accesso al mercato del lavoro dove sono presenti
soprattutto nel terziario ed in modo particolare nell’ambito del lavoro
domestico. La presenza di migranti marocchini si caratterizza per il forte
tasso di clandestinità alimentato dall’esistenza di reti familiari e regionali.
Queste reti operano principalmente a partire da alcune regioni, in particolare
la Chaouia e Tadla, conosciute per essere dei centri d’emigrazione con
destinazione finale l’Italia.
Non esistono dati che informino sulle caratteristiche individuali e familiari
(sesso, stato civile, livello d’istruzione, attività economica, regione
d’origine…) di questi flussi migratori. Le informazioni disponibili, che non
prendono in considerazione i clandestini, provengono da documenti italiani.
Questa attrazione per l’Italia si giustifica dal lato marocchino in base a
diversi fattori: oltre all’esistenza delle reti già segnalate, questi flussi sono
favoriti dalla flessibilità delle regolamentazioni sull’immigrazione che hanno
prevalso in Italia (paragonata ai paesi tradizionali d’accoglienza), ma
soprattutto dall’esistenza dell’effetto di richiamo rappresentato dalla
presenza di ampie zone di economia informale, tanto nel mondo urbano
quanto nel mondo rurale, in modo particolare nel sud del paese.
Tale economia sotterranea favorisce il lavoro in nero e una nuova offerta di
lavoro nelle zone caratterizzate da livelli remunerativi molto bassi o
svalorizzate e socialmente indesiderabili.
Essendo l’Italia un paese d’immigrazione recente, il ricongiungimento
familiare non vi ha assunto le stesse dimensioni che nei paesi d’accoglienza
tradizionali. Nonostante ciò, il numero di allievi stranieri nelle scuole italiane
è in regolare aumento (si è sestuplicato nell’ultimo decennio).
96
Secondo i dati raccolti dalla Caritas il numero di bambini marocchini iscritti
alle scuole italiane è di 23.052 unità, cifra questa che rappresenta il 15,6 per
cento del totale degli alunni stranieri, e che ne fa il secondo gruppo più
importante dopo gli Albanesi (17%)16.
LE INTENZIONI DI RITORNO
Se inizialmente per i migranti il progetto di migrazione era provvisorio, ha
assunto in seguito per gli stessi le caratteristiche di un progetto di vita.
Questa trasformazione si è verificata per effetto sia del ricongiungimento
familiare che dell’accentuarsi delle differenze tra il paese di destinazione e
quello d’origine di alcuni indicatori socioeconomici (salario, livello di vita,
garanzie sociali…). Il ritorno interessa principalmente i primi migranti, cioè la
prima generazione arrivata attualmente all’età della pensione. La seconda e
la terza generazione, tenendo presenti le difficoltà di reinserimento nei paesi
di origine, preferiscono rimanere nei paesi d’accoglienza. Tale dinamica, ad
ogni modo, caratterizza maggiormente i paesi d’accoglienza tradizionali che
l’Italia.
Non esistono statistiche riguardanti il ritorno dei migranti in Marocco. Le rare
indicazioni disponibili (tabella 2.2) sono quelle dell’indagine realizzata nel
1998 dall’Istituto Nazionale di Statistica ed Economia Applicata, dati questi
che bisogna considerare con prudenza.
Fonte: INSEA, (2000), I marocchini residenti all’estero: un’indagine socio-economica, p. 147.
Secondo le conclusioni della stessa indagine, le condizioni di ritorno evocate
dai migranti si relazionano alla raggiunta età pensionabile (44,3%) ed alla
presenza di condizioni favorevoli per l’investimento (55.2%).
6 Caritas, (2002), Immigrazione. Dossier statistico 2002, Edizione Nuova Anterm, p.182.
Tabella 2.2 - Intenzioni di rientro in Marocco dei migranti
Si No Non sa Totale
Migrante 81,7 17,9 0,8 100
Congiunto 73,3 24,1 2,6 100
Figlia 35,0 37,2 27,8 100
Figlio 35,5 37,3 27,2 100
97
Fonte: INSEA, (2000), I marocchini residenti all’estero: un’indagine socio-economica.
Le giustificazioni evocate dai migranti a proposito dell’intenzione di rientro
testimoniano un certo attaccamento al paese d’origine (47,9%) ed alla
famiglia (26,0%). Ad ogni modo, questi valori sembrano essere meno
significativi nelle province caratterizzate da una migrazione più datata
rispetto alle province di recente migrazione come quelle che alimentano i
flussi migratori diretti verso l’Italia (Tadla e Chaouia, all’interno delle quali
fra l’altro prevale la migrazione clandestina).
In effetti, il clandestino affrontando un costo sempre più alto per accedere ai
paesi d’accoglienza è meno incline al rientro. A discapito della delusione
personale che si troverebbe ad affrontare, il ritorno è per lui un’opzione da
scartare, in quanto non potrebbe in alcun caso tornare nel proprio paese “a
mani vuote” e mostrare alla propria famiglia il fallimento della sua impresa.
Ma, incontestabilmente, come confermato dall’indagine citata, condizioni
favorevoli all’investimento possono incentivare il rientro, che rimane
comunque non definitivo.
L’IMPATTO DELLA MIGRAZIONE SULL’ECONOMIA MAROCCHINA
L’impatto della migrazione sull’economia marocchina deve essere esaminato
con una attenzione specifica sia alla situazione attuale che alle prospettive
future in tre aspetti: le rimesse, la destinazione delle rimesse e l’impatto
degli investimenti sul sistema economico locale.
Tabella 2.3 - Condizioni di rientro in Marocco identificate dai migranti
Condizioni Si No Totale
In pensione 44,5 55,5 100
Strutture per bambini 13,0 87,0 100
Scolarizzazione 11,7 88,3 100
Formazione 9,3 90,7 100
Condizioni favorevoli all’investimento 55,2 44,8 100
Altre condizioni 21,4 78,6 100
98
Le rimesse
Elemento essenziale del fenomeno della migrazione a livello economico e
macro economico, le rimesse costituiscono una fonte significativa di entrate
per le finanze dei paesi di origine.
Le informazioni disponibili per il Marocco, sulla base dell’indagine dell’INSEA,
indicano che più di 9 migranti marocchini su 10 (94%) hanno dichiarato di
avere trasferito dei fondi in Marocco durante i cinque anni considerati dalla
ricerca e quasi il 60% ha affermato di aver trasferito almeno un quarto dello
stipendio annuale.17 L’evoluzione delle rimesse degli immigrati marocchini
dal 1970 permette di apprezzare meglio il loro ritmo di crescita (tabella 2.4).
Fonte: Ufficio Cambi, Marocco.
7 INSEA, (2000), Les Marocains résidant à l’étranger. Une enquête socio-économique, Imprimerie El Maarif, El Jadida.
Tabella 2.4 – Evoluzione delle rimesse dei migranti marocchini residenti all’estero (milioni di dirham)
Anni Importo Variazione % Anni Importo Variazione %
1970 316,8 4,8 1987 13.267,9 4.2
1971 480,2 51,6 1988 10.700,4 -19.4
1972 640,3 33,3 1989 11.344,1 6.0
1973 1.020,8 59,4 1990 16.537,2 45.8
1974 1.557,2 52,5 1991 17.328,1 4.8
1975 2.159,6 38.7 1992 18.530,7 6.9
1976 2.417,8 12.0 1993 18.215,9 -1.7
1977 2.652,1 9.7 1994 16.814,4 -7.7
1978 3.176,0 19.8 1995 16.819,9 0.03
1979 3696,5 16.4 1996 18.873,8 12.2
1980 4.147,6 12.2 1997 18.033,4 -4.5
1981 5.242,0 26.4 1998 19.200,0 6,5
1982 5.114,5 -2.4 1999 19.001,5 -1,6
1983 6.515,4 27.4 2000 22.961,6 20,8
1984 7.680,9 17.9 2001 36.867,7 60,6
1985 9.732,2 26.7 2002 35.513,0 -3,6
1986 12.730,6 30.8 2003 34.061,0 -4,2
99
Tra il 1970 ed il 2001, il volume dei trasferimenti ufficiali (in valore
nominale) si è moltiplicato per più di 116 volte passando da 316,8 milioni a
36.867,7 milioni di dirham (grafico 2.3).
Questi trasferimenti, effettuati in moneta corrente, hanno registrato a partire
dalla fine degli anni ’80 dei momenti di flessione. Fenomeno questo che
sarebbe percepibile più facilmente se i dati fossero espressi in termini reali,
cioè tenendo conto del deprezzamento monetario.
Nel 1982, si è verificato il primo momento di flessione giustificabile con la
soppressione del “premio” di parità fra il dirham ed il franco francese,
(moneta del principale paese d’accoglienza) e la sua sostituzione con il
premio di cambio del 10 per cento per il franco francese e del 5 per cento
per le altre valute. La diminuzione registrata nel 1998 è dovuta alla
soppressione del suddetto premio di cambio.
Due fenomeni sembrano spiegare l’irregolarità dei trasferimenti durante il
decennio del ’90: la concorrenza effettuata dalle banche dei paesi di
residenza alle banche marocchine attraverso l’offerta di prodotti finanziari
più interessanti e la tendenza delle nuove generazioni all’istallazione
definitiva nei paesi d’accoglienza.
Grafico 2.3 - Evoluzione delle rimesse dei migranti marocchini residenti all'estero (milioni
di dirham)
0
5000
10000
15000
20000
25000
30000
35000
40000
1970
1972
1974
1976
1978
1980
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
100
Nonostante la flessione che ha caratterizzato gli anni ’90, le rimesse
continuano a costituire delle risorse fondamentali per il Marocco.
Questi trasferimenti di fondi sono stati incentivati da una serie di fattori
quali: le svalutazioni del dirham, i bassi tassi d’inflazione e l’istallazione a
partire dal 1971 delle reti bancarie nei paesi di accoglienza.18
Il 2001 è stato un anno eccezionale, i trasferimenti hanno raggiunto quasi i
37 miliardi di dirham registrando così un aumento di più del 60 per cento
rispetto all’anno precedente. Due sono le ipotesi che si possono formulare
per giustificare questo straordinario aumento:
• L’effetto Euro: i residenti marocchini nei paesi dell’Unione europea
probabilmente non hanno accolto con grande fiducia la nuova moneta
come testimonia il volume dei trasferimenti effettuati prima dell’11
settembre: a luglio quasi 4 miliardi e ad agosto quasi 4,5 miliardi di
dirham (record dell’anno).
• L’effetto 11 settembre: dei forti tassi di rimpatrio di fondi sono stati
registrati al di fuori della zona euro. Negli Stati Uniti (+144,1%), in
Gran Bretagna (+67,3%), in Kuwait (+216%) e in Qatar (+117,1%). Il
rientro di questi fondi era finalizzato probabilmente ad assicurare ai
migranti condizioni di maggiore sicurezza nel paese d’origine.
Secondo uno studio della Banca Mondiale, il Marocco nei trasferimenti di
moneta dei lavoratori immigrati è al quarto posto mondiale dietro l’India (10
miliardi di dollari), il Messico (9,9 miliardi di dollari) e le Filippine (6,4
miliardi di dollari). L’Egitto, la Turchia, il Libano ed il Bangladesh seguono il
Marocco, in questa classifica. In Marocco questi trasferimenti hanno un
impatto significativo sull’economia nazionale.
8 Bisogna ricordare a questo proposito che le norme valutarie permettono ai Marocchini che risiedono all’estero di aprire presso le banche marocchine due tipi di conti: uno in dirham convertibili (depositi in valuta convertiti in dirham) ed uno in valuta. Gli interessi dei suddetti depositi a termine sono esonerati dalle tasse. Nel 1993, una circolare dell’ufficio dei cambi (N°1607) ha precisato che il versamento iniziale per l’apertura del conto doveva essere uguale o superiore al controvalore in valuta di 100.000 dirham. Questo obbligo è stato soppresso da un’altra circolare nel 1995. Da allora, l’apertura dei conti avviene liberamente su semplice richiesta degli interessati, indipendentemente dall’importo in valuta depositato come versamento iniziale. I conti in dirham convertibili sono accreditati per gli interessi maturati sui depositi a vista e a termine effettuati. Nel caso in cui i marocchini residenti all’estero volessero esportare nuovamente tutta o parte della valuta depositata, il cui controvalore superi i 50.000 dirham, devono compilare in frontiera presso i servizi doganali un formulario apposito.
101
Le rimesse rappresentano la risorsa principale di valuta, superando di molto
il turismo (28,8 miliardi di dirham) ed il totale degli investimenti e prestiti
privati stranieri in Marocco (33,1 miliardi di dirham), mentre nel 1971 le
stesse non rappresentavano che la metà degli introiti in valuta generati dal
turismo. Le rimesse hanno rappresentato nel 2001 la principale entrata delle
transazioni correnti della bilancia dei pagamenti (il 21,57% contro il 10% nel
1971), coprendo l’84 per cento del deficit commerciale (43,641 miliardi di
dh). Senza dubbio quindi la principale ricchezza marocchina proviene
dall’esportazione della forza lavoro nella sua componente fisica ed
intellettuale.
Fonte: Ufficio dei Cambi, Marocco.
Tabella 2.5 – Rimesse per paese nel 2001 (milioni di dirham)
Paese Trasferimenti
bancari Trasferimenti
postali Contanti Totale Francia 8.357,6 1.925,4 4.517,6 14.980,6 Italia 1.640,1 372,7 3.851,4 5.864,2 Paesi Bassi 892,5 91,8 2.501,9 3.486,2 Stati Uniti 1.459,7 76,2 650 2.185,9 Belgio 1.121,7 104,8 817,4 2.043,9 Germania 892,1 69,7 962,7 1.924,5 Spagna 892,8 86,6 916,9 1.869,3 Gran Bretagna
465,1 20 1.111,3 1.596,4
EAU 551,2 15,2 62 628,4 Arabia Saudita
469,1 11,5 147,6 628,2
Svizzera 302,9 103 173,6 579,5 Danimarca 58,6 4,6 147,9 211,1 Norvegia 53,9 - 79,6 133,5 Canada 67,6 10,5 41,9 120 Portogallo 8,1 6,9 67 82 Svezia 34 2,3 40,4 76,7 Bahrein 55 6,9 2,4 64,3 Austria 7,9 3,5 17,6 29 Kuwait 4,9 3,5 17,2 25,6 Oman 23,3 1,2 - 24,5 Libia 22,8 - - 22,8 Qatar 12,2 2,3 3,3 17,8 Tunisia 13 - - 13 Algeria 3,5 - - 3,5 Altri paesi 109,8 48,5 71,5 229,8 Totale 17.699,4 2.967,1 16.201,2 36.867,7
102
I trasferimenti dei Marocchini espatriati hanno rappresentato nel 2001
l’equivalente della sommatoria dei 4 primi posti delle esportazioni nella
bilancia commerciale, rappresentati dagli abiti confezionati (17,164 miliardi
di dh), dagli articoli di maglieria (8,861 miliardi di dh), dall’acido fosforico
(5,380 miliardi di dh) e dai crostacei, molluschi e frutti di mare (4,954
miliardi di dh). La ripartizione delle rimesse per paese riflette l’importanza
della presenza migratoria nei diversi paesi di accoglienza (tabella 2.5).
Questi dati permettono di valutare, da un lato, l’importanza dei trasferimenti
per ogni singolo paese: la Francia occupa largamente il primo posto con più
del 40 per cento del totale delle rimesse; l’Italia occupa la seconda posizione
con il 13 per cento del totale, il che evidenzia l’importanza di questo paese
come area di origine delle rimesse inviate dagli immigrati marocchini (grafico
2.4)
D’altra parte questi dati sottolineano anche l’importanza dei diversi canali di
trasferimento: il 48,01 per cento per i contanti, il 43,94 per cento per i
bonifici bancari e l’8,05 per cento per i bonifici postali. Per l’Italia queste
percentuali sono rispettivamente del 65,68 per cento, del 27,29 per cento e
del 6,35 per cento.
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Grafico 2.4 - Rimesse per paese. Anno 2001
Belgio8.10%
Paesi Bassi7.00%
Gran Bretagna4.20%
Germania4.30%
Stati Uniti3.90%
Spagna4.00%
Francia45.20%
Arabia Saudita2.50%
Italia13.0%
Altri paesi5.40%
Emirati Arabi Uniti
2.40%
103
La predominanza dell’uso dei contanti si spiega per il fatto che le banche
marocchine sono poco presenti in Italia, ma anche per gli spostamenti degli
immigrati che preferiscono trasferire loro stessi i loro risparmi durante le
vacanze o eventualmente inviarli con un membro della famiglia od un
amico. Al fine di valutare l’importanza delle rimesse per ciascuno dei paesi è
necessario identificare la misura in cui esse coprono il deficit commerciale:
essendo il deficit commerciale del Marocco con l’Italia di 1.663 milioni di
dirham, le rimesse lo coprono nella misura del 352,6 per cento. L’Italia è in
seconda posizione, dopo la Gran Bretagna e prima della Spagna (350,7%)
fra i paesi il cui livello di rimesse copre maggiormente il deficit commerciale.
Per la Francia, principale paese di accoglienza, questo deficit è coperto solo
per il 78,6 per cento. Risulta particolarmente difficile la valutazione dei
trasferimenti in natura, fenomeno comunque importante con l’Italia dove il
“commercio della valigia” è un importante canale di trasferimento. Alcuni
immigrati marocchini che esercitano l’attività commerciale fanno
regolarmente la navetta fra i due paesi a bordo di macchine colme di
mercanzie. In Marocco, un’indagine puntuale riguardante due dei principali
centri di emigrazione, Nador al nord e Tadla al centro, valuta l’entità di
questi trasferimenti tra il 30 ed il 50 percento dei trasferimenti finanziari19.
Ma globalmente, questi trasferimenti in natura possono essere
ragionevolmente stimati tra il 20 ed il 30 per cento dei trasferimenti dei
fondi.
La destinazione delle rimesse
La migrazione marocchina è principalmente una migrazione economica
ragione per cui il comportamento dell’immigrato è abbastanza caratteristico:
le entrate sono destinate soprattutto alla soddisfazione dei bisogni
fondamentali dell’immigrato e della famiglia che vive con lui o che è rimasta
nel suo paese. Una parte di queste entrate è riservata al risparmio e
destinata all’investimento in Marocco al fine di preparare un’eventuale
reinserimento nel paese d’origine. Ma è necessario constatare che questo
risparmio è sempre più spesso investito nei paesi di residenza. In effetti,
dopo l’acquisto di una macchina, il primo investimento al quale pensa la
9 Gera, (1994), Analisi locale sull’impatto dei trasferimenti dei residenti marocchini all’estero, Facoltà di Lettere, Rabat .
104
maggior parte degli immigrati è l’acquisto di una casa o la costruzione di un
alloggio, principali simboli di successo sociale nell’immaginario
dell’immigrato e del suo entourage. L’investimento immobiliare rappresenta,
per i migranti marocchini, l’impiego prioritario delle rimesse. Constatazione
questa che è confermata da diverse indagini condotte ormai da più di 35
anni20 e anche da ricerche più recenti: nel 2000, l’indagine realizzata
dall’INSEA conferma l’importanza degli investimenti nella “pietra”. Se
l’immobiliare rimane il settore dominante negli investimenti degli immigrati, i
motivi di tale scelta sembrano evidenti.
Questo investimento rappresenta un indicatore di successo sociale ed allo
stesso tempo per l’immigrato che vive lontano da casa un investimento
affettivo con un forte valore simbolico. In una prospettiva di ritorno la
costruzione di un alloggio nel paese natale costituisce per l’immigrato una
importante sicurezza. Raggiunto questo obiettivo, il grado di rendimento
condiziona la scelta degli altri settori d’investimento. La ricerca della
sicurezza sociale si trasforma quindi nell’inseguire una sicurezza di carattere
economico. I settori scelti per gli investimenti hanno quindi un livello di
rischio molto basso ed un rendimento immediato (commercio, servizi, ecc…).
Possono ad ogni modo intervenire altri parametri nella scelta nei settori in
cui investire, come la conoscenza del settore e le relazioni di cui può
usufruire l’immigrato per inserirvisi. L’indagine realizzata dall’INSEA (tabella
2.6) ci dà delle informazioni interessanti sugli investimenti dei migranti tanto
in Marocco quanto nei paesi di residenza.
Fonte: INSEA, (2000), I marocchini residenti all’estero, pp. 196-197.
10 Belguendouz A., (1991), Le cadre général de l'émigration marocaine en liaison avec la problématique de l'immobilier au Maroc pour la communauté marocaine à l'étranger, Studio per la CGI, Rabat.
Tabella 2.6 – Investimenti realizzati in Marocco e nei paesi di residenza dagli immigrati marocchini
Settore % Marocco % paesi di residenza
Immobiliare 83,78 63,00
Industria 1,30 3,70
Commercio 4,90 17,40
Turismo 1,40 6,10
Altri servizi 1,10 1,20
Agricoltura 7,52 7,30
105
La propensione ad investire è molto forte: più del 70 per cento del campione
intervistato nella inchiesta ha investito in Marocco e più del 23 per cento nel
paese di residenza. La conclusione principale dell’inchiesta indica che
l’immobiliare occupa indiscutibilmente il primo posto negli investimenti
realizzati dai migranti marocchini sia nel paese d’origine che nei paesi di
residenza (rispettivamente l’83,7% ed il 63% degli investimenti realizzati).
In Marocco dopo l’immobiliare viene l’agricoltura (7,51%), il resto (8,8%) si
divide tra gli altri settori (grafico 2.5). Nei paesi di residenza, gli investimenti
realizzati al di fuori del settore immobiliare sono più significativi (37%), e
sono dominati dal commercio (17,4%) e dal turismo (6,1%). Questo
risultato del terziario rivela lo sviluppo da parte degli immigrati di una forte
autonomia. L’inchiesta ha interrogato allo stesso modo i migranti a proposito
dei loro progetti di investimento: il 57 per cento ha dei progetti in Marocco
ed il 14 per cento nei paesi di residenza. Ciò che ci sembra significativo
sottolineare è la nuova configurazione dei settori considerati.
L’immobiliare, nonostante sia il primo settore è nettamente meno
importante nelle scelte progettuali che negli investimenti realizzati. Si
registra in questo settore una flessione più significativa in Marocco che nei
paesi di residenza. Questo, secondo lo studio è dovuto sia al fatto che più dei
due terzi dei migranti hanno già investito nell’immobiliare in Marocco sia al
fatto che il loro processo di stabilizzazione nel paese di accoglienza è sempre
più avanzato. L’agricoltura scompare dalle scelte progettuali all’estero ed il
terziario continua a suscitare l’interesse degli immigrati.
Grafico 2.5 - Suddivisione degli investimenti realizzati in Marocco dagli immigrati marocchini
1.30%
4.90%
1.40%1.10%7.51%
83.78% Immobiliare
Industria
Commercio
Turismo
Agricoltura
A ltri servizi
106
Questo settore diventa quindi quello privilegiato in Marocco: il 44,8 per
cento dei progetti, suddivisi nel 27,4 per cento per il commercio, il 12,1 per
cento per il turismo ed il 5,3 per cento per gli altri servizi, si riferiscono al
terziario (tabella 2.7). L’industria, nonostante la percentuale non
trascurabile, resta un settore poco ambito dagli immigrati.
Fonte: INSEA, (2000), I marocchini residenti all’estero, p. 205.
Per quanto riguarda l’insieme di questi progetti, è evidente che si tratti di
intenzioni di investimento di cui non si può valutare il tasso di realizzazione.
Nondimeno, certi dati rivelano un cambiamento significativo nel
comportamento degli immigrati riguardo all’investimento in Marocco, segno
della probabile emergenza di una cultura d’impresa. I marocchini espatriati
investono in nuovi campi economici: la borsa, l’agricoltura, l’allevamento, il
commercio, il turismo e le piccole e medie imprese di certi settori (panificio,
pasticceria, confezioni…)21.
L’impatto degli investimenti sul sistema economico locale
Gli investimenti sono orientati quasi esclusivamente al settore immobiliare, e
quindi considerati senza grandi effetti sui sistemi economici locali.
11 Già nel 1990, un’indagine nella città di Nador una delle principali aree di emigrazione marocchina indicava che 26 dei 36 panifici e pasticcerie dalla città e della regione erano stati creati da migranti marocchini. Inoltre altri settori venivano identificati: le tipografie, il settore alberghiero, i centri commerciali, il tessile, ecc. Berriane Mohamed, (1994), Commerce et secteurs productifs: les nouveaux centres d’intérêt des émigrés, in Annuaire de l’Emigration, Fondation Hassan II. Rabat.
Tabella 2.7 – Suddivisione per settori dei progetti di investimento degli immigrati marocchini
Settore % Marocco % paesi di residenza
Immobiliare 35,6 54,2
Industria 7,5 4,5
Commercio 27,4 25,1
Turismo 12,1 9,5
Altri servizi 5,3 6,1
Agricoltura 10,6 0,0
Altri 1,5 0,6
Totale 100 100
107
Ciononostante è necessario precisare quest’affermazione. In effetti, l’impatto
dell’investimento immobiliare non è certo ignorabile; innanzitutto delle
migliori condizioni di alloggio permettono una migliore riproduzione della
forza lavoro (e quindi una migliore alimentazione ed educazione dei figli). In
secondo luogo, gli effetti moltiplicatori del settore sono numerosi: questo
tipo di investimento provoca una dinamicizzazione delle economie locali
attraverso la proliferazione dei mestieri legati al settore e la costituzione di
un tessuto di piccole imprese (materiali da costruzione, falegnameria,
officine meccaniche, ecc…). Ciò favorisce quindi la creazione di impieghi sia
diretti che indiretti. Nell’agricoltura la migrazione ha avuto degli effetti
contrapposti. Se la partenza dei giovani ha provocato in alcune regioni un
declino dell’economia agricola e talvolta un allentamento dei legami con la
terra, in altri casi, i trasferimenti dei migranti hanno avuto degli effetti
importanti. Il loro intervento nell’ambiente rurale ha permesso un
miglioramento dell’attività agricola, traducendosi spesso nell’estensione delle
superfici coltivate e nella modernizzazione dei mezzi di produzione negli
sfruttamenti familiari. I trasferimenti di fondi contribuiscono comunque ad
aumentare la liquidità dell’economia e a dopare il sistema bancario.
Il risparmio bancario degli immigrati marocchini, ha superato i 72 miliardi di
dirham nel 2002 (di cui 34.131 milioni in conti correnti ed il resto in conti a
termine e buoni a cambio fisso). Tale risparmio rappresentava nel 2000 il 38
per cento dell’importo totale dei depositi a vista ed a termine del sistema
bancario marocchino22, un indiscutibile apporto quindi alla liquidità del
sistema bancario. Paragonati a questo risparmio, i crediti accordati ai
marocchini residenti all’estero appaiono trascurabili, non avendo superato
durante gli anni 2000, 2001 e 2002 i 3.036, 3.527 e 4.363 milioni di dirham,
cioè rispettivamente il 5,80, il 5,34 ed il 6,82 per cento di questi depositi.
Per ciò che riguarda l’impatto dell’immigrazione sulla famiglia rimasta nel
paese d’origine, gli effetti sociali sono notevoli in particolare rispetto al
miglioramento della qualità di vita delle famiglie.
A questo livello, l’immigrazione appare come un mezzo per assicurare delle
entrate decenti alle famiglie rimaste a casa. Questa constatazione è
confermata da uno studio sull’apporto delle rimesse alla riduzione della
12 El Ayachi A., (2001), Epargne et investissement des Marocains résidant à l’étranger : tendances et perspectives , in Giornata di studio “Epargne, investissement et fiscalité ”, Centro Studi Aziz Belal, 12 Giugno 2001, Casablanca.
108
povertà in Marocco. Tali fondi sarebbero all’origine di una diminuzione del
livello della povertà, che riguarda secondo l’ultima inchiesta sui livelli di vita
delle famiglie il 19 per cento della popolazione (invece del 23,2 per cento
che si registrerebbe in assenza dell’apporto dell’immigrazione). Grazie
all’invio di fondi da parte degli immigrati, effettuati sotto forma di
investimenti e di diversi traferimenti23, 1,2 milioni di Marocchini sfuggono
quindi alla povertà.
Per ciò che riguarda l’impatto regionale di questi investimenti, la creazione di
progetti e l’urbanizzazione di zone di estrema povertà favoriscono la crescita
economica e l’apertura di queste regioni.
La campagna marocchina, in particolare, è stata caratterizzata da una micro-
urbanizzazione generalizzata che ha generato lo sviluppo di piccoli centri
urbani. Anche se tale urbanizzazione è avvenuta in modo anarchico, ha
permesso un miglioramento dell’habitat rurale e di conseguenza un
miglioramento delle condizioni di vita. Questo fenomeno è ampiamente
visibile nelle regioni che sono state considerate dall’inchiesta.
E’ necessario ciononostante constatare che l’assenza di infrastrutture in
certe regioni provoca un’emorragia di risorse a vantaggio di regioni più
sviluppate. In Marocco, questa situazione si presenta, come si vedrà più
avanti nell’analisi dell’indagine, tra le province dell’Orientale e del Rif,
principali centri della migrazione marocchina, che soffrono di gravi
insufficienze di infrastrutture di base e la regione di Casablanca. Il drenaggio
dei fondi si effettua attraverso il sistema bancario. I dati disponibili per
l’anno 1993 e che rimangono attuali, indicano che queste province
forniscono il 16,58 per cento dei depositi ma beneficiano solo del 2,18 per
cento dei crediti. Al contrario, Casablanca genera il 34,11 per cento dei
depositi e si aggiudica il 61,96 per cento dei crediti, situazione questa
confermata dai dati del 2001: la metropoli di Casablanca raccoglie un terzo
dei depositi ma beneficia di più del 55 per cento dei crediti erogati dalle
agenzie bancarie24.
I migranti possono partecipare in maniera attiva allo sviluppo regionale
attraverso il loro contributo a dei progetti di sviluppo locale.
13 Bourchachen Jamal, (2000), Apports des transferts des résidents à l’étranger à la réduction de la pauvreté : cas du Maroc, Seminario organizzato dall’International Association for Official Statistics, Statistique, développement et droits de l’homme, Montreux 4-8 settembre 2000. 14 Relazioni di Bank Al Maghreb 1993 e 2001.
109
L’esperimento effettuato in Marocco da una ONG francese, Migration &
Développement (M&D) e da un’altra marocchina dallo stesso nome (che è
servita da controparte alla prima fino al 1998, anno in cui è diventata
autonoma) presenta a questo proposito un interesse particolare. Queste
ONG accompagnano da 15 anni delle azioni di sviluppo nelle regioni
marocchine di origine dei migranti. All’inizio la loro azione ha portato
l’elettricità in qualche villaggio del Sous ed alcuni progetti di interscambio
per i giovani. In una seconda fase, l’accento è stato posto sulla realizzazione
di infrastrutture di base: acquedotti, costruzione di strade, scuole, ed
ambulatori medici. Queste azioni sono state gestite nel corso degli anni da
più di 200 associazioni cittadine (partner nei progetti di sviluppo locale) la
cui creazione è stata stimolata da M&D.
Questo approccio partecipativo permette di coinvolgere le popolazioni locali
nella definizione dei bisogni, nella realizzazione dei progetti e nella loro
gestione25. Dal 2000, in linea con gli obiettivi di sviluppo locale ed al fine di
consolidare la stanzialità della popolazione nel territorio, l’azione di M&D si è
estesa alle attività produttrici di reddito. Questo nuova linea progettuale è
stata promossa in collaborazione con altri 150 attori di sviluppo della
provincia di Taroundant (regione del Sous) e permette cosi di identificare ed
implementare dei progetti economici produttori di reddito.
Fonte: Migration & Développement .
15 Riprodurre questo esperimento pilota è un obiettivo che COOPI dovrà valutare nelle prospettive delle sue attività di sviluppo locale.
Tabella 2.8 – Progetti realizzati da Migration & Développement
Settore di intervento
Numero di villaggi
coinvolti Numero di beneficiari
Budget globale in dh
Acqua 55 26.188 5.384.194
Elettricità 103 35.731 19.913.500
Donne 16 62 2.165.240
Educazione 52 1.425 6.130.140
Salute 164 40.623 624.000
Cantieri/Scambi 50 552 3.375.697
Strade 255 70.000 3.630.000
Attività economiche - - 12.474.000
Totale 695 174.581 53.660.771
110
Questi progetti mobilitano numerosi partner sulle due rive del Mediterraneo:
associazioni di migranti, associazioni cittadine, ONG, rappresentanti ed
amministrazioni del paese d’origine e di quello di accoglienza, datori di fondi
e competenze di ogni tipo all’interno di una progettualità partecipata.16
Prima di concludere, conviene precisare che l’orientamento degli
investimenti realizzati dai marocchini residenti all’estero nel sistema
economico sembra evolversi alla luce delle prospettive di nuovi investimenti
in cui sono coinvolti immigrati con un profilo più elevato (quelli della seconda
e terza generazione ed i professionisti espatriati). Tenuto conto del livello di
istruzione elevato e del know how acquisito nel paese d’accoglienza, questi
ultimi sembrano orientati verso nuovi campi di investimento: l’informatica,
l’industria, i servizi,…. Informazioni precise su tali investimenti non sono al
momento disponibili. Considerando il carattere recente dell’emigrazione
marocchina in Italia ed il profilo dominante dei migranti in questo paese
(profilo piuttosto basso) questo fenomeno è poco sviluppato se paragonato
ai paesi di accoglienza tradizionali.
16A partire dall’anno 2002 l’attività di M&D si è estesa anche in Algeria. La analogia dei problemi incontrati dai contadini algerini ha spinto i membri della comunità immigrata algerina, tramite le organizzazioni contadine, a sollecitare l’appoggio di M&D per promuovere delle attività simili in questo paese. Considerando il ruolo svolto da queste iniziative nello sviluppo locale (in particolare nel Sud del Marocco) sarebbe interessante generalizzare questa esperienza a tutto il paese. Migration & Développement (2002), La Lettre de Migration & Développement, n. 7 giugno 2002. Si veda inoltre: La politique du gouvernement Jettou en direction des RME: Document de stratégie Ministre déléguée auprès du Ministre des Affaires Etrangères et de la Coopération Chargée de la Communauté Marocaine Résidant à l’Etranger. Approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 marzo del 2003.
111
2.1.2. L’immigrazione marocchina in Italia
Mattia Vitiello
LA SCOPERTA DELL’IMMIGRAZIONE IN ITALIA E LA PRESENZA
MAROCCHINA COME PRECURSORE DEI PRIMI FLUSSI
In questo capitolo saranno presentate le principali caratteristiche
demografiche, sociali ed economiche del modello migratorio marocchino. Allo
scopo di individuare nella stessa presenza marocchina e nei suoi processi di
integrazione nella società italiana, l’esistenza di quelle risorse e dotazioni di
capitale possedute dal migrante marocchino necessarie a fargli svolgere il
ruolo di agente di sviluppo e di innovazione del proprio paese. In altre
parole, obiettivo ultimo di questo capitolo è quello di individuare la tipologia
di immigrato marocchino che meglio corrisponde al ruolo di agente di
sviluppo e di innovazione. L’Italia per molto più di un secolo e ancora
tuttora, sebbene in misura minore ed in maniera molto meno significativa, è
stata un paese di emigrazione. I primi segni della presenza straniera in Italia
e dell’inversione di tendenza nei flussi migratori dall’Italia, cioè della
maggiore incidenza dei rimpatriati sugli espatriati, vengono già registrati
all’indomani del censimento del 1971.
I primi arrivi però sono ancora poco significativi mentre i movimenti dei
rimpatriati assumono una valenza molto maggiore.
Negli stessi anni, infatti, nasce il fenomeno della cosiddetta emigrazione di
ritorno, il numero dei rimpatriati comincia ad essere maggiore di quello degli
espatriati. Francesco Calvanese in un suo saggio17 illustra il dibattito nato in
quegli anni circa la possibilità di reimpiegare in maniera produttiva le
capacità imprenditoriali acquisite dagli italiani durante la loro esperienza
migratoria all’estero nella mutata situazione economica del Mezzogiorno e,
soprattutto, pone l’accento sugli sviluppi degli anni successivi che
smentiranno questi entusiasmi per portare alla luce della considerazione
scientifica e politica, il fenomeno dell’immigrazione straniera.
17 Calvanese F., (1983), Emigrazione e politica migratoria negli anni Settanta, Pietro Laveglia, Salerno.
112
Durante gli anni ’70, infatti, si registra un numero sempre più crescente di
nuovi arrivi di immigrati stranieri, soprattutto di immigrati provenienti dai
paesi in via di sviluppo, e di conseguenza la loro presenza comincia ad
assumere una valenza sempre più significativa fino a portare alla scoperta,
verso la seconda metà degli anni ’80, della presenza immigrata e della
questione dell’immigrazione in Italia, sia da parte degli studiosi sia da parte
dell’opinione pubblica e delle istituzioni politiche.
Questo fenomeno di inversione della tendenza dall’emigrazione verso
l’immigrazione ha interessato tutti i paesi dell’Europa mediterranea che
continuavano a conservare il carattere di paesi di emigrazione. La
compresenza di emigrazione e di immigrazione e la diffusione di questi
fenomeni in tutti i paesi dell’Europa mediterranea, indicano che
l’interpretazione dell’immigrazione straniera in questi stessi paesi e del suo
nesso con i processi di sviluppo dei paesi di origine, necessita di essere
inserita all’interno dello scenario europeo e dei suoi cambiamenti e,
soprattutto, deve essere intrecciata con i cambiamenti vissuti dai paesi
europei di "vecchia immigrazione". Prima di capire in base a quali
trasformazioni sia stato possibile che paesi di emigrazione come la Grecia,
l’Italia, il Portogallo e la Spagna siano diventati paesi di immigrazione, per
una migliore comprensione di questi fenomeni occorre dare alcuni cenni sulla
storia dell’immigrazione straniera in Italia. Agli esordi di questo fenomeno, la
presenza straniera si presentava estremamente polarizzata sia per quanto
riguarda le nazionalità presenti e la loro composizione demografica sia per
quanto riguarda la collocazione territoriale e lavorativa degli immigrati18.
Da un lato si situavano le nazionalità nord africane, con un forte
protagonismo della presenza marocchina, a netta prevalenza maschile e
localizzate soprattutto nelle regioni meridionali. Le occupazioni di questi
immigrati erano soprattutto nel settore agricolo e nel commercio, tra cui
prevalevano gli ambulanti. Tra questi occorre citare a causa della loro
significatività, il caso dei tunisini presenti nella Sicilia meridionale occupati
prevalentemente nella attività legate alla pesca e dei marocchini presenti
soprattutto nelle campagne dell’Italia meridionale durante il periodo di
raccolta, e nei centri urbani come venditori ambulanti o nelle fiere di paese.
18 Crescenzi F., Ferruzza A., Ricci M., (1993), Analisi e sintesi di indicatori per una lettura territoriale della presenza straniera in Italia, Istat, Quaderni di ricerca, n. 2, pag. 11.
113
Queste nazionalità mostravano un modello migratorio dal forte carattere
rotatorio legato alle attività stagionali della pesca, dell’agricoltura e del
commercio ambulante. Dall’altro lato, si situavano le nazionalità dell’Africa
subsahariana, prevalentemente somale, etiope, capoverdiane e, per il
continente asiatico, le Filippine. Queste nazionalità si caratterizzavano per
una presenza prevalentemente femminile e si insediavano soprattutto nelle
grandi città, dove esisteva una crescente domanda di lavoro domestico e di
cura. Queste nazionalità possedevano un modello migratorio molto più
stabile rispetto alle nazionalità precedenti, e anche i loro canali di ingresso in
Italia risultavano differenti, fattore che concorreva ad accrescere la loro
stabilità. Queste ultime infatti erano reclutate dalle famiglie attraverso le
parrocchie o le missioni cattoliche negli stessi paesi di origine, e questo
spiega anche la polarizzazione religiosa dei primi flussi di immigrati in arrivo
in Italia. I senegalesi costituiscono l’atro polo storico dell’immigrazione
italiana che mostra gli stessi caratteri demografici e lavorativi del polo
maghrebino19.
Secondo Francesco Calvanese negli stessi anni, contemporaneamente
all’aggravarsi dei fattori sociali ed economici alla base degli effetti spinta dei
flussi presentati dai paesi in via di sviluppo, l’Italia, così come gli altri paesi
dell’Europa mediterranea, si apre come nuovo spazio per i flussi provenienti
dagli stessi paesi in via di sviluppo, soprattutto a causa dei cambiamenti
nelle politiche migratorie dei tradizionali paesi europei di immigrazione. Tali
cambiamenti impediscono i nuovi ingressi e costringono i nuovi flussi
migratori a cercare nuove porte di ingresso20. I paesi dell’Europa
mediterranea sono invece caratterizzati da una sostanziale apertura in
quanto mancano di apposite norme (per il caso italiano ci sono quelle
inapplicabili ereditate dal regime fascista). Questo punto di vista spiega
anche l’alta temporaneità dell’immigrazione straniera in Italia nei primi anni
della sua storia di paese di immigrazione, in quanto per molti immigrati
l’Italia costituiva solo una tappa intermedia del loro percorso migratorio.
Enrico Pugliese pone l’accento anche sul ruolo della domanda di lavoro come
effetto di richiamo, soprattutto su quella domanda di lavoro generata dai
19 Calvanese F., Pugliese E., a cura di, (1991), La presenza straniera in Italia, Franco Angeli, Milano. 20 Calvanese F., (1992), Spazi e tempi delle nuove migrazioni. L’Italia, l’Europa, i paesi extraeuropei, in G. Mottura, a cura di, (1992), L’arcipelago immigrazione, Ediesse, Roma.
114
fenomeni di segmentazione del mercato del lavoro italiano21. Questi processi
di segmentazione producono un aumento di occupazioni proprie della fascia
secondaria del mercato del lavoro, cioè di quelle occupazioni precarie,
pericolose e poco pagate che la forza lavoro indigena rifiuta e che sono
invece svolte dalla forza lavoro immigrata.
L’importanza del ruolo della domanda di lavoro risulterà ancor più
accentuata nel prosieguo dell’esperienza dell’immigrazione straniera in Italia,
soprattutto riguardo all’incremento della presenza straniera, ai processi di
stabilizzazione della popolazione immigrata e alla compresenza nel
Mezzogiorno, di immigrati e di un alto tasso di disoccupazione22.
Durante gli anni Ottanta si assiste ad un progressivo aumento
dell’immigrazione straniera in Italia. In particolare, si registra il
consolidamento della presenza maghrebina ed una contemporanea
disarticolazione del polo costituito dalle nazionalità etiope, somale e
capoverdiane, che perdono gradualmente di peso all’interno
dell’immigrazione straniera, venendo sopravanzate da altre nazionalità in
ascesa. In rapporto a questo continuo aumento dell’immigrazione straniera
nelle città italiane, nel decennio Ottanta si afferma la presa di coscienza
dell’esistenza del fenomeno immigrazione e viene formulata la prima legge
che disciplina la presenza straniera, la legge 943 del 1986, a cui corrisponde
anche la prima regolarizzazione.
Questa nuova legge ha però rappresentato una risposta fallimentare alle
domande poste dall’immigrazione straniera perché essa prevedeva di
trovarsi di fronte allo stesso tipo di movimenti migratori che avevano visto
come protagonista l’emigrazione italiana, cioè l’emigrazione fordista. Tale
legge, in primo luogo, era indirizzata ai lavoratori stranieri e non a tutta
l’immigrazione e, in secondo luogo aveva come figura sociale di riferimento,
la figura del lavoratore inserito nella grande impresa, mentre la realtà della
nuova immigrazione era molto più eterogenea.
Questo fallimento della legge 943/86 ha portato alla necessità di formulare
una nuova legge, la legge n. 39 del 1990 e una nuova regolarizzazione. La
mancanza e/o l’esiguità di canali regolari di ingresso per i nuovi flussi e la
crescita della componente non documentata dell’immigrazione straniera in
21 Macioti M.I., Pugliese E., (1998), Gli immigrati in Italia, Editori Laterza, Bari, pp. 76-80. 22 Pugliese E., (1993), Sociologia della disoccupazione, Il Mulino, Bologna, p. 82.
115
Italia, ha portato alla continua reiterazione delle regolarizzazioni e delle
normative in materia di immigrazione. In questo modo l’Italia, pur essendo
un paese di recente immigrazione, in meno di venti anni ha conosciuto
un’intensa attività legislativa in questo campo. La continua produzione
legislativa ha avuto come effetto indesiderato l’allargamento dell’area della
discrezionalità in merito alla concessione dei permessi di soggiorno da parte
delle Questure, e l’incremento della precarietà giuridica della presenza
immigrata e della garanzia dei diritti degli stesi immigrati.
Nonostante queste forti difficoltà vissute dalla popolazione si può affermare
che l’immigrazione in Italia negli anni Novanta è stato interessata da una
progressiva stabilizzazione della sua presenza.
LA CONSISTENZA NUMERICA DELLA PRESENZA MAROCCHINA E LA
SUA ARTICOLAZIONE TERRITORIALE NEL QUADRO DEL FENOMENO
IMMIGRAZIONE IN ITALIA
Nell’arco degli anni ‘90 si è registrato un progressivo miglioramento nella
rilevazione della presenza immigrata in Italia, e ciò assicura una maggiore
affidabilità alle informazioni fornite dalle fonti statistiche disponibili
sull’argomento, soprattutto per quanto riguarda la consistenza numerica, le
componenti anagrafiche e le nazionalità di provenienza degli immigrati. Le
stesse stime della consistenza delle componenti irregolari e clandestine
dell’immigrazione, in questi anni, hanno conosciuto una migliore accuratezza
del dato, acquisendo una maggiore corrispondenza tra l’informazione fornita
ed il fenomeno misurato, come è stato mostrato da Blangiardo23. In questo
paragrafo viene individuata la consistenza numerica, il profilo demografico e
la diffusione territoriale della presenza marocchina in Italia che risultano
essere le prime variabili caratterizzanti un modello migratorio. Queste
caratteristiche verranno confrontate sia con quelle caratterizzanti le altre
nazionalità maghrebine, Tunisia ed Algeria, sia con le principali nazionalità
immigrate presenti in Italia, allo scopo di delineare elementi peculiari del
modello migratorio marocchino ed elementi comuni alle altre nazionalità.
23 Blangiardo G., (2000), Le dimensioni della presenza irregolare dopo la legge 40/98, relazione presentata al convegno, Migrazioni e società multiculturale. Le regole della convivenza, Agenzia romana per il Giubileo, Napoli, 9 – 10 Novembre, 2000.
116
La principale fonte statistica utilizzata in questo paragrafo è quella fornita
dall’Istat e riguarda i permessi di soggiorno rilasciati dalle Questure. Il
permesso di soggiorno è il documento che legalizza la presenza del cittadino
straniero e riporta i dati identificativi dell’intestatario ed il motivo per cui è
stato rilasciato.
La tabella 2.9 riporta i dati in merito alle principali nazionalità presenti in
Italia secondo il sesso dal 1992 al 2002.
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
Tabella 2.9 - Permessi di soggiorno per sesso e paesi di cittadinanza. Anni 1992 – 2002
1992 2002
Variazioni %
1992 - 2002
Paesi MF F % F Paesi MF F % F MF F
Marocco 83.292 8.180 9,8 Marocco 167.889 54.140 32,2 101,6 561,9
Tunisia 41.547 3.733 9,0 Albania 159.317 61.747 38,8 540,2 1.662,2
Filippine 36.316 24.407 67,2 Romania 82.985 42.970 51,8 905,9 797,8
Ex Jugoslavia 26.727 9.911 37,1 Filippine 67.711 44.131 65,2 86,4 80,8
Albania 24.886 3.504 14,1 Cina 62.146 29.085 46,8 293,9 362,9
Senegal 24.194 694 2,9 Tunisia 53.356 12.814 24,0 28,4 243,3
Egitto 18.473 2.624 14,2 Jugoslavia 39.278 16.470 41,9 47,0 66,2
Cina 15.776 6.283 39,8 Sri Lanka 38.763 16.949 43,7 220,0 351,0
Polonia 12.139 6.757 55,7 Senegal 37.806 3.319 8,8 56,3 378,2
Sri Lanka 12.114 3.758 31,0 Polonia 32.889 23.699 72,1 170,9 250,7
Ghana 11.303 3.506 31,0 India 32.507 12.582 38,7 227,8 195,0
Brasile 10.953 7.513 68,6 Egitto 31.814 6.483 20,4 72,2 147,1
India 9.918 4.265 43,0 Perù 31.739 21.076 66,4 532,0 558,4
Argentina 9.603 5.036 52,4 Macedonia 24.685 8.238 33,4 n. d. n. d.
Somalia 9.265 5.685 61,4 Bangladesh 22.048 4.120 18,7 297,8 2.475,0
Romania 8.250 4.786 58,0 Nigeria 20.835 12.374 59,4 270,3 410,1
Etiopia 7.615 5.024 66,0 Ghana 19.993 7.503 37,5 76,9 114,0
Iran 6.821 2.359 34,6 Pakistan 19.985 3.437 17,2 186,2 1.285,9
Perù 5.022 3.201 63,7 Brasile 19.864 14.599 73,5 81,4 94,3
Ex URSS 3.716 2.709 72,9 Croazia 16.564 7.491 45,2 n. d. n. d.
Totale 648.935 259.050 39,9 Totale 1.448.392 682.635 47,1 123,2 163,5
117
I dati mostrano che nel decennio preso in considerazione si è innanzitutto
evoluto il quadro delle nazionalità presenti, con l’evidente incremento di
coloro i quali provengono dai paesi dell’est Europa, che nell’ultimo decennio
hanno rappresentato la componente più significativa della presenza
immigrata in Italia. Allo stesso tempo però si deve registrare anche una
sostanziale tenuta della presenza nord africana, di cui la nazionalità
marocchina costituisce la componente più significativa e che continuava a
rappresentare fino a poco tempo fa la nazionalità più numerosa in Italia. In
sintesi, risulta evidente che all’interno dei flussi migratori che hanno
interessato l’Italia in questo periodo, il polo migratorio Mediterraneo –
rappresentato dai flussi migratori provenienti sia dai paesi della sponda sud
sia della sponda est del bacino del Mediterraneo, all’interno del quale la
nazionalità marocchina mantiene il suo ruolo di protagonista mentre quella
tunisina ed algerina perdono posizioni nella graduatoria delle presenze – ha
mantenuto una sua egemonia numerica. Risulta altrettanto evidente anche
che, nello stesso periodo, i flussi migratori provenienti dai paesi asiatici e
dall’est europeo hanno conosciuto una costante crescita. Altro aspetto
importante dell’immigrazione italiana, deducibile dalla lettura della stessa
tabella, riguarda la presenza femminile.
In questo decennio si è registrata una crescita dell’incidenza della presenza
femminile sul totale della presenza immigrata in Italia. Essa è passata dal
40 per cento circa della presenza complessiva per il 1992, a poco più del 47
per cento per il 2002. Questo aumento si è tradotto in una leggera
attenuazione della forte connotazione di genere delle varie nazionalità
presenti. Questo è vero soprattutto per quelle nazionalità, come quelle nord
africane, che sono sempre state connotate da una netta prevalenza della
componente maschile. Ad esempio, la presenza femminile marocchina è
passata dal 9 per cento della presenza totale per il 1992, a più del 32 per
cento per l’anno 2002. La componente femminile in questo caso mostra una
variazione in percentuale pari a più del 561 per cento, mentre la presenza
totale è cresciuta solo del 101 per cento: questo significa che la gran parte
dell’aumento della presenza marocchina è dovuta alla crescita della presenza
femminile. Lo stesso discorso vale in misura maggiore per l’Albania, dove la
crescita femminile corrisponde al 1.662 per cento. La presenza degli
immigrati provenienti dalla Tunisia mostra delle percentuali di crescita
nettamente inferiori.
118
La presenza totale cresce solo del 28 per cento ma anche in questo caso
l’aumento è imputabile alla netta crescita della presenza femminile, pari a
più del 243 per cento. La consistenza numerica della nazionalità algerina è
tale per cui essa non rientra tra le prime 20 nazionalità presenti in Italia (pur
essendo stata l’Algeria una delle pioniere dell’immigrazione straniera in
Italia), però anche in questo caso si registra la stessa tendenza di crescita
della presenza femminile con delle variazioni percentuali molto più
accentuate rispetto al caso tunisino, come ben si evince dalla tabella
seguente.
Tabella 2.10 – Suddivisione secondo il sesso dei permessi di
soggiorno per i Paesi del Maghreb. Anni 1992 – 2002
1992 2002 Variazioni % 1992 - 2002
Paesi MF F % F Paesi MF F % F MF F
Marocco 83.292 8.180 9,8 Marocco 167.889 54.140 32,2 101,6 561,9
Tunisia 41.547 3.733 9,0 Tunisia 53.356 12.814 24,0 28,4 243,3
Algeria 3.458 540 15,6 Algeria 12.321 2.039 16,5 256,3 277,6
Totale 648.935 259.050 39,9 Totale 1.448.392 682.635 47,1 123,2 163,5
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
Tutte le nazionalità maghrebine, quindi, mostrano una variazione
percentuale della presenza femminile dal 1992 al 2002 molto più alta della
media nazionale dello stesso periodo. Questo dato è con ogni probabilità
imputabile ai ricongiungimenti familiari e quindi deve essere considerato
come una conseguenza dell’avvio dei processi di stabilizzazione di queste
stesse nazionalità. A tale riguardo, risulta opportuno rilevare che, essendo la
presenza femminile un importante elemento di caratterizzazione dei modelli
migratori delle varie nazionalità, la sua differenziata distribuzione all’interno
delle comunità nazionali ha contribuito a configurare in maniera diversa i
processi di stabilizzazione rilevabili tra le stesse nazionalità immigrate
presenti in Italia. In altre parole, il fatto che le donne per alcune nazionalità,
come nel caso dell’immigrazione filippina o polacca, siano l’agente primario
del processo migratorio, a cui competono le decisioni in merito ad aspetti
importanti di quest’ultimo, come i tempi e le modalità del ricongiungimento
119
familiare ad esempio, assicura ai modelli migratori di queste nazionalità
caratteristiche proprie e più stabili rispetto ad altre nazionalità
contraddistinte da una prevalente presenza maschile.
Per quanto riguarda la localizzazione territoriale degli immigrati, per tutto
l’arco di tempo preso in considerazione in questo lavoro, si registra una loro
progressiva concentrazione nelle regioni del Nord, e soprattutto del Nord-est
del territorio italiano, in rapporto ad una domanda di lavoro in forte
espansione in queste regioni non compensata da una corrispondente offerta
locale.
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
Il grafico 2.6 illustra la dinamica di questa concentrazione della presenza
immigrata nelle regioni settentrionali italiane negli anni che vanno dal 1992
al 2002. Risulta sempre più chiaro, tanto dalle esperienze di lavoro di campo
che dalla documentazione statistica disponibile, che il Mezzogiorno svolge
rispetto alla immigrazione una duplice funzione. Da un lato si tratta di
un’area d’insediamento stabile di immigrati. E questo è vero sia per alcune
grandi città sia per aree dell’hinterland: si pensi, per fare un esempio, al
caso della Campania con la stabilizzazione degli immigrati cinesi nei comuni
vesuviani o dei Sri-lankesi, (e di altre nazionalità) nella città di Napoli.
Grafico 2.6 - Permessi di soggiorno per aree geografiche. Anni 1992 - 2002
0
100000
200000
300000
400000
500000
600000
700000
800000
900000
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
Anni
Italia settentrionale Italia centrale Italia meridionale
120
Dall’altro lato – come hanno dimostrato diversi studi di campo e come ormai
risulta evidente anche dalla documentazione statistica – da anni si verifica
un fenomeno di migrazione nelle immigrazioni per cui, in diversi periodi, in
genere dopo le regolarizzazioni, si registrano partenze di lavoratori immigrati
dalle regioni del Sud verso quelle del Nord. Molti operai ghanesi o ivoriani o
marocchini presenti in fabbriche del Bresciano o del Vicentino hanno vissuto
una parte della loro esperienza migratoria nel Sud (in particolare in
Campania).
Tabella 2.11 - Permessi di soggiorno per aree geografiche.
Anno 2002
Nord Ovest %
Nord Est % Centro % Sud % Totale
Marocco 68.803 41,0 51.745 30,8 24.327 14,5 23.014 13,7 167.889
Albania 47.493 29,8 39.219 24,6 45.762 28,7 26.843 16,8 159.317
Romania 24.341 29,3 19.844 23,9 33.860 40,8 4.940 6,0 82.985
Filippine 23.603 34,9 7.249 10,7 29.380 43,4 7.479 11,0 67.711
Cina 21.479 34,6 13.709 22,1 19.743 31,8 7.215 11,6 62.146
Tunisia 13.953 26,2 15.355 28,8 9.169 17,2 14.879 27,9 53.356
Jugoslavia 7.350 18,7 22.196 56,5 6.638 16,9 3.094 7,9 39.278
Sri Lanka 11.212 28,9 6.012 15,5 8.172 21,1 1.3367 34,5 38.763
Senegal 17.488 46,3 9.676 25,6 5.614 14,8 5.028 13,3 37.806
Polonia 4.018 12,2 4.728 14,4 17.284 52,6 6.859 20,9 32.889
India 11.976 36,8 7.783 23,9 10.632 32,7 2.116 6,5 32.507
Egitto 22.272 70,0 1.749 5,5 7.331 23,0 462 1,5 31.814
Perù 17.218 54,2 2.265 7,1 11.245 35,4 1.011 3,2 31.739
Macedonia 3.335 13,5 8.822 35,7 9.610 38,9 2.918 11,8 24.685
Bangladesh 4.039 18,3 6.689 30,3 9.145 41,5 2.175 9,9 22.048
Nigeria 5.561 26,7 7.925 38,0 5.171 24,8 2.178 10,5 20.835
Ghana 6.613 33,1 11.797 59,0 655 3,3 928 4,6 19.993
Pakistan 9.104 45,6 5.793 29,0 3.960 19,8 1.128 5,6 19.985
Brasile 6.873 34,6 3.975 20,0 6.993 35,2 2.023 10,2 19.864
Croazia 3.024 18,3 10.877 65,7 2.156 13,0 507 3,1 16.564
Totale 468.859 32,4 363.556 25,1 419.925 29,0 196.052 13,5 1.448.392
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
121
La tabella 2.11 presenta la distribuzione territoriale delle prime 20
nazionalità immigrate secondo le ripartizioni territoriali italiane24 e l’indice di
concentrazione territoriale delle singole nazionalità in ogni ripartizione
territoriale per l’anno 2002. Come è già stato sottolineato in precedenza,
nelle regioni settentrionali italiane si concentra la maggioranza della
presenza immigrata. Per alcune nazionalità l’indice di concentrazione
territoriale si presenta maggiore della media del totale fenomeno
immigrazione in Italia, come per il caso egiziano - la cui presenza nelle sole
regioni nord occidentali italiane raggiunge il 70 per cento contro il quasi 33
per cento della presenza immigrata totale registrata nelle stesse regioni per
l’anno 2002. Anche la nazionalità marocchina presenta una concentrazione
territoriale nelle regioni settentrionali pari a più dei due terzi del totale della
presenza per il 2002. Inoltre, si deve sottolineare come le nazionalità che
presentano una presenza di più lunga data in Italia cioè quelle nazionalità
che sono state le protagoniste degli esordi del fenomeno immigrazione in
Italia, come le due nazionalità già citate in precedenza e quella senegalese,
sono maggiormente diffuse nelle regioni del nord Italia. Questo dato
rappresenta un indicatore del fatto che il consolidamento della presenza
immigrata e la sua progressiva stabilizzazione induce una crescente
concentrazione della stessa presenza immigrata in quelle zone d’Italia in cui
questi processi incontrano condizioni più favorevoli.
Questa osservazione trova riscontro nella principale ragione della particolare
distribuzione territoriale dell’immigrazione in Italia, che deve essere
ricercata, ovviamente, nelle differenti condizioni dei mercati del lavoro locali
e nel dualismo economico e sociale che caratterizza l’Italia, come è
dimostrato da alcuni ricercatori25.
In conclusione, si può affermare che l'elevata concentrazione degli immigrati
nelle regioni del nord è un indicatore del processo di stabilizzazione degli
immigrati: essi si localizzano nelle situazioni in cui il mercato del lavoro si
presenta con caratteristiche tali da garantire un maggior livello di stabilità.
24 Le ripartizioni territoriali costituiscono una suddivisione geografica del territorio italiano e sono così articolate: Nord Ovest: Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria; Nord Est: Trentino - Alto Adige, Veneto, Friuli - Venezia Giulia, Emilia Romagna; Centro: Toscana, Umbria, Marche, Lazio; Sud: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna. 25 Crescenzi F., Ferruzza A., Ricci M., (1993), Analisi e sintesi di indicatori per una lettura territoriale della presenza straniera in Italia, Istat, Quaderni di ricerca, n. 2, pag. 11.
122
L’articolazione territoriale della presenza marocchina in Italia
Nella prossima tabella è presentata la distribuzione nelle regioni italiane dei
permessi di soggiorno rilasciati ai cittadini dei Paesi del Maghreb secondo il
sesso.
Tabella 2.12 - Permessi di soggiorno per sesso e secondo le regioni
di rilascio. Anno 2002
Algeria Marocco Tunisia
Regioni MF % MF
% F % F MF
% MF
% F % F MF
% MF
% F % F
Piemonte 433 3,5 26,8 5,7 23.676 14,1 35,5 15,5 2.416 4,5 23,6 4,5
Valle D'Aosta 48 0,4 14,6 0,3 819 0,5 32,7 0,5 242 0,5 24,0 0,5
Lombardia 2.114 17,2 19,0 19,7 40.107 23,9 31,3 23,2 10.310 19,3 21,2 17,1
Trentino 453 3,7 16,3 3,6 3.435 2,0 35,1 2,2 1.484 2,8 19,6 2,3
Veneto 1.366 11,1 14,9 10,0 22.233 13,2 31,4 12,9 3.131 5,9 25,0 6,1
Friuli 461 3,7 11,1 2,5 1.042 0,6 31,4 0,6 468 0,9 20,7 0,8
Liguria 236 1,9 25,4 2,9 4.201 2,5 27,2 2,1 985 1,8 26,6 2,0
Emilia Romagna 1.116 9,1 21,3 11,7 25.035 14,9 34,9 16,1 10.272 19,3 23,2 18,6
Toscana 497 4,0 22,5 5,5 8.514 5,1 30,4 4,8 1.900 3,6 26,7 4,0
Umbria 500 4,1 18,2 4,5 3.630 2,2 33,3 2,2 792 1,5 29,2 1,8
Marche 459 3,7 18,5 4,2 5.816 3,5 39,2 4,2 2.447 4,6 30,4 5,8
Lazio 1.114 9,0 21,8 11,9 6.367 3,8 32,3 3,8 4.030 7,6 29,2 9,2
Abruzzo 100 0,8 31,0 1,5 1.432 0,9 36,8 1,0 373 0,7 35,1 1,0
Molise 6 0,0 16,7 0,0 3.74 0,2 32,9 0,2 55 0,1 41,8 0,2
Campania 2.330 18,9 7,5 8,5 5.588 3,3 20,2 2,1 2.463 4,6 20,4 3,9
Puglia 357 2,9 12,0 2,1 3.103 1,8 26,3 1,5 1.183 2,2 19,6 1,8
Basilicata 30 0,2 6,7 0,1 615 0,4 28,1 0,3 176 0,3 15,9 0,2
Calabria 207 1,7 9,2 0,9 4.897 2,9 30,1 2,7 264 0,5 26,5 0,5
Sicilia 462 3,7 15,4 3,5 5.163 3,1 32,4 3,1 10.055 18,8 24,1 18,9
Sardegna 32 0,3 46,9 0,7 1.842 1,1 26,4 0,9 310 0,6 35,5 0,9
Totale 12.321 100,0 16,5 100,0 167.889 100,0 32,2 100,0 53.356 100,0 24,0 100,0
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
123
Analizzando la presenza marocchina secondo il dettaglio regionale si deve
registrare che la Lombardia, con quasi il 24 per cento della presenza totale,
l’Emilia Romagna, che detiene circa il 15 per cento e, infine, il Piemonte ed il
Veneto, rispettivamente con il 14 e il 13 per cento, raggruppano i due terzi
dei marocchini presenti in Italia. La diffusione territoriale marocchina, quindi,
si esaurisce per la gran parte della dimensione numerica in sole quattro
regioni, che non a caso sono le regioni che presentano una dinamica della
domanda di lavoro più sostenuta rispetto alle altre regioni italiane.
La nazionalità tunisina invece mostra un andamento particolare poiché anche
se essa presenta una prevalente concentrazione nella Lombardia e
nell’Emilia, con poco più del 19 per cento per entrambe, si registra una
significativa presenza degli immigrati tunisini nella Sicilia con un indice di
concentrazione pari a più del 18 per cento.
Questa concentrazione rappresenta un’anomalia sia rispetto alla presenza
maghrebina sia rispetto al fenomeno immigrazione in totale che in questa
regione presenta una quota di presenze pari solamente a poco più del 3 per
cento. Una simile anomalia nell’articolazione territoriale deve essere
sottolineata anche per il caso algerino dove il 17 per cento e l’11 per cento
dei cittadini algerini sono presenti rispettivamente in Lombardia e Veneto,
ma che vanta anche una presenza nella regione Campania pari al 19 per
cento. L’insediamento in una regione dipende da numerosi fattori e la
spiegazione della particolare concentrazione degli immigrati tunisini in Sicilia
e degli immigrati algerini in Campania rimanda all’interazione di questi
fattori. Il fattore più importante nella decisione di insediamento
indubbiamente è rappresentato dalla già citata dimensione occupazionale.
La preponderante presenza delle nazionalità prese in esame nelle regioni
dove è più facile incontrare un occupazione stabile conferma il ruolo guida di
questo fattore nell’insediamento territoriale degli immigrati, però devono
essere tenuti in conto anche il ruolo delle reti parentali ed etniche - che
assicurano una prima accoglienza ai nuovi arrivati come anche una maggiore
possibilità di inserimento lavorativo - e dell’entità della presenza e degli
antecedenti storici dell’immigrazione straniera nelle varie regioni italiane,
poiché l’esistenza di una comunità già stabilizzata e consolidata garantisce
più possibilità di successo ai progetti migratori dei nuovi arrivati. L’azione
concomitante di questi due fattori spiega l’alta quota di presenze sia degli
immigrati tunisini in Sicilia che degli algerini in Campania.
124
Considerando la dimensione di genere, si rileva che le donne sono presenti
in misura maggiore nelle regioni in cui è maggiormente concentrata la
presenza immigrata maghrebina. Ciò sembra rafforzare l’ipotesi formulata in
precedenza circa l’aumento della presenza femminile come indicatore di una
progressiva stabilizzazione della comunità marocchina e di una sua crescente
incorporazione nella società italiana.
Il profilo demografico e i motivi della presenza marocchina
Risulta, quindi, molto significativa la tendenza al riequilibrio demografico, in
particolare l’aumento della presenza di donne arrivate per ricongiungimento
familiare. Un’altra importante caratteristica demografica di cui bisogna
tenere conto nell’analisi dei processi di incorporazione della popolazione
immigrata è rappresentata dalla distribuzione per classe di età. Il grafico 2.7
presenta la distribuzione dei permessi di soggiorno rilasciati ai cittadini
provenienti dai Paesi del Maghreb secondo le classi di età e confrontata con
quella presentata dalla media nazionale del fenomeno immigrazione. Prima
di passare all’analisi dei dati occorre fare attenzione alla consistenza
numerica dei cittadini immigrati al di sotto dei 18 anni di età. La fonte qui
utilizzata dei permessi di soggiorno presenta dei limiti importanti in merito
all’età, poiché sono esclusi dal conteggio un buona percentuale dei minori
stranieri che essendo il più delle volte a carico dei genitori, sono esentati dal
possesso di un’autorizzazione individuale e vengono riportati sul permesso di
soggiorno di uno dei genitori. Per cui il dato dei permessi di soggiorno per gli
immigrati con un’età fino ai 18 anni risulta sottostimato data la mancata
rilevazione nei permessi di soggiorno della quota dei minori a carico dei
genitori. Il primo dato desumibile dal grafico 2.7 riguarda la distribuzione per
classi di età degli immigrati marocchini che si presenta leggermente più
omogenea rispetto alle altre due nazionalità che risultano maggiormente
concentrate nelle classi di età centrali. Quasi l’85 per cento della popolazione
immigrata algerina si situa nelle classi di età comprese nell’intervallo che va
dai 18 ai 40 anni mentre poco più dei tre quarti della popolazione tunisina si
concentra nello stesso intervallo di età. In generale la popolazione immigrata
proveniente dai Paesi del Maghreb è più giovane della popolazione immigrata
presente in Italia.
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
125
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
L’interpretazione del differente profilo demografico tra le popolazioni
maghrebine sembra indicare che per la popolazione marocchina stia già
cominciato quel processo di stabilizzazione che comporta una distribuzione
per classe di età più uniforme, anche se occorre rilevare che lo stesso dato
implica che in Italia il fenomeno migratorio in generale, e per le popolazioni
maghrebine in particolare, è troppo recente per avere una struttura per età
equilibrata.
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
Grafico 2.8 - Permessi di soggiorno per classi di età e per sesso. Il caso dell'immigrazione
marocchina. Anno 2002
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
Fino a 18 18 - 29 30 - 39 40 - 49 50 - 59 60-64 Oltre 65
Classi di etàDonne Uomini
Grafico 2.7 - Permessi di soggiorno per classi di età. Anno 2002
0
10
20
30
40
50
60
70
Fino a 18 18 – 29 30 - 39 40 - 49 50 - 59 60-64 Oltre 65
Classi di età
Marocco Tunisia Algeria Totale Media Nazionale
126
Il confronto tra la struttura per età della componente femminile con quella
maschile dell’immigrazione marocchina, illustrata dal grafico 2.8, presenta
una concentrazione più elevata nelle classi di età comprese tra i 18 e i 29
anni. L’immigrazione femminile marocchina presenta quindi un’età media più
giovane e questo dato appare coerente col carattere prettamente maschile
del modello migratorio marocchino in cui la componente femminile è
cominciata a crescere attraverso i ricongiungimenti familiari. In sintesi, il
carattere giovanile dell’immigrazione marocchina indica che essa è
fondamentalmente una popolazione in età lavorativa e che sicuramente tale
caratteristica è destinata ad essere una costante destinata a durare almeno
nel futuro più prossimo. Inoltre, da tale carattere si può desumere che il
principale motivo per cui la popolazione marocchina è presente in Italia si
può imputare alla ricerca di lavoro.
Tabella 2.13 - Permessi di soggiorno secondo i motivi di rilascio.
Anni 1992 – 2002
Anno 1992
MF Lavoro % Famiglia % Altro %
Algeria n. d. n. d. n. d. n. d. n. d. n. d. n. d.
Marocco 83.292 77.593 93,2 3.149 3,8 2.696 3,0
Tunisia 41.547 36.792 88,6 1.604 3,9 3.151 7,5
Totale 648.935 423.977 65,3 92.073 14,2 132.885 20,5
Anno 2002
MF Lavoro % Famiglia % Altro %
Algeria 12.321 9.961 80,8 2051 16,6 309 2,6
Marocco 167.889 114.816 68,4 51.004 30,4 2.069 1,2
Tunisia 53.356 38.967 73,0 13.891 26,0 498 1,0
Totale 1.448.392 839.605 58,0 423.330 29,2 185.457 12,8
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
La tabella 2.13 presenta i motivi per cui sono stati rilasciati i permessi di
soggiorno per i cittadini algerini, tunisini e marocchini immigrati in Italia nel
1992 e nel 2002. Durante il decennio preso in considerazione il carattere
lavorativo dell’immigrazione maghrebina è rimasto sempre la caratteristica
prevalente, occorre però rilevare che l’immigrazione marocchina mostra una
127
più netta crescita della componente arrivata per motivi familiari. Il grafico
seguente mostra chiaramente la crescita sostenuta dei permessi per motivi
familiari per i flussi migratori provenienti dal Marocco per gli anni che vanno
dal 1992 al 2001.
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
IMMIGRATI MAROCCHINI E MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA:
OPERAI, COMMERCIANTI E "IMPRENDITORIA ETNICA"
Data la netta prevalenza di permessi di soggiorno per motivi di lavoro è
possibile affermare che l’immigrazione marocchina, seguendo la tipologia
adottata dalla letteratura in materia, è prevalentemente del tipo labor
migrations26. Il primo passo da compiere per l’identificazione delle
caratteristiche dell’inserimento e della stabilizzazione lavorativa degli
immigrati marocchini in Italia consiste nell’analisi dei diversi motivi per cui
sono stati rilasciati i permessi di soggiorno per lavoro.
26 Golini A., I movimenti di popolazione nel mondo contemporaneo, in Aa.Vv. Op. cit., Dossier di ricerca, Volume II, Agenzia romana per il Giubileo, Roma, 2000, pag. 94.
Grafico 2.9 - Dinamica dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro e famiglia.
Il caso dell'immigrazione marocchina. Anni 1992 - 2001
0
20000
40000
60000
80000
100000
120000
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
AnniLavoro Famiglia
128
Tabella 2.14 - Permessi di soggiorno secondo i motivi di lavoro. Anni 1992 – 2002
1992
Lavoro Lavoro dipend.
% lavoro dipend.
Ricerca lavoro
% ricerca lavoro
Lavoro autonomo
% lavoro autonomo
Marocco 77.593 41.689 53,8 31.214 40,2 4.690 6,0
Tunisia 36.792 20.867 56,8 15.525 42,1 400 1,1
Algeria n. d. n. d. n. d. n. d. n. d. n. d. n. d.
Totale 423.977 255.233 60,2 30.085 7,1 138.659 32,7
2002
Lavoro Lavoro dipend.
% lavoro dipend.
Ricerca lavoro
% ricerca lavoro
Lavoro autonomo
% lavoro autonomo
Marocco 114816, 84.973 74,0 8.804 7,7 21.039 18,3
Tunisia 38.967 31400 80,6 4.308 11,1 3.259 8,4
Algeria 9.961 7.847 78,8 918 9,2 1.196 12,0
Totale 839.605 683.496 81,4 50.570 6 105.539 12,6
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
La tabella 2.14 fornisce alcune informazioni di base in merito alle modalità
attraverso le quali gli immigrati maghrebini regolarmente presenti in Italia
potrebbero essere stati inseriti nel mercato del lavoro italiano in questi anni.
Certamente questi dati non sono completamente attendibili in quanto
l’informazione riguardante il lavoro autonomo e la ricerca di lavoro, ad
esempio, presenta sicuramente un numero sovrastimato.
Molti immigrati, infatti, hanno richiesto questi tipi di permessi pur essendo
già occupati - nella stragrande maggioranza dei casi alle dipendenze di un
qualche imprenditore senza nessun tipo di contratto di lavoro - perché
risultava più facile ottenere un permesso di soggiorno per lavoro autonomo o
per ricerca di lavoro non potendo dimostrare il loro status lavorativo. Quindi,
il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro non significa necessariamente
che l’immigrato in possesso di questo tipo di documento sia un disoccupato,
anzi i tassi di disoccupazione tra la popolazione immigrata presente in Italia
risultano molto bassi.
129
Premesso ciò, si possono cominciare ad avanzare alcune ipotesi circa le
modalità e la qualità dell’inserimento lavorativo degli immigrati e del loro
contributo all’economia italiana. Ipotesi che sono state corroborate anche da
altri dati che saranno illustrati in seguito.
In primo luogo, si rileva che i permessi concessi ai cittadini provenienti dal
Marocco nell’anno 2002 per lavoro subordinato costituiscono quasi i tre
quarti del totale dei permessi di soggiorno concessi per lavoro, questo dato
già induce a ritenere che una gran parte dei lavoratori immigrati marocchini
siano lavoratori dipendenti. Questa constatazione viene rafforzata
esaminando l’andamento degli stessi permessi nell’arco degli anni compresi
tra il 1992 ed il 2002, infatti si nota che in questi anni la tendenza a
richiedere e a concedere permessi per lavoro subordinato si è rafforzata,
passando dal quasi 54 per cento del totale dei permessi per motivi di lavoro
per l’anno 1992 al 74 per cento per il 2002.
Contrariamente a quanto avviene, invece, per i permessi di soggiorno
concessi per ricerca di lavoro. Questi ultimi infatti registrano una netta
tendenza al ridimensionamento, nell’anno 1992 essi rappresentavano circa il
40 per cento del totale mentre per l’anno 2002 scendono al 7 per cento.
Questa tendenza costituisce una conferma a quanto affermato in precedenza
circa la vera natura dei permessi di soggiorno concessi per ricerca di lavoro e
sulla loro reale entità, infatti non a caso il numero maggiore di questi
permessi si registra all’indomani della regolarizzazione successiva alla legge
Martelli ed i vari picchi mostrati dalla tendenza al ridimensionamento si
situano all’indomani delle successive regolarizzazioni. Questi dati, inoltre,
costituiscono un ulteriore dimostrazione della progressiva stabilizzazione e
maturazione dell’immigrazione marocchina, soprattutto nell’ambito
dell’inserimento lavorativo.
Accanto al rafforzamento di questa caratteristica del lavoro immigrato
marocchino come lavoro subordinato, occorre sottolineare la notevole
crescita dei permessi di soggiorno concessi per lavoro autonomo che vanno
dal 6 per cento del 1992 a più del 18 per cento per l’anno 2002, con una
crescita pari al 349 per cento. Questo tipo di modalità di inserimento
lavorativo in determinati contesti socio-economici ed istituzionali, all’interno
di reti etniche molto ricche, si è sviluppato in vere e proprie esperienze di
ethnic entreprise che rappresentano indubbiamente un fenomeno di notevole
interesse ed un significativo fattore di crescita dell’economia italiana.
130
Tabella 2.15 – Permessi di soggiorno per motivi e per ripartizioni territoriali. Anno 2002
Nord ovest
Lavoro
dipendente % Ricerca lavoro %
Lavoro autonomo % Famiglia % Altri %
Algeria 1.709 21,8 138 15,0 338 28,3 586 28,6 60 19,4
Marocco 36.836 43,4 3.301 37,5 6.796 32,3 20.860 40,9 1.010 48,8
Tunisia 8.065 25,7 972 22,6 1.205 37,0 3.603 25,9 108 21,7
Totale 235.286 34,4 14.930 29,5 40.864 38,7 133.775 31,6 44.004 23,7
Nord est
Lavoro
dipendente % Ricerca lavoro %
Lavoro autonomo % Famiglia % Altri %
Algeria 2.195 28,0 178 19,4 436 36,5 544 26,5 43 13,9
Marocco 27.792 32,7 2.410 27,4 4.469 21,2 16.621 32,6 453 21,9
Tunisia 9.021 28,7 1.047 24,3 1.307 40,1 3.908 28,1 72 14,5
Totale 184.698 27,0 11.908 23,5 24.710 23,4 112.791 26,6 29449 15,9
Centro
Lavoro
dipendente % Ricerca lavoro %
Lavoro autonomo % Famiglia % Altri %
Algeria 1.636 20,8 156 17,0 184 15,4 467 22,8 127 41,1
Marocco 12.959 15,3 1.073 12,2 2.581 12,3 7.381 14,5 333 16,1
Tunisia 5.276 16,8 786 18,2 389 11,9 2.571 18,5 147 29,5
Totale 186.664 27,3 13.926 27,5 23.119 21,9 106.351 25,1 89.865 48,5
Sud
Lavoro
dipendente % Ricerca lavoro %
Lavoro autonomo % Famiglia % Altri %
Algeria 2.307 29,4 446 48,6 238 19,9 454 22,1 79 25,6
Marocco 7.386 8,7 2.020 22,9 7.193 34,2 6.142 12,0 273 13,2
Tunisia 9.038 28,8 1.503 34,9 358 11,0 3.809 27,4 171 34,3
Totale 76.848 11,2 9.806 19,4 16.846 16,0 70.413 16,6 22.139 11,9
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
131
La tabella 2.15 illustra la distribuzione territoriale dei permessi di soggiorno
per motivi di lavoro e familiari, da essa si evince che per i cittadini immigrati
di nazionalità marocchina presenti nelle regioni settentrionali la modalità di
inserimento occupazionale prevalente è rappresentata dal lavoro dipendente.
Nelle regioni nord occidentali la quota di permessi concessi per lavoro
dipendente raggiunge il 43 per cento del totale, cifra questa di ben 10 punti
percentuali superiore alla media della popolazione immigrata per le stesse
regioni. La quota di permessi di soggiorno concessi per motivi di lavoro
dipendente scende a poco più del 32 per cento per l’Italia nord orientale e
continua a scendere per l’Italia centrale e per il Mezzogiorno dove il lavoro
autonomo diviene la modalità di inserimento lavorativo più significativa
arrivando al 32 per cento. Nelle regioni settentrionali, dunque, per gli
immigrati di nazionalità marocchina si delinea un modello di inserimento
lavorativo più stabile rispetto a quello delle regioni meridionali. Accanto a
questa maggiore stabilità occupazionale si rileva anche una maggiore
stabilizzazione dei percorsi migratori testimoniata dalla maggiore
concentrazione dei permessi concessi per motivi familiari nelle stesse regioni
settentrionali.
La maggiore stabilità occupazionale dei cittadini marocchini si evince anche
dalla tabella 2.16, che mostra l’aumento delle assunzioni riguardanti i
cittadini maghrebini durante il decennio compresso tra gli anni 1993 e 2002.
Tabella 2.16 - Cittadini maghrebini assunti secondo il sesso.
Anni 1993 – 2002
1993 2002 1993 - 2002
MF F % F MF F % F MF F
Algeria 1.144 271 23,7 Algeria 4.880 377 7,7 326,6 39,1
Marocco 19.231 1.785 9,3 Marocco 56.407 11.591 20,5 193,3 549,4
Tunisia 9.617 528 5,5 Tunisia 20.617 2.062 10,0 114,4 290,5
Totale 84.968 19.654 23,1 Totale 493.323 180.237 36,5 480,6 817,0
Fonte: elaborazione personale su dati INAIL/Denuncia Nominativa Assicurati e Istat.
132
Un altro dato molto interessante riguarda la variazione delle assunzioni delle
cittadine immigrate di nazionalità marocchina dal 1993 al 2002, che è stata
molto più alta della variazione delle assunzioni che hanno riguardato gli
immigrati marocchini per lo stesso arco di tempo, segnalando che le donne
marocchine non arrivano solamente come dipendenti o persone al seguito
dei "più importanti" migranti maschi o, per usare un’espressione di Cohen,
non arrivano in Italia solamente come il «bagaglio dei lavoratori maschi27».
L’accresciuta stabilità lavorativa dei lavoratori maghrebini ed in particolare
dei cittadini marocchini, è testimoniata anche dal fatto che per l’anno 2001
su poco più di 49.000 assunzioni che hanno interessato cittadini marocchini,
più del 89 per cento erano assunzioni a tempo indeterminato28.
La distribuzione geografica delle assunzioni secondo le regioni segnala
ancora una volta che i processi di stabilizzazione lavorativa sono ad uno
stato più avanzato nelle regioni settentrionali che da sole raggruppano più
del 72 per cento delle assunzioni che hanno riguardato i cittadini marocchini
nel corso del 2002, come viene illustrato dalla tabella 2.17.
Tabella 2.17 – Cittadini marocchini assunti nel corso del 2002
secondo le regioni
Regione v.a. Regione v.a.
Valle d'Aosta 493 Molise 76
Piemonte 5.724 Campania 1.179
Lombardia 13.601 Basilicata 186
Trentino A. A. 1.584 Puglia 726
Veneto 8.775 Calabria 458
Friuli V.G. 751 Sicilia 735
Liguria 1.781 Sardegna 288
Emilia Romagna 9.713 Nord ovest 21.599
Toscana 3.504 Nord est 20.823
Umbria 1.713 Centro 8.304
Marche 2.017 Sud 4.514
Lazio 1.070 N.R. 2.877
Abruzzo 866 Totale 58.117
Fonte: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes.
27 Cohen R., (1997), Seven forms of international migration: a global sketch, Background Paper for the Summer School on Key Issues in Migration Research, Ydra, Greece, 4–17 May 1997. 28 Istat, (2002), Rapporto sulla situazione sociale del paese 2001, Roma.
133
Per quanto riguarda il tipo di occupazioni, occorre far rilevare che il percorso
di inserimento lavorativo degli immigrati marocchini mostra generalmente
un andamento differenziato rispetto alle aree territoriali italiane, per cui si
può distinguere un modello di percorso di inserimento lavorativo nella fascia
primaria del mercato del lavoro, maggiormente riscontrabile nelle regioni
settentrionali, ed un modello di percorso lavorativo caratterizzato da una
minore stabilità occupazionale, tipico delle regioni meridionali italiane.
Innanzitutto, la prima tappa del percorso lavorativo è di solito rappresentata
dall’occupazione nel settore agricolo o nel settore delle costruzioni civili. Le
occupazioni degli immigrati marocchini in questo settore sono quasi sempre
le più pesanti, pericolose e meno retribuite29. In seguito, molti immigrati
marocchini, spostandosi verso le regioni settentrionali italiane dove esiste
una significativa domanda di lavoro insoddisfatta localizzata soprattutto nella
piccola e media impresa, sperimentano dei percorsi di mobilità lavorativa
ascendente, riuscendo a trovare occupazione soprattutto nel settore
industriale30. Queste occupazioni, pur rimanendo a più bassa retribuzione e
qualifica professionale rispetto a quelle dei lavoratori autoctoni,
rappresentano comunque un miglioramento della condizione lavorativa degli
immigrati, in quanto, esse rientrano nel settore primario del mercato del
lavoro, vale a dire, in quel novero di occupazioni protette sindacalmente e
con un alto grado di stabilità31. Nelle regioni meridionali, invece, prevalgono
le occupazioni nel settore agricolo, edilizio ed alberghiero, con una
significativa quota di marocchini dediti al commercio.
La componente imprenditoriale dell’immigrazione marocchina è abbastanza
significativa, come già è stato rilevato in occasione della presentazione dei
motivi di concessione dei permessi di soggiorno. Informazioni più dettagliate
al riguardo possono essere ottenute ricorrendo alle registrazioni delle
imprese alle Camere di Commercio, le quali presentano i dati dei titolari di
impresa secondo il paese di nascita. La tabella 2.18 presenta questi dati
secondo i settori di attività.
29 Mottura G., (1992), Arcipelago immigrazione, Ediesse, Roma. 30 Casacchia O., Gallo G., (2003), I percorsi di inserimento lavorativo, in Acocella N., Sonnino E., a cura di, (2003), Movimenti di persone e movimenti di capitale in Europa, Il Mulino, Bologna. 31 Pugliese E., (2004), L’immigration africaine en Italie et en Europe, “Migration et Société”, n. 91.
134
Tabella 2.18 - Lavoratori autonomi e imprenditori nati nel Maghreb al 1° ottobre 2002.
Servizi di cui:
Agricoltura Industria Commercio
Alberghi e Ristoranti Totale
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. v.a.
Marocco 77 0,4 3.003 14,1 17.733 83,4 16.642 78,3 181 0,9 256 21.261
Tunisia 274 4,6 3.236 54,1 2.114 35,4 1.300 21,8 237 4,0 240 5.977
Algeria 26 2,8 288 31,2 544 58,9 353 38,2 49 5,3 69 924
Totale 10.507 5,3 61.075 30,8 109.005 55,0 71.667 36,2 13.965 7,0 14.667 198.215
Fonte: Elaborazioni Dossier Statistico Immigrazione/Caritas su dati Infocamere.
Si può notare che la gran parte dei lavoratori autonomi e degli imprenditori
nati nel Marocco si concentrano nel commercio.
Tabella 2.19 - Imprenditori nati nel Maghreb per ripartizione
territoriale al 1° ottobre 2002
Marocco Tunisia Algeria
Nord Ovest 26,2 31,9 28,8
Nord Est 16,2 35,1 20,5
Centro 17,2 17,7 22,7
Sud 26,1 5,9 21,2
Isole 14,3 9,4 6,8
Fonte: OIM - Caritas/Dossier Statistico Immigrazione. Elaborazioni su dati Ministero dell’Interno.
La tabella 2.19 mostra che gli imprenditori nati nel Marocco pur presentando
una maggiore concentrazione nelle regioni settentrionali possiedono una
distribuzione territoriale più uniforme rispetto a quella dei lavoratori
dipendenti.
135
IL MODELLO MIGRATORIO MAROCCHINO
L’aspetto più importante dell’immigrazione marocchina in Italia può senza
dubbio essere individuato proprio nel processo di stabilizzazione: gli
immigrati marocchini stanno diventando una componente stabile e sempre
più importante della società italiana. Gli ultimi dati statistici relativi al
fenomeno e soprattutto l’osservazione della realtà sociale che essi vivono – e
dei cambiamenti nella struttura demografica sociale e occupazionale della
stessa comunità – mostrano un processo di maturazione e di radicamento
del fenomeno. Nonostante le enormi difficoltà che essi hanno dovuto
affrontare è evidente che la loro presenza si è estesa ma è diventata anche
molto più stabile.
Gli immigrati marocchini sono ormai presenti sempre più frequentemente
con le loro famiglie, grazie all’intensa pratica dei ricongiungimenti familiari.
L’immigrazione marocchina in Italia non è più composta solamente da
lavoratori ma ci sono anche donne, minori e famiglie. E questo ha delle
implicazioni di rilievo anche per quel che riguarda la politica migratoria, in
particolare per quella componente che consiste nelle politiche di accoglienza
e nelle politiche sociali nei confronti degli immigrati.
La tabella 2.20 presenta un quadro sintetico dei processi di stabilizzazione
della comunità marocchina attraverso alcuni indicatori.
Tabella 2.20 – La migrazione marocchina secondo alcuni indicatori
di stabilità
Presenti da almeno:
MF
Variazione presenza femminile
1992 - 2002 5 anni 10 anni
Variazione permessi
per famiglia 1992 – 2002
Marocco 167.889 561,9 62,3 35,1 916,2
Totale 1.448.392 163,5 49,5 22,7 359,8
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
Prima di entrare nel merito dell’analisi degli indicatori di stabilizzazione è
meglio precisare che tali fenomeni risultano essenzialmente di natura
processuale per cui in questa sede viene considerato soprattutto l’aspetto
dinamico degli stessi e cioè l’andamento assunto da questi indicatori durante
il decennio compreso tra gli anni 1992 e 2002.
136
Esistono pochi dati in base ai quali costruire degli indicatori abbastanza
rappresentativi dei fenomeni di stabilizzazione, e poche sono le fonti che
forniscono informazioni in riguardo ai più importanti aspetti della
stabilizzazione dell’immigrazione in Italia, come ad esempio quello della
stabilizzazione lavorativa.
La prima considerazione che si può trarre in base alla lettura della tabella
2.20 è che i fenomeni di stabilizzazione per la nazionalità marocchina sono
molto più accentuati di quelli presentati dalla media della popolazione
immigrata. Ormai la popolazione marocchina presenta una consistente quota
della popolazione presente da più di 10 anni in Italia e questa può essere
assunta come quella parte della popolazione che si è stabilizzata e che ha
intrapreso un processo di definitivo insediamento nella società italiana, come
è testimoniato dall’imponente crescita della presenza femminile e della quota
dei permessi di soggiorno concessi per motivi familiari.
La dimensione più ovvia lungo la quale valutare i processi di stabilizzazione
della popolazione immigrata è probabilmente quella relativa all’anzianità di
permanenza della popolazione immigrata. Questa dimensione rappresenta
senza dubbio un aspetto importante dei fenomeni di stabilizzazione, ma esso
assume anche un valore, in un certo senso, predittivo in quanto la crescita
della quota di popolazione immigrata con una maggiore anzianità di
presenza non solo é un sicuro indicatore di stabilizzazione dell’immigrazione
ma funziona anche come un segnalatore dell’avvio di un reale insediamento
degli immigrati nella società italiana.
In base a quest’ultimo indicatore, soprattutto se viene considerata la quota
che vanta una presenza di almeno 10 anni, vengono individuate quelle
nazionalità che si possono definire storiche dell’immigrazione italiana, e cioè
le nazionalità che sono state le protagoniste fin dagli esordi del fenomeno
immigrazione in Italia nella seconda decade degli anni ’70. Secondo questo
indicatore, si rileva che in tutti questi anni la presenza immigrata ha
conosciuto degli importanti cambiamenti, per cui alcune nazionalità che
all’inizio erano presenti in numero significativo al momento attuale non
compaiono tra le prime 20 nazionalità, mentre altre nazionalità continuano
ad essere le più numerose, come quella marocchina.
L’indicatore rappresentato dalla variazione in percentuale della presenza
femminile dal 1992 al 2002 indica che per alcune nazionalità in questi anni si
è registrato un notevole aumento della stessa presenza femminile, molto
137
significativo è l’aumento della presenza femminile per alcune nazionalità a
tradizionale predominanza maschile, come quella marocchina.
Questi incrementi della presenza femminile sono imputabili ai permessi
concessi per ricongiungimenti familiari che negli stessi anni hanno mostrato
un significativo incremento, sia in numeri assoluti sia in termini di incidenza
sul totale dei permessi di soggiorno concessi. In altre parole, la nazionalità
marocchina in tutti questi anni ha registrato un progressivo bilanciamento
della composizione di genere che già di per sé costituisce un indicatore di
stabilizzazione, ma se viene letto congiuntamente con l’incremento dei
permessi concessi per ricongiungimenti familiari, risulta evidente che per
questa nazionalità i fenomeni di stabilizzazione sono molto avanzati.
Insomma non si tratta più solo di lavoratori marocchini - che pure
costituiscono la parte più importante e hanno un’incidenza sul totale della
popolazione superiore di quella dei lavoratori sulla popolazione locale - ma
anche di famiglie.
In merito alla crescita della componente femminile della presenza
marocchina occorre rilevare che essa non è solo il prodotto di migrazioni da
ricongiungimenti familiari ma anche di migrazioni di lavoratrici, come
dimostra la tabella 2.21.
Tabella 2.21 - Permessi di soggiorno per motivi della presenza per
donne. Anni 1992 – 2002
Anno 1992
F Lavoro % Famiglia % Altro %
Algeria n. d. n. d. n. d. n. d. n. d. n. d. n. d.
Marocco 8.180 5.603 68,5 2.266 27,2 351 4,3
Tunisia 3.733 2.461 65,9 988 26,5 284 7,6
Anno 2002
F Lavoro % Famiglia % Altro %
Algeria 2.039 441 21,6 1.478 72,5 135 5,9
Marocco 54.140 14.448 26,7 39.119 72,2 643 1,1
Tunisia 12.814 2.309 18,0 10.353 80,8 179 1,2
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
138
Occorre far rilevare che per l’anno 1992 circa i due terzi della presenza
femminile marocchina era presente in Italia per motivi di lavoro.
Considerando i permessi di soggiorno per motivi di lavoro come un
indicatore dell’entità della forza lavoro tra la popolazione femminile
marocchina, si può desumere che nel 1992 anche se l’immigrazione
marocchina era caratterizzata da una forte prevalenza maschile, le poche
donne presenti non erano solo familiari al seguito del maschio adulto
capofamiglia, ma vi era anche un non esigua componente di donne
indipendenti giunte in Italia in cerca di lavoro.
Questa componente anche se ha visto diminuire la sua incidenza sulla parte
femminile dei flussi migratori marocchini negli anni seguenti, continua a
rappresentare una parte significativa dei flussi migratori femminili. Come
conclusione a questo paragrafo occorre fare un’ultima considerazione
riguardante il carattere dell’immigrazione marocchina e le sue peculiarità nei
confronti delle altre nazionalità immigrate presenti in Italia.
I risultati più recenti della ricerca, illustrati da Castles e Miller, hanno messo
in evidenza come i caratteri degli attuali flussi migratori siano
completamente differenti rispetto a quelli conosciuti nella fase precedente e
cioè, ai flussi migratori tipici del periodo post–bellico conosciuto anche come
i "trenta gloriosi anni"32. L’immigrazione straniera in Italia rappresenta un
caso esemplificativo di queste nuove tendenze, come è stato rilevato in altre
sedi33.
L’immigrazione marocchina invece, sotto questo aspetto presenta un quadro
abbastanza complesso e contraddittorio, poiché essa presenta alcune
caratteristiche tipiche dei movimenti migratori dell’emigrazione fordista
(netta prevalenza maschile dei giovani maschi, modello migratorio
prevalentemente di tipo temporaneo), ma non di meno essa mostra di
possedere anche quegli elementi che contraddistinguono i nuovi flussi
migratori. I dati riguardanti la struttura per età ed i motivi di rilascio dei
permessi di soggiorno illustrano questa considerazione in rapporto alle fasi
individuate da Bohning in merito ai processi di integrazione seguiti dalle
popolazioni immigrate34.
32 Castles S., Miller M. J., (19993), Op. cit., The Guilford Press, New York. 33 Macioti M.I., Pugliese E., (2003), L’esperienza migratoria in Italia, LaTerza, Roma. 34 Bohning W.R., (1967), International labour migrations, Macmillan, London.
139
Lo stesso autore ha individuato una prima fase dell’immigrazione
contraddistinta dall’arrivo nelle società di accoglienza di giovani maschi a cui
segue, una volta che i primi arrivati hanno ottenuto uno stabile inserimento
lavorativo, una seconda fase caratterizzata dall’arrivo dei familiari dei primi
arrivati ed alla formazione di nuovi nuclei familiari che comporta una
definitiva stabilizzazione dei flussi migratori nelle società di arrivo. In
seguito, si formano le cosiddette seconde generazioni, cioè nascono nelle
società di arrivo i figli dei primi arrivati che diventeranno i nuovi cittadini.
I nuovi flussi migratori durante i loro processi di stabilizzazione e di
integrazione nelle società ospiti non sembrano più seguire questa classica
distinzione e si assiste ad una loro disarticolazione ed accelerazione sia nella
struttura che nella sequenza. La femminilizzazione delle migrazioni e
soprattutto la femminilizzazione delle migrazioni di lavoratori è una delle
tendenze dei nuovi flussi migratori che più contribuisce a scardinare le fasi di
Bohning, come è stato illustrato in numerose ricerche35. Per quanto riguarda
l’immigrazione marocchina invece sembrano ancora valide le tradizionali fasi
del processo di maturazione dell’immigrazione straniera individuate dallo
stesso Bohning. La stabilizzazione dell’immigrazione marocchina si può
rilevare soprattutto nel mercato del lavoro. Si tratta del numero dei cittadini
marocchini registrati presso gli istituti previdenziali INPS o INAIL: il numero
di questi è stato sistematicamente crescente negli ultimi anni, il che vuol
dire che è regolarmente aumentato il numero degli immigrati marocchini con
una condizione lavorativa regolare. Negli stessi anni inoltre si é
progressivamente affermata in maniera significativa la terza area di
occupazione che é rappresentata dall’area dell’occupazione industriale, dove
una quota significativa e crescente delle nuove assunzioni in fabbrica è
costituita da manodopera d'importazione. Un aspetto questo che esprime
non solo il radicamento, ma anche il suo carattere per così dire virtuoso.
Certamente l’inserimento lavorativo degli immigrati marocchini rappresenta
uno degli ambiti sociali in cui la stabilizzazione degli immigrati assume un
valore fondamentale, ma essa si può rilevare anche in altri ambiti, e, quindi,
devono essere considerate molte altre variabili attraverso le quali valutare il
grado di integrazione e di stabilità della presenza degli immigrati in Italia.
35 Anthias F., Lazaridis G., eds., (2000), Gender and Migration in Southern Europe, Oxford, Berg; Ribas Mateos N., ed., (2000), Female Immigration in Southern Europe, Special issue of Papers, Revista de Sociologia, n. 60.
140
A questo punto si può descrivere il modello migratorio marocchino che
risulta essere la risultante dell’interazione delle caratteristiche anagrafiche,
sociali, economiche e del progetto migratorio della popolazione marocchina
con le politiche migratorie, il mercato del lavoro e le condizioni di
accoglienza della società italiana.
Tabella 2.22 – Indicatori della struttura demografica della
popolazione marocchina. Anno 2002
Rsex Etme Qatt Satt Stu Sing Pfig
Marocco 0,4 35,4 91,4 37,6 0,60 42,2 17,1
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
Per quanto riguarda la struttura demografica della popolazione marocchina,
mostrata in modo sintetico dalla tabella 2.23, è già stato rilevato
precedentemente che negli ultimi anni la struttura per sesso si è
notevolmente bilanciata, passando da un valore dell’indice di squilibrio tra i
sessi pari allo 0,8 per il 1992 fino allo 0,4 per il 200236. La struttura della
popolazione inoltre presenta una quota della stessa in età attiva pari a più
del 91 per cento, con una netta prevalenza delle persone con un’età
compresa tra i 20 e 40 anni come mostra l’indicatore Satt dato dal rapporto
dei presenti con un’età compresa tra i 40 e i 59 anni sulla parte di
popolazione compresa tra i 20 e 39 anni. L’indicatore Sing esprime la quota
di nubili/celibi sul totale dei permessi di soggiorno e, insieme all’indicatore
Stu e Pfig che rappresentano rispettivamente la quota di studenti presenti
tra i 18 e 29 anni e la quota di permessi con figli a carico, forniscono
indicazioni circa la fase del percorso migratorio in cui si situa la nazionalità
marocchina. Essa mostra una preponderanza della popolazione attiva ma la
progressiva crescita della componente familiare - anche con figli - segnala
l’ingresso di questo modello nella fase della maturazione e della definitiva
stabilizzazione per una quota significativa della presenza marocchina in
Italia.
36 Tale indice si calcola secondo la formula 2*|0,5 – (Permessi di soggiorno concessi a maschi/il totale dei permessi di soggiorno)|. Esso varia tra 0 e 1, il suo valore avvicinandosi allo zero segnala un progressivo avvicinamento al perfetto equilibrio tra i sessi. Cibella N., (2003), Indicatori dell’insediamento e dell’integrazione degli immigrati in Italia: una rassegna, in Sciortino G., Colombo A., a cura di, (2003), Un’immigrazione normale, Il Mulino, Bologna, pag. 324.
141
Concludendo, dal punto di vista del progetto migratorio e delle
caratteristiche demografiche il modello migratorio sta sempre più perdendo
l’iniziale carattere di temporaneità per assumere le caratteristiche tipiche
della stabilità.
Per una popolazione con queste caratteristiche demografiche la dimensione
lavorativa assume, quindi, un’importanza rilevante e sono appunto le
occasioni lavorative e il tipo di occupazione a influenzare il grado di stabilità
e di insediamento della popolazione marocchina. A questo riguardo bisogna
far rilevare che il modello migratorio marocchino presenta una differenza
territoriale, mostrando una maggiore stabilità lavorativa nelle regioni
settentrionali e una più marcata instabilità in quelle meridionali.
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143
TRE
3.1. IL CONTESTO DI PARTENZA DEI FLUSSI MIGRATORI
3.1.1. La struttura demografica, economica ed il mercato del
lavoro in Marocco e nelle 4 regioni oggetto della ricerca e la
loro relazione con i flussi migratori
Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed Khachani,
Mohamed Nadif, Ahmed Zekri
IL CONTESTO SOCIOECONOMICO DELLE QUATTRO REGIONI
Le quattro città partecipanti all’inchiesta sul migrante marocchino come
attore dello sviluppo della sua regione d’origine presentano delle disparità
importanti per quanto riguarda le caratteristiche demografiche, sociali ed
economiche. L’analisi del quadro socioeconomico è effettuata sulla base dei
dati provenienti principalmente dai documenti delle istituzioni provinciali, il
che non offre un quadro di analisi omogeneo: alcuni documenti omettono di
affrontare certi punti che si ritrovano in altri riferimenti, mentre altri mettono
l’accento in particolare su determinati aspetti affrontati solo accidentalmente
negli altri contesti.
Il quadro geografico ed amministrativo
La città di Nador, isolata rispetto alle altre tre città (Casablanca, Béni Mellal
e Khouribga), è situata al Nord Est del Marocco nella regione dell’Orientale
che raggruppa oltre alla provincia di Nador, le province di Oujda-Angad, di
Berkane, di Taourirt, di Jerrada e di Figuig. Essa copre 82.820 chilometri
quadrati, che rappresentano il 12 per cento circa del territorio nazionale. La
regione amministrativa corrisponde alla Wilaya d’Oujda, regione
particolarmente arida (16% di terreni agricoli) caratterizzata da uno
144
squilibrio in materia di occupazione dello spazio: il 95 per cento della sua
popolazione è concentrata a nord della regione. Le altre tre città sono situate
lungo un ipotetico corridoio che attraversa la provincia di Settat.
La città di Casablanca, capitale economica del paese, costituisce la principale
metropoli marocchina ed il principale polo economico del paese (dominante
sul piano commerciale, industriale e finanziario). La città di Khouribga è il
capoluogo di una provincia che fa parte della regione della Chaoula-
Ourdigha, che comprende anche le province di Settat e Benslimane. La città
si trova nel cuore della regione economica del Centro in mezzo ad un
territorio generoso per la sua agricoltura, e dal ricco sottosuolo.
La città di Béni Mellal è capoluogo sia della provincia di Béni Mellal sia della
regione di Tadla–Azilal. Essa costituisce la principale area urbana di una
regione, composta da due province (Azilal e Béni Mellal), che si estende su
di una superficie di 17.125 chilometri quadrati, ovvero il 2.4 per cento della
superficie totale del Marocco.
Le caratteristiche demografiche
Tali caratteristiche saranno studiate tendenzialmente sulla base dei dati
relativi all’ultimo censimento (1994), ma quando disponibili anche sulla base
di altri dati più recenti.
Nonostante lo stato di avanzamento della transizione demografica in
Marocco, la crescita della popolazione rimane sostenuta (1,66%); si tratta di
una popolazione giovane dove la sex ratio è tendenzialmente uguale. Questa
crescita si accompagna ad una urbanizzazione, che caratterizza in forma
simile le quattro città considerate dall’inchiesta e che sotto l’effetto dei
seguenti fattori talvolta risulta anarchica:
1. La siccità che ha imperversato per i due decenni scorsi.
2. L’emarginazione delle campagne: l’assenza o comunque la fragilità delle
infrastrutture socioeconomiche.
La regione del Grande Casablanca rimane la principale concentrazione
urbana in Marocco. La popolazione della regione ha raggiunto le 1.657.740
persone nel 1971 per poi arrivare ai 3.081.621 abitanti nel 1994. Questa
popolazione è stata stimata per il 2001 in 3.508.000 persone ovvero il 12
145
per cento della popolazione totale del Regno (il 22% della popolazione
urbana totale).
Nel 2001, quasi il 96 per cento della popolazione risiedeva nel centro urbano
(3.363.000 abitanti). I Comuni rurali ospitavano solo 145.000 abitanti, cioè il
4 per cento della popolazione della regione (tabella 3.1).
Tabella 3.1 - Popolazione della regione Grande Casablanca nel
2001 per prefettura e luogo di residenza
Urbano Rurale
Popolazione % Popolazione %
Ain Chock Hay Hassani 609.000 18,1 44.000 30,0
Ain Sebaa Hay Mohammadi 593.000 17,6 - -
Al Fida Derb Soltane 377.000 11,1 - -
Ben Msik Médiouna 378.000 11,2 18.000 12,5
Casablanca Anfa 529.000 15,8 - -
Machouar Casablanca 5.000 0,2 - -
Mohammedia 210.000 6,3 - -
Moulay Rachid Sidi Othmane 394.000 11,7 44.000 30,3
Sidi Bernoussi Zenata 268.000 8,0 39.000 26,9
Totale regione 3.363.000 100,0 145.000 100,0
Fonte: Direzione Nazionale della Statistica (CERED).
La crescita della popolazione all’interno delle differenti prefetture avviene a
ritmi diversi ed è in gran parte determinata dalle caratteristiche
socioeconomiche dell’area oltre che dall’ubicazione della prefettura
(appartenenza all’area periferica di Casablanca).
E’ necessario notare inoltre che la popolazione del Grande Casablanca cresce
in media del 2 per cento all’anno. Secondo i dati del 2001 la suddivisione di
questa popolazione per sesso è la seguente: 1.721.000 uomini e 1.787.000
donne (cioè rispettivamente il 49,1% e il 50,9%).
La ripartizione per età della popolazione (dati del 1994) evidenzia che si
tratta si una popolazione giovane:
• il 24.5 per cento degli abitanti ha meno di 15 anni (il 25,5% degli
uomini ed il 24,4% delle donne);
• il 34,9 per cento delle persone ha meno di 20 anni (il 35,4% degli
uomini ed il 34,4% delle donne).
146
Queste percentuali si sono abbassate tra il 1994 ed il 2001 in seguito al calo
della natalità e della mortalità.
Al contrario, la percentuale delle persone in età da lavoro (dai 15 ai 59 anni)
è aumentata, passando dal 63,65 per cento del 1994 al 67,8 per cento del
2001. Si assiste inoltre ad un relativo invecchiamento della popolazione, la
percentuale delle persone con più di 60 anni è passata dal 6,5 per cento del
1994 al 7,3 per cento del 2001. E’ conveniente segnalare che si tratta di una
popolazione cosmopolita la cui crescita è il risultato di una forte migrazione
interna di persone provenienti da altre regioni in cerca di lavoro o di
opportunità economiche. La città di Casablanca rimane infatti, un polo
urbano che attira notevoli flussi migratori.
La città di Khouribga, situata a 120 km da Casablanca ha 171.352 abitanti
(2002), è il capoluogo della provincia, che conta circa 493.000 abitanti e che
si caratterizza per un tasso di urbanizzazione elevato (i 2/3 della
popolazione risiedono in area urbana). La crescita demografica resta
importante in quanto la composizione media delle famiglie nei centri urbani è
compresa tra le 5 e le 6 persone, contro le 6 o 7 della zona rurale. Valori
questi che tendono gradualmente a diminuire, con il surplus demografico
assorbito soprattutto dalla crescita urbana.
La provincia di Béni Mellal, con 953.000 abitanti (2002), è meno urbanizzata
rispetto a quella di Khouribga: la popolazione urbana non rappresenta che il
47.4 per cento del totale. Nel comune di Béni Mellal vivevano 140.212
abitanti nel 1999 di cui il 50,7 per cento donne ed il 49,8 per cento uomini.
La tabella 3.2 delinea i principali elementi dell’evoluzione demografica della
città.
Tabella 3.2 - Evoluzione della popolazione della città di Béni Mellal
tra il 1960 ed il 1999
1960 1971 1982 1994 1999
Popolazione 28.933 53.826 95.003 140.212 170.000
Tasso annuale medio di crescita -- 5,8% 5.3% 3.3% 3.3%
Famiglie -- -- 18.072 27.235 33.500
Grandezza delle famiglie -- -- 5.3 5.2 5.1
Fonte: Direzione Nazionale della Statistica.
147
La città ha registrato un’importante crescita nel corso degli ultimi decenni: i
tassi annuali medi di crescita relativi ai periodi intercensitari 1960/71 e
1971/82 hanno superato il 5 per cento.
Questo tasso è poi relativamente diminuito durante il periodo 1982/94
(3,3%). La migrazione costituisce indubbiamente la causa principale della
crescita della popolazione di Béni Mellal. Essa copre da sola il 47,2 per cento
di questa evoluzione contro il 44 per cento dovuto alla crescita naturale della
popolazione (tabella 3.3).
Tabella 3.3 - Popolazione, crescita globale, tasso annuale medio di
crescita e cause della crescita nella città di Béni Mellal
Popolazione Cause della crescita
1982 1994 Crescita Globale
Tasso annuale medio
di crescita Migrazione
Crescita naturale Altre Totale
95.003 140.212 45.209 3,3 47,2 43,8 8,9 100,0
Fonte: Direzione Nazionale della Statistica.
In base all’età, il 31,9 per cento della popolazione della città ha meno di 15
anni, il 61.8 per cento ha tra i 15 ed i 59 anni, cioè l’età lavorativa ed il 6,2
per cento ha più di 60 anni. La città, comparandola con i dati provinciali e
regionali, si distingue per l’importanza della popolazione in età lavorativa e
per la ridotta percentuale di minori di 15 anni (tabella 3.4).
Tabella 3.4 – Struttura per classi d’età della popolazione di Béni
Mellal
Città di Béni Mellal
Provincia di Béni Mellal
Regione Tadla-Azilal
Totale Marocco
0-14 anni 31,9 36,3 38,3 37,0
15-59 anni 61,8 56,9 54,5 55,9
60 anni e + 6,3 6,8 7,2 7,1
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte : Censimento Nazionale (RGPH) 1994.
Per quanto riguarda la situazione matrimoniale, constatiamo che sul totale
degli abitanti di età superiore ai 15 anni, il 40,9 per cento non è sposato, il
49,9 per cento è sposato ed il 9,2 per cento in stato di separazione per
vedovanza o divorzio. L’età media del primo matrimonio è di 28 anni: 30,7
148
anni per gli uomini e 25,6 anni per le donne. L’indice di fecondità è stimato
in 2,1 figli.
Nella provincia di Nador vivono 715.000 abitanti cioè quasi il 38 per cento
della popolazione della regione Orientale (303.000 abitanti risiedono nella
zona urbana e 412.000 nella zona rurale con i rispettivi tassi di crescita del
3.02% e del –0,86%). Rispetto all’Orientale la cui popolazione è
prevalentemente urbana (55,20% della popolazione totale) è una regione
meno urbanizzata. In entrambi i casi però l’esodo rurale assume delle
dimensioni importanti e contribuisce allo sviluppo delle zone peri-urbane e
dei nuovi centri urbani.
Come evidenzia la tabella 3.5 la provincia di Nador ha conosciuto un
aumento importante del numero delle famiglie: 19.855 nel periodo fra il
censimento del 1982 e quello del 1994. Ma questo aumento ha riguardato
esclusivamente la zona urbana (+24.828) mentre nella zona rurale si è
registrata una flessione (-4.973).
Tabella 3.5 – Famiglie della provincia di Nador residenti in zona
urbana e rurale
RGPH (1982) RGPH (1994) Differenza assoluta
Urbano Rurale Totale Urbano Rurale Totale Urbano Rurale Totale
20153 76012 96165 44981 71039 116020 24828 4973 19855
Fonte: dati sulla popolazione del Marocco, RGPH (1982 e 1994).
La grandezza delle famiglie nella provincia di Nador è relativamente elevata,
rimanendo grosso modo la stessa tra il 1971 ed il 1994. E’ da registrare però
una differenza in questa evoluzione, tra la zona urbana dove la dimensione è
passata da 6 a 5,5 e la zona rurale dove è aumentata da 6 a 6,2.
Per quanto riguarda la zona urbana, è necessario sottolineare che più centri
urbani gravitano attorno alla città di Nador: l’area occupata da Melilla, le
città di Bni Ançar, Salouane, Zghanegh e Al Aroui. Se a causa della
prossimità fra le suddette città, l’area urbana evolve sempre più a macchia
d’olio, amministrativamente ognuna rappresenta una entità distinta.
L’insieme di queste aree urbane ospitava nel 1994 quasi 200.000 persone,
alle quali bisognerebbe aggiungere le popolazioni periurbane, che circondano
la Grande Nador e dove il fenomeno dell’urbanizzazione è in forte aumento.
149
Le caratteristiche socio-educative
L’analfabetismo
Secondo il censimento del 1994, il tasso di analfabetismo della popolazione
di età superiore ai 10 anni è stimato essere a livello nazionale il 55 per cento
(il 41% nelle aree urbane ed il 67% nelle aree rurali). Con l’eccezione di
Casablanca, i tassi registrati nelle singole regioni si avvicinano a quello
nazionale. A Casablanca, in base ai dati disponibili del 1994, quasi il 31 per
cento della popolazione di età superiore ai 10 anni, non sapeva né leggere,
né scrivere contro il 55 per cento registrato a livello nazionale.
L’analfabetismo risulta ripartito in maniera diseguale nella società: riguarda
in modo particolare le generazioni più anziane rispetto a quelle più giovani.
Si registra nella classe d’età dei cinquantenni un “tasso base” di
analfabetismo del 75,2 per cento. Le donne presentano un tasso di
analfabetismo del 41 per cento contro il 20,2 per cento degli uomini.
Questo fenomeno riguarda soprattutto la zona rurale, poiché la metà della
popolazione di età superiore ai 10 anni non sa né leggere né scrivere (52,7%
nella zona rurale contro il 29,9% di quella urbana).
Nella regione dell’Orientale, il tasso di analfabetismo è del 52,8 per cento.
Questo tasso si differenzia in base al sesso ed alla zona. Il tasso di
analfabetismo registrato tra gli uomini è molto inferiore rispetto a quello
delle donne (rispettivamente il 39,2% ed il 65,6%).
Il luogo di residenza risulta essere un ulteriore fattore che condiziona il
livello di questo indicatore: il tasso di analfabetismo a livello regionale è del
38,7 per cento nella zona urbana e dell’81,0 per cento in quella rurale.
Tasso questo che rimane alto a discapito della diminuzione registrata tra i
due censimenti. A Béni Mellal il tasso di analfabetismo è inferiore a quello
della regione Orientale. Sull’insieme della popolazione di età superiore ai 10
anni, nel 1994, il 37,3 per cento era analfabeta. Questo fenomeno è più
accentuato fra le donne coinvolgendo quasi la metà della popolazione
femminile della città (tasso di analfabetismo del 49,7% tra le donne contro il
24,0% tra gli uomini). I tassi registrati a livello della città di Béni Mellal sono
inferiori alla media provinciale e regionale urbana (tabella 3.6). Questa
considerazione è valida per i tre livelli di indagine considerati: uomini, donne
e popolazione complessiva. Indicatori questi che rimangono nonostante ciò,
molto vicini alla media nazionale urbana.
150
Tabella 3.6 – Tasso di analfabetismo della popolazione di età superiore ai 10 anni. Anno 1994
Provincia di Béni
Mellal Regione di Tadla-
Azilal Marocco
Città di
Béni Mellal Urb. Rur. Tot. Urb. Rur. Tot. Urb. Rur. Tot.
Maschile 24,0 29,8 57,4 45,4 29,8 62,2 51,3 25,0 61,0 41,0
Femminile 49,7 56,7 85,0 72,0 57,3 88,0 77,0 49,0 89,0 67,0
Totale 37,3 43,8 71,1 58,9 44,2 75,0 64,3 37,0 75,0 55,0
Fonte : RGPH (1994).
La scolarizzazione
Su scala nazionale, il tasso netto di scolarizzazione era nel 2003 per la classe
d’età 6-11 anni dell’86,4 per cento, se si prende in considerazione il solo
settore pubblico, e del 92,1 per cento se vi si aggiunge anche
l’insegnamento privato. Sono da registrare inoltre differenze, valide nelle
quattro aree interessate dall’inchiesta, in funzione dell’ambiente e del sesso:
il tasso di scolarizzazione è solo dell’87 per cento nelle aree rurali e dell’82,2
per cento per le ragazze. A Casablanca, il numero di allievi delle scuole
elementari nel 2002 è di 406.644 di cui un po’ meno della metà sono
ragazze (197.209). A Béni Mellal, i dati disponibili (ultimo censimento del
1994), indicano un tasso di scolarizzazione tra i bambini dai 7 ai 12 anni
dell’83,8 per cento. Ad una analisi differenziata in base al sesso, il tasso
“maschile” supera di più di 5 punti quello registrato tra le ragazze: 86,2 per
cento contro 81,0 per cento. La lettura dei dati provinciali e regionali indica
la posizione privilegiata della città i cui tassi (globale, maschile e femminile)
di scolarizzazione rimangono superiori alla media provinciale e regionale
urbana. A Khouribga, l’insegnamento pubblico conta 155 scuole di cui 24 per
il “secondo ciclo”. Quasi 99.970 (43 per cento costituito da ragazze) sono gli
alunni che le frequentano e 4.466 gli insegnanti. Al sistema pubblico si
affianca quello privato con 14 scuole che accolgono quasi 5.281 allievi.
Nella provincia di Nador l’insegnamento elementare disponeva nel 2001-
2002 di 163 classi che accoglievano 3.266 alunni di cui 1.501 ragazze. Per il
primo ciclo dell’insegnamento secondario, il numero di alunni iscritti nella
regione nel 2001-2002 è stato di 251.728 di cui 114.980 ragazze (il 41,6%
corrispondevano alla provincia di Nador). Per il secondo ciclo
dell’insegnamento secondario il numero di alunni iscritti è stato di 72.567 di
cui 30.945 ragazze (il 30,0% corrispondevano alla provincia di Nador).
151
L’insegnamento privato è agli inizi ed il suo peso marginale nella regione
Orientale. Gli insegnanti delle scuole private non rappresentano che l’1,5 per
cento del totale dei docenti di ogni ordine e grado. La loro percentuale è
quasi nulla a livello delle scuole medie (0,4%) e più bassa per le scuole
elementari (1,4%) che per le superiori (4,8%).
La formazione professionale
La formazione professionale risponde a bisogni sia economici che sociali
favorendo l’inserimento della persona, in base alle competenze possedute,
nelle imprese per migliorarne performance e competitività. Nella regione
Grande Casablanca, il sistema della formazione professionale è
caratterizzato dalla diversità dei tipi di formazione, dalla molteplicità dei
promotori e degli organi di coordinamento.
Tabella 3.7 – Infrastruttura della formazione professionale nella
regione Grande Casablanca. Anno 2000-2001
Prefetture ISTA(I) ITA(II) CQP(III) CSP(IV) Centri privati Totale
Casablanca Anfa 1 5 4 0 119 129
Aïn Chock Hay Hassani 3 3 4 2 37 49
Aïn Sebaâ Hay Mohammadi 4 2 5 0 36 47
Al Fida Derb Soltane 2 0 3 1 37 43
Mechouar Casablanca 0 0 0 0 1 1
Ben M'sik Médiouna 1 0 3 1 26 31
Moulay Rachid Sidi Othmane 1 2 4 1 22 30
Sidi Bernoussi Zenata 2 2 4 1 17 26
Mohammédia 3 0 3 1 24 31
Totale 17 14 30 7 319 387
Note: (i) ISTA Istituto Superiore di Tecnologia Applicata (ii) ITA Istituto di Tecnologia Applicata (iii) CQP Centro di Qualifica Professionale (iv) CSP Centro di Specializzazione Professionale
Fonte: Servizio Regionale della Formazione Professionale.
152
Il settore della formazione professionale, illustrato dalla tabella 3.7, dispone
di 68 istituti pubblici e 319 privati per un totale di 387 centri formativi.
Il numero degli “stagisti” in formazione ha raggiunto quota 31.986 nel 2000-
2001 (di cui 14760 nel settore privato). A questa cifra, è necessario
aggiungere 2.936 “stagisti” formati nei Centri di Formazione del Lavoro.
Nella regione di Tadla-Azilal, la situazione della formazione professionale
risulta insoddisfacente. Infatti, in una classifica sulla efficienza di questo
settore, la regione di Tadla-Azilal si colloca in dodicesima posizione tra le
sedici regioni del Marocco.
Questo insuccesso si spiega a causa delle carenze dell’economia della
regione in relazione alla creazione d’impiego ed all’inserimento di coloro che
hanno concluso un percorso di formazione professionale. Come si desume
dalla tabella 3.8, la provincia di Béni Mellal concentra la quasi totalità delle
attività di formazione professionale della regione.
Tabella 3.8 – Caratteristiche della formazione professionale
Provincia di Béni Mellal
Regione di Tadla-Azilal
2000/01 2001/02 1999/2000 2000/01
Numero di strutture 69 65 77 73
Settore pubblico 15 14 20 19
Settore privato 54 51 57 54
Capacità di accoglienza 4140 4000 4635 4475
Settore pubblico 2205 2155 2620 2550
Settore privato 1935 1845 2015 1925
Numero degli alunni in formazione
3310 3486 3722 3915
Settore pubblico 1885 1906 2251 2297
Settore privato 1425 1580 1471 1622
Numero degli alunni formati 1863 1638 2061 1848
Settore pubblico 933 780 1096 957
Settore privato 930 858 965 891
Fonte: Servizio Regionale della Formazione Professionale.
153
Il numero delle strutture operative è passato tra il 2000/01 ed il 2001/02 da
69 a 65 unità, il che ha influito sulla capacità di accoglienza del settore della
formazione professionale. Tuttavia, questa regressione non ha impedito una
crescita nel numero degli iscritti mentre il numero degli alunni formati è
nettamente diminuito dal 2000/01 al 2001/02.
In relazione alla formazione professionale inerente al settore dell’artigianato
esiste nella zona di Béni Mellal una struttura chiamata “Centro di qualifica
professionale per l’artigianato”. Nel 2001/02, questo centro ha permesso la
formazione di 27 alunni: 10 in conceria, 7 calzoleria, 10 in falegnameria.
Queste cifre denotano però una diminuzione del 34 per cento se paragonate
con i risultati del 2000/01 (41 alunni formati).
Nella provincia di Khourigba, la formazione professionale è assicurata dai 37
Centri di Formazione e Qualifica Professionale e Istituti di Tecnologia
Applicata. Fra le materie insegnate, si possono citare: elettronica,
informatica gestionale, elettricità, gestione delle imprese, climatizzazione,
contabilità, costruzione metallica, disegno industriale, meccanica e taglio e
cucito. Quasi 3.200 alunni ricevono così ogni anno una formazione
differenziata in quattro livelli: specializzazione, qualifica, tecnico e tecnico
specializzato.
Gli Istituti di Formazione Professionale della regione sono ubicati a
Khouribga, Oued Zem e Boujaad. L’Ufficio per la Formazione Professionale e
la Promozione per il Lavoro (O.F.P.P.T) è l’Istituto quantitativamente più
importante con il 60 per cento del numero totale degli studenti formati.
Oltre alla formazione dei giovani, gli Istituti organizzano:
• Azioni di formazione continua e di servizio alle imprese (corsi serali,
formazione interna, seminari e stage tecnici, ecc.).
• Aiuti tecnici e assistenza (appoggio ai giovani promotori al momento
dell’inizio delle attività ed allo sviluppo della formazione-lavoro).
• La formazione nell’area rurale sotto forma di azioni itineranti attraverso
l’utilizzo delle unità mobili di formazione.
Nella regione Orientale, accanto ai centri di formazione professionale gestiti
dall’O.F.P.P.T., altri centri appartenenti ad altre amministrazioni svolgono lo
stesso ruolo offrendo una specializzazione in base alla natura della funzione
dell’amministrazione di tutela.
154
E’ così che possiamo trovare la Scuola agricola per la formazione dei tecnici
agricoli a Zraib nella provincia di Berkane, la Scuola d’amministrazione a
Touissit nella regione di Jerada, specializzata nella formazione in topografia,
meccanica ed elettricità. Esistono inoltre dei centri collegati ai Ministeri degli
Interni, della Salute Pubblica, dell’Energia e delle Miniere e dell’Ambiente che
formano tecnici nelle diverse specializzazioni.
La popolazione economicamente attiva (PEA)
Le inchieste sulla situazione occupazionale (Inchiesta Lavoro) della Direzione
Nazionale della Statistica permettono di ottenere dei dati aggiornati però
relativi ai soli livelli regionali e nazionali. I tassi di attività nelle quattro
regioni coperte dall’inchiesta sono riportati nella tabella 3.9.
Tabella 3.9 – Tasso di occupazione in base al sesso nelle quattro
aree di inchiesta. Anno 2002
Regione
Tasso di occupazione
maschile
Tasso di occupazione femminile Totale
Grand Casablanca 73,5 26,2 49,3
Oriental 78,3 20,9 49,2
Chouia- Ourdigha 82,5 38,6 60,8
Tadla-Azilal 76,7 24,8 49,5
Marocco 77,3 24,9 50,7
Fonte: Annuario statistico del Marocco (2003).
I tassi di attività cambiano da una regione all’altra; il tasso più basso è
registrato nella regione Orientale. La consistenza del tasso occupazionale di
questa area è dovuta al livello ridotto di occupazione femminile, a causa sia
delle tradizioni culturali della popolazione del Rif, sia della forte incidenza
dell’immigrazione che con le sue rimesse conferisce alle famiglie una certa
agiatezza rendendo non indispensabile per le donne lo svolgimento di una
attività lavorativa. Ad ogni modo le differenze fra occupazione maschile e
femminile risultano significative nelle quattro regioni: l’accesso della donna
al mercato del lavoro è in generale ancora limitato.
E’ curioso che in una città come Casablanca, quasi tre donne su quattro si
dedichino esclusivamente all’ambiente domestico. Questa metropoli, però
registra un tasso di occupazione globale relativamente ridotto, non
superando il 49,3% della popolazione.
155
Tre delle quattro aree (Casablanca, l’Orientale e Tadla-Azilal) d’inchiesta
registrano dei tassi d’attività inferiori alla media nazionale (50,7%). La
regione di Chaouia-Ouadigha registra il secondo tasso d’occupazione tra le
16 regioni marocchine dopo Gharb-Chrarda-Beni-Hssen (62,4%).
I dati disponibili sulla suddivisione della popolazione attiva tra i diversi
settori economici indicano una predominanza del settore informale e dei
lavori autonomi.
A Casablanca su di una popolazione economicamente attiva stimata nel 2000
in quasi 1.257.000, le persone occupate sono 970.000. La ripartizione degli
stessi per settore d’attività nel 2000 è riportata nella tabella 3.10.
Tabella 3.10 – Suddivisione PEA per settore di attività a
Casablanca. Anno 2000
Ramo d’attività %
Agricoltura, foresta e pesca 0,8
Industria, energia 34,2
Cantieri e lavori pubblici 5,9
Servizi 59,1
Totale 100,0
Fonte : Direzione Nazionale della Statistica.
A Khouribga, la PEA della provincia è di 108.000 persone e si suddivide in
forma abbastanza equilibrata in tre settori principali:
1. agricoltura: 30.500 occupati (28%);
2. industria: 32.500 occupati (31%);
3. amministrazione e servizi: 45.500 occupati (42%).
A Béni Mellal, alla luce dei dati disponibili (tabella 3.11), l’analisi della
suddivisione della popolazione economicamente attiva, secondo la
professione esercitata, mostra la predominanza dei salariati che
rappresentano il 63 per cento della popolazione attiva, il che supera la media
provinciale e regionale urbana (rispettivamente del 59% e del 60%). I
lavoratori autonomi seguono con il 27 per cento, valore di poco inferiore alla
media urbana regionale e provinciale. Le altre categorie professionali sono
presenti in minima percentuale.
156
Tabella 3.11 – Suddivisione della PEA per professione. Anno 1994
Provincia di Béni Mellal Regione di Tadla-Azilal Città di Béni
Mellal Urbana Rurale Totale Urbana Rurale Totale Datore di lavoro
7,6* 3,3 3,0 3,1 3,1 2,0 2,3
Autonomo 26,9 29,8 32,6 31,4 29,7 36,2 34,1
Salariato 63,6 59,5 31,4 43,4 60,0 28,0 38,4 Aiuto familiare 1,7 3,1 32,1 19,7 3,1 33,1 23,4
Apprendista ** 2,4 0,8 2,2 4,0 0,6 1,7 Non specificato 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Note: *Cifra riguardante gli apprendisti ed i datori di lavoro. **Gli apprendisti sono contati con i datori di lavoro.
Fonte: RGPH (1994).
Per ciò che riguarda la distribuzione degli occupati secondo i settori di
attività economiche, i dati disponibili più recenti riguardano la regione Tadla-
Azilal. I dati dell’Inchiesta Lavoro del 2001 anche se utilizzano una
ripartizione dei settori d’attività economiche diversa da quella del
Censimento del 1994, confermano le caratteristiche occupazionali rilevate in
occasione del Censimento.
Tabella 3.12 – Suddivisione della PEA per settore di attività
economica ed area di residenza. Anno 1994
Regione di Tadla-Azilal Marocco
Urbana Rurale Totale Urbana Rurale Totale
Agricoltura, allevamento, foresta e pesca
10,3 80,4 60,9 4,9 80,4 43,5
Industria 15,8 4,3 7,5 22,5 4,1 13,0
Cantieri e lavori pubblici
9,8 3,3 5,1 8,8 4,7 6,7
Servizi 64,1 12,0 26,5 63,7 10,8 36,7
Altre attività -- -- -- 0,1 0,0 0,1
Totale 100 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: Inchiesta Lavoro 2001, Direzione Nazionale della Statistica.
157
Come sottolineato dalla tabella 3.12, l’agricoltura e l’allevamento sono le
principali occupazioni della regione. L’agricoltura occupa il 60,9 per cento
della popolazione economicamente attiva contro il 43,5 per cento registrato
a livello nazionale.
Nell’area urbana della regione, questo tasso è del 10,3 per cento cioè il
doppio della media nazionale ed è il settore dei servizi che predomina
occupando più dei due terzi della popolazione economicamente attiva
(64,1%).
La popolazione economicamente attiva nella regione dell’Orientale si
caratterizza per un tasso di occupazione medio (49,2%).
Il tasso d’occupazione della popolazione urbana nella regione rimane
inferiore al tasso nazionale (il 44,1% contro il 46%), principalmente a causa
della disoccupazione registrata nella classe d’età 25-59 anni (tabella 3.13).
Tabella 3.13– Tasso di occupazione della popolazione urbana
secondo l’età. Anno 2001
Età (anni)
15-24 25-34 35-59 60 e più Totale
Orientale 34,1 56,1 53,1 15,9 44,1
Marocco 33,1 60,0 55,1 15,8 46,0
Fonte: Direzione Nazionale della Statistica.
L’analisi della suddivisione della popolazione economicamente attiva,
secondo la professione esercitata, mostra la predominanza dei salariati. La
tabella 3.14 paragona la situazione dell’Orientale con quella globale del
Marocco.
Tabella 3.14 – Suddivisione della PEA per professione.
Anno 1997
Autonomo Salariato
Datore di
lavoro
Aiuto familiare
e apprendista Altro
Non dichiarato
Orientale 27,0 55,1 4,4 6,7 6,8 -
Marocco 20,2 64,6 3,0 6,8 5,2 0,2
Fonte: Direzione Nazionale della Statistica.
158
I salariati rappresentano il 55,1 per cento del totale, tasso inferiore alla
media nazionale. Situazione opposta si registra nell’area urbana a livello dei
lavoratori autonomi dove, come evidenzia la tabella 3.15, il commercio e gli
altri servizi occupano quasi due terzi della popolazione attiva.
Tabella 3.15 – Suddivisione della PEA urbana per attività
esercitata. Anno 1997
Agricoltura foresta e
pesca Industria
Cantieri e lavori
pubblici Servizi Altro
Orientale 7,4 19,7 11,2 61,6 0,1
Fonte: Direzione Nazionale della Statistica.
La crescita della disoccupazione
Il fenomeno della disoccupazione assume delle proporzioni sempre più
inquietanti nelle quattro aree interessate dall’inchiesta (tabella 3.16). Ad
eccezione della regione di Tadla-Azilal, il tasso di disoccupazione supera
nelle altre tre aree la media nazionale (18,3%).
Tabella 3.16 – Tasso di disoccupazione urbana in base al sesso
nelle quattro aree. Anno 2002
Regione
Tasso di disoccupazione
maschile
Tasso di disoccupazione
femminile Totale Grande Casablanca 20,2 23,2 21,0
Orientale 19,8 36,7 23,1
Chouia-Ourdigha 18,9 33,9 22,4
Tadla-Azilal 10,0 23,0 12,7
Marocco 16,6 24,2 18,3
Fonte: Annuario statistico del Marocco (2003).
Il tasso di disoccupazione nella zona rurale è del 10,7 per cento nel Grande
Casablanca, dell’11,6 per cento nell’Orientale, del 3,8 per cento nel Tadla-
Azilal e del 2,7 per cento nella Chaouia-Ouirdigha.
I valori relativamente bassi della disoccupazione rurale sono strettamente
correlati sia all’emigrazione verso le città (principalmente verso le zone peri-
urbane che inglobano la maggior parte dei disoccupati delle campagne) e da
lì verso l’estero, sia alla grande difficoltà di quantificare la disoccupazione
159
nella zona rurale nettamente dominata dall’economia informale e dalle
attività di sopravvivenza. Il dato più significativo rimane ad ogni modo la
rapida crescita della disoccupazione urbana che colpisce più di una donna su
tre nelle due regioni dell’Orientale (36,7%) e della Chaouia–Ourdigha
(33,9%) e quasi una su quattro nel Grande Casablanca e nella regione di
Tadla-Azilal.
Dati questi che contribuiscono a spiegare l’ampiezza che assume
l’emigrazione femminile.
La disoccupazione colpisce particolarmente i giovani (tabella 3.17), categoria
questa della popolazione che manifesta una forte propensione ad emigrare. I
tassi regionali del fenomeno (non disponibili) si avvicinano molto
probabilmente a quelli registrati a livello nazionale.
Tabella 3.17 – Tasso di disoccupazione per sesso e per classe
d’età
Classe d’età Maschile Femminile Totale
15 - 24 anni 33,2 37,0 34,2
25 - 34 anni 23,7 32,9 26,2
35 - 44 anni 7,9 11,4 8,7
45 - 59 anni 3,7 3,6 3,7
60 anni e più 0,6 0,9 0,6
Totale 16,6 24,2 18,3
Fonte: Annuario statistico del Marocco.
Nella regione di Tadla-Azilal, per esempio, secondo i dati dell’inchiesta
Lavoro del 2001, la disoccupazione interessa principalmente le popolazioni
urbane giovani dell’età tra i 15 ed i 34 anni.
Il tasso di disoccupazione urbano regionale di questa classe d’età supera il
26 per cento.
Le attività economiche
Presenteremo in forma semplificata per le quattro aree di inchiesta, in modo
da caratterizzare in forma globale il sistema economico locale, i principali
settori produttivi quali l’agricoltura, l’allevamento, lo sfruttamento delle
foreste e la pesca.
160
• L’agricoltura
Nelle quattro aree, l’agricoltura svolge un ruolo importante nell’economia
regionale. Attualmente la crescita economica del paese non riesce ancora a
garantire il livello di automatizzazione necessario a questo settore che
rimane quindi estremamente dipendente dalle sorti climatiche. La
dipendenza dell’economia regionale dall’attività agricola è più significativa
nell’area di Béni Mellal (che tra le quattro ha una maggiore vocazione
agricola) e meno nel Grande Casablanca.
Nonostante Casablanca sia innanzitutto un centro industriale, il ruolo che
svolge l’agricoltura nell’economia locale non è marginale poiché da essa
dipendono 145.000 persone che risiedono nella zona rurale e indirettamente
una popolazione urbana più importante che rimane legata in qualche modo
all’attività agricola. La tabella 3.18 presenta gli indicatori relativi alle due
principali colture della regione: i cereali ed i legumi.
Tabella 3.18 – Superfici coltivate, produzioni e rendimenti dei
cereali e dei legumi. Anno 1999-2000
Cereali Legumi Superficie
(ha) Produzione
(Qt) Rendimento
Qt/ha Superficie
(ha) Produzione
(Qt) Rendimento
Qt/ha
12840 35160 2,7 673 951 1,4
Fonte: Direzione Provinciale dell’Agricoltura di Casablanca.
La coltura più diffusa nella regione è il grano tenero con il 66 per cento
mentre il grano duro occupa il secondo posto con il 17 per cento della
produzione totale di cereali.
L’orzo è in terza posizione con il 12 per cento seguito dalla coltivazione del
mais che raggiunge il 5 per cento.
A Khouribga i terreni agricoli rappresentano circa il 90 per cento (400.000
ettari circa) della superficie totale della provincia:
• I 2/3 sono coltivati, di cui 3.000 ettari irrigati (superficie in aumento
con lo sviluppo di nuove tecnologie di irrigazione);
• 1/5 è coperto dalle foreste;
• 2/15 sono terreni transitabili.
161
I 262.000 ettari coltivati si dividono in quasi 30.000 appezzamenti, di cui:
• il 77 per cento copre meno di 10 ettari e rappresentano globalmente il
40 per cento delle superfici;
• l’8,3 per cento ha dimensioni maggiori di 20 ettari (quasi un centinaio
superano i 100 ettari) e rappresenta un terzo della superficie coltivata.
Alcune coltivazioni come quella dei cereali sono divenute tradizionali in
questa provincia mentre altre vi si stanno sviluppando rapidamente.
• L’arboricoltura che ancora nel 1994 occupava solo 1.300 ettari è in
lieve sviluppo, soprattutto per gli uliveti.
• La produzione di foraggio resta ancora limitata mentre grazie
all’irrigazione progredisce quella di ortaggi e frutta raggiungendo pero
solo i 1000 ettari circa.
La superficie dei 3000 ettari irrigati viene coltivata per un 39 per cento a
ortaggi e frutta, per un 14 per cento a foraggio, per un 35 per cento a
cereali ed il 12 per cento restante è utilizzato per l’arboricoltura.
La produzione globale media di cereali raggiunge il 1.500.000 quintali
all’anno (quantità questa che si raddoppia nelle annate in cui le condizioni
climatiche sono favorevoli).
I legumi alimentari sono costituiti fondamentalmente da fave, piselli e
lenticchie con una produzione su di una superficie di circa 1.000 ettari che
varia dai 3.000 a 7.000 quintali l’anno. La coltivazione degli ortaggi che
necessita elevati quantitativi di acqua, raggiunge attualmente gli 800 ettari
dedicati quasi esclusivamente alla patata. I frutteti occupano attualmente
solo 1.300 ettari, di cui l’80% di oliveti.
Béni Mellal è sicuramente una città a vocazione agricola (all’interno del suo
municipio sussistono numerose aree agricole) anche se le altre attività
produttive come l’industria, il turismo e l’artigianato sono in via di sviluppo,
grazie alla politica di regionalizzazione condotta dallo Stato marocchino
(stessa situazione che si riscontra anche a Khouribga e Nador) con l’obiettivo
di decongestionare la metropoli Casablanca, che concentra più della metà
del potenziale economico del paese.
Una parte della popolazione economicamente attiva della città è impiegata
quindi nell’agricoltura: i dati regionali sull’occupazione indicano che
l’agricoltura assorbe il 10 per cento della PEA nella zona urbana, rispetto ad
una media del 5 per cento a livello nazionale.
162
Le mandrie di bestiame sparse in certi quartieri della città costituiscono
d’altronde una delle caratteristiche della vita della città, e le percentuali di
apporto della regione nei diversi campi alla produzione agricola nazionale
sono indiscutibili indicatori della vocazione agricola della regione (tabella
3.19).
Tabella 3.19 – Apporto alla produzione agricola nazionale della
regione di Tadla-Azilal. Anno 2001-2002
%
Cereali 5,4
Barbabietola da zucchero 22,4
Uliveti 15,6
Agrumi 15,2
Legumi 5
Fonte: Relazione del Centro Regionale per la Produzione di Tadla-Azilal (2002).
Nella regione dell’Orientale, il settore agricolo è caratterizzato dal dualismo
più pronunciato fra la terre irrigate e non. Nella regione, la superficie
agricola utile (SAU) è stimata in 662.000 ettari, cioè l’8 per cento della SAU
totale del Marocco (9,3 milioni di ettari che rappresentano l’11,7 per cento
della superficie globale del paese). Le terre irrigate rappresentano solo il 16
per cento della SAU. L’arboricoltura si estende su di una superficie di 68.000
ettari dei quali ulivi e agrumi rappresentano circa i ¾. Le altre colture della
regione si dividono tra gli ortaggi (circa 17.500 ettari), le piante oleifere
(917 ettari dei quali per la produzione di girasoli) ed i legumi.
E’ necessario notare che le attività economiche sono molto più sviluppate al
nord della regione, il che è dovuto alle condizioni climatiche ed alla
ripartizione ineguale all’interno della regione della popolazione, così come
delle ricchezze minerarie e naturali.
La suddetta situazione determina il tipo di attività principale di ogni parte
della regione: l’allevamento intensivo di ovini e caprini costituisce l’attività
principale della parte sud, nonostante la presenza della coltivazione dei
cereali sia su terreni irrigati che non; al contrario, al Nord della regione, la
popolazione si dedica a colture varie basate essenzialmente sulla coltivazione
di cereali, legumi ed alberi da frutto. In questa parte della regione,
l’allevamento riguarda soprattutto bovini ed ovini.
163
L’allevamento
Se l’allevamento risulta essere una delle attività prioritarie del sud della
regione dell’Orientale, nelle altre tre aree la situazione è decisamente
differente (tabella 3.20).
Tabella 3.20 – Settori di allevamento (in migliaia di capi) nelle
quattro aree. Anno 2002
Provincie Bovini Ovini Caprini Equini
Casablanca 40,2 122,7 1,3 8,4
Khouribga 40,0 525,2 34,3 47,1
Béni Mellal 110,0 450,9 74,4 31,3
Nador 41,1 520,9 50,3 26,2
Fonte: Annuario statistico del Marocco (2003).
La regione del Grande Casablanca, malgrado le ridotte dimensioni della sua
area rurale, dispone di un significativo patrimonio di bestiame. In effetti, la
regione possiede quasi 40.200 bovini (domina la razza bovina importata ed
incrociata) e 122.700 capi di ovini.
La provincia di Béni Mellal si denota ugualmente per l’importanza
dell’allevamento, facendo registrare il più alto numero di bovini e caprini.
Ciononostante, nei quattro siti, le variazioni nel patrimonio di bestiame
rimangono strettamente legate alle condizioni climatiche ed alle fluttuazioni
della produzione agricola. Al fine di compensare i limiti anteriormente
descritti, l’alimentazione tradizionale (frumento, paglia, orzo, ecc.) coesiste
con lo sviluppo della coltura del foraggio. La produzione media annuale di
carne è strettamente relazionata alle dimensioni del patrimonio di bestiame.
A Khouribga, per esempio, è stimata in più di 6.100 tonnellate, di cui 4.500
tonnellate di carne ovina nel 53 per cento dei casi venduta fuori dalla
Provincia. La produzione di latte è stimata in 10.300 t/annue, quella della
lana in 700 t/annue e quella delle pelli in 120.000 unità/annue.
Lo sfruttamento delle foreste
Le quattro aree sono coperte da foreste in percentuali diverse. La provincia
di Béni Mellal situata nel Medio Atlante è quella più ricca di foreste (145.434
ettari), seguita dalla provincia di Nador situata in una regione ricchissima di
foreste (24.861.846 ettari) ma con una superficie boschiva nella sua
164
provincia di soli 68.100 ettari. Nella provincia di Khouribga, la superficie
coperta dai boschi è di 23.657 ettari.
La regione del Grande Casablanca dispone di una superficie di 3.562 ettari di
foreste sopravissute al disboscamento: il comune di Bouksoura dispone di
1600 ettari di foreste (45,3%), il comune di Mejjata Oulad Taleb dispone di
1500 ettari (42,2%) ed il resto è localizzato nel territorio dei comuni di Dar
Bouazza ed Ech Chellalatte.
La pesca
Le due province che dispongono di un litorale sono Casablanca e Nador.
Avendo un litorale di circa 60 km la pesca e importante nella regione del
Grande Casablanca. Casablanca è dotata di un porto commerciale che
comprende un porto per la pesca di 352 m di costa, un mercato del pesce di
4000 m² ed un cantiere navale.
I prodotti ittici sbarcati nel porto commerciale nel 2002 hanno raggiunto le
37.257 tonnellate.
La flotta da pesca esistente è composta da: 132 pescherecci, 120 barche di
cui 80 motorizzate, 25 depositi frigorifero. La regione possiede: 5 unità di
congelamento con una capacità di stoccaggio di 590 tonnellate e 20 unità
industriali di trattamento (con 2.233 tonnellate di prodotti ittici lavorate nel
1997). L’attività della pesca dà lavoro a quasi 22.000 pescatori.
A Nador, la pesca marittima costituisce un’attività che impiega 1300 barche
da pesca (anno 2001). La produzione di questa attività è consumata
localmente. I prodotti della pesca costiera sbarcati nel 2002 hanno raggiunto
le 106.369 tonnellate.
D’altronde, è necessario ricordare che l’infrastruttura portuaria della regione
si è consolidata con la costruzione di un nuovo porto turistico e per la pesca
a Saidia.
Parallelamente a queste diverse attività primarie, bisogna segnalare le
risorse minerarie della provincia di Khouribga conosciuta come grande centro
di produzione di fosfati. Di fatto la regione dell’Orientale è molto ricca di
minerali quali il ferro, la pirite, lo zinco, il piombo, il carbone ed il bronzo.
Attività minerarie queste che stanno attualmente attraversando un
prolungato periodo di crisi.
165
Le attività secondarie
L’industria
L’industria è un settore relativamente poco sviluppato in 3 (Khourigba, Béni
Mellal e Nador) delle 4 aree coinvolte nell’inchiesta. Casablanca come si
desume dalla seguente tabella, è il più grande polo industriale del paese.
Tabella 3.21 – Caratteristiche dell’attività industriale nelle quattro
aree. Anno 2002
Numero
degli stabilimenti
Lavoratori permanenti Salari Produzione
Giro d’affari Esportazioni
Casablanca 2.754 200.514 11.251 86.191 101.217 18.664
Khouribga 59 650 17 333 381 12
Béni Mellal 126 2.412 185 1001 955 -
Nador 141 3.399 174 3.794 4.058 132
Marocco 7.327 429.482 21.610 169.618 189.799 45.605
Fonte: Annuario statistico del Marocco (2003).
La regione del Grande Casablanca è una regione a vocazione industriale.
Questa caratteristica è storica e tale specificità non smette di svilupparsi
malgrado i tentativi dei vari governi che si sono succeduti di sviluppare nelle
altre regioni poli industriali alternativi.
Nella regione del Grande Casablanca, esistono tre tipi di industrie:
• Le piccole e medie industrie non inquinanti istallatesi all’interno delle
zone abitate e che riescono a coesistere con la popolazione.
• Le piccole e medie industrie poco inquinanti per le quali sono state
previste zone industriali speciali. Questo tipo di industrie, create
anteriormente nelle zone limitrofe alla città vecchia, vengono inghiottite
dal processo di urbanizzazione diventano progressivamente delle
industrie moleste.
• Le industrie inquinanti sono generalmente imprese di grandi
dimensioni. Queste industrie, inizialmente ubicate all’esterno della città
rischiano di diventare presto scomode e necessitano di una loro
riubicazione in zone più esterne.
A Casablanca si concentrano 2.754 stabilimenti industriali cioè il 38 per
cento del totale degli stabilimenti presenti sul territorio nazionale.
166
L’offerta di posti di lavoro generata dall’industria nella regione di Casablanca
raggiungeva i 205.231 nel 2000 (quasi l’88% dei quali permanenti)
diversificandosi nei seguenti settori:
• Il settore del tessile e del cuoio impiegano il 47 per cento della
manodopera regionale, generando quasi il 69 per cento delle
esportazioni della regione, il 26 per cento degli investimenti ed il 20 per
cento del valore aggiunto.
• Il settore chimico impiega più del 24 per cento della manodopera della
regione, realizzando il 33 per cento degli investimenti, il 29,9 per cento
della produzione regionale ed il 30 per cento del valore aggiunto.
• Il settore agroalimentare che impiega quasi l’11 per cento della
manodopera, realizza il 29 per cento della produzione regionale, il 17
per cento degli investimenti ed il 7 per cento delle esportazioni.
• Il settore della meccanica impiega il 13 per cento della manodopera
regionale e realizza quasi il 14 per cento del valore aggiunto regionale.
Questo tessuto industriale è ubicato in diverse zone industriali. La più
vecchia, quella di Ain Sebaa Hay Mohammadi è anche la più importante,
rappresentando il primo centro industriale della regione del Grande
Casablanca con il 38 per cento del totale delle unità industriali. Essa
contribuisce per il 46 per cento alla produzione industriale della zona di
Casablanca, occupa il 42 per cento della manodopera manifatturiera e
contribuisce al 36 per cento delle esportazioni, al 42 per cento degli
investimenti ed al 45 per cento del totale del giro d’affari.
Tabella 3.22 – Zone industriali di recente costituzione in base alla
superficie ed al numero di lotti
Zone industriali Superficie (ha) Numero di lotti
My Rachid 29 161
Dar Bouazza 10 124
Technopôle Aéroport Mohamed V 86 200
Nouaceur 26 94
Mohammedia 120 300
Totale 271 879
Le altre zone industriali per ordine di importanza sono localizzate nella
prefettura di Sidi Bernoussi Zenata, in quella di Ain Chock Hay Hassani e in
167
quella di Casablanca Anfa. A lato di queste vecchie zone industriali, cinque
nuove zone sono state create per rispondere ai bisogni generati dalla
crescita del settore industriale in città (tabella 3.22).
Le cinque zone industriali offrono una superficie totale di 271 ettari e
possono ricevere fino a 879 imprese.
Nella regione dell’Orientale, gli indicatori economici del settore industriale
rivelano che nella provincia di Nador esistono 141 stabilimenti, cioè il 41 per
cento del totale della regione dell’Orientale, che assicurano impiego al 53 per
cento della manodopera industriale regionale.
Tra le unità industriali più importanti della regione dell’Orientale, sono da
ricordare: l’unità di trasformazione dello zucchero (SUCRAFOR) a Zaio nella
provincia di Taourirt; la società delle cooperative lattiere del Marocco
Orientale specializzata nel trattamento del latte e nella produzione dei
diversi derivati (burro, formaggio, yogurt...) e la cui produzione copre i
bisogni dell’Orientale e comincia a concorrere con quella della altre società in
altre regioni del Marocco; l’unità siderurgica (SONASID) che si trova a
Nador. Esistono inoltre le imprese di commercializzazione dei farinacei il cui
numero è di 7, quattro a Oujda, una a Berkane, Beni Nsar e Selouane; le
imprese di produzione d’olio d’oliva che sono 15, tra le quali 5 si trovano a
Oujda e 10 a Nador senza contare le unità tradizionali di produzione olearia
che si sviluppano in funzione della produzione d’oliva ed il cui numero varia
negli anni.
Nella regione di Tadla-Azilal, la situazione geografica della città di Béni Mellal
e la sua appartenenza ad una zona tra le più ricche del territorio nazionale
sono sicuramente condizioni favorevoli per l’espansione delle attività
secondarie industriali ed artigianali. Tuttavia per varie ragioni come la
debolezza dello spirito d’impresa, la rigidità del sistema di finanziamento e la
forte concorrenza dei grandi poli come Marrakech e Casablanca, le attività
industriali ed artigianali sono interessate solo da un timido sviluppo.
Il settore industriale nella regione è quindi caratterizzato da un livello di
sviluppo relativamente ridotto (tabella 3.23) mobilitando solo il 5 per cento
della manodopera locale ed interessando principalmente il settore
agroalimentare: in modo particolare il commercio di zucchero e farinacei.
L’attività di produzione dello zucchero che è stata considerata come la pietra
miliare dello sviluppo economico della zona (esistono 3 zuccherifici nella
provincia di Béni Mellal) è ormai in crisi da qualche anno.
168
L’attività industriale locale è strettamente legata all’agricoltura ed
all’allevamento. Le imprese agroindustriali che rappresentano quasi la metà
degli impianti del settore, impiegano più del 60 per cento della manodopera
occupata nel settore industriale.
Tabella 3.23 – Caratteristiche del settore industriale della regione
Tadla-Azilal. (Anno 2001)
Indicatori v.a. % sul totale dell’industria
alimentare nazionale
Num. d’unità 119 39
Giro d’affari 897.590 89
Produzione 946.891 91
Esportazioni 42.977 99
Investimenti 42.164 95
Valore aggiunto 200.635 87
Addetti 3.375 75
Fonte: Delegazione Regionale dell’Industria e del Commercio.
Nella provincia di Khouribga esistono 59 impianti industriali, che
rappresentano solo il 18,5 per cento del totale della regione Chaouia-
Ouardigha (319 unità).
Le attività industriali, ubicate nelle aree industriali di Khouribga e Oued Zem,
sono caratterizzate dai diversi processi legati al trattamento dei fosfati e
sono monopolio di un organismo pubblico, l’Office Chérifien des Phosphates
(OCP). I settori “Cantieri e lavori pubblici” e “Produzione di artigianato”
coinvolgono in parti quasi uguali la metà della manodopera industriale della
provincia.
Tabella 3.24 – Principali industrie della provincia di Khouribga.
Anno 2001
Settori Ragione sociale Numero lavoratori
Tadla-gas 50 Chimico
Fertima 18
Moulins de Oued-Zem 40 Agroalimentare
Moulins de Khouribga 56
Tessile e cuoio Gentiane Confection 124
Fonte: Delegazione Regionale dell’Industria e del Commercio.
169
Le due imprese agroalimentari (vedi tabella 3.24) presentano una capacità
produttiva di 2.500 q/giorno, e destinano la loro produzione alla copertura
dei bisogni della provincia rifornendo una ventina di panifici industriali che
producono tutti i tipi di pane. Filiale dell’OCP, la Fertima vende dalla fabbrica
di Oued Zem concimi a base di fosfati prodotti dall’OCP (50.000 tonnellate
l’anno). La città di Khouribga dispone di una zona industriale di 20 ettari
divisa in 236 lotti ma nella provincia esistono altre due zone industriali a
Oued Zam e Boujaad.
L’artigianato
Se si esclude il Grande Casablanca, l’industria risulta relativamente poco
sviluppata nelle altre tre aree. Questa carenza è compensata dall’artigianato
che continua ad avere un ruolo importante nei processi produttivi, nelle
esportazioni e nelle dinamiche occupazionali. Le modalità di esercizio
dell’artigianato sono generalmente due: l’artigianato praticato in locali ad
uso professionale e quello definito domestico. Se la caratterizzazione del
primo non comporta problemi, è difficile avere informazioni attendibili sul
secondo nonostante svolga un ruolo importante nell’occupazione femminile e
nella produzione. Lo Stato riconosciuta l’importanza di quest’ultimo settore
gli accorda un’attenzione particolare in materia di organizzazione, di
inquadramento, di aiuto e sovvenzioni.
Tabella 3.25 – Suddivisione degli artigiani di Casablanca in base ai
mestieri. Anno 1999
Mestiere Numero di artigiani Mestiere
Numero di artigiani
Fabbricanti di scarpe 297 Muratore 41
Fabbro 185 Tessitore di tappeti 839
Imbianchino 94 Cordaio 7
Tessitore 50 Gioielliere 64
Fabbricante di calce 687 Scultore di gesso 131
Fabbricante di mattoni 32 Scultore di ferro -
Sarto 1934 Scultore di legno 60
Sarto tradizionale 24 Pellettiere 44
Falegname 665 Altro 1.814
Conciatore 13
Vasaio 16 Totale 6.997
Fonte: Delegazione Regionale dell’Artigianato.
170
Nel Grande Casablanca (vedi tabella 3.25), il numero di artigiani iscritti alla
Camera dell’Artigianato è di circa 7.000, organizzati in 34 cooperative.
Nel 2000 il settore dell’artigianato ha esportato 10.585,7 quintali di
manufatti per un valore globale di 216,1 milioni di dirham (tabella 3.26).
Tabella 3.26 – Peso e valore dei manufatti artigianali esportati.
Anno 2000
Manufatti Peso (quintali) Valore (migliaia di dh)
Tappeti 2.303,72 14.019,31
Cuoio e derivati 488,73 6.893,18
Articoli in rame 1.160,55 6.800,42
Vestiti 1.409,48 15.057,25
Legno 4.182,45 23.363,92
Ferro battuto 11.983,35 34.926,61
Gioielli 141,80 4.089,98
Babbuccie 579,10 5.504,03
Coperte 486,48 3.747,16
Ceramica 31.631,21 56.264,25
Tende 12,68 49,47
Articoli in vimini 10.083,93 34.535,56
Vetro 518,93 2.886,56
Pietra 5.603,32 7.986,74
Totale 70.585,73 216.124,44
Fonte: Delegazione Regionale dell’Artigianato.
Nella provincia di Khouribga esistono tre consorzi artigianali nelle città di
Khouribga, Oued Zen e Boujaad con tre Centri di Formazione Professionale
in cui sono insegnate specialità come il ricamo, la falegnameria e la
fabbricazione di scarpe. L’Haik ed il tappeto “Hanble” di Boujaad e di Smaala
sono tra i manufatti artigianali della zona più rinomati .
A Boujaad, un sistema di cooperative garantisce la qualità e la diffusione di
prodotti di falegnameria, sartoria professionale e materiali da costruzione.
A Béni Mellal (secondo il rapporto 2001 della Commissione Regionale della
Popolazione di Tadla-Azilal) il numero di unità produttive nel settore
dell’artigianato è di 7500 e danno lavoro a più di 30.000 addetti.
171
Nella regione esistono 11 associazioni d’artigiani operative (in 6 hanno
cessato l’attività) con un numero globale di aderenti di 1650. La tabella 3.27
illustra i principali mestieri artigianali della regione.
Tabella 3.27 – Principali mestieri artigianali nella regione di Tadla-
Azilal. Anno 2002
Artigianato di produzione Artigianato di servizi
Falegnameria Meccanica
Terracotta Lavori di muratura (costruzione)
Conceria Saldatura
Tessitura Fabbricazione di lamiere
Idraulica
Fonte: Relazione del Centro Regionale per la Produzione di Tadla-Azilal (2002).
Nella città di Béni Mellal, l’artigianato è relativamente più sviluppato rispetto
all’industria e conseguentemente in città si concentra quasi il 40 per cento
degli artigiani della provincia. La manodopera impiegata in questa attività
rappresenta circa il 6,5 per cento della popolazione locale economicamente
attiva; le cooperative esistenti registrano 474 aderenti. Il settore moderno
dell’artigianato è stato protagonista in questi ultimi anni di un significativo
miglioramento strutturale, il che ha permesso lo sviluppo di nuove tecnologie
di produzione. Il settore continua, a causa del predominio delle strutture
informali al suo interno, a soffrire diverse limitazioni quali la debolezza delle
organizzazioni di categoria e le difficoltà di finanziamento e di
commercializzazione della produzione in Marocco ed all’estero.
Nella regione dell’Orientale, il settore dell’artigianato, la cui produzione è
destinata principalmente al consumo locale, occupa un posto importante nel
tessuto socio-economico regionale, in quanto garantisce impiego a 50.000
persone. Il numero di cooperative artigianali era di 31 nel 2001, e
registravano 1123 aderenti. In questa regione (considerando il livello
nazionale di sviluppo dell’artigianato) l’attività artigianale tradizionale è
molto debole malgrado le importanti risorse a disposizione (lana, pelli di
ovini e di bovini, ecc.). Questa situazione spiega quindi in parte la
inconsistenza della produzione artigianale e la sua scarsa incidenza sulle
esportazioni totali della regione dell’Orientale.
172
Le attività terziarie
La terziarizzazione dell’economia, nonostante sia un processo significativo
nelle quattro aree, è a Casablanca, principale polo industriale marocchino,
che risulta maggiormente evidente. In questa provincia i servizi assicurano
impiego a più del 59 per cento della popolazione economicamente attiva.
Il commercio
Se Casablanca si distingue per essere un grande centro commerciale ed il
più grande centro di commercio all’ingrosso, il commercio al dettaglio risulta
un’attività che genera più occupazione nelle regioni meno industrializzate
come Khouribga , Béni Mellal e Nador.
L’attività commerciale è molto importante nella regione dell’Orientale
soprattutto a Oujda e Nador che rappresentano delle porte, rispettivamente,
sull’Algeria e sull’Europa. In numerosi mercati di queste due città (souk
Fellah, souk Tanger, souk Melilla, souk Al kouds Ouled Mimoum , souk Al
Mourakkab Attijari…) si trovano prodotti nazionali ed internazionali
provenienti sia da Melilla che dall’Algeria, entrati nel paese attraverso i
circuiti del contrabbando.
Questo commercio parallelo, a causa della disoccupazione che affligge tanto
le città quanto le campagne dell’Orientale, è diventato il settore d’attività più
dinamico, nonché la base economica della regione.
Assicurando grazie al suo funzionamento efficace, l’approvvigionamento dei
punti più lontani dai centri urbani, a Khouribga, il commercio occupa un
posto importante nell’economia della provincia registrando più di 18.000
licenze di commercio di cui quasi 9.500 nei centri urbani. Troviamo quindi
nell’area di Khouribga: 16 “kissariats”o centri commerciali; 3 mercati di
frutta e verdura; 3 mercati del grano; 3 cooperative di consumo; 7
economati; 3 mercati municipali comunali; 4 souk urbani.
Il commercio rurale si appoggia a ventiquattro souk settimanali all’interno
dei quali si svolgono la quasi totalità delle transazioni commerciali.
A Béni Mellal, il commercio occupa più del 12 per cento della popolazione
economicamente attiva della città coinvolgendo 86 grossisti e quasi 2000
commercianti al dettaglio. Oltre alle attività commerciali permanenti, nella
città di Béni Mellal si svolge il più importante souk settimanale della regione.
Questo souk che si svolge il martedì e la domenica è di grande importanza
173
economica per la città in virtù della quantità di popolazione che attrae, delle
possibilità di impiego che offre, della varietà di prodotti che vende e
dell’incasso che garantisce al Comune.
Il turismo
Il turismo è tra le attività del terziario più sviluppate a Casablanca
caratterizzandosi per essere un misto fra il “turismo di massa” ed il “turismo
d’affari”. La città dispone in effetti di 94 hotel di cui 41 con una capacità di
5939 letti (tabella 3.28).
Tabella 3.28 – Capacita alberghiera di Casablanca. (31/12/2000)
Categoria Quantità Posti letto
1 stella 5 335
2 stelle 9 556
3 stelle 9 780
4 stelle 14 2982
5 stelle 4 1286
Totale 41 5939
Fonte: Delegazione Regionale del Turismo.
Casablanca dispone di potenzialità turistiche innegabili (spiagge, foreste,
ecc.) e una importante infrastruttura di base. Si contano nella regione: 160
agenzie di viaggio, 16 agenzie di trasporto turistico, 76 ristoranti, 4 camping
internazionali, 23 società di trasporto aereo, l’aeroporto Mohammed V, gli
aeroporti di Anfa e di Tit Mellil per i piccoli aerei, un grande porto
commerciale, infrastrutture sportive internazionali, ecc.
Nella regione dell’Orientale, gli immigrati rappresentano un gruppo di turisti
molto importante (194.154 sono arrivati dal porto di Nador nel 2001) che
può generare molteplici attività a carattere economico e culturale.
Tuttavia, lo sviluppo del turismo impone uno sforzo importante per
migliorare le strutture di accoglienza di base e tutelare le risorse turistiche di
cui dispone la regione (mare, montagne, foreste, ecc.) promuovendo una
politica di integrazione della regione in campo regionale, nazionale ed
internazionale.
Grazie alla situazione geografica privilegiata dell’estremo Nord est del paese,
la regione dell’Orientale rappresenta una porta importante verso i paesi
174
europei a nord e un passaggio obbligato verso i paesi del Maghreb all’est.
Dispone inoltre di importanti siti turistici che richiedono una adeguata
valorizzazione. Ad ogni modo lo sviluppo del turismo in questa area risulta
dipendente, in gran parte, dalla qualità delle relazioni con l’Algeria. La
chiusura delle frontiere ebbe un impatto negativo sull’attività alberghiera ed
impose tanto la riconversione quanto la chiusura di alcune strutture
alberghiere.
La città di Béni Mellal dispone di un patrimonio turistico abbastanza
diversificato. Si tratta essenzialmente di siti naturali e storici. Sul piano
dell’infrastruttura alberghiera, la città è dotata di 19 hotel (di cui 11 di
categoria). Malgrado la potenzialità della sua infrastruttura, l’attività turistica
rimane però poco sviluppata (tabella 3.29): Béni Mellal continua ad essere
solo un punto di passaggio dei turisti diretti a Marrakech o a Fes nel nord. Le
agenzie di viaggi della città si sono quindi convertite alla gestione delle
dinamiche generate dalla migrazione verso la Spagna e l’Italia (cambio,
prenotazione di biglietti, ecc.).
Tabella 3.29 – Caratteristiche dell’infrastruttura turistica a livello
provinciale e regionale. Anno 2002
Provincia di Béni Mellal
Regione Orientale
Guide 03 03
Guide di montagna 17 167
Agenzie di viaggio 18 18
Agenzie di locazione auto 10 10
Trasporto turistico 01 04
Ristoranti turistici 05 07
Società di caccia e pesca 10 15
Fonte: Delegazione Regionale del Turismo.
La regione di Khouribga, area legata alla tradizione dell’estrazione del
fosfato, non dispone di infrastrutture turistiche che presentino un interesse
economico.
Le strutture bancarie e finanziarie
Per quanto riguarda le strutture bancarie e finanziarie, bisogna ricordare che
Casablanca è il primo mercato finanziario in Marocco seguito da Nador. La
175
regione del Grande Casablanca concentra oltre alla borsa dei valori il più
grande numero di banche commerciali, di società di finanziamento e di
società di assicurazioni.
Casablanca dispone di 581 sportelli bancari su un totale di 1889, cioè di
quasi un terzo del sistema bancario a livello nazionale, Nador di 90, mentre
Béni Mellal di 33 e Khouribga di 23.
I depositi nel sistema bancario della regione del Grande Casablanca hanno
raggiunto nel 2000 gli 81 miliardi di dirham cioè il 37 per cento del totale dei
depositi a livello nazionale. I crediti distribuiti erano di 96 miliardi di dirham
cioè quasi il 63 per cento del totale dei crediti distribuiti a livello nazionale, il
che denota un drenaggio a favore di Casablanca dei fondi raccolti nelle altre
regioni del Marocco. Il caso della regione dell’Orientale è emblematico a
questo riguardo: il suo settore bancario è caratterizzato dall’importanza dei
depositi in relazione ai crediti concessi. La percentuale dei crediti accordati in
relazione ai depositi bancari nella Wilaya rimane infatti inferiore al 20 per
cento. La raccolta del risparmio avviene attraverso sportelli bancari ubicati
nella maggior parte dei centri urbani della regione, soprattutto nelle città di
Oujda e Nador.
In queste due città, si trovano anche delle società di finanziamento e di
micro-credito (queste ultime orientate in forma specifica al finanziamento dei
progetti individuali e delle piccole imprese).
Béni Mellal si caratterizza invece per un livello di dinamismo inferiore nel suo
sistema bancario, dove ad ogni modo si concentrano più della metà degli
sportelli bancari della provincia (33) gestiti questi da un’agenzia della banca
centrale (Banca Al Maghreb). La crescita continua e regolare dell’importo
globale dei depositi si accompagna però ad un sistema economico locale non
sufficientemente dinamico per utilizzarli completamente. Quindi nonostante
l’importo globale dei crediti erogati sia in crescita continua, il tasso di
mobilitazione dei fondi raccolti dal settore bancario non supera il 65 per
cento. La città di Khouribga è la meno provvista di infrastrutture bancarie,
potendo contare soltanto su 23 sportelli.
176
L’EMIGRAZIONE INTERNAZIONALE
Le quattro aree dell’inchiesta costituiscono degli importanti centri di
emigrazione diretta verso l’Unione Europea. Se le città di Khouribga e Béni-
Mellal hanno delle tradizioni e delle caratteristiche migratorie che presentano
molte similitudini rispetto ai profili dei candidati all’emigrazione ed alla loro
destinazione privilegiata che resta l’Italia, Casablanca è un caso a parte per
il carattere cosmopolita della sua popolazione proveniente da diverse regioni
del paese. Qui il fenomeno della doppia migrazione è molto frequente, e le
reti familiari e comunitarie rendono molto diversificata la destinazione dei
candidati all’emigrazione.
La città di Nador, che ha la tradizione migratoria più antica fra le quattro
aree, orienta i suoi flussi migratori verso l’Olanda, la Germania, il Belgio ed
in misura minore la Spagna. Tenuto conto dell’interesse che riveste questo
aspetto per la ricerca, si approfondirà maggiormente l’analisi di questo tema
nelle quattro aree attraverso un analisi qualitativa, che differenziata in base
alla disponibilità di informazioni, cercherà di supplire alla carenza di dati
quantitativi.
La regione di Casablanca
Casablanca è la principale città marocchina, è la capitale economica del
paese, con quattro milioni circa di abitanti. Ha una popolazione eterogenea,
alimentata da flussi migratori interni, originaria quindi sia delle province
vicine, sia di regioni più lontane come le province del Sud, della zona
dell’Orientale e del Nord. Questa metropoli ha attirato la popolazione di
origine rurale anche a causa del persistere di lunghi periodi di siccità. Di
fronte al problema della disoccupazione, la gioventù rurale, che ne è la
prima vittima, ha trovato nell’emigrazione una soluzione.
Il fenomeno della doppia migrazione è una delle dinamiche che
caratterizzano questa metropoli.
La destinazione dei flussi migratori dipende nella maggior parte dei casi dalle
regioni d’origine: è stato possibile rilevare dall’inchiesta, circoscritta a una
parte del territorio della città, che la popolazione originaria di Beni Meskine,
regione di Khouribga, è fortemente rappresentata in Italia.
177
Tenuto conto delle reti già operative tra la regione d’origine e l’Italia, è
normale che la destinazione finale privilegiata di questa popolazione sia lo
stesso paese. Evidentemente anche altre destinazioni come la Spagna o certi
tradizionali paesi di accoglienza come la Francia, interessano questi migranti.
Globalmente, tenuto conto dell’eterogeneità della popolazione di Casablanca,
la prima conclusione della ricerca è che gli abitanti di Casablanca sono
presenti un po’ ovunque nel mondo: in Europa, negli Stati Uniti, nei paesi del
Golfo e anche in Australia.
Tuttavia, a livello della suddivisione spaziale dei migranti interni, bisogna
rilevare il fatto che c’è una certa concentrazione etnica e regionale in alcuni
quartieri della città. Ad esempio, gli originari della regione di Beni Meskine –
che in seguito emigrano maggiormente verso l’Italia – risiedono
principalmente nei nuovi quartieri della città come nel quartiere Sbata della
prefettura Ben Msik Sidi Othman e nel quartiere Oulfa el Biladi della
prefettura Aïn Chock Hay Hassani.
In questi quartieri, essi investono soprattutto nell’immobiliare, ed in secondo
luogo nelle attività commerciali, nei servizi e nelle piccole imprese
(confezioni, meccanica, ecc..).
L’imitazione svolge indiscutibilmente un ruolo importante tra i membri di
questa comunità e si riflette a livello delle scelte di investimento dei fondi
provenienti dall’Italia. È il caso, ad esempio, di una grande famiglia che si è
specializzata nell’acquisto degli hammam: essa possiede attualmente più di
dieci hammam sparsi in diversi quartieri della città. In generale però anche
la formazione del migrante ed il suo livello di istruzione rivestono un ruolo
importante nella scelta delle attività su cui investire. Poiché il questionario
non riporta elementi quantitativi in merito, sono soprattutto i dati qualitativi
forniti dal nostro lavoro sul campo che ci forniranno indicazioni su questo
aspetto.
La regione di Khouribga
Nella provincia di Khouribga, l’emigrazione verso l’estero rappresenta una
certa specificità rispetto ad altre regioni del Marocco come la regione
Orientale ed il Souss. Si tratta di un fenomeno relativamente recente, che ha
assunto una notevolissima rilevanza in questi ultimi anni, con due
destinazioni principali: l’Italia e la Spagna.
178
La storia migratoria della regione
Fino alla fine degli anni ’60, l’emigrazione verso l’estero in generale e verso
l’Europa occidentale in particolare, riguardava un numero molto limitato di
persone nella provincia di Khouribga. Situazione questa che era dovuta a
varie ragioni tra cui principalmente:
• I proventi delle attività agricole (coltivazione dei cereali e allevamento
estensivo, soprattutto ovino) erano ampiamente sufficienti a soddisfare
i bisogni degli abitanti della regione.
• L’Oficine Chérifien des Phosphates (OCP) offriva parecchie opportunità
di impiego:
o Agli abitanti delle campagne come operai per l’estrazione dei
fosfati. Il metodo utilizzato era quello dell’estrazione
sotterranea che necessitava di abbondante manodopera.
Questa tecnica permetteva ai contadini di continuare a coltivare
i campi, anche nel caso in cui fossero indennizzati dall’OCP.
o Ai cittadini (soprattutto quelli con qualifiche o diplomi) come
tecnici specializzati, capi operaio o quadri direttivi.
• Nuovi posti di lavoro venivano creati dai vari servizi esterni dei
ministeri nell’ambito della decentralizzazione.
• Esisteva una grossa difficoltà per ottenere il passaporto.
Alla fine degli anni ’70 – inizio anni ’80 – si verifica un aumento del numero
dei migranti verso l’estero in generale e l’Italia in particolare. Questa
situazione si spiega soprattutto alla luce dei seguenti eventi:
• La siccità ha colpito il paese in questo periodo e principalmente la
regione di Khouribga in cui l’agricoltura è fortemente condizionata dalle
variabili climatiche. Questa situazione ha causato un esodo massiccio di
contadini verso la città nel momento in cui le possibilità di trovare un
occupazione stabile sono divenute veramente minime.
• L’O.C.P. non offriva più le stesse opportunità di impiego del passato. Il
cambiamento nelle tecniche di estrazione del fosfato: il passaggio
dall’estrazione sotterranea ad una tecnica di estrazione a cielo aperto
ha avuto effetti negativi sulla regione. L’avvento dell’estrazione a cielo
aperto ha causato la soppressione di numerosi posti di lavoro (essendo
legata ad un modello altamente capitalistico), ha deteriorato l’ambiente
e ha avuto un impatto negativo sull’ecosistema. La superficie del suolo
179
è diventata inutilizzabile per i contadini ed i corsi d’acqua sotterranei
sono stati sconvolti a causa delle grandi cariche di esplosivo utilizzate
dall’OCP aggravando ulteriormente il fenomeno dell’esodo rurale.
L’inizio degli anni ’80 è stato caratterizzato anche dall’avvio del Programma
di Aggiustamento Strutturale (PAS) e di conseguenza dalla riduzione dei
posti di lavoro offerti dall’amministrazione pubblica che ha contribuito
all’aumento della disoccupazione fra i diplomati. L’insieme di questi fattori ha
spinto la gente a cercare altre fonti di reddito. La migrazione all’estero
rappresentava quindi per la maggior parte delle persone l’alternativa
migliore.
Dalla fine degli anni ’80 ad oggi si è verificato quindi l’esodo prima verso
l’Italia e successivamente verso la Spagna. A questo proposito conviene
ricordare che i pionieri dell’emigrazione verso l’Italia (fenomeno esistente fin
dagli inizi degli anni ’60, ma inizialmente molto limitato) sono originari della
regione di Chaouia-Ourdigha (principalmente della comunità di Beni
Meskine). È nel corso di questi ultimi due decenni del ventesimo secolo che il
numero dei migranti ha iniziato a crescere vertiginosamente e che questa
emigrazione ha assunto nuove caratteristiche.
Se all’inizio era un’emigrazione al maschile, individuale e temporanea, in
seguito è divenuta un emigrazione familiare e definitiva. Il ricongiungimento
familiare genera una certa femminizzazione dell’emigrazione, tuttavia vi è un
numero sempre crescente di giovani donne (la maggior parte delle quali ha
un livello di scolarizzazione relativamente elevato) che partono da sole alla
ricerca di una nuova opportunità di vita. Bisogna inoltre segnalare che
l’emigrazione non riguarda più solamente gli adulti, ma vi è un numero
sempre più significativo di bambini non accompagnati che tentano
l’avventura dell’emigrazione.
L’Italia fa parte del quotidiano della città di Khouribga.
L’emigrazione verso l’Italia è un fenomeno molto visibile nella città di
Khouribga, ma rimane difficilmente quantificabile. Si può tuttavia affermare,
senza ombra di dubbio, che non esistono clan familiari a Khouribga che non
annoverino almeno un parente in Italia. Gli abitanti di Khouribga si sono
stabiliti dappertutto in Italia principalmente in città come Torino, Milano,
Brescia e Bologna.
180
L’impatto dell’emigrazione sulla provincia di Khouribga si manifesta quindi a
tutti i livelli:
• sul piano economico, nei trasferimenti sempre più importanti:
o di denaro: una significativa quantità di fondi viene regolarmente
trasferita all’economia della regione grazie alle rimesse dei migranti.
Tuttavia è difficile quantificarla, da una parte perché la maggioranza
dei fondi non transita attraverso il circuito bancario e dall’altra
perché le persone interpellate rifiutano, per diverse ragioni, di
rispondere a domande relative all’importo ed all’origine dei fondi
ricevuti;
o in natura: i trasferimenti in natura sono molto diversificati e
riguardano indumenti, elettrodomestici, materiale elettrico ed
elettronico, automobili, ecc. Sono destinati all’uso familiare o
commerciale: i trasferimenti di questo secondo tipo hanno favorito
lo sviluppo, nella provincia, di attività commerciali specializzate
nella rivendita degli oggetti provenienti dall’estero in generale e
dall’Italia in particolare. Si può citare, a titolo d’esempio a
Khouribga, il caso del mercato delle automobili d’occasione
provenienti dall’Italia che ha acquisito fama nazionale.
Questi trasferimenti di denaro o in natura hanno avuto un impatto
anche su altri settori quali:
o L’edilizia: costruire una casa, rappresenta il primo obiettivo della
maggior parte dei migranti. Questo investimento rappresenta per
loro una garanzia di stabilità, un mezzo per assicurarsi il proprio
avvenire in caso di ritorno ed un segno di successo socialmente
riconosciuto. Ciò si constata dal numero crescente delle case
costruite, principalmente nei nuovi quartieri della città, dove si nota
che la maggior parte delle stesse sono vuote (quartieri fantasma).
Lo sviluppo della costruzione ha favorito anche la crescita delle
attività connesse (falegnameria, lavorazione del ferro, verniciatura,
ecc.) generando direttamente ed indirettamente la creazione di
nuovi posti di lavoro. Ciononostante, è necessario sottolineare che
questo settore immobilizza dei fondi importanti che avrebbero
potuto essere investiti in altre attività con maggiori possibilità di
creare occupazione, entrate permanenti ed importanti effetti
181
moltiplicatori. Sarebbe quindi necessario promuovere l’orientamento
e l’assistenza ai migranti per dirigerli verso altri investimenti.
o La creazione di piccole e medie imprese: il ruolo dei migranti si
manifesta a questo livello, nel finanziamento totale o parziale di
certe attività commerciali , industriali od artigianali.
o La sopravvivenza dei piccoli appezzamenti agricoli: i trasferimenti
dei migranti hanno avuto anche degli effetti benefici nell’ambiente
rurale, nella misura in cui hanno permesso ai piccoli proprietari
agricoli di avere i mezzi finanziari per affrontare i deficit in periodi di
siccità o in casi di raccolta insufficiente.
• sul piano sociale: si sviluppano conseguenze contraddittorie quali:
o La pulsione-stabilizzazione: i trasferimenti dei migranti, gli
investimenti che essi effettuano nei loro paesi d’origine, le auto, i
regali, ecc. hanno favorito indiscutibilmente la stabilizzazione della
popolazione tramite il miglioramento delle condizioni di vita di certe
famiglie, e lo sviluppo di determinate attività economiche (e di
conseguenza di nuova occupazione). Ciononostante gli stessi
trasferimenti, possono essere considerati da alcuni come segni della
realizzazione sociale del migrante e come stimolo a tentare
l’avventura dell’emigrazione alla ricerca di un avvenire migliore.
o L’arricchimento-impoverimento: per alcune famiglie di migranti
(soprattutto per le donne ed i bambini che rimangono nel paese
d’origine), l’arricchimento materiale (denaro, elettrodomestici,
abbigliamento, ecc.) si accompagna ad un impoverimento affettivo
e psicologico (equilibrio familiare, educazione dei figli, ecc.).
L’Italia nella cultura popolare di Khouribga
L’emigrazione verso l’Italia si manifesta nella cultura popolare locale nei testi
delle canzoni che descrivono le caratteristiche di alcuni paesaggi o luoghi
italiani o narrano dei sentimenti legati alla separazione delle coppie. Si è
assistito inoltre allo sviluppo di alcune storie popolari che combinano finzione
e realtà e che collegano le avventure di certe persone della regione con la
mafia ed altre reti criminali in Italia raccontando di regolamenti di conti ed
esecuzioni che hanno come scenario la provincia di Khouribga.
182
Queste analisi e riflessioni sulle implicazioni dell’emigrazione verso l’estero in
generale e l’Italia in particolare, mostrano indiscutibilmente il carattere
complesso di tale fenomeno che necessita di studi pluridisciplinari per
caratterizzare adeguatamente i diversi problemi e proporre quindi soluzioni
adeguate.
La regione di Béni Mellal
Non esistono dati quantitativi e qualitativi affidabili a proposito della mobilità
internazionale di quest’area. Alcune ricerche realizzate da studenti (tesi di
laurea in geografia) hanno avuto come oggetto l’analisi della morfologia e
dell’impatto del movimento migratorio verso l’estero nel territorio di Béni
Mellal e dei diversi comuni della provincia mentre altre ricerche si sono
interessate del fenomeno migratorio a livello della provincia e della città di
Fkih Ben Salah.
La migrazione è un fenomeno che, da una dozzina di anni, non cessa di
crescere, nella città come in tutta la provincia. Partire all’estero costituisce il
progetto futuro di una gran parte dei giovani della regione come mostrano le
ricerche realizzate sulla città di Fkih Ben Salah e le tesi di laurea di geografia
sui progetti futuri degli studenti della facoltà di lettere di Béni Mellal.
L’importanza del fenomeno non si misura attraverso le sole aspirazioni e
speranze di una parte della popolazione della città e della regione ma è
sottolineata da certe manifestazioni esterne della migrazione nello spazio
pubblico. Auto immatricolate in Italia ed in Spagna circolano in città; linee
regolari di autobus collegano alcune città italiane o spagnole a Béni Mellal;
molte delle nuove costruzioni in città sono di migranti installati in Italia ed in
Spagna; cerimonie di lutto collettive si svolgono in alcuni quartieri in
occasione del naufragio di una patera nel distretto di Gibilterra; intermediari
della migrazione clandestina esistono in ognuno dei quartieri, anche tutti
questi fenomeni sono ulteriori indicatori dell’intensità della migrazione nella
regione.
Béni Mellal occupa quindi un posto centrale nel contesto delle trasformazioni
attuali che riguardano la pratica della mobilità in Marocco. La sua provincia è
una delle zone più attive in materia di emigrazione verso le nuove
destinazioni della Spagna e dell’Italia.
183
Esiste una ricerca universitaria1 sulla migrazione nella città di Béni Mellal (in
particolare sui tre grandi quartieri popolari: Hay Sinaii, El Amria e Ouled
Ayad) che ha utilizzato come strumento di indagine un questionario che è
stato somministrato a 272 famiglie di migranti. I principali risultati di questa
ricerca (che ad ogni modo devono essere valutati con cautela) sono i
seguenti:
(i) Predominanza degli uomini e della fascia di età inferiore ai 30 anni nella
struttura dell’emigrazione verso l’estero. Le classi di età “meno di 20
anni” e “21-30 anni” rappresentano il 65 per cento del totale. Sul totale
dei migranti il 67 per cento sono uomini ed il 33 per cento donne.
(ii) A livello delle caratteristiche socio-educative, la maggioranza dei
migranti ha svolto un percorso educativo. La maggior parte di loro ha
un livello scolastico corrispondente alle scuole medie o superiori. Il 15
per cento dei migranti ha un livello di formazione universitario, e la
stessa percentuale è costituita da analfabeti.
(iii) In relazione alle cause della migrazione, nella maggior parte dei casi si
tratta di una migrazione di lavoro; le migrazioni per studio e per
ricongiungimento familiare non sono molto diffuse.
(iv) La migrazione internazionale nella città è molto recente. La maggior
parte dei migranti ha lasciato la città dopo il 1986, data che coincide
con la istituzione della obbligatorietà del passaporto per i Marocchini
che vogliono recarsi in Francia e con la semplificazione delle procedure
di ottenimento dei passaporti presso le autorità marocchine.
(v) I flussi migratori della città riguardano soprattutto l’Italia e la Spagna.
(vi) La migrazione ha avuto degli impatti notevoli sulle condizioni di vita
delle famiglie. Nel quartiere periferico di Ouled Ayad, tradizionalmente
caratterizzato dalla predominanza di abitazioni di tipo rurale, le
abitazioni denominate “case marocchine” sono diventate lo standard
abitativo di tutte le famiglie migranti. La proporzione quindi di soluzioni
abitative precarie nel quartiere è nettamente diminuita. Questa
osservazione sulla trasformazione del modello abitativo rurale e
precario in “casa marocchina” è valida anche per il quartiere di El
Amria, vicino al centro della città.
1 Fettah R., (2002), Gli effetti della migrazione internazionale sull’urbanizzazione. Il caso della città di Béni Mellal, Tesi di Laurea in Geografia, Facoltà di Lettere di Béni Mellal, a.a. 2001/2002.
184
E’ da sottolineare inoltre che la maggior parte delle famiglie di origine
dei migranti risultano essere proprietarie della casa abitata.
(vii) La migrazione genera un miglioramento delle condizioni di vita delle
famiglie. Tutte le famiglie d’origine dei migranti dispongono oggi di
telefono, televisore con parabola, videoregistratore e frigorifero mentre
prima della migrazione erano poche le famiglie che ne disponevano (in
particolare il telefono e il videoregistratore).
(viii) I migranti effettuano dei trasferimenti di denaro valutabili mediamente
fra i 10.000 ed i 30.000 dh oltre ad altri tipi di trasferimenti in beni
materiali come abbigliamento e mobili.
(ix) Più della metà dei migranti investe nella città ed in provincia. Gli
investimenti si orientano principalmente alla costruzione di abitazioni
ed all’acquisto di terreni agricoli. Alcuni migranti aprono panifici, negozi
di elettrodomestici e negozi di pezzi di ricambio.
Per concludere, possiamo dire che le dimensioni che assume oggi la
migrazione nella città, in particolare verso l’Italia, in termini sia di progetto
individuale d’inserimento professionale sia di ricadute economiche e sociali,
(unite ad alcuni vantaggi economici specifici per la città e per la regione)
fanno di questa area un contesto favorevole alla realizzazione di reti di
scambio con l’Italia.
Reti queste che interesserebbero in modo particolare l’artigianato detto
“artistico di produzione”, l’agro-alimentare (nella sua forma moderna ed
artigianale come la produzione d’olio d’oliva) ed il turismo di montagna.
La regione dell’Orientale
La regione dell’Orientale del Marocco è storicamente un’area di emigrazione,
avendo costituito dal periodo coloniale una riserva di manodopera per
soddisfare i bisogni del mercato europeo, soprattutto di quello francese.
Infatti, le popolazioni della regione di Nador avevano l’abitudine di emigrare
stagionalmente in Algeria per lavorare nelle fattorie dei coloni francesi.
Malgrado la mancanza di dati statistici relativi al numero di emigrati originari
dell’Orientale, la stima di questa popolazione emigrata mostra che l’Orientale
del Marocco è la principale area d’emigrazione a livello nazionale. In effetti,
secondo lo studio demografico nazionale relativo ai movimenti migratori
della popolazione del Marocco (studio che conserva la sua attualità
185
nonostante sia stato realizzato negli anni 1986-1988), il tasso degli emigrati
originari dell’Orientale rispetto al totale degli emigrati marocchini all’estero è
stimato essere del 28,3 per cento. Tuttavia, la quasi totalità di questa
popolazione emigrata è originaria della provincia di Nador e della prefettura
di Oujda (con una leggera prevalenza della prima).
La maggior parte di questi emigrati è di origine rurale (il 54%) e il 38 per
cento è costituito da giovani di età inferiore ai 15 anni. Questi tassi
relativamente alti per questa classe d’età si giustificano con l’importanza del
ricongiungimento familiare che ha inoltre costituito una linea di
demarcazione nell’evoluzione storica dell’immigrazione. Effettivamente dalla
metà degli anni ’70, l’immigrazione è cambiata passando da una migrazione
a durata determinata ad una a durata indeterminata. Le politiche europee in
materia di immigrazione, soprattutto l’istituzione dei passaporti, ne hanno in
parte accelerato il processo.
La politica di incoraggiamento al ritorno degli immigrati nel loro paese
d’origine, portata avanti dalle autorità europee (ed in particolare il progetto
ROMPLOD promosso dal governo olandese) ha spinto certi immigrati, fra cui
alcuni della regione dell’Orientale, al rientro nel proprio paese. Anche se il
bilancio dei rientri non è stato molto significativo la loro percentuale in
relazione al totale nazionale è stata del 18 per cento. Il 60 per cento dei
quali era costituito da cittadini, la maggior parte dei quali si è poi stabilita in
regioni diverse dall’Orientale.
Gli ultimi due decenni sono stati segnati dall’intensificarsi della migrazione
clandestina caratterizzata sempre di più sia da una femminizzazione che da
una partecipazione dei bambini. Le destinazioni classiche (Francia, Belgio,
Olanda e Germania) sono state sostituite dalle nuove destinazioni (Spagna e
Italia). La Spagna, per le popolazioni della regione di Nador, rimane la
nuova destinazione privilegiata. Ragioni di ordine geografico (prossimità),
storico (la regione di Nador è stata anticamente colonizzata dalla Spagna),
culturale (la conoscenza della lingua spagnola) ed economico (possibilità di
lavoro in Spagna), oltre alla esistenza in loco di reti familiari, costituiscono i
fattori esplicativi di questa nuova tendenza ad emigrare in Spagna. Accanto
a questi fattori che possono essere considerati come oggettivi, è necessario
sottolineare il ruolo che svolge l’immagine dell’Europa nell’inconscio di chi
cerca di emigrare.
186
In effetti i paesi europei sono per dei potenziali migranti il luogo della
realizzazione dei propri sogni ed una garanzia per un avvenire migliore.
L’Italia non è comunque una destinazione migratoria sconosciuta per questa
popolazione ma nessuna valutazione di questi flussi è disponibile.
Le ragioni dell’emigrazione sono quindi molto cambiate: se il fattore
economico rimane un elemento determinante, non è nemmeno più il solo.
Le misure restrittive adottate dai paesi europei in materia di immigrazione
hanno inciso in maniera significativa sulle partenze legali verso l’estero. La
tabella 3.30 riporta, in base ai dati disponibili, l’evoluzione del numero dei
lavoratori marocchini originari dell’Orientale che hanno beneficiato di un
permesso di lavoro in Francia tra il 1991 e il 1995, ottenuto prima della
partenza dal Marocco.
Tabella 3.30– Evoluzione del numero di lavoratori marocchini in possesso di un permesso di lavoro per la Francia ottenuto prima
della partenza dal Marocco
1991 1992 1993 1994 1995
P
S PL Tot P
S PL Tot P
S PL Tot P
S PL Tot P
S PL Tot
Provincia di Nador 4 263 267 10 302 312 3 293 296 3 290 293 5 284 289
Provincia di Oujda 5 503 508 4 700 704 2 721 723 2 684 686 1 613 632
Provincia di Figuig - - - - - - - - - - - - - - -
Oriental 9 766 775 14 1002 1016 5 1014 1019 5 974 979 6 915 921
Note: P:permanente; S:stagionale; PL:autorizzazione Provvisoria di Lavoro.
Fonte: OMI (Casablanca).
Come evidenzia chiaramente la tabella 3.30 esiste una riduzione quasi totale
per i permessi permanenti, solo i lavoratori stagionali continuano a
beneficiare dei permessi provvisori di lavoro per effettuare principalmente
dei lavori agricoli. In effetti, su 4710 lavoratori marocchini emigrati in
Francia in questo periodo, solo 39 hanno usufruito di permessi permanenti
(quindi solo lo 0.82%). Al contrario, nello stesso periodo, si registra,
nonostante la tendenza sia in calo (i dati della tabella 3.31 mostrano come il
numero delle persone che hanno usufruito di un permesso per
187
ricongiungimento familiare sia passato tra il 1991 ed il 1995 da 3243 a
849), un’importante migrazione legata al ricongiungimento familiare.
Note: Fam: famiglie. M: membri.
Fonte: OMI (Casablanca).
Questa tendenza alla diminuzione dell’emigrazione legata al
ricongiungimento familiare è significativa del ruolo limitato che attualmente
la stessa svolge nella dinamica dei flussi migratori. In effetti, il diritto al
ricongiungimento familiare è diventato sempre più restrittivo. Tale diritto è
limitato alla moglie dell’emigrato ed ai suoi figli di età inferiore ai 18 anni
utilizzando la nozione di famiglia nel suo senso più stretto (questa lettura
caratterizza la specificità in materia di ricongiungimento familiare del
modello europeo rispetto al modello nordamericano). Tuttavia, la nozione di
famiglia soprattutto nella campagna marocchina, ingloba, oltre alla moglie
ed ai figli, i genitori, i nonni, i fratelli e le sorelle. Questa limitazione
giuridica della nozione di famiglia è quindi una restrizione delle possibilità di
emigrazione delle persone cha hanno dei legami di parentela con l’immigrato
e che sono, spesso, da lui dipendenti. Situazione questa che può provocare
separazioni familiari problematiche come nel caso di un ragazzo o di una
ragazza maggiore di 18 anni che si trovi nell’impossibilità di raggiungere i
genitori e che rimanga nel paese senza lavoro. Un caso simile può spiegare
inoltre, in parte, la regolarità dei trasferimenti effettuati da certi immigrati
ma anche il ricorso all’emigrazione clandestina che si è sviluppata in questi
ultimi anni.
Tabella 3.31– Permessi per ricongiungimento familiare concessi agli immigrati dell’Orientale in Francia
1991 1992 1993 1994 1995
Fam M Fam M Fam M Fam M Fam M
Provincia di Nador 609 1728 539 1388 454 1057 281 613 174 389
Provincia di Oujda 748 1438 832 1472 753 1173 423 672 233 438
Provincia di Figuig 47 77 39 61 32 51 20 27 14 22
Oriental 1404 3243 1410 2921 1239 2281 724 1312 457 849
188
Ad ogni modo, la manifestazione materiale più evidente dell’apporto degli
immigrati alla regione rimane quella dei depositi effettuati presso il sistema
bancario di Nador e di Oujda (l’importo di tali depositi è considerato come
uno dei più importanti registrati a livello nazionale). E’ da sottolineare inoltre
che malgrado la crescita continua dei crediti concessi dal sistema bancario,
le risorse non utilizzate rappresentano più dei 4/5 del totale dei depositi.
L’apporto degli immigrati all’economia della regione, anche solo a livello
finanziario, è incontestabile. L’analisi di questo apporto evidenzia una
tendenza alla riduzione in questo sforzo di trasferimento di risparmio: il
livello di risparmio raggiunto dal lavoratore marocchino all’estero e trasferito
nella regione d’origine, malgrado l’importanza dello stesso, comincia ad
essere inferiore a quello dei residenti. La differenza tra residenti e non
residenti è evidente soprattutto a livello dell’intensità di risparmio (rapporto
fra il valore dei depositi ed il numero dei depositari). La riduzione nella
percentuale dei trasferimenti dall’estero sul volume totale dei depositi è
significativa a questo proposito. Le trasformazioni nel paese di accoglienza
dell’ambiente giuridico, economico, sociale e familiare dei lavoratori
marocchini rappresentano sicuramente un fattore determinante di questa
evoluzione. Ciononostante questi trasferimenti continuano a costituire una
risorsa importante per la regione.
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994
A nni
Grafico 3.1 - Evoluzione del rapporto percentuale trasferimenti/depositi nella Wilaya d'Oudja
189
Delle iniziative di rafforzamento dei legami tra gli immigrati e la loro regione
d’origine devono quindi essere realizzate con lo scopo di promuovere
un’inversione nella tendenza, anteriormente sottolineata, alla riduzione dei
trasferimenti. E’ interesse del paese e della regione, promuovere una nuova
prospettiva nella lettura della relazione tra l’immigrato e la sua comunità
d’origine, cominciando a percepirlo come un potenziale investitore dotato
dell’esperienza e del desiderio di cambiare il suo status sociale. Questa
nuova visione, considerando la disponibilità finanziaria di cui dispone la
regione (a cui contribuiscono indubbiamente le rimesse degli MRE), deve
stimolare i responsabili regionali e nazionali a realizzare infrastrutture ed a
promuovere l’investimento non solo degli immigrati ma anche dei residenti.
Risulta essere quest’ultima una linea strategica fondamentale all’interno di
una progettualità orientata a garantire un ruolo più significativo ai MRE2 nei
rapporti che legano il Marocco ai paesi di accoglienza, soprattutto quelli
dell’Unione Europea.
2 Chiguer Mohammed, (1998), La place de la migration maghrébine dans le processus d’association Union européenne pays de l’UMA, in Les problèmes de l’émigration en région méditerranéenne, Fondazione Konrad Adenauer, Reiner Biegel editore, Tunisi.
190
3.1.2. L’impresa artigiana in Marocco ed il suo ruolo nel
processo di sviluppo locale
Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed Khachani,
Mohamed Nadif, Ahmed Zekri
INTRODUZIONE
Dopo aver caratterizzato nel capitolo precedente il contesto generale delle
aree del Marocco interessate dalla ricerca (Khouribga, Nador, Casablanca e
Béni Mellal), l’indagine che si presenterà di seguito si riferisce
specificatamente alla realtà della piccola impresa. La prospettiva scelta per
questo studio, prettamente descrittivo, risponde alla necessita di effettuare
un processo di ricerca ampio che caratterizzi integralmente il fenomeno e
che permetta l’eventuale identificazione di ipotesi di ricerca successive. Il
materiale presentato, dopo la prima fase dedicata alla metodologia utilizzata,
traccia il profilo dell’artigiano, per poi identificare caratteristiche specifiche
della piccola impresa.
Particolare enfasi è stata posta nell’analisi delle problematiche incontrate
nelle varie fasi della vita della piccola impresa, così come delle possibili
soluzioni identificate dagli artigiani. La parte conclusiva dell’indagine ha
caratterizzato il profilo del gruppo di imprese interessate a stabilire relazioni
commerciali (diverse dall’associazione) con partner marocchini residenti in
Italia sottolineando così le caratteristiche specifiche di questo potenziale
gruppo di attori di co-sviluppo.
METODOLOGIA DELL’INDAGINE
La somministrazione dei questionari si è svolta durante il mese di gennaio
2004 ed ha coinvolto 200 piccoli imprenditori. In ognuno dei quattro luoghi
interessati (Béni Mellal, Khouribga, Casablanca e Nador), sono stati
intervistati i responsabili di 50 piccole imprese (PI).
Inizialmente ricostruiremo il processo svolto in quattro momenti: la scelta
dei luoghi di inchiesta, la definizione del campione, la scelta e la formazione
degli intervistatori, le condizioni di somministrazione del questionario e le
strategie di ricerca.
191
La scelta dei luoghi di inchiesta
I luoghi sono stati selezionati in base ai criteri seguenti:
• Importanza nella regione della migrazione verso l’Italia.
• Importanza economica.
• Importanza nella regione degli antecedenti e delle esperienze di
intervento di COOPI.
Il primo criterio ha orientato la nostra scelta su Béni Mellal e Khouribga in
quanto queste due regioni sono importanti aree di migrazione verso l’Italia.
Il secondo criterio giustifica la selezione di Casablanca in quanto primo polo
economico del paese e spesso principale zona sia di investimento dei capitali
convogliati dalla migrazione che di insediamento degli stessi migranti
rientrati in Marocco.
Nador, è stata invece selezionata in relazione alle attività di sviluppo
promosse da COOPI in quella regione.
La definizione del campione
La scelta delle imprese ha risposto al desiderio di ottenere la massima
copertura della tipologia di PI presenti nei quattro luoghi. Cinque criteri
guida erano stati stabiliti per identificare le suddette PI:
• sesso del proprietario o gerente;
• ambito economico d’attività;
• luogo d’esercizio dell’attività (domicilio, via, ecc.);
• situazione giuridica (formale, informale);
• ed infine, apporto della migrazione internazionale alla creazione ed allo
sviluppo dell’attività della PI.
In totale 200 impresari (o gerenti), 50 unità per luogo d’inchiesta, sono stati
intervistati (vedi tabella 3.32). I responsabili delle imprese (gerenti o
proprietari) interrogati sono prevalentemente di sesso maschile (92% uomini
e 8% donne).
In una prospettiva sociologica, questo predominio della categoria “maschile”
riflette il disequilibrio sociale fra i sessi a livello dell’accesso alle risorse ed al
potere economico.
192
La presenza delle donne all’interno del campione varia di intensità in base ai
luoghi di inchiesta (tabella 3.32). E’ del 18 per cento a Béni Mellal, del 6 per
cento a Khouribga e Casablanca e del 2 per cento a Nador, città molto
conservatrice dove il controllo sociale si mantiene molto elevato incidendo
sulle condizioni della donna.
Tabella 3.32 – Suddivisione del campione per sesso
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Sesso
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Maschile 41 82,00 47 94,00 47 94,00 49 98,00 184 92,00
Femminile 9 18,00 3 6,00 3 6,00 1 2,00 16 8,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Circa la metà dei responsabili delle PI intervistati hanno meno di 40 anni. La
proporzione di questo fascia d’età è molto importante a Khouribga e a Béni
Mellal. A Casablanca, area economicamente più sviluppata, la classe d’età
più numerosa risulta essere quello di coloro che hanno più di 40 anni (vedi
tabella 3.33)
Tabella 3.33 – Suddivisione del campione per classe d’età
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Classe d’età
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 2 4,00 2 1,00
20-29 anni 11 22,00 9 18,00 5 10,00 9 18,00 34 17,00
30-39 anni 22 44,00 29 58,00 14 28,00 11 22,00 76 38,00
40-49 anni 8 16,00 7 14,00 15 30,00 13 26,00 43 21,50
50-59 anni 5 10,00 2 4,00 15 30,00 14 28,00 36 18,00
60 anni e + 4 8,00 1 2,00 1 2,00 3 6,00 9 4,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
193
L’analisi delle attività delle PI intervistate (tabella 3.34) evidenzia
l’importanza di certe categorie come il “Tessile ed abbigliamento”, la
“Costruzione ed attività connesse” i “Caffè, cremerie, panetterie e
pasticcerie”. Il commercio così come i mestieri relativi alla riparazione e
mantenimento dei veicoli, la saldatura e l’idraulica sono molto diffusi.
Tabella 3.34 – Suddivisione del campione per attività della PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Attività
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % Costruzione ed attività connesse
1 2,00 3 6,00 6 12,00 14 28,00 24 12,00
Ristorazione, industria alberghiera ed altre attività turistiche
1 2,00 2 4,00 2 4,00 5 2,50
Caffè, cremerie, panetterie e pasticcerie
6 12,00 8 16,00 8 16,00 22 11,00
Legno ed artigianato in legno
2 4,00 5 10,00 2 4,00 8 16,00 17 8,50
Meccanica, riparazione pneumatici, elettricità e lavaggio auto
6 12,00 4 8,00 1 2,00 6 12,00 17 8,50
Tessile ed abbigliamento
12 24,00 3 6,00 8 16,00 4 8,00 27 13,50
Telefonia 5 10,00 1 2,00 6 3,00 Calzoleria e fabbricazione di scarpe
2 4,00 2 4,00 4 2,00
Commercio alimentare
2 4,00 1 2,00 2 4,00 5 2,50
Commercio e riparazione di elettrodomestici
1 2,00 2 4,00 1 2,00 4 2,00
Trasporto 2 4,00 2 4,00 4 2,00 Librerie e cartolerie
1 2,00 2 4,00 1 2,00 4 2,00
Concerie 8 16,00 8 4,00
Altri servizi 3 6,00 13 26,00 9 18,00 6 12,00 31 15,50 Altre attività di produzione
4 8,00 1 2,00 5 2,50
Agricoltura 2 4,00 1 2,00 3 1,50 Tornio, saldatura ed idraulica
2 4,00 3 6,00 9 18,00 14 7,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
194
Grafico 3.2 – Suddivisione del campione per settore d’attività della
PI in ognuno dei quattro luoghi e totale
Tabella 3.35 – Suddivisione del campione per settore d’attività della PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Settore di attività economica
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Primario 1 2,00 1 0,50
Secondario 28 56,00 7 14,00 19 38,00 33 66,00 87 43,50
Terziario 22 44,00 42 84,00 31 62,00 17 34,00 112 56,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
KhouribgaPrim2%
Second14%
Terz84%
Casablanca
Second38%
Terz62%
NadorTerz34%
Second66%
Béni Mellal
Second56%
Terz.44%
Totale
Primario1%
Second.44%
Terziario55%
195
Una analisi delle attività delle piccole imprese in base al settore economico ci
permette di ottenere una immagine meno disarticolata del nostro campione.
La tabella 3.35 evidenzia l’importanza del terziario; in relazione ai luoghi di
inchiesta, ci si rende conto che il settore risulta dominante solo a Casablanca
ed a Khouribga. A Nador e a Béni Mellal, la maggior parte delle piccole
imprese intervistate esercita un’attività economica nel settore secondario.
Tabella 3.36 – Suddivisione del campione per data di creazione della
PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Data di creazione
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 2 4,00 1 2,00 3 1,50
Anni ’50 1 2,00 1 0,50
Anni ’60 1 2,00 6 12,00 7 3,50
Anni ’70 3 6,00 1 2,00 10 20,00 14 7,00
Anni ’80 9 18,00 8 16,00 7 14,00 5 10,00 29 14,50
Anni ’90 17 34,00 21 42,00 26 52,00 20 40,00 84 42,00 2000 e successivi 19 38,00 18 36,00 16 32,00 9 18,00 62 31,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Possiamo infine notare sempre in relazione alle caratteristiche del campione
che le piccole imprese intervistate sono state create, nella maggior parte dei
casi, a partire dagli anni ’80 (tabella 3.36 e grafico 3.3).
1 714
29
84
62
0
20
40
60
80
100
Grafico 3.3 - Suddivisione del campione per data di creazione della PI
Anni '50Anni '60
Anni '70Anni '80Anni '90
2000 e successivi
196
Scelta e formazione degli intervistatori
In ognuno dei quattro luoghi, sono stati contrattati due intervistatori per
somministrare i questionari alle piccole imprese identificate. Questi
intervistatori sono stati scelti in base ai criteri ed alle considerazioni
seguenti:
• Formazione accademica ed esperienza nel campo della ricerca sociale:
gli intervistatori si sono formati presso le facoltà di lettere, scienze
umanistiche, e scienze giuridiche, economiche e sociali. Alcuni sono in
procinto di terminare percorsi formativi di specializzazione nel campo
delle scienze sociali, giuridiche e politiche. Altri dispongono di
significative esperienze nel campo della ricerca sociale.
• Abitare ed essere originari di uno dei luoghi dell’inchiesta: gli
intervistatori sono nati e/o abitano nei luoghi interessati dalla ricerca.
Dispongono delle conoscenze e delle reti sociali necessarie per un buon
svolgimento dell’inchiesta.
• Le relazioni sociali che legano il ricercatore responsabile di ogni luogo
agli intervistatori (parenti, amici, studenti, etc.) consolida il clima di
fiducia necessario ad una funzionale somministrazione dei questionari
agli intervistati.
Il percorso di formazione offerto agli intervistatori ha permesso loro di
cogliere l’obiettivo della ricerca, il senso delle domande che comparivano nel
questionario, le modalità di traduzione delle domande in arabo, le
caratteristiche delle piccole imprese interessate, etc.
Condizioni di somministrazione del questionario e strategie di ricerca
Il questionario è stato somministrato e riempito dagli intervistatori che
hanno lavorato in gruppi. Questa strategia operativa ha permesso durante la
somministrazione dei questionari una autentica collaborazione e
cooperazione all’interno dei gruppi dei diversi luoghi.
Fin dai primi contatti con la popolazione meta si sono verificati due problemi:
• Il primo caratterizza ogni processo di ricerca sociale. Si riferisce alle
tradizionali attitudini di sfiducia che può generare negli intervistati la
somministrazione di un questionario.
197
• Il secondo problema, più specifico, si riferisce alla questione dell’apporto
della migrazione, in forma specifica italiana, al processo di costituzione
delle piccole imprese. In questo caso, gli intervistati, a causa delle
origini, reali o supposte (segni di ricchezza improvvisa in certi luoghi
come Khouribga e Béni Mellal automaticamente scatenano il
pettegolezzo), dei fondi provenienti dall’estero utilizzati nella creazione
delle piccole imprese, avevano la tendenza ad ignorare o a non
confessare il contributo della migrazione fra le risorse finanziarie
mobilitate.
Questi due ostacoli sono stati superati utilizzando delle modalità operative
che permettessero di stabilire un clima di fiducia con l’intervistato, quali:
• L’utilizzo delle reti familiari e relazionali (amici e vicini) per selezionare o
coinvolgere gli intervistati.
• La presentazione della inchiesta come se si trattasse di una ricerca
universitaria.
• In caso di persistenza delle attitudini di occultamento, da parte
dell’intervistato, in relazione al ruolo dei fondi ottenuti grazie alla
migrazione, nella creazione delle piccole imprese, l’utilizzo per la
compilazione del questionario di informazioni raccolte da altri
informatori.
Queste tre modalità si sono rivelate efficaci nella gestione delle attitudini di
rifiuto e di fuga manifestate dagli artigiani responsabili di piccole imprese
durante la somministrazione dei questionari.
PROFILO DELL’ARTIGIANO E DELLA PICCOLA IMPRESA
Il profilo sociodemografico dell’artigiano
La struttura sociodemografica degli artigiani risulta nell’insieme, come a
livello di ognuno dei luoghi della ricerca, caratterizzata dalla predominanza
dei coniugati (vedi tabella 3.37 e grafico 3.4). E come abbiamo già
sottolineato precedentemente si caratterizza ugualmente per l’importanza
della classe di età di coloro che hanno meno di 40 anni.
198
Nonostante la maggioranza delle persone sposate abbia dei bambini, il loro
numero rimane per il 38,5 per cento fra 1 e 3 figli e per il 24 per cento fra 4
e 6. Solo il 3,5 per cento ha un numero elevato di figli mentre un artigiano
su tre non ha figli (tabella 3.38).
Questi dati confermano il progresso della transizione demografica in
Marocco. Le proiezioni demografiche del periodo 2001-2015, prevedono un
tasso annuo di crescita naturale della popolazione del 1,29 per cento,
facendo registrare così una diminuzione rispetto al 1,7 per cento del periodo
1991-2003.
Tabella 3.37 – Suddivisione del campione per stato civile
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Stato civile
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Celibe/Nubile 13 26,00 17 34,00 10 20,00 13 26,00 53 26,50
Sposato/a 34 68,00 31 62,00 39 78,00 37 74,00 141 70,50
Divorziato/a 1 2,00 1 2,00 2 1,00
Vedovo/a 2 4,00 1 2,00 1 2,00 4 2,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
53
141
2 4
0
20
40
60
80
100
120
140
160
Grafico 3.4 - Suddivisione del campione per stato civile
Celibe/Nubile
Sposato/a
Divorziato/a
Vedovo/a
199
Tabella 3.38 – Suddivisione del campione per numero figli del responsabile
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Numero figli
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 2 4,00 2 1,00
0 18 36,00 21 42,00 13 26,00 14 28,00 66 33,00
Da 1 a 3 21 42,00 22 44,00 19 38,00 15 30,00 77 38,50
Da 4 a 6 6 12,00 6 12,00 17 34,00 19 38,00 48 24,00
7 e + 3 6,00 1 2,00 1 2,00 2 4,00 7 3,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Notiamo inoltre (vedi tabella 3.39) che non è significativo, né per il totale,
né a livello di ognuno dei luoghi di inchiesta, il livello di coinvolgimento dei
figli del responsabile nell’attività delle piccole imprese, (si tratta in totale
esclusivamente di 14 proprietari di PI, su di un totale di 134, il 10,4%, che
dichiarano la partecipazione dei figli all’interno della impresa). Questo dato
indica una preferenza nella popolazione intervistata per la scolarizzazione dei
figli ed un desiderio di promozione sociale tramite il percorso educativo,
quando molto spesso precedentemente, il lavoro del padre era ereditario,
come ci ricorda un adagio popolare: “il lavoro di tuo padre, altrimenti sarai
un perdente nella vita”.
Tabella 3.39 – Suddivisione del campione per numero di figli del
responsabile che lavorano nella PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Numero di figli
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Nessuno 26 52,00 21 42,00 32 64,00 31 62,00 110 55,00
1 3 6,00 2 4,00 3 6,00 8 4,00
2 1 2,00 2 4,00 1 2,00 4 2,00
3 2 4,00 2 1,00
Non ha figli
18 36,00 21 42,00 13 26,00 14 28,00 66 33,00
NR 2 4,00 6 12,00 2 4,00 10 5,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
200
La situazione socioeducativa dell’artigiano
Gli artigiani responsabili delle PI risultano nell’insieme abbastanza istruiti
(vedi tabella 3.40). Posseggono nella maggioranza dei casi un livello di
studio che va dall’elementare al medio (35% circa per ognuno dei due livelli
di insegnamento). Un quinto degli artigiani possiede una formazione
superiore. Solo l’11 per cento risulta analfabeta. Quest’ultima categoria è
relativamente importante a Béni Mellal (16%) e a Casablanca (14%) mentre
a Khouribga troviamo la più alta percentuale di artigiani con un livello di
studio superiore (36%).
Tabella 3.40 – Suddivisione del campione per livello di studio
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Livello di studio
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Analfabeta senza conoscenza di un mestiere
2 4,00 1 2,00 3 1,50
Analfabeta con conoscenza di un mestiere
6 12,00 2 4,00 6 12,00 5 10,00 19 9,50
Elementare 22 44,00 7 14,00 14 28,00 27 54,00 70 35,00
Medio 11 22,00 23 46,00 23 46,00 12 24,00 69 34,50
Superiore 9 18,00 18 36,00 6 12,00 6 12,00 39 19,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
La maggior parte degli artigiani responsabili di piccole imprese conosce, oltre
all’arabo, una o più lingue straniere. Il francese è la lingua straniera più
spesso citata dagli artigiani. Risultato questo che sembra ammissibile alla
luce di considerazioni storiche (il colonialismo) e culturali (forte presenza
della lingua francese nella scuola pubblica, importanza degli scambi
economici con la Francia…). Altre lingue, come l’inglese, lo spagnolo e
l’italiano, compaiono fra le lingue che gli artigiani dichiarano di parlare. Se la
presenza dell’inglese e dello spagnolo può essere giustificata alla luce delle
caratteristiche del sistema scolastico marocchino o di considerazioni
sociopolitiche, per la lingua italiana la situazione è differente.
201
La presenza di questa lingua è legata alle nuove dinamiche migratorie
internazionali marocchine. La lingua italiana è molto presente nelle area
caratterizzate da una forte migrazione verso l’Italia (Béni Mellal, Khouribga e
Casablanca: vedi tabella 3.41).
Tabella 3.41 – Suddivisione del campione per lingue parlate dal proprietario della PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Lingue
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Arabo 14 28,00 5 10,00 4 8,00 7 14,00 30 15,00
Arabo, spagnolo
2 4,00 4 8,00 6 3,00
Arabo, spagnolo, tedesco
1 2,00 1 0,50
Arabo, francese
17 34,00 25 50,00 14 28,00 19 38,00 75 37,50
Arabo, francese, tedesco
3 6,00 1 2,00 4 2,00
Arabo, francese, inglese
6 12,00 9 18,00 7 14,00 1 2,00 23 11,50
Arabo, francese, inglese, spagnolo
1 2,00 2 4,00 3 1,50
Arabo, francese, inglese, italiano
2 4,00 2 1,00
Arabo, francese, spagnolo
1 2,00 3 6,00 2 4,00 12 24,00 18 9,00
Arabo, francese, italiano
4 8,00 4 8,00 8 16,00 16 8,00
Arabo, francese, italiano, spagnolo
1 2,00 1 2,00 2 1,00
Arabo, francese, norvegese
1 2,00 1 0,50
Arabo, italiano
4 8,00 6 12,00 10 5,00
NR 1 2,00 2 4,00 3 6,00 3 6,00 9 4,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
202
D’altronde, esistono scuole private a Béni Mellal che offrono corsi di lingua
italiana per la modica cifra di 100 dirham (10 euro) al mese.
Questa lingua però non compare fra quelle conosciute dagli artigiani di
Nador, regione che storicamente ha visto i suoi flussi migratori orientarsi
verso la Germania, i paesi Nordici e la Spagna. Complessivamente il 15 per
cento degli artigiani sostengono di parlare l’italiano (18% a Béni Mellal, 10%
a Khouribga e 30% a Casablanca), il 14,5 per cento lo spagnolo (Nador con
il 26% risulta l’area più rappresentativa) e circa il 70 per cento il francese.
Grafico 3.5 – Suddivisione del campione per lingue parlate dal
proprietario della PI in ognuno dei quattro luoghi e totale
0
1 0
2 0
3 0
4 0
5 0
Béni Mellal
01 0
2 03 0
4 05 0
Khouribga
01 02 03 04 05 0
Casablanca0
1 02 03 04 05 0
Nador
0
5 0
1 0 0
1 5 0
2 0 0
Totale
Ar
Fr
Sp
Ing
Ital
Ted
Norv
203
E’ importante sottolineare come si tratti esclusivamente di opinioni degli
artigiani che non ci informano minimamente sulle reali competenze degli
intervistati. Queste dichiarazioni si possono riferire sia a competenze reali sia
alla percezione che l’artigiano ha delle proprie competenze sia a delle forme
di presentazione dettate dalla situazione di interazione sociale che
caratterizza l’intervista.
Tabella 3.42 – Suddivisione del campione per lingue scritte dal
proprietario della PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Lingue
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Arabo 12 24,00 4 8,00 4 8,00 5 10,00 25 12,50 Arabo, spagnolo
1 2,00 4 8,00 5 2,50
Arabo, spagnolo, tedesco
1 2,00 1 0,50
Arabo, francese
15 30,00 24 48,00 16 32,00 20 40,00 75 37,50
Arabo, francese, tedesco
2 4,00 1 2,00 3 1,50
Arabo, francese, inglese
5 10,00 9 18,00 6 12,00 1 2,00 21 10,50
Arabo, francese, inglese, spagnolo
1 2,00 2 4,00 3 1,50
Arabo, francese, inglese, italiano
1 2,00 2 4,00 3 1,50
Arabo, francese, spagnolo
1 2,00 3 6,00 10 20,00 14 7,00
Arabo, francese, italiano
4 8,00 5 10,00 7 14,00 16 8,00
Arabo, italiano
3 6,00 3 1,50
Italiano 1 2,00 1 0,50 NR 10 20,00 3 6,00 11 22,00 6 12,00 30 15,00 Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
204
Le competenze degli artigiani nella scrittura delle lingue ripropongono la
situazione precedentemente illustrata (tabella 3.42). L’arabo seguito dal
francese sono le due lingue scritte di cui gli intervistati hanno maggior
padronanza. Queste due lingue sono seguite in ordine di importanza
statistica dall’inglese, dallo spagnolo, dall’italiano e dal tedesco.
I dati della ricerca (tabella 3.43) evidenziano inoltre che il 58 per cento degli
artigiani non ha mai partecipato a processi di formazione professionale.
Situazione questa più diffusa a Nador dove la percentuale di risposte
negative è del 76 per cento. A Khouribga e a Casablanca questa percentuale
è rispettivamente del 64 per cento e del 66 per cento. Solo Béni Mellal
sembra essere in una situazione migliore rispetto alla formazione
professionale con solo un 26 per cento che afferma di non avere mai seguito
un corso di formazione professionale.
Tabella 3.43 – Suddivisione del campione per pregressa
partecipazione in processi formativi
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Si 37 74,00 18 36,00 17 34,00 12 24,00 84 42,00
No 13 26,00 32 64,00 33 66,00 38 76,00 116 58,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Tabella 3.44 – Suddivisione del campione per tipo di formazione
ricevuta
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Tipo di formazione
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Apprendistato 32 86,50 2 11,80 34 40,50
Formazione pubblica 2 5,40 9 47,10 5 27,80 5 41,70 20 23,80
Formazione privata 3 8,10 7 41,10 11 61,10 6 50,00 27 32,10
Altro 1 8,30 1 1,20
NR 1 11,10 2 2,40
Totale 37 100,00 18 100,00 17 100,00 12 100,00 84 100,00
205
Fra gli artigiani che hanno ricevuto formazione, l’apprendistato, primo tipo di
formazione professionale, è stato effettuato da un 40,5 per cento degli
artigiani. Seguono le categorie “Formazione privata” con il 32,1 per cento e
“Formazione pubblica” con solo il 23,8 per cento (tabella 3.44).
Si rilevano differenze regionali molto importanti. Béni Mellal si caratterizza
per un tasso percentuale sensibilmente superiore alla media nazionale nella
voce “Apprendistato”: l’86,5 per cento degli artigiani ne ha usufruito contro
l’11,8 per cento di Khouribga, e la mancanza di questa opportunità a
Casablanca e Nador. In questi ultimi due luoghi è la formazione privata la
più significativa (con il 61,10% ed il 50% rispettivamente). A Béni Mellal,
Khouribga e Nador gli artigiani hanno seguito processi formativi in
percentuale quasi uguale nel pubblico e nel privato.
I mestieri oggetto di processi di formazione riguardano diversi settori
economici. Si va dalla meccanica, dal tornio, dalla saldatura e dall’elettricità
(che rappresentano il 27% della formazione ricevuta dagli artigiani),
all’abbigliamento (12%), all’informatica, alla conceria, al commercio, alla
gestione, alla contabilità, alla falegnameria, etc. (vedi tabella 3.45)
Analizzando i settori di formazione in base alle aree geografiche si
evidenziano delle specificità locali. A Béni Mellal è la formazione diretta a
settori quali l’abbigliamento, la meccanica e la conceria la più significativa,
mentre a Khouribga ed a Nador sono la meccanica, il tornio e la saldatura i
contenuti più frequentemente ricevuti all’interno dei processi formativi.
0% 20% 40% 60% 80% 100%
B éni M ellal
Kho uribga
C asablanca
Nado r
Grafico 3.6 - Suddivisione del campione per tipo di formazione ricevuta
Apprendistato
F. pubblica
F. privata
A ltro
NR
206
Gli artigiani hanno ricevuto la formazione professionale principalmente nella
loro città di insediamento. Nel 75,7 per cento dei casi a Béni Mellal, nel
75,10 per cento dei casi a Nador, e rispettivamente nel 55,20 per cento e
nel 59 per cento dei casi a Khouribga e a Casablanca la formazione è stata
ricevuta nella stessa città in cui è stata costituita la piccola impresa.
Tabella 3.45 – Suddivisione del gruppo di proprietari di PI che hanno ricevuto formazione per settore di formazione
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Settore di formazione
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Gioielleria 1 5,90 1 1,20
Parrucchiere 1 5,90 1 8,30 2 2,40
Commercio 3 8,10 2 11,20 5 6,00
Cucina, ristorazione, industria alberghiera
1 2,70 1 8,30 2 2,40
Fabbricazione di tappeti
3 8,10 3 3,60
Gestione e contabilità
1 5,60 4 23,45 5 6,00
Abbigliamento 9 24,30 1 5,90 10 12,00
Industria 1 2,70 1 1,20
Informatica 3 16,80 1 5,90 2 16,60 6 7,20
Falegnameria 2 5,40 1 5,60 1 5,90 4 4,80
Meccanica, tornio, saldatura ed elettricità
9 24,30 7 38,40 2 11,80 5 41,90 23 27,00
Educazione 1 2,70 1 1,20
Sanitario 1 2,70 1 5,60 1 5,90 3 3,60
Concerie 6 16,30 6 7,20
Altre industrie 2 11,20 4 23,45 1 8,30 7 8,20
Altri servizi 1 2,70 1 5,60 1 5,90 1 8,30 4 4,80
NR 1 8,30 1 1,20
Totale 37 100,00 18 100,00 17 100,00 12 100,00 84 100,00
207
Altre città del Marocco sono segnalate come luoghi di svolgimento di
formazione professionale: gli artigiani di Béni Mellal e Khouribga segnalano
in alcuni casi Casablanca. Un'altra caratteristica relativa ai luoghi di
svolgimento della formazione professionale merita di essere sottolineata.
Si tratta dell’incidenza della formazione all’estero (tabella 3.46). A
Casablanca, luogo dove questa situazione è maggiormente diffusa, il 41 per
cento degli artigiani si riferisce ad un paese straniero come luogo della
propria formazione professionale. La Francia con il 29,2 per cento, l’Italia e
la Norvegia con il 5,9 per cento sono i paesi citati. A Nador la percentuale è
del 16,6 per cento mentre a Béni Mellal del 5,4 per cento ed è nulla a
Khouribga. Ci sembra particolarmente significativo segnalare questi casi, in
quanto ci illustrano le caratteristiche di alcune esperienze di ritorno
successive ad un soggiorno in un paese d’immigrazione.
Tabella 3.46 – Suddivisione del gruppo di proprietari di PI che hanno
ricevuto formazione per luogo di svolgimento della formazione
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Luogo di formazione
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Germania 1 8,30 1 1,20
Spagna 1 8,30 1 1,20
Francia 1 2,70 5 29,20 6 7,20
Italia 1 2,70 1 5,90 2 2,40
Norvegia 1 5,90 1 1,20
Libia 1 2,70 1 1,20
Melilla 1 8,30 1 1,20
Béni Mellal 28 75,70 28 33,10
Casablanca 3 8,10 3 16,80 10 59,00 16 18,90
Khenifra 1 2,70 1 1,20
Khouribga 10 55,20 10 12,00
Nador 9 75,10 9 10,80
Oued Zem 1 2,70 1 1,20
Rabat 1 2,70 1 5.60 2 2,40
NR 4 22.40 4 4,80
Totale 37 100,00 18 100,00 17 100,00 12 100,00 84 100,00
208
Sul totale degli artigiani che hanno partecipato ad esperienze formative il
57,6 per cento ha usufruito di un processo di una durata superiore all’anno,
il 38,8 per cento ha ricevuto una formazione professionale di durata inferiore
all’anno. Béni Mellal si caratterizza per la percentuale elevata, comparata a
quella media, di artigiani che hanno partecipato a processi formativi dalla
durata di “25 mesi e più” (43,30% dei casi contro una percentuale che va
dall’11,80% al 16,80% per le altre città). In questa stessa città il 29,7 per
cento degli artigiani ha ricevuto una formazione professionale “Da 1 a 5
mesi” contro il 5,6 per cento di Khouribga ed il 16,7 per cento di Nador.
Khouribga si caratterizza per la percentuale di artigiani (60,8%) che hanno
ricevuto una formazione professionale «da 13 a 24 mesi» (tabella 3.47).
Tabella 3.47 – Suddivisione del gruppo di proprietari di PI che hanno
ricevuto formazione per durata della formazione ricevuta
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Durata
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 3 17,70 3 3,60
Da 1 a 5 mesi 11 29,70 1 5,60 2 16,70 14 16,00
Da 6 a 12 mesi 6 16,20 3 16,80 6 35,75 4 33,30 19 22,80
Da 13 a 24 mesi 4 10,80 11 60,80 6 35,75 4 33,30 25 30,00
25 mesi e + 16 43,30 3 16,80 2 11,80 2 16,70 23 27,60
Totale 37 100,00 18 100,00 17 100,00 12 100,00 84 100,00
57
10 13
0
10
20
30
40
50
60
Città di eserciziodella PI
A ltre città inMarocco
Estero
Grafico 3.7 - Suddivisione del gruppo di proprietari di PI che hanno ricevuto formazione
per principali luoghi di formazione
209
La tabella 3.48 riassume l’interesse per la formazione professionale degli
artigiani, che non ne hanno mai ricevuta. La maggior parte degli artigiani di
questa categoria manifesta il desiderio di seguire un processo di formazione
professionale.
Queste attitudini favorevoli all’idea della formazione sono importanti nei
luoghi (Khouribga, Nador e Casablanca) che si contraddistinguono per la
elevata presenza di artigiani che non hanno ricevuto nessuna formazione
professionale (come indicato nel grafico 3.9).
Tabella 3.48 – Suddivisione dei proprietari di PI che non hanno mai
ricevuto formazione in base all’interesse espresso per riceverne
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Si 4 30,80 19 59,40 15 45,50 24 63,20 62 53,40
No 9 59,20 13 40,60 18 54,50 14 36,80 54 46,60
Totale 13 100,00 32 100,00 33 100,00 38 100,00 116 100,00
14
19 25
23
0
5
10
15
20
25
Da 1 a 5 mesi Da 6 a 12 mesi Da 13 a 24 mesi 25 mesi e +
Grafico 3.8 - Suddivisione del gruppo di proprietari di PI che hanno ricevuto formazione per durata della
formazione ricevuta
210
L’esistenza di un 46,6 per cento dei proprietari di PI che non hanno mai
ricevuto formazione che non ha espresso il desiderio di seguire un corso di
formazione professionale si può spiegare in base alla situazione finanziaria
che caratterizza le piccole imprese: l’assentarsi priverebbe l’artigiano del
reddito necessario a far fronte ai suoi bisogni.
In generale, i processi formativi auspicati si riferiscono principalmente al
settore “Lingua italiana o altre”, contabilità, alfabetizzazione e gestione. La
lettura dei dati su base regionale ci permette di identificare delle differenze.
La voce “Lingua italiana o altre” è spesso citata a Nador. La contabilità,
nonostante sia una voce richiesta un po’ dappertutto, è relativamente più
menzionata a Béni Mellal ed a Khouribga. Le tecniche di produzione sono
state segnalate esclusivamente a Béni Mellal. Gli artigiani di Khouribga sono
quelli che menzionano più spesso l’alfabetizzazione (vedi tabella 3.49). Ad
ogni modo, l’interesse globalmente manifestato per la lingua italiana si può
spiegare sia per l’importanza di questo paese come destinazione privilegiata
dei candidati all’emigrazione sia per una attitudine soggettiva in quanto gli
intervistati sapevano che i mandatari dello studio sono italiani.
Grafico 3.9 – Suddivisione dei proprietari di PI che non hanno mai ricevuto formazione in base all’interesse espresso per riceverne per
ognuno dei quattro luoghi
Khouribga
No
Si
Béni Mellal
Si
No
Casablanca
NoSi
Nador
Si
No
211
Tabella 3.49 – Suddivisione dei proprietari di PI che non hanno mai ricevuto formazione in base al tipo di formazione desiderata
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Tipo di formazione
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Alfabetizzazione 6 31,60 2 13,40 4 16,80 12 19,20
Lingua italiana o altre 1 25,00 2 10,60 5 33,00 15 62,20 23 37,60
Contabilità 2 50,00 8 42,00 2 13,40 3 12,60 15 24,00
Tecniche di gestione 3 15,80 4 26,80 2 8,40 9 14,40
Tecniche di produzione 1 25,00 1 1,60
Altro 2 13,40 2 3,20
Totale 4 100,00 19 100,00 15 100,00 24 100,00 62 100,00
Le dimensioni della piccola impresa
Come evidenzia la tabella 3.50 la maggior parte degli artigiani impiega nella
sua piccola impresa da 1 a 3 persone (62%).
Tabella 3.50 – Suddivisione del campione per numero di persone che
lavorano nella PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Numero di persone
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
0 1 2,00 1 0,50
1 9 18,00 7 14,00 1 2,00 5 10,00 22 11,00
2 18 36,00 13 26,00 4 8,00 10 20,00 45 22,50
3 11 22,00 4 8,00 11 22,00 11 22,00 37 18,50
4 5 10,00 4 8,00 6 12,00 4 8,00 19 9,50
5 1 2,00 5 10,00 5 10,00 2 4,00 13 6,50
6 2 4,00 2 4,00 8 16,00 1 2,00 13 6,50
7 1 2,00 6 12,00 2 4,00 9 4,50
8 2 4,00 2 4,00 1 2,00 5 2,50
9 1 2,00 1 2,00 1 2,00 3 1,50
10 4 8,00 1 2,00 5 2,50
NR 15 30,00 2 4,00 11 22,00 28 14,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
212
Approfondendo l’analisi a livello regionale, sembra che questa situazione
caratterizzi principalmente Beni Mellal (76%) e Nador (52%). Casablanca si
contraddistingue per le dimensioni maggiori delle sue piccole imprese, il 50
per cento delle quali (quando la media globale è del 27%) impiega da 4 a 7
persone. A Khouribga, la percentuale di coloro che non rispondono a questa
domanda si avvicina al 30 per cento, situazione che non ci permette quindi
di ottenere a livello locale un quadro ben definito in relazione alle dimensioni
delle piccole imprese. Questa reticenza nel dichiarare il numero di persone
che lavorano nella piccola impresa si giustifica per la sfiducia rispetto all’uso
di cui potrebbero essere oggetto simili informazioni (servizi d’ispezione del
lavoro e della previdenza sociale).
Grafico 3.10 - Suddivisione del campione per numero di persone che
lavorano nella PI
01 02 03 04 0
Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +
Béni Mellal
0
1 0
2 0
3 0
Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +
Khouribga
051 01 52 0
Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +
Casablanca
0
1 0
2 0
3 0
Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +
Nador
0
50
100
150
Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +
Totale
213
Le attività di formazione professionale nella piccola impresa
Le piccole imprese, hanno rappresentato storicamente un luogo di
formazione e di iniziazione professionale fondamentale nella società
marocchina. Oltre alle funzioni produttive, l’artigiano svolgeva importanti
funzioni educative e di formazione professionale delle giovani generazioni. I
dati della ricerca mostrano che attualmente questa funzione di trasmissione
del sapere risulta considerevolmente alterata. Solo il 36 per cento del totale
degli artigiani dichiara di avere degli apprendisti nella sua impresa (tabella
3.51). Questa percentuale subisce però su base regionale variazioni
significative. I dati di Béni Mellal e Khouribga non si discostano dalla media
globale (sono del 30% e 32% rispettivamente). Casablanca registra invece
una percentuale più bassa: solo il 26% delle piccole imprese dispone di
apprendisti. A Nador si trova invece la più alta percentuale di piccole imprese
con apprendisti: il 58%.
Considerando, come anteriormente sottolineato, che la percentuale di
integrazione all’attività lavorativa dei figli dei responsabili delle imprese è
molto ridotta (10,4%), queste percentuali rivelano inoltre l’importanza del
lavoro dei bambini nelle quattro città.
Tabella 3.51 – Suddivisione del campione per presenza di
apprendisti nella PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Apprendisti
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Non dichiarati 8 16,00 1 2,00 9 4,50
Si 15 30,00 16 32,00 13 26,00 29 58,00 73 36,50
No 35 70,00 26 52,00 37 74,00 20 40,00 118 59,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
La maggior parte degli artigiani accolgono da 1 a 2 apprendisti
(rispettivamente il 17% ed il 10% del totale), situazione questa che risulta
essere omogenea all’interno delle quattro città.
214
Tabella 3.52 – Suddivisione del campione per numero di apprendisti inseriti nella PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Numero di apprendisti
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
0 36 72,00 26 52,00 38 76,00 21 42,00 121 60,50
1 9 18,00 6 12,00 6 12,00 13 26,00 34 17,00
2 3 6,00 5 10,00 2 4,00 11 22,00 21 10,50
3 1 2,00 4 8,00 1 2,00 6 3,00
5 1 2,00 1 2,00 2 1,00
6 1 2,00 1 2,00 2 1,00
8 1 2,00 1 0,50
NR 12 24,00 1 2,00 13 6,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
La formazione professionale degli apprendisti, in ognuno dei quattro luoghi si
svolge attraverso l’integrazione degli stessi all’interno delle attività lavorative
della impresa, che è poi nel 22 per cento dei casi quella che li paga (vedi
tabella 3.52). Lo stato non contribuisce al finanziamento diretto di queste
attività che tramite proporzioni insignificanti: lo 0,5 per cento. E’ importante
sottolineare inoltre che nel 12 per cento dei casi registrati, l’apprendista non
percepisce nessuna retribuzione. Fenomeno questo che si riferisce
principalmente a Khouribga e a Béni Mellal (18% e 14%).
Tabella 3.53 – Suddivisione del campione per modalità della
formazione professionale offerta
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Modalità
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Non dichiarato 5 10,00 9 18,00 1 2,00 1 2,00 16 8,00
Non interessati 31 62,00 24 48,00 37 74,00 21 42,00 113 56,50
Gratuita 7 14,00 9 18,00 3 6,00 5 10,00 25 12,50
Pagata dalla PI 5 10,00 8 16,00 9 18,00 23 46,00 44 22,00
Pagata dall’apprendista
1 2,00 1 0,50
Pagata dallo stato 1 2,00 1 0,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
215
Le motivazioni per la creazione della piccola impresa
Ad eccezione della città di Khouribga, che si contraddistingue per
l’importanza della disoccupazione come motivazione principale nella
creazione delle piccole imprese, le due motivazioni principali nelle altre città
risultano la ricerca di una maggiore indipendenza e la possibilità di migliori
guadagni. L’impresario intervistato è quindi da considerarsi a priori un
“homo economicus”.
Le due motivazioni riportate possono spiegarsi facilmente per il fatto che le
condizioni di lavoro per conto terzi sono spesso difficili ed il livello dei salari
basso, situazione questa che obbliga i piccoli impresari a stabilirsi in proprio
alla ricerca sia della loro indipendenza che di migliori guadagni. Queste
motivazioni sono più forti a Casablanca dove la disoccupazione non è stata
riportata dalla popolazione intervistata come ragione per la creazione delle
piccole imprese.
Risulta inoltre fondamentale segnalare a questo proposito che la legislazione
del lavoro non è applicata nel settore informale e spesso non viene rispettata
nelle piccole imprese. Allo stesso modo, il salario minimo (SMIG),
nonostante la sua inconsistenza (1826 dirham, circa 167 euro) non è sempre
riconosciuto.
La centrale sindacale dell’UMT sostiene che il 40 per cento delle imprese
versa dei salari al di sotto del salario minimo (SMIG), dati questi che
confermano le conclusioni di una ricerca realizzata dalla Banca Mondiale nel
1980 e che sottolineava le irregolarità che contraddistinguevano
l’applicazione della normativa in vigore, specialmente nelle piccole imprese e
nel settore informale.
In queste imprese, succede molto spesso che i lavoratori percepiscano una
retribuzione inferiore allo SMIG3, che rimane sicuramente una norma
giuridica ma che non sembra aver alcun effetto costrittivo. Questa norma è
rispettata principalmente nei settori che richiedono manodopera con una
qualifica professionale specifica e nelle grandi imprese4.
3 Abdelghafour Achoual, (1983), Le salariat industriel au Maroc (1956-1980). Mémoire de DES en sciences économiques, Facoltà di Legge, Agdal Rabat, p. 165. 4 Bisogna ricordare che questa situazione è stata in varie occasioni denunciata dai sindacati. Una delle principali rivendicazioni della UMT è effettivamente l’unificazione del salario minimo legale a 12 dh/ora (2500 dh mensili).
216
L’inconsistenza dei salari aggravata dall’aumento del costo della vita fa si
che la percentuale dei “working poor”, categoria formata dalle persone che
dispongono di un lavoro ma che ricevono una retribuzione troppo bassa per
vivere decentemente, sia in costante crescita sia nelle città che nelle
campagne.
Fra le motivazioni per la creazione delle piccole imprese, il campione non cita
che molto raramente (2,5% in media) il “gusto del rischio” (tabella 3.54).
Questa attitudine si spiega in base a considerazioni culturali legate al
processo di socializzazione: sia l’educazione familiare che quella scolastica
non preparano il bambino all’indipendenza e ancora meno
all’imprenditorialità.
La bassa percentuale di risposte riferite a “esperienza/conoscenza del
mestiere” (1%) evidenzia una delle caratteristiche del settore informale,
l’inesistenza di barriere d’accesso anche per le professioni che richiedono un
minimo di qualifica professionale (la formazione professionale si fa in certi
casi in itinere).
Tabella 3.54 – Suddivisione del campione per motivazioni del
proprietario per la creazione della PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Motivazioni
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 1 2,00 13 26,00 14 7,00
Disoccupazione 7 14,00 22 44,00 7 14,00 36 18,00
Ricerca di indipendenza 10 20,00 9 18,00 27 54,00 17 34,00 63 31,50
Migliori guadagni 23 46,00 13 26,00 14 28,00 8 16,00 58 29,00
Gusto del rischio 1 2,00 1 2,00 1 2,00 2 4,00 5 2,50
Eredità familiare 7 14,00 4 8,00 8 16,00 3 6,00 22 11,00
Esperienza/conoscenza del mestiere
2 4,00 2 1,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
217
Creazione della piccola impresa
Il processo di creazione delle imprese in Marocco è tendenzialmente lungo,
anche se l’apertura di centri regionali di investimento è destinata a rimediare
a questa deficienza per le imprese del settore strutturate. Nel campione
intervistato esiste una forte concentrazione di risposte nella fascia da 1 a 11
mesi (50,5%), risulta tuttavia sorprendente però che il tempo necessario per
la creazione possa arrivare a più di un anno per oltre un terzo del campione
e a 3 anni e più per una piccola impresa su dieci (vedi tabella 3.55).
Queste differenze dipendono in effetti dalla natura del progetto (costruzione
e/o sistemazione dei locali), dalla disponibilità dei fondi e dal fervore che
dimostra l’investitore nel portare a buon fine il suo progetto. Ad ogni modo
quando l’amministrazione è sollecitata, la lentezza delle procedure
amministrative spiega in gran parte questa situazione (es. la creazione di
una “téléboutique” richiede generalmente un anno e mezzo).
0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%100%
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador
Grafico 3.11 - Suddivisione del campione per motivazioni del proprietario per la creazione
della PI
Disoccupazione Ricerca di indipendenza
Migliori guadagni Gusto del rischio
Eredità familiare Esperienza
218
Tabella 3.55 – Suddivisione del campione per tempo necessario per la creazione della PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Tempo
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 8 16,00 3 6,00 1 2,00 12 6,00
Meno di 1 mese 8 16,00 5 10,00 13 6,50
Da 1 a 5 mesi 9 18,00 30 60,00 17 34,00 24 48,00 80 40,00
Da 6 a 11 mesi 4 8,00 7 14,00 6 12,00 4 8,00 21 10,50
Da 1 a 2 anni 7 14,00 9 18,00 19 38,00 11 22,00 46 23,00
3 anni e + 9 18,00 1 2,00 7 14,00 6 12,00 23 11,50
Non sa 5 10,00 5 2,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Nonostante la maggior parte delle piccole imprese appartenga al settore
informale, tre quarti (74%) del campione ha dovuto ricorrere
all’amministrazione per ottenere le autorizzazioni necessarie (tabella 3.56).
A Casablanca è dove la creazione delle piccole imprese ha richiesto nella
quasi totalità dei casi un procedimento amministrativo (92%) ed è a Béni
Mellal dove il contatto con l’amministrazione è risultato essere meno
frequente (54%).
Tabella 3.56 – Suddivisione del campione per necessità di
procedimento amministrativo nella creazione della PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Procedimento amministrativo
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Si 23 46,00 43 86,00 46 92,00 36 72,00 148 74,00
No 27 54,00 7 14,00 4 8,00 14 28,00 52 26,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
219
Alla domanda relativa al ricorso ad organismi per ricevere aiuto nel
procedimento della creazione, il 93,5 per cento ha risposto negativamente
(tabella 3.57). Questo risultato evidenzia sia una ignoranza dell’esistenza di
questi organismi (44% dei casi) da parte delle PI (tabella 3.58), sia,
parallelamente, una mancanza di divulgazione da parte degli organismi delle
loro offerte (in modo specifico per gli organismi del settore microcredito che
iniziano a conoscere un’importante sviluppo in Marocco).
Tabella 3.57 – Suddivisione del campione per PI ricorse all’aiuto di
un’organismo durante la creazione
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Aiuto di un organismo
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 1 2,00 3 6,00 4 2,00
Si 3 6,00 2 4,00 2 4,00 2 4,00 9 4,50
No 46 92,00 45 90,00 48 96,00 48 96,00 187 93,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador
Grafico 3.12 - Suddivisione del campione per necessità di procedimento amministrativo nella
creazione della PI
Si No
220
In forma complementare ai fattori precedentemente sottolineati esiste una
forte reticenza delle piccole imprese nel sollecitare l’aiuto di questi
organismi: ipotesi confermata dalle risposte raccolte che ci dicono che solo il
55 per cento della popolazione intervistata ha sentito parlare di ONG,
istituzioni o cooperative che aiutano nella creazione e gestione delle piccole
e medie imprese. Questo atteggiamento è maggiormente presente in una
città come Nador dove l’88 per cento delle piccole imprese conosce
l’esistenza di questi organismi ma rinuncia a farvi ricorso nel 96 per cento
dei casi. E’ necessario sviluppare quindi una cultura che spinga le piccole
imprese a ricorrere a questi organismi, processo questo che necessita di un
accompagnamento per sensibilizzare le imprese sui vantaggi che potrebbero
trarre da questo appoggio. Questa situazione può inoltre essere interpretata
come un indicatore della mancanza di sollecitazione e di incentivi alla
creazione di queste imprese, che hanno comunque un ruolo sociale
importante in quanto creatrici di nuovi posti di lavoro: il settore informale a
cui appartiene la maggior parte di queste realtà non è più considerato un
trampolino per il settore formale, quindi un settore da formalizzare, ma un
settore da promuovere grazie alle sue caratteristiche intrinseche di creatore
di posti di lavoro. Il settore informale comunque non rappresenta
sicuramente un settore rifugio, ma le sue opportunità, la sua dinamica e le
sue potenzialità gli permettono di ricoprire un ruolo importante nella
regolazione di cui hanno bisogno l’economia e la società marocchine. Così, le
dinamiche informali, e sulla loro scia le piccole imprese, costituiscono una
modalità di aggiustamento dei disequilibri indotti dai cambiamenti macro-
economici, in modo specifico sul mercato del lavoro.
Tabella 3.58 – Suddivisione del campione per proprietari di PI che
hanno sentito parlare di organismi che appoggiano le imprese
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 1 2,00 1 2,00 2 1,00
Si 17 34,00 38 76,00 11 22,00 44 88,00 110 55,00
No 32 64,00 11 22,00 39 78,00 6 12,00 88 44,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
221
Rispetto alle difficoltà incontrate, è normale che la fase di creazione della
piccola e media impresa, indipendentemente dalle sue dimensioni, sia la più
difficile e che spesso la creazione risulti un autentico “percorso di guerra”.
Questa situazione ci è confermata dai dati della ricerca: in più di 3 casi su 4
(77%) gli imprenditori riferiscono di aver incontrato difficoltà. Questa
percentuale varia da una città all’altra: a Casablanca si registra la
percentuale più alta, il 92 per cento degli intervistati ha incontrato delle
difficoltà per creare la propria piccola impresa; a Béni Mellal quella più
bassa, solo circa la metà della popolazione intervistata afferma di aver avuto
delle difficoltà. Questa differenza è comprensibile sia in base alla natura del
progetto che ai metodi di gestione che possono essere relativamente più
agili in base ai casi ed alle regioni.
Nonostante l’interesse che esiste in Marocco per le micro-imprese in quanto
fonti di posti di lavoro e risorse per l’economia sociale in generale, le piccole
imprese continuano a risentire di gravi ostacoli che bloccano la loro crescita.
Questi problemi già riportati in altri studi5 sono confermati anche dalla
nostra ricerca: più della metà del campione ha dovuto affrontare dei
problemi finanziari (55%)6. Questa difficoltà è più sentita a Casablanca dove
il 70 per cento delle piccole imprese ha riportato questo tipo di problemi.
Risultato questo che si può spiegare anche alla luce del fatto che il costo del
finanziamento per creare una impresa in questa grande metropoli è
tendenzialmente più elevato (acquisto o locazione dei locali, costi di
sistemazione,…) che nelle altre città.
Generalmente, la piccola impresa si crea e si sviluppa senza ricevere nessun
appoggio dal sistema bancario, lo statuto informale delle piccole imprese non
favorisce mai la fiducia del settore bancario formale nei suoi confronti.
Al secondo posto, in ordine di importanza, appaiono le difficoltà
amministrative con il 16,5 per cento: problemi questi che sono riportati
indistintamente da tutte le piccole imprese delle 4 città (vedi tabella 3.59).
5 El Meskini Essaid, (2003), Les dimensions « cachées » des micro-entreprises: l’expérience de la région de Marrakech-Tensift-Al Haouz, ULCO, Dipartimento di Economia e Commercio, 3 febbraio. 6 L’Observatoire de la Compétitivité internationales de l’Economie Marocaine (dipendente dal Ministero dell’Industria del Commercio e delle Telecomunicazioni) osserva come questa difficoltà sia comune anche al settore formale. Nella sua relazione del 2002 identifica i problemi finanziari come i più importanti per le imprese con meno di 50 dipendenti.
222
Tabella 3.59 – Suddivisione del campione per tipo di difficoltà incontrate nella creazione della PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Tipo di difficoltà
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Finanziamento 16 32,00 32 64,00 35 70,00 27 54,00 110 55,00
Iter amministrativo 6 12,00 8 16,00 10 20,00 9 18,00 33 16,50
Assunzione del personale
2 4,00 1 2,00 3 1,50
Ricerca dei locali 1 2,00 2 4,00 3 1,50
Approvvigionamento 1 2,00 1 2,00 2 1,00
Altri 3 6,00 3 1,50
Nessuna 24 48,00 8 16,00 4 8,00 10 20,00 46 23,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
L’importanza del fattore finanziamento è sottolineata dagli intervistati che
considerano la disponibilità dei fondi come il fattore essenziale per la
creazione della PI (risposta fornita da quasi un intervistato su due). La
conoscenza del settore e delle tecniche di gestione costituiscono gli altri due
fattori determinanti nella creazione della piccola impresa (tabella 3.60).
Tabella 3.60 – Suddivisione del campione per fattori considerati
essenziali per la creazione della PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Fattori
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Disponibilità di fondi 19 38,00 18 36,00 32 64,00 27 54,00 96 48,00
Competenze tecniche
22 44,00 14 28,00 17 34,00 20 40,00 73 36,50
Competenze gestionali
3 6,00 13 26,00 2 4,00 18 9,00
Conoscenza delle reti 1 2,00 2 4,00 1 2,00 4 2,00
Risorse della regione 2 4,00 1 2,00 3 1,50
Altri 2 4,00 2 1,00
NR 1 2,00 2 4,00 1 2,00 4 2,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
223
Accesso della piccola impresa ai finanziamenti
I fondi utilizzati per la creazione delle piccole imprese sono locali nel 64,5
per cento dei casi, con un massimo registrato a Casablanca del 72 per cento.
Questi fondi sono esterni nell’11 per cento dei casi e misti nel 24,5 per cento
dei casi (vedi tabella 3.61). La percentuale di fondi misti registrata a
Khouribga (44%), è presumibilmente un indicatore dello sviluppo del
modello associativo in questa città.
Tabella 3.61 – Suddivisione del campione per fondi utilizzati nella
creazione della PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Fondi
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Locali 31 62,00 27 54,00 36 72,00 35 70,00 129 64,50
Esterni 12 24,00 1 2,00 7 14,00 2 4,00 22 11,00
Locali ed esterni 7 14,00 22 44,00 7 14,00 13 26,00 49 24,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador
Grafico 3.13 - Suddivisione del campione per fondi utilizzati nella creazione della PI
Locali Esterni Locali ed esterni
224
La creazione delle piccole imprese è legata all’acquisizione di un capitale
minimo. E’ necessario osservare che più di un terzo degli intervistati è stato
reticente nel rivelare le fonti di finanziamento utilizzate.
Questa riluttanza nel fornire questo tipo di informazioni si può spiegare sia
alla luce di motivazioni culturali (allontanare il malocchio) che eventual-
mente, in alcuni casi, per la natura dubbia di questi fondi.
Essendo le fonti di finanziamento formale praticamente inaccessibili alle
piccole imprese, il finanziamento per la creazione delle stesse è in definitiva
il risultato dello sforzo proprio dell’imprenditore. Le risposte si riferiscono
quindi all’autofinanziamento nell’86,80 per cento dei casi, con un valore
massimo del 97,10 per cento a Nador, conosciuta per essere il secondo
mercato finanziario del Regno (vedi tabella 3.62)
In questi fondi di autofinanziamento confluisce l’accumulazione realizzata a
partire dai guadagni ottenuti in precedenti situazioni professionali
(lavoratore dipendente...) e a volte una eredità familiare. E’ da notare che
l’apporto della famiglia alla costituzione della piccola impresa rimane
significativamente basso (10%).
Tabella 3.62 – Suddivisione delle PI create con fondi locali per
natura dei fondi utilizzati
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Natura dei fondi
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Fondi propri 26 83,90 18 66,60 34 94,40 34 97,10 112 86,80
Prestito di familiari 4 12,90 6 22,20 2 5,60 1 2,90 13 10,00
Prestito di amici 1 3,40 1 0,80
Credito Giovani Promotori 1 3,40 1 0,80
Crediti bancari differenti dal Credito Giovani Promotori
1 3,40 1 0,80
Altro 1 3,20 1 0,80
Totale 31 100,00 27 100,00 36 100,00 35 100,00 129 100,00
225
L’origine dei fondi esterni, che rappresentano l’11 per cento dei casi, si può
far risalire nel 77,30 per cento dei casi allo stesso investitore e
secondariamente alla famiglia ed agli amici (tabella 3.63).
L’investimento è quindi effettuato da un migrante residente all’estero o da
un migrante di ritorno con fondi provenienti dal risparmio realizzato nel
paese d’accoglienza.
Tabella 3.63 – Suddivisione delle PI create con fondi esterni per
natura dei fondi utilizzati
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Natura dei fondi
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Fondi propri 10 83,30 7 100,00 17 77,30
Prestito di familiari 2 16,70 1 100,00 3 13,60
Prestito di amici 2 100,00 2 9,10
Totale 12 100,00 1 100,00 7 100,00 2 100,00 22 100,00
La riluttanza degli intervistati nel fornire informazioni in relazione all’origine
dei fondi misti non ci ha permesso di raccogliere dei dati attendibili sulla
composizione di questi fondi e sulla ripartizione locale/esterno, informazioni
queste che ci avrebbero permesso eventualmente di valutare le possibilità di
promuovere l’associazionismo fra migranti e non migranti.
024681012
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador
Grafico 3.14 - Suddivisione delle PI create con fondi esterni per natura dei fondi utilizzati
Famiglia Amici Propri
226
Quando durante il suo funzionamento la piccola impresa affronta delle
difficoltà finanziarie, inizialmente l’imprenditore per superarle fa ricorso ai
fondi propri (52% dei casi). Il finanziamento della piccola impresa è spesso
integrato però con degli aiuti della famiglia e degli amici.
Contrariamente a quello che si verifica durante la fase della creazione della
piccola impresa, la rete familiare e degli amici sembra svolgere in questa
occasione il ruolo di “airbag sociale” che generalmente si tende ad
attribuirle. La gestione quotidiana (aspetti finanziari inclusi) della piccola
impresa si colloca quindi all’interno di un sistema sociale complesso.
Il ricorso al credito bancario è menzionato soltanto nel 7 per cento dei casi,
situazione questa facilmente giustificabile in base alle seguenti
considerazioni:
• L’atteggiamento del sistema bancario che, anche se con una leggera
apertura rispetto alla fase di creazione, rifiuta di accordare dei crediti a
questo tipo di imprese. Le banche esigendo generalmente delle notevoli
garanzie personali e materiali giudicano le piccole imprese poco solvibili.
• L’ignoranza da parte delle stesse imprese di alcune iniziative che
rendono meno ermetico il circuito del finanziamento formale. Esistono
diverse categorie di istituzioni che attualmente operano appoggiando il
finanziamento alle piccole imprese:
o Le delegazioni provinciali dell’Artigianato, emanazioni del
Ministero del Lavoro, dell’Artigianato e degli Affari Sociali e le
camere artigianali sono i principali interlocutori dei richiedenti
credito. Attraverso questi organismi, che fanno parte delle
commissioni di credito, transitano le richieste degli artigiani per il
conseguimento del credito (fondi questi concessi a dei tassi
d’interesse preferenziali).
o Le cooperative che dovrebbero normalmente permettere alle
piccole imprese associate di disporre di una accresciuta capacità
di negoziazione e quindi di un migliore accesso ai finanziamenti.
Queste cooperative raggruppano tanto le piccole imprese
strutturate quanto quelle non strutturate (anteriormente definite
come formali e non formali).
o Due banche hanno aperto delle linee di finanziamento per le
piccole imprese: la Banca Popolare, i cui fondi le sono
direttamente assegnati o transitano attraverso le Società di
227
Deposito Mutuo, ed in minor misura la Cassa Nazionale di Credito
Agricolo. L’obiettivo del sistema di deposito mutuo è quello di
permettere a degli impresari di raggrupparsi all’interno di una
struttura capace di fornire, per loro, al sistema bancario, una
garanzia collettiva che non sarebbero in grado di fornire
individualmente. La costituzione di questi gruppi può realizzarsi
su base regionale o professionale, condizioni queste che
dovrebbero permettere di garantire un livello di conoscenza
mutua sufficiente. La Società di Deposito Mutuo è una società
anonima di capitale variabile che non può negoziare senza
passare dalla Banca di Credito Popolare e che interviene
garantendo una cauzione tramite girate o avalli.
o Una rete di organizzazioni non governative che si interessano alle
popolazioni ed alle regioni più marginali.
Questa riluttanza a indirizzarsi alla banca è confermata dalle risposte
raccolte nell’inchiesta. Due terzi della popolazione intervistata (65,5%)
afferma di non avere mai fatto domanda per ottenere un credito bancario e
anche quando come nel caso di Nador la richiesta è stata inoltrata (il 54%
afferma di aver già domandato un credito bancario) questa non sembra
essere stata accettata come ci viene confermato dall’importanza dell’auto-
finanziamento (finanziamento con fondi propri) menzionato nel 72 per cento
dei casi in questa città.
La popolazione intervistata spiega questa reticenza a richiedere un credito
bancario per le lunghe e complesse procedure richieste dalle banche, per le
importanti garanzie necessarie e per il costo del credito che è troppo alto in
Marocco. Tutte queste ragioni sono utilizzate per spiegare le difficoltà che
caratterizzano le relazioni fra le banche e le imprese in Marocco e di
conseguenza l’interesse a sviluppare delle formule di credito specifiche per le
piccole imprese come quelle proposte dalla Banca Popolare.
La situazione della piccola impresa
In relazione al lavoro svolto precedentemente alla creazione delle piccole
imprese, i risultati generali della ricerca sottolineano che gli artigiani
responsabili delle piccole imprese erano nel 22 per cento dei casi dei salariati
e nel 20 per cento dei casi dei lavoratori di imprese dello stesso settore.
228
Una quinta parte degli artigiani ha dichiarato che prima della creazione della
impresa stava seguendo un percorso di formazione ed il 16 per cento era
alla ricerca di un lavoro. Il 20 per cento degli artigiani, inoltre, si trovava in
situazioni differenti da quelle anteriormente menzionate.
Tabella 3.64 – Suddivisione del campione in base all’occupazione del
proprietario anteriore alla creazione della PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Occupazione
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 2 4,00 2 4,00 1 2,00 5 2,50
Disoccupato 6 12,00 21 42,00 5 10,00 32 16,00
Studio/formazione 8 16,00 8 16,00 8 16,00 16 32,00 40 20,00
Lavoratore in una piccola impresa dello stesso settore
14 28,00 7 14,00 10 20,00 8 16,00 39 19,50
Salariato 9 18,00 5 10,00 20 40,00 10 20,00 44 22,00
Altro 13 26,00 7 14,00 10 20,00 10 20,00 40 20,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
0% 50% 100%
Béni Mellal
Khouribga
Casablanca
Nador
Grafico 3.15 - Suddivisione del campione in base all’occupazione del proprietario anteriore alla
creazione della PI
Disoccupato
Studio/Formazione
Lavoratore in piccola impresa dello stesso settore
Salariato
Altro
229
Un’analisi su base regionale ci rivela che un po’ meno della metà degli
artigiani di Béni Mellal erano dei salariati e dei lavoratori all’interno di
imprese dello stesso settore della piccola impresa creata. A Khouribga, la
maggior parte erano “disoccupati” mentre a Nador la risposta più frequente
è stata “studio o formazione”. L’incidenza della disoccupazione a Khouribga
si giustifica alla luce della recessione vissuta dal settore miniere tradizionale,
polo di assorbimento della manodopera nella regione. Casablanca si
caratterizza, indiscutibilmente grazie alla sua vitalità economica, per
l’assenza di ogni riferimento alla disoccupazione e per l’importanza delle
risposte “lavoratore in una piccola impresa dello stesso settore” e “salariato”,
che riguardano 6 artigiani su 10 (tabella 3.64).
Tabella 3.65 – Suddivisione del campione in base all’importanza
dell’attività della PI per il proprietario
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 7 14,00 4 8,00 11 5,50
Principale 34 68,00 41 82,00 46 92,00 50 100,00 171 85,50
Secondaria 16 32,00 2 4,00 18 9,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Grafico 3.16 - Suddivisione del campione in base all’importanza dell’attività della PI per il
proprietario
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
200
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale
Secondaria
Principale
230
Per più di 8 artigiani su 10 la gestione della piccola impresa risulta l’attività
principale (tabella 3.65). Un’analisi su base regionale evidenzia che a Nador
(100%) e Casablanca (92%) la quasi totalità degli artigiani si dedica
principalmente alla piccola impresa, mentre solo il 68 per cento di questi lo
fa a Béni Mellal e l’82 per cento a Khouribga.
Per quasi la metà dei casi, l’attività della piccola impresa si sviluppa
all’interno di un locale professionale fisso appartenente all’artigiano. Una
proporzione simile di piccole imprese lavora in locali affittati, e nel 3 per
cento dei casi il luogo dove si svolge l’attività della piccola impresa è il
domicilio stesso dell’artigiano. Un’analisi su base regionale evidenzia che a
Casablanca la maggior parte delle piccole imprese svolge la propria attività
in locali appartenenti all’artigiano, sia a Khouribga che a Béni Mellal è la
situazione “locale professionale fisso affittato” la più diffusa (rispettivamente
il 62% ed il 56%).
L’esercizio dell’attività della piccola impresa a domicilio è più frequente a
Béni Mellal (1 piccola impresa su dieci), mentre a Nador i locali dove si
svolge l’attività della piccola impresa sono in parti uguali affittati e di
proprietà (tabella 3.66).
Tabella 3.66 – Suddivisione del campione in base al luogo di
esercizio della PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Luogo
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Locale professionale fisso affittato
28 56,00 31 62,00 10 20,00 22 44,00 91 45,50
Locale professionale fisso di proprietà
15 30,00 18 36,00 38 76,00 24 48,00 95 47,50
Locale professionale fisso occupato gratuitamente
2 4,00 1 2,00 3 1,50
Domicilio dell’artigiano
5 10,00 1 2,00 1 2,00 7 3,50
Altro 4 8,00 4 2,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
231
Tabella 3.67 – Suddivisione del campione in base all’utilizzo di un
sistema contabile
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Utilizzo di un sistema contabile
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 2 4,00 2 1,00
Si 13 26,00 25 50,00 37 74,00 17 34,00 92 46,00
No 37 74,00 25 50,00 11 22,00 33 66,00 106 53,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Più della metà del totale delle piccole imprese intervistate dichiara di non
utilizzare nessun sistema contabile (53%).
Questa situazione è più accentuata a Béni Mellal ed a Nador dove
rispettivamente il 74 per cento ed il 66 per cento delle piccole imprese non
utilizzano nessuna contabilità. A Casablanca i tre quarti delle piccole
imprese utilizzano un sistema contabile. A Khouribga il numero delle piccole
imprese che usano un sistema contabile e il numero di quelle che non lo
usano è uguale (tabella 3.67).
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador
Grafico 3.17 - Suddivisione del campione in base al luogo di esercizio della PI
Luogo affittato Luogo di proprietà Luogo gratuito Domic ilio A ltro
232
Circa 4 artigiani su 10 acquistano i materiali di produzione per la loro piccola
impresa a livello provinciale. Se includiamo coloro che svolgono i loro
acquisiti a livello regionale (13%), possiamo concludere che circa la metà
delle piccole imprese si approvvigionano all’interno del territorio prossimale.
Solo un quinto degli artigiani acquistano a livello nazionale ed una
percentuale infima (7%) a livello internazionale. Un’analisi a livello regionale
evidenzia che questo modello di approvvigionamento caratterizza Béni Mellal
dove più di 6 piccole imprese su 10 operano nella sfera regionale (12%) e
provinciale (54%).
Grafico 3.18 - Suddivisione del campione in base all’utilizzo di un sistema contabile
37
11
0
20
40
Si No
Casablanca
25 25
0
20
40
Si No
Khouribga
17
33
0
20
40
Si No
Nador
92
106
80
90100110
Si No
Totale
1337
0
20
40
Si No
Béni Mellal
233
La posizione economica di Casablanca fa si che il tasso di acquisti a livello
nazionale non superi mai il 6 per cento (tabella 3.68). A Nador la posizione
di frontiera con l’Algeria e la città di Melilla, area di occupazione spagnola,
spiegano l’importanza dell’approvvigionamento internazionale (24%).
Tabella 3.68 – Suddivisione del campione in base alle aree di
approvvigionamento delle materie prime
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Aree
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 1 2,00 16 32,00 24 48,00 41 20,50
Provinciale 27 54,00 11 22,00 8 16,00 24 48,00 70 35,00
Regionale 6 12,00 7 14,00 14 28,00 27 13,50
Nazionale 15 30,00 16 32,00 3 6,00 14 28,00 48 24,00
Internazionale 1 2,00 1 2,00 12 24,00 14 7,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Nel 51 per cento dei casi, le piccole imprese acquistano direttamente presso
i produttori. Il 24 per cento tratta con intermediari provinciali, regionali o
nazionali. L’acquisto diretto presso i produttori caratterizza le piccole
imprese di Béni Mellal (92%) e di Nador (66%). Grazie alle risorse
economiche di cui la città dispone (concentrazione di produttori e di grandi
intermediari) è minimo a Casablanca il ricorso ad intermediari nazionali.
Tabella 3.69 – Suddivisione del campione in base alle modalità di
approvvigionamento delle materie prime
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Modalità
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 1 2,00 19 38,00 24 48,00 3 6,00 47 23,50 Direttamente presso i produttori
46 92,00 9 18,00 15 30,00 33 66,00 103 51,50
Tramite intermediari provinciali
1 2,00 8 16,00 1 2,00 1 2,00 11 5,50
Tramite intermediari regionali
1 2,00 4 8,00 8 16,00 1 2,00 14 7,00
Tramite intermediari nazionali
1 2,00 10 20,00 2 4,00 12 24,00 25 12,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
234
Parallelamente a ciò che succede per l’approvvigionamento, le piccole
imprese vendono la loro produzione principalmente a livello provinciale
(56,5%).
Alcune piccole imprese trattano con degli acquirenti internazionali (2,5%).
Dinamiche queste che si ripropongono nelle singole aree. A Nador,
probabilmente a causa della situazione geografica anteriormente descritta, il
ricorso al mercato internazionale risulta più significativo (tabella 3.70).
Tabella 3.70 – Suddivisione del campione in base alle aree di vendita
della produzione
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Aree
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 2 4,00 18 36,00 1 2,00 21 10,50
Provinciale 30 60,00 42 84,00 7 14,00 34 68,00 113 56,50
Regionale 9 18,00 4 8,00 11 22,00 3 6,00 27 13,50
Nazionale 10 20,00 2 4,00 14 28,00 8 16,00 34 17,00
Internazionale 1 2,00 4 8,00 5 2,5
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Fra le modalità di vendita della produzione quella che vede le piccole
imprese trattare direttamente con i clienti risulta indiscutibilmente la più
diffusa (globalmente circa 9 piccole imprese su 10).
Modalità questa che risulta essere, con la eccezione di Casablanca, quasi
esclusiva.
In questa città, dove il numero di risposte non valide impedisce un maggior
livello d’analisi del fenomeno, la vendita diretta al cliente interessa solo il 66
per cento delle piccole imprese rispetto ad una percentuale che varia dal 92
per cento al 96 per cento a Nador, Khouribga e Béni Mellal (tabella 3.71).
235
Tabella 3.71 – Suddivisione del campione in base alle modalità di vendita della produzione
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Modalità
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 1 2,00 12 24,00 2 4,00 15 7,50
Direttamente ai clienti 46 92,00 47 94,00 33 66,00 48 96,00 174 87,00
Agli intermediari provinciali 2 4,00 2 1,00
Agli intermediari regionali 1 2,00 1 0,50
Agli intermediari nazionali 4 8,00 4 8,00 8 4,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Il livello di collaborazione delle piccole imprese con altre aziende è molto
ridotto (tabella 3.72). Globalmente solo il 28,5 per cento lavorano con altre
imprese. Il livello di collaborazione è significativo a Nador (42%) e in misura
ridotta a Khouribga (30%). A Casablanca dove, considerata l’importanza del
sistema economico locale, si potrebbe supporre l’esistenza di una fitta rete di
scambi con altre imprese, il livello di collaborazione delle piccole imprese con
altre aziende è molto basso (16%), inferiore a quello registrato a Béni Mellal
(26%).
Tabella 3.72 – Suddivisione del campione in base alla collaborazione
della PI con altre imprese
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Collaborazione con altre imprese
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 3 6,00 9 18,00 12 6,00
Si 13 26,00 15 30,00 8 16,00 21 42,00 57 28,50
No 37 74,00 32 64,00 33 66,00 29 58,00 131 65,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
236
Le imprese con le quali gli imprenditori intervistati stabiliscono dei rapporti di
collaborazione sono principalmente quelle appartenenti allo stesso settore di
attività, ad altri settori o in forma ridotta a dei membri del circolo familiare
(tipo di collaborazione che caratterizza esclusivamente Nador).
Tabella 3.73 – Suddivisione delle PI che hanno rapporti di collaborazione in base alla tipologia delle imprese con cui
collaborano
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Tipologia delle imprese
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 1 7,70 1 1,70
Piccole imprese dello stesso settore
8 61,50 13 86,60 6 75,00 15 71,40 42 73,80
Imprese del circolo familiare
5 23,80 5 8,80
Imprese finanziatrici 1 6,70 1 1,70
Imprese di altri settori
4 30,80 1 6,70 1 12,50 6 10,50
Altre 1 12,50 1 4,80 2 3,50
Totale 13 100,00 15 100,00 8 100,00 21 100,00 57 100,00
Principali problemi della piccola impresa
I principali problemi identificati sono per ordine di importanza: l’accesso ai
finanziamenti, la commercializzazione della produzione (il mercato),
l’approvvigionamento e la gestione delle procedure amministrative. Una
analisi su base regionale evidenzia che il “Mercato”, con più della metà delle
risposte valide raccolte, è il principale problema a Béni Mellal.
A Khouribga tre sono i problemi più spesso menzionati: il finanziamento, il
mercato e l’approvvigionamento, tutti con un livello di importanza similare.
Negli altri due luoghi le problematiche evidenziate sono simili con una
leggera preponderanza della voce “Accesso ai finanziamenti” ed una
sottolineatura delle difficoltà burocratiche a Nador (tabella 3.74).
237
Tabella 3.74 – Suddivisione del campione in base ai principali problemi registrati dalle PI
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Problemi registrati
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Accesso ai finanziamenti
4 8,00 13 26,00 18 36,00 12 24,00 47 23,50
Approvvigionamenti 4 8,00 10 20,00 6 12,00 6 12,00 26 13,00
Produzione 1 2,00 1 2,00 2 1,00
Mercato 12 24,00 12 24,00 8 16,00 7 14,00 39 19,50
Amministrazione 1 2,00 4 8,00 3 6,00 5 10,00 13 6,50
Nessun problema 1 2,00 1 0,50
NR 28 56,00 10 20,00 15 30,00 19 38,00 72 36,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Rispetto all’approvvigionamento, le relazioni con i fornitori ed i prezzi sono i
problemi più menzionati mentre a livello locale a Khouribga sono i prezzi il
problema più frequentemente evocato ed a Casablanca il rapporto con i
fornitori.
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Béni Mellal Khouribga C asablanca Nador
Grafico 3.19 - Suddivisione del campione in base ai principali problemi registrati dalle PI
Finanziamenti A pprovvigionamenti P roduzione
Mercato A mminis trazione Nessun problema
238
Fra le soluzioni proposte dalle piccole imprese ai problemi di
approvvigionamento vi sono la selezione dei fornitori e la organizzazione di
gruppi di acquisto. Il coordinarsi per la condivisione di informazioni (mettersi
in rete) è stato suggerito esclusivamente a Khouribga ed a Nador.
Fra i principali problemi delle piccole imprese quelli relativi alla produzione
sono stati menzionati molto poco. Conseguentemente il numero di risposte
specifiche sul tema della produzione risulta molto ridotto: le attrezzature
obsolete ed il livello di formazione del personale sono gli unici problemi
menzionati. Come soluzioni ai problemi legati alla produzione, le piccole
imprese propongono l’accesso facilitato al credito per l’acquisto di nuove
macchine e la formazione del personale.
Contrariamente alla produzione, il mercato è uno dei problemi più
frequentemente menzionati dalle piccole imprese. In questo ambito le
problematiche della promozione dei prodotti degli intermediari e del ridotto
potere d’acquisto dei consumatori marocchini sono le più sentite.
I principali suggerimenti proposti dalle piccole imprese orientati alla
soluzione delle suddette problematiche sono l’apertura del mercato e
l’organizzazione di manifestazioni e spazi espositivi fissi per la promozione
dei loro prodotti.
Interesse dell’artigiano nell’instaurare relazioni commerciali con
partner marocchini residenti in Italia
Alla domanda “Pensate di ingrandire in futuro la vostra impresa?” è
interessante constatare che su di una popolazione di 200 persone, 169
(84,50%) hanno risposto affermativamente.
Tabella 3.75 – Suddivisione del campione in base all’interesse
nell’instaurare relazioni commerciali con Marocchini residenti in Italia
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Si 45 90,00 48 96,00 40 80,00 36 72,00 169 84,50
No 5 10,00 2 4,00 10 20,00 14 28,00 31 15,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
239
Un’analisi su base regionale, evidenzia che la percentuale più alta di risposte
positive si registra a Khouribga con il 96 per cento seguita da Béni Mellal
(90%), Casablanca (80%) e Nador (72%).
Le alte percentuali registrate a Khouribga ed a Béni Mellal si relazionano al
fatto che in queste due città la maggior parte delle persone interrogate
erano rappresentate da giovani, con un buon livello d’istruzione (soprattutto
a Khouribga) e che vedevano nell’espansione della loro attività un’occasione
per garantire alla stessa maggiori opportunità di stabilità nel tempo.
Attitudine dell’artigiano nei confronti dell’ipotesi associativa
Su di un campione di 200 persone intervistate, 121 hanno risposto alla
domanda (cifra che rappresenta il 60,5%), di questi: 95 hanno manifestato
una attitudine positiva nei confronti dell’ipotesi associativa (47,5%) e solo
26 hanno dichiarato di essere contrari (13%).
Tabella 3.76 – Suddivisione del campione in base all’attitudine nei
confronti dell’ipotesi associativa
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Attitudine
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 11 22,00 24 48,00 21 42,00 23 46,00 79 39,50
Favorevole 27 54,00 22 44,00 25 50,00 21 42,00 95 47,50
Sfavorevole 12 24,00 4 8,00 4 8,00 6 12,00 26 13,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Ad ogni modo è necessario segnalare che 79 persone (39,5%) non hanno
espresso alcuna opinione, dato che risulta rivelatore presso questo gruppo
del campione di una attitudine reticente nei confronti dello stesso modello.
Un’analisi su base regionale evidenzia inoltre le seguenti caratteristiche:
• Béni Mellal: il 22 per cento del campione non si è espresso, il 54 per
cento delle persone ha detto di essere favorevole al modello associativo,
mentre il 24 per cento sfavorevole.
• Khouribga: il 48 per cento del campione non si è espresso, il 44 per
cento delle persone ha detto di essere favorevole al modello associativo,
mentre l’8 per cento sfavorevole.
240
• Casablanca: il 42 per cento del campione non si è espresso, il 50 per
cento delle persone ha detto di essere favorevole al modello associativo,
mentre l’8 per cento sfavorevole.
• Nador: solo 27 persone hanno risposto, 21 (42%) persone si sono dette
favorevoli al modello associativo, mentre 6 sfavorevoli (12%).
Globalmente, circa la metà delle persone si sono dichiarate disponibili ad
allacciare delle relazioni con dei Marocchini residenti in Italia in quanto
questa opzione potrebbe offrire loro delle nuove prospettive portatrici di
effetti benefici per le loro attività.
Tabella 3.77 – Suddivisione del campione in base all’attitudine nei confronti dell’associarsi con partner marocchini residenti in Italia
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Attitudine
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 11 22,00 24 48,00 21 42,00 23 46,00 79 39,50
Favorevole 27 54,00 22 44,00 25 50,00 21 42,00 95 47,50
Sfavorevole 12 24,00 4 8,00 4 8,00 6 12,00 26 13,00
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
Un’analisi su base regionale evidenzia a Khouribga e a Béni Mellal una
maggior disposizione all’associarsi sicuramente dovuta all’importanza del
numero di Marocchini residenti in Italia originari di queste due province ed al
ruolo positivo che gli stessi svolgono nella creazione o nella partecipazione in
diverse attività economiche nelle loro città di origine.
051015202530
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador
Grafico 3.20 - Suddivisione del campione in base all’attitudine nei confronti dell’associarsi con
partner marocchini residenti in Italia
Favorevole Sfavorevole
241
Coloro che hanno manifestato un rifiuto all’ipotesi di associarsi con un
Marocchino residente in Italia hanno menzionato giustificazioni molto
diverse, ma quelle più ripetute risultano essere: l’assenza di fiducia,
l’assenza di serietà, anteriori fallimenti in tentativi di associarsi, l’assenza di
informazioni sui potenziali associati o sulle caratteristiche della loro attività.
Si può inoltre constatare che l’esistenza di parenti o amici residenti in Italia
costituisce un fattore facilitatore nel manifestare l’intenzione di associarsi.
Effettivamente, prendendo in considerazione i quattro luoghi, il 33,5 per
cento delle persone che si sono dichiarate favorevoli ha un parente o un
amico residente in Italia (tabella 3.78).
Tabella 3.78 – Suddivisione dei proprietari di PI favorevoli ad
associarsi con partner marocchini residenti in Italia in base alla presenza di parenti o amici residenti in Italia
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Si 19 70,40 16 72,70 21 84,00 4 19,00 60 63,20
No 8 29,60 6 27,30 4 16,00 17 81,00 35 36,80
Totale 27 100,00 22 100,00 25 100,00 21 100,00 95 100,00
A Casablanca ed a Khouribga si registrano rispettivamente l’84 per cento ed
il 72,7 per cento di persone che si sono dichiarate favorevoli ad associarsi
con parenti o amici residenti in Italia. A Béni Mellal si registra un 70,4 per
cento mentre a Nador solamente un 19 per cento. La situazione di Nador si
può spiegare in quanto, nonostante si tratti di una regione di antiche
tradizioni migratorie verso l’Europa occidentale, la maggior parte dei suoi
migranti si stabiliscono in Germania, in Olanda ed in Belgio.
Relativamente alla professione esercitata dai conoscenti marocchini residenti
in Italia, il 70 per cento sono salariati ed in percentuali minori esercitano una
attività commerciale od artigiana. Questa situazione ammette due diverse
spiegazioni:
• Le ultime evoluzioni indicano che la migrazione marocchina in Italia
inizia a stabilizzarsi, di conseguenza i migranti si orientano sempre più
in direzione di attività salariali a scapito di altre attività che hanno un
carattere maggiormente temporaneo (soprattutto quando a queste si
correla il rinnovo di documenti quali il permesso di soggiorno).
242
• Non vi è una conoscenza precisa da parte degli imprenditori dell’attività
esercitata dai loro conoscenti marocchini residenti in Italia, spesso
venditori ambulanti od impegnati in altre attività informali a volte
socialmente non valorizzate.
Tabella 3.79 – Suddivisione dei proprietari di PI favorevoli ad
associarsi con partner marocchini residenti in Italia con parenti o amici residenti in Italia in base alla professione di questi ultimi
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Professione
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 1 25,00 1 1,60
Salariato 12 63,20 11 68,80 17 81,00 2 50,00 42 70,00
Artigiano 1 5,30 2 12,50 1 4,80 4 6,70
Commerciante 6 31,50 2 12,50 2 9,40 10 16,70
Altro 1 6,20 1 4,80 1 25,00 3 5,00
Totale 19 100,00 16 100,00 21 100,00 4 100,00 60 100,00
Interesse dell’artigiano per relazioni commerciali diverse dall’associazione
con partner marocchini residenti in Italia.
Interrogati sulla loro attitudine rispetto allo stabilimento di relazioni
commerciali (diverse dall’associazione) con dei partner marocchini residenti
in Italia, più dei due terzi del campione si sono espressi favorevolmente
rispetto a questa opportunità.
Un’analisi su base regionale ha evidenziato un 80 per cento di interessati a
Béni Mellal, un 74 per cento a Casablanca, un 62 per cento a Nador ed un 60
per cento a Khouribga (tabella 3.80).
Questa situazione ci conferma le cause delle reticenze precedentemente
espresse rispetto alla formula associativa: le persone preferiscono allacciare
delle relazioni commerciali finalizzate ad aprire loro nuovi orizzonti
mantenendo però la loro indipendenza rispetto ai partner esterni.
243
Lo stabilimento di relazioni e lo sviluppo di reti con dei partner esterni
appaiono fra le aspettative principali dei proprietari di PI orientati a stabilire
relazioni commerciali diverse dall’associazione con un partner marocchino
residente in Italia. Elementi questi che vengono sottolineati soprattutto a
Casablanca dove li menzionano il 97,30 per cento degli imprenditori:
situazione facilmente comprensibile considerando che si tratta di una
metropoli già aperta al mondo esterno e che il capitale sociale gioca un ruolo
fondamentale nello sviluppo degli scambi a tutti i livelli.
Tabella 3.80 – Suddivisione del campione in base all’interesse per relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner
marocchini residenti in Italia
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 1 2,00 1 2,00 4 8,00 3 6,00 9 4,50
Si 40 80,00 30 60,00 37 74,00 31 62,00 138 69,00
No 9 18,00 19 38,00 9 18,00 16 32,00 53 26,50
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
0
10
20
30
40
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador
Grafico 3.21 - Suddivisione del campione in base all’interesse per relazioni commerciali diverse
dall’associazione con partner marocchini residenti in Italia
Si No
244
Interesse dell’artigiano per relazioni commerciali altre che l’associazione con
partner marocchini residenti in Italia : crosstabulation
Con l’obiettivo di comprendere le ragioni del rifiuto della formula associativa
e di identificare un'alternativa, abbiamo considerato necessario effettuare
una crosstabulation in modo da approfondire l’analisi sul gruppo che ha
manifestato interesse per la formula delle relazioni commerciali altre che
l’associazione.
Quindi ci limiteremo a considerare i questionari del gruppo (che rappresenta
il 69% del campione) che si è espresso favorevolmente, approfondendo
l’analisi in base ad alcune variabili che consideriamo pertinenti quali: l’età, il
tipo di attività svolta, il settore d’attività, la dimensione della piccola
impresa, ecc.
• Età dell’artigiano
Su di un totale di 138 persone che pensano di ampliare la loro piccola
impresa e che sono favorevoli a stabilire delle relazioni commerciali (altre
che l’associazione) con dei partner marocchini residenti in Italia, il 37 per
cento appartengono alla fascia d’età 30-39 anni, il 21,7 per cento, alla fascia
d’età 40-49 anni.
La terza fascia d’età più rappresentata è quella 20-29 anni con il 18,8 per
cento seguito da 50-59 anni e 60 anni e più con il 16,7 per cento ed il 5,10
per cento rispettivamente (tabella 3.82).
Tabella 3.81 – Suddivisione dei proprietari di PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner
marocchini residenti in Italia in base alle aspettative
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Aspettative
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Capitale sociale (rete e relazioni)
22 55,00 26 86,60 36 97,30 18 58,10 102 73,90
Capitale umano 2 5,00 2 6,70 11 35,50 15 10,90
Altro 16 40,00 2 6,70 1 2,70 2 6,40 21 15,20
Totale 40 100,00 30 100,00 37 100,00 31 100,00 138 100,00
245
Tabella 3.82 – Suddivisione per classi d’età dei proprietari di PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con
partner marocchini residenti in Italia
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Classi d’età
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 1 3,30 1 0,70
20 - 29 anni 9 22,50 6 20,00 5 13,50 6 19,40 26 18,80
30 - 39 anni 17 42,50 19 63,30 9 24,30 6 19,40 51 37,00
40 - 49 anni 7 17,50 3 10,00 12 32,40 8 25,80 30 21,70
50 - 59 anni 4 10,00 11 29,70 8 25,80 23 16,70
60 anni e + 3 7,50 1 3,30 3 9,70 7 5,10
Totale 40 100,00 30 100,00 37 100,00 31 100,00 138 100,00
Contrariamente a ciò che si registra a Casablanca ed a Nador, a Béni Mellal
ed a Khouribga esiste una distribuzione simile all’interno del campione
rispetto all’età.
I giovani sono maggiormente disposti ad allacciare delle relazioni con dei
partner marocchini residenti in Italia, in quanto questi rappresentano per
loro una possibilità di apertura verso altri orizzonti, un’opportunità di
guadagnare più denaro ed una occasione d’arricchire le loro esperienze e le
loro pratiche professionali.
• Tipo di attività della piccola impresa
L’attività al primo posto è “Altri servizi” con un 15,20 per cento, categoria
questa che copre una serie di servizi molto amplia e che raggruppa tutti i
servizi altri da quelli citati.
Al secondo posto troviamo, con il 13,80 per cento, l’attività tessile ed
abbigliamento. In terza posizione si colloca la costruzione e le attività
connesse (tabella 3.83).
Le altre attività sono di minor importanza perché si situano fra l’8,70 per
cento (meccanica, pneumatici, elettricità, lavaggio auto) ed l’1,40 per cento
(librerie, cartolerie ed agricoltura).
246
Tabella 3.83 – Suddivisione in base al tipo di attività svolta dei proprietari di PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini residenti in Italia
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Tipo di attività
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Costruzione ed attività connesse 1 2,50 2 6,70 6 16,20 9 29,00 18 13,00
Ristorazione, industria alberghiera ed altre attività turistiche.
1 2,50 2 6,70 2 5,40 5 3,60
Caffè, cremerie, panetterie e pasticcerie.
3 7,50 4 13,30 4 10,80 11 8,00
Legno ed artigianato in legno
2 5,00 3 10,00 2 5,40 4 12,90 11 8,00
Meccanica, riparazione pneumatici, elettricità e lavaggio auto
5 12,50 4 13,30 3 9,70 12 8,70
Tessile ed abbigliamento
10 25,00 1 3,30 6 16,20 2 6,50 19 13,80
Telefonia 3 10,00 3 2,20 Calzoleria e fabbricazione di scarpe
2 5,00 2 5,40 4 2,90
Commercio alimentare
2 5,00 1 3,30 3 2,20
Commercio e riparazione di elettrodomestici
2 5,40 1 3,20 3 2,20
Trasporto 2 5,00 2 6,70 4 2,90 Librerie e cartolerie
1 2,50 1 3,20 2 1,40
Concerie 6 15,00 6 4,30 Altri servizi 2 5,00 8 26,70 7 18,90 4 12,90 21 15,20 Altre attività di produzione
4 10,80 1 3,20 5 3,60
Agricoltura 2 5,00 2 1,40 Tornio, saldatura ed idraulica
1 2,50 2 5,40 6 19,40 9 6,50
Totale 40 100 30 100 37 100 31 100 138 100
Un’analisi su base regionale, sottolinea che, ad eccezione di Khouribga e di
Casablanca dove si registra un risultato simile rispetto all’attività più
importante “Altri servizi” (rispettivamente con il 26,7% ed il 18,9%) nella
247
città di Béni Mellal, la attività più menzionata è quella del “Tessile ed
abbigliamento” che rappresenta il 25 per cento delle attività censite. A Nador
invece l’attività più citata è la “Costruzione ed attività connesse” con il 29
per cento. L’importanza della categoria “Altri servizi” è legata al fatto che le
persone interessate, vista la natura della loro attività, sperano di aver ac-
cesso a nuovi mercati sia per collocare la loro produzione che per rifornirsi.
• Settore di attività della piccola impresa
Le persone intervistate favorevoli a stabilire relazioni commerciali (diverse
dall’associazione) con partner marocchini residenti in Italia appartengono in
primo luogo al settore terziario (53,60%) - dato questo che conferma le
conclusioni del paragrafo precedente - in secondo luogo si colloca il settore
secondario con il 46,40 per cento. Un’analisi su base regionale ci permette di
dividere i luoghi in due gruppi differenti. Nel primo gruppo, che comprende
Béni Mellal e Nador, il settore secondario risulta il più importante
(rispettivamente con il 55 per cento ed il 67,7 per cento) mentre il settore
terziario occupa la seconda posizione con il 45 per cento ed il 32,30 per
cento. Nel secondo gruppo (Casablanca e Khouribga), diversamente da
quanto registrato nel primo, è il settore terziario a risultare il più importante
con rispettivamente l’86,7 per cento ed il 54,10 per cento, seguito dal
secondario con il 13,30 per cento per Casablanca ed il 45,90 per cento per
Khouribga. La predominanza del settore terziario nei differenti luoghi è
legata al fatto che le persone iniziano con maggiore facilità attività
commerciali che richiedono relativamente poco capitale e non necessitano di
percorsi di qualifica abilitanti. Questo risultato conferma l’idea che, in
generale ed indipendentemente dalla regione, è questa la cultura
commerciale che predomina in Marocco.
Tabella 3.84 – Suddivisione in base settore di attività delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con
partner marocchini residenti in Italia
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Settore
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Secondario 22 55,00 4 13,30 17 45,90 21 67,70 64 46,40
Terziario 18 45,00 26 86,70 20 54,10 10 32,30 74 53,60
Totale 40 100 30 100 37 100 31 100 138 100
248
Grafico 3.22 – Suddivisione in base settore di attività delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con
partner marocchini residenti in Italia
• Dimensione della piccola impresa
Sul totale delle 138 risposte analizzate il 63,1 per cento delle piccole imprese
ha meno di 5 dipendenti retribuiti. A Béni Mellal, l’85 per cento delle piccole
imprese ha meno di 5 dipendenti ed il 50 per cento ne ha al massimo due,
percentuali queste simili a quelle di Khouribga (63,30% e 46,7%
rispettivamente).
Béni Mellal
Sec .Terz.
Khouribga
Sec .
Terz.
Nador
Terz.
Sec .
Casablanca
Sec .
Terz.
Totale
Terz.
Sec .
249
Casablanca si caratterizza invece per valori notevolmente inferiori nelle
suddette categorie, e per la predominanza delle imprese con 3 dipendenti
(21,60%) ed in generale per la presenza di piccole imprese di maggiori
dimensioni (il 29,7% hanno da 7 a 10 dipendenti).
A Nador il gruppo più importante è quello della categoria da 1 a 3 dipendenti
(51,7%), il resto delle piccole imprese è suddiviso fra le altre categorie (da 4
a 10 dipendenti).
Tabella 3.85 – Suddivisione in base alla dimensione dell’impresa
delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini residenti in Italia
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Dipendenti
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
1 8 20,00 6 20,00 1 2,70 2 6,50 17 12,30
2 12 30,00 8 26,70 2 5,40 6 19,40 28 20,30
3 10 25,00 1 3,30 8 21,60 8 25,80 27 19,60
4 4 10,00 4 13,30 4 10,80 3 9,70 15 10,90
5 1 2,50 3 10,00 3 8,10 2 6,50 9 6,50
6 1 2,50 1 3,30 6 16,20 8 5,80
7 1 2,50 4 10,80 1 3,20 6 4,30
8 2 5,00 2 5,40 4 2,90
9 1 2,50 1 2,70 1 3,20 3 2,20
10 4 10,80 1 3,20 5 3,60
NR 7 23,30 2 5,40 7 22,60 16 11,60
Totale 40 100 30 100 37 100 31 100 138 100
La tendenza generale che si evidenzia a partire dai suddetti risultati è che
mano a mano che il numero di dipendenti della piccola impresa aumenta la
disposizione degli imprenditori ad allacciare relazioni commerciali con
l’estero diminuisce.
Situazione questa che si può spiegare in quanto, come già precedentemente
sottolineato, le imprese più piccole appartengono ai giovani che
tendenzialmente nutrono forti aspettative (effetti benefici per le loro attività)
dalle relazioni con l’estero.
250
Grafico 3.23 - Suddivisione in base alla dimensione dell’impresa delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione
con partner marocchini residenti in Italia
• Livello d’istruzione dell’artigiano
Sul gruppo considerato, il 52,10 per cento (72 persone) ha un livello di
istruzione che si colloca fra il medio ed il superiore, la percentuale di coloro
che hanno un livello di istruzione elementare è del 34,10 per cento. Gli
analfabeti rappresentano il 13,8 per cento del totale.
Un’analisi su base regionale evidenzia che Khouribga, è il luogo dove si
registra il più alto livello di istruzione (76,70%), seguito da Casablanca
(62,10%) Béni Mellal e Nador (con il 37,5% ed il 35,5% rispettivamente).
0
10
20
30
Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +
Béni Mellal
0
5
10
15
Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +
Khouribga
10
11
12
13
Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +
Casablanca
0
10
20
Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +
Nador
0
20
40
60
80
Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +
Totale
251
Situazione questa che si può spiegare in quanto a Khouribga si è arrivati ad
una saturazione delle tradizionali possibilità di lavoro (miniere di fosfato ed
amministrazione pubblica), e, conseguentemente, la maggior parte dei
giovani diplomati si trova obbligato ad essere imprenditore di se stesso.
Tabella 3.86 – Suddivisione in base al livello di istruzione del
proprietario delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini residenti in Italia
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Livello di istruzione
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Analfabeta senza
conoscenza di un mestiere
2 5,00 1 2,70 3 2,20
Analfabeta con conoscenza di un mestiere
6 15,00 2 6,70 5 13,50 3 9,70 16 11,60
Elementare 17 42,50 5 16,70 8 21,60 17 54,80 47 34,10
Medio 9 22,50 12 40,00 18 48,60 7 22,60 46 33,30
Superiore 6 15,00 11 36,70 5 13,50 4 12,90 26 18,80
Totale 40 100,00 30 100,00 37 100,00 31 100,00 138 100,00
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador
Grafico 3.24 - Suddivisione in base al livello di istruzione del proprietario delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione
con partner marocchini residenti in Italia
Analfabeta Elementare Medio Superiore
252
Infine, il fatto che più di due terzi delle persone interessate abbiano un
livello di istruzione fra l’elementare ed il medio evidenzia molto
probabilmente, data la giovane età di questa popolazione, un tasso di
abbandono scolastico molto alto nei quattro luoghi, e di conseguenza una
mancanza di fiducia nel sistema scolastico.
Tabella 3.87 – Suddivisione in base alle lingue parlate dal
proprietario delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini residenti in Italia
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Lingue
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Arabo 12 30,00 5 16,70 4 10,80 5 16,10 26 18,80 Arabo, spagnolo 1 2,50 3 9,70 4 2,90
Arabo, spagnolo, tedesco
1 3,20 1 0,70
Arabo, francese 13 32,50 12 40,00 11 29,70 11 35,50 47 34,10
Arabo, francese, tedesco
1 2,70 1 3,20 2 1,40
Arabo, francese, inglese
5 12,50 7 23,30 6 16,20 1 3,20 19 13,80
Arabo, francese, inglese, spagnolo
1 2,70 1 0,70
Arabo, francese, inglese, italiano
1 3,30 1 0,70
Arabo, francese, spagnolo
1 2,50 2 6,70 2 5,40 9 29,00 14 10,10
Arabo, francese, italiano
3 7,50 1 3,30 5 13,50 9 6,50
Arabo, francese, italiano, spagnolo
1 2,50 1 0,70
Arabo, francese, norvegese
1 2,70 1 0,70
Arabo, italiano 3 7,50 4 10,80 7 5,10
NR 1 2,50 2 6,70 2 5,40 5 3,60
Totale 40 100,00 30 100,00 37 100,00 31 100,00 138 100,00
253
Le conoscenze linguistiche rappresentano indubbiamente un supporto
fondamentale per sviluppare collaborazioni con partner esteri e la loro
distribuzione nel gruppo di impresari interessati a stabilire relazioni
commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini in Italia risulta
solo parzialmente legata al livello di istruzione formale precedentemente
rilevato.
Al di fuori di Béni Mellal (67,5%), si registrano percentuali molto alte di
imprenditori che conoscono almeno due lingue (Nador 83,90%, Casablanca
83,80%, Khouribga 76,60%).
Occorre inoltre sottolineare la peculiarità di Nador (città ubicata nell’area di
un ex-protettorato spagnolo): i dati relativi alla città rivelano fra i suoi
imprenditori la più alta competenza linguistica dei quattro luoghi.
Dato questo che non ci stupisce in quanto la regione, nonostante il basso
livello di istruzione che caratterizza i suoi imprenditori (vedi grafico 3.24), ha
una forte tradizione migratoria verso l’Olanda, il Belgio e la Germania che la
mette in contatto con aree linguistiche differenti.
Concludendo è necessario sottolineare come la percentuale più elevata di
persone che hanno dichiarato di parlare l’italiano si è registrata a Casablanca
(24,3%).
• Motivazione per la creazione della piccola impresa
La ricerca dell’indipendenza (31,9%) è sicuramente la motivazione
essenziale delle persone che hanno risposto favorevolmente rispetto
all’opportunità di allacciare relazioni diverse dall’associazione con partner
marocchini residenti in Italia.
In secondo luogo si evidenzia l’interesse per migliori guadagni (29%).
Un’analisi a livello regionale evidenzia le seguenti caratteristiche: a
Casablanca la ricerca di indipendenza è il fattore più importante (51,4%)
mentre lo è meno a Nador (38,7%), Béni Mellal (20%) e Khouribga
(16,7%).
L’interesse per migliori guadagni occupa il primo posto a Béni Mellal (42,5%)
mentre risulta di secondaria importanza a Casablanca (24,3%) Khouribga
(23,3%) e Nador (22,6%).
254
Tabella 3.88 – Suddivisione in base alla motivazione del proprietario delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione
con partner marocchini residenti in Italia
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Motivazione
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
NR 6 19,40 6 4,30
Disoccupazione 7 17,50 15 50,00 2 6,50 24 17,40
Ricerca di indipendenza 8 20,00 5 16,70 19 51,40 12 38,70 44 31,90
Migliori guadagni 17 42,50 7 23,30 9 24,30 7 22,60 40 29,00
Gusto del rischio 1 2,50 1 2,70 2 6,50 4 2,90
Eredità familiare 5 12,50 3 10,00 8 21,60 2 6,50 18 13,00
Esperienza/conoscenza del mestiere 2 5,00 2 1,40
Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Béni Mellal Khouribga C asablanca Nador
Grafico 3.25 - Suddivisione in base alla motivazione del proprietario delle PI favorevoli
a relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini
residenti in Italia
Disoccupazione Ricerca d'indipendenza M igliori guadagni
Gus to del ris chio Eredita familiare Esperienza
255
• Fattori essenziali per la creazione della piccola impresa
La disponibilità di fondi (44,90%) e le competenze tecniche (40,60%) sono i
principali fattori identificati dagli imprenditori, favorevoli a stabilire delle
relazioni commerciali (diverse dall’associazione) con partner marocchini
residenti in Italia, per la creazione dell’impresa. Entrambi i fattori risultano
fondamentali per allacciare relazioni con l’estero.
Tabella 3.89 – Suddivisione in base ai fattori considerati essenziali per la creazione dell’impresa delle PI favorevoli a relazioni
commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini residenti in Italia
Luogo
Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Fattori
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Disponibilità di fondi 15 37,50 8 26,70 21 56,80 18 58,10 62 44,90
Competenze tecniche 18 45,00 12 40,00 15 40,50 11 35,50 56 40,60
Competenze gestionali 3 7,50 6 20,00 2 6,50 11 8,00
Conoscenza delle reti 1 2,50 2 6,70 1 2,70 4 2,90
Risorse della regione 2 5,00 2 1,40
Altri 1 2,50 1 0,70
NR 2 6,70 2 1,40
Totale 40 100,00 30 100,00 37 100,00 31 100,00 138 100,00
Un’analisi a livello regionale sottolinea le seguenti differenze all’interno del
gruppo: a Casablanca il 56,8 per cento delle persone ha menzionato come
fattore fondamentale la disponibilità di fondi ed il 40,5 per cento le
competenze tecniche. Percentuali queste che a Nador corrispondono
rispettivamente al 58,10 per cento ed al 35,5 per cento mentre a Béni Mellal
al 37,5 per cento ed al 45 per cento (7,5% le risposte che si riferiscono alle
competenze gestionali). A Khouribga è la competenza tecnica il fattore
considerato più importante (40% rispetto al 26,7% della disponibilità di fondi
ed il 20% delle competenze gestionali). E’ infine da sottolineare come nei
quattro luoghi il fattore competenza risulti fondamentale (48,6%)
riproponendo così l’importanza del livello d’istruzione (precedentemente
sottolineata nel caso di Khouribga).
256
• Fondi utilizzati per la creazione della piccola impresa
A livello generale, la parte di fondi locali risulta la più importante (60,10%)
seguita dai fondi misti (locali ed esterni 26,8%) e dai fondi esterni (13%).
Ad ogni modo un’analisi su base regionale evidenzia alcune differenze: a
Khouribga i fondi misti sono i più importanti (50%) seguiti dai fondi locali
(46,7%). A Béni Mellal una parte importante dei fondi arriva dall’estero
(22,5% di fondi esterni e 17,5% di fondi misti, locali ed esterni). Dati questi
che sottolineano l’importanza delle rimesse dall’estero nell’attività economica
di questa regione.
A Nador ed a Casablanca invece, i fondi locali continuano ad essere i più
importanti con il 57,7 per cento ed il 64,9 per cento rispettivamente. I fondi
misti sono maggiormente menzionati a Nador (29%) che a Casablanca
(16,2%). I fondi esterni sebbene non raggiungano i livelli delle prime due
città sono relativamente importanti anche a Casablanca (18,9%) mentre
quasi assenti a Nador (3,2%).
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Béni Mellal Khouribga C asablanca Nador
Grafico 3.26 – Suddivisione in base ai fattori considerati essenziali per la creazione
dell’impresa delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con
partner marocchini residenti in Italia
Disponibilita di fondi Competenze tecniche Competenze gestionaliConoscenza delle reti Risorse della regione Altri
257
3.1.3. Il ruolo dell’emigrazione nello sviluppo e
nell’internazionalizzazione della piccola impresa in Marocco
Maddalena Spada, Mattia Vitiello
L’EMIGRANTE MAROCCHINO E LO SVILUPPO IMPRENDITORIALE:
OBIETTIVI E METODOLOGIA
La principale peculiarità ed interesse del presente progetto è rappresentata
dal fatto che esso è stato implementato allo stesso tempo in Italia ed in
Marocco (in modo particolare per quanto riguarda la parte della ricerca sulle
potenzialità del migrante marocchino come agente di sviluppo che è stata
svolta in questi due paesi con la stessa ipotesi guida e con obiettivi molto
simili). Mentre in Italia l’obiettivo principale era quello di capire come e quali
dotazioni di capitale acquisite dagli immigrati marocchini durante le loro
esperienze migratorie in Italia potevano essere attivate in vista di interventi
di sviluppo nelle loro comunità di origine, in Marocco si è tentato di capire se
gli emigranti marocchini avevano già utilizzato le loro dotazioni di capitale in
questo senso. In particolare, l’obiettivo principale è stato quello di
individuare il ruolo svolto dal migrante marocchino nello sviluppo e
nell’internazionalizzazione della piccola impresa marocchina, più
precisamente, si è tentato di capire il ruolo dell’emigrazione nel favorire:
(i) il finanziamento della piccola impresa nella comunità di origine;
(ii) la formazione e l’innovazione nella produzione della stessa piccola
impresa;
(iii) l’importazione sia di materie prime che di mezzi di produzione e
strumenti di lavoro;
(iv) l’esportazione e l’apertura di nuovi mercati per la produzione della
piccola impresa.
L’indagine è stata condotta su un campione composto da 10 piccole imprese
per ognuna delle quattro province oggetto della ricerca e cioè: Nador; Béni
Mellal; Khouribga e Hay Mohammedi (Casablanca). La scelta dei soggetti da
intervistare è stata guidata essenzialmente da due criteri:
• la presenza nella piccola impresa di relazioni con paesi esteri europei;
258
• la copertura nella diversificazione per tipologia dei principali settori
produttivi delle piccole imprese presenti nelle quattro province.
L’inchiesta è stata svolta in forma di intervista aperta al gestore della piccola
impresa. L’intervista è stata effettuata sulla base di un questionario che
comprendeva delle domande sui seguenti argomenti :
• tipo di relazione della piccola impresa con l’estero;
• caratteristiche di questa relazione e risorse che essa veicola;
• viaggi connessi con questa relazione con l’estero;
• principali difficoltà incontrate dai soggetti nello loro relazione;
• soluzioni che hanno risolto e/o che si propongono di adottare per
risolvere queste difficoltà;
• opinione rispetto alla possibilità che gli emigranti possano essere utili
allo sviluppo della propria impresa;
• conoscenza di casi di emigranti che hanno investito in Marocco con
successo;
• conoscenza di istituzioni che aiutano gli emigranti ad investire;
• informazioni su amici e/o familiari residenti all’estero e sulla loro storia
migratoria (del tipo: genere, età, data di partenza, occupazione nel
paese d’arrivo, se inviano rimesse o aiuti, ecc.).
Tutte queste informazioni sono state rielaborate in modo da identificare
l’impatto che la storia migratoria del gestore o della sua famiglia ha avuto
sullo sviluppo della piccola impresa indagata e dei suoi legami con l’estero.
NON SOLO RIMESSE. GLI EMIGRANTI E LE PICCOLE IMPRESE: I
RISULTATI DELL’INDAGINE PER PROVINCIA
Dalla lettura delle interviste si evince un primo elemento comune a tutte le
piccole imprese delle province prese in esame. Un elemento questo che
chiarisce ulteriormente e, al contempo, rafforza l’ipotesi di ricerca del
presente progetto: il ruolo degli emigranti nello sviluppo imprenditoriale non
si ferma al solo finanziamento attraverso l’invio e l’uso delle rimesse, ma
esso si espleta soprattutto nell’innovazione sia dei processi produttivi delle
stesse piccole imprese che nell’apertura di nuovi mercati per la produzione di
queste ultime. Questo significa che in alcuni casi il migrante marocchino
agisce come agente di sviluppo e di innovazione.
259
Scopo di questo paragrafo è quello sia di illustrare i suddetti casi e le
modalità che permettono al migrante di operare come agente di sviluppo e
di innovazione, che di trarre da queste esperienze delle linee guida per
interventi futuri che facciano leva sul ruolo dell’emigrante. I risultati
dell’analisi verranno presentati secondo le province allo scopo di dare conto
delle specificità di ogni contesto in merito alla questione presa in esame.
Il contesto della provincia di Nador
I contenuti delle interviste sono presentati in maniera sintetica in tabella
3.90 dove le righe rappresentano i casi indagati e in colonna sono riportate:
il settore produttivo delle piccola impresa; il grado di istruzione del gestore
della stessa; il numero di persone che lavorano nell’impresa (con contratti di
lavoro formalizzati e non); il tipo di relazione che intrattengono con il paese
europeo; l’eventuale presenza di un intermediario in questa relazione; i
paesi con cui intrattengono relazioni; se questa relazione comporta eventuali
viaggi da parte dell’intervistato; e l’origine di questa relazione.
Note: Dip.= numero di dipendenti Rel.= tipo di relazione V.= viaggi
Fonte: elaborazione personale.
Tabella 3.90 – Riassunto casi Nador
Settore Istruzione Dip. Rel. Intermediari Paese V.
Partner estero
Origine relazione
1 Falegnameria Analfabeta 27 Import No Spagna Si No Vicinanza geografica
2 Ferramenta Diploma 3 Import No Francia No No Migrazione
3 Mobili per ufficio
Diploma 10 Import No Germania Si Fratello Migrazione
4 Meccanico Professionale 5 Import No Italia Germania
No No Migrazione
5 Grossista legno
Master 21 Import No Svezia Brasile
Si Società di produzione
Viaggi
6 Lavorazione lastre marmo
Elementare 27 Import No Italia
No Società di
produzione Internet
7 Negozio di mobili
Diploma 1 Import No Italia Spagna
Si No Famiglia
8 Falegnameria Professionale 3 Import No Spagna Si Società di produzione
Migrazione
260
Innanzitutto occorre sottolineare che i paesi con cui i soggetti intraprendono
relazioni sono quei paesi in cui è maggiormente diffusa la presenza
immigrata marocchina, questo elemento, comune a tutte le piccole imprese,
rappresenta un primo indicatore di un possibile ruolo dell’emigrazione nella
costruzione di reti commerciali e nella diffusione di innovazione.
Le piccole imprese contattate in Nador intrattengono con l’estero
essenzialmente relazioni di tipo commerciale improntate all’importazione di
materiali semilavorati (principalmente legno o marmo) nel caso dei
grossisti che hanno dei rapporti commerciali stabili e formalizzati con
società di produzione europee, o di merci europee come nel caso delle
falegnamerie, della ferramenta e dei commercianti di mobili. Per quanto
riguarda l’origine della relazione con l’estero si nota che in 5 casi su 8 la
relazione con l’estero è nata dalla presenza di un familiare emigrato in
Europa o da un’esperienza diretta di emigrazione, negli altri casi la relazione
nasce dalla prossimità geografica (Spagna), dall’utilizzo di internet o dalla
presenza di grosse società a Casablanca che mediano la relazione. E’ molto
interessante il caso n. 3 che intrattiene una relazione commerciale tramite il
fratello emigrato in Germania (che però in questo caso si limita alla sola
importazione di mobili per ufficio). Le relazioni con l’estero quindi sono
ridotte a quelle di tipo commerciale e in particolare modo alla sola
importazione a causa, secondo gli stessi intervistati, della difficoltà di creare
una rete di contatti all’estero che sia stabile e duratura nel tempo e che
permetta di evolversi diversamente dalla mera relazione commerciale.
Questo è dovuto soprattutto:
• ai problemi nell’ottenere un visto da parte degli imprenditori per recarsi
in Europa ed esplorare i mercati;
• alle difficoltà legate alla dogana ed alla tassazione imposta alle merci
d’importazione;
• alla concorrenza dei grossisti di Casablanca che rende impossibile
trovare partner all’estero perché tutte le imprese europee preferiscono
lavorare con grosse imprese.
E’ evidente che le restrizioni alla mobilità promosse dalla politica
immigratoria europea impediscono che gli imprenditori marocchini si rechino
in Europa e che vi restino il tempo sufficiente per acquisire quella serie di
conoscenze, di relazioni (quello che chiameremmo capitale sociale) e di
risorse che gli permetterebbero di conoscere i mercati e le tecniche di
261
produzione più avanzate in modo da poter diventare adeguati partner
commerciali e produttivi per le imprese europee. Inoltre le stesse politiche
immigratorie europee, come anche le legislazioni che regolano le attività
produttive e commerciali, rendono quasi impossibile che questo ruolo sia
svolto dallo stesso migrante marocchino che sicuramente dispone delle
dotazioni di capitale necessarie.
Il contesto della provincia di Béni Mellal
Le piccole imprese indagate si situano nel settore dei servizi: caffè;
lavanderie; laboratori di sviluppo foto; commercio di macchine agricole,
un’impresa edile ed infine un tornitore (tabella 3.91).
Tabella 3.91 – Riassunto casi Béni Mellal
Settore Istruzione Dip. Rel. Intermediari Paese V.
Partner estero
Origine relazione
1 Laboratorio di sviluppo
foto Diploma 8
Import Formaz.Finanz.
Si Germania
Italia No No
Ex emigrante in
Italia
2 Lavaggio auto
Elementare 4 Finanz. No Italia No No Ex
emigrante in Italia
3 Piccola impresa
edile Elementare 6 Formaz. No Italia No No
Ex emigrante in
Italia
4 Libreria e cartoleria
Professionale 2 Import Comm.
Si Spagna Si No Fratello
5 Lavanderia Professionale 2 Finanz. No Francia No No Padre ex
emigrante in Francia
6 Tornitore Elementare 4 Finanz. No Italia No Socio Italiano
Amici emigrati in
Italia
7 Caffè Diploma 2 Formaz. Finanz.
No
Italia
No No Ex
emigrante in Italia
8
Caffè e commercio di
macchine agricole
Diploma 2 Finanz. Import
Si Italia No Società italiane
Ex emigrante in
Italia
Note: Dip.= numero di dipendenti Rel.= tipo di relazione V.= viaggi
Fonte: elaborazione personale.
262
Il tipo di relazione più diffuso che le piccole imprese intrattengono con
l’estero è la raccolta di capitale monetario per il finanziamento sia per
avviare le loro attività imprenditoriali che per sostenerle e per l’innovazione
delle stesse. In tutti questi casi i capitali provengono da rimesse susseguenti
a esperienze di emigrazione propria o di familiari.
Si segnala il caso dell’impresa edile in quanto il proprietario (caso n. 3) è
stato espulso dall’Italia, perché in possesso di permesso di soggiorno
scaduto e non rinnovato, senza avere la possibilità di recuperare i soldi che
aveva risparmiato.
La seconda modalità di relazione con l’estero più diffusa riguarda la
promozione di innovazione (soprattutto di pratiche produttive nuove)
attraverso, anche in questo caso, l’esperienza migratoria. In molti casi
l’innovazione è stata appresa attraverso una vera e propria formazione
tecnica acquisita in Italia durante il periodo migratorio (ad esempio in campo
edilizio o per lo sviluppo delle foto). In altri casi invece la formazione ha
avuto luogo attraverso un percorso lavorativo ascendente di tipo
professionalizzante, come nel caso n. 7, in cui il proprietario del caffè nel
corso della sua esperienza migratoria in Italia ha avuto modo di acquisire le
tecniche della lavorazione del vetro e dell’agricoltura biologica. Il problema è
rappresentato dal fatto che tale tipo di capitale umano non è stato sfruttato
una volta che il soggetto è rientrato in Marocco poiché lo stesso ha preferito
investire i suoi risparmi in un’attività più sicura e stabile come un caffè, dove
non ha nemmeno bisogno di dipendenti perché può gestirlo da solo con suo
padre.
L’importazione di merci e mezzi di produzione dall’Europa è presente solo
come attività parallela rispetto a quella principale, come nel caso n. 8, dove
il proprietario del caffè ha orientato l’uso delle sue rimesse in direzione di un
investimento non rischioso sebbene a bassa redditività, ma in parallelo
importa anche delle macchine per la produzione dell’olio di oliva dall’Italia
che poi rivende agli agricoltori della regione. Infine bisogna citare il caso n. 4
proprietario di una libreria che durante i mesi estivi si dedica al commercio
con la Spagna dove è emigrato un suo fratello.
Gli intervistati identificano le maggiori opportunità di sviluppo della regione
soprattutto nei settori della trasformazione dei prodotti agricoli e nel turismo
di montagna. In questi settori, sempre secondo gli stessi intervistati, una
263
relazione con l’Italia può essere molto utile sia per avere accesso a nuovi
macchinari o metodologie di produzione sia per la promozione turistica.
In questa provincia tuttavia i migranti non fanno investimenti in tali settori
produttivi come l’agricoltura ed i servizi turistici, ma investono soprattutto
nella ristorazione, o nei casi più innovativi in servizi come téléboutique
(Internet Caffè), laboratori di sviluppo foto, meccanici ecc., oppure nel
settore dell’edilizia.
Secondo gli esperti delle istituzioni locali, come il funzionario della Cellula di
Appoggio e Consiglio alle Piccole imprese e quello della delegazione
dell’Industria, le ragioni sono le seguenti:
• le persone che emigrano verso l’Italia vengono da famiglie contadine
della campagna intorno a Béni Mellal, e dunque non hanno una
formazione elevata o comunque non in creazione e gestione d’impresa;
• in Italia i migranti sono lavoratori dipendenti, per cui apprendono
tecniche innovative nel settore in cui sono impiegati, ma non lo spirito
imprenditoriale, oppure sono commercianti, per cui dall’esperienza
migratoria ricavano competenze tecniche e commerciali, ma non
imprenditoriali;
• infine, dalle esperienze passate degli emigranti si ricava che, durante il
periodo in cui sono stati in Europa, i migranti spesso investono i loro
risparmi in attività di speculazione, come l’acquisto e la vendita di
terreni, generando un aumento dei prezzi della terra. In effetti il caso
n. 7 della tabella ricorda che è riuscito a comprare il caffè grazie ai
guadagni fatti sulla compravendita di terreni.
In tutte le interviste svolte traspare, dunque, che il capitale umano sotto
forma di formazione tecnica acquisita in Italia, non è sufficiente per favorire
l’investimento delle proprie rimesse in settori innovativi della produzione e
dei servizi da parte dei migranti di ritorno. Questo soprattutto a causa
dell’alto tasso di rischio di tali investimenti in un tessuto produttivo molto
depresso come quello della provincia di Béni Mellal e della scarsa assistenza
pubblica sia nella parte della creazione di impresa che nella gestione della
stessa. La provincia di Béni Mellal rappresenta la zona del Marocco con una
più antica e consolidata tradizione migratoria, dove i flussi sono
maggiormente concentrati verso l’Italia, la Francia e la Spagna. In questa
regione sono più avanzate le esperienze degli emigranti che costruiscono
delle reti transnazionali con le loro comunità di origine.
264
I problemi evidenziati nella gestione di queste reti ed il principale ostacolo
che le stesse incontrano nella loro evoluzione in reti stabili e veicolo di
innovazione e capitali stanno soprattutto nella mancanza di fiducia da parte
degli italiani nei migranti e nei marocchini presenti in patria, e nella difficoltà
di trovare contatti in Italia. Una soluzione a queste difficoltà quindi potrebbe
passare attraverso un consolidamento del capitale sociale dei migranti
marocchini ed attraverso l’adozione di politiche di immigrazione da parte dei
paesi europei che permettano un passaggio di informazioni più efficace e la
costituzione di una rete di contatti.
In conclusione i migranti di ritorno dall’Europa, pur avendo in generale molte
risorse economiche, non sono stati in grado, per il tipo di esperienze vissute
e di formazione ottenuta, di fare investimenti produttivi, di lunga scadenza.
Di solito si dedicano ad attività speculative, immediatamente redditizie o
immobilizzano i loro risparmi in attività poco redditizie ma che considerano
sicure.
Nondimeno occorre sottolineare che una conseguenza notevole
dell’emigrazione nella provincia di Béni Mellal è l’aumento della liquidità nelle
banche che facilita l’accesso al credito per gli investitori locali.
Secondo il consulente del Ministero dell’Industria ed i consulenti alle imprese
delle Camere del Commercio e dell’Industria e del Centro Regionale
d’Investimento, bisogna aiutare e indirizzare gli investitori locali verso i
settori produttivi ed innovativi. Una volta identificato un progetto con un
adeguato studio di fattibilità non è un problema accedere al credito delle
banche. Un caso molto interessante a questo proposito è rappresentato dal
caso n. 6, di professione tornitore. Il proprietario di questa officina, un
giovane con educazione primaria e che non ha mai viaggiato all’estero, è
riuscito a trovare un socio italiano, con cui ha diviso il capitale iniziale della
piccola impresa, attraverso l’aiuto di amici emigrati in Italia. Inoltre, sempre
in base ai contatti con migranti marocchini, ha organizzato un viaggio in
Italia per acquistare macchinari più moderni.
In conclusione sembra che per lo sviluppo di piccole imprese produttive e
per la loro internazionalizzazione, la migrazione possa giocare un ruolo
rilevante, non tanto per gli investimenti dei migranti di ritorno, quanto per le
possibilità che la migrazione apre agli imprenditori locali in termini di
disponibilità al credito e costruzioni di reti con imprese Italiane.
265
Il contesto della provincia di Khouribga
Anche la provincia di Khouribga come quella di Béni Mellal è una zona con
una consolidata tradizione migratoria con un’alta presenza in Italia. I
soggetti intervistati hanno attività lavorative concentrate nei servizi: negozi;
ristorante; laboratorio per lo sviluppo di fotografie; locali di intrattenimento
e taxi; oltre ad un odontotecnico ed un rivenditore di marmo (tabella 3.92).
Tabella 3.92 – Riassunto casi Khouribga
Settore Istruzione Dip. Rel. Intermediari Paese V.
Partner estero
Origine relazione
1 Impresa di marmo
Università 18 Import Finanz.
Nazionali Internaz.
Spagna Italia
Si Società in Italia
Ex-migrante in Italia.
2 Laboratorio
protesi dentarie
Università 7 Finanz. Nazionali Italia No No Fratello
migrante in Italia.
3 Latteria Università 2 Finanz. Provinciali Italia No No Fratello
migrante in Italia
4 Ferramenta e Sala giochi
Secondaria 1 Finanz. Nazionali Italia No No Ex-migrante in Italia
5 Taxi Università 2 Finanz. No
Italia
No No
Fratello e sorella
migranti in Italia
6 Laboratorio di foto
Analfabeta 2 Import
Finanz. Nazionali
Italia
No No Ex-migrante in Italia
7 Meccanico
(vende pezzi di ricambio)
Secondaria 0 Finanz. Nazionali Italia No No Fratello
migrante in Italia
8 Commercio di prodotti alimentari
Secondaria 0
Finanz.
Nazionali Italia No No Fratello
migrante in Italia
Note: Dip.= numero di dipendenti Rel.= tipo di relazione V.= viaggi
Fonte: elaborazione personale.
Anche in questo caso la relazione con l’estero più diffusa riguarda il
finanziamento, legato o a fondi propri risparmiati durante l’emigrazione od a
finanziamenti di familiari emigrati.
266
Come sottolineato da uno degli intervistati, il caso n. 4, i finanziamenti sono
piccoli e permettono solo la creazione di piccole imprese. In generale le
persone intervistate a Khouribga sono emigrate verso il Piemonte dove
hanno lavorato come operai o dipendenti di aziende italiane, dove hanno
percepito salari che non hanno permesso loro grossi risparmi. Inoltre
l’esperienza di lavoro in Italia non ha permesso ai migranti di acquisire delle
significative competenze tecniche da essere riportate in Marocco all’interno
di una piccola impresa. Per cui anche in questo caso i migranti si sono
ritrovati ad investire i propri risparmi in piccoli negozi o caffè non molto
redditizi.
Il caso n. 4, proprietario di una sala giochi, è stato in Italia per 9 anni, dove
ha lavorato in un forno di una panetteria e pasticceria. Tornato a Khouribga
con un po’ di risparmi e l’intenzione di aprire un forno, non aveva a
disposizione il capitale sufficiente per cui ha rilevato il negozio di ferramenta
del fratello.
Ma la cosa non ha funzionato e ha dovuto rivenderlo. Secondo l’intervistato,
dunque, il fatto di avere a disposizione finanziamenti iniziali troppo piccoli
impedisce ai migranti di ritorno di investire nei settori che potrebbero essere
veramente produttivi.
Un caso molto simile è il caso n. 3, proprietario di una latteria. L’intervistato
ha aperto la latteria grazie ai capitali del fratello, operaio in un’impresa edile
a Firenze. Tuttavia data la scarsa consistenza del capitale iniziale la latteria è
molto piccola e non è redditizia, tanto che per pagare le tasse è necessario
un aiuto continuo da parte del fratello in Italia.
Si presenta molto interessante il caso n. 1 che illustra le conseguenze che
può avere la legislazione migratoria dei paesi di arrivo nei paesi di partenza.
L’intervistato, ex emigrante in Italia, è riuscito a creare un’impresa di
produzione di lastre di marmo. Arrivato in Italia clandestinamente, è riuscito
a regolarizzare la propria presenza grazie alla legge Martelli, ed ha potuto
occuparsi di commercio nel mercato di Piazza Vittorio a Roma. Dato che la
sua famiglia possedeva una piccola impresa di produzione di marmo a
Khouribga, durante il suo soggiorno in Italia ha preso contatti con le imprese
di Massa Carrara. Quando è rientrato in Marocco (rientro non definitivo
perché avendo il permesso di soggiorno viaggia spesso tra l’Italia ed il
Marocco) ha investito i suoi risparmi nella produzione di lastre di marmo.
267
Per ora importa il granito dalla Spagna e dall’Italia, la sua impresa lo lavora
e lo rivende sul mercato locale. Il suo investimento a lungo termine lo
dovrebbe portare ad esportare il granito di Khouribga in Italia. L’intervistato
dispone di un capitale sociale in Italia abbastanza sviluppato avendo molti
contatti con imprese di produzione di marmo italiane.
L’intervistato può disporre di un capitale sociale abbastanza sviluppato anche
grazie al possesso dei documenti necessari per rientrare in Italia e siccome è
inscritto alla Camera di Commercio Italiana, il consolato Italiano a
Casablanca lo invita a tutte le fiere di marmo che ci sono in Italia.
Un caso di finanziamento attraverso l’uso delle rimesse che ha avuto buon
fine è rappresentato dal caso n. 2. L’intervistato, grazie all’aiuto finanziario
di un fratello che lavora come salariato a Bologna, ha intrapreso un’attività
di odontotecnico. Avendo una competenza specifica (grazie ad una
formazione di 3 anni a Rabat), l’intervistato è riuscito a valorizzare al
massimo il finanziamento del fratello.
Inoltre, anche l’intervistato n. 6 presenta un caso di successo. Quest’ultimo
è un proprietario di un laboratorio per lo sviluppo fotografico che ha reperito
i fondi necessari all’apertura della sua attività in Marocco grazie alla sua
esperienza migratoria, ma la sua relazione con l’Italia comporta anche
l’importazione di macchinari. Anche in questo caso l’intervistato, che ha la
famiglia a Milano e in Italia si occupa di commercio, presenta un modello
migratorio di tipo rotatorio, e cioè passa un periodo dell’anno in Italia e un
altro in Marocco. L’intervistato afferma che è stato attraverso la sua attività
commerciale in Italia che si è reso conto della possibilità di investire in
Marocco utilizzando macchinari considerati di scarto in Italia. Egli sostiene di
aver imparato in Italia, attraverso le sue attività commerciali, lo spirito
imprenditoriale. Bisogna sottolineare, ancora una volta, che la stabilità della
condizione giuridica dell’emigrante marocchino in Italia permette che esso
costituisca il soggetto ed il tramite di una relazione tra l’Italia ed il Marocco
significativa e positiva per entrambi i paesi. Questa considerazione trova
un’ennesima conferma dal caso di un imprenditore marocchino che abita a
Torino e che gestisce 5 imprese in Italia. L’intervistato si presenta come una
persona molto benestante con relazioni molto strette con le autorità locali e
considerata da tutta la popolazione locale come un uomo di valore. Questo
suo capitale sociale, come lo stesso soggetto riconosce, è dovuto anche alla
sua esperienza migratoria di successo.
268
L’intervistato possiede un progetto imprenditoriale che sembra cogliere
nell’esperienza dell’emigrazione un percorso importante per i giovani
marocchini a patto che essa sia sostenuta ed assistita sia in Italia che in
patria. Infatti egli pensa che la sua esperienza sia replicabile a patto che vi
sia un percorso formativo che prepari i giovani a emigrare in Italia. Una
formazione nella lingua italiana e una formazione tecnica centrata sulle
necessità delle imprese italiane che in teoria dovrebbe aiutare gli allievi a
trovare un lavoro in Italia.
In conclusione, secondo le persone intervistate, i migranti in Italia possono
essere utili alla piccola impresa principalmente per il finanziamento e per
l’importazione di macchinari per la produzione dall’Italia. Mentre la
formazione acquisibile in Italia non è considerata una priorità.
A Khouribga l’emigrazione si è mostrata in grado di favorire solamente il
finanziamento di piccole imprese poco redditizie tranne in quei casi in cui il
gestore abbia una competenza specifica di alto livello (odontotecnico) o il
finanziamento proveniente dall’Italia sia di grossa portata. Per favorire lo
sviluppo di piccole imprese, con un alto impatto sul mercato del lavoro e
innovative, è necessario che il migrante stesso abbia la possibilità di entrare
e uscire dall’Italia e possa dedicarsi al commercio ed all’attività
imprenditoriale.
Il contesto della provincia di Hay Mohammedi (Casablanca)
Gli intervistati concentrano le loro attività imprenditoriali soprattutto nei
servizi: ristoranti, caffè e settore immobiliare. Nella produzione sono
presenti produzione di calzini, produzione di stampi in plastica e metallo,
prodotti chimici. Per quanto riguarda i tipi di relazione si deve sottolineare
l’esistenza di una differenza rilevante tra l’uso delle rimesse per gli
investimenti da parte degli ex emigranti in Italia e degli ex emigranti in
Francia o Canada. Per i primi gli investimenti sono soprattutto nei servizi di
ristorazione, di hammam (bagni pubblici tipici della tradizione marocchina),
teleboutique, ecc., mentre per i secondi gli investimenti sono principalmente
in settori produttivi, come piccole industrie di trasformazione di prodotti
chimici, o di materia plastica ecc.
269
Tabella 3.93 – Riassunto casi Hay Mohammedi (Casablanca)
Settore Istruzione Dip. Rel. Intermediari Paese V.
Partner estero
Origine relazione
1 Fabbricazione dicalzini
Università 10
Formaz. Import
Nazionali Italia Si No
2 Ristorante Secondaria 6 Finanz. No Italia No No Ex
emigrante in Italia
3 Caffetteria e snack
Secondaria 10 Finanz. Nazionali Italia No No Ex
emigrante in Italia
4
Servizi (hammam)
Impresa immobiliare
Secondaria 16 Finanz. No Italia Si No Ex
emigrante in Italia
5 Trasformazione
di materia plastica
Secondaria 7 Finanz. Formaz.
Regionali
Italia
No No Ex
emigrante in Italia
6 Lavorazione vetro e specchi
Secondaria 11 Comm.
Italia
No No
7 Prodotti chimici Analfabeta 5 Finanz. Formaz. Import
Inter.
Francia Germania
Italia Spagna
Si No Ex
emigrante in Francia
8 Grossista di materia plastica
Secondaria 3 Finanz. No Francia No Ex
emigrante in Francia
9 Ristorante e catering
Università 7
Finanz. Formaz.
Nazionali Francia Si Ex
emigrante in Francia
10 Fabbricazione di
stampi in metallo
Università 8 Finanz. Formaz.
Nazionali Canada Si Ex
emigrante in Canada
11
Produzione di materiale
audiovisivo
Secondaria 4
Finanz. Formaz. Import
Inter. Francia Si No Ex
emigrante in Francia
Note: Dip.= numero di dipendenti Rel.= tipo di relazione V.= viaggi
Fonte: elaborazione personale.
270
Questa differenza può essere legata al fatto che gli ex emigranti in Francia o
Canada hanno evidenziato, durante le interviste, l’importanza della
formazione ricevuta all’estero, situazione meno presente tra gli ex emigranti
in Italia. Gli emigranti in Francia e Canada ritengono l’esperienza migratoria
molto importante per la loro formazione e l’acquisizione di competenze
tecniche, anche perché hanno lavorato in imprese estere con ruoli
dirigenziali, per cui accanto alla formazione hanno avuto esperienze di lavoro
in campo imprenditoriale.
Per gli ex emigranti in Italia il tipo di relazione più importante con l’Italia si
limita al reperimento del finanziamento iniziale, legato ai risparmi accumulati
durante il periodo migratorio. Ci sono però due eccezioni.
Il caso n. 4 è un signore di 54 anni originario di Beni Meskine, la regione da
cui è partita la prima emigrazione verso l’Italia. Il suo percorso migratorio,
cominciato verso gli anni ’70, è molto complesso, è passato dalla Francia
all’Italia ai paesi dell’Est Europa. Alla fine è riuscito a installarsi in Italia e, in
seguito, a crearvi un’impresa che produce tappeti di stile marocchino con
materiali italiani e macchinari italiani. Questa impresa è ancora attiva.
Quando è tornato in Marocco nel 1992 ha aperto a Casablanca una serie di
hammam (che sono molto redditizi) e successivamente un’impresa edile.
L’intervistato possiede il permesso di soggiorno e abita sia in Italia che a
Casablanca per seguire i suoi affari.
Egli, dunque, mostra un percorso migratorio ascendente e una buona
integrazione nella società italiana. E’ arrivato in Italia all’inizio con i “pioneri”
di Beni Meskine, ma è riuscito a fondare un’impresa produttiva in proprio in
Italia attraverso la quale si è costruito una rete di conoscenze di piccoli
imprenditori italiani e si è formato. La sua integrazione in Italia e la
possibilità di viaggiare tra Italia e Marocco fa si che esso possa svolgere
un’attività imprenditoriale anche in Marocco.
Il caso n. 5 possiede un’impresa di trasformazione di materia plastica e di
fabbricazione di stampi che ha creato nel 1996 dopo aver seguito una
formazione tecnica in questo settore in Italia.
In più ci sono due casi di persone che non hanno mai migrato ma che hanno
delle relazioni ben strutturate con l'estero, il primo con l’Italia, il secondo con
altri paesi Europei.
271
Il caso n. 1 ha una relazione commerciale con l’Italia per l’importazione di
macchinari di produzione e per la formazione del personale (cioè invia in
Italia il personale per imparare il funzionamento delle macchine).
Il caso n. 6 ha fondato un’impresa di lavorazione del vetro, non è mai stato
un migrante ma ha delle relazioni con la Francia ed altri paesi europei.
Essendosi iscritto a Casablanca alla camere di commercio di questi paesi,
riceve gli inviti per partecipare a fiere all’estero dove trova contatti sia per
acquisire materie prime che per esportarle. Tuttavia con la camera di
Commercio Italiana questo meccanismo non ha funzionato perché tutte le
volte che riceve un invito per partecipare ad una fiera in Italia il Consolato gli
nega il visto.
Altri due casi simili sono il caso n. 10 ed il n. 7 perché entrambi sono
ritornati in Marocco al momento della pensione lasciando la famiglia (moglie
e figli) rispettivamente in Canada ed in Francia. Il primo ha un’educazione
universitaria e il secondo è analfabeta. Entrambi hanno la doppia nazionalità.
Tutti e due gli intervistati hanno creato un’impresa grazie all’investimento
delle rimesse e l’utilizzo delle competenze acquisite attraverso le esperienze
lavorative espletate all’estero.
Anche a Casablanca sono state rilevate delle posizioni comuni in merito alla
possibilità di creare dei partnerariati con l’Italia, rilevando in primo luogo la
difficoltà enorme di avere visti per l’Italia e la poca fiducia nei marocchini
emigrati verso l’Italia, considerati poco seri e poco competenti.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Le esperienze dei quattro contesti provinciali indagati, soprattutto delle
province di Béni Mellal e Khouribga, che sono le province del Marocco con la
più lunga e consolidata tradizione migratoria, mostrano come l’esperienza
migratoria passata ed il migrante stesso possono avere un ruolo propulsivo
nello sviluppo imprenditoriale delle loro comunità di origine.
Questo ruolo, inoltre, non si ferma al solo reperimento dei fondi per
finanziare nuove attività imprenditoriali attraverso l’uso delle rimesse, ma si
estende anche all’allargamento dei mercati per la produzione delle imprese
locali, alla costruzione di reti commerciali e all’importazione di mezzi di
produzione e modi di produzione innovativi.
272
Insomma, il migrante ha mostrato di possedere tutte le risorse necessarie
all’internazionalizzazione delle piccole imprese della sua comunità e in alcuni
casi lo stesso migrante ha funzionato da vero e proprio catalizzatore
dell’espansione dei mercati delle stesse imprese. Queste potenzialità però si
scontrano con dei grossi limiti che ne inficiano il pieno funzionamento.
Innanzitutto, il ruolo del migrante non può ridursi al solo investimento delle
proprie rimesse.
Le esperienze raccolte dall’indagine di campo rilevano numerosi limiti da
questo punto di vista. Data l’esiguità delle rimesse rispetto alla dimensione
dei capitali necessari all’innovazione del tessuto produttivo delle province
indagate, la mancanza di una visione strategica e complessa del migrante
rispetto allo sviluppo economico della propria comunità di origine – visione
che non può essere richiesta ad un singolo individuo, ma che deve essere
propria delle comunità – e l’alto tasso di rischi che un investimento
produttivo comporta in zone economiche poco dinamiche come quelle
indagate, i migranti preferiscono investimenti sicuri anche se a bassa
redditività. Per queste ragioni quando il migrante ritorna nel paese di
partenza preferisce investire nella ristorazione o nel campo immobiliare.
I casi intervistati dimostrano che quando il capitale monetario costituito dalle
rimesse dei migranti viene investito all’interno di un ambiente economico in
cui esistono istituzioni di direzione e controllo dei mercati, e in sinergia con
altre dotazioni di capitale dello stesso migrante, come quello umano e
sociale accumulato dai migranti durante le loro esperienze migratorie, e
infine, in presenza di forti relazioni con paesi europei di cui il migrante
presente in loco costituisce il tramite e il soggetto principale, i migranti
svolgono un ruolo positivo nell’ambiente economico e sociale marocchino.
Queste reti di relazioni che possono essere di origine diversa (reti parentali,
comunitarie, regionali, ecc.) hanno portato, nei casi di successo rilevati, alla
formazione di una vera e propria comunità transnazionale. Tale comunità
dunque è nata attraverso il consolidamento delle reti generatesi dalle catene
migratorie.
Tali reti, infatti, si sono strutturate in modo tale da formare un vero e
proprio spazio sociale che funziona da ponte tra le società di partenza, quelle
di arrivo, ed i diversi nodi della rete e da veicolo per una serie di risorse di
varia natura.
273
Il consolidamento interno delle comunità dei migranti ed allo stesso tempo
un’integrazione crescente degli stessi all’interno delle società di arrivo come
soggetti sociali consentono agli stessi di mantenere con sempre maggiore
facilità, secondo diverse modalità, i contatti con i luoghi di origine e i nodi
della catena migratoria.
L’emigrazione per i marocchini sembra diventare sempre più un’esperienza
intermittente o rotatoria, e anche se diviene un’esperienza definitiva, il
migrante continua a mantenere contatti con la società di partenza, creando
in questo modo reti di contatto sempre più dense.
Dal punto di vista economico e da quello delle azioni di sviluppo per le
comunità di origine, un elemento rilevato durante l’indagine nelle province
marocchine e da evidenziare è rappresentato dal carattere di queste
comunità transnazionali di migranti.
La stessa catena migratoria può divenire una rete di creazione di valore se i
suoi nodi di destinazione sono ben integrati all’interno delle società di arrivo.
La possibilità data ai soggetti di potersi spostare in modo libero lungo i nodi
della catena ha permesso l’instaurazione di una serie di scambi di risorse tra
i nodi stessi, permettendo in questo modo l’attivazione lungo tutta la rete di
diverse attività imprenditoriali a carattere artigianale, industriale,
commerciale, ecc.
Le caratteristiche principali di queste reti di comunità transnazionali
sembrano essere l’intensità, soprattutto in merito ai legami tra gli attori e gli
scambi di risorse immateriali, flessibilità e adattabilità, per quanto riguarda
gli scambi di risorse materiali.
Infatti la possibilità dei migranti marocchini di spostarsi lungo i nodi delle
catene migratorie ha permesso allo stesso tempo di rinsaldare i legami di
prossimità, creare o rafforzare relazioni economiche, comprare o vendere
parte della produzione di unità produttive attive lungo tutta la catena.
Inoltre, nonostante l’investimento nel rafforzamento, o anche nella
costruzione, delle relazioni sociali occupi molto tempo e risorse da parte dei
soggetti attivi lungo tutta la catena, esso viene intrapreso perché viene visto
dagli stessi non tanto come un costo da sopportare, ma come la creazione di
possibili risorse future. Infine, i migranti marocchini si sono trasformati
sempre più in attori che mettono in stretto rapporto luoghi, persone e risorse
in modo autonomo rispetto all’azione di altri soggetti.
274
In base ai risultati di questa indagine si può affermare che il ruolo del
migrante come agente di sviluppo è favorito dall’esistenza di una struttura
estremamente densa, ed allo stesso tempo flessibile, di relazioni tra le
comunità di partenza e le comunità di arrivo in Italia. Insieme agli altri nodi
della rete, essi possono facilitare l’avvio di imprese economiche nelle
comunità di origine e di vere e proprie azioni di sviluppo, veicolando in un
senso o in un altro informazioni, risorse, capitale e persone.
Processo questo che però necessita di un alto grado di integrazione e
interazione tra le società di arrivo e i vari nodi della catena migratoria.
Insomma, è indispensabile che vi sia una sinergia tra politiche migratorie, di
cooperazione e industriali, tra paesi di arrivo e paesi di partenza dei flussi
migratori.
275
3.1.4. I punti critici, i bisogni delle imprese marocchine ed il
possibile ruolo del migrante marocchino per lo sviluppo e
l’innovazione delle imprese artigiane
Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed Khachani,
Mohamed Nadif, Ahmed Zekri
All’interno di questo capitolo si presenteranno alcune conclusioni relative alla
ricerca svolta nelle quattro città del Marocco (Béni Mellal, Khouribga Nador e
Casablanca) con l’obiettivo di identificare a partire dalla prospettiva locale
sia i punti critici che i bisogni delle imprese marocchine ed il possibile ruolo
che il migrante marocchino potrebbe svolgere per lo sviluppo e l’innovazione
delle imprese locali. La problematizzazione del binomio punti critici/bisogni
nella lettura del fenomeno da parte degli artigiani locali è stata molto
eterogenea. Ad ogni modo, una volta aggregate le risposte queste
indicavano che un punto critico per le imprese marocchine risulta essere la
pesantezza delle procedure amministrative a tutti i livelli (rilascio delle
diverse autorizzazioni, aspetti fiscali, registrazioni, ecc.) e parallelamente
quindi il bisogno di un intervento dello stato per ovviare a queste difficoltà
oltre che per promuovere un alleggerimento dei costi fiscali legati all’Import-
Export. Un ulteriore punto critico altrettanto importante che il precedente è
risultato essere l’affidabilità dei partner marocchini residenti in Italia.
Essendo la fiducia e la trasparenza elementi imprescindibili per allacciare
relazioni commerciali con un partner marocchino migrante in Italia, si
sottolinea la carenza diffusa di opportunità di contatto formali fra le imprese
marocchine ed i migranti marocchini residenti all’estero. Un bisogno
immediatamente correlato a questo punto critico è risultato quindi quello di
organizzare dei saloni espositivi, delle fiere, dei congressi o qualsiasi altra
attività che possa favorire i contatti, il dialogo e la reciproca fiducia fra i
partner delle due rive del Mediterraneo. A Casablanca questo punto critico è
stato maggiormente sottolineato, il che può essere letto come una maggiore
apertura degli artigiani locali alla logica del parternariato. Rimane tuttavia da
approfondire il processo di identificazione dei settori che potenzialmente
potrebbero promuovere esperienze pilota di relazioni commerciali fra piccole
imprese in Italia e Marocco. La ricerca di potenziali settori particolarmente
propensi per questo tipo di iniziative ha determinato il suggerimento da
parte degli artigiani locali di un gran numero di attività. Situazione questa
276
che denota come i luoghi di inchiesta dispongano di potenziali di
investimento molto importanti che coprono contemporaneamente
l’agricoltura, la piccola industria, il commercio ed altri servizi. A Béni Mellal
gli intervistati considerano come fondamentali gli investimenti nel
commercio e nei servizi (caffè, ristoranti, telecomunicazioni), quelli di
Khouribga privilegiano la piccola industria e l’agricoltura, quelli di Casablanca
considerano maggiormente promettente l’investimento nella piccola industria
e nel commercio. Le risposte raccolte a Nador sono estremamente
eterogenee, ma con una frequenza relativamente più importante privilegiano
piccola industria e servizi. La diversità di lettura del fenomeno a livello
regionale ci permette di concludere che non sono le opportunità di
investimento quelle che mancano nelle quattro regioni, ma la creazione di un
ambiente adeguato per promuovere la creazione di attività produttive, in
grado di generare un numero importante di posti di lavoro e di attenuare di
conseguenza la propensione alla migrazione nella fascia d’età più giovane di
queste regioni che rappresentano importanti aree di origine di flussi
migratori con destinazione l’Italia ed altri paesi della Unione Europea.
Alla luce di questa indagine sulla situazione socio-economica e migratoria
delle quattro regioni, risulta evidente che l’emigrazione si colloca al cuore di
un certo numero di sfide alle quali le stesse sono confrontate. Il problema
migratorio, sotto la spinta delle nuove politiche promosse da una parte e
dall’altra del Mediterraneo, richiede indiscutibilmente un nuovo approccio
rispetto alla sua incidenza nelle aree di origine. L’imperativo di una crescita
forte e duratura richiede una mobilizzazione con fini produttivi di tutte le
potenzialità e risorse finanziarie interne ed esterne. E’ questo l’unico modo di
operare per attenuare la propensione a emigrare della gioventù di queste
regioni. L’immigrato originario della regione può essere incoraggiato e
sollecitato ad intervenire quindi come partner di attori locali e come
promotore di questa crescita nel contesto di un approccio globale al co-
sviluppo. Lo stesso deve generare una sinergia che continuamente metta in
discussione, attraverso stimoli, critiche e proposte, l’operare del governo
marocchino e quello dei paesi d’accoglienza dell’immigrazione marocchina.
Alla luce delle prospettive che offre l’economia delle quattro regioni, sembra
essere quindi quest’ultima la strada che permette di fare rispettivamente
della migrazione (conseguenza del sotto sviluppo) e del migrante un fattore
ed un attore di sviluppo.
277
QUATTRO
4.1. L’IMMIGRAZIONE MAROCCHINA IN LOMBARDIA
4.1.1. Una descrizione quantitativa e qualitativa
dell’immigrazione marocchina in Lombardia
Sofia Borri, Gisella Raimondi
LA CONSISTENZA DELLA PRESENZA MAROCCHINA IN LOMBARDIA
La Lombardia è la regione italiana con la maggiore presenza di cittadini
stranieri sul proprio territorio: 502.612 presenze pari a quasi un quarto
(22,9%) del totale nazionale (2004, Caritas/Migrantes).
Tabella 4.1 - Soggiornanti in Italia, confronto anni 2002-2003.
Primi 15 paesi di provenienza
Soggiornanti al 31.12.2002 Soggiornanti al 31.12.2003
Primi 15 paesi v.a. % Primi 15 paesi v.a. % 1 Marocco 172.834 11,4 Romania 239.426 10,9 2 Albania 168.963 11,2 Albania 233.616 10,6 3 Romania 95.834 6,3 Marocco 227.940 10,4 4 Filippine 65.257 4,3 Ucraina 112.802 5,1 5 Cina Popolare 62.314 4,1 Cina Popolare 100.109 4,6 6 Tunisia 51.384 3,4 Filippine 73.847 3,4 7 Stati Uniti 47.645 3,2 Polonia 65.847 3,0 8 Jugoslavia 39.799 2,6 Tunisia 60.572 2,8 9 Germania 37.667 2,5 Stati Uniti 48.286 2,2 10 Senegal 36.310 2,4 Senegal 47.762 2,2 11 Sri Lanka 35.845 2,4 India 47.170 2,1 12 Polonia 35.077 2,3 Perù 46.964 2,1 13 India 34.080 2,3 Ecuador 45.859 2,1 14 Perù 31.115 2,1 Egitto 44.798 2,0 15 Egitto 29.861 2,0 Sri Lanka 41.539 1,9 TOTALE 1.512.324 100,0 TOTALE 2.193.999 100,0
Fonte: elaborazioni personali su dati Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes (2003 e 2004).
278
Si tratta di una regione di stabilizzazione ed insediamento duraturo con una
presenza variegata sia in termini di provenienze che di articolazione sul
territorio. Il gruppo nazionale più rappresentato è quello marocchino, anche
in seguito all’ultima regolarizzazione che a livello nazionale ha visto la
perdita del primato di comunità immigrata più numerosa da parte di tale
gruppo a favore dei cittadini rumeni ed albanesi. A fronte di un quadro
nazionale che vede modificati gli equilibri delle provenienze, con la perdita
del primato da parte del Marocco che con quasi 228.000 presenze viene
superato da Romania e Albania con rispettivamente circa 239.000 e
233.000 presenze, la regione Lombardia si conferma territorio di
insediamento privilegiato della comunità marocchina. La tabella 4.2 mostra
infatti la situazione specifica della Lombardia che vede la comunità
marocchina al primo posto con 54.465 presenze, seguita da Albania e
Romania con rispettivamente 42.190 e 34.522 presenze, a testimonianza
del fatto che si denota anche a livello regionale un aumento consistente
della porzione di popolazione straniera proveniente dall’Europa Orientale.
Tabella 4.2 - Soggiornanti in Lombardia, confronto anni 2002-
2003. Primi 15 paesi di provenienza.
Soggiornanti al 31.12. 2002 Soggiornanti al 31.12. 2003
Primi 15 paesi
v.a. % %F Primi 15 paesi
v.a. % %F
1 Marocco 40.164 11,6 33,2 Marocco 54.465 10,8 30,1 2 Albania 30.283 8,7 41,7 Albania 42.190 8,4 38,3 3 Egitto 19.811 5,7 21,2 Romania 34.522 6,9 45,1 4 Filippine 19.805 5,7 61,7 Egitto 31.096 6,2 15,1 5 Cina 16.468 4,7 47,3 Filippine 23.903 4,8 60,8 6 Romania 14.238 4,1 52,4 Cina 23.407 4,7 45,1 7 Senegal 13.786 4,0 10,9 Ecuador 19.914 4,0 62,3 8 India 11.855 3,4 34,5 Perù 19.127 3,8 64,0 9 Peru' 11.802 3,4 65,0 Senegal 17.616 3,5 12,1 10 Tunisia 10.223 2,9 23,3 Ucraina 16.402 3,3 85,3 11 Sri Lanka 9.628 2,8 43,1 India 16.005 3,2 29,3 12 Pakistan 8.825 2,5 19,1 Pakistan 13.511 2,7 15,7 13 Germania 8.086 2,3 58,1 Tunisia 12.200 2,4 22,5 14 Francia 6.896 2,0 56,7 Sri Lanka 11.844 2,4 40,0 15 Jugoslavia 6.320 1,8 44,2 Germania 8.606 1,7 58,2
Totale 346.768 100,0 45,9 Totale 502.610 100,0 44,7
Fonte: elaborazioni personali su dati Istat
Fonte: Dossier Statistico Immigrazione 2004 – Caritas/Migrantes
279
L’assenza di dati ufficiali, dettagliati secondo le diverse nazionalità, sui
risultati della regolarizzazione prodotta dalle leggi 189/2002 e 222/2002
non permette di fare un’analisi articolata1 della popolazione marocchina
attualmente presente in Lombardia. Al fine di illustrare alcune
caratteristiche socio-demografiche dei cittadini marocchini e la loro
distribuzione sul territorio lombardo, il presente lavoro ha quindi utilizzato
gli ultimi dati Istat disponibili. La tabella 4.3 mostra la distribuzione
territoriale degli stranieri nelle 11 province lombarde.
Tabella 4.3 - Permessi di soggiorno in Lombardia secondo le
province. Anno 2002.
Province
VA CO LC SO MI BG BS PV LO CR MN Totale
regione
v.a. 21.076 15.310 7.750 2.914 170.300 30.522 56.036 11.086 5.368 11.231 15.175 346.768
% 6,1 4,4 2,2 0,8 49,1 8,8 16,2 3,2 1,5 3,2 4,4 100
Fonte: elaborazioni personali su dati Istat
La tabella 4.4 illustra come la presenza marocchina, considerata secondo il
genere, si distribuisce nelle 11 province lombarde.
Tabella 4.4 - Permessi di soggiorno per i cittadini marocchini
presenti in Lombardia secondo il sesso e le province. Anno 2002.
Province
VA CO LC SO MI BG BS PV LO CR MN Totale
regione
v.a. 1.906 1.037 816 410 8.618 4.353 5.253 905 477 1.067 1.973 26.815 Maschi
% 7,1% 3,9% 3,0% 1,5% 32,1% 16,2% 19,6% 3,4% 1,8% 4,0% 7,4% 100,0%
v.a. 1.232 618 425 198 3.292 2.341 2.683 485 272 687 1.116 13.349 Femmine
% 9,2% 4,6% 3,2% 1,5% 24,7% 17,5% 20,1% 3,6% 2,0% 5,1% 8,4% 100,0%
v.a. 3.138 1.655 1.241 608 11.910 6.694 7.936 1.390 749 1.754 3.089 40.164 Totale
% 7,8% 4,1% 3,1% 1,5% 29,7% 16,7% 19,8% 3,5% 1,9% 4,4% 7,7% 100,0%
Fonte: Elaborazioni personali su dati Istat
1 Un’analisi più dettagliata che consideri anche la distribuzione territoriale secondo le province, che riferisca per esempio dei diversi motivi della presenza sul territorio (motivo di rilascio del permesso) delle differenti classi di età presenti.
280
L’insediamento sul territorio della regione appare abbastanza consolidato e
diversificato; quella marocchina è infatti la nazionalità più diffusa in 6
province Lombarde su 11 (Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Mantova e
Sondrio).
Al di là del primato di presenze è possibile individuare un’area privilegiata
di insediamento: nelle province di Milano, Bergamo e Brescia, infatti, si
concentra più del 65% dei cittadini marocchini presenti in Lombardia.
L’attrattività di tale area è costituita dal tessuto socio-economico
diversificato e dinamico di queste province caratterizzate da forte
urbanizzazione e industrializzazione. Altri poli significativi della presenza
marocchina lombarda sono le province di Varese e Mantova.
Il confronto con la distribuzione geografica della totalità della presenza
straniera in Lombardia evidenzia come la comunità marocchina sia
distribuita in maniera più omogenea su tutto il territorio regionale.
Il dato più rilevante in questo senso è dato dalla forte concentrazione della
popolazione straniera totale nella provincia di Milano con quasi la metà
delle presenze; in controtendenza i marocchini che sono presenti solo per
un terzo nella provincia capoluogo lombardo.
Si nota infatti che la percentuale di presenza dei cittadini marocchini è
superiore in tutte le altre province lombarde (tranne Como leggermente più
bassa) con i picchi delle province di Bergamo e Mantova dove tale
percentuale viene quasi raddoppiata rispetto a quella della popolazione
straniera totale.
Infine si segnala che la presenza femminile marocchina sembra seguire lo
stesso modello di diffusione del complesso della comunità, unica eccezione
la provincia di Milano dove si situa il 24,7% del totale delle donne a fronte
del 32% degli uomini.
PROFILO DEMOGRAFICO E MOTIVI DELLA PRESENZA MAROCCHINA
La distribuzione per classi di età dell’immigrazione in Lombardia, come
illustrata nel Grafico 4.1, mostra una popolazione giovane: più del 67%
delle presenze è concentrato nella fascia di età compresa tra i 18 ed i 39
anni.
281
Si attesta più o meno sugli stessi valori anche il totale dei cittadini
marocchini presenti in Italia come mostra il grafico 4.2.
Il grafico 4.3 presenta infine la distribuzione per classi di età della
popolazione marocchina presente in Lombardia; i dati evidenziano che tale
presenza è leggermente più giovane non solo rispetto al resto degli
stranieri sul territorio lombardo, ma anche in relazione al resto della
comunità marocchina presente in Italia. La concentrazione nella classe
compresa tra i 18 ei 39 anni è infatti di oltre il 71%.
Grafico 4.2 - Distribuzione dei cittadini marocchini presenti in Italia per classi di età. Anno 2002
6.0%
14.2% 15.3%
19.4% 18.4%
11.9%
6.9%
3.4%1.8% 1.3% 1.5%
0.0%
5.0%
10.0%
15.0%
20.0%
25.0%
Fino a18
anni
18-24anni
25-29anni
30-34anni
35-39anni
40-44anni
45-49anni
50-54anni
55-59anni
60-64anni
Oltre65
anni
Classi di età
Pre
sen
ze
Fonte: elaborazioni personali su dati Istat
Grafico 4.1 - Permessi di soggiorno per classi di età in Lombardia. Anno 2002
4.3%
12.1%
17.5%
20.5%
17.4%
10.9%
6.3%
3.4%2.0% 1.6%
4.1%
0.0%
5.0%
10.0%
15.0%
20.0%
25.0%
fino a18 anni
18-34anni
25-29anni
30-34anni
35-39anni
40-44anni
45-49anni
50-54anni
55-59anni
60-64anni
oltre65 anni
Classi di età
Pre
sen
ze
Fonte: elaborazioni personali su dati Istat
282
Infine le ultime considerazioni riguardano i motivi alla base del rilascio del
permesso di soggiorno. Le tabelle 4.5 e 4.6 illustrano i dati relativi al
complesso dei permessi di soggiorno rilasciati in Lombardia. La tabella 4.5 li
considera in relazione alle diverse province, la tabella 4.6 mostra il tasso
percentuale delle diverse tipologie di permesso di soggiorno per il totale dei
permessi rilasciati in Lombardia. Un primo dato rilevante riguarda la
maggiore incidenza dei permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro
che si attestano intorno ad una percentuale di quasi il 64%. Si nota infatti
che i soli permessi per lavoro subordinato superano la metà dei permessi
totali (52,2%).
Un’analisi particolare delle tipologie di permessi di soggiorno per motivi di
lavoro (lavoro dipendente, lavoro autonomo e ricerca lavoro) rivela che in
Lombardia più dell’80% dei permessi concessi per lavoro è rappresentato
dal lavoro subordinato, quasi il 14% dal lavoro autonomo e poco più del 4%
da ricerca di lavoro. La lettura dei dati permette di rilevare che il lavoro
autonomo degli stranieri in Lombardia ha una concentrazione territoriale
molto marcata: le province di Milano e Brescia raccolgono quasi l’80% dei
permessi per lavoro autonomo rilasciati; il restante 20% appare distribuito
nelle altre 9 province con percentuali non significative. La dinamicità del
tessuto economico di queste due province sembra costituire un forte
incentivo all’avvio di attività imprenditoriali.
Grafico 4.3 - Distribuzione dei cittadini marocchini presenti in Lombardia per classi di età. Anno 2002
5.5%
14.9%
17.3%
20.6%
18.4%
11.0%
5.9%
2.5%1.5% 1.0% 1.3%
0.0%
5.0%
10.0%
15.0%
20.0%
25.0%
fino a18
anni
18-34anni
25-29anni
30-34anni
35-39anni
40-44anni
45-49anni
50-54anni
55-59anni
60-64anni
oltre65
anni
Classi di età
Pre
sen
ze
Fonte: elaborazioni personali su dati Istat
283
284
Un’ulteriore considerazione è necessaria in relazione alla specificità della
provincia di Milano che raccoglie quasi il 70% dei permessi per lavoro
autonomo: è importante segnalare infatti la presenza di alcune nazionalità,
storicamente e quasi esclusivamente radicate nel capoluogo, caratterizzate
da un elevato tasso di microimprenditorialità2 come per esempio quella
cinese e egiziana. Nella provincia di Milano è superiore rispetto al resto
della regione l’incidenza dei permessi di soggiorno per lavoro (68,6%), ed
in particolare il lavoro autonomo con più del 12%. Un ultimo dato riguarda
la provincia di Brescia che presenta il maggior numero di permessi per
ricerca di lavoro con il 38% del totale regionale.
Le tabelle 4.7 e 4.8 illustrano i dati, considerati precedentemente per il
totale dei soggiornanti stranieri in Lombardia, in maniera specifica per i
cittadini di nazionalità marocchina.
Considerando i motivi di concessione dei permessi di soggiorno dei cittadini
marocchini presenti in Lombardia si nota che i motivi di lavoro assumono
una significatività maggiore rispetto al totale degli stranieri in Lombardia,
con più del 68% del totale; tra i permessi per lavoro aumenta
sensibilmente la percentuale di permessi per lavoro dipendente e per
ricerca lavoro, mentre quella dei permessi per lavoro autonomo si attesta
più o meno allo stesso valore che per il resto dell’immigrazione lombarda.
Per quanto riguarda la ripartizione percentuale all’interno dei permessi per
lavoro, si rileva una situazione abbastanza simile a quella generale
lombarda con l’80% dei permessi concessi per lavoro dipendente, poco più
del 13% per lavoro autonomo e circa il 6% per ricerca lavoro.
Un’osservazione interessante nasce dai dati sul lavoro autonomo distribuiti
per provincia: i permessi per lavoro autonomo appaiono distribuiti in
maniera leggermente più diversificata per i cittadini marocchini che per il
resto della popolazione straniera lombarda. Pur confermandosi la forte
concentrazione nella provincia di Milano (56%), dovuta ovviamente al
maggior livello di attrattività economica del capoluogo, si riscontra però
anche una presenza decisamente più significativa della media in province
come Bergamo, Varese, Pavia e Mantova dove i cittadini marocchini
sembrano più propensi all’attività autonoma della media degli altri stranieri.
2 Tale tasso viene calcolato come il rapporto tra il numero di ditte individuali di una determinata nazionalità e la popolazione residente.
285
286
Questo fatto sembra confermato anche dal modello insediativo della
comunità marocchina illustrato in precedenza, che si caratterizza per una
maggiore distribuzione sul territorio regionale.
L’elevato numero di permessi di soggiorno per motivi di famiglia (più del
30%) permette di ipotizzare in maniera ragionevole una tendenza
crescente e ormai consolidata della comunità marocchina alla
sedentarizzazione.
Il meccanismo del ricongiungimento familiare ha permesso inoltre una
sempre maggiore femminilizzazione per una comunità caratterizzata fino
agli inizi degli anni Novanta da una forte prevalenza maschile. Si rilevava
ad esempio nel 1992 una percentuale di presenza femminile che non
raggiungeva il 10%, per arrivare ad oltre il 30% nel 2002 (Istat, 2002).
Infine risulta indispensabile segnalare che la presenza marocchina sul
territorio lombardo è tuttavia caratterizzata da una forte componente
irregolare. L’indagine annuale dell’Osservatorio Regionale sull’Integrazione
e la Multietnicità stima al 1° luglio 2003 (Osservatorio Regionale, 2004), la
presenza di irregolari di nazionalità marocchina come quella maggioritaria
rispetto agli altri gruppi nazionali (7.110 presenze, pari all’11,4% del
totale). La condizione di irregolarità sembra essenzialmente legata al
momento del primo ingresso in Italia; con il tempo infatti una buona parte
di immigrati riesce a regolarizzarsi, lo dimostra anche la forte quota di
cittadini marocchini che hanno costantemente usufruito delle varie
regolarizzazioni (Caritas/Migrantes, 2004).
FLUSSI MIGRATORI DAL MAROCCO ALLA LOMBARDIA
Lo studio dei flussi migratori risulta difficile in relazione all’assenza di dati
attendibili sulle regioni di provenienza dei cittadini marocchini presenti nel
nostro paese. In Italia non viene rilevata la regione di provenienza ma, in
maniera generica, il paese. Parallelamente in Marocco non esiste una
mappatura statistica dei flussi in uscita dai diversi territori regionali.
In Lombardia uno studio interessante è stato fatto dall’Osservatorio
Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità che nel 2002, all’interno del
questionario che permette ogni anno di monitorare il fenomeno della
presenza straniera in Lombardia, ha previsto una mappatura delle regioni di
provenienza dei cittadini marocchini intervistati.
287
Il quadro che emerge da questa indagine mostra una forte complessità del
fenomeno dell’immigrazione marocchina che presenta un’estrema varietà in
termini di origini regionali.
Tabella 4.9 – Ripartizione per regioni di origine dei marocchini presenti nelle province lombarde, in percentuale. Anno 2002
Province
VA CO LC SO MI BG BS PV LO CR MN
Totale regione
Tanger-Tétouan 3,3 2,5 0,0 0,0 1,2 5,4 2,6 0,0 0,0 1,9 0,0 2,0
Taza-Al Hoceima Taounate
1,7 2,5 5,9 0,0 0,0 3,9 10,7 0,0 11,1 5,8 1,2 3,8
Oujda-Angad 3,3 0,0 2,9 0,0 3,5 0,8 7,3 2,1 0,0 0,0 1,2 3,7
Fès-Boulmane 20,0 17,5 11,8 30,0 5,4 24,8 18,8 2,1 11,1 3,8 3,6 12,2
Meknès-Tafilalt 5,0 0,0 0,0 10,0 2,4 2,3 5,6 0,0 0,0 0,0 1,2 2,9
Gharb-Chrarda- BeniHssen
1,7 0,0 2,9 0,0 5,8 0,0 6,0 2,1 0,0 1,9 6,0 4,2
Rabat-Salé-Semmour- Zaer
8,3 2,5 2,9 10,0 12,7 10,1 4,3 55,3 0,0 17,3 11,9 11,5
Casablanca 38,3 35,0 38,2 20,0 40,1 26,4 22,2 21,3 33,3 46,2 39,3 32,8
Chaouia-Ourdigha 8,3 10,0 5,9 0,0 2,7 0,0 5,1 12,8 0,0 1,9 1,2 3,8
Tadla-Azilal 0,0 15,0 23,5 0,0 10,5 14,7 9,0 2,1 0,0 13,5 4,8 9,7
Marrakech-Tensift- El Haouz
10,0 15,0 2,9 20,0 13,8 3,1 3,8 2,1 44,4 5,8 15,5 9,2
Doukkala-Abda 0,0 0,0 2,9 0,0 0,6 0,8 1,3 0,0 0,0 1,9 0,0 0,9
Souss-Massa-Draa 0,0 0,0 0,0 0,0 0,9 5,4 2,6 0,0 0,0 0,0 8,3 2,3
Guelmim-Es Smara 0,0 0,0 0,0 10,0 0,3 1,6 0,4 0,0 0,0 0,0 2,4 0,5
Laayoune-Boujdour-Sakia El Hamra
0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,8 0,0 0,0 0,0 0,0 3,6 0,5
Oued Eddahab-Lagouira
0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,4 0,0 0,0 0,0 0,0 0,1
Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100
Fonte: Osservatorio Regionale sull’Integrazione e la Multietnicità (2003)
L’indagine sopra citata individua tra le 16 regioni marocchine le 5 principali
che alimentano i flussi verso la Lombardia: la regione del Grand Casablanca
con il 32,8% degli ingressi, la regione di Fès-Boulmane con il 12,2%, la
regione di Rabat-Salé con l’11,5%, la regione di Tadla-Azilal con il 9,7% e
per ultima la regione di Marrakech-Tensif-El Haouz con il 9,2%.
Infine una considerazione circa la catena migratoria storica che collega la
città di Béni Mellal e la sua regione Tadla-Azilal alla Lombardia, messa in
luce nell’ambito di vari studi sulla comunità marocchina.
288
Lo studio diacronico dei flussi di ingresso e delle origini regionali fatto sui
cittadini marocchini intervistati nell’inchiesta dell’Osservatorio Regionale
mostrano che si tratta di una catena storica e consolidata che ha visto il
suo apice di intensità prima degli anni Novanta3. Dalla fine degli anni
ottanta ad oggi, pur restando consistente il flusso di persone provenienti da
tale regione, sono le regioni di Casablanca, Fès-Boulmane, Rabat-Salé a
contribuire maggiormente al rafforzamento dei flussi verso la Lombardia.
Di seguito viene riportata una tabella riassuntiva sulla ripartizione per
regioni di origine dei marocchini presenti nelle province lombarde in modo
da fornire un quadro di insieme della concentrazione delle diverse
provenienze sul territorio regionale.
L’IMPRENDITORIALITÀ MAROCCHINA IN LOMBARDIA
Il presente lavoro ha cercato di concentrare una parte della propria analisi
quantitativa della situazione migratoria marocchina in Lombardia sul
fenomeno del lavoro autonomo, in ragione di un interesse particolare per la
categoria degli imprenditori come potenziali portatori di capitale (umano,
sociale e finanziario) in un ottica di attivazione di dinamiche virtuose per lo
sviluppo del paese di origine.
Le fonti di registrazione del lavoro autonomo: caratteristiche e
limiti
La principale fonte dato per rilevare il fenomeno del lavoro autonomo in
Italia è costituita dall’archivio informativo delle Camere di Commercio
(Infocamere). Questa fonte, sebbene ufficiale, necessita di una certa
prudenza nel suo utilizzo, onde evitare di sovrastimare l’incidenza
dell’imprenditoria immigrata. Tale fonte dato infatti:
- rileva le imprese straniere per paese di nascita del titolare, in luogo della
“cittadinanza”, per cui include anche i cittadini italiani nati all’estero;
3 Nei flussi di arrivo in Lombardia prima del 1990 la regione di Tadla-Azilal appare come la seconda regione di provenienza con il 18,5% di ingressi dopo Casablanca che registra invece il 23,4% (Osservatorio Regionale, 2003).
289
- si riferisce alle cariche ricoperte e non al singolo iscritto, per cui
nell’archivio possono esserci persone ripetute più volte (perché ad esempio
sono soci e titolari contemporaneamente);
- include un certo numero di aziende che non risultano più attive, perché
cessate, ma la cui denuncia di cessazione dell’attività non è stata fatta
pervenire alla camera di commercio4;
- comprende gli iscritti nati in paesi a sviluppo avanzato, che,
evidentemente, non rientrano nel target dei lavoratori autonomi immigrati;
- non comprende i titolari di una collaborazione coordinata e continuativa,
che rientrano tra i lavoratori autonomi ma ai quali non è richiesta
l’iscrizione al registro della camera di commercio.
Nonostante questi limiti, i dati Infocamere forniscono comunque uno
spaccato della realtà imprenditoriale immigrata dando importanti indicazioni
circa la rilevanza e l’evoluzione del fenomeno; si rende necessario in ogni
caso confrontarli con quelli effettivi registrati dal Ministero dell’Interno, la
fonte più autorevole al riguardo, che riporta i dati relativi ai permessi di
soggiorno per lavoro autonomo5.
Un importante passo in avanti verso una definizione più precisa delle reali
dimensioni del fenomeno è però stato fatto grazie ad una recente iniziativa
congiunta della CNA e del Dossier Statistico Immigrazione della Caritas
(Caritas/Migrantes, 2003), che ha “ripulito” i dati dell’archivio Infocamere
di tutti quei cittadini italiani nati all’estero e rientrati in patria, prendendo in
considerazione i soli imprenditori extracomunitari che al momento
dell’iscrizione hanno mantenuto la cittadinanza del proprio paese di origine
(si veda tab. 4.10, colonna 2). Tuttavia anche questa operazione presenta
un limite legato al fatto che una porzione non trascurabile di immigrati che
hanno acquisito la cittadinanza italiana non viene conteggiata e questo è
4 Si ipotizza, in proposito, che questo tipo di comunicazione non avvenga nei settori quali l’edilizia, il commercio ambulante e le imprese di pulizia (settori che peraltro raccolgono molti lavoratori autonomi marocchini) tutte attività svincolate dall’occupazione di un immobile, requisito, quest’ultimo per il quale vi sarebbe l’interesse da parte dell’imprenditore a fornire questo tipo di denuncia. 5 A titolo di esempio, nel caso del Marocco, i titolari di impresa nati in questo Stato, al 3° trimestre del 2002, su dati Infocamere sono 20.281 (1° in classifica), mentre i permessi di soggiorno per lavoro autonomo rilasciati a cittadini stranieri marocchini al 1.1.2002 sono stati 17.916 (anche in questa rilevazione viene mantenuto il primato dal Marocco).
290
tanto più frequente per quelle collettività presenti in Italia da diverso tempo
e per le quali il processo di integrazione è da ritenersi in fase avanzata6.
Tabella 4.10 - Titolari e soci d'impresa stranieri, 3° trimestre 2002
Carica / Fonte
Camera di Commercio di Milano su dati Infocamere, 3° trimestre 2002
Caritas su dati Infocamere,
3° trimestre 2002
Titolari e soci Italia 180.052,00 198.215,00 di cui: titolari 143.085,00 147.661,00 di cui: in Lombardia (tit. e soci) 31.163,00 31.163,00 Titolari marocchini Italia 20.205,00 20.281,00 di cui: Lombardia 2.457,00 n.d.
Fonte: elaborazioni personali su dati Infocamere
Tabella 4.11 - Titolari e soci d'impresa stranieri. Anno 2003
Carica / Fonte
Camera di Commercio di Milano su dati
Infocamere, 2° e 3° trimestre 2003
Caritas su dati CNA,
31.07.2003
Confartigianato su dati
Infocamere, maggio 2003
Titolari e soci Italia 214.922,00 201.744,00 79.050,00 125.457,00
di cui: titolari 162.655,00 166.452,00 56.421,00 125.457,00
di cui: in Lombardia 26.661,00 27.427,00 14244,00° 22.001,00
Titolari marocchini Italia 22.802,00 23.645,00 11.357,00 n.d.
Titolari imprese artigiane n.d. n.d. 24.632,00 34.008,00
di cui: nel Nord-Ovest n.d. n.d. 10.234,00 11.016,00
di cui: Lombardia n.d. n.d. 4.872,00° 6.947,00 titolari impr.artig. marocchini n.d. n.d. n.d. 2.346,00 Fonte: Elaborazioni personali su dati Caritas (CNA), Confartigianato (Infocamere), CCIAA MI (Registro Imprese)^ ^Per Infocamere e Registro Imprese: nati all'estero; per CNA con cittadinanza straniera
°dato 21.05.02
La tabella 4.10 mostra i titolari e i soci di impresa stranieri e marocchini in
Italia e in Lombardia al terzo trimestre 2002 in base alle elaborazioni
6 Lo scarto sostanziale rilevato ad esempio per i marocchini tra i dati CNA e quelli delle CCIAA (-44%), non è infatti certamente ascrivibile ad una cospicua quota di cittadini nati all’estero ma ad un numero sostanzioso di soggetti che nel frattempo hanno acquisito la cittadinanza italiana.
291
effettuate dalla Camera di Commercio di Milano e dalla CNA/Migrantes.
Sebbene entrambe abbiano utilizzato la stessa fonte-dato (Infocamere) le
stime risultano diverse. Nel caso della tabella 4.11, che si riferisce al 2003,
gli scostamenti sono ancora più rilevanti, in quanto cambiano anche le
fonti-dato.
Per questo motivo ai fini di un’analisi più efficace, piuttosto che l’utilizzo di
un’unica fonte, si rende necessario il confronto e la fruizione di più fonti
dato contemporaneamente, consapevoli dei pregi e dei difetti che,
immancabilmente, si accompagnano a ciascuna di esse.
Gli imprenditori marocchini in Lombardia
I nati in Marocco guidano la graduatoria per paese di nascita dei titolari di
impresa in Italia, con un numero di imprenditori pari a 21.086 a fine 20027,
dato da considerare con molta cautela, per le ragioni esposte nel paragrafo
precedente.
Di questi, 2.598 sono presenti in Lombardia: la provincia di Milano ne
raccoglie quasi il 40%, seguita a distanza, dalle province di Bergamo e
Brescia, con il 13,4%, Mantova con il 9,8% e Varese con il 7%.
Tra le imprese individuali con titolare di impresa nato in Marocco,
Infocamere censisce un insieme di 436 cooperative presenti in Lombardia,
su 1.297 totali in Italia (il più alto numero a livello regionale), tra le quali la
“società cooperativa a responsabilità limitata” e la “piccola società
cooperativa a responsabilità limitata” rappresentano le forme giuridiche più
diffuse. Sempre secondo l’archivio Infocamere i titolari di impresa
individuale nati in Marocco per il 72,5% si situano nella fascia di età
compresa tra i 30 e i 49 anni, seguono coloro che appartengono alla classe
18-29 anni con quasi il 16% e quelli della fascia di età 50-69 anni con
l’11,3%.
Rispetto al genere del titolare di imprese individuali marocchine con
riferimento al contesto lombardo, si va dall’assenza di imprenditrici donne
nella provincia di Sondrio, al 9,2% della provincia di Brescia, che detiene la
più alta incidenza di imprese individuali con titolari di sesso femminile. Tra i
due estremi si situano le province di Como con il 6,3%, Varese con il 6%,
7 Dato Infocamere, 2001
292
Milano con il 5,3% (il capoluogo ha però un’incidenza maggiore con il
7,4%). Per quanto riguarda i settori di attività, quello del “commercio
all’ingrosso e al dettaglio” risulta il maggiore, con il 62%; seguono il settore
delle “costruzioni” con il 21% circa e quello dei “trasporti, magazzinaggio,
comunicazioni” con il 6,4%.
Nella provincia di Milano pesa di più il settore del commercio e meno quello
delle costruzioni, con rispettivamente il 67,5% e il 17,3%.
Tabella 4.12 - Imprese individuali con titolare nato in Marocco (primi tre settori), 30.04.99 e 15.03.00
30.04.1999 15.03.2000
Settore v.a. % v.a. %
Commercio al dettaglio al di fuori dei negozi 77 34.0 125 38.5
Lavori completamento edifici 39 17.9 58 17.9
Altri trasporti terrestri 13 4.9 16 4.9
Totale 226 100 325 100
Fonte: Elaborazioni personali su dati Ufficio Studi Camera di Commercio di Milano
Tabella 4.13 - Imprese individuali con titolare nato in Marocco
(primi 3 settori). Anni 2000-2003.
31.12.2000 31.12.2001 31.12.2002 31.12.2003
Settore v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % Commercio al dettaglio, esclusi autoveicoli;rip. beni personali
266 53,5 504 61,5 696 67,5 694 56,5
Costruzioni 109 21,9 144 17,6 178 17,3 248 20,2
Attività imm. Noleggio,inform.ricerca, al.attività prof. e imprendit.
27 5,4 34 4,2 49 4,8 84 6,8
Totale Provincia di Milano 497 100,0 819 100,0 1.031 100,0 1.229 100,0 Totale Lombardia 1.388 2.069 2.598 3.207
Totale Italia 12.150 17.230 21.086 24.751
Fonte: Elaborazioni personali su dati Ufficio Studi CCIAA Milano
293
Nelle rilevazioni da fine 2000 a fine 2003 (tabella 4.13) la fonte dato è
stata il Registro delle imprese della CCIAA di Milano, interrogato attraverso
il software specifico Stockview.
Per quelle precedenti (tabella 4.12) lo strumento di lettura adottato è stata
la classificazione delle attività economiche ATECO 91 abbinata a ogni
impresa individuale con un codice che consentiva una descrizione
dettagliata degli esercizi intrapresi (Camera di Commercio Industria
Artigianato di Milano, 2000). Per questo motivo le classificazioni dei settori
di attività riportano delle differenze, come mostrato dalle tabelle 4.12 e
4.13.
La serie storica evidenzia la crescita del settore del commercio che passa
dal 34% al 67,5% negli anni tra il 1999 ed il 2002, seguita da una sensibile
contrazione che lo porta al 56,5% a fine 2003.
Tale andamento risulta di segno contrario a quello dell’edilizia, che in
seguito ad una tenuta stabile nel 1999 e nel 2000, subisce una contrazione
tra la fine del 2000 ed il 2002, riprendendo posizione nell’ultimo anno di
rilevazione (passando dal 17,3% al 20,2%). Il settore dei servizi, su livelli
decisamente più bassi, sembra comunque dare segni di progressiva crescita
(aumentando dal 17,2% al 21,9%).
Gli unici dati che permettono un confronto con alcuni anni precedenti a
queste elaborazioni e che rendono possibile quantificare
approssimativamente la dinamica imprenditoriale sono quelli forniti dalla
ricerca condotta dall’Ismu nel 1993 (Baptiste, Zucchetti, 1994)
sull’imprenditorialità nell’area milanese, su elaborazione dei dati della
Camera di Commercio di Milano (archivio Cerved). Nel 1993 le imprese
individuali della comunità marocchina erano 70, per cui la variazione
percentuale nell’arco di tempo 1993/2003 (ultima rilevazione disponibile) è
stata del 1656%8. Nel 1993, secondo la ricerca Ismu, le imprese con
titolare e/o responsabile nato in Marocco erano 191, di cui 70 appunto
erano le ditte individuali, seguite dalle s.r.l. e dalle s.p.a.
Rispetto all’attività di impresa il settore del commercio e dei pubblici
esercizi copriva il 31,4%, quello del credito, assicurazione e servizi alle
imprese copriva quasi il 21%, quello della lavorazione e trasformazione dei
metalli l’11%, l’edilizia sfiorava il 9%.
8 Calcolata secondo la seguente formula: (1229-70)/70*100
294
L’esempio riportato è esemplificativo della difficoltà di operare dei confronti
tra i vari anni, sia per l’utilizzo di diverse fonti dato, ma soprattutto di
diverse classificazioni delle varie attività, suggerendo, ancora una volta, la
cautela nell’utilizzo di tali fonti.
Un’altro elemento da tenere in considerazione è rappresentato dal
cosiddetto tasso di microimprenditorialità, calcolato come rapporto tra il
numero di ditte individuali di una determinata nazionalità e la popolazione
residente. Tale tasso è utile per valutare la frequenza con cui i cittadini
stranieri di differenti nazionalità scelgono un’attività autonoma piuttosto
che l’inserimento lavorativo nel mercato del lavoro dipendente.
Rispetto a questa grandezza, la comunità marocchina registra un basso
tasso di microimprenditorialità (è il 4,3% al 30.04.1999, che scende al
2,8% al 15.04.2000 e risale al 3,8% al 31.12.2000), che la colloca in una
posizione intermedia tra il picco della comunità cinese con il 14,2% e il
minimo di quella filippina con lo 0,4%. Una recente ricerca sul contributo
degli extracomunitari allo sviluppo della piccola e media impresa in
Lombardia, condotta da sociologi ed economisti appartenenti a diverse
Università (Trento, Milano - Bocconi e Bicocca) coordinati da A. Chiesi
(Chiesi, Zucchetti, 2003), ha utilizzato come base dati per studiare
l’evoluzione dell’imprenditorialità etnica nella Provincia di Milano,
l’estrazione di tutte le ditte individuali i cui titolari risultano essere di
nazionalità non comunitaria al 31/12/2001, integrata dall’estrazione
relativa al quinquennio 1996-2001 relativa all’impresa cessata.
Questo dataset, composto da 7430 casi e da 112 nazionalità rappresentate
nel campione, identifica la comunità marocchina come terzo gruppo per
numerosità di consistenza di imprese attivate, dopo Cina ed Egitto9.
Secondo questa ricerca le ditte individuali gestite da marocchini in provincia
di Milano alla fine 2001 erano 787 e i settori maggiormente rappresentati:
l’edilizia, la confezione (abbigliamento e tessuti), il commercio ed i servizi di
pulizia. Quanto alle logiche di specializzazione economica ed ai settori di
attività, l’attività prevalente è l’edilizia ed in generale prevale una
distribuzione su attività a basso valore aggiunto e marginali, che rafforza
l’ipotesi della vacancy chain e dell’entrata nei settori marginali
progressivamente abbandonati dagli autoctoni (Solari, 2003).
9 La percentuale di imprese marocchine attivate rappresenta l’8% del totale, con una densità di imprese di 1287 e un tasso di attività imprenditoriale del 3,8%.
295
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297
4.1.2 Le reti istituzionali in Lombardia
Fabrizio Alberizzi, Sofia Borri
INTRODUZIONE
Obiettivo dell’indagine
Nell’ambito di un progetto che esplora le possibilità di valorizzazione delle
risorse degli immigrati nella creazione di relazioni costruttive di scambio e
collaborazione tra i contesti di origine dei flussi migratori e quelli di
accoglienza, risulta importante fornire una valutazione sull’attuale situazione
delle istituzioni lombarde in riferimento a possibili strategie di sviluppo
integrato tra territori locali.
Obiettivo della presente indagine è quindi quello di capire quanto è in atto
nelle istituzioni lombarde la tendenza, evidenziatasi in vari contesti europei e
italiani, a considerare in un’ottica integrata le politiche di cooperazione allo
sviluppo e le strategie e gli interventi in ambito migratorio. Parallelamente si
è cercato di capire quali spazi esistono per una valorizzazione dei migranti
nei processi di internazionalizzazione dei territori locali verso i paesi di
origine dei flussi.
Migrazioni internazionali e transnazionalità
La dimensione locale si rivela centrale nel fenomeno delle migrazioni
internazionali le quali mettono in relazioni due territori sub-nazionali
attraverso catene migratorie che ne segnano fortemente i flussi e gli scambi.
Le migrazioni internazionali si sono modificate e non appaiono più come
percorsi lineari che implicano un trasferimento definitivo da un contesto
territoriale ad un altro, esse risultano al contrario sempre più segnate da un
carattere transnazionale che ne modifica le forme e le modalità. Ne deriva
che la condizione di migrante si carica di una dimensione transnazionale che
se valorizzata può essere in grado di attivare processi di scambio circolare
tra due territori. Tale potenziale può rappresentare un valore aggiunto sia
nella comprensione e nella gestione dei flussi migratori sia in un quadro più
ampio di scambio economico e culturale tra contesti di origine e di arrivo dei
298
migranti. Queste considerazioni sembrano valere ancora più fortemente per
le migrazioni che avvengono nel contesto mediterraneo caratterizzato da una
prossimità geografica e da una forte tradizione di scambio e comunicazione.
LE ISTITUZIONI
Regione Lombardia
Per quanto riguarda la Regione Lombardia si è cercato di illustrare lo stato
attuale di strategie e interventi per i settori dell’immigrazione e per quello
delle relazioni internazionali e cooperazione decentrata in un’ottica di
valutazione delle prospettive esistenti per una politica di co-sviluppo che
porti coerenza tra le politiche migratorie e quelle di cooperazione. Le
problematiche del presente progetto afferiscono, dal punto di vista delle
tematiche e delle aree di intervento, a questi due settori; si è proceduto
quindi ad intervistare i responsabili delle seguenti strutture:
• Settore cooperazione decentrata.
• Struttura relazioni internazionali.
• Unità operativa immigrazione, emigrazione e nomadi.
• Agenzia Regionale per il Lavoro.
E’ necessario premettere che si è riscontrato un quadro molto acerbo e poco
definito dal punto di vista del coinvolgimento dei migranti in progetti di co-
sviluppo con i paesi di origine così come in termini di coinvolgimento dei
paesi di origine nel delineare gli interventi in campo migratorio; per questo
motivo si è proceduto ad illustrare la situazione nei suddetti settori, con
attenzione allo spazio dato all’area mediterranea e alle strategie della
Regione nell’internazionalizzazione del sistema lombardo.
Relazioni internazionali
La Regione Lombardia ha avviato negli ultimi anni una strategia complessiva
per regolare le proprie relazioni internazionali in un’ottica di valorizzazione
del sistema regionale lombardo caratterizzato storicamente, e in misura
maggiore negli ultimi anni, da una forte proiezione internazionale. In un
quadro in cui locale e globale si intrecciano e si richiamano fortemente
appare evidente la necessità e il conseguente emergere di poteri locali con
un crescente protagonismo; il nuovo contesto internazionale impone ai
299
sistemi produttivi locali italiani di ridisegnarsi un ruolo e uno spazio
all’interno del processo di globalizzazione.
La Regione Lombardia vuole assumere attivamente un ruolo di punto di
riferimento istituzionale nell’internazionalizzazione del sistema lombardo; in
questo senso tale istituzione si pone come attore essenziale nel portare
avanti le istanze del proprio tessuto socio-economico. La tematica
dell’internazionalizzazione viene legata strettamente, dal punto di vista della
programmazione e dell’operatività, a tutte le altre strutture del settore
relazioni internazionali.
In questo senso le missioni all’estero del presidente Formigoni coinvolgono
tutti gli aspetti delle relazioni internazionali, ben oltre le specifiche attività
diplomatiche. Si tratta di missioni in cui si valorizza fortemente la creazione
di un sistema di rete e di un terreno per uno scambio tra soggetti di diversi
settori: istituzioni, imprese, cooperazione decentrata, università. La missione
del presidente viene concepita come un canale preferenziale per
l’internazionalizzazione del sistema Lombardia, con un forte accento
all’aspetto economico e di internazionalizzazione delle piccole e medie
imprese, le quali usufruiscono dell’appoggio istituzionale per affrontare
mercati e territori altrimenti difficili da raggiungere e conquistare.
Considerando che l’obiettivo delle missioni del presidente è la promozione
internazionale dell’intero sistema Lombardia (2001, D.G.R. VII/7089), la
Regione coinvolge a questo livello esponenti di associazioni economiche e
imprenditoriali ed istituzioni culturali lombarde, ma anche ONG e altre
amministrazioni locali al fine di consolidare un’articolata rete di rapporti con i
paesi considerati.
La regione Lombardia raccoglie la sfida posta dal nuovo contesto
internazionale, che impone una maggiore centralità al sistema territorio, e
struttura le proprie relazioni internazionali nel senso di una vera e propria
politica estera che permetta una valorizzazione del territorio locale in sede
internazionale.
La valorizzazione del sistema socio-economico lombardo avviene attraverso
il sostegno e la regia alle azioni dei soggetti del territorio orientati verso
contesti internazionali e attraverso l’appoggio dato da accordi istituzionali
stipulati dalla regione.
300
Il documento di programmazione denominato “Le relazioni internazionali
della regione Lombardia – Indirizzi strategici e programmatici” (2001)
individua come direttrici principali delle attività di relazioni internazionali :
• Le azioni istituzionali.
• La promozione economica e l’internazionalizzazione delle imprese.
• La cooperazione allo sviluppo.
Per quanto riguarda le priorità geografiche è necessario premettere come la
Regione Lombardia consideri prioritarie le aree che meglio si coniugano con
la possibilità di dare forza e efficacia alla realizzazione dei punti di forza della
politica estera regionale ovvero la cooperazione, l’internazionalizzazione
delle imprese e gli interventi a favore dei lombardi nel mondo (2001, D.G.R.
VII/7089).
Il suddetto documento evidenzia tra le priorità strategiche l’avvio di una
cooperazione con enti regionali e locali del Mediterraneo anche in
considerazioni delle direttive dell’Unione Europea in materia di integrazione
euro-mediterranea. Le azioni ipotizzate sono:
• programmi di sostegno alle piccole e medie imprese;
• programmi di sviluppo agricolo;
• programmi di cooperazione scientifica e trasferimento delle tecnologie;
• programmi di gestione delle risorse comuni.
La Tunisia e il Marocco sono gli stati segnalati dalla Regione Lombardia come
principali interlocutori di queste azioni.
Le relazioni con la Tunisia sono state avviate nel 2001 in seguito agli accordi
stipulati dalla Regione in quell’anno con i governatorati di Gafsa e Kassarine.
Ovviamente tale cornice istituzionale ha permesso di avviare collaborazioni
in campo economico soprattutto in una prospettiva di sviluppo delle piccole e
medie imprese e di joint-ventures.
Un altro campo che ha visto rafforzare le collaborazioni tra i due territori in
seguito a tali accordi è stato quello della gestione dei flussi migratori
attraverso un programma di reclutamento di manodopera per il mercato
lombardo. La gestione di tale programma compete all’Agenzia regionale del
Lavoro (si veda di seguito per una descrizione dettagliata di tali attività) ed
ha avuto in questi anni uno sviluppo notevole tanto da venire allargato ad
altri paesi potenziali bacini di manodopera (est Europa).
301
Per quanto riguarda il Marocco, il documento programmatico del 2001
precedentemente citato, stabilisce la volontà della Regione di avviare
collaborazioni stabili “seguendo diverse direzioni: valutando come sviluppare
i rapporti con la comunità marocchina presente in Regione Lombardia (…);
fornendo nuovo impulso ai rapporti economici e commerciali; avviando
azioni volte alla creazione d’impiego nelle province di maggiore emigrazione”
(2001, D.G.R. 7/7089). Allo stato attuale però non sono ancora stati avviati
contatti specifici con regioni marocchine e tanto meno sono state coinvolte le
comunità di immigrati presenti sul territorio regionale. È da segnalare che
secondo la struttura delle relazioni internazionali il Marocco rappresenta un
paese di prossimo interesse per la Regione anche attraverso una missione
istituzionale che possa rappresentare una prima cornice in cui inserire
successivamente programmi e accordi più specifici.
Cooperazione decentrata
Le attività di cooperazione decentrata si inseriscono nella strategia
complessiva delle relazioni internazionali della Regione illustrata in
precedenza; in questo modo tali azioni vengono programmate, considerate
e valorizzate all’interno di un quadro più integrato e organico.
Per quanto riguarda le strategie generali la cooperazione decentrata
lombarda auspica la creazione e lo sviluppo di sinergie con il mondo
economico (mondo del lavoro e delle piccole e medie imprese) in un ottica di
valorizzazione del patrimonio di imprenditorialità, competenze di
organizzazione del lavoro e di gestione delle imprese nello scambio con i
paesi in via di sviluppo. In questo senso viene sottolineato il bisogno di
recuperare e trasmettere la valenza insieme economica e sociale che ha
caratterizzato lo sviluppo del tessuto della piccole e media impresa nei
distretti industriali italiani.
La giunta regionale definisce la programmazione annuale10 delle azioni di
cooperazione decentrata attraverso:
1. interventi regionali diretti promossi dalla Giunta a seguito di missioni
istituzionali;
10 Regione Lombardia, Deliberazione Giunta Regionale 18 Luglio 2003 – n. VII/13695, Determinazioni, ai sensi della l.r. 20/89, in merito alle attività di cooperazione decentrata allo sviluppo.
302
2. cofinanziamento di progetti di cooperazione decentrata allo sviluppo
realizzati mediante il piano annuale di cooperazione a seguito di
apposito bando;
In riferimento agli interventi diretti è possibile segnalare:
• Interventi di emergenza a seguito di calamità e conflitti.
• Interventi di cooperazione allo sviluppo nell’ambito di intese formalizzate
dalla regione con paesi terzi e/o da promuovere in occasione di missioni
all’estero.
• Interventi proposti dall’ONU e dall’Unione Europea.
• Interventi di sensibilizzazione e promozione del tema della solidarietà tra
i popoli.
In riferimento ai progetti cofinanziati di cooperazione allo sviluppo la Regione
sostiene una folta varietà di progetti sia per localizzazione geografica che per
settori di intervento.
Per quanto riguarda i settori di intervento la Regione dichiara la massima
apertura verso le proposte dei soggetti richiedenti finanziamento; è possibile
evidenziare una prevalenza di progetti nel settore socio-sanitario, ma è
aumentata negli ultimi anni la presenza di progetti di promozione dello
sviluppo economico locale e di formazione.
Per quanto riguarda le risorse allocate su questo tipo di programmi si
segnala che circa ¾ del capitolo di spesa annuale (nel 2002/2003 pari a 10
milioni di euro11) sono indirizzati al cofinanziamento di progetti approvati
all’interno del bando annuale; la parte restante, circa ¼ del capitolo di
spesa, viene utilizzata per gli interventi diretti della Regione.
Per quanto attiene invece alla localizzazione dei progetti, in più documenti12
si segnala tra le priorità geografiche considerate i “paesi da cui provengano
considerevoli comunità immigrate residenti in Lombardia”. Questa
indicazione si traduce nel caso del Marocco in 5 progetti co-finanziati nel
2002/2003 presentati da ONG lombarde. Si tratta di classici progetti di
sviluppo che realizzano interventi in campo socio-sanitario, ambientale,
economico e di formazione.
11 Regione Lombardia, (2003), Le attività 2002/2003 nei paesi in via di sviluppo per la cooperazione e l’amicizia tra i popoli. 12 Si veda D.G.R. 7/3096 del 23/03/2001 e D.G.R. 7/13695 del 18/07/2003.
303
Le tre aree di intervento in cui la Regione rivendica propri ambiti specifici di
competenza sono:
• area della insitutional and capacity building;
• area dei servizi territoriali;
• area dello sviluppo economico su scala locale.
Allo stato attuale né l’area mediterranea, né il Marocco, né altri paesi a forte
pressione migratoria paiono coinvolti in programmi specifici negli ambiti
sopra indicati; parallelamente in queste aree gli interventi diretti della
Regione non sembrano supportati da programmi complessivi di partenariato
che coinvolgano una rete di istituzioni locali e che forniscano un contesto
politico e istituzionale all’interno del quale sia più facile ipotizzare politiche
congiunte e integrate di governo dei flussi migratori che valorizzino
l’elemento di transnazionalità che fortemente caratterizza le migrazioni
contemporanee.
Il presente livello di analisi rende necessario porre l’attenzione su due temi
affrontati dal documento programmatico precedentemente citato che paiono
centrali nel valutare il ruolo degli enti locali nel governo dei flussi migratori.
In una valutazione sulle prospettive future della cooperazione decentrata
lombarda viene segnalato il tema dello sviluppo economico per la lotta
all’immigrazione clandestina con particolare attenzione alla formazione
professionale come strumento di qualificazione dei flussi di immigrati
lavoratori in entrata e alla gestione organizzata di banche dati di potenziali
lavoratori.
Ugualmente viene affrontata, in una visione più ampia, la relazione tra
attività internazionali e fenomeni migratori con esplicito riferimento al
principio di sussidiarietà come stimolo alla responsabilizzazione delle autorità
locali in questo campo in stretta collaborazione con i paesi di provenienza.
“La Regione Lombardia intende sviluppare, soprattutto con i paesi mediterranei,
collaborazioni che soddisfino le proprie esigenze e offrano, al tempo stesso, a quelle
popolazioni concrete opportunità di miglioramento delle condizioni di vita” (Regione
Lombardia, 2001)
304
Settore immigrazione
La struttura regionale che si occupa di immigrazione è l’Unità operativa
immigrazione, emigrazione e nomadi che fa capo alla struttura Esclusione
sociale dell’Unità organizzativa interventi socio-sanitari e socio assistenziali,
all’interno della Direzione Generale Famiglia e Solidarietà sociale.
Nell’ambito delle politiche di immigrazione una delle funzioni che
progressivamente ha segnato una crescente centralità dei governi regionali è
quella dell’integrazione sociale. In questo senso la legge 40/199813 ha
rappresentato il primo reale passo verso una politica di integrazione che
finalmente superasse i limiti delle precedenti politiche di emergenza e
disegnasse un ruolo istituzionale chiaro per le Regioni e gli enti locali
(Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, 2002). A livello
finanziario tale legge istituiva un Fondo nazionale per le politiche
migratorie14, da attivare accanto alle risorse locali, stimolando di
conseguenza un protagonismo crescente degli enti locali e delle regioni in
primo luogo nella ripartizione di tali risorse tramite l’indicazione di ambiti di
intervento e priorità.
La regione Lombardia ha assunto fortemente un ruolo di coordinamento e
indirizzo nel designare un piano di interventi nell’ambito dell’integrazione e
della coesione sociale15.
In relazione alla legge 40/1998 la giunta ha deliberato nel 2001 l’attuazione
del programma regionale degli interventi concernenti l’immigrazione
attraverso l’approvazione del documento “Linee guida per l’attuazione del
programma regionale per le politiche d’integrazione concernente
l’integrazione”. Il presente documento richiama tra le priorità di intervento
“privilegiare le iniziative di formazione professionale realizzate nei paesi di
origine” e “favorire il rientro nei paesi di origine” (Regione Lombardia,
2001).
13 Legge 6 marzo 1998 n. 40 “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” e Decreto Legislativo attinente del 25 Luglio 1998, n. 286 "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero". 14 Il Fondo nazionale politiche migratorie è disciplinato dall’articolo 45 del Testo unico 286/98 ed è destinato a finanziare politiche dirette a ristabilire pari opportunità tra cittadini stranieri e cittadini italiani. Si tratta di un fondo ampiamente regionalizzato di cui solo il 20% è destinato a favore delle amministrazioni centrali, mentre il restante 80% è ripartito tra le regioni. 15 Per una rassegna degli interventi per l’immigrazione promossi dalla regione Lombardia nell’ambito della legge 40 si rimanda al Rapporto 2002 dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità.
305
Ugualmente nella scheda tecnica di presentazione dei progetti annessa viene
specificato, in relazione ai diversi obbiettivi segnalati per gli ambiti
progettuali, come “gli obbiettivi enunciati siano finalizzati a favorire, ove
possibile, il reinserimento nei paesi di origine”.
A partire da queste dichiarazioni programmatiche, un’analisi del livello
progettuale mostra però che gli interventi regionali in materia migratoria non
appaiono rivolti anche al paese di origine.
Al contrario si considera come mission delle strutture regionali che si
occupano di immigrazione quella di rivolgere i propri programmi alla
popolazione immigrata insediata sul territorio e quindi legata alle dinamiche
di integrazione nel paese di accoglienza.
E’ delegata alla struttura Cooperazione decentrata la progettazione e
l’intervento nei paesi di origine con i limiti in termini di coinvolgimento delle
popolazioni immigrate presenti sul territorio nazionale evidenziati in
precedenza.
In questo senso appare confermata la tendenza a considerare come compiti
tradizionali degli enti locali in materia di immigrazione le politiche di
accoglienza e integrazione, in una visione tradizionale di offerta e gestione di
servizi.
Parimenti risulta ancora poco sperimentata la collaborazione con i paesi di
origine in un’ottica di creazione di uno spazio comune per una gestione
integrata dei flussi che tenga conto della sempre maggiore incidenza dei
territori locali nella definizione delle dinamiche migratorie.
• Accordo di programma tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali e la Regione Lombardia.
Dal 2001 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha stipulato con
alcune regioni (ad oggi sono 13) degli accordi di programma al fine di
cofinanziare iniziative sperimentali e progetti pilota che favoriscano
l’integrazione, soprattutto a livello locale, con l’obbiettivo di individuare un
modello di buone pratiche per poi promuoverne la diffusione.
Il Ministero ha un ruolo di supervisione e monitoraggio degli interventi,
mentre gli aspetti attuativi sono lasciati alla competenza delle Regioni che
usufruiscono dei fondi messi a disposizione dal suddetto dicastero.
306
Nel dicembre 2001 La Regione Lombardia ha stipulato un accordo con il
Ministero del Lavoro denominato “Accordo su interventi concernenti
l’immigrazione”16 articolato in sei ambiti specifici di sperimentazione
caratterizzati dai seguenti obbiettivi:
1. promozione di programmi di alfabetizzazione in ambito socio-educativo;
2. sviluppo della funzione di mediazione linguistico-culturale;
3. promozione dell’istituto della carta di soggiorno;
4. accesso all’alloggio e riduzione del disagio abitativo;
5. reinserimento sociale e lavorativo;
6. inserimento lavorativo per il governo dei flussi.
In relazione ai temi trattati dalla presente analisi quest’ultimo obbiettivo
rimanda ad un ambito di intervento che rappresenta una sperimentazione
interessante in una prospettiva di governo integrato dei flussi in particolar
modo della mobilità geografica dei lavoratori e dell’inserimento lavorativo
come motore della coesione sociale sul territorio.
Il presente programma risponde ad una esigenza del mercato del lavoro
lombardo resa ancora più pressante dal limite posto dalla legge 189 del
2002 (denominata Bossi-Fini) che vincola l’ingresso dei cittadini extra-
comunitari ai contratti di lavoro e che implica necessariamente la
predisposizione di servizi che facilitino l’incontro domanda/offerta e la
selezione dei candidati a distanza.
Un aspetto certamente rilevante per i temi affrontati in questa sede è
riscontrabile nel fatto che il presente programma, sicuramente nato per
rispondere a bisogni del tessuto socio-produttivo lombardo, mantiene negli
obbiettivi anche un’attenzione ai contesti di provenienza dei flussi migratori.
Un elemento qualificante del progetto è una valorizzazione circolare delle
risorse umane che “anche attraverso successivi programmi di formazione e
rientro nei paesi di origine, possano implementare processi di sviluppo nei
paesi di provenienza (dei migranti), entrando in sinergia con i programmi
regionali di internazionalizzazione delle imprese, di partenariato economico e
cooperazione decentrata allo sviluppo.” (2003, Regione Lombardia, Famiglia
e Solidarietà sociale)
16 Si veda Deliberazione Giunta Regionale del 28 Giugno 2002, n. 7/9568.
307
La realizzazione di tale ambizioso obbiettivo implica necessariamente una
collaborazione e una programmazione comune tra i vari soggetti
dell’istituzione regionale, le direzioni regionali, e del territorio,
amministrazioni provinciali e comunali e soggetti del mondo dell’impresa
(camera di commercio, associazioni di categoria).
Infine si segnala che le aree di sperimentazione del programma sono
Repubblica Moldava, Polonia, Perù, Argentina, Slovacchia, Senegal, Tunisia,
Croazia, Tunisia, Croazia e Bulgaria.
La regione Lombardia ha avviato il recente programma affidando all’Agenzia
Regionale per il Lavoro il ruolo di capofila. Si illustra qui di seguito il
programma coordinato dall’Agenzia Regionale del Lavoro nello specifico degli
interventi avviati in Tunisia che è stata la prima area di sperimentazione.
Agenzia regionale per il lavoro
Il programma “gestione flussi migratori per lavoro” parte dalla
considerazione della centralità del fenomeno della mobilità geografica dei
lavoratori come aspetto strategico nel fornire una risposta ai bisogni del
mercato del lavoro lombardo.
Il dipartimento Mobilità geografica dei lavoratori dell’Agenzia Regionale del
Lavoro dichiara tra i suoi obbiettivi la promozione e il governo dei flussi
migratori in relazione con le esigenze del mercato del lavoro lombardo. In
questo senso tale istituzione ha elaborato e attivato il programma World
Job; si tratta di un programma a medio-lungo termine che prevede il
coordinamento e la promozione di progetti per la gestione dei flussi migratori
che coinvolgono cittadini non comunitari formati in maniera specifica per le
esigenze del mercato del lavoro locale. Gli strumenti per la realizzazione di
tale programma sono accordi di partenariato e collaborazione con Regioni e
Province di paesi caratterizzati da una forte pressione migratoria, anche
nell’ambito di progetti di cooperazione decentrata e di promozione
dell’internazionalizzazione delle imprese lombarde.
Il presente programma prevede l’implementazione di alcuni progetti-pilota in
grado di testarne strumenti e procedure, criticità e ostacoli al fine di
comprendere come tale programma possa diventare un sistema integrato
del sistema produttivo lombardo arrivando ad essere un modello regionale in
termini di politiche del lavoro, governo dei flussi migratori,
internazionalizzazione delle imprese.
308
Tra i progetti pilota legati a tale programma si segnala il progetto
Identificazione della domanda di manodopera tunisina espressa dalle
imprese lombarde e formazione delle figure professionali individuate. Le
azioni di tale progetto si inseriscono all’interno del contesto istituzionale
disegnato dai due protocolli di intesa siglati dalla regione Lombardia con i
governatorati di Gafsa e Kassarine nel 2001.
Nell’ambito di una programma di collaborazione tra istituzioni e parti sociali
italiane e tunisine il progetto presenta 3 obbiettivi specifici:
1. individuare potenziali candidati nel sistema formativo tunisino in base
alle esigenze di manodopera espresse dal mercato lombardo;
2. avviare e completare la formazione linguistica, culturale e di
orientamento per i candidati selezionati;
3. accompagnare l’inserimento lavorativo, sociale e abitativo dei
lavoratori.
Tali obbiettivi sono da realizzare attraverso azioni congiunte in Lombardia e
nelle regioni tunisine. In Lombardia in primo luogo un censimento del
fabbisogno di manodopera del mercato lombardo, in parallelo in Tunisia
un’analisi del sistema formativo tunisino e una mappatura dei profili
professionali presenti. All’attività di preselezione tra i candidati tunisini sulla
base delle richieste provenienti dalla Lombardia corrisponde anche un’attività
di avvio e supporto per le pratiche amministrative necessarie
all’autorizzazione al lavoro. In Tunisia viene offerta ai candidati selezionati
una formazione linguistica e culturale e di orientamento professionale. In
Lombardia sono previste quindi azioni di accompagnamento all’inserimento
dei lavoratori attraverso l’attivazione di una rete di sostegno ai processi di
integrazione lavorativa, sociale ed abitativa.
Tutte le attività del progetto sono caratterizzate da una forte sinergia con il
tessuto locale. Viene esplicitato come obbiettivo generale del programma la
creazione di una rete diversificata di soggetti coinvolti: le aziende lombarde,
soprattutto attraverso le associazioni di categoria; le Province lombarde e i
rispettivi centri per il lavoro; associazioni e cooperative del privato sociale.
A questa sempre più ampia rete si affida il compito di fornire supporto e
assistenza nell’orientamento e nell’insediamento sul territorio locale del
lavoratore immigrato e della sua famiglia.
309
Viene previsto anche, in collegamento al presente programma, lo sviluppo di
azioni pilota riguardanti la formazione ed il rientro di immigrati nel loro
Paese d'origine nell'ambito di azioni finalizzate allo sviluppo locale.
La regione Lombardia ha basato l’allargamento di tale programma sulla base
di accordi esistenti tra il Ministero del lavoro italiano e i soggetti tunisini. Si
tratta soprattutto dell’accordo di riammissione che permette lo scambio con
immigrati clandestini17. Un altro accordo con il Ministero del Lavoro ha
permesso l’allargamento e il rafforzamento del programma attraverso il
diritto di prelazione per il quale viene attribuita una preferenza nella
chiamata al lavoro per il lavoratore straniero che abbia frequentato nel
paese di origine attività di istruzione e formazione professionale nell’ambito
dei programmi realizzati dal Ministero del lavoro in collaborazione con enti
locali italiani e del paese di provenienza; in base a tale accordo la regione e
le associazioni di categoria hanno la precedenza per le quote di lavoratori da
inserire nel programma evitando quindi la concorrenza diretta con le
aziende.
Questi aspetti evidenziano un bisogno di collaborazione tra livello sub
nazionale e nazionale che possa dare più solidità e diffusione ai programmi
regionali. Sulla base di accordi esistenti tra governi nazionali è possibile in
seguito stipulare accordi specifici tra governo e regioni.
Amministrazioni locali lombarde: Brescia, Bergamo, Milano
A livello lombardo sono state contattate la Provincia e il Comune di Brescia,
la Provincia e il Comune di Bergamo e il Comune di Milano. Accanto agli
incontri istituzionali si sono rivelati utili incontri con soggetti del territorio che
si occupano di immigrazione (associazioni, cooperative, sindacati).
17 Per facilitare la riammissione dei cittadini di paesi terzi da parte dei loro paesi di origine, nel 1994 gli Stati membri della UE hanno deciso di utilizzare un modello comune di accordo. Nel 1995 sono stati adottati dei principi generali per l'attuazione di accordi di riammissione. Gli accordi di riammissione sono uno degli strumenti adottati dall'Unione Europea per contrastare i flussi dell'emigrazione internazionale, in particolare il fenomeno dell'immigrazione illegale. Una prima definizione di riammissione, come decisione di uno Stato di destinazione in merito al reingresso di un individuo, è contenuta nel "Libro verde su una politica comune di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli Stati membri" (COM (2002) 175 def. del 10.04.2002).
310
Tali incontri hanno permesso di esplorare le prospettive esistenti per azioni
di co-sviluppo in relazione a come vengono strutturati e realizzati gli
interventi in ambito migratorio.
In linea generale non si è riscontrata nessuna relazione esistente e/o
auspicata tra i settori e i servizi che si occupano di immigrazione e quelli che
afferiscono alla cooperazione decentrata. In linea generale sono emersi i
seguenti elementi utili ad una prima valutazione sulle possibili cause di tale
staticità.
In primo luogo la progettazione e gli interventi in campo migratorio paiono
fortemente segnati dalle emergenze (in prima istanza la regolarizzazione del
2002, ma anche le varie emergenze: alloggiativa, scolastica); in tal senso
infatti si è notata un prevalenza di servizi cosiddetti di prima accoglienza,
con scarsa apertura verso forme innovative di interventi che vadano oltre
l’inserimento di base, a conferma di una condizione ancora precaria e difficile
delle popolazioni immigrate.
Gli interventi caratterizzati da obbiettivi a lunga scadenza e da una
progettualità che supera la sfera dell’emergenza sociale appaiono svuotati di
contenuti e poveri di risorse. Si riscontra inoltre la tendenza a replicare
formule di servizi (si veda lo sportello) in maniera meccanica e poco
contestualizzata; la contrazione delle risorse disponibili ha necessariamente
influito sulla progettazione e sulla sperimentazione di interventi innovativi
calibrati sulle specificità dei diversi territori portando ad una politica di
replica indiscriminata di tipologie di servizi in un ottica ristretta al
contenimento delle emergenze.
Per quanto riguarda gli aspetti finanziari infatti gli operatori del settore
segnalano una progressiva contrazione dei fondi disponibili accompagnata da
procedure sempre più frammentate di accesso alle risorse. E’ sempre più
diffusa la politica dei finanziamenti ridotti distribuiti a un numero elevato di
soggetti; tale approccio produce uno scollamento forte tra i diversi interventi
e non permette una programmazione più ampia negli obiettivi e nelle azioni.
Ne deriva una realtà spesso frammentata in cui non vi sono spazio e risorse
per la messa in opera di sinergie costruttive.
In questo senso un ultimo elemento da evidenziare è rappresentato dalla
scarsa opera di coordinamento svolta dalle istituzioni che generalmente
affidano e delegano, in una logica di appalto, i servizi a soggetti del terzo
settore, sottraendosi al compito di dare un indirizzo unitario agli interventi.
311
Si riscontra una latitanza delle istituzioni nella promozione di relazioni di rete
così come nella raccolta delle informazioni e delle sollecitazioni che
provengono dal tessuto sociale di riferimento.
Questa breve panoramica permette di evidenziare come le amministrazioni
locali presentino una situazione ancora molto acerba rispetto alla definizione
di programmi in grado di comprendere e incidere sui fenomeni migratori in
maniera strutturale e alla possibile partecipazione a reti di partenariato
territoriale con i paesi di provenienza dei migranti. In questo senso è
necessario segnalare come l’istituzione regionale dovrebbe essere quella
deputata alla promozione e al coordinamento di programmi di co-sviluppo;
tale istituzione è in grado, in ragione di strumenti istituzionali e finanziari
maggiori, di creare un disegno complessivo in cui coinvolgere le istituzioni
provinciali e comunali.
Il livello regionale può e deve svolgere quel ruolo di regia necessario a
delineare un approccio integrato alle questioni migratorie costruendo e
rafforzando una rete tra i soggetti del proprio territorio.
CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI
Gli enti locali fanno fronte in maniera sempre più imponente al fenomeno
migratorio e vivono sul proprio territorio l’impatto diretto dei flussi; essi
risultano però ancora poco efficaci e poco protagonisti nel governo dei
processi migratori. Considerata però l’incidenza della dimensione locale nelle
migrazioni internazionali appare sempre più evidente come la governance
delle migrazioni abbia bisogno dei soggetti locali per strutturarsi in modo
efficace e mirato.
Gli enti locali trovano progressivamente un maggiore protagonismo nel dare
direzione alle proprie politiche di internazionalizzazione in seguito ad una
connessione sempre più stretta tra realtà locali e dinamiche internazionali.
Considerando il fenomeno dell’internazionalizzazione dei territori locali
appare evidente, nelle regioni a forte presenza migratoria (e la Lombardia è
una di queste), come la forma di internazionalizzazione tra le più centrali e
inesplorate sia l’immigrazione.
L’urgenza che si pone alle amministrazioni locali è dovuta allo stretto legame
esistente tra la comprensione e il governo dei flussi migratori e la
considerazione/comprensione dei contesti di origine.
312
Appare evidente quindi come sia rischioso e poco efficace definire una
politica migratoria senza considerare i rapporti con i paesi di origine.
La specificità dei diversi contesti locali richiede elaborazioni di strategie di
governance calibrate su tali specificità che tengano conto del carattere
circolare delle relazioni che entrano in gioco nei processi migratori. Il
recupero da parte degli enti locali di protagonismo nel governo delle
migrazioni dovrebbe dare vita a modelli innovativi e integrati che tengano
conto di tale circolarità.
In questo senso risulta utile ipotizzare una cornice nazionale in cui si
inseriscono misure specifiche legate ai diversi sistemi locali. Parallelamente
si prospettano necessarie misure di coordinamento tra i diversi soggetti
subnazionali, così come iniziative di messa in rete di informazioni, contatti e
best practices (attività esistenti, progetti innovativi, opportunità di
finanziamento).
In questo quadro appare necessario che le istituzioni, e con esse il tessuto
socio-culturale delle società di accoglienza, avviino una riflessione sul
concetto di integrazione, ancora fortemente vissuta come un processo
lineare di inserimento nel paese di accoglienza in relazione ad una visione
dell’immigrazione come flusso unidirezionale verso i paesi di approdo.
La considerazione dell’immigrazione invece come un processo flessibile di
movimento e scambio tra paesi che crea uno spazio aperto di circolazione di
individui, idee, competenze e capitali, dovrebbe portare a considerare il
processo di integrazione come circolare intendendo con integrazione
circolare “l’inserimento contemporaneo e mobile degli immigrati nella realtà
politica, sociale ed economica dei paesi di origine e di accoglienza” (CeSPI,
2000b).
Alla necessità di una trasformazione culturale nel delineare il concetto di
integrazione segue necessariamente l’urgenza di affiancare alle tradizionali
politiche di integrazione basate sull’acquisizione progressiva dei diritti,
iniziative che favoriscano l’integrazione circolare e valorizzino le risorse e le
potenzialità delle popolazioni migranti anche in termini di azioni
transnazionali.
L’unione Europea aspira ad un approccio integrato, globale ed equilibrato alle
questioni migratorie considerate non più come competenza esclusiva dei
313
ministeri dell’Interno in quanto fenomeni di emergenza sociale o di sicurezza
e ordine pubblico18.
Le direttive che emergono a livello europeo stabiliscono tra le priorità un
approccio multisettoriale al tema dell’immigrazione mettendo in primo piano
la necessità di un’azione per uno sviluppo in collaborazione con i paesi di
origine, superando la visione che vede lo sviluppo economico come unico
elemento utile alla riduzione dei fattori di spinta dell’immigrazione19.
Per quanto riguarda la Regione Lombardia appare ancora in via sperimentale
un approccio che consideri il fenomeno migratorio come centrale tra i
fenomeni di internazionalizzazione che coinvolgono i territori locali e le loro
istituzioni; ad una intenzionalità dichiarata e rilevata a livello legislativo e di
linee strategiche non corrisponde però un livello di operatività in termini di
programmi e progetti. L’ambito in cui le dichiarazioni programmatiche
sembrano lentamente prender forma e realizzarsi è quello di programmi
integrati tra territori locali per il reclutamento di forza lavoro migrante;
opera in questo senso il programma avviato dall’Agenzia Regionale per il
Lavoro con le regioni di Gafsa e Kassarine in Tunisia.
Dal punto di vista delle relazioni internazionali si riscontra un approccio
integrato per quanto riguarda le politiche di internazionalizzazione, ma non
per quanto riguarda il governo dei fenomeni migratori, considerato ancora in
maniera marginale nelle strategie di internazionalizzazione della Regione.
La regione Lombardia non sembra avere tra gli interessi prioritari quello di
incidere in modo integrato anche nella sfera esterna del fenomeno
migratorio, con interventi che affianchino quelli di accoglienza e
integrazione.
18 Si vedano le conclusioni del Consiglio di Tampere (15/16 ottobre 1999) che hanno riconosciuto: "il bisogno di un approccio generale al fenomeno della migrazione", "una politica di integrazione più incisiva (che) dovrebbe mirare a garantire (ai cittadini di paesi terzi) diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell'unione" e la necessità di "un riavvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi, in base ad una valutazione comune degli sviluppi economici e demografici all’interno dell’Unione, sia della situazione nei paesi d’origine" (UE, 1999). Il Consiglio di Tampere (1999) ha ribadito l'impegno per una politica comune in materia di asilo e immigrazione. 19 Il Consiglio di Tampere ha indicato tra gli strumenti per l’avvio di un nuovo approccio in tema di immigrazione e asilo, la formula del “partenariato territoriale", inteso come rapporto flessibile di gestione dei flussi migratori così da incoraggiare i migranti a sviluppare e mantenere rapporti col paese di origine, sostenendolo, non solo attraverso le rimesse ai famigliari, ma anche con progetti di sviluppo e iniziative economiche appoggiate dalla stessa Unione.
314
Parallelamente nell’ambito della cooperazione decentrata la regione sembra
privilegiare il protagonismo dei diversi soggetti della società civile senza
assumere un ruolo di regia e indirizzo per esempio attraverso la
focalizzazione dei propri interventi verso aree geografiche precise o
attraverso un ruolo di coordinamento effettivo delle varie iniziative.
Modelli di cooperazione decentrata di tipo sistemico e integrato20
sembrerebbero più efficaci al fine di rafforzare il protagonismo degli enti
locali, dando alla cooperazione decentrata un senso più complessivo di
politica estera degli enti locali.
Dal punto di vista geografico il Mediterraneo risulta tra le aree di forte
interesse per la Regione Lombardia, sia a livello di istituzione regionale che
di soggetti del tessuto socio-economico (Camera di Commercio, Associazioni
di categoria, imprese); questo interesse si traduce essenzialmente in
strategie di allargamento del mercato per il tessuto imprenditoriale lombardo
e non ancora in programmi di partenariato complessivi che affrontino anche
questione legate ad una gestione integrata dei flussi migratori.
La mappatura realizzata a livello istituzionale così come i risultati del lavoro
precedentemente illustrato sulle associazioni, evidenziano inoltre lo scarso,
spesso nullo, coinvolgimento della popolazione immigrata, nella
progettazione e realizzazione di interventi in campo migratorio.
Se risulta ancora scarsa la partecipazione e il protagonismo dei migranti sul
terreno dell’accoglienza e dell’integrazione, decisamente inesistente pare
attualmente lo spazio offerto ad un potenziale contributo dei migranti in
quanto portatori di capacità di azione transnazionale.
Le istituzioni sembrano ancora immature e poco aperte rispetto alla
possibilità di considerare e valorizzare il potenziale transnazionale dei
migranti.
Parallelamente la popolazione immigrata pare ancora molto fragile, costretta
ad una condizione di precarietà giuridica e lavorativa da un lato, e di
emarginazione sociale e spesso anche psicologica dall’altro: tale status ne
soffoca le potenzialità costruttive e propositive.
20 Si veda a questo proposito il programma di cooperazione decentrata avviato nel 2000 dalla Regione Piemonte con il Marocco. Tale programma appare articolato in due percorsi:
1. Iniziative realizzate in partenariato con le Regioni di Rabat e Chaouia-Ouardigha nell’ambito dei rispettivi protocolli di collaborazione firmati nel 2001.
2. Bando pubblico rivolto a soggetti piemontesi per il cofinanziamento di progetti di sviluppo realizzati in Marocco.
315
Raramente viene riconosciuto ai migranti il valore aggiunto e il contributo
che essi potrebbero dare nell’ambito della cooperazione e
dell’internazionalizzazione in ragione della loro identità costruita tra due
mondi; la capacità di essere ponte è data dalla prossimità ai contesti di
origine e di arrivo e dalla conoscenza dei diversi contesti sociali e culturali,
ma tale capacità necessita di un contesto istituzionale e sociale fertile e
aperto che la accolga e la valorizzi.
Analogamente è necessario precisare come proprio il doppio ruolo che gli
stranieri vivono, di “emigrati” e al tempo stesso di “immigrati”, rende
particolarmente complesso e contraddittorio il rapporto con il proprio paese
di origine. La cooperazione decentrata appare come un buono strumento
vista la sua vocazione ad attivare processi che mirano a promuovere
cambiamenti in entrambi in contesti attraverso la collaborazione tra tutti
quegli attori che sono, a vario titolo, attivi e significativi nei processi di
sviluppo dei propri territori.
Inoltre la cooperazione decentrata si pone come un ambito di intervento
particolarmente adeguato al coinvolgimento delle associazioni di migranti,
sia nelle attività da realizzarsi nei luoghi di origine, sia nelle attività
genericamente definitive di educazione allo sviluppo e di sensibilizzazione nel
territorio di residenza.
E’ proprio nella cooperazione decentrata che i singoli immigrati, o le loro
associazioni, possono diventare un partner cruciale nella costruzione di
partenariati tra istituzioni, enti locali, o.n.g. e associazioni e i loro omologhi
nei territori all’estero. In questo quadro le Regioni dovrebbero avere un ruolo di regia attraverso la
raccolta e la promozione delle sollecitazione che vengono dal tessuto sociale
ed economico di riferimento.
La modalità del partenariato territoriale coinvolge in un impegno organico e
prolungato tutti gli attori delle rispettive comunità locali a livello istituzionale
e di società civile promuovendo sinergie e collaborazioni. Sarebbe
auspicabile che si strutturassero protocolli e programmi di scambio in grado
di fornire una cornice istituzionale favorevole allo sviluppo di iniziative nate
su impulso delle comunità immigrate o che perlomeno le coinvolgano come
risorsa.
316
Box 4.1 - L’esperienza del Servizio Migrazioni e Cooperazione internazionale del Comune di Bergamo
Per quanto riguarda il settore immigrazione la provincia di Bergamo presenta una
situazione di buona sinergia e collaborazione tra il livello comunale e provinciale e il
tessuto associativo nella progettazione e gestione dei fenomeni migratori.
L’Agenzia per l’integrazione è un’associazione fondata nel 2002 da provincia e
comune di Bergamo insieme a Caritas, Nuovo albergo popolare e Cooperativa
Migrantes, con l’obiettivo di facilitare, stimolare e realizzare iniziative a favore
dell’integrazione tra immigrati e realtà della provincia di Bergamoa.
Accanto a questa iniziativa positiva in termine di progettazione e gestione integrata
del fenomeno migratorio appare importante segnalare un’esperienza istituzionale
significativa vissuta dal Comune di Bergamo. Il comune di Bergamo ha un unico
organismo che si occupa dei due settori denominato appunto “Servizio Migrazioni e
Cooperazione internazionale”. Tra gli obiettivi generali viene segnalata
“l’integrazione tra interventi di cooperazione e solidarietà internazionale e fenomeni
migratori” (Comune di Bergamo - Documento programmatico, 1999).
Secondo alcuni operatori coinvolti in questo servizio, il bilancio di tale esperienza
appare difficile e problematico alla luce di difficoltà oggettive nella gestione delle
emergenze legate all’immigrazione e alla luce di cambiamenti di indirizzo politico
che hanno impedito una collegamento stretto ed organico tra questi due settori. Il
rapporto immigrazione delle provincia del 2000 segnalava una situazione ancora
esplorativa ed embrionale.
a Finalità dell’associazione: • favorire l'integrazione degli immigrati nella comunità provinciale; • facilitare e sostenere le forme di incontro ed interscambio tra i cittadini di
diversa provenienza e cultura; • agire per sostenere e rafforzare le forme di rappresentanza degli immigrati; • facilitare l'accesso ai servizi; • promuovere e sostenere azioni positive nei vari settori con network locali e
con realtà estere; • promuovere e favorire l'educazione interculturale; • ridurre le forme di esclusione; • favorire la diffusione e gestione di buone relazioni in ambito aziendale in
collaborazione con le associazioni di settore e categoria; • individuare buone prassi e favorire la loro diffusione; • agevolare lo sviluppo della formazione di immigrati, quale risorsa per il
mondo economico e sociale; • promuovere, sostenere ed agevolare la formazione di operatori, volontari,
associazioni anche con altri soggetti ed Enti.
317
Allegato - Riferimenti legislativi
Legge 6 marzo 1998 n. 40 “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero” e Decreto Legislativo attinente del 25 Luglio 1998, n. 286 "Testo unico
delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero".
Legge regionale 4 luglio 1988, n. 38, “Interventi a tutela degli immigrati
extracomunitari in Lombardia e delle loro famiglie”.
Legge regionale 5 giugno 1989, n. 20, “La Lombardia per la pace e la cooperazione allo
sviluppo”.
Deliberazione Giunta Regionale del 23 Marzo 2001, n. 7/3096, “Determinazione ai sensi
della l.r. 20/89, in merito alle attività di Cooperazione decentrata allo Sviluppo”.
Deliberazione Giunta Regionale del 23 Novembre 2001, n. 7/7089, “Presa d’atto della
comunicazione del Presidente Formigoni avente oggetto: “Le relazioni
internazionali della Regione Lombardia: indirizzi strategici e programmatici”.
Ad oggi le poche esperienzeb che si erano strutturate secondo quest’ottica non
hanno rappresentato la base per l’avvio di programmi solidi ed articolati di
interventi. Attualmente questa tendenza strategica a coniugare strettamente
immigrazione e progetti di cooperazione a partire dalle esperienze pilota passate,
appare arenata. Il fatto che tale esperienza sia (almeno allo stato attuale)
naufragata apre alla possibilità di un dibattito su quali prospettive abbiano
esperienze di questo tipo in relazione all’attuale tendenza nazionale e regionale
nella gestione dei fenomeni migratori.
Nel quadro di una scarsa tendenza a facilitare ed indirizzare il collegamento tra le
strutture che si occupano di immigrazione e quelle che si occupano di cooperazione
internazionale, l’esperienza del comune di Bergamo si rivela comunque interessante
al di là dell’effettiva realizzazione delle dichiarazioni di intenti.
b Un progetto rivolto ad un paese a forte pressione migratoria, il Senegal, che ha coinvolto soggetti del proprio territorio locale e migranti residenti in provincia. Il “Programma di promozione del risparmio in Senegal” frutto della collaborazione tra il Comune di Bergamo, la Cassa di Credito Cooperativo di Treviglio, l’ONG Acra e l’Associazione di Mutuo Soccorso tra Senegalesi di Bergamo. Un progetto per l’attivazione della Scuola Tecnica di Asmara in collaborazione con l’Associazione Eritrei a Bergamo.
318
Deliberazione Giunta Regionale del 28 Giugno 2002, n. 7/9568, “Acquisizione di risorse
aggiuntive del Fondo nazionale per le politiche migratorie ex legge 40/98
finalizzate alla realizzazione di un progetto pilota per l’integrazione sociale”.
Deliberazione Giunta Regionale 18 luglio 2003 – n. 7/13695 “Determinazione ai sensi
della l.r. 20/89, in merito alle attività di Cooperazione decentrata allo Sviluppo”.
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321
4.1.3 Le reti associative dei cittadini marocchini residenti in
Lombardia
Sofia Borri
INTRODUZIONE
Obiettivo dell’indagine
L’obiettivo della presente indagine è quello di far luce sulla reale dimensione
dell’associazionismo legato alla presenza immigrata di nazionalità
marocchina in Lombardia, nel tentativo di approfondirne le forme, i
contenuti, le criticità e le possibili prospettive.
In quest’ottica si è voluto da un lato censire le associazioni di cittadini
immigrati di nazionalità marocchina presenti sul territorio lombardo e
parallelamente capire il grado di partecipazione dei migranti marocchini e il
livello di interazione con il tessuto sociale di residenza.
Infine, considerando la peculiarità della presente ricerca che indirizza un
intervento pilota di co-sviluppo, un’ulteriore obiettivo è stato quello di
individuare interlocutori per la diffusione del progetto e attivare, dove è
stato possibile e dove c’era interesse, collegamenti di rete tra strutture.
LA RICERCA DI CAMPO
Identificazione dei soggetti e definizione del campione
Per l’identificazione delle associazioni marocchine presenti in Lombardia si è
contattato il Consolato Generale del Regno del Marocco di Milano che ha
fornito una lista delle associazioni che risultano iscritte alla circoscrizione
consolare di Milano. In seguito a contatti con istituzioni (uffici stranieri di
comuni lombardi, prefetture) e con associazioni ed enti che lavorano
sull’immigrazione sono emerse realtà associative non segnalate dal
Consolato. La fase esplorativa della presente ricerca ha quindi provveduto a
costruire un quadro il più ampio possibile delle associazioni che coinvolgono
cittadini marocchini presenti in Lombardia, al di là dell’ufficiale registrazione
presso la sede consolare di Milano.
322
Questa scelta si è resa necessaria in seguito alla constatazione di una
discrepanza tra la realtà segnalata dal consolato e l’effettiva presenza
associativa sul territorio, soprattutto in un’ottica che considera possibili
evoluzioni future di questo fenomeno.
Da numerose interviste è emerso come la gestione da parte dell’autorità
consolare delle associazioni sia stata spesso percepita come poco produttiva
e clientelare, interessata ad un ritorno di immagine più che ad una effettiva
ed efficace progettualità che coinvolga le diverse comunità.
E’ importante a questo punto precisare che tipo di realtà sono state
considerate come costituenti l’oggetto di indagine e quindi che cosa si è
inteso con la dicitura associazioni marocchine.
Sono state considerate come associazioni marocchine in prima istanza quelle
registrate presso il consolato e quindi considerate ufficialmente come
rappresentanti della comunità.
In seguito a contatti e segnalazioni provenienti da incontri con associazioni,
istituzioni e migranti sul territorio lombardo, è emersa però l’esistenza di
associazioni che coinvolgono attivamente migranti marocchini, pur non
risultando ufficialmente registrate presso il consolato.
Sono state quindi considerate nel campione anche le esperienze associative
significative in termini di creazione di reti sociali sul territorio anche se non
registrate presso il Consolato.
Si tratta di associazioni fondate da uno o più cittadini di nazionalità
marocchina, ma che non risultano essere associazioni marocchine strictu
senso. L’eterogeneità dei partecipanti e degli obiettivi (rispetto alle classiche
associazioni di comunità straniere) è stata considerata un elemento
interessante nell’analisi perché ha dato ragione di nuove prospettive in
termine di rafforzamento del capitale sociale della comunità.
Parimenti la non registrazione presso il Consolato ha permesso di render
conto delle problematiche relative alla relazione con le autorità marocchine
in Italia e di riflesso con quelle del paese di origine.
Preparazione del questionario
E’ stato elaborato un questionario composto dalle seguenti sezioni:
- Informazioni anagrafiche dell’associazione;
- Base sociale;
323
- Struttura e organizzazione interna;
- Genesi e storia;
- Attività;
- Relazioni esterne in Italia ed in Marocco;
I questionari sono stati somministrati durante colloqui che generalmente si
sono svolti con il referente dell’associazione ed in alcuni casi con più di un
rappresentante. In sede di intervista, nei casi che sono sembrati più
interessanti e disponibili al confronto, sono state raccolte informazioni
aggiuntive a quelle rilevate dal questionario che hanno dato ulteriori
elementi per costruire il presente rapporto.
Tali integrazioni hanno permesso di articolare e arricchire il quadro della
realtà associativa che, come spesso accade per l’associazionismo immigrato,
e con particolare forza per la comunità marocchina, appare fluido e poco
strutturato. E’ stato possibile quindi cogliere sfumature e complessità di una
realtà che appare poliedrica e inafferrabile e che accanto a reali potenzialità
mostra molti limiti e contraddizioni.
Il campione
La presente ricerca ha individuato e intervistato referenti di 15 associazioni
presenti sul territorio lombardo. La lista fornita dal consolato segnalava 13
associazioni, di cui una legata alla provincia di Trento e quindi non
considerata nella mappatura. Delle restanti 12, 9 sono state contattate e
intervistate; 2 sono state contattate, ma in entrambi i casi il rappresentante
non si è reso disponibile ad un incontro; infine una non è risultata più attiva
ed il referente non è stato reperibile. Ulteriori contatti provenienti da canali
istituzionali e del privato sociale hanno permesso di individuare altre 6
associazioni.Il presente lavoro ha cercato di fornire in prima istanza un
quadro descrittivo del mondo associativo legato alla comunità marocchina in
Lombardia, in modo da offrire alcune valutazioni su un possibile ruolo delle
forme associative nella costruzione di percorsi di co-sviluppo.
E’ essenziale notare come la frammentaria, poco fertile e, in alcuni casi,
giovane realtà delle associazioni marocchine ha reso ancora prematura
un’analisi che volesse evidenziarne gli elementi di transnazionalità necessari
per ragionare in termini di trasferimento di capitali (umano, sociale e
finanziario) verso il paese di origine.
324
STRUTTURA ASSOCIATIVA
Ambito territoriale
Con riferimento alla distribuzione sul territorio lombardo è possibile
affermare che il campione appare distribuito su quasi tutto il territorio
regionale.
Bergamo e Brescia risultano le province più ricche dal punto di vista del
tessuto associativo, entrambe con tre associazioni presenti.
Vigevano e Mantova hanno due associazioni, ma è opportuno precisare che,
nel caso di Mantova, si tratta di due associazioni formate da marito e moglie
che presuppongono una rappresentanza legata ad un bacino di reti più o
meno sovrapponibile; inoltre una delle due è tra le associazioni in cui è
inesistente la base sociale.
Una situazione simile si riscontra per una delle due associazioni di Vigevano,
anch’essa caratterizzata da un presidente che accentra ogni attività; inoltre
le attività dell’associazione sembrano ormai essere state inglobate in quelle
del centro di culto islamico locale di cui il presidente è membro dirigente.
Nella città di Milano non sono state rilevate associazioni attive. Il fenomeno
sembra legato sia ad un contesto sociale molto dispersivo, sia al fatto che
spesso la città rappresenta il luogo di approdo e di passaggio. Una volta
stabilizzatasi la situazione familiare (spesso in seguito ai ricongiungimenti),
la scelta territoriale dei migranti è verso realtà della provincia che offrono:
• Possibilità di lavoro più sicure (distretti industriali di piccola e media
impresa)
• Soluzioni abitative più economiche
• Accesso ai servizi più agevole
• Contesto sociale più raccolto (più facile conoscere e farsi conoscere)
Per completezza è necessario segnalare che sono stati presi contatti con
l’unica associazione segnalata dal Consolato e presente a Milano.
Il referente non si è reso disponibile all’incontro, ma in ogni caso colloqui con
interlocutori privilegiati del contesto cittadino (di nazionalità marocchina e
non) hanno confermato l’assenza sia di una collettività di riferimento che di
un programma recente di attività sul territorio.
325
Anzianità e genesi
Secondo la letteratura esistente una classificazione delle associazioni
immigrate secondo i meccanismi di genesi individua forme di organizzazioni
considerate come trapiantate dal paese di origine e altre invece costituitesi
nel paese di accoglienza (Carchedi, 2000, Castles e Miller, The Age of
Migration, 1992).
Nessuna delle associazioni marocchine incontrate deriva o è espressione di
un’esperienza associativa e/o partitica del paese di origine. Al contrario viene
sottolineata da quasi la totalità dei referenti intervistati la scarsa cultura
associativa presente in Marocco (1994, Dal Lago, pag. 163 – Khatibi) e la
diffidenza abbastanza diffusa, soprattutto in passato, verso forme di
aggregazione collettiva considerate in maniera destabilizzante nel panorama
socio-politico marocchino. In questo senso può essere interessante
sottolineare come in un buon numero di casi (6 su 15) le persone che in
Italia hanno dato vita a realtà associative, hanno avuto in Marocco
esperienze di vita associativa o in maniera diretta o attraverso familiari o
conoscenti. Rispetto agli anni di fondazione il campione preso in esame
appare suddiviso in questo modo:
Tre associazioni, che possiamo considerare le più antiche, fondate all’inizio
degli anni Novanta (tra il 1990 e il 1994), cinque nella seconda metà degli
anni Novanta (tra il 1997 e il 1998) e infine ci sono 7 associazioni di recente
costituzione (dal 2000) di cui due fondate agli inizi del 2004.
La decisione di andare a mappare anche le associazioni di recentissima
costituzione deriva dalla necessità di valutare le possibili evoluzioni di
questo fenomeno cercando di cogliere nuove tendenze che si delineano
anche in contrapposizione ad una realtà come quella dell’associazionismo
tradizionale spesso visto come poco efficace e poco rispondente a nuove
esigenze di progettualità ed integrazione espresse dalla comunità. In due
casi, a Vigevano e a Bergamo, la costituzione di nuove associazione è
avvenuta in opposizione ad associazioni esistenti in un’ottica di
contestazione di alcuni aspetti di gestione interna e di formulazione di
obiettivi e di efficacia delle attività proposte. Le nuove associazioni
rivendicano un aspetto di gestione più democratica e partecipata in
contrapposizione a gestioni accentratrici e segnate da un rinnovo nullo delle
cariche.
326
In secondo luogo viene accusata la vecchia gestione di essere condizionata
fortemente da un bisogno di visibilità fine a sé stesso espresso in attività
legate al consolato, considerate molto lontane dalla base e poco fertili in
un’ottica di integrazione e scambio con la comunità autoctona.
Gestione e organizzazione interna
Per quanto riguarda l’organizzazione interna si è cercato di capire quali
fossero i meccanismi interni di rinnovo delle cariche e di gestione delle
attività e quali le fonti di finanziamento utilizzate.
In linea generale si è riscontrata una corrispondenza tra una scarsa attività
associativa e un rinnovo quasi nullo delle cariche. Nel caso di 6 associazioni
incontrate, tutte costituitesi da più di 5 anni, il presidente è sempre lo stesso
dalla data di fondazione e non sono state previste regole interne di rinnovo
delle cariche. Si tratta di associazioni poco attive, in cui non esistono ambiti
di confronto interno né procedure decisionali condivise; spesso non si
riuniscono da mesi e programmano incontri solo in occasione di eventi
specifici.
Nel caso di tre associazioni di recente costituzione (meno di un anno di vita),
non sono stati definiti i meccanismi di rinnovo delle cariche, anche se in tutti
e tre i casi i responsabili intervistati assicurano che sarà previsto un
meccanismo di ricambio in seno agli organi decisionali.
Le restanti 6 associazioni dichiarano di provvedere al rinnovo delle cariche
interne ogni due anni; gli associati si incontrano in media una volta al mese
e più spesso in occasione di eventi particolari da organizzare (feste,
incontri…). Queste associazioni sembrano soffrire ancora di incapacità
organizzative e di debolezza operativa, ma presentano comunque una buona
spinta motivazionale e un buon grado di collegialità nelle azioni. Questo
dato permette di immaginare che azioni di rafforzamento e appoggio
(finanziario, logistico e di conoscenza di cultura associativa)
permetterebbero di migliorarne l’organizzazione e la gestione.
Per tutte le associazioni incontrate si è riscontrato uno stato di precarietà
finanziaria e logistica. In molti casi esiste un sistema di contributo volontario
degli associati più attivi e di autofinanziamento attraverso iniziative
pubbliche.
327
In sei casi esiste anche una quota associativa annuale (5 euro in media) che
viene richiesta a tutti gli associati, ma che non sembra comunque
rappresentare una fonte significativa di finanziamento.
Per quanto riguarda l’aspetto logistico si segnala una difficoltà per tutte le
associazioni di reperire spazi per una sede; risultano facilitate ovviamente
quelle associazioni (5 casi) inserite nel tessuto associativo locale per le quali
i rapporti con altre associazioni o con le istituzioni locali rappresentano una
garanzia di appoggio importante (sede presso altre associazioni o in locali
messi a disposizione dal comune).
RETI E CAPITALE SOCIALE
Base associativa e grado di rappresentatività
Un primo elemento da considerare nell’analisi delle basi associative che
caratterizzano le associazioni incontrate è la nazionalità delle persone
associate. In 9 casi su 15 i soci ed il gruppo di riferimento sono
esclusivamente marocchini: in questi casi la nazionalità marocchina
costituisce il primo criterio necessario per associarsi.
Gli altri 6 casi rappresentano situazioni diversificate. In due casi si tratta di
associazioni che coinvolgono anche altre nazionalità di religione musulmana
(si tratta di casi in cui le attività dell’associazione sono legate alle attività dei
centri di culto islamici locali – tendenzialmente in piccoli centri). In altri tre
casi le associazioni si presentano aperte a tutti (anche agli italiani), ma nella
pratica questa apertura non si concretizza in una partecipazione attiva di
persone di altre nazionalità. In un solo caso la composizione mista è un dato
di fatto e riguarda anche gli organi direttivi.
Per quanto riguarda il rapporto tra referenti e base associativa la situazione
incontrata appare frammentata e molto diversificata; è opportuno
premettere che nell’analisi di questo aspetto non sono state considerate le 4
associazioni costituitesi meno di un anno fa in quanto la loro storia recente
non ha ancora evidenziato elementi certi e significativi che ne delineassero il
rapporto con la base associativa.
Negli altri 11 casi il grado di coinvolgimento di una parte ampia della
comunità sembra molto basso, nonostante si tratti per la maggior parte di
associazioni con più di 5 anni di vita.
328
Vengono dichiarate in media 70-100 persone che gravitano intorno
all’associazione, ma le persone davvero attive risultano essere sempre tra le
5 e le 7, a parte 4 casi in cui, per dichiarazione dello stesso, l’unico davvero
attivo è il presidente.
Questo aspetto di distanza della leadership dalla base viene spesso
esplicitato dai referenti intervistati attraverso una denuncia di scarsa
predisposizione della comunità a mobilitarsi (economicamente e
praticamente) se non nel momento del bisogno. A questo livello è utile
operare una distinzione.
Nelle 5 associazioni fortemente legate al Consolato, questa distanza dal
resto della comunità viene dichiarata come un dato di fatto, non viene
affrontata e appare immutabile da anni. In 2 casi è stata addirittura riportata
dagli intervistati una sorta di diffidenza verso i referenti che, agli occhi del
resto della comunità, approfitterebbero di eventuali fondi dell’associazione e
otterrebbero vantaggi personali dalla visibilità. Questo fatto viene riferito a
conferma della scarsa o nulla familiarità della mentalità marocchina con le
forme associative; considerato come un tratto immodificabile, viene
accettato in modo passivo a testimonianza di un limite culturale insuperabile.
“Cosa vuoi fare… in Marocco non c’è abitudine a pensare alle associazioni; se non c’è
niente che ti viene in tasca non fai niente e se si chiedono 5 euro all’anno per fare
attività alcuni pensano che te li metti in tasca tu” (Segretario associazione, Bergamo)
Tra i restanti 6 casi emerge invece una volontà di superare questo quadro di
scarsa partecipazione e di difficoltà nel coinvolgimento, che vengono
attribuite a due fattori fondamentali.
• La tendenza della comunità marocchina a non percepire la dimensione
del progetto collettivo al di là dell’ambito familiare e della riuscita
economica;
• Un’oggettiva difficoltà a trovare tempo e risorse in una vita segnata da
ritmi di lavoro molto faticosi e da necessità di ordine prioritario
(questioni relative all’alloggio, al permesso di soggiorno), in cui la
dimensione associativa viene considerata un lusso.
Facendo un bilancio complessivo si può dire che in almeno 5 associazioni è
riscontrabile l’assenza di leadership integrate (Carchedi, 2000) per cui i
referenti non rappresentano un ponte tra le istituzioni, il tessuto sociale
autoctono e le proposte e le istanze espresse dalla base.
329
E’ interessante segnalare a questo proposito due casi in cui la costituzione di
nuove associazioni è avvenuta in seguito ad una spaccatura di associazioni
ufficiali precedenti, accusate dai fuoriusciti:
• Di rappresentare gli interessi personali della leadership.
• Di avere poca vitalità e propositività avendo come unico obiettivo la
visibilità dei dirigenti.
• Di farsi portavoce unicamente delle istanze di visibilità del Consolato.
• Di avere una gestione interna non democratica (assenza di rinnovo delle
cariche).
Le associazioni nate in seguito a questa rottura rappresentano una novità in
termini di democraticità interna, di innovazione nelle proposte operative, di
sforzo nel coinvolgimento della collettività e di dialogo con il tessuto socio-
istituzionale di riferimento.
E’ necessario comunque precisare che si tratta di esperienze in divenire, la
cui stabilità e propositività è ancora da verificare e rafforzare, soggette,
come tutte le forme di rappresentanza sociale degli immigrati, oltre che a
dinamiche intracomunitarie, alle politiche sociali delle società di accoglienza.
Istituzioni e associazioni del territorio
Se le associazioni immigrate nascono generalmente con un ruolo di
mediazione rispetto alle istituzioni (Carchedi, 2000), le associazioni di
immigrati marocchini incontrate non fanno eccezione in questo senso. Tutte
svolgono servizi di orientamento, mediazione e accompagnamento nella
gestione delle complesse e intricate trame burocratiche che finiscono per
condizionare tutte le relazioni degli immigrati con le istituzioni.
Nel corso della presente indagine abbiamo incontrato alcune realtà che
hanno trovato nelle amministrazioni locali appoggio soprattutto nell’offerta di
spazi in modo permanente (sede – 2 casi) o in occasioni di eventi particolari
(feste e riunioni ad hoc – 6 casi). Inoltre le amministrazioni locali sembrano
abbastanza attive nell’organizzazione di eventi multiculturali (feste, dibattiti)
ed è in queste occasioni che le associazioni hanno modo di usufruire dello
spazio istituzionale per entrare in contatto con il contesto sociale. Un aspetto
per il quale molte associazioni sembrano lamentare una latitanza delle
amministrazioni è l’accesso a fondi pubblici di sostegno.
330
Le prefetture e le questure sono visitate periodicamente da quasi tutti i
referenti di associazioni per questioni burocratiche e di regolarizzazione. In
questi casi le associazioni riescono spesso ad offrire un servizio di
informazione e mediazione di base comunque prezioso.
In generale i referenti ammettono che il dialogo con le istituzioni avviene
grazie a conoscenze personali delle singole persone e risulta molto
condizionato da rapporti di fiducia personali costruiti con operatori o
funzionari.
“Il mio lavoro di mediatrice mi aiuta molto perché conosco molte persone di altre
associazioni/cooperative o dei comuni con cui lavoro. La fiducia che c’è per il fatto che
lavoriamo insieme e mi conoscono permette poi di avere contatti e appoggi utili alla vita
dell’associazione” (Presidentessa associazione, Brescia)
Poche sono le segnalazioni di collaborazioni attive con associazioni del
territorio che lavorano con immigrati o con quelle rappresentative di altre
comunità. In generale si riscontrano più facilmente in contesti territoriali
piccoli in cui le conoscenze, gli scambi e le potenziali collaborazioni
sembrano più agevoli. I contatti si limitano in alcuni casi a conoscenze
avvenute all’interno di Forum sul tema dell’immigrazione, mai scaturite però
in attività congiunte. Per un’associazione di Vigevano si segnala una
collaborazione stretta con un’associazione mista del territorio che ne ha
appoggiato la nascita; in questo caso la sinergia sembra facilitata da
conoscenze pregresse tra gli attivisti delle due associazioni.
Infine è necessario precisare come negli ultimi due anni molti dei contatti
con istituzioni, sindacati e associazioni siano avvenuti in relazione
all’emergenza burocratica rappresentata dall’ultima regolarizzazione legata
alla legge n. 189 del 2002; le numerose difficoltà generate dalla gestione di
tali pratiche ha decisamente spostato l’ordine delle priorità, condizionando
molto i rapporti delle associazioni immigrate con il territorio.
Infine nei pochi casi di associazioni più attive e motivate ad una
cooperazione con le istituzioni ed il territorio, viene segnalata una mancanza
di coinvolgimento a livello di progettazione. In alcuni casi viene usato il
nome delle associazioni di stranieri per certificare la partecipazione della
popolazione immigrata a progetti presentati dalle amministrazioni o dal
privato sociale; nella pratica però gli stranieri e le loro associazioni
lamentano un ruolo tendenzialmente passivo, di semplici esecutori e/o
prestanome.
331
“Una volta ci hanno chiesto di mettere il nostro nome per fare un corso di formazione
per immigrati con il Fondo Sociale Europeo, avevano bisogno della partecipazione di
un’associazione di immigrati per fare il progetto. Poi però non ci siamo più quando
bisogna decidere cosa fare e come fare le cose” (Presidente associazione, Bergamo)
Gli incontri, anche a livello istituzionale e del privato sociale che hanno
permesso i contatti con le associazioni marocchine del territorio hanno
segnalato come in modo generale le relazioni con l’associazionismo
immigrato presentino numerose difficoltà. In un quadro complessivamente
articolato, difficoltoso e ambivalente le istituzioni e i diversi soggetti del
territorio che si occupano di immigrazione segnalano le seguenti peculiarità
delle associazioni marocchine:
• Debolezza strutturale e organizzativa.
• Difficoltà di orientamento nell’espletare le questioni burocratiche.
• Difficoltà nell’accesso agli aiuti istituzionali.
• Leadership debole e continuo cambiamento dei referenti.
• Poca stabilità (nascono e si sciolgono spesso, sede che coincide spesso
con la casa del referente).
Consolato e rapporti con il Marocco
Come segnalato in precedenza, 10 delle 15 associazioni intervistate risultano
registrate alla Circoscrizione Consolare di Milano; una di queste non ci era
stata segnalata dal Consolato nella lista fornita nell’ottobre 2003 perché è
stata fondata agli inizi del 2004.
Tra le 10 registrate 4 dichiarano di non avere molte aspettative rispetto alla
collaborazione con il Consolato; in due casi addirittura i referenti si sono
dimostrati molto critici rispetto all’utilità degli incontri di coordinamento
proposti in sede consolare. Il Consolato propone infatti uno spazio di
coordinamento delle attività delle associazioni di cittadini marocchini del
Nord Italia; il coordinamento si riunisce un paio di volte l’anno, ma non
sembra rappresentare un organo attivo e propositivo. In un caso il
presidente di un’associazione ha dichiarato apertamente che considera le
riunioni presso il Consolato poco proficue affermando l’inutilità di
parteciparvi. E’ da segnalare che una delle associazioni registrate ha ricevuto
un finanziamento dal Consolato tre anni fa, ma è stato difficile capire quali
siano i meccanismi di erogazione di questi fondi.
332
In tre casi (tra le associazioni non registrate) il Consolato non viene
assolutamente vissuto come interlocutore presente e come istituzione di
supporto per i marocchini residenti in Italia.
Viene percepita in maniera molto critica la gestione del mondo associativo in
cui viene dato spazio e voce ad associazioni fondate per interessi personali,
segnate da poca vitalità, che hanno come unico obiettivo la visibilità dei
dirigenti. Secondo queste opinioni le associazioni coltivate dal Consolato
hanno una rappresentatività molto bassa e non propongono attività di
crescita ed integrazione reale della comunità.
Esse sembrerebbero rappresentare in questo senso quelle che F. Carchedi
illustra nel suo rapporto come “organizzazioni allineate con le politiche
governative”, per le quali “si riscontra sovente una correlazione tra le
attività che svolgono e le strategie di consenso portate avanti dalle
ambasciate e dai consolati dei rispettivi paesi” (Carchedi, 2000).
In generale sono stati rilevati pochi contatti tra le associazioni di migranti
marocchini in Lombardia e si è constatata una quasi totale assenza di
collaborazioni attive.
Un aspetto che sembra emergere rispetto alle necessità espresse dalle
autorità marocchine in termini di visibilità della comunità è il tentativo di
liberarsi dalla stigmatizzazione negativa che subisce l’immigrazione
marocchina in Italia.
Alcune associazioni sembrano condividere questo obbiettivo che si traduce
essenzialmente in una continua preoccupazione di sottolineare il distacco da
fasce più escluse ed emarginate della popolazione spesso caratterizzate da
derive nell’illegalità; questa situazione si riscontra soprattutto nei centri
piccoli dove i rappresentanti associativi spesso fanno da mediazione con la
società di accoglienza fornendo raccomandazioni per il lavoro, per la casa e
garantendo sull’affidabilità delle persone. Ovviamente questo bisogno appare
più accentuato nelle comunità, come quella marocchina, oggetto di
pregiudizi negativi da parte della società italiana e per le quali le
generalizzazioni negative sembrano essere una forte minaccia da cui
difendersi.
“Vengono nell’associazione persone brave che vogliono lavorare e quando qualcuno ha
qualche problema in comune o con la casa, se è dell’associazione io lo conosco e posso
dire è un marocchino onesto che vuole lavorare non un delinquente… ma per aiutare io
devo conoscere e sapere che tu sei bravo” (Presidente associazione, Pavia)
333
Rispetto alle relazioni con il tessuto associativo in Marocco gli intervistati
dichiarano pochi contatti con associazioni in Marocco, quelli esistenti
sembrano essere di superficiale conoscenza e non prospettano possibilità di
collaborazioni attive almeno nel breve e medio periodo; molti dei referenti
incontrati attribuiscono questa situazione da una parte all’assenza di
tradizione associativa in patria, dall’altra all’urgenza di dedicarsi
prioritariamente ad attività che rafforzino la presenza della comunità in
Italia. Le attività con il Marocco sembrano ancora molto legate a celebrazioni
ufficiali dei migranti piuttosto che a progetti partecipati di sviluppo locale.
CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI
La presenza immigrata di nazionalità marocchina in Lombardia al 31
dicembre 2003 risulta la più consistente con quasi 55.000 presenze
(Caritas/Migrantes, 2004); il primato a livello lombardo si conferma anche in
seguito alla regolarizzazione del 2002 che ha portato invece a livello
nazionale ad un sorpasso della comunità dei cittadini rumeni sui marocchini.
Inoltre, come è stato evidenziato nel quadro della presentazione generale la
comunità marocchina è tra le prime per anzianità di insediamento e dalla
metà degli anni Novanta ha intrapreso un fase di stabilizzazione segnata da
un forte aumento dei ricongiungimenti familiari .
Nell’ambito di una indagine sull’associazionismo di tale comunità queste
caratteristiche appaiono rilevanti e potrebbero far ipotizzare un buon livello
di strutturazione della comunità nelle sue forme associative.
Molta letteratura esistente afferma infatti che l’autorganizzazione dei
cittadini immigrati corrisponde di solito ad una fase di stabilizzazione della
presenza e ad una volontà di partecipazione attiva alla vita sociale del
contesto di accoglienza.
In questo senso la comunità marocchina, nelle forme associative mappate
attraverso il presente lavoro, sembrerebbe non confermare tale ipotesi.
Nella realtà i risultati della ricerca riportano un quadro molto più complesso
e ambivalente che supera il binomio stabilità/integrazione e problematizza la
presunta corrispondenza tra inserimento economico ed integrazione sociale.
Così come spesso le società di accoglienza operano una semplificazione del
concetto di integrazione riducendolo alla sola condizione di inserimento
economico omettendo la sfera relazionale e sociale, specularmente le
334
aspettative di integrazione dei migranti si disegnano in relazione a tale
semplificazione: il bisogno di partecipazione e integrazione sociale non
sembra necessariamente e automaticamente accompagnare la
stabilizzazione della presenza e l’integrazione nel tessuto produttivo.
La comunità marocchina sembra infatti nel suo complesso aver investito
molto poco nella costruzione di uno spazio sociale di condivisione e
partecipazione nei contesti di insediamento, rispondendo in maniera debole e
frammentaria ai già deboli segnali che provengono dalla società di
accoglienza e rendendosi raramente propositiva e attiva nell’interazione con
la società civile e le istituzioni locali. Tale situazione si riscontra anche a
fronte di un grado di stabilizzazione economica e occupazionale
relativamente positivo per la comunità marocchina in Lombardia. I soggetti
associativi espressione della popolazione immigrata sembrano soffrire di un
debolezza e di una instabilità abbastanza diffusa che sembra rispecchiare la
precarietà in cui vivono le persone immigrate.
La stabilità economica, occupazionale e di insediamento che si riscontra per
molta della popolazione marocchina presente in Lombardia, corrisponde
raramente ad un processo di crescita della partecipazione sociale e civile.
Operare per l’integrazione significa, tendenzialmente, per la società di
accoglienza considerare i bisogni del lavoratore immigrato come
esclusivamente legati alla sfera della sopravvivenza (abitazione e lavoro)
negando necessità legate alla sfera sociale e di cittadinanza attiva; il non
riconoscimento di necessità e bisogni di partecipazione porta con sé il rischio
di negazione delle potenzialità che i migranti hanno in quanto soggetti
propositivi e partecipativi del tessuto sociale.
Parallelamente è importante segnalare, e il presente lavoro lo ha evidenziato
in relazione alla comunità marocchina, come le stesse comunità immigrate
stentino a costruire e rafforzare forme di partecipazione collettiva.
In chiusura di questa riflessione può essere utile segnalare una definizione
proposta da V. Cotesta (Cotesta, 1992) che con il concetto di inclusione
subordinata esplicita la difficoltà/ambiguità che spesso accompagna la
costruzione dei processi di integrazione.
“Inclusione subordinata è una strategia doppia. Essa applica nel contempo defezione e
cooperazione. Nel campo economico questa strategia applica la cooperazione, offrendo
lavoro agli immigrati. Nel campo civile invece applica la defezione, non riconoscendo lo
statuto di cittadino all’immigrato lavoratore” (1992, Cotesta)
335
Per la comunità marocchina le difficoltà di strutturazione/autorganizzazione e
integrazione/partecipazione (Carchedi, 2000), sembrano legate ai seguenti
fattori:
Composizione qualitativa del flusso migratorio che per la presenza
marocchina è molto diversificato con una forte incidenza dei flussi più
antichi di persone provenienti da zone rurali e con un basso livello di
istruzione;
Modello migratorio segnato in modo prioritario da aspettative di riuscita e
integrazione economica a discapito di una possibile integrazione sociale;
Deboli competenze di organizzazione associativa e a questo proposito
sembra incidere molto la mancanza di tradizione associativa della società
marocchina;
Poca solidità per creare alleanze e rete con altri gruppi locali o altri
immigrati;
Condizionamento forte da parte delle autorità consolari che sembrano
avere un effetto di staticità e immobilismo sulle realtà associative che
riuniscono.
Le associazioni erano state inizialmente considerate interlocutori privilegiati
da coinvolgere attivamente sia nella formulazione di idee e contenuti per il
co-sviluppo che come principale ponte per diffondere il progetto pilota tra la
comunità.
La realtà dei fatti, però, ha mostrato fin da subito un tessuto associativo
frammentato, disperso e solamente in pochi casi (comunque molto giovani in
termini di strutturazione) potenzialmente fertile.
Cercando di riassumere la realtà incontrata nel corso della presente ricerca è
possibile ipotizzare tre tipologie di associazioni:
Associazioni a forte isolamento: si tratta di associazioni chiuse,
caratterizzate da una vita associativa accentrata da un solo individuo o da un
piccolo gruppo di riferimento (2/3 persone). Presentano un grado di
rappresentatività molto debole, accompagnato da un rinnovo nullo delle
cariche. I contatti con il tessuto associativo locale (per es. altre ass. italiane
e/o immigrate) sono molto scarsi e comunque legati a eventi specifici che
raramente sfociano in collaborazioni o progetti comuni. I contatti a livello
istituzionale avvengono soprattutto per questioni legislative e burocratiche
spesso gestite in maniera personalistica dal referente.
336
Queste associazioni sembrano avere essenzialmente un obiettivo di buona
convivenza nel contesto di accoglienza senza un’interazione reale
partecipativa, con una tendenza ad attività isolate che coinvolgono solo la
comunità o di forte formalità e rappresentanza. Spesso le attività sembrano
segnate da un bisogno di visibilità del gruppo referente presso le autorità
consolari. Le scarse attività con il Marocco sono di pura assistenza e di
rappresentanza (giornate del migrante, invio di sedie a rotelle)
Associazioni in transizione: esistono alcune associazioni legate allo schema
di associazionismo appena illustrato, ma che hanno avviato, seppur a fatica
processi di scambio e interazione con il territorio di accoglienza. Questo
gruppo di associazioni inoltre ha una gestione interna democratica, cerca di
lavorare sul coinvolgimento e la partecipazione del resto della comunità e
cerca di reagire alla eccessiva burocratizzazione e alla gestione poco efficace
e dispersiva delle autorità consolari.
Associazioni partecipative: infine esiste un terzo gruppo caratterizzato da un
deciso dinamismo e da un’avviata collaborazione e contatto con la realtà
italiana. Si tratta quasi sempre di associazioni di recente costituzione
fondate da immigrati giovani e con un livello socio-culturale medio-alto. Dal
punto di vista della gestione queste associazioni presentano meccanismi
democratici di organizzazione interna ed esplicitano la volontà di una
partecipazione mista e non monoetnica. Hanno una diversificazione nei
settori di intervento ipotizzati (al di là della ghettizzazione delle attività di
stranieri per stranieri), che dà ampiezza al raggio di intervento e ne
diversifica gli interlocutori.Esprimono, anche se ancora a livello intenzionale,
una volontà di apertura ad altre realtà associative del territorio in una
prospettiva di progettazione partecipata con il tessuto della società di
accoglienza. Infine alcuni dei referenti incontrati esprimono il desiderio di
avviare in un futuro anche contatti e attività con il paese di origine;
nell’immediato però questa prospettiva appare poco praticabile in ragione di
un bisogno prioritario di radicarsi e rafforzarsi in Italia.
Queste nuove realtà possono rappresentare un punto di partenza nuovo sia
in termini di rafforzamento della rappresentanza immigrata sia in termini di
costruzione di un tessuto associativo policentrico, capace di attivare
molteplici interlocutori istituzionali e della società civile.
337
Quest’ultimo è sicuramente un elemento da tenere in considerazione in
un’ottica di valorizzazione e potenziamento del capitale sociale dei migranti.
Come dice Francesco Carchedi
“… andare oltre l’organizzazione intracomunitaria significa effettivamente promuovere
alleanze con l’esterno, rafforzare gli scambi fiduciari e di reciprocità, valorizzare le altri
reti sociali cittadine e produrre valori aggiuntivi – di carattere multiculturale – a quelli in
dotazione al capitale sociale della collettività di appartenenza” (Carchedi, 2000)
Il ruolo delle istituzioni e della società civile dovrebbe essere quello di
accompagnare queste realtà associative perché si rafforzino e diventino un
soggetto propositivo per la società di accoglienza e per la società di origine.
In prima istanza dovrebbe esserne garantita la sopravvivenza anche
attraverso un sostegno logistico e finanziario (seppur minimo); in secondo
luogo i soggetti della sociètà civile dovrebbero offrire un appoggio in termini
di cultura ed esperienza associativa.
Una ricerca svolta dall’Agenzia per l’Integrazione di Bergamo sul territorio
della provincia sull’associazionismo immigrato evidenzia tra le richieste
quella di una conoscenza delle associazioni italiane in una prospettiva di
sviluppo di sinergie, scambi e collaborazioni. (Frattini, 2003).
Di fronte alla crescente incidenza del fenomeno migratorio in numerosi
ambiti della vita sociale e pubblica, il bisogno della società locale e delle sue
istituzioni è quello di avere interlocutori riconosciuti e validi.
E’ stato illustrato in precedenza come questi possibili interlocutori abbiamo
molte difficoltà nello strutturare e rendere sostenibili tali realtà collettive. In
questo senso le associazioni dovrebbero affiancare alle istanze di
appartenenza etnica e culturale e di mutuo sostegno in questioni pratiche
anche uno spazio di rivendicazione politica più ampia.
In questo contesto si inserisce ovviamente il dibattito sul diritto di voto agli
immigrati che non può in questa sede essere trattato in tutta la sua
ampiezza. Il presente lavoro si è confrontato con le oggettive difficoltà delle
popolazioni immigrate nella costruzione della propria rappresentanza;
l’impossibilità di incidere nella sfera politica rappresenta sicuramente “un
limite che legittima una sorta di immaturità civile degli immigrati” (Carchedi,
2000). Parimenti però porre il problema della rappresentanza degli immigrati
solamente nei termini di una semplice (anche se epocale) trasformazione
legislativa, rischia di non affrontare il problema in tutta la sua complessità e
la sua ampiezza.
338
In questo senso sembra importante segnalare una questione posta da molti
degli interlocutori e dei referenti incontrati che riguarda la precarietà che
caratterizza sempre più lo status di migrante nella nostra società. Un
contesto giuridico-legislativo che cronicizza la precarietà giuridica dei
migranti, porta necessariamente ad una condizione di instabilità sociale nella
quale diventa molto più difficile ipotizzare una progettualità a medio e lungo
termine sia sul piano delle esistenze individuali e, a maggior ragione, sul
piano della costruzione di realtà collettive.
Porre il problema della rappresentanza immigrata affinché gli immigrati
partecipino attivamente alla vita socio-politica del paese di accoglienza,
significa attivare un processo nel quale devono avere spazio e responsabilità
tutti i soggetti sociali: gli immigrati, la società civile, le istituzioni e la classe
politica.
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340
4.1.4. Le attività di lavoro autonomo degli immigrati
marocchini in Lombardia
Sofia Borri, Gisella Raimondi
INTRODUZIONE
L’obiettivo della presente ricerca è comprendere con quali modalità la figura
dell’imprenditore marocchino immigrato possa essere potenzialmente
interessante come agente di sviluppo per le comunità di origine.
L’ipotesi di partenza è che la professione di imprenditore permetta di
costruire dei “ponti” di relazione, in termini commerciali ed economici, ma
anche di trasferimento di conoscenze e competenze, mobilitando risorse
umane, sociali, finanziarie nel paese di origine ed in quello di insediamento.
Il livello investigativo e di ricerca ha previsto la mappatura della realtà
imprenditoriale marocchina nel territorio lombardo, con l’obiettivo di
analizzarne le dotazioni di capitale umano, sociale e finanziario
soffermandosi anche sul percorso migratorio che ha portato il migrante alla
creazione di impresa. In chiusura del presente studio sono state fornite
alcune indicazioni di policy riguardanti potenzialità e limiti degli imprenditori
marocchini immigrati in relazione alla possibilità di essere agenti di sviluppo
per il paese di origine, orientando le proprie dotazioni di capitali alla
creazione di partnership per lo sviluppo.
La ricerca di campo: definizione del campione e identificazione dei
soggetti
Da un punto di vista operativo, il lavoro di ricerca è stato organizzato in
quattro fasi distinte, sotto brevemente descritte:
- Analisi preliminare: in questa fase ci si è concentrati sul reperimento
della letteratura esistente sull’imprenditorialità immigrata e
sull’elaborazione di una bibliografia di riferimento. L’analisi bibliografica
ha permesso di formulare adeguate ipotesi di ricerca e di orientare la
fase successiva.
341
- Strutturazione del campione e definizione della metodologia di analisi: in
questa fase sono state definite le caratteristiche del campione di
riferimento per orientare il lavoro di terreno. Per le inchieste di terreno
si è deciso di utilizzare un questionario elaborato sulla base delle
indicazioni emerse nelle fase preliminare.
- Realizzazione delle interviste secondo i questionari definiti: in questa
fase si è provveduto a identificare i soggetti da intervistare e,
successivamente, a realizzare le interviste in profondità. La realizzazione
delle interviste è servita anche per la selezione21 di un gruppo di
beneficiari per i corsi di orientamento e i corsi di formazione previsti dal
progetto pilota in cui la ricerca è inserita.
- Analisi delle interviste secondo le categorie del questionario: in
quest’ultima fase si è provveduto, sulla base dell’elaborazione di una
griglia di analisi delle interviste (analisi del capitale sociale, finanziario e
umano), ad analizzare il materiale raccolto. Il confronto interno
all’équipe di lavoro di punto.sud, oltre al confronto con gli altri soggetti
coinvolti nel progetto, ha permesso di condividere e approfondire le
conclusioni del rapporto.
Il lavoro di campo è stato eseguito tra il mese di gennaio ed il mese di
marzo del 2004, attraverso una prima mappatura telefonica
dell’imprenditoria immigrata marocchina e una successiva fase di interviste
in profondità ad un campione di 26 imprenditori marocchini residenti in
Lombardia con attività nei seguenti settori:
- commercio;
- artigianato;
- edilizia;
- servizi.
21 Per la selezione dei beneficiari rispetto agli incontri di orientamento preliminari al corso di formazione del CNA sono stati utilizzati i seguenti criteri:
Il possesso di un’attività con contatti/rapporti con il Marocco, o, in caso negativo, l’interesse e la volontà a rafforzare la propria attività in tal senso. Capacità di avviare reti (networking). Motivazione rispetto al progetto.
Tra gli imprenditori intervistati sono state selezionate 10 persone per gli incontri di orientamento e di queste 7 per il sucessivo corso in gestione di impresa e internazionalizzazione tenuto dal CNA a Torino e per il progetto pilota in Marocco.
342
Il campione preso in esame è stato definito secondo i seguenti criteri22:
1. Residenza o presenza in Italia da almeno 5 anni.
2. Anzianità di attività di almeno 2 anni.
3. Attività che abbia contatti/rapporti col Marocco o interesse ad avviare e
coltivare rapporti con il paese di origine.
Per l’identificazione dei soggetti è stato utilizzato in primo luogo il database
con i nominativi della Camera di Commercio. Tale archivio riporta
innumerevoli informazioni, tra cui la data di iscrizione della ditta al registro
imprese, la data di inizio dell’attività, la denominazione, l’indirizzo, i
dipendenti, le attività. Tali informazioni sono state utilizzate per operare una
prima scrematura tra le ditte registrate escludendo a priori:
attività registrate dopo il 2002;
attivita poco strutturate (commercio ambulante);
attività di settori con poche prospettive di contatti/relazioni con il paese
di origine in virtù di un orientamento esclusivo al mercato del paese di
accoglienza (attività di ristorazione, negozi di alimentari, servizi di
telefonia).
In riferimento al settore dell’edilizia è necessario precisare che in relazione
alle attività meno strutturate (spesso individuali) sono stati presi in
considerazione casi in cui vi era una più alta specializzazione (come
lavoratori del cartongesso, levigatori di pavimenti, posatori di autobloccanti,
stuccatori, e così via), escludendo quindi le ditte individuali di profilo più
basso (imbianchini, verniciatori, muratori).
22 In riferimento alla corrispondenza del campione a tali criteri è opportuno fare delle precisazioni. La mappatura telefonica ha mostrato che per alcune realtà imprenditoriali (soprattutto nel settore dell’edilizia) il rapporto con il paese di origine appare problematico e non immediato; si è deciso di includere quindi anche alcuni casi (caso 15, 18, 19, 20, 21, 24) in cui il titolare dell’attività autonoma non avesse relazioni con il Marocco e non presentasse nemmeno il desiderio di averne. Queste testimonianze si sono rivelate utili ad approfondire sia ostacoli reali che possono disincentivare la volontà di avviare relazioni con il Marocco, sia l’origine di opinioni e giudizi negativi circa l’affidabilità del Marocco come paese di investimento. Infine è stato considerato nel campione il caso di una persona (caso 16) che attualmente non ha un’attività avviata, ma che ha avviato in passato un’attività di import-export con il Marocco in seguito fallita e che nonostante il fallimento attualmente ha in progetto di avviarne un’altra con prodotti di altro tipo. Il caso è risultato di forte interesse in relazione alla possibilità di indagare le cause di tale fallimento e i correttivi adottati dalla persona per provare a superare ostacoli ed errori.
343
Non tutti i nominativi sono stati però individuati sulla base del solo archivio
fornito dalla camera di commercio. Sono state utilizzate anche altre fonti:
- Il sito delle pagine bianche23 attraverso una ricerca mediante parole
chiave.
- La segnalazione di altri soggetti da parte di persone ed associazioni
contattate (sorta di campionamento snowball )
- La lettura del bando24 da parte di persone interessate e la presa di
contatto con la nostra associazione.
Sulla base dei contatti emersi dalle diverse fonti precedentemente illustrate
si è proceduto ad avviare una mappatura telefonica che attraverso una
breve intervista verificasse i seguenti elementi:
• Dati anagrafici (e verifica della corrispondenza con quelli del
database alla voce “Denominazione”).
• Attività prevalente dell’impresa (e verifica della corrispondenza con
quella indicata nel database alla voce “Attività”).
• Eventuale relazione con il paese di origine o desiderio/intenzione di
attivarla.
• Anni di attività.
• Eventuali dipendenti/soci (numero e nazionalità).
• Anzianità di presenza in Italia; città di provenienza ed età.
• Eventuale interesse per il progetto o quantomeno disponibilità ad
un colloquio individuale di approfondimento della proposta
(intervista).
In seguito a questa prima mappatura telefonica si è individuato un collettivo
di 92 nominativi suddivisi nei seguenti settori di attività:
• 37 fanno parte del settore del commercio (nel senso più ampio del
termine e comprendente l’import-export);
• 36 fanno parte del settore edilizia;
• 8 fanno parte del settore artigianato;
• 11 appartengono al settore dei servizi.
23 http://www.paginebianche.it 24 Il bando è stata una delle modalità attraverso le quali si è effettuata la preselezione di candidati di nazionalità marocchina ai quali offrire un percorso formativo in creazione di impresa.
344
In seguito agli elementi emersi dalla mappatura telefonica sono state
selezionate 26 persone che costituiscono il campione intervistato (vedi
tabella 4.14). Sono state condotte quindi 26 interviste in profondità, della
durata media di 2 ore, attraverso un questionario strutturato secondo le
seguenti sezioni:
1. percorso migratorio;
2. mappatura del capitale umano, sociale e finanziario;
3. attività imprenditoriale;
4. migrazione e sviluppo.
Tabella 4.14 – Descrizione casi del campione
Categorie
N. Sesso Età
Anno di arrivo in
Italia
Città di provenienza
Provincia di
residenza Attività Titolo di studio
1 F 40 1990 Marrakech Milano Titolare negozio
artigianato25
Laurea + corsi professionali
2 M 46 1979 Tangeri Pavia Titolare negozio
artigianato
Formazione universitaria26
3 M 47 1976 Meknes Milano Titolare negozio
artigianato
Istruzione secondaria (non completata)27
4 M 36 1990 Rabat Milano Titolare negozio
artigianato Laurea
5 M 36 1992 Casablanca Milano Titolare bazar28
Formazione universitaria
6 M 39 1988 Khenifra Milano Titolare bazar Istruzione
primaria (non completata)29
7 M 40 1990 Fès Milano Titolare bazar Formazione universitaria
Commercio
8 M 47 1980 Akka Mantova Titolare bazar Istruzione
primaria (non completata)
25 Si intendono coloro che si occupano in maniera diretta di importazione di artigianato di qualità proveniente dal Marocco e che rivendono o attraverso fiere e/o spazi espositivi, in Italia e/o all’estero, e/o attraverso negozi al dettaglio in Italia, con particolare riferimento al mercato italiano. 26 Chi ha frequentato parte del percorso universitario senza conseguire la laurea. 27 Chi ha frequentato parte del percorso di scuola media superiore ma senza conseguimento del diploma. 28 Si intendono coloro che vendono al dettaglio in Italia alimentari e/o prodotti di uso comune provenienti dal Marocco (e non solo), rifornendosi da grossisti presenti in Italia o all’estero (prevalentemente Francia e Belgio). 29 Chi ha frequentato parte del percorso di scuola media inferiore ma senza conseguimento del titolo
345
Tabella 4.14 (segue) – Descrizione casi del campione
Categorie
N. Sesso Età
Anno di arrivo in
Italia
Città di provenienza
Provincia di
residenza Attività Titolo di studio
9 F 30 1990 Rabat Brescia Titolare bazar Istruzione
primaria (non completata)
10 F 40 1991 Khouribga Brescia Titolare bazar Formazione universitaria
11 F 40 1993 Marrakech Brescia Titolare bazar Istruzione
secondaria (non completata)
12 M 40 1989 Casablanca Cremona Operaio e
gestore bazar Formazione universitaria
13 M 49 1975 Marrakech Milano Titolare ditta
export Istruzione secondaria
14 M 39 1985 Casablanca Milano Agente di
commercio Formazione universitaria
Commercio
15 M 40 1989 Meknes Milano Socio ditta
arredamenti Istruzione secondaria
16 M 36 1989 Marrakech Milano Imprenditore
edile30 Istruzione secondaria
17 M 43 1981 Khouribga Cremona Imprenditore
edile
Istruzione primaria (non completatata)
18 M 34 1994 Béni Mellal Milano Imprenditore
edile31 Istruzione primaria
19 M 36 1987 Fès Brescia Imprenditore
edile
Istruzione secondaria (non completatata)
Edilizia
20 M 32 1995 Fquih Ben
Salah Milano
Imprenditore edile32
Laurea
21 M 47 1980 Casablanca Milano Calzolaio Istruzione primaria
Artigianato 22 M 44 1990 Tamaksilt Bergamo Piastrellista
Istruzione primaria (non completata)
23 M 40 1990 Casablanca Mantova Titolare
cooperativa diservizi33
Formazione universitaria
24 M 33 1992 Casablanca Mantova Titolare
cooperativa diservizi
Formazione universitaria
Servizi
25 M 47 1980 Casablanca Brescia Auto-
trasportatore Istruzione primaria
26 M 26 1990 Casablanca Brescia Auto-
trasportatore
Istruzione primaria (non completata)
30 I casi 16 e 17 hanno attività imprenditoriali ben strutturate con più di tre dipendenti e gestiscono direttamente commissioni di lavoro. 31 I casi 18 e 19 hanno attività che gestiscono lavori edili generici in subappalto e si avvalgono dell’ausilio di qualche operaio (numero variabile in relazione alla consistenza dell’appalto). 32 Si tratta di un’attività edile specializzata (posatore di autobloccanti) che il titolare svolge in subappalto con l’ausilio di qualche operaio (numero variabile in relazione alla consistenza dell’appalto). 33 Cooperative di servizi vari (facchinaggio, carico scarico merci, trasporti, giardinaggio, pulizie, ecc.) ben avviate e che vantano un bacino di soci lavoratori talvolta prossimo al centinaio.
346
L’imprenditoria immigrata in Italia: elementi di interesse
L’imprenditoria degli immigrati ha conosciuto, a partire dagli anni Novanta,
un notevole sviluppo: a fine luglio 2003 sono 56.421 i cittadini stranieri
iscritti alle Camere di Commercio come titolari di impresa34, di cui circa un
quarto di essi è localizzato tra Milano35 e Roma.
Si tratta di un canale di inserimento tutt’altro che marginale e la preferenza
per la “via autonoma” si spiega alla luce di più fattori; una tra le cause
principali sembra essere la problematicità del lavoro dipendente sia in
termini di continuità di rapporto, che di riconoscimento delle qualifiche e di
scarsa gratificazione. Per alcuni vengono riprese esperienze già coltivate nel
paese di origine, per altri invece si tratta di una scelta maturata nel contesto
di approdo, frutto di intraprendenza e scelta innovativa (Cna/Caritas, 2003).
Sebbene il fenomeno dell’imprenditoria immigrata sia molto variegato e
diversificato al suo interno, alcuni studi condotti nell’ultimo periodo
permettono di individuare alcuni tratti comuni nei soggetti interessati che
consentono di tracciare una sorta di identikit del tipico imprenditore
immigrato.
Si tratta di un soggetto prevalentemente di sesso maschile, non più
giovanissimo e con un titolo di studio medio-alto che nel 70% dei casi vive in
Italia da oltre 10 anni e nel 33% dei casi ha acquisito la cittadinanza (Ufficio
Studi Confartigianato Roma, 2003); ha scelto l’Italia come paese di
destinazione e nel settore privato ha acquisito quelle competenze che gli
hanno permesso di fare il “salto” e di trasformarlo in imprenditore (Caritas,
2003). In provincia di Milano, proviene dall’Africa o dall’Asia, è di sesso
maschile, ha un’età media di almeno 35 anni, sceglie la città di Milano per la
residenza della sua attività piuttosto che l’area metropolitana circostante
(Ufficio Studi Camera di Commercio di Milano, 2002).
Risulta inoltre che le imprese più che offrire servizi al gruppo di
appartenenza, si rivolgono al mercato nel suo complesso, entrando in diretta
concorrenza con le imprese gestite dagli autoctoni, caratterizzandosi così
come “non etniche”.
34 Elaborazione Caritas/Migrantes su dati Confartigianato, fine luglio 2003. 35 Secondo uno studio dell’Ufficio Studi Camera di Commercio di Milano del 2002 quasi un’impresa individuale su 10 attive extracomunitarie presenti sul territorio nazionale è rilevata nella Provincia di Milano che assomma a sua volta più della metà di quelle lombarde.
347
Secondo Baptiste e Zucchetti il lavoro autonomo degli immigrati è da
considerare come “etnico” non tanto nella misura in cui si fonda su delle
“specializzazioni produttive legate a delle intrinseche qualità o tratti culturali”
del migrante ma piuttosto per le “modalità della messa in opera e gestione
della sua attività e dei suoi rapporti di lavoro (…), per la capacità di attivare
diverse risorse legate all’appartenenza a una comunità etnica per realizzare i
suoi obiettivi di imprenditore” (Baptiste, Zucchetti, 1994). Utilizzando una
diversa accezione di imprese “etniche”, Ambrosini propone altre tipologie di
attività indipendenti, formulando una categorizzazione che fa riferimento,
invece, al tipo di prodotti/servizi scambiati e al mercato di riferimento degli
stessi (Ambrosini, 1999):
l’impresa intermediaria che è specializzata nell’offrire alla popolazione
prodotti e servizi non tipicamente etnici, ma che necessitano di essere
mediati tramite rapporti fiduciari per essere fruiti;
l’impresa esotica, che offre prodotti specifici del paese di origine ad un
pubblico di consumatori eterogeneo;
l’impresa aperta, che meno si identifica con le radici etniche e compete
sui mercati concorrenziali, in settori labour intensive e che presentano
minori barriere finanziarie, tecnologiche e regolamentari, sia nel terziario
di servizio sia in attività collegate a processi di decentramento produttivo
sia nel comparto dell’edilizia;
l’impresa-rifugio, difficilmente identificabile con precisione rispetto al
prodotto ed al mercato con una collocazione marginale nei diversi settori
produttivi.
Il caso più frequente in Italia, tuttavia, è quello degli imprenditori immigrati
che decidono di dirigersi verso mercati più aperti, collocandosi in quei
settori, come i servizi e l’edilizia, contraddistinti dalla presenza di piccole
imprese e spesso disertati dagli autoctoni, perché soggetti all’instabilità e
all’incertezza (Provincia di Arezzo, 2002).
E questo sembra valere ancor più nella realtà della provincia di Milano dove
uno studio condotto dalla Camera di Commercio rileva la scarsa incidenza
della dimensione etnica nei percorsi imprenditoriali degli immigrati per i quali
la scelta d’impresa sembra voler rispondere alle esigenze della clientela
autoctona, privata e imprenditoriale (Ufficio Studi Camera di Commercio di
Milano, 2002).
348
Parallelamente una recente ricerca condotta, per la Camera di Commercio di
Milano, sull’area lombarda da un gruppo di ricerca multidisciplinare
coordinato da Antonio Chiesi (Chiesi, Zucchetti, 2003), rileva che l’attività
autonoma non sembra connotarsi specificamente in chiave etnica sotto il
profilo del mercato di riferimento e dei prodotti/servizi scambiati.
Tale studio individua inoltre una serie di fattori rilevanti nello sviluppo
dell’imprenditorialità immigrata che permettono di arricchire il quadro di
riferimento nello studio di tale fenomeno.
Tali fattori sono sintetizzabili nei seguenti punti:
il passaggio dal lavoro dipendente a quello in proprio esprime una spinta
al miglioramento sotto più punti di vista;
il passaggio avviene più frequentemente tra gli immigrati con livelli di
istruzione più elevati e con un buon bagaglio formativo ed un ruolo forte
viene svolto dalla famiglia di origine;
è un percorso messo in atto per evitare rischi di marginalizzazione ed
esclusione e sfuggire alla precarietà;
la scelta del lavoro autonomo pare legata alle opportunità dischiuse dal
mutamento e dai processi di ristrutturazione delle economie locali.
Dal punto di vista giuridico è rilevante segnalare come tra le ragioni della
progressiva crescita dell’imprenditorialità immigrata vi sia senz’altro l’effetto
prodotto dall’introduzione della legge 40/1998; tale legge ha infatti ampliato
la possibilità per il cittadino straniero di accedere al lavoro autonomo36, in
virtù dell’abolizione della clausola di reciprocità37, che rimaneva in vigore
soltanto per le società ma non per le ditte individuali. La recente legge n.
189 del 2002 non modifica sostanzialmente la normativa in materia di
ingresso e soggiorno per lavoro autonomo, rispetto a quella del 1998
(vedere gli artt. 18, 21 e 28 dell’attuale legge).
L’ingresso in Italia dei lavoratori stranieri non appartententi all’Unione
europea che intendono esercitare un’attività non occasionale di lavoro
autonomo, è consentito a condizione che l’esercizio dell’attività non sia
36 La precedente sanatoria del 1995, al contrario, non aveva previsto la regolarizzazione del lavoro autonomo, sollevando diverse critiche, in quanto l’attività indipendente risultava molto diffusa, soprattutto in determinati gruppi etnici (Commissione per l’Integrazione, 2001). 37 Secondo questa clausola era data la possibilità di avviare un’attività autonoma solo a quegli immigrati provenienti da Paesi dove veniva garantita eguale facoltà agli italiani.
349
riservato dalla legge ai cittadini italiani, o a cittadini appartenenti all’Unione
Europea. In ogni caso lo straniero che intende esercitare in Italia un’attività
autonoma deve anche dimostrare di disporre di risorse adeguate per
l’esercizio della stessa, di essere in possesso dei requisiti previsti dalla legge
italiana per l’esercizio della singola attività (come l’iscrizione in albi e registri
se richiesta) e di un’attestazione dell’autorità competente non anteriore a tre
mesi. Egli deve comunque dimostrare di disporre di idonea sistemazione
alloggiativa e di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo
superiore al minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione
alla spesa sanitaria. Secondo questa legge, il visto di ingresso per lavoro
autonomo viene rilasciato (o negato) entro tre mesi dalla data di
presentazione della domanda e della relativa documentazione e deve essere
utilizzato entro sei mesi dalla data del rilascio. La procedura risulta
complessa, da un lato per la lunghezza dei tempi, dall’altro per la necessità
del reperimento di documenti rilasciati esclusivamente in Italia (per cui
converebbe nominare un procuratore).
In conclusione, per leggere in modo articolato il fenomeno del lavoro
autonomo degli immigrati e in particolare i motivi che stanno alla base di
certe scelte, è necessario dunque considerare il ruolo dell’azione combinata
di varie componenti, tra cui le reti familiari, le reti etniche, il sistema
economico e legislativo del paese di accoglienza, oltre alle aspirazioni di
mobilità sociale e ai desideri soggettivi (Provincia di Arezzo, 2002).
CAPITALE UMANO
Progetti e strategie migratori
Nel caso delle 26 persone intervistate in profondità il lavoro autonomo si
inserisce all’interno di un progetto migratorio iniziale che vede motivazioni di
carattere economico come motivi prioritari nella decisione della scelta di
emigrare in Italia; la metà degli intervistati individua infatti nella ricerca di
un lavoro e nella volontà di accumulo di capitale i motivi fondamentali della
propria scelta migratoria.
Cinque tra le persone interistate sono giunte esclusivamente con l’idea
generica di fare un’esperienza di vita e di emancipazione.
Altrettanti sono gli intervistati che hanno lasciato il paese di origine per
motivi di studio.
350
A questo proposito è interessante segnalare che nessuna delle persone di
questo gruppo è riuscita in Italia a portare a termine gli studi o ad acquisire
una formazione ulteriore; la motivazione alla base di questo insuccesso è
comunque sempre di tipo economico. Infine vi sono tre persone (casi 9, 10,
11) che sono giunte per motivi familiari; sono tutte donne, di cui 2 giunte
per ricongiungimento familiare con il marito e una per seguire in giovane età
la famiglia in emigrazione in Italia. La scelta del lavoro autonomo, in tutti i
casi, non rientra tra le motivazioni iniziali alla base della scelta migratoria,
intervenendo in un momento successivo nella storia del migrante.
E’ interessante rilevare che tutti coloro che hanno indicato come motivazione
della scelta di emigrare la ricerca di un lavoro, lavoravano già in Marocco,
mentre analogamente tutti coloro che hanno indicato lo studio come
motivazione della partenza erano studenti.
Per quanto riguarda il progetto migratorio e la sua evoluzione in relazione al
paese di accoglienza 19 persone hanno modificato nel corso del tempo il
proprio progetto, soprattutto rispetto ai tempi inizialmente previsti di
soggiorno in Italia per raggiungere gli scopi dichiarati. Vi è, inoltre, un
consistente gruppo di persone (10 casi) che non hanno ancora un’idea
precisa sul proprio futuro e si dichiarano non in grado di valutare se stanno
tenendo fede al loro progetto iniziale. Per quanto riguarda il desiderio di
ritorno in patria, questo resta per la maggioranza degli intervistati un sogno
mitizzato, più che una concreta possibilità in divenire. Solo 6 persone infatti
esprimono l’intenzione di voler tornare in patria, mentre 15 non lo pensano
affatto e le restanti non lo sanno ancora. Complessivamente viene
comunque espresso un buon grado di soddisfazione circa la propria storia
migratoria: 18 persone pensano che la propria condizione di vita sia
migliorata rispetto a prima della migrazione e si reputano soddisfatte; solo
una persona si esprime negativamente su questo punto, mentre le restanti
esprimono una soddisfazione parziale o tendono a non sbilanciarsi nel
formulare un giudizio.
Livello di istruzione e percorso formativo in Italia e in Marocco
La ricerca evidenzia un livello di istruzione medio-alto delle persone
intervistate: 8 di esse hanno una formazione universitaria avendo
frequentato qualche anno di università, ma senza conseguimento della
351
laurea, mentre 3 hanno anche conseguito il diploma di laurea. Se si
considerano anche le 6 persone che hanno una formazione corrispondente
alla scuola superiore, sono 17 su 26 le persone con un livello di istruzione
medio-alto.
Per più di metà delle persone intervistate le dotazioni di capitale umano
risultano incrementate da percorsi formativi di varia natura e qualità
intrapresi in Italia; abbastanza diffusa pare essere una formazione generica
in ambito linguistico-informatico o la frequenza di brevi corsi tecnico-
professionali specifici di settore; più raro il caso di corsi ad alta
specializzazione finalizzati all’acquisizione di competenze funzionali al
rafforzamento dell’attività esercitata. Dieci persone intervistate infine non
hanno intrapreso alcun percorso formativo nel paese di accoglienza.
Le dotazioni di capitale umano in termini di livelli di istruzione e di percorsi
formativi intrapresi nel paese di origine e di approdo, risultano differenziate
a seconda della categoria di riferimento.
La categoria degli imprenditori dell’import-export risulta quella a cui
corrispondono i livelli di istruzione più alti nel paese di origine: 2 di essi
hanno acquisito una laurea in Marocco, 1 persona ha una formazione
universitaria, le altre due hanno un livello di istruzione secondaria.
Complessivamente tre persone erano partite per motivi di studio (casi 2, 3 e
15) e altre due con il desiderio di fare un’esperienza di vita (casi 1 e 4).
Sebbene 4 di loro abbiamo cercato di proseguire il proprio percorso
formativo in Italia, si riscontra per tutti i casi una difficoltà ad ampliare e
rafforzare nel paese di accoglienza le proprie competenze; la persona (caso
1) che ha completato un percorso formativo utile anche all’avvio della
propria attività professionale, ha dovuto fare molti sacrifici economici e
anche familiari per riuscirci.
All’interno della categoria del commercio i titolari di bazar/negozi al dettaglio
di artigianato presentano un livello d’istruzione inferiore rispetto al gruppo
precedente: 4 persone su 8 complessivamente hanno una formazione
universitaria senza il conseguimento della laurea; della restante metà 3
persone hanno raggiunto un livello di istruzione primaria (ma senza il
conseguimento del titolo); 1 persona ha raggiunto un livello di istruzione
secondaria ma senza il diploma. Sei persone sul totale erano studenti al
momento della partenza dal Marocco.
352
Degli appartenenti a questa categoria 3 di essi (casi 7, 8, 11) non hanno
incrementato il loro bagaglio formativo in Italia. I restanti 5 hanno seguito
corsi di varia natura (informatica, italiano, assistenza assicurativa) che non
sembrano essere stati stimolati dall’avvio di un’attività autonoma; unica
eccezione il corso per ottenere l’iscrizione al REC che risulta obbligatorio per
poter svolgere l’attività di vendita di alimentari.
Queste esperienze formative sembrano rispondere ad un bisogno di
acquisizione di conoscenze di tipo generale o di ricerca di nuove opportunità
più che all’avvio o al raffrozamento della propria attività. Questo forse si
spiega alla luce del fatto che si tratta di persone che hanno avviato
un’attività in questo settore come scelta di fuga dal lavoro dipendente o
come ripiego.
Per quanto riguarda gli imprenditori edili si tratta di persone partite dal
Marocco con l’intenzione di cercare un lavoro in Italia e/o fare un’esperienza
di vita.
Nel loro caso, non risulta che tra di essi alcuni abbiano proseguito la loro
formazione in Italia, mentre la quasi totalità di essi ha continuato a svolgere
la professione esercitata in Marocco, restando nello stesso settore.
In questi casi l’attività autonoma non incentiva l’acquisizione di ulteriori
conoscenze, probabilmente perché si tratta di attività nelle quali sono
sufficienti competenze di tipo pratico acquisite attraverso l’esperienza sul
campo piuttosto che attraverso l’attivazione di veri e propri percorsi di
investimento formativo.
All’interno del gruppo delle attività legate ai servizi si riscontra una
formazione molto diversificata nel paese di origine; in relazione alla
formazione nel paese di accoglienza risulta significativo che i percorsi
formativi intrapresi sembrano essere funzionali all’avvio di un’attività
autonoma, ma in un’ottica di ottenimento delle qualifiche minime richieste
per l’esercizio dell’attività stessa e non in grado di stimolare ulteriori tipi di
investimento formativo (per gli autotrasportatori la licenza di guida per i
camion, per i titolari di cooperative di servizi corsi di informatica).
Il trasferimento di competenze è stato considerato tra gli indicatori di
relazionalità con il paese di origine.
Rispetto all’eventualità che le dotazioni di capitale umano possano essere
messe a disposizione delle comunità di origine da parte dei lavoratori
353
autonomi, la ricerca ha evidenziato due tipi di attività in cui vi è più
facilmente un trasferimento di competenze/conoscenze:
- le attività che trattano prodotti provenienti dal paese di origine;
- le attività che utilizzano materiali o si ispirano a stili del paese di
origine.
In tutte le attività incontrate che importano artigianato dal Marocco e che
rivendono in Italia attraverso negozi, spazi espositivi o fiere, anche
all’estero, vi è un trasferimento di savoir-faire in termini di “orientamento al
mercato”, nel senso che viene incentivata un’esecuzione di qualità in loco
grazie allo standard richiesto dal mercato italiano. In tre casi (casi 1, 2, 3)
tra quelli incontrati vi è anche un trasferimento di competenze tecniche:
questo avviene quando vengono formati gli artigiani in loco o i propri
collaboratori nel paese di approdo affiche sappiano riconoscere il vero
artigianato di qualità. Vi è anche il caso in cui vi è il trasferimento di
elementi di cultura del lavoro e di consapevolezza dei propri diritti (caso 1).
“I miei artigiani sono tutti di piccolo spessore, sono bravissimi ma corrono il rischio di
essere mangiati dai pesci più grandi...che magari non sanno fare niente, non lavorano
sfruttano gli altri, mentre i piccoli artigiani sono bravissimi. È importante che conoscano
i loro diritti i piccoli artigiani, che abbiano una loro assicurazione sul lavoro...Io sono
sempre a contatto con loro quando vado lì c’è un mio parente che va dagli artigiani
quando io non ci sono, io cerco sempre di aiutare gli artigiani”
(caso 1, donna, titolare di negozio di artigianato, 40 anni)
Un altro caso interessante è quello di un artigiano/calzolaio che vorrebbe far
realizzare la propria collezione estiva di scarpe in Marocco, utilizzando il
pellame marocchino, secondo un design italiano.
Si tratta di un prodotto “di nicchia” che va a soddisfare una clientela italiana
amante di uno stile più ricercato, tendente all’esotico. In questo caso vi
sarebbe sia il trasferimento di competenze tecniche agli artigiani in loco per
la lavorazione della pelle, sia il passaggio di elementi del gusto e delle
esigenze del mercato di approdo. In relazione all’import-export è importante
precisare che vi sono anche processi che si delineano come attività di
intermediazione pura tra grossisti marocchini in Europa e dettaglianti in
Italia che vendono prodotti marocchini. Nel caso di questo tipo di
intermediazione vi è solo un trasferimento di merce, che non sembra
attivare anche un trasferimento di saperi.
354
I tipi di attività che hanno mostrato meno potenzialità sono quindi quelli che
si limitano ad una semplice commercializzazione ed intermediazione di
prodotti, specie se si tratta di prodotti rivolti al mercato “etnico” nel paese di
approdo.
In questo caso non risulta che vi sia né passaggio di competenze
(trattandosi di sola commercializzazione), né di orientamento al mercato.
Per quanto riguarda le attivtà di bazar è stato inoltre rilevato che spesso si
tratta di attività che rivendono al dettaglio prodotti provenienti non solo dal
Marocco, ma anche dalla Spagna, dal Medioriente, attraverso grossisti
presenti in Italia e in altri paesi europei (Francia, Belgio).
Non vi è dunque un rapporto diretto con il paese di origine e allo stesso
tempo non viene incentivato il mercato produttivo marocchino nella fornitura
di articoli di qualità, proprio in virtù di una domanda di prodotti di uso
comune e di qualità scadente da parte degli stessi fruitori nel paese di
approdo. Infine non hanno mostrato di attivare percorsi attivi e fertili con il
paese di origine le imprese più “aperte”, ovvero quelle che sul mercato
italiano si collocano in assoluta concorrenza con le imprese autoctone
presenti. E’ il caso delle imprese edili o delle cooperative di servizi.
In questo tipo di attività risulta che vi sia un trasferimento di competenze,
ma tra connazionali presenti nel paese di approdo, che spesso prendono
parte in qualità di collaboratori alla vita dell’attività stessa, senza che vi sia
un trasferimento si saperi in seno alla comunità di origine rimasta in patria.
Percorsi lavorativi in Marocco e in Italia
Le tipologie di percorsi lavorativi intrapresi dai lavoratori autonomi emerse
dalla ricerca sono sostanzialmente quattro, all’interno delle quali il lavoro
autonomo assume significati differenti:
1. Lavoro autonomo come sbocco naturale di un percorso più o meno lungo
di acquisizione di competenze ma in forma dipendente.
2. Lavoro autonomo come punto di arrivo di un percorso meno strutturato
di lavoro indipendente.
3. Lavoro autonomo come “fuga” dalla monotonia del lavoro dipendente.
4. Lavoro autonomo come ripiego.
355
Lavoro autonomo in seguito a lavoro dipendente
Il primo caso risulta un percorso lavorativo nel quale la persona proviene
dallo stesso settore ma da una posizione lavorativa di tipo subordinato. E’
dunque l’acquisizione di una solida competenza nel settore ad essere
funzionale all’avvio di un’attività autonoma. Questo percorso risulta tipico dei
lavoratori edili, i quali, dopo un periodo più o meno lungo trascorso alle
dipendenze di una ditta con titolari italiani, decidono di mettersi in proprio
una volta in grado di gestire commesse di lavoro in modo autonomo.
In questo tipo di attività non occorrono investimenti formativi iniziali mentre
risulta fondamentale la pratica lavorativa e la conquista del riconoscimento e
della stima del proprio principale, che solitamente è il primo committente di
commissioni lavorative per il neo-nato imprenditore. In questo caso l’attività
autonoma è manifestazione della propria riuscita personale e professionale e
ha come obiettivo l’acquisizione di una posizione sociale ed economica
migliore, rispetto a quella di dipendente.
E’ necessario però fare alcune precisazioni che mitigano la positività di
percorsi di questo tipo. Il sistema economico italiano e le sue trasformazioni
hanno incentivato il meccanismo di subappalto e decentramento e molte
attività possono sopravvivere infatti solo grazie a processi di
esternalizzazione ed intensificazione del lavoro (Provincia di Arezzo, 2002);
spesso quindi le attività avviate dai migranti hanno successo in quanto
assecondano processi di sfruttamento e rappresentano forme di lavoro
dipendente mascherato in cui i piccoli imprenditori si assumono i rischi
dell’attività autonoma senza goderne realmente i vantaggi.
La ricerca non ha evidenziato casi di attività in campo edile in relazione o
potenziale contatto con il Marocco e, in questo settore, il lavoro autonomo
non si inserisce in una strategia di promozione dei rapporti e degli scambi
con il paese di origine.
Lavoro autonomo come risultato di predisposizione individuale
Il secondo caso è quello che in cui il lavoro autonomo risulta il punto di
arrivo di un percorso più o meno vario di lavoro individuale in forma meno
strutturata. Ne derivano due tipologie in particolare:
a. Coloro che appartengono a ondate migratorie più antiche (fine anni ’70)
titolari oggi di attività di import-export molto strutturate: partecipano a
356
fiere di artigianato marocchino anche all’estero o rivendono l’artigianato
a grossisti anche europei e hanno degli spazi espositivi per i propri
clienti, prevalentemente italiani. Hanno sempre svolto attività di
commercio in contatto con il Marocco, inizialmente in maniera meno
strutturata e mediante il pendolarismo tra l’Italia e il paese di origine,
spesso stimolati da una domanda precisa del mercato marocchino (ad
esempio lo scambio di materiale elettrico o di pezzi di ricambio dell’usato
dall’Italia contro artigianato dal Marocco).
b. Coloro che, giunti in Italia assieme all’ondata migratoria degli anni ’90,
sono riusciti ad avviare attività consistenti o grazie alla loro storia
familiare (perché provengono da famiglie di commercianti dove era
tradizione tramandare la professione) o, perché grazie all’esercizio di
altre attività autonome (ad esempio l’attività di commercio ambulante, o
nel campo alberghiero, ecc.) sono comunque stati capaci di sviluppare
doti e competenze trasversali, come abilità comunicative o di relazione
con la clientela, che sono risultate favorevoli all’avvio di un’attività
autonoma più strutturata.
In questi casi vengono delineati dei percorsi lavorativi che tratteggiano dei
possibili percorsi di sviluppo per le comunità di origine, in quanto le attività
descritte sono in contatto diretto con il paese di origine e innescano una
domanda di lavoro capace di stimolare il mercato dell’occupazione locale, in
un’ottica di “integrazione circolare” dei contesti di origine e di approdo dei
migranti.
Lavoro autonomo come fuga dalla monotonia
Il terzo caso è quello che vede il lavoro autonomo come fuga dalla
monotonia e dai vincoli imposti dal lavoro dipendente e quindi come rifugio e
tentativo di affermazione personale, quando l’attività di tipo subordinato si è
dimostrata deludente.
E’ il caso, ad esempio, dei titolari di negozi al dettaglio/bazar di artigianato
dal Marocco, dei titolari di cooperative di servizi, degli autotrasportatori.
Sono attività che in generale non richiedono una qualifica e che al massimo
necessitano l’espletamento di percorsi formativi, funzionali all’apertura della
propria impresa individuale.
E’ anche il caso di quelle donne incontrate, titolari di attività di bazar/negozi
al dettaglio, in cui spesso l’attività individuale risulta l’unica possibilità di
357
affermazione lavorativa, in un quadro in cui la dimensione familiare risulta
un condizionamento allo svolgimento di un’attività di tipo diverso sia per gli
impegni legati alla cura dei figli sia per i vincoli imposti dal coniuge, che
impedisce alla donna di svolgere attività di tipo dipendente.
Questo tipo di attività spesso non delineano percorsi orientati allo sviluppo
delle comunità di origine, perché trattasi, anche nel caso dei negozi di
artigianato marocchino, di attività non in contatto diretto con il Marocco e
gestite in Italia all’interno di una stretta cerchia familiare che ha scarsi
contatti con l’esterno. Ne è emerso, infatti, uno spaccato di attività di
commercio mediate dalla presenza di grossisti presenti in Italia o in Europa
(Francia e Belgio in particolare), che presentano forti difficoltà a superare la
dimensione etnica come mercato di riferimento.
In questi casi l’attività autonoma alimenta un maggior isolamento di nicchia,
ripiegandosi su se stessa e non innescando processi di sviluppo integrato e
circolare tra i contesti di provenienza ed arrivo dei migranti.
Lavoro autonomo come ripiego
L’ultima tipologia di percorso lavorativo emersa da questa ricerca è quella in
cui il lavoro autonomo risulta un “ripiego” obbligato: è il caso ad esempio di
quei sopraggiunti problemi di salute che rendono impraticabile la
continuazione della precedente attività lavorativa di tipo dipendente (spesso
lavoratori impiegati come operai in fabbrica, a contatto con sostanze
tossiche o sottoposti a logorio fisico) o di altre motivazioni legate alla
precedente attività (ad esempio il trasferimento della ditta che rende
scomoda la prosecuzione dell’attività di tipo subordinato, il mancato rinnovo
del contratto dipendente, spesso quando l’età non permette facili
trasferimenti verso altri settori).
CAPITALE SOCIALE
Reti familiari in Marocco e in Italia
“La famiglia esprime la rilevanza dei legami che uniscono il contesto di
origine con quello di approdo” (Chiesi, Zucchetti, 2003) rappresentando
quindi uno di quegli indicatori di relazionalità tra i due contesti di riferimento
del migrante.
358
Un primo elemento di interesse è la modalità di mantenimento delle reti
familiari in patria. In proposito la maggior parte degli intervistati ha
dichiarato di mantenere costanti relazioni con i familiari rimasti nel paese di
origine, soprattutto tramite il telefono, l’invio di denaro e/o beni e le visite
periodiche. Nel caso dei lavoratori appartenenti al settore dell’import-export
risulta che i contatti con la famiglia di origine siano molto più stretti in
quanto favoriti dai frequenti viaggi di lavoro compiuti in patria (anche fino a
15 volte l’anno).
La ricerca ha rilevato diverse modalità attraverso cui le reti familiari
costituiscono una facilitazione ed una risorsa di cui può disporre il lavoratore
autonomo. In primo luogo sono emersi una serie di elementi interessanti in
relazione alla famiglia presente nel paese di origine.
Per quanto riguarda il momento dell’avvio dell’attività autonoma, per i
lavoratori autonomi con tradizione familiare nel loro campo di attività, la
famiglia di origine contribuisce allo sviluppo di uno spirito imprenditoriale e
ad una certa propensione al rischio e all’autonomia; è il caso soprattutto dei
commercianti e degli artigiani per i quali risulta a volte diffusa la tradizione
di tramandare la professione a livello familiare.
I titolari di ditte di import-export si appoggiano prevalentemente alla rete
familiare/parentale presente nel paese di origine per poter gestire gli aspetti
logistici (ad esempio l’invio dei container) o di contrattazione dei prezzi della
merce da inviare in Italia. Non risulta che queste reti rivestano un ruolo
decisionale rispetto ai processi di produzione in Marocco e non sembrano
farsi carico dei controlli sulle lavorazioni dei prodotti artigianali o sulla qualità
degli stessi, funzioni che restano a capo degli imprenditori marocchini
presenti in Italia.
Un ruolo simile viene svolto dalle reti familiari nel paese di origine per quei
migranti che esportano dall’Italia al Marocco prodotti come elettrodomestici
o pezzi di ricambio di automobili o materiale usato; i familiari svolgono,
talvolta in maniera occasionale, l’attività di vendita di prodotti d’occasione
inviati dal proprio parente emigrato. Benché si tratti prevalentemente di
commercio di tipo informale, particolarmente diffuso nei primi anni di boom
emigratorio dal Marocco e spesso elusivo dei controlli doganali, la rete di
appoggio nel paese di origine risulta fondamentale nel processo di
mediazione, affinché tramite i rapporti fiduciari gli stessi prodotti possano
essere fruiti nel mercato locale.
359
Un’ulteriore interessante modalità di fruizione della rete familiare presente
nel paese di origine si è evidenziata tra gli imprenditori edili.
Tale rete diviene bacino privilegiato di assunzione di manodopera da
destinare all’esercizio dell’attività svolta in Italia. In certi casi, allora, il
lavoro autonomo diviene anche mezzo per poter regolarizzare in Italia i
propri parenti residenti in Marocco e che decidono di emigrare avendo la
garanzia di un’occupazione in Italia. In questo caso la rete familiare diviene
veicolo di ingresso/orientamento al lavoro nonché mezzo di trasferimento di
competenze professionali in Italia. Non si nascondono i limiti che possono
insinuarsi dietro un tale tipo di meccanismo: da un lato la progressiva
“emorragia” di forza lavoro dal paese di origine, che difficilmente rientra in
patria con il proprio bagaglio di conoscenze e competenze acquisito.
Viene confermato anche per i lavoratori autonomi il ruolo cruciale svolto, nel
primo periodo di soggiorno, dalla rete familiare presente nel paese di
approdo. La famiglia più o meno allargata veicola una serie di aiuti e di
appoggi vitali all’insediamento del migrante; tali aiuti si traducono
principalmente in orientamento ai servizi o accompagnamento, in aiuti
economici ed in orientamento al mercato del lavoro. Ed è proprio nella
prima fase di arrivo e soggiorno in Italia, soprattutto qualora non siano
presenti altri membri nel nucleo familiare stretto, che i punti di riferimento si
estendono alla famiglia allargata, al vicinato ed ad altro tipo di reti. Ogni
famiglia marocchina può essere considerata come un polo collegato a
numerosi altri poli, che si traducono in rapporti di parentela stretta e
allargata, in rapporti di clientela, vicinato e amicizia, ciascuno dei quali esige
uno scambio, simbolico e materiale, continuo.
Le reti familiari presenti nel paese di approdo sono apparse funzionali
all’avvio/gestione dell’attività autonoma, soprattutto nel caso dei titolari di
attività di negozi/bazar al dettaglio di alimentari/prodotti artigianali
provenienti dal Marocco, i quali si appoggiano ad una stretta cerchia
familiare presente nel paese di arrivo per poter gestire l’attività stessa. Per
la fornitura di merce si rivolgono invece ad intermediari e non viene attivata
una rete familiare in Marocco.
La rete familiare nel paese di origine, resta però un termine di riferimento
del proprio successo, senza divenire risorsa a disposizione del lavoratore
autonomo.
360
Questo tipo di modalità di utilizzo della rete familiare nell’esercizio del lavoro
autonomo sembra nascondere dietro di sé il rischio di produrre un maggior
isolamento sia rispetto al paese di approdo, sia rispetto al paese di origine.
Un altro tipo di appoggio all’avvio di un’attività autonoma che può veicolare
la famiglia più ristretta (presente sia in Marocco che in Italia) è quello
finanziario, “confermando l’importanza del network familiare come sostegno
all’imprenditorialità” (Chiesi, Zucchetti, 2003).
Nel caso del campione intervistato complessivamente sono cinque le persone
che si sono appoggiate ai prestiti di familiari o parenti nell’avvio dell’attività
autonoma, di cui 4 unitamente ai risparmi personali accumulati durante la
migrazione; si tratta di due imprenditori dell’import-export, due titolari di
negozi/bazar al dettaglio di alimentari/artigianato e un imprenditore edile.
La famiglia tuttavia può rivelarsi un condizionamento, qualora la scelta di un
lavoro autonomo venga valutata con maggiore diffidenza rispetto ad un
percorso professionale più tradizionale ed economicamente ritenuto più
“sicuro”, o laddove l’attesa talvolta pressante di ricevere i risparmi del
proprio familiare residente all’estero da parte della famiglia rimasta in patria,
non consenta una certa capitalizzazione da destinare all’avvio o al
consolidamento della propria attività. Questo risulta tanto più evidente
soprattutto tra coloro che sono partiti dal Marocco con l’intenzione di
lavorare o il desiderio di fare un’esperienza di vita e i cui riferimenti del
successo della scelta migratoria restano ancorati prevalentemente al paese
di origine.
In questo caso la famiglia rappresenta un limite alla possibilità che
l’immigrato marocchino possa realizzarsi attraverso un percorso di lavoro
autonomo.
“La gente non sa qual è la realtà degli immigrati che vengono qui, pagano un sacco di
soldi e si trovano con la realtà diversa, c’è l’illusione di venire qui, e poi dormono per
strada, la gente non sa lì, immagina che tutti quelli che vengono qui diventano ricchi,
pensano che l’Italia regala soldi, vedono tornare la gente con belle macchine..e mi
dispiace vedere questa gente che viene qui e soffre… Poi non ritornano più per la
vergogna, preferiscono morire, rubare piuttosto che tornare” (Caso 1, donna, titolare di
negozio di artigianato, 40 anni).
“Quando nel 1994 rientrò mio padre in Marocco ero sicuro di due cose: di non voler
restare nel Sud Italia e nemmeno in Marocco; tornare in Marocco sarebbe stato come
un fallimento...decisi allora di emigrare nel Nord Italia” (Caso 26, uomo,
autotrasportatore, 26 anni).
361
Infine aldilà degli appoggi di tipo materiale e immateriale veicolati nell’avvio
di un’attività individuale, la rete familiare rappresenta un punto di
riferimento costante e la misura del successo del proprio progetto
migratorio.
“…è la loro riuscita sociale in Italia che rimbalza in Marocco, divenendo anche là un
successo. Il transnazionalismo non si gioca soltanto in termini di reti familiari, di merci
etniche, di competenze specifiche (linguistiche), ma anche in termini di immagine, di
modelli, nella costruzione di itinerari individuali che riuniscono anche dei luoghi e delle
persone” (Schmidt di Friedberg, 1999).
Reti amicali in Italia e in Marocco
Per quanto riguarda le reti amicali si è proceduto analizzando la natura e la
rilevanza di questo tipo di dotazioni di capitale sociale, sia con riferimento a
quelle del paese di origine sia a quelle del paese di approdo.
Dalle interviste in profondità condotte sul campione selezionato risulta che le
reti di amici e conoscenti del paese di origine rappresentano spesso un
condizionamento nella scelta migratoria, giocando un ruolo nel processo di
emulazione che a volte accompagna la migrazione.
Proprio in virtù di queste reti, si spiegano le catene migratorie che si
delinenano tra regioni e città marocchine e contesti territoriali specifici nel
paese di approdo38.
Con il passare degli anni le reti amicali del paese di origine subiscono
l’influenza dell’esperienza migratoria. Con gli amici rimasti in patria restano
spesso più rapporti di cortesia che vere e proprie amicizie mantenute nel
tempo; inoltre l’esperienza migratoria di relativo successo sembra in alcuni
casi falsare i rapporti a causa delle invidie che si alimentano in coloro che
sono rimasti in patria e che a volte coltivano legami con l’emigrato in
funzione di possibili favori. In altri casi si crea progressivamente nel tempo
una distanza dovuta alla diversità di esperienze vissute. Dopo molti anni nel
paese di approdo aumenta nei migranti il senso di spaesamento rispetto ai
temi di conversazione, ai problemi della vita, ai bisogni e ai progetti espressi
dai loro amici di un tempo.
38 Buona parte dei marocchini presenti in Italia ad esempio proviene dalla regione agricola del Tadla ed in particolare coloro che risiedono a Milano sono originari della zona di Béni Mellal, e più precisamente molti arrivano dalla cittadina di Fqih Ben Salah.
362
“L’incontro non è mai interessante...i discorsi sono fuori luogo. Io questi discorsi non li
amo” (caso 18, uomo, edile, 34 anni)
Le reti amicali nel paese di origine generalmente si disperdono e non risulta
che vi sia un reale trasferimento dell’esperienza migratoria vissuta,
soprattutto nel racconto delle difficoltà incontrate dagli immigrati in Italia.
Con riferimento alle amicizie con connazionali in Italia, esse risultano, nel
primo periodo, veicolo di orientamento ai servizi ed al lavoro come pure
sostegno economico, per i neo-arrivati. Con il passare del tempo il
soggiorno in Italia ha modificato questa situazione per buona parte delle
persone intervistate. L’avvio di un’attività autonoma non rappresenta
necessariamente un elemento di rafforzamento o miglioramento delle
relazioni con i propri connazionali nel paese di approdo.
In molte delle interviste raccolte emerge come le invidie e le gelosie che si
possono generare dal confronto con chi “ce l’ha fatta” rendano le relazioni
con i connazionali a volte problematiche e conflittuali. Un ulteriore elemento
di distacco sembra essere dovuto ad una difficoltà nel trovare reti di amicizie
di pari livello culturale.
Questo tipo di atteggiamento appare, per le persone intervistate, più diffuso
tra quelle di livello culturale e sociale più alto, spesso giunte in Italia più per
motivi di studio o di emancipazione che per necessità di trovare un lavoro.
Per questi soggetti non trovare dei connazionali “alla pari” genera una
sentimento di diffidenza e isolamento dalla propria comunità di
appartenenza.
“Non mi piace come si comportano…sono diversi...la maggior parte non ha studiato e
non mi trovo” (caso 2, uomo, import-export, 46 anni)
“Negli ultimi 4 anni mi sono isolato dai miei connazionali e ho trovato tranquillità,
pace...” (caso 26, uomo, autotrasportatore, 26 anni)
“Si parla sempre di cavolate...si perde tempo...preferisco trascorrere il tempo libero
diversamente...dipingere, leggere un libro,…” (caso 14, uomo, agente di commercio, 39
anni)
“Non ho tanta confidenza con loro, ...perché loro sono un po’ invidiosi, le dico la
verità…Sono rapporti falsi...io quando li vedo dico “ciao ciao”...ma dentro di me non sto
bene” (caso 24, uomo, titolare di cooperativa di servizi, 33 anni)
E’ necessario precisare che molti dei lavoratori autonomi intervistati
dichiarano di affidarsi alle reti di connazionali per la gestione della propria
363
attività, ma per queste reti di solidarietà non sembra tanto valere il possesso
della stessa nazionalità, quanto piuttosto i legami tra compaesani, vicini e
appartenenti alla famiglia allargata.
“Il senso di distinzione e talvolta di disprezzo che i marocchini manifestano per i loro
connazionali è indizio del fatto che il loro criterio di riferimento principale è il proprio
gruppo specifico (sociale, etnico, familiare) più che la generica nazionalità” (AA.VV.,
1994).
Per quanto riguarda il momento di avvio dell’attività autonoma le reti di
connazionali non sembrano avere un ruolo decisivo e a volte vengono
percepite come problematiche e ambivalenti. Le interviste svolte evidenziano
altri elementi più significativi, in termini di capitale sociale, per l’avvio di
attività autonome: le proprie capacità, i conoscenti e gli amici italiani, la rete
familiare.
Le conoscenze con italiani giocano quindi un ruolo decisivo nelle fasi di avvio
di un’attività autonoma, più che le reti etniche, che, se troppo chiuse,
portano un rischio di isolamento. Gli intervistati riferiscono di conoscenze
“tecniche” tra gli italiani strumentali all’avvio della propria attività; tra
queste vengono citati principalmente: geometri, architetti, imprenditori edili
(nel caso dei lavoratori edili), agenzie immobiliari (per i commercianti con il
negozio, nella ricerca di un fondo commerciale), la camera di commercio
(per le pratiche di registrazione della propria impresa individuale), il
commercialista (figura fondamentale, alla quale viene affidata la cura
dell’amministrazione/contabilità dell’impresa).
“L’edilizia è il campo dove lavorano più marocchini; quello che succede è che spesso i
marocchini muratori si ritrovano in cantiere da soli, iniziano a gestire dei lavori e poi
appena si può magari prendono un lavoro per sé e iniziano il lavoro autonomo. Gli
stessi imprenditori italiani adesso prendono i lavori e li danno ad artigiani, non solo
marocchini, ma anche rumeni, albanesi, egiziani” (caso 16, uomo, edile, 36 anni)
Per il complesso delle persone intervistate i processi di integrazione in un
tessuto allargato di reti che coinvolgono anche gli italiani appaiono in
continua, ma molto lenta, evoluzione. Nonostante questo dato positivo
vengono ancora segnalati da alcuni intervistati episodi di diffidenza da parte
della comunità di accoglienza; questo dato mette in evidenza la
problematicità che ancora caratterizza le relazioni con gli italiani anche in
quei casi in cui l’attività autonoma presuppone un buono status economico.
364
“Gli italiani mi guardavano con un certo disprezzo e razzismo...Dicevano: una
marocchina che apre un negozio! Poi quando ho chiuso il negozio per una settimana
sembrava facessero una festa di matrimonio...” (caso 9, donna, titolare di un bazar, 30
anni)
“A volte alcuni italiani si stupiscono che un marocchino sia imprenditore…ti guardano
con diffidenza e ogni volta devi dimostare che sai fare il tuo lavoro…” (caso 24, uomo,
titolare di cooperativa di servizi, 33 anni)
Se è vero, come evidenziato in precedenza, che i contatti con italiani si
rivelano utili e strumentali nell’avvio dell’attività autonoma, è altrettanto
vero che la presenza di queste nuove reti non corrisponde necessariamente
ad un rafforzamento del processo di integrazione; questi nuovi contatti
difficilmente rappresentano per gli intervistati un bacino di reti caratterizzati
da solidi legami fiduciari a cui rivolgersi in caso di necessità.
Un’attività autonoma ben avviata non sembra necessariamente portare con
sé un effettivo miglioramento della condizione sociale che appare per la
maggior parte degli intervistati un processo faticoso, non scontato né
immediato.
In relazione a questa difficoltà un elemento importante e determinante
evidenziato da più persone sembra essere l’apertura e la ricerca continua di
contatti e scambi con la società di accoglienza anche di fronte alle chiusure
che spesso questa esprime.
“La mia famiglia è stata aperta all’Italia fin dall’inizio, così poi siamo cambiati siamo
diventati più decisi più forti” (caso 9, donna, titolare di un bazar, 30 anni)
Con riferimento alla propria condizione di vita e ad un possibile
miglioramento stimolato dall’avvio di un’attività autonoma, un miglioramento
economico viene dichiarato dalla maggior parte delle persone intervistate,
mentre quello sociale riguarda nel complesso 1/3 degli intervistati.
Risulta interessante segnalare come per questi ultimi imprenditori la ricerca
del riconoscimento sociale non avvenga più solamente in relazione al
prestigio presso la comunità di origine.
Il riconoscimentio del proprio successo in patria non pare più sufficiente e la
percezione della propria riuscita avviene soprattutto in relazione al contesto
di approdo; la misura del proprio successo si costruisce su criteri che
riguardano maggiormente la cultura del paese di approdo (efficienza e
sostenibilità della propria attività, l’essere un buon imprenditore).
365
Questa trasformazione culturale crea una distanza con il paese di origine che
a volte ostacola la possibilità di immaginare una propria attività in patria; più
di un intervistato ha manifestato perplessità circa la possibilità di riuscire a
ripetere in Marocco il successo imprenditoriale avuto in Italia causa una
diversa cultura del lavoro, differenti meccanismi di gestione dei rapporti con
colleghi, fonitori, istituzioni.
“Quando sono andato in Marocco non funzionava niente, non c’erano regole per i
permessi, anche si ti sforzi di rispettare le regole, un tuo concorrente ottiene i permessi
perché conosce qualcuno e non perché ha rispettano tutto quello che c’è da fare” (caso
14, uomo, agente di commercio, 39 anni)
“Non commercio con il Marocco perché non mi conviene troppe difficoltà alla dogana e
troppa corruzione e il mercato non da garanzie” (caso 13, uomo, titolare ditta export,
49 anni)
In conclusione, rispetto alla possibilità che attraverso il lavoro autonomo
vengano aumentate le dotazioni di capitale sociale, in termini soprattutto di
reti amicali, sia rispetto alla società di origine sia rispetto alla società di
accoglienza, tre sono le tipologie di percorsi incontrati nel corso della ricerca.
Nella prima tipologia rientrano coloro che grazie al loro lavoro autonomo
hanno aumentato le loro reti sociali sia in termini di relazione con il paese di
origine sia in termini di integrazione nella società di approdo: si tratta
soprattutto di coloro che hanno avviato attività molto strutturate di import-
export grazie alle quali vengono mantenute intense relazioni nella società di
origine, mentre nel paese di arrivo viene incrementato il livello di
integrazione, grazie soprattutto alle relazioni con gli italiani (che sono il
mercato di riferimento principale della loro attività).
In altri casi l’aumento della rete sociale è più forte nel paese di approdo e
viene favorito dallo svolgimento dell’attività stessa e dalla propensione
personale all’attivazione di reti: si tratta in gran parte delle attività che non
si connotano etnicamente per il tipo di prodotto scambiato o mercato al
quale si rivolgono (come ad esempio le cooperative di servizi incontrate nel
corso dell’indagine).
Nella seconda tipologia rientrano coloro che con la loro attività autonoma di
impresa non hanno aumentato né il loro grado di relazione con il paese di
origine né il grado di integrazione nella società di approdo. Si tratta
prevalentemente dei titolari di negozi/bazar al dettaglio di articoli alimentari
o di artigianato che si avvalgono nell’esercizio della loro attività di una
366
stretta rete familiare presente nel paese di approdo e che non coltivano
relazioni dirette con il paese di origine.
In questo caso hanno rilevanza le reti familiari e di amicizie strette, più che il
generico insieme di connazionali, con i quali le reti risultano deboli e di tipo
superficiale.
Queste attività non si traducono nemmeno in una maggiore integrazione nel
paese di approdo, sia per il tipo di clientela alla quale si rivolgono
(prevalentemente straniera e della stessa area di provenienza) sia per il tipo
di prodotto scambiato.
Una terza tipologia riguarda soggetti con esperienze che si collocano tra i
due estremi precedentemente illustrati; si tratta di coloro che attraverso la
loro attività autonoma hanno aumentato la loro rete sociale solo nel paese di
approdo attraverso reti di conoscenze sia con italiani sia con connazionali,
ma in maniera strumentale all’avvio dell’attività stessa più che in termini di
significative relazioni amicali. In questo caso le reti di conoscenti tra gli
italiani divengono necessarie all’avvio dell’attività autonoma, mentre le reti
tra connazionali, anzitutto tra familiari o conoscenti dello stretto gruppo di
riferimento, divengono bacino privilegiato di assunzione di manodopera utile
all’esercizio della propria attività.
La partecipazione alla vita sociale e pubblica
La partecipazione alla vita sociale e pubblica nel paese di origine o di arrivo
risulta presente in una piccola minoranza del campione intervistato. Delle 26
persone intervistate in profondità, infatti, solo 6 (casi 2, 5, 8, 12, 13, 15)
dichiarano di partecipare alla realtà di un’associazione qui in Italia e tra
questi 3 vi hanno partecipato anche in Marocco. Di coloro che sono inseriti in
realtà associative in Italia: 5 partecipano attivamente attraverso ruoli di tipo
decisionale, di cui 2 sono presidenti di associazioni di marocchini (casi 8,
15); una persona partecipa in qualità di simpatizzante alle attività di
un’associazione culturale mista. In ogni caso esperienze di vera
partecipazione alla vita sociale si ricontrano in poche tra le persone
intervistate. Varie sembrano essere le motivazioni di questo scarso
coinvolgimento. Da un lato la partecipazione ad attività di questo tipo
necessita di tempo a disposizione e di spirito volontario che difficilmente si
367
conciliano con una situazione di relativa instabilità nel paese di approdo e
con la gestione di un’attività autonoma.
In secondo luogo sembrano incidere caratteristiche culturali e sociali legate
al contesto marocchino che manca di una tradizione associativa forte; tra le
persone intervistate si è riscontrata una certa vena di diffidenza verso le
forme associative, sebbene siano su iniziativa di propri connazionali.
“4-5 anni fa ero addetto alla gestione in una cooperativa di stranieri (tra cui vi erano
dei marocchini) che aveva l’appalto del Comune per la gestione di un centro di
accoglienza… ma c’erano state delle cose che non mi erano piaciute. Dopo un anno ne
sono uscito da solo...Non ho più avuto fiducia nelle associazioni da quel momento”
(caso 26, uomo, auotrasportatore, 26 anni)
E poi c’è chi, pur non avendo vissuto un’esperienza diretta in un’associazione
in Italia, ne prende le distanze con diffidenza più per pregiudizio che per
esperienza personale:
“La maggior parte delle associazioni lo fa per interesse personale” (caso 2, uomo,
titolare di import-export, 46 anni)
“Purtroppo è così…non si dà valore ad una cosa...chi me lo fa fare??...se c’è un
guadagno lo faccio” (caso 9, donna, titolare bazar, 30 anni)
Per quanto riguarda l’accesso ai servizi ed alle istituzioni da parte dei
lavoratori autonomi marocchini, possiamo dire che sicuramente l’assetto
produttivo economico locale e il quadro politico-istituzionale del paese di
approdo influiscono nella costruzione del loro percorso lavorativo individuale,
divenendo variabili e vincoli dello stesso.
La ricerca in proposito ha evidenziato che le reti più “agite” dai lavoratori
autonomi sono quelle che risultano funzionali all’avvio dell’attività stessa:
commercialisti, associazioni di categoria, camera di commercio.
In generale però si è riscontrata una scarsa conoscenza dei servizi esistenti
che evidenzia bisogni di tipo informativo e di consulenza per la maggior
parte delle persone intervistate.
I pochi che hanno relazioni con associazioni di categoria, camere di
commercio e sportelli informativi delle istituzioni locali hanno dimostrato
forte intraprendenza personale ed una spiccata capacità di orientamento ed
autonomia.
In relazione a questo bisogno di orientamento e consulenza si segnala
un’iniziativa nata nel 2003 presso l’Unione dei Commercianti di Lecco; in seguito ad
368
una domanda dal basso, informale, non soddisfatta dalle istituzioni e
alimentata soprattutto dagli stessi marocchini è nato uno sportello per
stranieri desiderosi di aprire un’impresa.
Interessante rilevare la genesi dell’iniziativa: un intraprendente mediatore
senegalese titolare di diverse attività in proprio ha raccolto le domande
pressanti “sul come fare”, ricevute da vari immigrati sottoponendole ad un
sindacalista e all’Unione dei Commercianti provinciale, che si sono resi
disponibili ad accogliere l’iniziativa.
CAPITALE FINANZIARIO
Salario, risparmio e accesso ai servizi bancari: le condizioni
finanziarie che contribuiscono all’avvio di un’attività autonoma
Il miglioramento economico e le prospettive di maggior guadagno sono tra le
maggiori spinte all’avvio di un’attività imprenditoriale autonoma. In relazione
ai processi di stabilizzazione dei nuclei familiari nel paese di approdo l’avvio
di una attività autonoma è una di quelle che richiede una maggiore
disponibilità economica.
L’accumulo di una somma minima necessaria per potersi mettere in proprio
presuppone, nondimeno, una prima fase di capitalizzazione abbastanza
lunga (Schmidt di Friedberg, 1999). Il collettivo intervistato vanta un
discreto grado di anzianità di presenza in Italia, condizione che rende
possibile tale processo di capitalizzazione necessario per mettersi in proprio.
E questo trova ulteriore riscontro nel fatto che il risparmio accumulato
durante la migrazione sia quello prevalentemente utilizzato per l’avvio
dell’attività stessa; solo 1 persona, dichiara, invece, di essersi appoggiata
esclusivamente ai propri familiari, mentre 4 persone hanno ricevuto
sostegno economico dalla rete familiare in aggiunta al proprio risparmio.
Le difficoltà finanziarie sono tra quelle più ricorrenti nella gestione di
impresa: quasi 1/3 del campione intervistato, incontra questo tipo di
problemi. La difficoltà di accesso a prestiti e finanziamenti, risulta un altro
fattore che scoraggia il decollo dell’attività di impresa: solo 2 persone hanno
ottenuto prestiti di tipo bancario39.
39 Si tratta di un leasing per l’acquisto di un furgone e di un camion, entrambi dietro garanzia prestata da conoscenti italiani.
369
Quattro persone sul totale, invece, hanno in corso un mutuo per l’acquisto di
una casa, indicatore di accesso al credito che va sicuramente nella direzione
di un maggiore potere economico di acquisto, nel quadro di un maggior
radicamento nella società di approdo.
Il reddito abituale da lavoro è un primo indicatore della situazione economica
dell’intervistato ed è una variabile che rappresenta un importante segnale
del successo dell’attività lavorativa. In generale è stato alquanto difficile
rilevare in modo diretto il reddito delle persone intervistate, un po’ per
disagio percepito da parte delle stesse nel voler fornire questo tipo di
informazione, un po’ perché nel caso dei lavoratori autonomi risulta più
difficile poter quantificare il proprio guadagno, considerando che le entrate
hanno cadenza variabile. In generale si è comunque preferito raccogliere
informazioni sulla capacità di spesa, di risparmio, sull’utilizzo dello stesso e
sull’eventuale invio di rimesse.
E’ possibile affermare per il campione intervistato che le entrate sono tali da
poter affrontare spese familiari medie mensili nell’ordine dei 2000 euro.
Il guadagno accumulato, tolte le spese familiari e l’eventuale parte trasferita
nel paese di origine, viene utilizzato in Italia prevalentemente per:
- il deposito o l’investimento presso banche locali;
- la gestione della propria attività;
- il rimborso di prestiti/pagamento di debiti;
- l’acquisto di una casa (utilizzo che riguarda 5 persone sul totale).
Tutti gli intervistati sono titolari di un conto corrente bancario in Italia;
questo elemento sembra dovuto sia alla lunga presenza nel nostro paese sia
alle necessità collegate alla gestione di un’attività autonoma. Sono emersi
comunque in corso di intervista una serie di elementi negativi nella relazione
dei migranti con il sistema bancario: oltre alla difficoltà di accesso ai crediti,
viene segnalata una burocratizzazione delle pratiche di accesso al servizio
bancario per i migranti40.
La problematicità del rapporto tra cittadini stranieri e sistema bancario è
resa ancoara più evidente dallo scarso utilizzo della modalità bancaria per
l’invio del denaro delle rimesse.
40 Si veda ad esempio l’estrema eterogeneità dei documenti richiesti dalle diverse banche per accedere a questo servizio (in certi casi oltre al documento di identità ed al permesso di soggiorno, vengono richiesti la busta paga, o la dichiarazione dei redditi, o la garanzia di un cittadino italiano).
370
Infine è di forte interesse segnalare che quasi tutti gli intervistati sono
ancora titolari di un conto corrente bancario in Marocco; diverse sono le
motivazioni alla base di questa scelta:
- esigenza di regolare i debiti con i fornitori in loco (nel caso di attività di
import-export) o i debiti di altra natura (ad esempio l’acquisto di una
casa, o di un terreno, mediante una dilazione di pagamento);
- esigenza più occasionale di avere dei liquidi in occasione dei rientri in
Marocco;
- far pervenire ai familiari in patria i propri risparmi.
Le rimesse in patria: un Giano bifronte
"Le rimesse, che anche in Italia stanno assumendo una dimensione rilevante,
costituiscono uno spazio economico transnazionale, in grado di unire migrazioni e
sviluppo e pongono dei compiti innovativi in capo alle banche, chiamate non solo a
favorire l'invio delle rimesse ma anche l'imprenditorialità degli immigrati nel nostro
paese e in quello di origine".
Questo è quanto affermato da Monsignor Guerino Di Tora, direttore della
Caritas diocesana di Roma, rispetto ad un’indagine sulle rimesse degli
immigrati in Italia, condotta dall'équipe del Dossier Statistico Immigrazione
in collaborazione con l'International Labour Office41.
I flussi di denaro e beni inviati dai lavoratori emigrati all’estero alle loro
famiglie, rappresentano la manifestazione più evidente dell’emigrazione
sull’economia del Paese di origine. Le rimesse oltre che nel loro aspetto
economico vengono lette dalla letteratura internazionale anche nella loro
valenza relazionale, sono cioè un importante indice del legame che unisce la
società di arrivo a quella di partenza ed esprimono il grado di attitudine al
ritorno nonché la propensione a realizzare parte delle proprie aspirazioni in
patria. Lo studio sulle rimesse evidenzia come tale fenomeno attivi processi
fortemente ambivalenti. Da un lato sono molteplici gli effetti positivi sulle
economie dei paesi di origine: migliorano la bilancia dei pagamenti, sono
una fonte preziosa di valuta straniera, sono una fonte potenziale di risparmio
e investimento, incrementano il reddito nazionale.
41 Relazione Mons. Guerino di Tora alla Presentazione del Dossier immigrazione 2001 in http://www.caritasroma.it/immigrazione
371
Dall’altro molti studi sottolineano l’impatto negativo delle rimesse per lo
sviluppo economico del paese di origine in quanto creano dipendenza in chi
riceve questo tipo di flussi, provocano un effetto inflazionistico per l’aumento
dei prezzi, distorcono i modelli di consumo, incoraggiano l’emigrazione di
forza lavoro. A livello microeconomico le rimesse riguardano le famiglie e il
loro utilizzo e impatto dipende da decisioni private di spesa, che devono
anche interagire con l’ambiente economico locale. La letteratura sulle
rimesse dà conto di un loro utilizzo per beni voluttuari e di prestigio (come
case o automobili), o per salute ed educazione e in generale per investimenti
di tipo “improduttivo”. Ma il concetto di spesa improduttiva è discutibile: la
spesa in alloggi può avere infatti un forte impatto sullo sviluppo locale
(Mazzali, Stocchiero, Zupi, 2002). In Marocco, ad esempio, i flussi finanziari
hanno un effetto importante nello sviluppo di alcune città intermedie (ad
esempio Nador e Targuist) che presentano un ritmo di crescita superiore alla
media di altre città simili. In queste città il 75% o 85% delle nuove
abitazioni sono frutto degli investimenti immobiliari degli emigrati all’estero
originari delle relative province. Analogamente gli investimenti in educazione
o in piccole attività produttive possono essere considerati casi di uso
produttivo delle rimesse.
La questione centrale da considerare in relazione alle rimesse sembra legata,
più che alla produttività, alla localizzazione degli investimenti (Taylor, in
Mazzali, Stocchiero, Zupi, 2002). Le diverse condizioni esistenti nei differenti
contesti locali possono portare effettivamente a dei risultati di
concentrazione cumulativa delle risorse e quindi delle rimesse, rafforzando
l’emarginazione delle aree più povere e i flussi migratori.
E questo è proprio quello che avviene nel caso del Marocco, dove la maggior
parte degli investimenti provenienti dai migranti si dirige verso le aree
urbane e i centri a livello regionale a scapito delle aree rurali.
Rispetto al campione intervistato risulta che 17 persone sul totale inviano
denaro a casa e di queste, 10 inviano anche beni. Nel caso dell’invio di beni
si tratta prevalentemente di vestiti, elettrodomestici, beni ad uso e consumo
della famiglia, spesso sotto forma di regali in occasione dei rientri in patria.
In 3 casi, tuttavia, i beni inviati in Marocco vengono rivenduti sul mercato
locale, configurandone un utilizzo di tipo produttivo. In uno di questi casi i
beni inviati in Marocco vengono affidati ad un familiare per essere rivenduti,
senza che il migrante chieda una partecipazione ai guadagni; in questo caso
372
l’invio sotto forma di beni si configura come un’alternativa all’invio di denaro
“che avrebbe l’effetto di umiliare” il proprio parente, secondo quanto riferito
in sede di intervista.
Aldilà di questi 3 casi esposti, vi è poi quello di una persona che invia beni
per l’allestimento di un bar gestito dai suoi familiari in Marocco e quello di
un’altra persona che invia beni da essere utilizzati personalmente al
momento dei rientri in patria (complementi di arredo per la casa, vestiti
italiani, elettrodomestici). In entrambi i casi le famiglie presenti nel paese di
origine non risultano dipendere da forme di aiuto economico da parte dei
propri familiari residenti in Italia.
Il comportamento di rimessa non sembra essere correlato alle prospettive di
ritorno nel paese di origine: risulta infatti che delle 17 persone che inviano, 9
non hanno intenzione di tornare in patria definitivamente e 2 non lo sanno.
Tra le motivazioni che spingono invece a non inviare rimesse in patria si
riscontrano:
- il fatto di avere tutti i familiari in Italia;
- il fatto di avere familiari in Marocco che non hanno bisogno di questo
sostegno;
- una maggior proiezione all’investimento in Italia.
Rispetto al canale di trasferimento delle rimesse, solitamente non ne viene
utilizzato uno soltanto, ma una combinazione di diverse modalità a seconda
delle esigenze e circostanze del momento.
Tra le più diffuse, comunque, vi sono il trasferimento personale (in occasione
dei rientri in patria), il circuito postale (Moneygram) ed il trasferimento
bancario. L’utilizzo del canale bancario sembra da un lato giustificarsi in virtù
di una maggior anzianità di presenza sul nostro territorio della comunità
marocchina (e quindi di sua maggiore familiarizzazione con gli istituti di
credito), dall’altro sembra essere in relazione ad una maggiore attenzione
del mondo bancario a questo tipo di operazioni e di clientela, per cui,
rispetto a qualche anno fa, si è assistito ad un miglioramento dei costi e
delle tempistiche offerte, grazie anche ad accordi interbancari tra istituti
italiani e marocchini.
Rispetto alla somma mediamente inviata annualmente alla famiglia di origine
si rileva un quadro di comportamenti molto diversificati, con una quota
373
massima, per 5 persone tra le 17 che inviano rimesse42, comprese tra i 2000
e i 3000 euro. Lo stesso tipo di andamento si ritrova anche nella periodicità
di invio, che presenta posizioni polarizzate tra chi invia regolarmente tutti i
mesi e chi invia irregolarmente senza una cadenza precisa.
Circa l’utilizzo del denaro inviato nel paese di origine il “mantenimento dei
familiari o parenti” risulta prioritario per 13 persone su 17; sei intervistati
segnalano però anche altri tipi di impieghi del denaro inviato:
- l’acquisto di una casa;
- il deposito/investimento presso banche locali;
- l’acquisto di terreni;
- il rimborso di prestiti o il pagamento di debiti (spesso correlati agli stessi
acquisti precedentemente citati).
La ricerca sembra confermare l’ipotesi di una valenza delle rimesse in
termini di mantenimento economico (completo o parziale) del nucleo
familiare in loco da un lato e di conservazione delle relazione con il paese
dall’altro. Il comportamento di invio risulta frutto di decisioni private di
spesa, sulla base delle proprie possibilità ma soprattutto delle reali esigenze
del nucleo familiare nel paese di origine. Gli intervistati non prefigurano
percorsi di canalizzazione delle rimesse a livello collettivo, ad esempio
tramite delle associazioni, con fini di sviluppo locale delle comunità di
origine. Sembrerebbe dunque che la realtà sia ancora troppo “acerba” per
poter pensare a dei percorsi di sviluppo per le comunità di origine attraverso
le rimesse, anche se la stessa professione transnazionale di molti immigrati
incontrati (si pensi agli imprenditori dell’import-export) potrebbe davvero
usufruire degli effetti apportati dalle rimesse nei contesti di provenienza.
CONCLUSIONI
La presente analisi ha permesso in primo luogo di valutare le dotazioni di
capitale umano, sociale e finanziario del campione di lavoratori autonomi
marocchini intervistati, al fine di fornire un quadro delle possibilità di
impiego di tali risorse in progetti di co-sviluppo per le comunità di origine.
42Si consideri in proposito che 6 persone non hanno fornito indicazioni al riguardo.
374
Punti di forza e potenzialità
In relazione al capitale umano sono risultate risorse importanti e
potenzialmente efficaci in un percorso di co-sviluppo:
Lunga esperienza nel settore di attività, magari acquisita in seno al
nucleo familiare.
Possesso di competenze trasversali e di caratteristiche soggettive
sintetizzabili in motivazione, impegno, capacità di ideazione e
progettazione di iniziative imprenditoriali, attenzione alla qualità,
capacità di lettura e orientamento ai mercati di riferimento.
Prediposizione ad investire in formazione.
Radicamento stabile nel paese di approdo come fattore che solleva dalle
problematiche di inserimento lavorativo e sociale.
Con riferimento al capitale sociale sono state rilevate le seguenti risorse:
Un network di relazioni sociali forti, interetniche, caratterizzate da un
solido capitale sociale di reciprocità e da possibilità di mobilità sociale.
Mantenimento di reti solide e diversificate nel paese di origine.
Relazioni, soprattutto dirette, con il proprio paese di origine o intenzione
di attivarle, a livello commerciale e/o di trasferimento di competenze,
non soltanto in termini di intermediazione, sostenute da una rete.
Infine in relazione al capitale finanziario, la stabilità economica, che si
traduce in un buon livello di reddito, capacità di spesa, accesso al credito,
appare come risorsa essenziale per un lavoratore autonomo che voglia
avviare relazioni virtuose di co-sviluppo con il paese di origine.
Punti di debolezza e criticità
L’analisi dei capitali del campione intervistato ha permesso parimenti di
evidenziare una serie di difficoltà, assenze e lacune che hanno fornito
indicazioni circa i limiti attuali esistenti nell’ambito del lavoro autonomo
marocchino in relazione alla possibilità di partecipare attivamente a percorsi
di co-sviluppo.
375
Per quanto riguarda il capitale umano si riscontra:
Debole tendenza all’investimento in formazione mirata ed efficace (sono
risultati abbastanza rari percorsi formativi supplementari nel paese di
approdo calibrati in maniera efficace e portati a termine con successo).
Livello scarso di conoscenza della lingua italiana anche in casi di
prolungato soggiorno nel paese di accoglienza.
In relazione alle dotazioni di capitale sociale si rileva:
Bassa disponibilità all’azione collettiva accompagnata da una debole
fiducia nelle reti di connazionali (lo denota la diffidenza verso forme di
partecipazione associative).
Scarsa conoscenza del tessuto associativo del territorio di accoglienza.
Scarsa interazione con le istituzioni italiane.
Scarsa fiducia nelle istituzioni del paese di origine.
Infine per quanto riguarda il capitale finanziario si è riscontrata una scarsa
capacità di effettuare rimesse di tipo produttivo parallelamente ad una
scarsa fiducia nel paese di origine come luogo di investimento; in molte delle
persone intervistate si è riscontrata una scarsa predisposizione al rischio,
considerato molto alto per un investimento in Marocco, accompagnata però
anche da scarsi strumenti di valutazione di tale rischio in una prospettiva che
ipotizzi delle soluzioni.
Indicazioni di policy
La presente ricerca ha evidenziato da un lato una serie di lacune e difficoltà
che caratterizzano i percorsi migratori dei lavoratori autonomi intervistati
così sintetizzabili:
• la mancanza di percorsi professionali e di orientamento al mercato italiano
calibrati sulle esigenze di un lavoratore autonomo;
• la mancanza di percorsi di accompagnamento/tutoraggio nell’avvio di
esperienze imprenditoriali;
• la mancanza di informazioni sulle possibilità di percorsi lavorativi
autonomi, soprattutto nel campo dell’import-export;
• la mancanza di misure adeguate di sostegno all’imprenditoria e di accesso
al credito;
376
• le difficoltà di ordine finanziario (leggi la tassazione delle attività di lavoro
autonomo).
Parallelamente sul piano politico-istituzionale la ricerca ha mostrato una
serie di limiti nella valorizzazione dell’imprendiotoria immigrata come
soggetto attivo del tessuto produttivo locale:
• l’assenza di servizi calibrati in relazione alla specificità di tale
imprenditorialità;
• lo scarso coinvolgimento delle imprese immigrate di successo negli
interventi sul terrirotio (si vedano i programmi di formazione e
orientamento al lavoro che coinvolgono le aziende dei territori);
• la ancora scarsa valorizzazione nelle associazioni di categoria e camere di
commercio degli imprenditori immigrati come potenziali protagonisti nei
programmi di internazionalizzazione;
• l’assenza di politiche che tengano conto di quella porzione di migranti
maggiormente dotata di risorse, che, se opportunamente valorizzata,
potrebbe contribuire allo sviluppo delle comunità di origine.
Le linee di intervento da considerare nell’indirizzare interventi ed azioni in
grado di rispondere a queste difficoltà/bisogni risultano:
1. l’individuazione dei fabbisogni di formazione dei lavoratori autonomi;
2. la facilitazione dell’accesso alla formazione attraverso l’ideazione di
percorsi compatibili con l’esercizio di una professione autonoma;
3. l’accompagnamento/tutoraggio delle iniziative imprenditoriali avviate e
la facilitazione dell’accesso alle informazioni (creazione di sportelli
orientativi e di servizi calibrati sulle specificità dell’utenza
imprenditoriali immigrata);
4. la diminuzione della burocratizzazione delle procedure legate all’avvio
di attività imprenditoriali;
5. una maggiore liberalizzazione dei servizi finanziari concessi ai clienti
immigrati (riduzione delle garanzie richieste per l’accesso al credito,
crediti e prestiti agevolati, agevolazioni fiscali);
6. l’ideazione di percorsi professionali di alto livello, funzionali alla
promozione di lavoratori autonomi ad “alto potenziale” che potrebbero
costituire un possibile bacino di soggetti da coinvolgere nei processi di
377
internazionalizzazione delle imprese nei territori a forte pressione
migratoria;
7. la “messa in rete” delle iniziative e delle best practices esistenti,
attraverso sportelli informativi che possano semplificare l’eccessiva
frammentazione e dispersione delle informazioni.
Dal punto di vista del capitale sociale, per facilitare la messa in rete delle
esperienze migliori sarebbe opportuno agevolare i contatti tra imprenditori
immigrati incentivando la loro adesione alle associazioni di categoria. Tali
associazioni potrebbero organizzare degli incontri tra imprenditori della
stessa nazionalità e operanti nello stesso settore43; si creerebbe uno spazio
di confronto su esperienze, difficoltà, bisogni che potrebbe essere motore
per nuove iniziative. La condivisione di modus operandi di lavoro avrebbe
inoltre l’effetto di accelerare l’uscita dai meccanismi di “colonizzazione
etnica” di certi settori e da rapporti di subfornitura a servizio di ditte italiane,
promuovendo la ricerca di soluzioni alternative e maggiormente rispondenti
alle esigenze dell’imprenditore immigrato. Infine verrebbero rafforzati il
valore dell’azione collettiva e le relazioni dei migranti con il tessuto sociale di
riferimento. Per quanto riguarda il capitale finanziario degli imprenditori
migranti, la ricerca evidenzia come debba ancora essere canalizzato in
maniera efficace anche attraverso interventi che incentivino investimenti
produttivi diversificati e che trasformino le rimesse in una risorsa strategica
per lo sviluppo dei contesti di origine. In questo senso occorrerebbe che tali
risorse venissero opportunamente canalizzate in circuiti formali di
trasferimento per poter venire impiegate in progetti imprenditoriali
generatori di reddito economico e occupazione.
Tenendo conto, inoltre, delle capacità imprenditoriali sviluppate dai migranti
nei paesi di approdo e delle potenzialità dei contesti di origine, si potrebbe
incentivare l’interscambio e le connessioni tra i due contesti coinvolgendo
migranti e istituzioni del territorio.
Lo scenario su cui progettare programmi di azione in questa direzione è
quello di una collaborazione tra migranti, istituzioni del territorio e istituti
bancari, nel quadro dei partenariati territoriali previsti dalla politica di
prossimità (Ceschi, Pastore, 2003).
43 Una ricerca della Confartigianato di Roma (Ufficio Studi Confartigianato, 2003) rileva che il 43% degli imprendotori artigiani immigrati è iscritto ad un’associazione imprenditoriale, e che il 40% non è iscritto in quanto non ne conosce l’esistenza.
378
In proposito occorrerebbe cominciare ad agire già a partire dai contesti di
partenza, nell’orientamento dei potenziali migranti verso esperienze di
successo. Analogamente occorrerebbe promuovere il collegamento tra
istituzioni di formazione italiane e marocchine, attraverso l’ideazione di
esperienze di scambio e di formazione in entrambi i contesti.
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381
4.1.5. I mediatori culturali marocchini in Lombardia
Sofia Borri, Viviana Sacco
INTRODUZIONE
Mediatori culturali marocchini come agenti di sviluppo
L’obiettivo della presente indagine è comprendere con quali modalità e in
relazione a quali dotazioni di capitale (umano, sociale e finanziario) i
mediatori culturali marocchini che operano in Italia possano diventare agenti
di sviluppo per il proprio paese di origine.
Il profilo professionale che caratterizza il mediatore culturale presenta delle
caratteristiche che lo avvicinano al ruolo dell’agente di sviluppo: il
mediatore, infatti, è una figura di collegamento tra culture differenti, in
grado di agevolare i processi di integrazione dei migranti nelle società di
accoglienza, facilitando la comunicazione tra soggetti diversi e istituzioni.
Differentemente dagli imprenditori marocchini, che rappresentano dei
possibili agenti di sviluppo in un senso più che altro economico, legato al
commercio o al trasferimento di conoscenze e saperi, i mediatori, nell’ambito
della ricerca, sono stati considerati come una categoria di analisi rilevante
per le caratteristiche di dotazione di capitale sociale e di conoscenza delle
dinamiche socio-istituzionali del paese di arrivo.
L’analisi contenuta nel presente studio è strutturata in tre capitoli che
riguardano rispettivamente le dotazioni di capitale umano, sociale e
finanziario dei mediatori culturali marocchini in Lombardia.
Successivamente, sono presentati alcuni case studies, cui segue una parte di
indicazioni di policy riguardante le modalità attraverso cui i mediatori
culturali marocchini possono diventare agenti di sviluppo per il proprio paese
d’origine.
382
La ricerca di campo: definizione del campione e identificazione dei
soggetti
Da un punto di vista operativo, il lavoro di ricerca è stato organizzato in
quattro fasi distinte:
- Analisi preliminare: reperimento della letteratura esistente sui mediatori
culturali ed elaborazione di una bibliografia di riferimento. L’analisi
bibliografica ha permesso di formulare adeguate ipotesi di ricerca e di
orientare la fase successiva.
- Strutturazione del campione e definizione della metodologia di analisi: in
questa fase sono state definite le caratteristiche del campione di
riferimento per orientare il lavoro di terreno. Per le inchieste di terreno è
stato utilizzato un questionario elaborato sulla base delle indicazioni
emerse dall’analisi preliminare.
- Realizzazione delle interviste: in questa fase si è provveduto a
identificare i soggetti da intervistare e, successivamente, a realizzare le
interviste sulla base del questionario. La realizzazione delle interviste è
servita, inoltre, per la selezione di un gruppo di beneficiari per i corsi di
orientamento e i corsi di formazione previsti dal progetto pilota in cui la
ricerca è inserita.
- Analisi delle interviste: in quest’ultima fase si è provveduto a realizzare
l’analisi del materiale raccolto, a partire dalla suddivisione delle
interviste in capitale umano, sociale e finanziario. Il confronto interno
all’équipe di lavoro di punto.sud, ha permesso di condividere e
approfondire le conclusioni del rapporto.
Il lavoro di terreno è stato eseguito tra il mese di gennaio e il mese di marzo
del 2004; in totale sono state realizzate 16 interviste (8 uomini e 8 donne) a
mediatori culturali marocchini che esercitano la loro professione in
Lombardia.
Le interviste, di media-lunga durata (2-3 ore), sono state realizzate con
l’obiettivo di individuare i processi di acquisizione di risorse vissuti dai
mediatori marocchini intervistati.
383
Il campione è stato definito secondo i seguenti criteri:
- Esercizio della professione di mediatore, senza restrizioni temporali44.
- Almeno 5 anni di presenza regolare in Italia.
- Bilanciamento di genere, in modo da avere un numero paritario di
uomini e donne.
I mediatori selezionati in base a tali criteri, sono stati intervistati utilizzando
un questionario strutturato in tre sezioni: 1) percorso migratorio; 2)
mappatura del capitale umano, sociale e finanziario; 3) mediazione culturale.
La terza sezione del questionario è stata elaborata con l’obiettivo di indagare
le effettive potenzialità di tale professione in termini di costruzione di reti
sociali e di capacità acquisite nell’interazione con le istituzioni italiane.
Non esistendo un albo di mediatori culturali, la selezione dei soggetti da
intervistare è avvenuta attraverso contatti con attori privilegiati, focalizzando
la ricerca su quei mediatori particolarmente inseriti sul territorio e/o
rappresentativi di una parte della comunità marocchina.
Sono stati inoltre contattati alcuni enti pubblici e del privato sociale45
(cooperative sociali, cooperative di mediatori culturali, centri inter-culturali,
punti informativi delle Province, associazioni culturali) che, lavorando a
stretto contatto con la realtà migratoria, fossero in grado di segnalare
migranti che rispondessero alle caratteristiche del campione. Un ulteriore
canale di contatti è emerso dalla mappatura delle Associazioni marocchine
presenti nella Regione Lombardia.
La tabella seguente descrive le caratteristiche principali dei 16 soggetti che
costituiscono il campione.
44 Inizialmente si era ipotizzato di inserire, tra i criteri di definizione del campione, almeno 3 anni di esercizio consolidato della professione di mediatore culturale. Successivamente, tuttavia, in base alle indicazioni fornite dai primi incontri con i mediatori culturali marocchini identificati, si è deciso di includere nell’analisi anche quei soggetti che da meno tempo esercitano la professione di mediatore; questi soggetti, infatti, costituiscono una testimonianza importante rispetto alle motivazioni che spingono un immigrato a svolgere la professione di mediatore piuttosto che altri lavori meno qualificanti. 45 Vedere Allegato.
384
Tabella 4.15 – Descrizione casi del campione
N. Sesso Età Anno di arrivo in
Italia
Città di provenienza
Provincia di
residenza
Tipologia di mediatore
Titolo di studio
1 M 27 1997 Khouribga Pavia Servizi
informativi e di orientamento
Laurea in Economia
2 F 21 1995 El-Kelaa Mantova Polivalente Istruzione secondaria
3 F 25 1996 Casablanca Brescia Polivalente Formazione
universitaria46
4 F 40 1992 Casablanca Bergamo Polivalente Laurea in Lettere
5 F 40 1989 Béni Mellal Bergamo Servizi
informativi e di orientamento
Formazione universitaria
6 F 36 1994 Marrakech Lecco Ambito
scolastico-educativo
Laurea in Lettere
7 F 34 1989 Casablanca Milano Ambito penale-
giudiziario Formazione universitaria
8 M 39 1984 Er-Rachidia Milano Ambito penale-
giudiziario Laurea in Biologia
9 M 42 1985 Casablanca Milano Ambito penale-
giudiziario Formazione universitaria
10 M 42 1984 Béni Mellal Milano Servizi
informativi e di orientamento
Laurea in Lettere
11 M 40 1990 Khouribga Milano Servizi
informativi e di orientamento
Laurea in Fisica
12 F 42 1989 Béni Mellal Milano Polivalente Laurea in
letteratura araba
13 F 35 1990 Casablanca Cremona Ambito
scolastico-educativo
Istruzione secondaria
14 M 37 1990
Casablanca Milano
Servizi informativi e di orientamento
Formazione universitaria
15 M 40 1985 Casablanca Milano Operatore
sociale Formazione universitaria
16 M 52 1987 Fès Brescia Servizi
informativi e di orientamento
Laurea in matematica
46 Chi ha frequentato parte del percorso universitario ma senza conseguimento della laurea
385
La mediazione culturale in Italia: elementi di interesse
La mediazione culturale fa la sua comparsa in Italia agli inizi degli anni
Novanta, diffondendosi in tutto il territorio nazionale, con una certa
prevalenza nelle regioni del nord del paese.
L’assenza di un quadro di riferimento quantitativo sui mediatori culturali in
Lombardia, dovuta alla mancanza di centri che raccolgano e sistematizzino
dati sui servizi di mediazione a livello nazionale e regionale, rende difficile
stimare con esattezza la quantità di mediatori culturali presenti in
Lombardia; risulta ancora più difficile ottenere dati disaggregati sulla
provenienza nazionale dei mediatori.
La mediazione culturale si caratterizza come un campo dell’intervento sociale
in forte crescita negli ultimi anni, ma non ancora sufficientemente
approfondito e sistematizzato.
Non esistono, infatti, delle direttive istituzionali nazionali che definiscano lo
status di tale professione, né tantomeno uno standard formativo o
retributivo. Per questi motivi coesistono modalità differenti di intendere la
professione.
La professione di mediatore culturale è nata per sopperire alle difficoltà di
tipo linguistico incontrate dagli immigrati nell’accesso ai servizi sociali; la
richiesta iniziale, espressa dalle istituzioni italiane nei confronti dei mediatori
stranieri, era dunque focalizzata sull’intervento di traduzione linguistica.
Dopo una prima fase di inserimento della figura del mediatore culturale
presso i servizi sociali italiani, i soggetti, coinvolti direttamente o
indirettamente nella pratica della mediazione culturale, hanno avviato una
riflessione sulla professione, individuando, a fianco degli aspetti di
traduzione linguistica, nuove priorità che rafforzano enormemente le
potenzialità insite in tale professione. È estremamente riduttivo non
considerare, ad esempio, come parte integrante del lavoro di mediazione, le
complicate pratiche di negoziazione di rapporti tra culture diverse e
l’attenzione che il mediatore deve avere nei confronti delle dinamiche psico-
sociali in cui incorrono gli utenti stranieri nel relazionarsi con le istituzioni e i
servizi italiani.
La mediazione culturale implica dunque una concettualizzazione che
condiziona anche la pratica; l’essenza di tale concettualizzazione è connessa
ad una riflessione sul termine “mediazione”.
386
Nel concetto di mediazione appare centrale l’idea di terzietà o triangolazione,
in cui due soggetti in conflitto, o con difficoltà di comunicazione, si rivolgono
ad un terzo “neutrale” per stabilire un dialogo tra le parti: in quest’ottica il
mediatore rivela la sua capacità di creare legami. Il filosofo Jean-François
Six, presidente del Centre National de la Mediation di Parigi, inserisce il
concetto di mediazione nell’ambito di una sfera fortemente collegata a quella
relazionale: la mediazione consiste nel mettere in relazione, avvicinare,
riconoscere e far riconoscere i punti di vista diversi, nello stabilire e tessere
legami tra simili e differenti (Six J.F., 1990).
A questo proposito è interessante citare il pensiero della psicologa francese
Margalit Cohen, che distingue tre aspetti principali della mediazione: il primo
è legato all’azione di intermediazione in situazioni di difficoltà di
comunicazione; il secondo fa riferimento all’area della risoluzione dei
conflitti; il terzo e ultimo significato è invece legato al processo di creazione
e implica dunque l’idea di trasformazione sociale e di costruzione di nuove
norme derivanti dalla collaborazione tra soggetti diversi in un processo
dinamico attivo (Cohen-Emerique M., 1989).
Di questi tre aspetti, quelli più rilevanti in relazione all’oggetto della ricerca –
il mediatore come possibile agente di sviluppo per il paese di origine –
sembrano essere la comunicazione e la creatività. La comunicazione
permette ad un mediatore culturale di rafforzare e valorizzare i legami tra
marocchini in Marocco e marocchini immigrati in Italia; la creatività gli
permette di stabilire legami prima inesistenti tra soggetti diversi, al fine di
apportare beneficio a entrambe le parti in causa. In tal caso la creatività è
uno strumento necessario allo sviluppo delle comunità d’origine, se si
considera lo sviluppo come un processo dinamico che passa
necessariamente attraverso una trasformazione e ha bisogno
dell’innovatività per realizzarsi.
E’ dunque per le potenzialità di networking e per la capacità di apportare
innovatività a partire dalle proprie dotazioni di capitale umano, sociale e
finanziario, che un mediatore culturale si profila come un soggetto
interessante nell’ambito di una ricerca che si interroga sulle relazioni
esistenti tra gli immigrati marocchini e il proprio paese d’origine.
387
CAPITALE UMANO
Progetti e strategie migratorie
L’analisi dei progetti e delle strategie migratorie evidenzia che la maggior
parte dei mediatori culturali marocchini intervistati ha intrapreso un progetto
migratorio finalizzato allo studio (proseguimento della carriera accademica,
specializzazione universitaria, dottorato) o alla possibilità di effettuare
un’esperienza di vita diversa.
Delle 16 persone intervistate, sono 7 i mediatori (5 uomini e 2 donne),
venuti in Italia per proseguire gli studi universitari, studi spesso interrotti a
causa del disorientamento derivante dal diverso sistema universitario. Alle
motivazioni legate allo studio a volte si uniscono e sovrappongono quelle
legate alla possibilità di effettuare un’esperienza di vita diversa e stimolante.
Infine, una piccola parte è emigrata per la mancanza di una diffusa libertà di
espressione politica e culturale nel paese d’origine. L’esperienza migratoria
rappresenta, in quest’ultimo caso, una “fuga intellettuale”, che spesso si
scontra con false aspettative e delusioni nel paese d’accoglienza.
Le mediatrici culturali donne presentano percorsi migratori differenziati:
alcune sono emigrate a seguito del proprio nucleo familiare, altre sono in
Italia per ricongiungimento al coniuge, mentre una piccola percentuale
presenta un progetto migratorio autonomo.
In conclusione, l’analisi delle strategie migratorie rileva un elemento
significativo che differenzia i mediatori culturali dal modello migratorio della
comunità marocchina: tutti gli intervistati, tranne due, non sono venuti in
Italia per motivi inerenti al lavoro, ma a seguito di un progetto migratorio
finalizzato al proseguimento degli studi o alla possibilità di effettuare
un’esperienza di vita diversa e stimolante.
Livello di istruzione in Marocco ed in Italia
Il livello di istruzione dei mediatori intervistati presenta una tendenza molto
esplicita: la quasi totalità (14 su 16) si divide tra coloro che hanno
conseguito il titolo universitario in Marocco (7 persone) e coloro che sono
emigrati con l’idea di terminare gli studi universitari in Italia (7 persone);
solo due sono i casi incontrati di persone diplomate.
388
I mediatori culturali rappresentano, dunque, una specificità all’interno del
modello migratorio della comunità marocchina, in quanto altamente
qualificati dal punto di vista del livello di istruzione. L’omogeneità del livello
di istruzione dei mediatori marocchini intervistati colpisce in relazione al
profilo culturale dei connazionali, caratterizzato da ricorrenti situazioni di
basso livello educativo.
La professione di mediatore rappresenta dunque, per un migrante,
un’opportunità lavorativa adeguata ad un titolo di studio elevato, in un
contesto generale come quello italiano in cui le possibilità di accedere a
esperienze lavorative qualificate sono per gli immigrati molto scarse.
“Finalmente con questo lavoro gli italiani riconoscono la mia laurea, finalmente mi
sento esistere” (caso 6, donna, mediatrice in ambito scolastico-educativo, 36 anni).
L’indice di soddisfazione rispetto alla professione svolta è quindi piuttosto
alto e la maggioranza di loro la considera una professione stimolante e
arricchente in termini di competenze acquisite.
“E’ un lavoro che ti fa funzionare la mente” (caso 13, donna, mediatrice in ambito
scolastico-educativo, 35 anni).
“Bisogna essere sempre aggiornati sulle leggi, bisogna studiare continuamente” (caso
1, uomo, mediatore in servizi informativi e di orientamento, 27 anni).
Sebbene l’indice di gradimento della professione sia alto, spesso essa
rappresenta l’unica possibilità di svolgere un’attività qualificante in Italia:
una sorta di valvola di sfogo professionale per immigrati ad alto profilo
culturale, che supplisce, come unica alternativa possibile, ad una totale
assenza di opportunità lavorative qualificate per immigrati.
Percorsi formativi in Marocco e in Italia
La categoria di migranti considerata ha potuto beneficiare in Italia di
formazioni specifiche sulla mediazione culturale a partire dalla seconda metà
degli anni Novanta. Da quel momento, numerosi corsi stimolati dalle
politiche di orientamento del Fondo Sociale Europeo (FSE), si sono diffusi sul
territorio nazionale. L’offerta formativa è molto varia e comprende corsi
annuali o della durata di pochi mesi organizzati dal privato sociale o da enti
pubblici, indirizzati soprattutto a cittadini stranieri.
389
Inoltre, alcuni atenei italiani hanno organizzato recentemente corsi di Laurea
o Master in mediazione culturale, cui accedono principalmente studenti
italiani. L’introduzione nel sistema italiano di corsi di Laurea o Master sulla
mediazione culturale nasconde un forte rischio di marginalizzazione degli
immigrati nell’accesso ai sistemi formativi universitari o post-universitari;
difficilmente, infatti, gli immigrati riescono ad ottenere il riconoscimento dei
titoli di studio conseguiti nel loro paese di origine.
La sovrabbondanza formativa rispetto a tale professione nasconde in realtà
molte carenze e, a detta degli intervistati, sarebbe necessaria una
regolarizzazione dei percorsi formativi.
“Non tutti si possono svegliare la mattina ed essere mediatori, c’è bisogno di
formazione” (caso 14, uomo, mediatore presso servizi informativi e di orientamento, 37
anni).
La disparità nella durata, così come nella tipologia di corsi, è sintomo di
approcci estremamente differenziati alla professione. Tra gli intervistati, i
mediatori con più esperienza hanno accumulato nel tempo diverse
specializzazioni formative che abilitano allo svolgimento della professione
presso più servizi (ospedali, scuole, sportelli legali, tribunali).
L’esplosione di offerta formativa in questo settore è un fenomeno quanto
mai recente, che si accompagna alla definizione ancor più recente di questa
professione. Gli immigrati che sono diventati mediatori culturali all’inizio
degli anni Novanta, quando la professione era del tutto emergente, si sono
affidati principalmente alle proprie competenze linguistiche per interventi di
traduzione ed interpretariato, senza un percorso formativo ben strutturato
alle spalle.
Paradossalmente i primi mediatori, quelli non formati, oggi partecipano ai
corsi in qualità di formatori di mediatori culturali a rilevare l’importanza della
formazione che si acquisisce nella pratica.
Oltre alla problematicità degli aspetti formativi, un ulteriore punto critico di
tale professione – ampiamente dibattuto in ambito accademico – riguarda
l’interrogativo sull’esperienza migratoria come “tappa” costitutiva della
professione di mediatore. I migranti evidenziano, a tal proposito,
l’importanza dell’esperienza migratoria come requisito della professione di
mediatore, poiché essa permette di elaborare soluzioni adeguate alle
situazioni critiche della mediazione e di dare un maggiore senso di fiducia e
affidabilità agli utenti.
390
Un elemento di crescita formativa offerto dalla professione di mediatore
culturale al migrante è rappresentato dalla possibilità di accesso al
complicato mondo delle istituzioni e dei servizi italiani. I mediatori, infatti,
acquisiscono attraverso il lavoro una notevole familiarità nell’interazione con
gli enti pubblici italiani, tanto da poter ritenere che questa sia una risorsa
importante in termini di integrazione nella società d’accoglienza e di crescita
di competenze.
“Più che come ponte tra “mondi” differenti, che hanno bisogno di conoscersi e
comprendersi, la mediazione si configura quale strumento di accesso degli stranieri al
difficile mondo delle istituzioni” (CISP-UNIMED, 2003).
Percorsi lavorativi in Marocco e in Italia
La maggior parte dei mediatori intervistati erano studenti in Marocco, essi
non possiedono dunque esperienze lavorative significative nel paese
d’origine.
Le impressioni raccolte presso gli intervistati sembrano delineare una certa
casualità nella scelta della professione di mediatore; difficilmente i mediatori
avevano presente la possibilità di svolgere tale professione prima di partire
per l’Italia.
Per quanto riguarda, invece, i percorsi lavorativi intrapresi in Italia
emergono due modalità di accesso alla professione.
La prima modalità interessa coloro che hanno avuto diverse esperienze
lavorative prima di diventare mediatori. Rientra in questa categoria la
maggioranza degli intervistati uomini arrivati in Italia nella seconda metà
degli anni Ottanta e che sono stati muratori, venditori ambulanti, camerieri e
operai.
A una seconda tipologia appartengono i più giovani, quelli arrivati in Italia
nella seconda metà degli anni Novanta, che hanno intrapreso questa
professione senza aver svolto anteriormente alcun tipo di lavoro.
Le donne mediatrici presentano la stessa duplice modalità di accesso alla
professione degli uomini; tra le intervistate si è riscontrata una
corrispondenza più chiara tra percorso professionale articolato (cameriera,
babysitting, operaia, assistenza agli anziani) e progetto migratorio
autonomo.
391
Infatti, le donne emigrate autonomamente hanno maggiore urgenza di
lavorare per ottenere sostentamento economico e si adattano a svolgere
lavori nel basso terziario, prima di poter accedere alla professione di
mediatrice culturale.
Le donne arrivate in Italia con un progetto migratorio di ricongiungimento
familiare godono, invece, di una maggiore sicurezza economica perché
possono contare sul marito o sulla famiglia. Alcune di queste donne,
tuttavia, rifiutando lavori dequalificanti, si orientano ad una scelta
professionale più qualificata, quale quella di mediatrice culturale oppure si
prendono cura della casa e dei figli.
Tra gli intervistati si è riscontrata una tendenza a svolgere la professione di
mediatore culturale part-time in concomitanza con quella di operaio
specializzato; il tempo dedicato al servizio di mediazione è limitato in questi
casi a pochi giorni o a poche ore la settimana.
Il mediatore culturale: differenti tipologie di servizio
Le modalità di intervento dei mediatori culturali sono estremamente
differenziate per servizi ed è per questo che si ritiene opportuno elaborare
una tipologia per ambiti di intervento:
1. mediatore in ambito scolastico e educativo: realizza programmi di
educazione interculturale nelle scuole e/o riceve in affidamento alunni
stranieri nelle classi;
2. mediatore presso sportelli informativi e di orientamento: è addetto ai
servizi di prima accoglienza, al disbrigo di pratiche legali, a fornire
informazioni legali e di orientamento al lavoro;
3. mediatore in ambito socio-sanitario: impiegato presso ospedali, ASL,
consultori, è responsabile della mediazione medico-sanitaria;
4. mediatore in ambito penale-giudiziario: è chiamato per seguire casi legali
presso tribunali ed istituti di detenzione.
Ai mediatori è richiesta una notevole “flessibilità” in quanto possono essere
occupati in diversi ambiti: scuola, famiglia, ospedali, carcere, con prestazioni
limitate nel tempo che determinano forte mobilità lavorativa e precarietà.
392
Difficilmente un mediatore arriva ad un livello di specializzazione tale da
essere impiegato presso un solo servizio; al contrario la maggior parte sono
“polivalenti”, ossia lavorano presso diversi servizi.
CAPITALE SOCIALE
Reti familiari in Marocco e in Italia
Un primo elemento di interesse per cercare di comprendere se il canale delle
relazioni familiari costituisca per un migrante un ponte attivo e vivo di
relazioni tra Marocco ed Italia è la modalità di mantenimento delle reti
familiari con il paese di provenienza.
La maggior parte degli intervistati dichiara di mantenere contatti costanti
con i propri familiari in Marocco attraverso l’uso del telefono (con frequenza
settimanale e in alcuni casi anche giornaliera) e visite periodiche nel proprio
paese (di norma almeno una volta l’anno). Tra i mediatori culturali
intervistati non c’è però omogeneità di mantenimento dei legami familiari col
Marocco; una variabile utile a caratterizzare le specificità dei legami familiari
è dunque la tipologia del percorso migratorio.
I mediatori culturali emigrati in Italia con il proprio nucleo familiare (4 casi)
sono coloro che maggiormente manifestano incertezza e senso di lontananza
rispetto al paese d’origine. Le relazioni familiari rispetto al Marocco non
costituiscono, infatti, dei legami forti, poiché riguardano parenti di secondo
grado (zii, nonni, cugini). Tali migranti sono, di fatto, cresciuti in Italia e
hanno costruito la loro identità in forte interrelazione con il paese
d’accoglienza. L’elemento positivo è che il nucleo familiare rappresenta in
questi casi un punto di riferimento in Italia: veicola sostegno e aiuto
reciproco, facilita una rielaborazione collettiva della cultura di provenienza in
relazione ad un contesto nuovo. Tali mediatori si sentono a metà tra due
culture – né marocchini, né italiani – e non sentono l’impellenza di recarsi
con regolarità in Marocco; il paese d’origine sembra essere per questi
mediatori lontano e indefinito. Una situazione simile, di identità a metà o di
“doppia assenza” (Sayad A., 2000) è avvertita anche da parte di mediatori
con una storia migratoria lunga e che si sentono, dopo tanto tempo, più
“italiani” che “marocchini” (7 casi). Il bisogno di recarsi in Marocco in visita
ai parenti tende in questi casi ad affievolirsi nel tempo.
393
Diversa, invece, è la percezione del paese d’origine da parte di chi è arrivato
con progetti migratori autonomi e finalizzati alla possibilità di vivere
un’esperienza di vita stimolante e nuova (5 casi).
In questi casi i migranti lamentano disagio affettivo e sensazione di
solitudine, soprattutto quando non riescono a ricostruire intorno a sé delle
relazioni affettive stabili, capaci di sopperire alla mancanza delle relazioni
familiari.
“Come calore di famiglia ti piacerebbe stare lì per sempre” (caso 6, donna, mediatrice
in ambito scolastico-educativo, 36 anni).
La necessità di mantenere vivi i legami familiari con i propri genitori e/o
fratelli e sorelle costituisce una forte motivazione a tornare spesso in
Marocco in visita ai parenti.
La visita estiva in Marocco è un’occasione per mantenere i legami familiari
con il paese d’origine, anche se spesso la necessità di dovere ostentare la
ricchezza acquisita in Italia costituisce un vero e proprio investimento
economico.
“In famiglia siamo in sette e ogni anno bisogna comprare nuovi regali, oltre che
spendere per loro quando si è lì” (caso 6, donna, mediatrice in ambito scolastico-
educativo, 36 anni)
Non è raro che un migrante, quando ritorna in Marocco dopo tanto tempo in
visita ai parenti, provi sentimenti di spaesamento ed estraniamento rispetto
al proprio paese, come testimoniano le parole che seguono:
“Non è facile tornare, quando vado in Marocco in visita mi sento un’estranea, si perde
la familiarità a fare certe cose, chiedevo sempre tutto a mio fratello, quando stai via
tanto tempo cambiano le cose” (caso 13, donna, mediatrice in ambito scolastico-
educativo, 35 anni).
Alcuni dei mediatori intervistati hanno contratto dei legami familiari con
italiani, attraverso matrimoni misti. In questi casi, i migranti si sentono
sostenuti dall’appoggio familiare italiano che rappresenta anche un punto di
partenza per stabilire nuove reti amicali.
Reti amicali in Marocco ed in Italia
Le relazioni amicali col paese d’origine non sembrano rappresentare per i
mediatori un canale attivo di mantenimento di legami con il Marocco. Quasi
394
tutti i mediatori intervistati riconoscono che l’esperienza migratoria modifica
profondamente le relazioni amicali con il paese d’origine.
Alcuni le perdono totalmente, quando si tratta di relazioni con persone
emigrate a loro volta:
“Quando torno in Marocco è tutto cambiato, sono partiti tutti i miei amici” (caso 9,
uomo, mediatore in ambito penale-giudiziario, 42 anni)
Altri attribuiscono significati diversi alle relazioni amicali; la distanza, infatti,
influisce notevolmente sulle amicizie e ne modifica l’intensità di relazione:
“Le mie amiche si sono sposate, vivono più lontane, diventa un contatto diverso, parli
della nostalgia del Marocco, perdi l’intimità di prima, la relazione diventa più formale e
distaccata” (caso 6, donna, mediatrice in ambito scolastico-educativo, 36 anni).
Le relazioni amicali che i mediatori instaurano nel paese d’accoglienza
risentono molto del tipo di professione svolta. Il mediatore culturale svolge,
infatti, un’attività ad alto indice di relazionalità e l’ambiente di lavoro
rappresenta uno spazio di costruzione di capitale sociale differenziato per
status e per origine.
Tale professione facilita l’ampliamento della rete sociale sia rispetto alla
società d’accoglienza che alla comunità di provenienza: un mediatore
culturale opera, infatti, con utenze di ogni nazionalità, oltre che con colleghi
italiani impiegati presso lo stesso servizio.
La reputazione sociale di un mediatore aumenta spesso sia nei confronti dei
connazionali che degli italiani: gli intervistati manifestano grande
soddisfazione quando diventano un punto di riferimento per i propri utenti,
un soggetto carismatico in grado di dare consigli e seguire casi difficili. I
mediatori consapevoli di essere d’aiuto agli immigrati nel complicato
processo di integrazione, valorizzano l’atteggiamento solidaristico insito nello
svolgimento della propria professione.
“Più che sentirmi un ponte tra culture, mi fa piacere aiutare gli altri” (caso 1, uomo,
mediatore presso servizi informativi e di orientamento, 40 anni).
Le conoscenze e le relazioni miste che si instaurano nell’ambito lavorativo
implicano spesso, per un mediatore culturale marocchino, la creazione di
rapporti di fiducia in ambiti che generalmente sono preclusi agli stranieri in
Italia.
395
L’aumento in intensità e in qualità dei rapporti con gli italiani è generalmente
auspicato dai mediatori intervistati, che sentono finalmente di essere
riconosciuti e valorizzati dalla società d’accoglienza.
Le donne mediatrici, in particolare, manifestano un forte slancio nei confronti
della società ospitante e valorizzano molto le relazioni con gli italiani
scaturite dal contesto lavorativo.
“Con gli utenti c’è un rapporto di lavoro che finisce quando finisce il lavoro, mentre con
gli italiani rimane perché rimane il rapporto lavorativo nel tempo ed è bello vedere che
quando ti conoscono come lavori, si fidano, ti rispettano, ti chiamano ancora a lavorare”
(caso 4, donna, mediatrice polivalente, 40 anni).
L’ampliamento della rete sociale che scaturisce dallo svolgimento della
professione, non è indice necessariamente di un ampliamento della rete
amicale.
Le relazioni con gli italiani che si instaurano sul luogo di lavoro, difficilmente
diventano delle amicizie profonde su cui poter fare affidamento, in genere si
caratterizzano come amicizie controllate e piuttosto formali.
“Gli italiani non si mischiano con te quando hai dei problemi” (caso 10, uomo,
mediatore presso servizi informativi e di orientamento, 42 anni).
“Bisogna scavalcare maggiori resistenze, organizzare sempre gli incontri” (caso 1,
uomo, mediatore presso servizi informativi e di orientamento, 27 anni).
Nei confronti dei connazionali, invece, i mediatori intervistati sottolineano
l’importanza di costruire amicizie e relazioni con persone dello stesso profilo
socio-culturale, dimostrando reticenza rispetto all’ampliamento della rete
amicale con utenti connazionali di basso profilo culturale.
Associazionismo ed esperienze di partecipazione alla vita sociale e/o
pubblica
La maggior parte dei mediatori intervistati ha sviluppato nel corso della
propria esperienza migratoria una buona propensione rispetto al
coinvolgimento in esperienze associative di vario genere ed alla
partecipazione ad attività sociali e/o pubbliche del paese d’accoglienza.
L’interesse per queste attività è molto alto, soprattutto se paragonato a
quello dei lavoratori autonomi.
396
Tra le attività praticate dai mediatori si incontrano frequentemente:
l’insegnamento della lingua araba ai bambini immigrati di seconda
generazione47, il coinvolgimento nelle attività di sostegno agli immigrati, la
partecipazione ad associazioni di migranti, miste o di soli marocchini e ad
attività sindacali e culturali. Alcuni mediatori intervistati hanno partecipato
ad esperienze associative in Marocco legate a gruppi studenteschi
universitari o ad associazioni caritatevoli e di sostegno per i più disagiati
della società; è difficile però affermare che l’interesse dimostrato in questo
campo provenga dal paese d’origine. In Marocco, infatti, l’associazionismo
presenta caratteristiche molto diverse da quello italiano: è un fenomeno
recente, che si inserisce in una società civile ancora molto debole, dove le
esperienze significative riguardano quasi esclusivamente la sola sfera
dell’assistenza ai poveri.
Sembra piuttosto che siano la vicinanza con il settore dei servizi sociali in
Italia, il dover ogni giorno affrontare le problematiche legali, lavorative,
sanitarie, educative degli immigrati in Italia, a fare acquisire al mediatore
una consapevolezza e una coscienza politica e sociale forte, molto più di
quanto non accada, ad esempio, per i lavoratori autonomi.
Inoltre, se la professione di mediatore facilita una consapevolezza
nell’ambito del sociale, non di rado questa professione diventa un punto di
partenza per sviluppare una progettualità propria di intervento nel sociale.
Dal momento che i mediatori non avvertono da parte delle istituzioni e dei
servizi presso cui lavorano una volontà di valorizzare le loro idee e la loro
progettualità, essi cercano altre vie per utilizzare le competenze professionali
acquisite.
In questo senso la professione di mediatore non corrisponde ad un punto di
arrivo, ma ad un punto di partenza verso progettualità innovative che
valorizzino il protagonismo degli immigrati nell’ambito dei servizi sociali.
“Essere mediatore significa subire progetti di altri; far parte di un’associazione ed
elaborare progetti collettivamente significa invece avere libertà di portare avanti una
progettualità nostra di intervento nel sociale” (caso 3, donna, mediatrice polivalente, 25
anni).
47 I mediatori coinvolti in tale attività, svolta spesso in forma di volontariato, la considerano importante per la crescita e l’educazione dei giovani della comunità, perchè permette il mantenimento della cultura di provenienza tra le seconde generazioni di immigrati marocchini.
397
In generale, i mediatori intervistati pongono spesso l’accento sulla diffusa
tendenza delle istituzioni a deresponsabilizzarsi. Queste ultime, infatti,
tendono naturalmente a disincentivare i mediatori, all’interno di un quadro
istituzionale mal definito e poco chiaro nella gestione dei rapporti con gli
utenti stranieri, privando in gran parte l’esercizio della professione di uno
spazio critico e di riflessione (CISP-UNIMED, 2003). In questo modo le
possibilità per un mediatore immigrato di diventare un agente di
cambiamento rispetto alle politiche di integrazione degli stranieri in Italia
sono fortemente ridimensionate. La capacità di costruire reti e di elaborare
una progettualità creativa sembrano essere caratteristiche forti di alcuni
mediatori che riescono attraverso l’acquisizione di competenze professionali
ad avviare progetti individuali di intervento nel sociale. Degli esempi di
progettualità autonoma da parte dei mediatori nell’ambito del sociale sono
riportati di seguito nei case studies.
CAPITALE FINANZIARIO
Le condizioni di salario medio percepito dai mediatori intervistati e le
possibilità di utilizzo del risparmio configurano una situazione economica
piuttosto instabile. I mediatori culturali rappresentano una categoria di
lavoratori flessibili, contrattati da enti pubblici o del privato sociale per
collaborazioni a progetto della durata di circa un anno, con scarse possibilità
di mantenere una continuità lavorativa. Per un contratto a progetto della
durata di un anno circa, un mediatore culturale percepisce in media 800
euro netti mensili; esistono, inoltre, modalità di intervento occasionale in cui
i mediatori sono chiamati come consulenti esterni e vengono pagati ad ore,
con una retribuzione media oraria che oscilla tra i 10 e i 33 euro lordi (CISP-
UNIMED, 2003). L’insicurezza nelle retribuzioni spinge i mediatori a svolgere
contemporaneamente più servizi; questo è il motivo per cui molti di loro
possono essere definiti mediatori polivalenti. Le capacità di risparmio dei
mediatori culturali sono piuttosto limitate e difficilmente prevedono forme di
investimento in Marocco. Tendenzialmente i risparmi sono utilizzati per
l’acquisto di beni strumentali e di consumo, contemplando in alcuni casi il
desiderio di acquistare una casa in Italia piuttosto che in Marocco. Infine, va
segnalato che i mediatori intervistati raramente inviano rimesse alle loro
famiglie in Marocco.
398
CASE STUDIES
Tra i 16 casi del campione, le storie di vita di 3 mediatori culturali
permettono di mettere in evidenza le potenzialità dei mediatori per diventare
un agente di sviluppo per il paese di origine. I primi due casi costituiscono
modalità di intervento nel sociale in Marocco a partire dall’esperienza
professionale acquisita in Italia, mentre l’ultimo caso presenta
un’interessante commistione di intervento nel sociale e di facilitazione di
contatti commerciali tra Marocco e Italia.
Box 4.2 - A.B. e l’esperienza nella cooperativa sociale
A. è un ragazzo di Khouribga, laureato in Marocco in Economia e Commercio; nel
1997 è emigrato in Italia con la motivazione di proseguire gli studi e si è iscritto
all’Università per ottenere il riconoscimento del titolo universitario marocchino.
A. lavora come mediatore culturale presso lo sportello stranieri del Comune in cui
vive, inoltre, con alcuni italiani, nel settembre 2003, ha fondato una cooperativa
sociale che ha l’obiettivo di offrire servizi di consulenza e di mediazione culturale.
A. ha coinvolto degli amici di Casablanca, esperti in informatica, nella preparazione
del sito web della cooperativa, dimostrando di avere una buona capacità di network
sia in Italia che in Marocco.
In futuro A. pensa di coinvolgere nelle attività della cooperativa sociale da lui
fondata, associazioni ed organizzazioni della società civile marocchina per
promuovere progetti di intervento sociale in Marocco. Altre attività possibili
nell’ambito della cooperativa sociale potrebbero essere scambi commerciali no-
profit da avviare con prodotti artigianali marocchini.
A. rappresenta un caso interessante di agente di sviluppo “embrionale”, in
particolare sotto tre aspetti:
1. Il percorso migratorio di A. ne ha aumentato le risorse in termini di crescita
personale e professionale (capitale sociale e capitale umano).
2. Attraverso la crescita professionale e l’ulteriore esperienza acquisita con la
partecipazione alla vita sociale e/o pubblica del proprio Comune di residenza, A.
ha maturato nel tempo il desiderio di realizzare interventi di carattere sociale nel
suo paese di origine, avviando forme di interscambio tra territori utilizzando le
nuove reti di rapporti acquisite in Italia e le reti amicali che ha mantenuto con il
Marocco.
3. La capacità dimostrata da A. nel creare, mantenere e mettere in comunicazione
una rete di rapporti – in Italia ed in Marocco – rappresenta un esempio tangibile
di come la messa in rete tra due territori locali può creare spinte progettuali di
co-sviluppo.
399
Box 4.3 - A. M. e il progetto con i minori in Marocco
A. è un operatore sociale arrivato in Italia nel 1985 con motivazioni migratorie
legate allo studio; si è iscritto all’università, senza riuscire a terminare gli studi
universitari in seguito al subentrare di nuove priorità. Nell’arco di una storia
migratoria lunga e complessa, A. ha rielaborato molto il suo percorso migratorio,
accumulando un bagaglio notevole in termini di capitale sociale e umano, grazie
anche ad un’intensa attività politica di rivendicazione dei diritti degli immigrati e nel
campo dell’associazionismo.
Attualmente lavora ad un progetto di educativa di strada per minori stranieri non
accompagnati, prevalentemente marocchini, presso una cooperativa sociale.
L'obiettivo del progetto è di offrire a ragazzi che vivono in condizioni di clandestinità
e di forte marginalità esperienze che valorizzino il loro essere adolescenti in
crescita. La professionalità acquisita in questo ambito ha fatto sì che la struttura
presso cui lavora elaborasse un progetto rivolto ad un intervento sociale nelle realtà
di origine dei ragazzi incontrati, provenienti in larga parte da Ouled Youssef, città
marocchina della provincia rurale di Béni Mellal.
L’intervento in Marocco è rivolto ad un target di adolescenti potenziali migranti e si
propone l’obiettivo di orientarne l’eventuale progetto migratorio, nel tentativo di
rafforzare ed accompagnare l’esperienza migratoria in Italia attraverso la creazione
in Marocco di una rete locale di associazioni e istituzioni che si occupano di minori.
Tale progettualità è innovativa dal momento che sottintende un approccio circolare
al fenomeno migratorio, concependolo come un processo che ha radici nel paese
d’origine dei migranti. Tale progetto si pone come una possibile “best practice” di
scambio-ponte tra Marocco e Italia, basata essenzialmente sulla messa in rete di
capitale sociale nelle esperienze di intervento sui minori di strada in Marocco ed in
Italia.
Gli elementi di interesse che presenta A. rispetto alla delineazione di un possibile
agente di sviluppo sono i seguenti:
1. Una lunga storia migratoria gli ha permesso di accumulare nel tempo molte
risorse in termini di dotazione di capitale umano e sociale, anche a rischio di un
eventuale e probabile allentamento dei contatti con il Marocco.
2. Il fatto che A. sia marocchino è un valore aggiunto per il suo lavoro dal momento
che gli permette da un lato, di svolgere in modo efficace e qualitativo una
professione rivolta ai propri connazionali, dall’altro di partecipare in modo
propositivo e attivo nella struttura presso cui lavora. A. infatti contribuisce in
prima persona alla comprensione del fenomeno migratorio dal Marocco e facilita
l’elaborazione di una progettualità innovativa riguardo all’immigrazione
marocchina, adoperandosi in prima persona alla creazione di contatti con realtà
associative locali in Marocco.
400
Box 4.4 - F. R. mediatore e procacciatore d’affari
F. è una persona ricca di esperienze, molto competente, di buon livello culturale,
venuto in Italia nel 1990 per sfuggire a una situazione socio-economica poco
favorevole. A Catania ha lavorato per nove anni nel sociale e nella cooperazione
internazionale, svolgendo servizio presso la Caritas e, successivamente, presso due
Organizzazioni Non Governative siciliane in qualità di esperto di immigrazione; negli
anni, inoltre, ha accumulato una notevole esperienza in attività politiche e di
associazionismo per stranieri.
Deluso dall’esperienza di lavoro nel privato sociale per aver riscontrato una scarsa
valorizzazione delle competenze degli immigrati, ha deciso, dopo aver intrapreso
lavori in altri ambiti, di avviare autonomamente una propria attività nel campo dei
servizi sociali con un’ottica innovativa e svincolandosi dalle strutture esistenti.
Il suo progetto è di aprire una società di mediazione culturale in senso allargato,
dove siano avviati, oltre a un centro di servizi di mediazione per stranieri
(traduzioni, pratiche legali, accompagnamento ai servizi), servizi di consulenza per
l’avviamento e il rafforzamento di attività di import-export tra l’Italia e il Marocco.
Nel progetto di F., dunque, le attività di mediazione culturale vengono pensate in
modo estremamente diversificato, appropriandosi di campi “atipici” come quello del
commercio, dove la figura del mediatore si contamina con quella del procacciatore
d’affari. Riguardo a quest’ultimo aspetto, infatti, l’obiettivo di F. è di facilitare
scambi e operazioni commerciali tra piccoli e medi imprenditori italiani e
marocchini, mettendo al loro servizio competenze specifiche di creazione di rete e
conoscenza dei territori.
L’idea di F. è maturata attraverso contatti amicali e professionali che è riuscito ad
instaurare e mantenere nel tempo sia in Italia che in Marocco, con titolari di ditte di
import-export interessati a sviluppare rapporti commerciali tra Marocco e Italia.
F. presenta delle caratteristiche interessanti rispetto alle modalità di essere un
agente di sviluppo per il paese d’origine per i seguenti motivi:
1. L’esperienza di lavoro con strutture italiane che lavorano con immigrati gli ha
permesso di acquisire un notevole bagaglio in termini di capitale sociale e
umano.
2. L’innovatività della propria attività deriva in primo luogo da una lunga esperienza
lavorativa nel settore dei servizi sociali per gli immigrati, che sebbene deludente,
gli ha permesso di riscontrare la staticità dei servizi offerti agli immigrati in Italia
e lo scarso protagonismo concesso agli immigrati. È a partire da tale esperienza
che F. ha maturato il desiderio di svincolarsi dalle strutture esistenti e di creare
una propria attività in questo campo.
3. La realizzazione del suo progetto necessita di frequenti spostamenti tra Marocco
e Italia utili a rafforzare il contatto col Marocco sulla base delle reti di rapporti
costituite in Italia. In questo modo F. riesce a cogliere le trasformazioni dei due
territori e agisce da vero e proprio ponte culturale che attraverso presenze
ravvicinate nei due paesi mette in relazione i due territori e orienta
continuamente il proprio lavoro.
401
INDICAZIONI DI POLICY
Le indicazioni di policy sono delineate a partire dall’analisi delle dotazioni di
capitale umano, sociale e finanziario dei mediatori intervistati, oltre che da
considerazioni emerse dai case studies.
L’analisi delle dotazioni di capitale umano ha rilevato che i mediatori culturali
marocchini presentano un profilo culturale elevato, caratterizzato da un
livello di istruzione superiore alla media dei loro connazionali in Italia e da un
buon livello di competenze professionali acquisite.
L’apporto maggiore che un mediatore può dare da un punto di vista delle
dotazioni di capitale umano come possibile agente di sviluppo, è relativo alle
conoscenze acquisite, soprattutto in ambito legislativo, sia rispetto al paese
d’accoglienza che a quello di provenienza. La dimestichezza nell’interazione
con le istituzioni e i servizi italiani rappresenta, infatti, una risorsa utile e
spendibile in progetti di co-sviluppo. Sulla base delle tipologie di mediatori
descritte nel paragrafo 4.5.2.5., risultano maggiormente indicati ad essere
agenti di sviluppo quei mediatori impiegati presso i servizi di informazione e
orientamento al lavoro, dal momento che presentano una conoscenza
approfondita e trasversale rispetto a questioni legate al mercato del lavoro e
alle legislazioni esistenti in merito, compresa la capacità di adempiere
tecnicamente a pratiche di tipo amministrativo e burocratico. Un’ulteriore
conoscenza che i mediatori possono trasferire nel paese d’origine è quella
dei meccanismi di finanziamento delle attività dei servizi pubblici e del
privato sociale apprese in Italia.
L’analisi delle dotazioni di capitale sociale dei mediatori culturali ha
evidenzato la loro spiccata propensione a partecipare ad attività associative
e ad altre forme di vita sociale e/o pubblica in Italia, in misura senz’altro
maggiore rispetto alla media dei connazionali.
Dal momento che i processi di innovazione e di sviluppo delle comunità
d’origine riguardano necessariamente ambiti collettivi e coinvolgono più
soggetti, la notevole predisposizione dimostrata dai mediatori nel partecipare
ad attività e progetti di interesse collettivo volti alla trasformazione sociale, è
una risorsa importante per l’attivazione di progetti di co-sviluppo.
Rispetto alle relazioni sociali, l’analisi ha evidenziato che il luogo di lavoro
rappresenta per i mediatori culturali uno spazio di costruzione di capitale
sociale differenziato e un ambiente in cui instaurare relazioni allargate.
402
Inoltre, il mediatore culturale diventa spesso un punto di riferimento per i
propri connazionali, una figura catalizzatrice in grado di dare consigli e
orientare gli immigrati. La capacità di instaurare rapporti di fiducia con gli
utenti porta il mediatore culturale ad essere un soggetto carismatico per i
propri connazionali, favorendo la possibilità di essere riconosciuto come
rappresentativo della comunità. Ne deriva una capacità di leadership che
potrebbe permettere al mediatore marocchino di incidere positivamente sulla
comunità di appartenenza caratterizzata da una scarsa coesione sociale.
Infine, i mediatori avvertono la propria professione come un modo per
essere d’aiuto agli immigrati. L’atteggiamento solidaristico insito nella
professione è, senza dubbio, una caratteristica rilevante per un agente di
sviluppo.
Le dotazioni di capitale sociale sono, dunque, le più appropriate a delineare
le caratteristiche rilevanti della professione in relazione alla possibilità che un
mediatore culturale marocchino diventi agente di sviluppo. Gli aspetti
costitutivi della professione, come anteriormente illustrato, sono infatti
pertinenti all’ambito del capitale sociale.
Nella sfera relazionale e comunicativa è compresa la capacità di costruzione
di reti sociali in un’ottica di cooperazione tra più soggetti e la capacità di
essere leader e punto di riferimento per gli altri; appartiene alla sfera
creativa la capacità di essere agente di cambiamento in processi di
cooperazione.
Dal punto di vista del capitale finanziario, l’analisi ha evidenziato che i
mediatori hanno delle disponibilità economiche molto oscillanti, legate a
contratti di lavoro instabili e non continuativi; non rappresentano inoltre una
categoria di migranti particolarmente propensa all’invio di rimesse. Le
condizioni salariali esistenti non inducono a ritenere che le dotazioni di
capitale finanziario a disposizione dei mediatori culturali marocchini possano
essere utilizzate per l’avvio di progetti ponte tra Italia e Marocco.
L’analisi delle dotazioni di capitale umano, sociale e finanziario ha permesso
di delineare delle potenzialità insite nella figura del mediatore culturale
rispetto alla possibilità di essere un agente di sviluppo per le proprie
comunità d’origine. Tuttavia occorre notare che tali potenzialità sono spesso
disperse e inutilizzate per la scarsa capacità di coinvolgimento e di
valorizzazione di tale professione dimostrata dalla società d’accoglienza.
403
L’assenza di stimoli da parte delle istituzioni e della società civile italiana,
infatti, determina tra i mediatori un atteggiamento passivo nello svolgimento
del proprio lavoro. I mediatori che per esperienza e capacità superano il
ruolo di semplice “mediatore esecutore”, attraverso la creazione di spazi
individuali o collettivi (come ad esempio associazioni o ditte individuali), nei
quali poter pensare progetti autonomi di intervento nel sociale,
intraprendono esperienze che corrono il rischio di essere legate alle
motivazioni, alla tenacia e alla volontà di un singolo individuo.
Il contesto in Italia sembra essere ancora prematuro rispetto alla possibilità
che il mediatore possa divenire un agente di cambiamento e innovazione
della società d’accoglienza, un soggetto in grado di stimolare la crescita e
l’apertura a nuove modalità di comprensione della realtà grazie ad
un’interazione proficua con i servizi e le istituzioni italiane nell’ambito della
propria professione.
Se la situazione è prematura rispetto a un effettivo protagonismo degli
immigrati nella società d’accoglienza, è ancora più difficile pensare che esista
un contesto favorevole alla realizzazione di progetti di co-sviluppo in cui i
mediatori culturali possano ricoprire un ruolo propulsivo ed innovativo.
Nonostante tra i mediatori intervistati emerga, infatti, il desiderio di essere
protagonisti nel cambiamento e nei processi di sviluppo del paese d’origine,
l’indagine realizzata rileva che i progetti di co-sviluppo pensati dai mediatori
marocchini nascono su spinta individuale o in seguito al confronto con
esperienze simili realizzate in altri paesi europei. Sarebbe invece auspicabile
che tali progetti nascessero dall’interazione dei mediatori con le istituzioni e
la società civile italiana e venissero realizzati in modo congiunto tra le due
parti.
Affinché un mediatore culturale possa essere agente di sviluppo per il
proprio paese d’origine è necessario dunque che le istituzioni e la società
civile italiana facilitino i processi di integrazione circolare degli immigrati,
rendendoli protagonisti della società d’accoglienza. Il protagonismo dei
mediatori nell’ambito dei servizi presso cui lavorano faciliterebbe la
comprensione e l’interazione della società italiana nel suo complesso con le
realtà di provenienza degli immigrati, rendendo praticabile la realizzazione di
progetti di co-sviluppo tra paese d’accoglienza e paese di provenienza degli
immigrati.
404
Sebbene tali condizioni possano essere raggiunte solo in seguito a processi
molto lenti di trasformazione della società d’accoglienza, esistono modalità
praticabili fin da subito per valorizzare la figura del mediatore come agente
di sviluppo per le proprie comunità d’origine: una di queste è quella del
mediatore in ambito aziendale. La figura del mediatore agirebbe in questo
caso come anello di congiunzione, di facilitazione di contatti e di conoscenze
tra piccoli e medi imprenditori in Italia e in Marocco, interessati ad avviare o
rafforzare scambi commerciali tra i due paesi. Se questa modalità venisse
presa in considerazione dalla società d’accoglienza, senza lasciare che si
realizzi solo su iniziativa personale dei mediatori, bisognerebbe pensare a
percorsi formativi che offrano ai mediatori competenze conoscitive sul
commercio internazionale e sulle legislazioni vigenti, dal momento che è un
aspetto del tutto assente nei processi formativi. Oltre alla formazione
specifica in ambito commerciale, sarebbe auspicabile che i mediatori
venissero accompagnati dalle Camere di commercio e dalle associazioni di
categoria nella promozione e nella realizzazione di progetti di valorizzazione
e interscambio di piccole e medie imprese in Italia ed in Marocco. Le
associazioni di categoria e le Camere di commercio potrebbero avere, infatti,
un ruolo importante nel raccogliere le esigenze delle piccole e medie
imprese. In conclusione, il mediatore culturale potrebbe diventare un agente
di sviluppo per il proprio paese d’origine nella misura in cui verrà
accompagnato dalla società italiana a vivere il proprio percorso migratorio
come un processo circolare che facilita scambi di conoscenze, idee e
competenze tra più paesi in un’ottica di sviluppo integrata tra territori
diversi.
Allegato - Enti contattati nella fase di individuazione del campione
Nel periodo gennaio-marzo 2004 sono stati contattati i seguenti enti:
Pubblici: Punto Informa (Provincia di Brescia); Formaper, Agenzia della Camera di
Commercio (Milano); Servizio di mediazione culturale dell’unità operativa
interculturalità dell’azienda ASL della provincia di Bergamo, referente Pierluigi
Maffioletti.
Privati: Associazione Les Cultures, Lecco, referente Gabriella Frisu; Associazione di
Mediazione Interculturale Maisha, Bergamo, referente Federica Ciciriello; Associazione
405
Ale G. onlus, Lomagna (Lecco), referente Carmela Zambelli; Cooperativa Mediatori
Culturali, Sondrio, referente Pizzini Aissa Giovanna; Cooperativa Mediatori Culturali
Dunia, Cremona, referente Raymond; Cooperativa Sociale Migrantes, Bergamo,
referente Traina Giuseppe; Cooperativa Sociale Comunità Nuova, Milano, referente
Massimo Conte; Cooperativa Sociale Cantara, Milano, referente Marta Castiglioni;
Cooperativa Sociale Il Ponte, Cremona, referente Cristina Battistel; Centro
Interculturale delle donne, Cologno Monzese, referente Costanza Bargellini.
Bibliografia
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Milano.
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dell’immigrato, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Six J.F., (1990), Le temps des médiateurs, Editions du Seuil, Paris.
406
4.1.6. Le donne marocchine in Lombardia
Viviana Sacco, Sofia Borri
INTRODUZIONE
L’obiettivo della seguente indagine è di affrontare la problematica di genere
nell’ambito dell’immigrazione marocchina in Lombardia, cercando di
metterne in risalto le potenzialità e le criticità, al fine di delineare le modalità
attraverso le quali una donna marocchina immigrata in Lombardia possa
divenire un agente di sviluppo per la propria comunità d’origine.
L’ipotesi guida della presente ricerca è che le donne marocchine in Italia
possiedano diverse dotazioni di capitale che possono essere utilizzate come
fattore di innesco di processi di innovazione e di sviluppo nelle proprie
comunità di origine. Attraverso la mobilitazione di risorse di diverso tipo
(capitale umano, sociale, finanziario) una donna marocchina può avere un
ruolo di agente di sviluppo per il paese di origine e per il paese di arrivo
orientando tali risorse alla creazione di partnership per lo sviluppo.
Il presente studio si articola in tre capitoli di analisi che riguardano
rispettivamente le dotazioni di capitale umano, sociale e finanziario delle
donne marocchine immigrate in Lombardia. In conclusione, sono presentati
alcuni case studies seguiti da una parte di indicazioni di policy riguardanti
possibili prospettive di valorizzazione delle risorse della migrazione
femminile marocchina.
Donne marocchine immigrate come agenti di sviluppo
L’identità di genere non si acquisisce naturalmente alla nascita, ma è il
risultato di una costruzione sociale che avviene nell’ambito di una
dimensione collettiva condivisa e localizzata nei diversi contesti specifici di
provenienza.
Numerosi sono i fattori che influiscono sull’identità di genere delle donne
marocchine immigrate: il livello di istruzione, lo status socio-economico della
famiglia di appartenenza, lo stato civile, l’adesione ai precetti dell’Islam, la
provenienza rurale o urbana, l’appartenenza etnica (araba, berbera, ebrea,
saharawi).
407
È indubbio che tali diversità, presenti già a partire dal paese di origine, diano
luogo, nel paese d’accoglienza, a notevoli asimmetrie nei processi di
integrazione e adattamento ad una nuova cultura.
Sulla base di tali considerazioni si constata una difficoltà oggettiva nel far
emergere un quadro omogeneo dell’immigrazione marocchina femminile in
Lombardia. Nello studio dell’immigrazione marocchina femminile, infatti, si
dovrebbe simultaneamente tener conto dei contesti locali e relazionali di
provenienza e di quelli di arrivo delle donne immigrate, che nell’insieme
costituiscono un caleidoscopio variegato di possibilità diverse.
Nel presente studio si è cercato di mettere in luce la complessità e la
ricchezza dei percorsi personali di integrazione delle donne marocchine
intervistate, con l’obiettivo di individuare delle possibili interlocutrici per
l’intervento pilota di co-sviluppo cui la presente ricerca è collegata. La
differenza di genere è stata considerata, infatti, un valore aggiunto nella
selezione delle persone da coinvolgere nel progetto.
Gli intensi processi di cambiamento e trasformazione cui è sottoposta la
donna marocchina durante l’esperienza migratoria costituiscono la
motivazione alla base della scelta di considerare le donne marocchine come
categoria rilevante in un progetto di co-sviluppo. Nella maggior parte dei
casi, infatti, tali processi generano nella donna uno sforzo continuo di
attivazione di nuove reti sociali e di rielaborazione di saperi e conoscenze sia
rispetto al paese d’origine sia rispetto a quello di arrivo.
Inoltre, la donna marocchina è spesso un collante sociale: svolge infatti
un’importante funzione regolatrice nel processo di integrazione delle
comunità immigrate (Favaro G. e Tognetti Bordogna M., 1991), facilita i
processi di integrazione dei propri connazionali nella società d’accoglienza e,
contemporaneamente, rinsalda l’identità culturale e la coesione del gruppo di
provenienza (Lodigiani R., 1994). In questo senso, la donna immigrata può
essere considerata un agente di cambiamento.
La chiave di lettura che è stata adottata in questo studio al fine di indagare
la potenzialità della donna marocchina immigrata come agente di sviluppo,
le riconosce la duplice capacità di essere contemporaneamente un “agente di
cambiamento” e una “guardiana della tradizione” rispetto alla propria
comunità (Favaro G. e Tognetti Bordogna M., 1990).
408
La ricerca di campo: definizione del campione e identificazione dei
soggetti
Da un punto di vista operativo, il lavoro di ricerca è stato organizzato in
quattro fasi distinte:
- Analisi preliminare: reperimento della letteratura esistente
sull’immigrazione marocchina femminile ed elaborazione di una
bibliografia di riferimento. L’analisi bibliografica ha permesso di
formulare adeguate ipotesi di ricerca e di orientare la fase successiva.
- Strutturazione del campione e definizione della metodologia di analisi: in
questa fase sono state definite le caratteristiche del campione di
riferimento per orientare il lavoro di terreno. Per le inchieste di terreno è
stato utilizzato un questionario elaborato sulla base delle indicazioni
emerse dall’analisi preliminare.
- Realizzazione delle interviste: in questa fase si è provveduto a
identificare i soggetti da intervistare e, successivamente, a realizzare le
interviste sulla base del questionario. La realizzazione delle interviste è
servita anche per la selezione di un gruppo di beneficiarie per i corsi di
orientamento e i corsi di formazione previsti dal progetto pilota in cui la
ricerca è inserita48.
- Analisi delle interviste: in quest’ultima fase si è provveduto a realizzare
l’analisi del materiale raccolto, a partire dalla suddivisione delle
interviste in capitale umano, sociale e finanziario. Il confronto interno
all’équipe di lavoro di punto.sud, ha permesso di condividere e
approfondire le conclusioni del rapporto.
48Per la selezione delle donne beneficiarie degli incontri di orientamento preliminari al corso di formazione del CNA sono stati utilizzati i seguenti criteri:
- Capacità di costruzione e mantenimento di reti familiari, sociali, istituzionali e commerciali in Marocco ed Italia.
- Motivazione rispetto al progetto. - Innovazione e propositività progettuale.
In base a tali criteri, sono state selezionate un numero complessivo di 3 donne per i corsi di orientamento e per il corso di avviamento all’impresa tenuto dal CNA di Torino nel maggio 2004. Le potenziali beneficiarie del progetto erano almeno 6, ma impedimenti di tipo familiare hanno condizionato la loro partecipazione ai corsi.
409
La ricerca di campo è avvenuta nel periodo compreso tra gennaio e marzo
2004 ed è stata realizzata su tutto il territorio regionale lombardo. Il
campione è stato definito attraverso i seguenti criteri:
- Almeno 2 anni di presenza regolare in Italia.
- Livello socio-culturale medio alto.
- Progetto migratorio autonomo e, nel caso di ricongiungimento familiare,
atteggiamento di interazione significativo col paese d’accoglienza.
Le donne selezionate in base a tali criteri, sono state intervistate sulla base
di un questionario strutturato in tre sezioni: 1) percorso migratorio; 2)
mappatura delle dotazioni di capitale umano, sociale e finanziario; 3)
questioni di genere. Ogni intervista è stata realizzata attraverso un colloquio
individuale di media-lunga durata (2-3 ore), che si è svolto generalmente nel
contesto lavorativo o abitativo della persona intervistata, ma a volte anche
in contesti più neutri come ad esempio bar o stazioni ferroviarie.
L’identificazione dei soggetti da intervistare è avvenuta attraverso la banca
dati della Camera del Commercio per le donne titolari di un’attività
autonoma, mentre, un ulteriore canale di contatti è emerso dalla mappatura
delle Associazioni marocchine in Lombardia. Il campione intervistato
presenta una distribuzione territoriale regionale piuttosto diversificata: si
riscontra una prevalenza di casi negli ambiti provinciali di Milano e Brescia.
In totale sono state realizzate 25 interviste; per quanto riguarda la
descrizione del campione si rimanda alla tabella che segue. In aggiunta alle
25 interviste realizzate al campione selezionato, sono stati realizzati dei
colloqui di approfondimento e orientamento sulle problematiche rilevanti
dell’immigrazione femminile marocchina con docenti universitari, operatori
sociali, ricercatori e immigrati marocchini in qualità di osservatori privilegiati.
Tabella 4.16 – Descrizione casi del campione
N. Età Stato civile Anno di arrivo in
Italia
Città di provenienza
Provincia di
residenza Professione
Titolo di studio
1 28 Coniugata 1990 Casablanca Pavia Disoccupata Laurea in Lingue
2 28 Separata 1997 Fès Lecco Disoccupata Formazione universitaria
49
49 Chi ha frequentato parte del percorso universitario ma senza conseguimento della laurea
410
Tabella 4.16 (segue) – Descrizione casi del campione
N. Età Stato civile Anno di arrivo in
Italia
Città di provenienza
Provincia di
residenza Professione
Titolo di studio
3 34 Nubile 1996 Settat Milano Disoccupata Laurea in Sociologia
4 31 Coniugata 1986 Casablanca Brescia Operaia Istruzione primaria
5 40 Separata 1990 El Jadida Milano Imprenditrice Laurea in economia
6 40 Coniugata 1973 Khouribga Brescia Titolare di un
Bazar Formazione universitaria
7 58 Separata 1990 Rabat Milano
Gestione di una Tintoria
Commercio Ambulante
Istruzione primaria
8 30 Coniugata 1990 Rabat Brescia Titolare di un
Bazar Istruzione primaria
9 33 Coniugata 1993 Nador Cremona Titolare di un
Bazar Istruzione secondaria
10 40 Coniugata 1994 Marrakech Brescia Titolare di un
Bazar Istruzione secondaria
11 36 Coniugata 1993 Salé Milano Educatrice Laurea in Lettere
12 33 Coniugata 2002 Béni Mellal Milano Cameriera Istruzione secondaria
13 31 Nubile 2000 Béni Mellal Milano Hammam Istruzione secondaria
14 28 Coniugata 2000 Rabat Milano Accompagnatrice
bambini Istruzione secondaria
15 31 Coniugata 2001 Marrakech Milano Traduttrice Istruzione secondaria
16 32 Coniugata 1990 Tan Tan Mantova Casalinga Istruzione secondaria
17 21 Coniugata 1995 El-Kelaa Mantova Mediatrice culturale
Istruzione secondaria
18 25 Coniugata 1996 Casablanca Brescia Mediatrice culturale
Formazione universitaria
19 40 Coniugata 1992 Casablanca Bergamo Mediatrice culturale
Laurea in Lettere
20 40 Coniugata 1989 Béni Mellal Bergamo Mediatrice culturale
Formazione universitaria
21 36 Coniugata 1994 Marrakech Lecco Mediatrice culturale
Laurea in Lettere
22 34 Coniugata 1989 Casablanca Milano Mediatrice culturale
Formazione universitaria
23 42 Coniugata 1989 Béni Mellal Milano Mediatrice culturale
Laurea in letteratura
araba
24 35 Nubile 1990 Casablanca Cremona Mediatrice culturale
Istruzione secondaria
25 31 Separata 2002 Béni Mellal Milano Hammam Istruzione secondaria
411
Tipologia dell’immigrazione marocchina femminile in Italia
La dimensione di genere è stata poco considerata nell’osservazione dei
fenomeni migratori, tanto da causare una comprensione solo parziale delle
dinamiche migratorie nel nostro paese (Favaro G. e Tognetti Bordogna M.,
1991). Le ricerche in campo migratorio hanno sottovalutato a lungo il peso
economico, sociale e culturale delle donne immigrate in Italia, le quali non
emergevano come presenza significativa ed erano assimilate per
caratteristiche, modalità e tempi all’immigrazione maschile.
Un’analisi della letteratura esistente in ambito italiano rivela che, a
differenza dell’immigrazione femminile proveniente da altri paesi (ad
esempio Filippine, Est Europa, Sud America), quella marocchina ha risentito
a lungo di uno stereotipo di immigrazione passiva di “donne subalterne” al
seguito del proprio marito (Lodigiani R. e Martinelli M., 2003).
L’immigrazione marocchina in Italia si è caratterizzata inizialmente (fine anni
Settanta, inizio anni Ottanta) come un fenomeno soprattutto maschile,
spesso a carattere stagionale e motivato essenzialmente da ragioni di tipo
economico-lavorativo. È solo in una seconda fase, nel corso degli anni
Novanta, che l’immigrazione marocchina in Italia ha assunto un carattere di
maggiore stabilità e insediamento territoriale, con uno spostamento di flusso
dal Sud delle campagne al Nord delle industrie, tendendo ad una progressiva
stabilizzazione nella società italiana. In questa seconda fase, la presenza
femminile marocchina è passata dal 9% della presenza totale per il 1992, a
più del 32% per l’anno 2002, aumentando notevolmente in seguito ai
numerosi ricongiungimenti familiari realizzatisi in quegli anni. La
maggioranza delle donne marocchine sono emigrate in Italia per motivi di
ricongiungimento familiare, tuttavia recenti studi hanno delineato una
tendenza migratoria femminile di tipo autonomo, motivata da ragioni di
studio, necessità lavorative, o spinta all’emancipazione.
Nonostante la mancanza di ricerche di campo specifiche sull’immigrazione
femminile autonoma, è facile supporre, senza voler generalizzare, che
questa nuova tendenza migratoria femminile interessi soprattutto donne
giovani, provenienti da contesti urbani, dotate di un buon livello culturale e
di estrazione familiare alto-borghese, che emigrano per esigenze di
realizzazione personale.
412
Una tendenza simile mette in discussione il modello stereotipato
dell’immigrata marocchina come soggetto passivo, economicamente
improduttivo e sottomesso al controllo familiare nel privato.
L’esistenza di un’emigrazione marocchina femminile autonoma verso l’Italia
solleva nuovi interrogativi rispetto al ruolo attivo che giocano le donne nei
processi migratori marocchini e rispetto alle nuove possibili attribuzioni di
significato che loro stesse conferiscono all’esperienza migratoria.
“Anche se la maggior parte giunge in Italia per ricongiungersi al proprio marito,
l’esperienza quotidiana nella società di arrivo le porta comunque a fabbricarsi in Italia
un proprio percorso personale di integrazione. Se poi si tratta di donne arrivate per
conto proprio, magari appoggiandosi ad un parente di primo o secondo grado, sono
sovente persone capaci di prendere in mano la propria esistenza assumendosi rischi e
responsabilità di un’esistenza fuori dagli schemi tradizionali” (Cologna D., Breveglieri L.,
Granata E., Novak C., 1999).
In conclusione, le opportunità di emancipazione, affermazione di sé e
realizzazione personale possono realizzarsi al di là del tipo di motivazione
che origina la migrazione; infatti, il fenomeno migratorio marocchino
femminile comprende al suo interno un insieme complesso di strategie di
emancipazione e realizzazione personale che si articolano in relazione ai
luoghi d’origine e di arrivo.
CAPITALE UMANO
Progetti e strategie migratori
Le 25 donne intervistate sono emigrate in Italia in un intervallo temporale
compreso tra il 1973 ed il 2002, con una netta prevalenza di arrivate alla
fine degli anni Ottanta e nella prima metà degli anni Novanta. I contesti di
provenienza sono prevalentemente di tipo urbano e interessano in particolar
modo le città di Casablanca e Béni Mellal.
I progetti migratori delle donne intervistate sono i seguenti:
• 12 donne sono venute con progetto migratorio autonomo, differenziato
al suo interno per motivi di studio, ricerca lavorativa, esperienza di vita,
miglioramento delle proprie condizioni professionali ed economiche. A
volte le donne che emigrano in modo autonomo, fanno precedere
l’esperienza migratoria da un periodo di “turismo di perlustrazione”.
413
• 9 sono venute in Italia per motivi di ricongiungimento al coniuge,
talvolta vissuto come un condizionamento ed un obbligo, altre volte
come un’occasione per intraprendere una nuova esperienza di vita.
• 4 sono emigrate insieme al nucleo familiare ristretto (genitori, fratelli e
sorelle) spesso in età molto giovane e con la possibilità di proseguire gli
studi in Italia.
Gli ultimi due raggruppamenti rappresentano entrambi una strategia
migratoria di ricongiungimento familiare; il campione presenta dunque un
sostanziale equilibrio tra progetti migratori autonomi e progetti di
ricongiungimento familiare.
Livello di istruzione in Marocco ed in Italia
Il livello di istruzione medio-alto era uno dei requisiti di selezione del
campione, la maggior parte delle donne intervistate ha conseguito, infatti,
un titolo di diploma superiore o universitario:
• 7 donne hanno conseguito il titolo universitario, di cui 6 nel proprio
paese d’origine e 1 in Italia.
• 15 sono diplomate, di cui 5 sono emigrate con l’idea di proseguire gli
studi a livello universitario; hanno frequentato l’università per alcuni
anni in Italia o in Francia senza conseguire la laurea per difficoltà
sopravvenute.
• 3 hanno un livello di istruzione primario che corrisponde alle scuole
elementari e medie.
L’assenza di corrispondenza tra progetti migratori, livello di istruzione e
percorsi lavorativi intrapresi in Italia, rende le relazioni tra tali variabili molto
complesse.
Le donne con un livello di istruzione primario sono state considerate rilevanti
per la ricerca perché titolari di un’attività autonoma.
In ogni caso tutte le donne intervistate hanno avuto la possibilità di accesso
all’istruzione nel paese d’origine e questo le rende, in partenza,
avvantaggiate nel percorso migratorio per la maggiore facilità dimostrata nel
recepire gli stimoli del paese d’accoglienza.
La forte prevalenza di donne laureate e quindi ad alto profilo culturale non
corrisponde necessariamente a un buon livello di inserimento professionale;
414
le possibilità di riconoscimento e valorizzazione delle proprie competenze
culturali nel paese d’accoglienza sono, infatti, molto scarse e questo
pregiudica fortemente una promozione socio-economica della donna
attraverso il lavoro, anche se laureata.
Percorsi formativi in Marocco ed in Italia
La conoscenza della lingua italiana è una delle prime esigenze formative
delle donne immigrate: parlare la lingua del paese d’accoglienza è in effetti
un canale fondamentale di comunicazione, interazione sociale, apertura e
integrazione. Le donne marocchine intervistate sottolineano spesso
l’importanza di parlare la lingua del paese d’accoglienza, tutte hanno una
buona padronanza della lingua italiana, a volte maggiore di quella dei propri
mariti arrivati in Italia da più tempo.
Si riscontra, inoltre, una buona disponibilità ad intraprendere corsi di
formazione di vario genere nel paese d’accoglienza: è indicativo che quasi la
totalità del campione (23 su 25) ne abbia frequentato almeno uno nel corso
della propria esperienza migratoria. I corsi di formazione, più che essere
finalizzati alla ricerca di un lavoro, spesso rappresentano per le donne
immigrate delle occasioni di socializzazione e promozione personale; inoltre,
sono spesso utilizzati come fonti di informazioni e contatto con il tessuto
sociale e istituzionale del territorio. La varietà formativa non sempre
corrisponde alle opportunità esistenti di offerta professionale. È molto raro,
infatti, che le donne intervistate riescano ad orientare le proprie scelte
formative rispetto alla professione che desiderano svolgere nel paese
d’accoglienza. Le uniche a riuscirci sono le donne imprenditrici o titolari di
un’attività autonoma che intraprendono a proprie spese corsi di avviamento
all’impresa e per il conseguimento della licenza commerciale. Un’ulteriore
tipologia di corsi di formazione intrapresi dalle donne marocchine con buoni
esiti di sbocco professionale sono quelli in mediazione culturale.
Percorsi lavorativi in Marocco e in Italia
La maggioranza delle donne intervistate non presenta trascorsi lavorativi nel
paese d’origine e questo rende ancora più difficile l’accesso al primo impiego
in Italia.
415
Al contrario, le donne che lavoravano in Marocco sembrano essere facilitate
nell’inserimento nel mondo lavorativo in Italia; inoltre sono loro stesse a
conferire importanza al lavoro, concepito come realizzazione personale.
Le donne marocchine, infatti, non sempre concepiscono il lavoro come
un’occasione di avanzamento personale o come un elemento necessario alla
propria realizzazione. Tra le donne che non svolgevano alcuna attività
lavorativa in Marocco spesso emerge una rappresentazione del lavoro come
obbligo:
“Le donne in Marocco non fanno niente (riferendosi alla classe agiata), vivono meglio,
passano il tempo a curarsi le unghie, andare in giro, incontrarsi; le donne in Italia si
sacrificano molto, passano gran parte della loro vita a studiare, specializzarsi e
realizzarsi nella vita professionale, arrivano a godersi la vita quando sono già vecchie”
(caso 16, casalinga, 32 anni).
“Qui in Italia la vita è tutta per il lavoro, rimane poco tempo per rilassarsi e svagarsi, in
Marocco avevo meno soldi, ma ero più felice, qui la vita è stressata, pensa che è venuta
a trovarmi mia madre e aveva le unghie più curate delle mie, che lavoro sempre e non
ho nemmeno il tempo di curarle!” (caso 12, cameriera, 33 anni).
La situazione occupazionale delle donne immigrate è molto fluida e cambia
continuamente, soprattutto perché lavori saltuari si alternano a periodi di
maternità più o meno lunghi; la situazione lavorativa del campione
intervistato è la seguente:
• 6 casi di donne imprenditrici e/o titolari di un’attività autonoma;
• 8 mediatrici culturali;
• 7 lavoratrici dipendenti;
• 4 disoccupate.
Le differenti attività lavorative delle donne intervistate sono state analizzate
in relazione all’acquisizione di competenze spendibili in termini di
elaborazione di progetti di co-sviluppo, all’attivazione di capitale sociale che
implicano ed ai legami esistenti con il Marocco.
Donne imprenditrici
L’attività imprenditoriale può assumere per una donna marocchina diversi
significati a seconda dei casi: una modalità di guadagnare, un percorso di
emancipazione personale, un vero e proprio progetto imprenditoriale da
gestire in tutta la sua complessità, un’occupazione che permette di sfuggire
416
a lavori dequalificanti e pesanti, un modo per rimanere vicina ai propri figli
senza essere sottoposta a turni di lavoro lunghi e lontani da casa.
Per quanto l’imprenditoria marocchina non presenti marcate specializzazioni
etniche, tra le donne titolari di un’attività si riscontra una tipologia ricorrente
di esercizio commerciale: il bazar/call center in cui si vendono prodotti di uso
quotidiano e di bassa qualità (alimentari, casalinghi, vestiti, stoffe)
provenienti dal Marocco o da altri paesi maghrebini e prodotti italiani; in
aggiunta, all’interno del bazar, vi sono postazioni telefoniche predisposte per
chiamare in tutto il mondo a prezzi favorevoli. Il bazar/call center è un
esempio di economia mista che prevede l’offerta di servizi differenziati
(vendita prodotti/call center) e risponde alla necessità di acquisire una
clientela diversificata e più numerosa.
La clientela è costituita prevalentemente da stranieri immigrati, che sono i
principali fruitori di questo tipo di servizio: nell’attesa di telefonare ai propri
cari, i clienti prendono dimestichezza con la merce e comprano i prodotti.
L’imprenditorialità marocchina femminile presenta delle modalità di
conduzione dell’attività che rispecchiano la divisione dei ruoli all’interno della
famiglia marocchina: anche se l’attività è intestata a nome della donna, il
marito spesso ha un ruolo determinante nella gestione. Nella maggior parte
dei casi, infatti, la gestione amministrativa dell’attività è competenza del
marito, soprattutto per quanto riguarda la parte finanziaria e le relazioni con
i fornitori.
Per quanto concerne invece l’assistenza al pubblico, si instaura spesso una
co-gestione con il marito o con familiari in attesa di trovare un impiego
(spesso cugini di primo grado o fratelli).
Un elemento positivo che emerge dalle esperienze imprenditoriali incontrate
si può riscontrare nella tendenza della donna marocchina a ricreare nel bazar
un ambiente adatto a soddisfare le proprie esigenze, a coinvolgere il resto
della famiglia e cercare di conciliare l’aspetto lavorativo con la necessità di
educare i figli. Una donna racconta, ad esempio, di aver predisposto una
stanzetta dietro al bazar dove i suoi figli possono giocare e lei può seguirli
nell’educazione.
Il bazar, oltre ad essere uno spazio che si imbeve dell’ambiente privato della
donna marocchina, diventa al tempo stesso una possibilità di promozione di
se stessa nell’interazione con il pubblico, un ambiente in cui sentirsi a
proprio agio per gestire incontri, contatti, relazioni.
417
La lenta acquisizione di una clientela fissa richiede, infatti, un continuo
impegno nell’intessere rapporti di fiducia e relazioni sociali tra connazionali,
altri stranieri ed italiani; quando le donne riescono a conquistare una fetta di
clientela italiana, ne vanno molto orgogliose, riscattandosi spesso da un
precedente senso di isolamento e frustrazione.
I bazar/call center non si configurano come esempi di un’attività
imprenditoriale strutturata o preceduta da una formazione ad hoc; molte di
queste donne hanno alle spalle un passato da operaia, o talvolta da
casalinga. Il desiderio imprenditoriale è nato più sulla spinta di circostanze,
che in seguito ad un progetto strutturato: spesso, infatti, l’apertura
dell’attività avviene attivando canali di informazione familiare o di
conoscenze informali.
Il capitale umano di partenza non è sempre elevato e l’attività commerciale
si costituisce come una possibilità di fuga da lavori poco qualificati o
dall’isolamento domestico.
I legami con il paese d’origine non sono espliciti né diretti, le merci
provengono spesso da fornitori all’ingrosso in Italia. Solo un caso presenta
caratteristiche più strutturate di avviamento di impresa, perché preceduto da
una formazione ad hoc e da una progettualità più elaborata anche rispetto ai
legami, non solo commerciali, con il paese d’origine.
Donne con lavoro dipendente
I percorsi lavorativi intrapresi da questa categoria di donne sono
estremamente differenziati ed articolati nel tempo; i settori di impiego sono
costituiti prevalentemente dal lavoro domestico e dall’assistenza agli anziani,
in seconda istanza dal lavoro nel basso terziario (ristorazione e servizi di
pulizia), senza trascurare infine chi lavora come operaia.
Tra queste donne lavoratrici si rileva spesso il desiderio di cambiare
professione dal momento che è difficile che riescano ad essere assunte con
contratti a tempo prolungato e la maggior parte lavora in condizioni molto
precarie. Tra le attività più attraenti sono spesso citate quella di mediatrice
culturale o di lavoratrice autonoma. Concludendo si ritiene che questa
categoria di donne lavoratrici non sia del tutto idonea ad operare come un
agente di sviluppo, dal momento che le attività che svolgono sono spesso
dequalificate, con poche opportunità di crescita professionale e con scarse
possibilità di trasferimento di conoscenze rispetto al paese d’origine.
418
Donne disoccupate
Le disoccupate che formano parte del campione sono in prevalenza giovani
in fase di definizione del proprio percorso lavorativo, dotate di un alto
capitale umano. Sono donne laureate che non si accontentano di svolgere
professioni dequalificanti e si dedicano maggiormente alla formazione
nell’attesa di trovare una professione adeguata alle proprie competenze. Il
campione presenta un solo caso di donna casalinga.
Mediatrici culturali
Per quanto riguarda un’analisi approfondita delle mediatrici culturali si
rimanda al rapporto sui mediatori culturali. In questo contesto di analisi vale
la pena sottolineare che tale professione rappresenta per una donna una
possibilità molto valida di poter svolgere un lavoro qualificante.
“Come donna non potevo trovare di meglio” (caso 21, mediatrice culturale, 36 anni)
CAPITALE SOCIALE
L’analisi del capitale sociale che segue, più che una descrizione oggettiva
delle relazioni sociali a livello familiare, amicale, associativo e istituzionale
cui partecipano le donne nel corso della propria esperienza migratoria, si
focalizza sulle possibilità e/o sui limiti oggettivi per cui tali relazioni possano
costituire un valore aggiunto per una migrante marocchina come agente di
sviluppo per il proprio paese d’origine.
Le dotazioni di capitale sociale rappresentano l’ambito più problematico, ma
anche il più fertile da cui trarre indicazioni di policy rispetto alle possibilità
per una donna marocchina di essere agente di sviluppo.
Relazioni familiari tra Marocco ed Italia
In Marocco la famiglia rappresenta l’istituzione centrale della società; se è
intesa in senso tradizionale e stereotipato, essa presenta dei caratteri di
condizionamento piuttosto rigidi rispetto al ruolo della donna, anche se la
letteratura più recente parla di un forte processo di trasformazione della
famiglia in atto in Marocco (De Bernart M., Di Pietrogiacomo L. e Nichelini L.,
1995; Mernissi F., 1993).
419
Da un punto di vista sociologico, la trasformazione della famiglia in Marocco
volge ad una progressiva nuclearizzazione e, contemporaneamente, le
relazioni familiari e parentali strette si estendono tra più città del Marocco e
tra diversi paesi di abitazione e residenza oltre al Marocco (De Bernart M., Di
Pietrogiacomo L. e Michelini L., 1995).
Da un punto di vista giuridico, l’approvazione della nuova legge sul Codice di
famiglia varata dal re Mohammed VI è solo uno degli esempi più attuali del
tentativo forte di questo paese di voler trasformare un assetto familiare
tradizionale in uno nuovo in cui il ruolo della donna in famiglia e in società
sia di pari dignità a quello dell’uomo.
I processi migratori trasformano indubbiamente i legami parentali sia nel
paese d’origine che in quello d’accoglienza, in tali processi di trasformazione
la donna immigrata può giocare un ruolo decisivo come agente di
cambiamento.
Relazioni coniugali e relazioni familiari allargate
La prima dinamica di relazione familiare con cui si confrontano le donne
sposate (che sono la maggioranza del campione) è quella coniugale.
La migrazione per una donna marocchina può rappresentare emancipazione,
ma anche ri-tradizionalizzazione del proprio ruolo.
Una forte tradizionalizzazione del ruolo della donna avviene soprattutto per
le marocchine giunte per ricongiungimento coniugale, le quali si ritrovano in
Italia sprovviste dell’intera rete di appoggio familiare. Esse attraversano
periodi iniziali di forte solitudine e isolamento, l’unica figura di riferimento
diventa il marito: spesso in questi casi la donna marocchina è costretta a
rinunciare alla propria libertà d’azione ed alle possibilità di scelta.
“Le donne marocchine in Italia vivono come in una prigione, quando vengono in Italia
perdono tutti i loro diritti e vivono peggio che in Marocco, perché non hanno la
protezione della famiglia ed è il marito che decide le condizioni in cui vivono. Chi si
ribella viene sbattuta fuori di casa. Le donne qui ricevono dai loro mariti maltrattamenti
e violenze continui; a volte i mariti sono molto rigidi, le loro mogli non possono vedere
la televisione o ascoltare la musica (….). A volte vengono in Italia delle donne che
hanno ricevuto un’educazione moderna in Marocco, ma capita che quando arrivano qua
si chiudono e si attaccano alla tradizione, sviluppano un senso di chiusura nei confronti
della cultura cristiana” (caso 8, titolare di un bazar, 30 anni).
420
Nel campione si sono riscontrati casi con un percorso migratorio
caratterizzato da elementi di involuzione: uno di questi è quello di una donna
che in Marocco ha vissuto 4 anni da sola a Marrakech prima di sposarsi con il
marito (un cugino di primo grado). Da quando si è sposata ha dovuto
mettere il velo per rassicurare il marito del suo pudore e per allontanare
sguardi indiscreti. Ultimamente questa donna è riuscita a conquistare un suo
ambito d’azione come titolare di un bazar, ma a condizione, per volere del
marito, che indossi il velo nel contatto con il pubblico. In questi casi, le
relazioni coniugali diventano un contenitore forte di controllo sociale del
marito sulla donna, la quale riesce a conquistare piccoli spazi di libertà
lentamente e a costo di sforzi molto grandi.
Se le relazioni coniugali sono difficili per quelle donne che vivono in
condizioni di chiusura e hanno il marito come unica figura di riferimento
familiare, lo sono altrettanto per quelle donne che con coraggio e
determinazione portano avanti progetti personali di realizzazione
professionale o di reinvenzione del proprio ruolo nella famiglia e nella
società. In questi casi, per quanto il marito possa sostenere la donna nei
progetti di realizzazione professionale non ostacolandola palesemente, si
riscontra comunque una forte difficoltà ad accettare la realizzazione della
donna.
Sicuramente, rispetto alla paura che porta a chiusura, sfiducia e involuzione,
è preferibile l’atteggiamento di chi sceglie con coraggio di cambiare il proprio
ruolo nella famiglia e nella società; in questi casi la donna immigrata
acquisisce sicurezza, forza e coraggio, ma soprattutto vive la migrazione
come un processo di empowerment:
“Da quando sono partita mi sento più forte, all’inizio le mie amiche in Marocco
pensavano che fossi matta ad emigrare, ma ora riesco a dire la mia opinione davanti
agli altri” (caso 21, mediatrice culturale, 36 anni).
“Gli italiani mi hanno insegnato a non essere timida, mi sento di avere più forza e
sicurezza in me stessa” (caso 3, disoccupata, 34 anni).
Le donne emigrate in Italia con il nucleo familiare traggono forti benefici a
livello di reti di appoggio e solidarietà su cui poter contare nei momenti di
bisogno, non escludendo possibilità di sostegno economico. Tutti i casi di
donne che hanno genitori, fratelli e sorelle in Italia dimostrano, infatti, un
senso di sicurezza e forza.
421
In questi casi però diminuiscono le ragioni per tornare spesso in visita in
Marocco; questo crea un senso di distacco dal paese d’origine e un
orientamento volto essenzialmente al paese d’accoglienza.
Relazioni con i figli
Le donne marocchine immigrate sono inevitabilmente sottoposte ad un
processo di rielaborazione dei valori e dei saperi tradizionali nell’educazione
dei figli.
L’educazione dei figli, che comprende la trasmissione dei valori, delle
conoscenze e delle modalità di essere, rappresenta un ambito in cui la donna
partecipa in prima persona a processi di trasformazione della propria
famiglia e della comunità, producendo e stimolando cambiamenti a livello
identitario.
“Nell’educazione bisogna evitare la confusione ed avere pazienza. Ad esempio mio
figlio ancora non capisce l’importanza del ramadan perché qui non è come in Marocco
che lo fanno tutti, qui lo devi fare tu da solo e ti senti strano. Io gli faccio fare solo una
mezza giornata di ramadan e alla fine gli do un regalo in premio. Bisogna inventare dei
piccoli trucchi per far passare la tradizione. È importante conservare le proprie radici,
ma bisogna operare dei cambiamenti e riadattamenti continui” (caso 9, titolare di un
bazar, 33 anni).
“C’è una grande differenza nel crescere i figli in Marocco o in Italia: in Marocco la
comunità partecipa molto nel processo educativo, mentre qui in Italia è tutto più
affidato all’individuo. In realtà i nostri figli, che sono di seconda generazione, vengono
cresciuti da noi che siamo sempre nella fase di ambientamento in una nuova realtà.
Siamo tutti in prova. Io non li ho mai educati a stare contro la cultura italiana, semmai
ci ho tenuto che loro conoscessero a fondo la loro cultura di provenienza per non farli
sentire a metà, né marocchini né italiani. È importante avere un’idea di completezza”
(caso 16, casalinga, 32 anni).
I processi educativi dei figli rappresentano, infatti, per una donna dei canali
di attivazione di capitale simbolico; inoltre, i figli sono dei collanti sociali che
influiscono sulle dinamiche di relazione sociale di una donna, perché
facilitano l’attivazione di reti tra connazionali e con italiani.
La scuola, ad esempio, rappresenta un luogo di dinamiche sociali in cui le
donne, in quanto madri, giocano un ruolo attivo: l’attesa dei figli all’uscita
della scuola o gli inviti a casa di compagni di classe per fare i compiti
insieme, sono delle occasioni sociali in cui la madre marocchina è chiamata,
422
in misura maggiore del padre, a interagire con l’ambiente circostante, a
creare legami, ad intessere rapporti di fiducia.
Relazioni amicali
In Marocco la famiglia, più che l’amicizia, rappresenta l’ambito in cui
maggiormente vengono mediate le relazioni sociali di un individuo, anche se
l’esperienza migratoria costituisce una possibilità di stabilire legami amicali,
liberamente scelti, in un’ottica diversa e innovativa rispetto al paese
d’origine.
L’esperienza migratoria sembra favorire, infatti, una maggiore libertà di
stabilire legami amicali, perché l’individuo subisce meno il controllo della
famiglia e della società rispetto al paese d’origine. Le donne immerse in reti
sociali chiuse e controllate riescono comunque a tessere un reticolo sociale al
di fuori della ristretta cerchia parentale.
Le reti di amicizie tra connazionali si situano al limite tra esperienze di
solidarietà e sostegno reciproco di piccoli gruppetti di donne organizzati su
basi territoriali, e tentativi molto timidi ed esitanti di andare a fondo nelle
amicizie.
“Io non inizio mai le amicizie” (caso 10, titolare di un bazar, 40 anni)
“Non faccio mai dei gruppi per evitare che arrivino le voci da dietro” (caso 10, titolare
di un bazar, 40 anni)
Tra le donne marocchine intervistate si riscontra una scarsa volontà di
investire il loro tempo in relazioni amicali forti; nei casi migliori si
costituiscono delle reti ristrette tra connazionali, rapporti selezionati e
privilegiati, di aiuto e sostegno reciproco. Probabilmente l’immigrazione
rende le donne marocchine più fragili, competitive e spesso meno solidali tra
loro.
Diversi sono i fattori che influiscono sui rapporti amicali con le donne
italiane: l’ambiente di lavoro, le possibilità di incontro, i figli, le attività
associative, le reti familiari ed il tempo di insediamento in Italia.
“Le italiane sono molto disponibili, ma ancora non c’è l’amicizia vera, è ancora una
conoscenza” (caso 16, casalinga, 32 anni).
423
Associazionismo
La partecipazione delle donne marocchine alla vita pubblica e politica del
Marocco è un fenomeno soprattutto urbano e riguarda donne intellettuali,
con scarso coinvolgimento delle donne che vivono in zone rurali.
Le donne intervistate nel campione difficilmente provengono da esperienze
strutturate di associazionismo in Marocco: sono solo 4 su 25 intervistate ad
aver partecipato ad esperienze di volontariato, o gruppi universitari, o ad
associazioni di beneficenza e assistenza ai poveri nel paese di provenienza.
La partecipazione in Italia ad esperienze di gruppo organizzate da enti e
strutture del territorio, o da associazioni di immigrati, è decisamente
aumentata rispetto al Marocco: 13 donne su 25 hanno partecipato o
partecipano in maniera più o meno attiva a forme tra le più diverse di
associazioni o attività di volontariato; scarsa invece la partecipazione in
partiti o sindacati.
Tra le donne coinvolte in esperienze associative, almeno la metà partecipano
in modo veramente attivo e propositivo, ricoprendo cariche direttive e
portando avanti progetti di intervento e di sensibilizzazione sulle
problematiche femminili della donna marocchina.
Si è riscontrato nel campione un buon numero di donne che, a partire dalla
propria iniziativa personale, hanno avviato attività di volontariato nel proprio
quartiere o territorio organizzando, ad esempio, corsi di lingua araba per i
bambini, o di lingua italiana per i connazionali. Le donne che esercitano la
professione di mediatrice culturale sono le più impegnate a svolgere attività
di volontariato e si sono rilevate le più propositive nel campo
dell’associazionismo.
La partecipazione alla vita sociale e politica, in Italia come in Marocco, è un
processo che conferisce maggiore autostima e rende le donne marocchine
consapevoli del proprio ruolo di cambiamento nella società, in un’ottica di
empowerment.
“Mi sento libera, finalmente un contesto in cui dire la mia, da quando vado all’incontro
dell’associazione cammino per strada a testa alta” (caso 16, casalinga, 32 anni).
424
CAPITALE FINANZIARIO
L’analisi del capitale finanziario delle donne marocchine intervistate
evidenzia alcuni elementi critici legati all’accesso alle risorse economiche e
alle possibilità di utilizzo di tali risorse.
Una prima notazione rilevante riguarda la forte incidenza dello stato civile
delle donne intervistate sulle possibilità di gestione dei soldi.
Un’ulteriore differenziazione interna scaturisce a partire dalle tipologie
lavorative emerse dall’analisi del capitale umano: le risorse economiche a
disposizione delle donne cambiano, infatti, in attinenza al tipo di lavoro
svolto.
In relazione allo stato civile, le donne sposate godono di una maggiore
stabilità e tranquillità economica in quanto possono avvalersi dell’appoggio
economico-finanziario del marito nei momenti di inattività lavorativa o nei
periodi di pausa dal lavoro per maternità.
Le donne single o divorziate devono far fronte, invece, alle spese di
mantenimento (come affitto, alimentazione, vestiario) anche in periodi di
inattività lavorativa. Per questo motivo conservano i loro risparmi per
fronteggiare improvvise necessità economiche dovute a mancanza di lavoro.
Le risorse delle donne sposate vengono utilizzate in genere per il benessere
della famiglia e raramente per spese e investimenti personali. Gli
investimenti vengono fatti sempre a livello familiare e riguardano
l’accensione di un mutuo per l’acquisto di una casa, il mantenimento dei figli,
o l’acquisto di beni di consumo: automobili, televisioni con antenna
parabolica, elettrodomestici.
Dal momento che i risparmi delle donne sposate vengono utilizzati
nell’ambito di progetti di investimento familiare e quelli delle donne single o
divorziate per il mantenimento di se stesse, è difficile immaginare di poter
contare sulle dotazioni di capitale finanziario delle donne marocchine
immigrate per l’avviamento di progetti di co-sviluppo.
Tra le donne intervistate, le titolari di un’attività autonoma sono quelle che
hanno dimostrato più dimestichezza con la gestione del capitale finanziario;
pur subendo, infatti, il controllo del marito riguardo alla gestione dei soldi e
dell’amministrazione, manifestano una mentalità imprenditoriale che le porta
a pensare in termini di investimento e di espansione dell’attività economica.
425
CASE STUDIES
Per dare maggiore spessore alle modalità attraverso cui una donna
marocchina si configura come potenziale agente di sviluppo per il proprio
paese d’origine sono stati analizzati tre case studies di donne selezionate per
il progetto.
Box 4.5 - F. G. donna imprenditrice a sostegno degli artigiani in Marocco
F. rappresenta tra le donne marocchine intervistate uno dei migliori esempi di
agente di sviluppo per il proprio paese d’origine.
È titolare di un negozio di prodotti artigianali marocchini e complementi di arredo
etnico a Milano. La sua idea imprenditoriale, piuttosto innovativa in un momento di
boom etnico in Italia, è consistita nella promozione e nella vendita di lampade,
lanterne, complementi d’arredo in ferro battuto e mosaici.
F. oltre a rifornirsi in modo diretto da piccoli artigiani in Marocco, contribuisce in
prima persona al processo di creazione e preparazione dei prodotti attraverso il
trasferimento di competenze ed elementi di innovazione acquisiti in Italia,
disegnando e progettando in prima persona alcuni prodotti.
Il capitale umano in suo possesso è elevato: laureata in economia ha frequentato
un corso di avviamento all’impresa della Camera del Commercio oltre a ulteriori
corsi di design e di arredamento di interni. Il corso della Camera di Commercio le
ha fornito strumenti per l’avvio, ma anche per la crescita dell’impresa: gestione dei
clienti, promozione dei prodotti, apertura del sito internet.
Per avviare l’attività ha reperito informazioni soprattutto attraverso una sua amica
italiana e attraverso contatti con la Camera del Commercio; negli anni è riuscita a
costruirsi una rete di clientela italiana fissa che le assicura delle entrate costanti.
La caratteristica importante di F. - rilevante rispetto al suo modo di essere agente
di sviluppo - è il forte spirito imprenditoriale unito a un dichiarato desiderio di
coinvolgere nella propria attività il paese di origine attraverso la valorizzazione dei
prodotti locali e il trasferimento di competenze e innovazioni dall’Italia al Marocco.
Sembra avere molto chiaro il fatto che, attraverso la propria attività, gli artigiani
marocchini possano ricevere e già ricevano un contributo in termine di innovazione.
Ad esempio, un suo personale intervento si realizza attraverso indicazioni di
modifiche ai prodotti marocchini che rispondano ai gusti del mercato italiano;
modifiche che lei realizza in modo personale e creativo grazie alla passione che ha
sempre avuto per il disegno, le decorazioni e l’arredamento di interni.
F. mantiene dei legami molto forti con il paese d’origine, torna almeno due volte
l’anno per seguire da vicino le attività degli artigiani e per orientarli nella
preparazione dei prodotti. Il suo intento è di fortificare i piccoli artigiani attraverso
la costituzione di reti associative che tutelino il loro lavoro.
426
Un elemento interessante dal punto di vista delle relazioni di genere e per quanto
riguarda l’attivazione di reti in loco, è la presenza di un parente come socio-
collaboratore della sua attività. Una figura maschile necessaria soprattutto per le
trattative sui prezzi; per quanto F., infatti, sia ormai conosciuta e rispettata dagli
artigiani, esistono dei limiti nelle possibilità che una donna in Marocco possa gestire
autonomamente attività che hanno a che fare con il commercio.
F. dichiara che per una donna marocchina sia estremamente difficile avere successo
a livello imprenditoriale: le invidie e l’orgoglio da parte degli uomini marocchini
sono a volte degli ostacoli culturali cui è difficile far fronte.
Box 4.6 - N. B. mediatrice culturale con progettualità associative e nel sociale tra Marocco e Italia
N. è una mediatrice culturale con grande esperienza nel suo settore, ha vissuto
inoltre un percorso migratorio articolato che l’ha portata a confrontarsi con paesi
diversi, quali la Francia e gli Stati Uniti.
Nel 1996, in Francia, è stata l’ideatrice di un progetto-ponte molto interessante di
scambio culturale e commerciale tra associazioni marocchine e francesi. Il progetto
consisteva nella creazione di un’associazione di donne di Casablanca (inizialmente
erano solo 4 poi sono diventate 20) che producesse prodotti artigianali, vestiti e
tappeti, venduti poi in Francia tramite un’associazione di donne di Parigi. Il progetto
denominato “Femmes au pluriel”, è stato un successo, ma lei non l’ha potuto
seguire fino alla fine perché già viveva in Italia. Da allora avrebbe sempre voluto
ripetere questo tipo di esperienza in Italia, incontrando però nel contesto del nostro
paese molte difficoltà. Oltre all’esperienza di progetto–ponte tra Francia e Marocco,
N. si configura come un buon esempio di agente di sviluppo, in quanto ha
esplicitato la sua intenzione di realizzare in Marocco un progetto di servizi per la
prima infanzia. Le competenze che vorrebbe mettere a disposizione in questo
progetto sono in primo luogo quelle acquisite attraverso le esperienze lavorative
come mediatrice culturale in Italia; un’innovazione che vorrebbe introdurre in
Marocco sulla base del modello italiano, è quella di far lavorare insieme un’equipe di
esperti di diverso genere: una psicologa, un’assistente sociale, una sociologa.
Le competenze acquisite in Italia non sono le uniche ad esser messe in campo nel
suo progetto. L’idea nasce infatti pure dal legame consolidato e mantenuto anche in
seguito all’emigrazione con un’amica di Casablanca, cui N. è stata di fondamentale
sostegno nella parte di reperimento delle informazioni sulle agevolazioni fiscali e
nell’adempimento delle pratiche burocratiche per aprire il servizio di asilo nido. Se è
dunque importante che un potenziale agente di sviluppo acquisisca e metta a
disposizione le competenze professionali acquisite in Italia, è altrettanto importante
che il migrante abbia mantenuto nel tempo rapporti consolidati con persone del
proprio paese d’origine. Il confronto con esperienze simili avviate già da molti anni
da parte di marocchini emigrati in Francia o in Belgio, dovrebbe essere per i
marocchini emigrati in Italia uno stimolo e un modello.
427
Box 4.7 - Z. N. donna casalinga con forte dotazione di capitale sociale
Z. è una donna semplice, una casalinga, non ha ancora un percorso lavorativo
solido alle spalle, il suo capitale umano non è altissimo, eppure presenta delle
caratteristiche interessanti per essere un agente di sviluppo. Venuta in Italia per
ricongiungimento, Z. ha vissuto l’esperienza migratoria come un’occasione di
crescita e di arricchimento personale, colmando la sua curiosità di conoscere una
realtà diversa da quella di provenienza. Il primo elemento di grande interesse è
dato dall’elevato livello di rielaborazione personale del valore e delle difficoltà della
migrazione, che la rende molto matura e cosciente delle proprie relazioni con il
paese d’origine e del valore aggiunto derivante dal vivere in un paese diverso da
quello di provenienza. Un secondo elemento interessante rispetto alle potenzialità di
essere un agente di sviluppo è dato dal fatto che Z. è una persona molto attiva in
campo associativo. Nel Comune di residenza ha fondato un’associazione di donne
immigrate che lavora in collaborazione con un’associazione di donne italiane,
dimostrando di avere buone capacità di interrelazione col territorio; inoltre è in
stretto contatto con l’associazione di suo fratello in Marocco che svolge attività di
microcredito con i poveri, tanto da ipotizzare di svolgere in futuro attività e progetti
congiunti (per esempio progetti di alfabetizzazione rurale o invio dall’Italia di sedie
a rotelle per handicappati).
Il forte coinvolgimento in campo associativo si coniuga positivamente con una
buona capacità di coinvolgimento delle persone dal basso: Z. è attiva
quotidianamente nella creazione di legami tra le connazionali che vivono nel suo
paesino (non più di 7 o 8), invitandole spesso a casa sua ed organizzando riunioni
informali per iniziare a socializzare e per creare dei momenti collettivi. Frequenta
inoltre, presso la Provincia di Mantova, un corso di mediazione culturale insieme a
un gruppo di 12 straniere (Senegal, Colombia, Siria, Algeria, Marocco, Polonia,
Russia, Cecoslovacchia, Sri Lanka). Z. svolge già in modo volontario e informale
un’attività di mediazione presso la scuola del suo paese offrendosi come
mediatrice/facilitatrice quando nascono dei conflitti e dei problemi di comunicazione
tra famiglie di bambini arabi ed insegnanti. Alla scuola dei figli si è proposta inoltre
come volontaria per insegnare arabo nelle ore di religione.
Z. rappresenta dunque un caso di donna che ha in dotazione un’alta capacità di
attivazione di capitale sociale, che si esplica attraverso una facilità di intessere
legami, instaurare rapporti di fiducia, creare spazi di dialogo e di collaborazione
collettivi; per questi motivi è una potenziale agente di sviluppo.
La fiducia nelle reti sociali è fortemente connessa alla possibilità di avviare processi
di co-sviluppo tra l’Italia e il proprio paese d’origine. È per questo motivo che la
dotazione di capitale sociale si ritiene sia tra le più rilevanti. Nel caso delle donne
marocchine, le abilità “femminili” di intessere relazioni e stabilire rapporti di fiducia
e collaborazione sono molto significative rispetto all’individuazione di un agente di
sviluppo donna, anche in assenza di altre dotazioni di capitali.
428
INDICAZIONI DI POLICY
In questo paragrafo verranno delineate le modalità attraverso cui le donne
marocchine in Lombardia possono essere considerate agenti di sviluppo per
le proprie comunità d’origine, evidenziandone anche i limiti. Le indicazioni di
policy emergono dall’analisi delle dotazioni di capitale umano, sociale e
finanziario delle migranti marocchine in Lombardia.
Rispetto alla dotazione di capitale umano è importante rilevare che, per
quanto non si sia riscontrata una corrispondenza diretta tra il livello di
istruzione e le opportunità lavorative esistenti in Italia per le donne
marocchine, una buona dotazione di capitale umano é un veicolo importante
di integrazione nel paese d’accoglienza e di acquisizione di nuove
competenze, dunque un buon presupposto, anche se di per sé non
sufficiente, per essere agente di sviluppo. Considerando i percorsi
professionali in maniera trasversale e disaggregata, le tipologie lavorative
più appropriate all’individuazione di un possibile agente di sviluppo donna
sono le imprenditrici e le mediatrici culturali. Le possibilità che tali
professioni offrono a livello di attivazione di reti tra Marocco e Italia e le
competenze professionali che permettono di acquisire sono, infatti, elevate.
Le dotazioni di capitale sociale delle donne migranti sono molto significative
dal punto di vista dell’identificazione di un agente di sviluppo donna. Il
mantenimento e l’attivazione costante di legami parentali, di reti amicali e di
attività associative, in Italia come in Marocco, sono fattori estremamente
importanti che evidenziano la specificità femminile nelle possibilità di essere
agente di sviluppo.
Difficile, infine, immaginare che le dotazioni di capitale finanziario delle
donne marocchine immigrate possano essere utilizzate per l’avviamento di
progetti di co-sviluppo. Lo scarso controllo che le donne hanno su questa
dotazione di capitale e l’impiego pressochè costante di queste risorse in un
ambito esclusivamente familiare limitano molto le effettive possibilità di
progettazione da parte delle donne immigrate.
La complessità della condizione femminile di un’immigrata marocchina in
Italia rende difficile delinearne un prototipo come possibile agente di
sviluppo. Non esistono percorsi formativi o progetti migratori vincenti che
delineano una tendenza chiara e univoca attraverso cui le donne marocchine
possano essere agente di sviluppo per le proprie comunità d’origine.
429
Una buona dotazione di capitale umano in termini di titoli di studio, percorsi
formativi intrapresi ed attività lavorativa, non porta necessariamente
all’identificazione di un agente di sviluppo se non è unita ad una buona rete
di relazioni sociali sia in Italia che in Marocco. Spesso la formazione
universitaria diventa irrilevante se non è accompagnata da una formazione
autonoma che passa attraverso un’attenta rielaborazione del proprio
percorso migratorio.
La possibilità che una donna sia un agente di cambiamento mantenendo i
propri legami culturali, familiari e sociali si delinea, infatti, a partire da un
incrocio complesso di elementi. Tuttavia, la caratteristica che accomuna le
donne marocchine potenziali agenti di sviluppo è il coraggio: il coraggio di
portare avanti un proprio percorso di autonomia e di crescita anche nelle
situazioni più difficili, a prescindere che siano ricongiunte o che abbiano un
percorso migratorio autonomo, che siano casalinghe e disoccupate o che
siano affermate donne in carriera.
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Salih R., (2000), Identità, modelli di consumo e costruzione di sé tra il Marocco e
l’Italia. Una critica di genere all’emigrazione transnazionale, Rivista Africa e
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Samaniego M., (2002), Il materno nell’immigrazione: il caso delle donne arabe, in
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Schmidt Di Friedberg O. e Saint-Blancat C., (1998), L’immigration au féminin: les
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Scrinzi F., (2001), Consumi Culturali. I processi di etnicizzazione delle donne
marocchine a Genova, in Torre A., (a cura di), Non sono venuta per scoprire le
scarpe. Voci di donne immigrate in Liguria, Edizioni Sensibili alle Foglie, Roma.
432
CINQUE
5.1. L’IMMIGRAZIONE MAROCCHINA IN CAMPANIA
5.1.1. Una descrizione quantitativa e qualitativa
dell’immigrazione marocchina in Campania
Mattia Vitiello
LA CONSISTENZA DELLA PRESENZA MAROCCHINA IN CAMPANIA
La presenza immigrata in Campania negli ultimi anni ha vissuto gli stessi
fenomeni di stabilizzazione che la popolazione immigrata ha conosciuto a
livello nazionale rafforzando, in questo modo, la duplice funzione che la
stessa regione ha sempre svolto rispetto all’immigrazione straniera in Italia.
Da un lato si tratta di un’area di effettivo insediamento stabile di immigrati e
dall’altro lato, da anni si verifica un fenomeno di migrazione nelle
immigrazioni per cui, in diversi periodi, in genere dopo le regolarizzazioni, si
registrano partenze di lavoratori immigrati dalle regioni del Sud verso quelle
del Nord. Il quadro attuale della presenza straniera nella regione Campania
si presenta molto variegato sia dal punto di vista dell'articolazione
territoriale sia dal punto di vista dei diversi modi in cui l'esperienza
migratoria è vissuta dalle diverse nazionalità immigrate presenti nella
regione.
Tuttavia, pur all'interno di questa notevole variabilità, possono individuarsi
delle connotazioni abbastanza specifiche che consentono di individuare una
sorta di modello campano dell'immigrazione. Esse riguardano la
composizione demografica delle varie collettività di immigrati - e in
particolare la più o meno elevata incidenza della componente femminile - il
ruolo svolto dagli immigrati nell'economia locale - e in particolare la
collocazione prevalente, ma non esclusiva, all'interno del settore informale
dell'economia - i rami specifici di impiego nelle diverse nazionalità, nonché il
nesso tra queste variabili e le forme di insediamento.
433
Tabella 5.1 – Permessi di soggiorno per provincie e per sesso. Anno 2002
Province
Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno Totale
v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %
Maschi 5.643 20,4 533 1,9 16.263 58,7 1.535 5,5 3.736 13,5 27.710 44,8
Femmine 4.957 14,5 676 2,0 23.455 68,6 1.787 5,2 3.325 9,7 34.200 55,2
Totale 10.600 17,1 1.209 2,0 39.718 64,2 3.322 5,4 7.061 11,4 61.910 100,0
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
Secondo le ultime informazioni ufficiali disponibili, presentate nella tabella
5.1, che riguardano i permessi di soggiorno concessi in Campania nel 2002 e
dunque prima della regolarizzazione prodotta dalle leggi 189/2002 e
222/2002, la presenza di cittadini stranieri in Campania ammonta a 61.910
unità.
Si tratta di una cifra piuttosto consistente che colloca la regione in una
posizione intermedia tra le grandi regioni di immigrazione come il Lazio e la
Lombardia e le regioni a più modesta presenza straniera del Centro Italia e
soprattutto del Mezzogiorno.
La presenza femminile risulta la quota maggioritaria, rappresentando poco
più del 55 per cento della popolazione straniera presente in Campania, tale
dato risulta accentuato nella provincia di Napoli dove la quota di presenze
femminili sale al 59 per cento.
Per quanto riguarda l’articolazione territoriale della presenza straniera si
nota una maggiore concentrazione nella provincia di Napoli, che presenta
una quota pari a poco più del 64 per cento, segue la provincia di Caserta,
con il 17 per cento, Salerno con l’11 per cento e in ultimo seguono le
provincie di Avellino e Benevento dove si registra una presenza alquanto
bassa.
La presenza straniera nella regione è quindi tutt'altro che omogenea. Inoltre,
l’incidenza degli immigrati sulla popolazione residente è notevolmente
inferiore alla media nazionale: si tratta, a livello regionale, dell’1,4 per cento
contro il 2,5 per cento del paese, e in alcune province, quali Avellino,
Benevento e Salerno, la percentuale è addirittura inferiore all’1 per cento.
434
Tabella 5.2 - Permessi di soggiorno presenti in Campania per sesso e paesi di cittadinanza. Anno 2002
Paese di cittadinanza MF F %F
Stati Uniti d'America 10.797 8.116 75,2 Marocco 5.588 1.126 20,2 Sri Lanka 4.949 2.322 46,9 Cina 4.149 1.942 46,8 Albania 3.946 1.285 32,6 Polonia 3.233 2.834 87,7 Tunisia 2.463 503 20,4 Algeria 2.330 174 7,5 Filippine 2.252 1.654 73,4 Ucraina 1.978 1.666 84,2 Regno Unito 1.584 1.302 82,2 Nigeria 1.499 976 65,1 Senegal 1.200 60 5,0 Capo Verde 985 838 85,1 Romania 978 632 64,6 Repubblica Dominicana 955 721 75,5 Brasile 745 630 84,6 Grecia 719 407 56,6 Germania 716 551 77,0 India 624 300 48,1 Jugoslavia (Serbia – Montenegro) 580 272 46,9 Perù 552 358 64,9 Pakistan 397 51 12,8 Russia 443 348 78,6 Francia 434 314 72,4 Colombia 428 348 81,3 Cuba 425 380 89,4 Spagna 410 347 84,6 Burkina Faso (Alto Volta) 403 74 18,4
Totale 61.910 34.200 55,2
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
Per quanto riguarda la composizione dell’immigrazione in base alle
nazionalità di provenienza, illustrata dalla tabella 5.2, risulta che la
nazionalità più numerosa è quella statunitense con circa il 17 per cento del
totale. Tale consistenza è riconducibile al cospicuo contingente di militari in
forza nella base Nato di Napoli. Seguono i marocchini la cui quota è pari al 9
per cento della presenza straniera, poi vi sono i cingalesi, soggiornanti quasi
esclusivamente a Napoli, con l’8 per cento, infine gli albanesi, i cinesi e i
polacchi, che rappresentano tutti poco più del 6 per cento del totale e che
435
risultano le nazionalità più numerose tra quelle che costituiscono la nuova
immigrazione.
Le stesse nazionalità si distribuiscono in maniera diversa nelle provincie della
Campania anche e soprattutto in rapporto alle specifiche caratteristiche della
domanda di lavoro. E' infatti noto come nel caso di Napoli, così come nelle
altre grandi città del Centro - Sud, la presenza di donne sia più significativa
a causa di una maggiore domanda di forza lavoro femminile nell'area dei
servizi domestici e in generale alle persone, il cui lavoro supplisce alle
carenze del locale sistema di welfare, tale peculiare distribuzione è illustrata
dalla tabella 5.4.
La tabella 5.3 illustra come la presenza marocchina, considerata secondo il
genere, si distribuisce nelle varie provincie della Campania.
Tabella 5.3 - Permessi di soggiorno per i cittadini marocchini
presenti in Campania. Secondo il sesso e le province. Anno 2002
Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno Totale
v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v. a.
Maschi 1.014 22,7 149 3,3 1.553 34,8 308 6,9 1.438 32,2 4.462
Femmine 243 21,6 94 8,3 321 28,5 180 16,0 288 25,6 1126
Totale 1.257 22,5 243 4,3 1.874 33,5 488 8,7 1.726 30,9 5.588
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
In primo luogo, si può notare che i due terzi circa della popolazione
marocchina sono concentrati nella provincia di Napoli, che raggruppa il 33
per cento della popolazione marocchina, e nella provincia di Salerno, con
quasi il 31 per cento.
Inoltre, nelle stesse provincie è concentrata la maggioranza della
componente femminile dell’immigrazione marocchina in Campania, cioè più
del 54 per cento. La provincia di Caserta rappresenta la terza provincia
campana per la consistenza della presenza marocchina. Questo dato risulta
in controtendenza rispetto alla distribuzione geografica della presenza
straniera in Campania che, come è illustrato nella tabella 5.4, prevede una
maggiore concentrazione nella provincia napoletana e una maggiore forza
attrattiva della provincia casertana.
436
437
Concludendo, si rileva che la presenza marocchina presenta una
distribuzione geografica più uniforme rispetto alla media dell’immigrazione
straniera presente in Campania e che inoltre, la presenza femminile
marocchina segue lo stesso modello di diffusione nelle provincie campane.
Questo può essere indubbiamente inteso come un indicatore dei processi di
stabilizzazione della popolazione marocchina presente in Campania al pari di
quelli che sono stati registrati a livello nazionale.
L’aumento della presenza femminile marocchina, registrata nella regione
Campania nell’anno 2002 rispetto a quella registrata nel 1992, è pari a più
del 292 per cento, contro un aumento del totale della presenza marocchina,
registrato nello stesso intervallo di anni, pari solamente al 77 per cento. Il
maggiore aumento della presenza femminile rispetto ad una presenza
maschile che si è mantenuta pressoché costante significa innanzitutto che
una quota maggioritaria della presenza marocchina si è spostata verso le
regioni settentrionali italiane dove vi è una maggiore possibilità di trovare
occupazioni più stabili, ma anche che la quota rimasta in regione si sta
sempre più stabilizzando, come testimonia il significativo aumento della
presenza femminile imputabile ai ricongiungimenti familiari.
Insomma, le nazionalità di più antica presenza in Campania, come quella
marocchina, dunque hanno potuto consolidare la loro presenza e realizzare
progetti di più lungo periodo, compreso il richiamo della famiglia o la
decisione di costituirne una in Italia.
PROFILO DEMOGRAFICO E MOTIVI DELLA PRESENZA MAROCCHINA
La distribuzione per classi di età dell’immigrazione in Campania, presentata
dalla tabella 5.5, mostra come essa sia un’immigrazione estremamente
giovanile. Il 60 per cento della popolazione straniera presente in Campania
al 2002 è concentrato nelle fascia di età compresa tra i 18 e i 39 anni.
Tale caratteristica sembra confermare il ruolo di transito che la regione
Campania svolge nei confronti del fenomeno in Italia ma si deve rilevare
anche il crescente aumento della consistenza delle fasce di età più alte. Nel
1992 la quota di immigrati compresa nella classe di età da 40 a 59 anni era
del 23,4 per cento, nel 2002 tale classe di età contiene il 29,3 per cento
della popolazione straniera, registrando un aumento in questo intervallo di
tempo del 144 per cento.
438
Tabella 5.5 – Permessi di soggiorno per classi di età secondo le provincie campane. Anno 2002
Fino a 18 18 – 29 30 – 39 40 - 49 50 - 59 60 e più Totale
Caserta 3,0 28,1 37,6 20,0 8,0 3,4 10.600
Benevento 6,1 32,1 33,0 17,5 6,0 5,3 1.209
Napoli 4,0 23,1 32,6 20,2 11,2 9,0 39.718
Avellino 14,1 29,6 30,6 14,9 5,2 5,6 3.322
Salerno 4,8 30,0 35,8 18,5 6,5 4,3 7.061
Totale 4,5 25,3 33,7 19,6 9,7 7,2 61.910
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
Il contemporaneo aumento della consistenza delle classi di età più giovanili,
cioè di quelle comprese tra i 18 ed i 39 anni che segnano un aumento dal
1992 al 2002 del 113 per cento, e di quelle più mature, con un ritmo più
sostenute per queste ultime, indicano l’esistenza di una quota di immigrati di
più antica presenza che possiamo definire lo zoccolo duro dell’immigrazione
campana.
Tale quota dell’immigrazione viene individuata dalla tabella 5.6 che presenta
l’incidenza dei permessi di soggiorno in base alla durata per regione.
E anche se in Campania nel 2000 la quota di immigrati presenti da almeno
10 anni è minore rispetto alle regioni settentrionali italiane, la stessa
presenta pur sempre una certa importanza e assume un valore ancora più
significativo rispetto alle altre regioni meridionali.
In base a tali indicatori si può ritenere che l’immigrazione in Campania è
entrata in una fase di maturazione e stabilizzazione, anche se tale fase non
interessa tutte le componenti nazionali nella stessa misura.
439
Tabella 5.6 - Incidenza dei permessi di soggiorno per regione in base alla durata. Anno 2000
Presenti da almeno: Presenti da almeno:
Regioni Totale 5 anni 10 anni 5 anni % 10 anni %
Piemonte 83.568 42.783 19.972 51,2 23,9
Valle d'Aosta 2.531 1.409 816 55,7 32,2
Lombardia 301.291 153.059 78.538 50,8 26,1
Trentino - Alto Adige 28.683 14.461 7.822 50,4 27,3
Bolzano - Bozen 16.729 8.676 5.302 51,9 31,7
Trento 11.954 5.785 2.520 48,4 21,1
Veneto 125.920 57.995 26.485 46,1 21,0
Friuli –Venezia Giulia 38.248 19.434 8.915 50,8 23,3
Liguria 36.044 18.597 10.467 51,6 29,0
Emilia – Romagna 108.518 56.725 30.544 52,3 28,1
Toscana 108.365 47.353 22.968 43,7 21,2
Umbria 24.665 11.079 5.020 44,9 20,4
Marche 31.698 14.256 5.907 45 18,6
Lazio 242.533 135.373 80.352 55,8 33,1
Abruzzo 18.513 8.455 3.082 45,7 16,6
Molise 1.935 765 357 39,5 18,4
Campania 68.336 35.905 16.744 52,5 24,5
Puglia 34.553 14.843 6.570 43 19,0
Basilicata 3.130 1.309 572 41,8 18,3
Calabria 15.530 7.289 3.504 46,9 22,6
Sicilia 53.927 30.116 16.804 55,8 31,2
Sardegna 12.667 6.750 3.887 53,3 30,7
Italia 1.340.655 677.956 349.326 50,6 26,1
Nord – Ovest 423.434 215.848 109.793 51 25,9
Nord – Est 301.369 148.615 73.766 49,3 24,5
Centro 407.261 208.061 114.247 51,1 28,1
Sud 141.997 68.566 30.829 48,3 21,7
Isole 66.594 36.866 20.691 55,4 31,1
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
440
Il grafico 5.1 presenta la distribuzione per classi di età della popolazione
marocchina presente in Campania nel 2002, si può notare che anche in
questo caso si ha una maggiore concentrazione nelle classi di età più
giovani.
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
La struttura per età della popolazione marocchina è leggermente più giovane
rispetto a quella dell’immigrazione, presentando una concentrazione nella
classe compresa tra i 18 e i 39 anni pari a quasi il 62 per cento, ma anche
la classe di età compresa tra i 40 e i 49 anni è più consistente di quella
media, presentando una concentrazione del 23 per cento contro poco più del
19 per cento. Quindi anche per l’immigrazione marocchina valgono le
osservazioni svolte in precedenza circa l’avvio dei processi di stabilizzazione,
sebbene con minore intensità. Un’ultima considerazione riguarda i motivi alla
base del rilascio del permesso di soggiorno, i cui dati sono riportati nella
tabella 5.7.
Grafico 5.1 - Distribuzione dei cittadini marocchini presenti in Campania per classi di età. Anno 2002
0.0
2.0
4.0
6.0
8.0
10.0
12.0
14.0
16.0
18.0
20.0
fino a18
18-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 oltre65
Classi di età
441
In Campania, come accade anche a livello nazionale, i motivi di soggiorno
prevalenti continuano ad essere quelli di lavoro con una quota
corrispondente a poco meno del 52 per cento. La componente per motivi
familiari conosce un notevole incremento, passando dal 30 per cento dei
permessi concessi nel 1992 a quasi il 39 per cento nel 2002, con un
aumento in termini percentuali pari a più del 146 per cento contro un
aumento dei permessi di soggiorno concessi per motivi di lavoro di solo l’87
per cento. Questo dato è sicuramente l’espressione dei processi di
stabilizzazione dell’immigrazione che si esprimono soprattutto attraverso i
ricongiungimenti familiari.
Tabella 5.7 - Permessi in Campania per provincia e per motivo del
rilascio. Anno 2002
Lavoro dipendente
Ricerca lavoro
Lavoro autonomo Famiglia
Residenza elettiva Religione Altri
v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v. a. %
Caserta 5.028 47,4 224 2,1 1.444 13,6 3.016 28,5 78 0,7 354 3,3 456 4,3
Benevento 406 33,6 28 2,3 67 5,5 512 42,3 40 3,3 39 3,2 155 12,8
Napoli 14.998 37,8 2.976 7,5 1.839 4,6 16.556 41,7 1.001 2,5 625 1,6 2.481 6,2
Avellino 996 30,0 39 1,2 253 7,6 1.633 49,2 48 1,4 119 3,6 274 8,2
Salerno 2.629 37,2 298 4,2 1.020 14,4 2.315 32,8 160 2,3 66 0,9 782 11,1
Totale 24.057 38,9 3.565 5,8 4.623 7,5 24.032 38,8 1.327 2,1 1.203 1,9 4.230 6,8
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
Il ricongiungimento familiare comincia a diventare quello relativamente
maggioritario nella provincia di Napoli, dove la quota dei permessi di
soggiorno concessi per ricongiungimento familiare corrisponde a più del 41
per cento, come anche nella provincia di Avellino dove supera il 49 per
cento, mentre nella provincia di Salerno scende al 32 per cento e a Caserta a
poco più del 28 per cento.
Per quanto riguarda le tipologie di concessione dei permessi di soggiorno per
motivi di lavoro si rileva che in Campania più del 74 per cento dei permessi
concessi per lavoro è rappresentato dal lavoro subordinato, l’11 per cento
per ricerca di lavoro e più del 14 per cento per lavoro autonomo.
442
Tabella 5.8 – Permessi dei cittadini marocchini per provincia e per motivo del rilascio. Anno 2002
Lavoro dipendente
Ricerca lavoro
Lavoro autonomo Famiglia Altri Totale
v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v.a.
Caserta 500 39,8 20 1,6 521 41,4 208 16,5 8 0,6 1.257
Benevento 88 36,2 11 4,5 42 17,3 102 42,0 0 0,0 243
Napoli 824 44,0 428 22,8 237 12,6 369 19,7 16 0,9 1.874
Avellino 102 20,9 3 0,6 151 30,9 228 46,7 4 0,8 488
Salerno 710 41,1 147 8,5 513 29,7 342 19,8 14 0,8 1.726
Totale 2.224 39,8 609 10,9 1.464 26,2 1.249 22,4 42 0,8 5.588
Fonte: elaborazione personale su dati Istat.
Considerando i motivi di concessione dei permessi di soggiorno dei cittadini
marocchini presenti in Campania nel 2002, illustrati nella tabella 5.8, si nota
che i motivi di lavoro assumono una significatività maggiore, essi
corrispondono a quasi il 77 per cento del totale, questa maggiore
concentrazione è dovuta principalmente ai permessi concessi per lavoro
autonomo che rispetto alla media dell’immigrazione campana è di gran lunga
più consistente. La prevalenza di permessi di soggiorno per motivi di lavoro
connota l’immigrazione marocchina in Campania come immigrazione da
lavoro, ed anche se per alcune provincie essa è maggiormente connotata da
motivi familiari ciò non significa che i suoi flussi non siano in prevalenza
costituiti da popolazione in età da forza lavoro come ha mostrato il grafico
5.1.
L’INSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI IMMIGRATI MAROCCHINI IN
CAMPANIA
La Campania fin dall’inizio dell’esperienza migratoria italiana ha
rappresentato una delle regioni di maggior attrazione per gli immigrati,
tuttavia possiamo individuare nella regione due modelli di immigrazione
principali: il primo rappresentato dalla città di Napoli con la sua forte
capacità di assorbimento di forza lavoro nel settore dei servizi, il secondo è
rappresentato dal resto della regione dove l’occupazione in agricoltura e
443
nell’edilizia ha un ruolo assolutamente determinante. In Campania il tasso di
disoccupazione, corrispondente al doppio di quello nazionale per l’anno
2002, evidenzia una grande difficoltà di assorbimento delle forze lavoro da
parte del tessuto economico - produttivo della zona. Ciò significa che nella
regione abbiamo compresenza di immigrazione e disoccupazione, questo
fenomeno non deve meravigliare se si ricordano le teorie della
segmentazione del mercato del lavoro e gli squilibri qualitativi tra domanda e
offerta di lavoro, come illustrato da Enrico Pugliese1. In altre parole, gli
immigrati in Campania svolgono quei lavori rifiutati dalla forza lavoro locale
a causa del loro carattere precario, stagionale o della bassa remunerazione.
La tabella 5.9 presenta i dati che riguardano i lavoratori extracomunitari
aventi almeno un contributo INPS secondo il sesso e le provincie di
registrazione.
Tabella 5.9 - Lavoratori extracomunitari dipendenti per sesso e per
provincia. 1999 - 2001
Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale
MF % F MF % F MF % F MF % F MF % F MF % F
1999 624 36,4 436 43,6 1.638 32,4 7.688 43,6 1.722 39,7 12.108 41,2
2000 844 34,2 508 44,7 2.075 31,0 8.931 44,9 2.042 39,1 14.400 41,4
2001 1.414 38,6 793 41,6 3.090 29,2 11.482 42,7 3.135 39,9 19.914 39,8
Totale 2.882 36,8 1.737 43,0 6.803 30,5 28.101 43,6 6.899 39,6 46.422 40,7
Fonte: elaborazione personale su dati INPS.
Occorre ricordare che i dati INPS presentano un quadro parziale
dell’inserimento lavorativo degli immigrati in quanto riportano i lavoratori
iscritti all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, cioè la tabella 5.9 riporta
notizie su quella quota della popolazione immigrata che può contare su una
posizione lavorativa contrattualizzata e registrata. Dalla tabella 5.9 si rileva
che tale quota della popolazione immigrata nel periodo intercorso tra il 1999
ed il 2001 è costantemente aumentata. Inoltre, essa si è concentrata
prevalentemente nella provincia di Napoli.
1 E. Pugliese E., (1992), Sociologia della disoccupazione, Il Mulino, Bologna, pag. 182
444
Un altro dato importante è rappresentato dall'incidenza dell’occupazione
femminile che si è mantenuta al di sopra del 40 per cento.
Tabella 5.10 - Lavoratori extracomunitari dipendenti per sesso e per
settore. 1999 - 2001
1999 2000 2001 Totale
MF % F MF % F MF % F MF % F
Agricoltura 11 27,3 12 8,3 14 35,7 37 24,3
Alimentari e affini 315 20,6 375 24,3 592 32,4 1.282 27,1
Amministrazioni statali ed Enti Pubblici
290 11,4 139 23,0 435 14,7 864 14,9
Carta – editoria 35 28,6 51 25,5 78 21,8 164 24,4
Chimica, gomma ecc. 229 24,0 276 25,4 439 30,5 944 27,4
Commercio 2.038 31,9 2.579 35,4 4.466 41,6 9.083 37,7
Credito ed Assicurazioni
35 25,7 34 23,5 41 34,1 110 28,2
Edilizia 681 3,1 972 4,2 1.686 4,0 3.339 3,9
Estrazione e trasformazione minerali
129 7,0 139 10,8 188 11,7 456 10,1
Legno, mobili 95 1,1 101 7,9 119 13,4 315 7,9
Metallurgia e Meccanica
832 17,7 942 16,8 1.327 17,7 3.101 17,4
Servizi 22 68,2 35 60,0 83 65,1 140 64,3
Tessile e Abbigliamento
570 34,7 1.218 36,3 1.896 41,8 3.684 38,9
Trasporti e comunicazioni 261 8,8 355 10,7 675 8,0 1.291 8,9
Varie 446 40,1 426 41,3 452 40,5 1.324 40,6
Lavoratori Domestici 5.097 67,0 5.446 68,8 5.811 69,1 16.354 68,4
Operai Agricoli 1.017 14,6 1.294 14,2 1.606 12,5 3.917 13,6
Prosecutori Volontari 5 80,0 6 66,7 6 66,7 17 70,6
Totale 12.108 41,2 14.400 41,4 19.914 39,8 46.422 40,7
Fonte: elaborazione personale su dati INPS.
445
Per quanto riguarda le collocazioni lavorative, la tabella 5.10 mostra che la
quota di lavoratori più numerosa è costituita dai lavoratori domestici, pari a
più di 16.000, di cui più dei due terzi sono rappresentati da lavoratrici.
Il settore rappresentato dai lavori domestici, dunque, contando il 35 per
cento dei lavoratori extracomunitari registrati presso l’INPS in Campania,
rappresenta la principale collocazione lavorativa degli extracomunitari
presenti in regione.
Il comparto del commercio che comprende anche le posizioni lavorative
relative al settore della ristorazione e dell’alberghiero, con quasi il 20 per
cento del totale delle posizioni lavorative registrate, è il secondo settore
d’inserimento occupazionale. La quota femminile, in questo caso, scende al
38 per cento.
Per quanto riguarda le posizioni lavorative registrate come operai agricoli
occorre ricordare che in questo settore la non contrattualizzazione e il livello
di informalità delle relazioni lavorative è abbastanza elevato, per cui il
numero di occupati in agricoltura in Campania è sicuramente sottostimato,
nonostante ciò esso rappresenta il terzo ambito occupazionale di inserimento
dei lavoratori extracomunitari.
Lo stesso discorso vale anche per il settore edile che, come l’agricoltura, si
conferma come un tradizionale settore di collocazione occupazionale,
soprattutto nelle prime fasi dell’esperienza migratoria. Infine, occorre citare
la crescente significatività del settore metallurgico e tessile come ambito
occupazionale. La presenza marocchina mostra un inserimento lavorativo
molto simile a quello del resto dell’immigrazione in Campania.
Dalla tabella 5.11 si rileva che anche i cittadini marocchini dipendenti da
aziende e iscritti all’INPS rappresentano una parte significativa della
presenza marocchina in Campania e che anche in questo caso tale quota si
concentra soprattutto nella provincia napoletana.
La crescente significatività della quota di immigrati marocchini alle
dipendenze indica, inoltre, che anche in Campania si è potuto registrare un
percorso lavorativo ascendente e una buona integrazione lavorativa di una
significativa quota della popolazione marocchina.
446
Tabella 5.11 - Lavoratori maghrebini dipendenti per sesso e per provincia. Anni 1999 - 2001
Marocco
Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale
MF % F MF % F MF % F MF % F MF % F MF % F
1999 48 22,9 51 27,5 187 17,6 367 15,8 399 11,5 1.052 15,4
2000 59 22,0 59 30,5 196 20,9 376 17,0 468 13,7 1.158 17,3
2001 71 26,8 67 29,9 238 16,8 502 15,1 519 13,5 1.397 16,1
Totale 178 24,2 177 29,4 621 18,4 1.245 15,9 1.386 13,0 3.607 16,3
Algeria
Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale
MF % F MF F % MF % F MF % F MF % F MF % F
1999 11 0,0 9 0,0 134 1,5 309 2,9 77 0,0 540 2,0
2000 15 0,0 13 7,7 135 1,5 275 3,3 85 1,2 523 2,5
2001 17 11,8 23 0,0 202 1,0 391 3,8 95 3,2 728 3,0
Totale 43 4,7 45 2,2 471 1,3 975 3,4 257 1,6 1.791 2,6
Tunisia
Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale
MF % F MF % F MF % F MF % F MF % F MF % F
1999 21 9,5 23 13,0 193 5,7 275 6,5 116 12,9 628 7,8
2000 23 4,3 34 8,8 243 4,5 299 9,0 128 14,8 727 8,4
2001 31 9,7 26 11,5 304 3,0 358 13,4 133 11,3 852 9,2
Totale 75 8,0 83 10,8 740 4,2 932 10,0 377 13,0 2.207 8,5
Fonte: elaborazione personale su dati INPS.
La tabella 5.12 illustra bene questo processo evidenziando come anche il
contributo della componente femminile dell’immigrazione marocchina sia
risultato sempre più importante negli ultimi anni.
Innanzitutto, dalla tabella è possibile individuare le mansioni lavorative
svolte dai cittadini marocchini nella regione Campania. Anche nel caso dei
marocchini la scarsa incidenza delle occupazioni agricole non è dovuta ad
una bassa presenza della manodopera marocchina in questo campo ma
testimonia piuttosto come l’informalità dei rapporti di lavoro in questo campo
sia elevata.
447
Tabella 5.12 - Lavoratori marocchini dipendenti per sesso e per settore. 1999 - 2001
1999 2000 2001 Totale
MF % F MF % F MF % F MF % F
Agricoltura 1 0,0 2 0,0 0 0,0 3 0,0
Alimentari e affini 50 16,0 47 21,3 49 16,3 146 17,8 Amministrazioni statali ed Enti Pubblici
13 0,0 10 0,0 15 0,0 38 0,0
Carta – editoria 0 0,0 2 0,0 2 0,0 4 0,0
Chimica, gomma ecc. 28 7,1 27 11,1 26 11,5 81 9,9
Commercio 170 20,0 202 24,3 260 22,3 632 22,3
Credito ed Assicurazioni 0 0,0 0 0,0 0 0,0 - 0,0
Edilizia 108 0,0 150 3,3 171 1,8 429 1,9 Estrazione e trasformazione minerali
22 4,5 19 5,3 20 5,0 61 4,9
Legno, mobili 18 0,0 14 0,0 14 7,1 46 2,2
Metallurgia e Meccanica 34 2,9 45 6,7 75 9,3 154 7,1
Servizi 1 0,0 3 33,3 4 0,0 8 12,5
Tessile e Abbigliamento 40 17,5 43 23,3 46 28,3 129 23,3
Trasporti e comunicazioni 32 0,0 50 10,0 73 4,1 155 5,2
Varie 33 21,2 33 24,2 44 25,0 110 23,6
Lavoratori Domestici 118 58,5 103 67,0 113 68,1 334 64,4
Operai Agricoli 384 8,6 408 8,8 485 8,2 1.277 8,5
Totale 1.052 15,4 1.158 17,3 1.397 16,1 3.607 16,3
Fonte: elaborazione personale su dati INPS.
Anzi bisogna rilevare che le occupazioni nel settore agricolo sono state le
prime opportunità lavorative per i cittadini marocchini che si trovavano e si
trovano agli esordi del loro precorso migratorio in Campania come rilevato
dalle prime ricerche2.
La principale modalità di inserimento lavorativo, ed anche la più antica, dei
cittadini marocchini in Campania è rappresentato dal lavoro autonomo che in
alcuni casi è sfociato in una vera e propria attività imprenditoriale.
Il lavoro autonomo per i marocchini significa soprattutto commercio,
prevalentemente ambulante ma che in molti casi con il passare del tempo ha
assunto forme più stabili e redditizie.
2 de Filippo E., (1991), Schede riassuntive delle caratteristiche della presenza straniera nella regione, in Calvanese F., Pugliese E., (a cura di), (1991), La presenza straniera in Italia, Franco Angeli, Milano, pag. 133.
448
Tabella 5.13 – Imprese individuali attive con titolare nato in Marocco e registrate in Campania. Anno 2002
Agricoltura, caccia e silvicoltura 1
Attività manifatturiere 6
Costruzioni 9
Commercio all’ingrosso e dettaglio, ecc. 1.495
Alberghi e ristoranti 0
Trasporti, magazzinaggio e comunicazione 0
Intermediazione monetaria e finanziaria 0
Attività immobiliare, noleggio, informatica, ricerca 6
Istruzione 0
Sanità e altri servizi sociali 0
Altri servizi pubblici, sociali e personali 3
Imprese non classificate 1
Totale 1.521
Fonte: elaborazione personale su dati Camera di Commercio, Napoli, 2003.
La tabella 5.13 mostra come tutte le imprese individuali con titolare
marocchino siano concentrate nel commercio all’ingrosso ed al dettaglio, con
una bassa presenza nel settore manifatturiero e delle costruzioni. Inoltre,
sempre secondo i dati della Camera di Commercio, le imprese non individuali
con un componente marocchino sono 20 di cui 14 sono società cooperative a
responsabilità limitata, 4 associazioni ed infine 1 è una piccola società
cooperativa e 1 un consorzio. Queste 20 imprese si dividono in: 5 imprese
edili, 3 officine di riparazione, 8 imprese a carattere commerciale e 4
associazioni a carattere socio – culturale. Infine deve essere rilevato che
l’anno di fondazione di queste imprese si concentra nel 2000.
IL MODELLO MIGRATORIO MAROCCHINO IN CAMPANIA
In base a queste informazioni è possibile delineare il modello
dell’immigrazione marocchina in Campania che appare essere come la
risultante dell’interazione di tutti gli elementi economici, produttivi, politici e
sociali italiani con i progetti migratori, le caratteristiche demografiche e il
capitale umano e sociale degli immigrati arrivati in Italia. I caratteri
dell’inserimento lavorativo rappresentano il risultato sostanziale dei processi
di segmentazione orizzontale del mercato del lavoro italiano e delle
449
differenze economico-produttive interne alle diverse aree geografico-
territoriali a livello regionale e sub-regionale.
La consistente segmentazione del mercato del lavoro campano permette di
comprendere la coesistenza di forza lavoro immigrata e di forza lavoro
disoccupata autoctona, specialmente in alcune aree sub–regionali del
meridione. Ciò è spiegabile col fatto che in alcuni comparti produttivi i salari
sono spesso inferiori di quelli contrattuali di categoria e le condizioni di
lavoro - che spesso ne conseguono - non sempre rispecchiano le norme
standard di sicurezza e garanzia previste dalle normative di riferimento (in
quanto si tratta spesso di lavoro sommerso). Per tale ragione una parte dei
disoccupati autoctoni, soprattutto giovani di estrazione urbana, non
accettano i lavori disponibili con queste caratteristiche strutturali. A questa
tipologia di offerta di impiego rispondono invece positivamente gli immigrati
che in questa maniera si vedono garantito un trattamento economico
significativo e - tutto sommato – anche delle condizioni lavorative
generalmente superiori rispetto a quelle ottenibili nei paesi di provenienza.
Inoltre, fatto non secondario, gli immigrati – almeno per una fase del
processo di insediamento – tendono a comparare automaticamente le
remunerazioni e gli stipendi percepiti nel nostro paese con quelli che
percepivano nel paese di origine, considerando – anche se non sempre a
ragione - il differenziale salariale corrispondente (al lordo delle spese
correnti) come un significativo indicatore di benessere. Differenziale che
viene riscontrato dagli immigrati, tra le altre cose, secondo la percezione che
hanno – soprattutto nel breve periodo - di tutte le attività lavorative: da
quelle più dequalificate e precarie a quelle più qualificate e garantite sul
piano contrattuale e sindacale.
La collocazione lavorativa degli immigrati marocchini tende dunque a
rispecchiare, in linea generale, le trasformazioni che il mercato del lavoro ha
registrato – e continua a registrare – negli ultimi anni soprattutto in quelle
che hanno condotto ad una significativa riduzione della domanda di lavoro
della grande industria ed al contempo ad un progressivo aumento della
domanda (e del ruolo) della piccola e piccolissima industria e di quella
correlabile al settore terziario ed alla sua frammentazione produttiva. Una
parte significativa dei lavori disponibili – conseguenti in maniera diretta a
queste trasformazioni strutturali - vengono definiti molto spesso come
atipici, sia perché non collocabili nelle categorie professionali più tradizionali
450
(e per tale ragione hanno un carattere anche innovativo) e sia per la loro
varietà rispetto alle forme contrattuali consolidate (e per tale ragione
determinano conseguentemente una revisione sostanziale delle medesime).
Ciò che sembra tuttavia caratterizzarli in maniera trasversale è la loro alta
flessibilità (sia per le professioni più qualificate che per quelle meno
qualificate o per quelle del tutto prive di qualificazione), la loro temporaneità
di esercizio in quanto quasi sempre predefinita ma soggetta tuttavia a
rinnovi contrattuali (lavori a tempo determinato, quindi) e a volte anche per
la loro precarietà: sia economica che contrattuale. E nonostante gli immigrati
in generale, come anche quelli di nazionalità marocchina in particolare, siano
oramai impiegati in molti settori economici, le principali aree occupazionali
continuano ad essere, per le donne, il lavoro domestico e, per gli uomini,
l'edilizia, l'agricoltura e l’industria. Quest’ultima rappresenta per molti
immigrati l'esito di un processo di inserimento positivo nel mercato del
lavoro. Per gli immigrati provenienti dal Marocco occorre ricordare un altro
sbocco occupazionale molto importante nella regione Campania che è quello
rappresentato dal lavoro autonomo e dall’attività imprenditoriale nello
specifico. Sono proprio questi gli ambiti indagati durante la ricerca sul
campo.
451
5.1.2. Istituzioni, associazionismo e mediazione culturale: la
rete sociale di supporto dei cittadini marocchini residenti in
Campania
Catello Formisano
INTRODUZIONE
La necessità di analizzare le trasformazioni in atto nelle politiche di
accoglienza e di sviluppo che contraddistinguono questa fase particolare
delle relazioni internazionali tra stati, ci porta a focalizzare l’attenzione sulle
dinamiche locali che sono segnate in maniera preponderante dal dispiegarsi
di una serie di attività e progettualità che contribuiscono alla realizzazione di
quella che da più parti è definita come ”rete di accoglienza e di supporto” per
prevenire e risolvere dinamiche di esclusione e per favorire e promuovere
dinamiche di inclusione.
La rete di supporto nel contesto campano è ancora alle sue fasi iniziali. Le
politiche che sono nate sull’onda dell’arrivo di popolazioni di paesi stranieri
sono ancora in una fase che potremmo definire acerba. L’approccio
emergenziale ha da sempre contraddistinto lo svolgersi di qualsiasi politica
che volesse risolvere i molteplici problemi legati all’accoglienza, purtroppo la
maturità degli strumenti è ancora lontana da venire, si assiste a una serie di
interventi poco mirati e poco attenti che non danno corpo e sostanza
all’impalcatura legislativa ma piuttosto costituiscono altrettanti problemi
nella gestione equilibrata del fenomeno.
Con la nuova proposta di legge regionale sull’immigrazione la Campania sta
tentando di dotarsi di una regolamentazione che riesca a comprendere in sé
tutti quelli che sono i fenomeni legati all’accoglienza ed alla gestione ma
rimane comunque sullo sfondo l’importante questione legata proprio alla
gestione dei flussi ed alla legislazione in materia di permessi.
I diversi livelli in cui si articola istituzionalmente e legislativamente la
gestione del fenomeno immigrazione generano una serie di gap pratici che
vanno ad incidere inevitabilmente sulla struttura di tutti quei fenomeni che
tendono a costruire reti di supporto e di accoglienza. Infatti se da un lato, a
livello nazionale, si continuano ad avere atteggiamenti rigidi ed inflessibili
452
creando anche impianti legislativi che risultano inapplicabili in talune loro
predisposizioni, dall’altro, a livello regionale, si tenta di promuovere
strumenti duttili e di ampio respiro che riescano a dare forma a
comportamenti solidali e di accoglienza. Quindi, rigidità versus solidarietà
genera inevitabilmente tutta una serie di discrasie che sfociano
inevitabilmente in una gestione confusionaria e emergenziale dei fenomeni
che fa perdere completamente di vista la reale gravità dei problemi e le
possibili soluzioni alternative. In questo clima si collocano tutte le attività
della rete istituzionale locale, dell’associazionismo immigrato e di tutta quella
serie di interventi formativi che cercano di dare risposte concrete a semplici
domande che sono il più delle volte la necessità di trovare un lavoro, quella
di trovare un alloggio, quella di usufruire dei servizi sociali e sanitari di base.
Ma in ultima istanza anche quella di avere l’opportunità di crearsi una
propria professione, un proprio lavoro, che possa far essere un immigrato
imprenditore di se stesso.
Dunque le sfide sono molteplici ed il tempo per affrontarle non manca.
Importanti e significativi passi si sono indubbiamente già fatti, proviamo a
vederli più in dettaglio nelle pagine che seguiranno.
RETI DI SUPPORTO ISTITUZIONALI
“L’obiettivo è quello di delineare nella regione Campania un modello di accoglienza, di
inclusione sociale degli stranieri nel rispetto delle identità culturali, religiose e di genere,
quindi di convivenza, basato sulla definizione dei doveri e sull’affermazione o
l’estensione agli stranieri di alcuni principi fondamentali coerentemente a quanto
affermato anche nella legge 328/2000”3.
Capire quanto le istituzioni e le reti da esse sottese siano effettivamente
capaci di generare percorsi virtuosi di inserimento, che favoriscano anche
dinamiche di sviluppo tra paesi di provenienza e paesi di arrivo della
popolazione migrante, è comprendere essenzialmente la realtà delle
trasformazioni interne all’assetto dello stato sociale che l’Italia come gli altri
3 Giunta Regionale della Campania. Proposta di disegno di legge regionale. Misure regionali in materia di immigrazione e di integrazione sociale economica e culturale delle persone straniere presenti in Campania, Maggio 2004, p. 2.
453
paesi della Comunità Europea vivono in questi ultimi anni. Leggere il
rapporto tra istituzioni ed immigrati è un esercizio che va fatto per livelli
cercando di capire le ragioni, che sono in gran parte politiche, che portano
alla scelta di uno strumento piuttosto che di un altro e che di conseguenza
indirizzano la pratica dell’inclusione e dei rapporti tra immigrati e cittadini del
paese di accoglienza. La prima e più importante considerazione che va fatta
relativamente alle politiche è quella che le suddivide nelle cosiddette
migration policies e immigrant policies.
Con le prime sono da intendere tutti quei provvedimenti di carattere
legislativo diretti a regolare l’ingresso e le modalità di ingresso e di
fuoriuscita degli immigrati dal nostro paese, essi sono risultato di una
politica concordata a livello governativo e parlamentare, come nel caso del
nostro paese, e quindi non rientrano nella legiferazione locale.
Nelle seconde invece rientrano tutti quei provvedimenti che sono volti a
favorire l’inserimento e la stabilizzazione dei migranti nei contesti locali.
Per l’ente regionale le politiche per l'inclusione degli stranieri hanno come
obiettivi principali la garanzia dei diritti, la tutela dell'identità e la costruzione
di una serena convivenza tra cittadini di culture diverse.
Questi obiettivi sono raggiunti grazie all’utilizzo di risorse che vengono
assegnate sulla base di una programmazione attenta e localizzata, di attività
progettuali e interventi che vedono coinvolti enti locali, associazioni di
volontariato e associazioni degli immigrati.
In particolare la Regione Campania è dotata di due distinti organismi:
1. La Consulta degli immigrati, prevista dalla legge regionale 33/94,
deputata a garantire agli stranieri un'autonoma forma di protagonismo
nei rapporti con le istituzioni, le comunità locali, la società civile.
2. Il Servizio Gruppi Etnici, che cura la realizzazione di tutti gli atti
amministrativi collegati a queste attività, elabora le linee di indirizzo,
mantiene i rapporti istituzionali con altri settori dell'Assessorato, con
altre parti dell’amministrazione e con il mondo dell'associazionismo degli
immigrati e del volontariato.
Attraverso l’opera di questi organismi la Regione realizza tutta quella serie di
interventi che rientrano nella sfera delle attività dirette a favorire la
creazione di reti istituzionali intorno alla figura dell’immigrato, che
454
consentono un suo inserimento nella realtà locale e che gli garantiscono una
serie di servizi che gli danno la possibilità di godere appieno dei diritti propri
del suo status di cittadino italiano. Accanto a questi specifici interventi, nella
nuova Legge Regionale sull’immigrazione attualmente in discussione in
Giunta, si pongono anche nuove esigenze.
“Oltre alla programmazione ordinaria, la Regione provvede anche alla predisposizione
delle misure straordinarie per far fronte ad afflussi eccezionali di persone a seguito di
calamità naturali, guerre civili, persecuzioni razziali ed etniche.”
“Compito della Regione è anche quello dell’organizzazione della Conferenza annuale
sull’immigrazione - un momento di riflessione e di confronto per fare il punto sul
fenomeno a livello regionale - oltre che la promozione dell’associazionismo degli
immigrati ed il funzionamento della Consulta degli immigrati.”
A questi elementi si deve poi aggiungere la realizzazione degli interventi
mediati dalla messa a regime della legge sul riordino del sistema socio-
sanitario (legge 328/2000) come vedremo più avanti.
Breve descrizione della presenza
Prima di immaginare un qualsiasi tipo di intervento o anche di affrontare le
tematiche riguardanti i percorsi di stabilizzazione e di inclusione è opportuno
fare una rapida mappatura della presenza immigrata in Regione. Questo
anche in ragione del fatto che una qualsivoglia politica di lettura e di
attuazione di progetti non può prescindere dalla lettura delle realtà
oggettuali e cioè delle presenze vere e proprie.
Riferendoci ai dati del Dossier Statistico Caritas 2003, elaborati su cifre del
Ministero degli Interni, il totale degli stranieri in Campania al 2002
rappresenta il 3,9 per cento del totale nazionale, circa un punto percentuale
in meno rispetto al 2001.
La provincia di Napoli conta il 61,1 per cento (-3,8% rispetto alla stessa
percentuale regionale del 2001) delle presenze complessive d’immigrati in
Campania, seguita dalla provincia di Caserta con il 17,9 per cento (+0,9%),
di Salerno con il 12,9 per cento (+1,4%), di Avellino con il 6 per cento
(+1,2%) e di Benevento con il 2,1 per cento (+0,3%).
455
Dunque, in decremento appare solo la provincia di Napoli (che però, come
detto, attende di conoscere l’esito dell’iter del 54 per cento delle istanze
presentate a seguito della regolarizzazione introdotta dalla Legge 189/2002),
mentre si segnalano i trend positivi delle province di Salerno ed Avellino.
Tabella 5.14 - Ripartizione degli immigrati per province: valori
percentuali (1998-2002)
1998 1999 2000 2001 2002 v.a. del 2002
Avellino 3,4 3,4 4,0 4,8 6,0 3.461
Benevento 1,4 1,4 1,8 1,8 2,1 1.246
Caserta 20,1 20,1 17,8 17,0 17,9 10.497
Napoli 68,8 64,9 66,0 64,9 61,1 35.865
Salerno 9,3 9,3 10,4 11,5 12,9 7.572
Campania 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 58.641
Fonte: Caritas/ Dossier Statistico Immigrazione.
La ripartizione delle comunità straniere in Campania, vede collocarsi, al
primo posto, i Paesi della Europa Centro-Orientale con il 20,6 per cento di
presenze. Il gruppo più numeroso è quello albanese con il 6,5 per cento di
presenze su tutto il territorio regionale. A Napoli è sorta, recentemente, la
prima associazione di albanesi della regione, l’Associazione “Arberia”.
Tabella 5.15 - Soggiornanti per province 2002/2001 al 31.12.2002
su dati nazionali
2002 % 2001 % Variazione 2002/2001 v.a
Avellino 3.461 0,2 3.106 0,2 11,4 355
Benevento 1.246 0,1 1.183 0,1 5,3 63
Caserta 10.497 0,7 10.840 0,8 -2,7 -292
Napoli 35.865 2,4 41.251 3 -13,1 -5.386
Salerno 7.572 0,5 7.301 0,5 3,7 271
Campania 58.641 3,9 63.681 4,7 -7,8 -4.989
ITALIA 1.515.163 100,0 1.362.630 100,0 11,2 152.533
Fonte: Caritas/ Dossier Statistico Immigrazione.
456
Un’altra forte rappresentanza di immigrati dell’Est Europa è quella polacca,
con una presenza del 5,4% sul territorio campano, una comunità questa
prevalentemente femminile, che da molti anni si è integrata sul territorio.
La maggioranza dei polacchi risiede a Napoli, con una presenza di
soggiornanti di 1.689 unità. A partire dalla fine degli anni ’90, si è fatta
sempre più forte ed insistente sul territorio campano la presenza di cittadini
originari dell’Ucraina, in prevalenza donne. Tra l’altro, quella campana risulta
essere forse la più numerosa colonia di ucraini in Italia.
Tabella 5.16 - Prime tre comunità di soggiornanti nelle province
campane (a parte USA).
Provincie Nazioni Presenze Nazioni Presenze Nazioni Presenze
Avellino Cina Popolare 607 Marocco 563 Albania 497
Benevento Marocco 258 Albania 169 Romania 104
Caserta Albania 1.649 Marocco 1.191 Polonia 732
Napoli Sri Lanka 4.262 Cina Popolare 2.549 Polonia 1.689
Salerno Marocco 1.836 Ucraina 503 Albania 472
Fonte: Caritas/ Dossier Statistico Immigrazione.
I Paesi dell’Africa Settentrionale hanno anch’essi un gran numero di
soggiornanti nella regione Campania, con il 16,5 per cento delle presenze sul
territorio.
In particolare i maghrebini sono stati i primi ad insediarsi nella regione, in
special modo a Napoli, fin dagli inizi degli anni settanta, svolgendo attività di
commercio ambulante. La rappresentanza più grande è quella marocchina
(9,3% degli immigrati presenti in Campania) con 1.836 presenze nella
provincia di Salerno, distribuite tra il capoluogo e la Piana del Sele, e 1.652
presenze nella provincia di Napoli. In netta e costante espansione anche i
cittadini provenienti dall’Asia Orientale.
La loro presenza raggiunge la percentuale regionale del 10,4 per cento. Alla
“storica” presenza dei filippini presenti con 2.125 unità su tutto il territorio
regionale (1.391 nella provincia di Napoli) si è aggiunta negli ultimi anni la
presenza di cittadini cinesi.
Sul territorio campano se ne contano 3.603 di cui il 70 per cento risiede nella
provincia di Napoli.
457
L’Asia Centro Meridionale ed i paesi del subcontinente indiano rappresentano
il 9,8 per cento delle presenze. I cittadini dello Sri Lanka rappresentano il
7,5 per cento di tutti gli immigrati presenti in Campania.
Sono per lo più presenti a Napoli, con 4.262 presenze (su 4.436 complessive
in regione), il che ne fa la seconda comunità del Napoletano. Quella dello Sri
Lanka, a Napoli, è una delle comunità più antiche e solide: hanno diversi
mediatori culturali che collaborano con sindacati ed enti locali ed un
consolato onorario molto attivo.
Qualche cenno merita anche la presenza d’immigrati provenienti dall’Africa
Occidentale e dall’America Centro Meridionale.
Tra le comunità più presenti i nigeriani, che costituiscono il 2 per cento del
totale regionale, i senegalesi, con l’1,9 per cento, i capoverdiani con l’1,6 per
cento.
Tra i centro-sudamericani spiccano la comunità dominicana, che costituisce
l’1,5 per cento del totale regionale, i brasiliani con l’1,3 per cento, i peruviani
con lo 0,9 per cento. E’ necessario poi sottolineare la crescente presenza di
rom che si colloca in prevalenza sui territori di Napoli e di Caserta.
Questa comunità è in costante crescita ed invita a riflettere su un nuovo
insieme di problemi e di criticità che interesseranno di qui a poco la
riorganizzazione delle politiche per l’accoglienza.
Resta comunque da sottolineare come il carattere distintivo
dell’immigrazione in Campania sia proprio il graduale e robusto processo di
inclusione e di stabilizzazione dei percorsi che caratterizzano le storie
migratorie di tutte le nazionalità presenti sul territorio.
Interventi e risorse a favore della popolazione immigrata
Analizzata in dettaglio la composizione della presenza proviamo ora a
delineare l’insieme degli interventi finalizzati a creare la rete di inclusione e
di conseguenza il tessuto sociale entro il quale si colloca l’immigrato
presente sul territorio della Regione Campania.
Un primo elemento da sottolineare riguarda l’origine delle risorse utilizzate
dalla Regione che sono in parte di provenienza statale, in particolare quelle
date dal fondo per le Politiche Sociali, in parte frutto di linee di bilancio
regionale.
458
Questi fondi vengono ad essere utilizzati tramite Linee Guida approvate
annualmente dalla Giunta Regionale. Le Linee guida si muovono nell’ambito
di una serie di aree di intervento che possono così esser schematicamente
descritte:
a. Accoglienza: è un supporto necessario ai percorsi d’inclusione, i servizi
ad essa collegati rappresentano lo strumento fondamentale per
diffondere, nel territorio, azioni, opportunità e risorse capaci di
rispondere ai bisogni, sia materiali che immateriali, dei cittadini
migranti. Ma l’aspetto che più di tutti caratterizza la politica di
accoglienza in questi anni è sicuramente quello relativo agli alloggi che
sono sempre più visti come una condizione essenziale per supportare il
sempre più marcato processo di stabilizzazione che contraddistingue
l’immigrazione in Regione.
b. Servizi innovativi per l’immigrazione: in questa categoria di interventi
rientrano tutte le sperimentazioni innovative in grado di creare canali di
comunicazione tra i destinatari degli interventi ed il territorio. I servizi
che sono realizzati devono intervenire nei confronti di tutte quelle
barriere che impediscono ai migranti di entrare in contatto con le
istituzioni abbassando le soglie di accesso.
c. Aiuto all’inserimento lavorativo: l’inserimento lavorativo e le sue
condizioni sono il vero perno del processo d’inclusione. Gli interventi di
quest’area sono essenziali e costituiscono uno dei più importanti passi
da compiersi per passare da una politica di buoni propositi ad una
politica di reali opportunità. Le opportunità sono costruite attraverso una
saldatura tra le politiche del lavoro e le politiche d’integrazione sociale,
con azioni rivolte, tra l’altro, a favorire l’emersione del lavoro nero e a
garantire servizi innovativi d’orientamento e formazione professionale.
d. Interculturalità: in quest’area sono collocati interventi strategici per
agevolare conoscenze reciproche e scambi culturali, al fine di superare
diffidenze, prevenire comportamenti discriminatori e contribuire ad una
ordinata convivenza. Una diffusa coscienza del rapporto fra culture
diverse si esplica con modalità ed in ambiti differenziati, realizzando
interventi per favorire la comunicazione, l’informazione, la riduzione
delle barriere linguistiche e culturali, la tutela delle identità, nonché
potenziando azioni legate alla mediazione culturale.
459
e. Pari opportunità: più che una serie di interventi le pari opportunità sono
da intendersi come elemento fondante e trasversale di tutte le aree di
intervento fin qui indicate. Esse devono consentire la promozione di
azioni positive per l’inserimento nel tessuto sociale e lavorativo delle
donne immigrate. Servono ad attivare percorsi di accompagnamento in
grado di sviluppare autonomia, iniziativa, creatività, al fine di
contrastare il fenomeno della disparità e dell’esclusione.
Le aree di intervento così delineate confluiscono in una strategia locale,
articolata e continua, mirante all’inclusione sociale, culturale e lavorativa
delle cittadine e dei cittadini migranti extracomunitari presenti sul territorio e
rappresentano un segmento operativo del processo di sviluppo locale che
s’intende potenziare sul territorio regionale. Gli ambiti territoriali (delineati
dalla 328/2000) sono chiamati ad esercitare stimolo e raccordo con i
soggetti istituzionali e sociali, attraverso una progettazione partecipata, che
distribuisca ruoli, responsabilità, competenze e risorse: progettazione
indirizzata a potenziare interventi che aiutino, nel rispetto delle diverse
culture ed identità, a fare della Campania un modello di comunità basata su
nuove forme di convivenza ed interazione. Il sostegno finanziario è dato da
una quota delle risorse destinate dallo Stato alle politiche migratorie (fondo
nazionale - art. 45 del D. L.vo. 286/98) e dal relativo cofinanziamento
regionale, che è ripartita in base al numero degli immigrati presenti sul
territorio di riferimento. La progettazione presentata dai 43 ambiti è valutata
con criteri prestabiliti; in caso di valutazione negativa le risorse individuate
sono destinate alle attività di concertazione, gestite dall’Assessorato
all’Immigrazione. A tal fine, si è stabilito che il competente Settore
Osservatorio del Mercato del Lavoro e dell’Occupazione – Servizio Gruppi
Etnici, in raccordo con le “Linee d’indirizzo per le politiche migratorie
finalizzate al potenziamento degli interventi d’inclusione sociale, culturale,
lavorativa” – Programma Regionale anno 2002, in corso di elaborazione,
avrà cura di far pervenire, nel minor tempo possibile, dettagliata
documentazione riferita alla presentazione delle proposte progettuali con
relativa articolazione delle fasi operative e di valutazione. Dal 2001 ad oggi
sono stati finanziati da parte della Regione Campania 207 progetti nel
settore dell’immigrazione, di essi 39 sono stati completati, 121 sono in corso
e 47 in fase di avviamento. Nella suddivisione dei fondi per i vari interventi
460
le percentuali sono così ripartite: 45 per cento per l’accoglienza, 4 per cento
per l’emersione dal disagio, il 14 per cento per l’istruzione e l’intercultura, il
12 per cento per la comunicazione, l’8 per cento per le ricerche, l’8 per cento
per la salute, il 9 per cento per il lavoro e la formazione.
Tabella 5.17 - Interventi realizzati dalla Regione Campania.
Tipo di intervento Contributo
Regione Contributo Regione %
Numero Progetti Finanziati
Accoglienza 4.739.071 44,49 96
Lavoro 385.383 3,62 14
Intercultura-Istruzione 1.533.257 14,39 47
Emersione - disagi 456.578 4,29 5
Salute 803.303 7,54 9
Programmazione
Politiche
897.374 8,42 13
Formazione 526.856 4,95 11
Comunicazione 1.309.594 12,30 12
Totale 10.651.416 100 207
Fonte: Politiche per l’immigrazione in Campania - Primo bilancio di 4 anni di attività. Giunta regionale della Campania
Dalle percentuali risulta evidente un interesse spiccato per le attività che
riguardano l’accoglienza e l’istruzione ciò anche in relazione al fatto che sono
proprio queste le principali tipologie di intervento su cui far leva per attivare,
perlomeno nella fase attuale, significativi processi di integrazione retti in
prima istanza sul confronto culturale. Ma oltre a queste particolarità se si
analizzano più in dettaglio le spese ci si rende conto anche della diversità di
impegno finanziario per provincia.
Tabella 5.18 - Contributo e progetti per provincia.
Provincia Contributo (Euro) Contributo % Numero Progetti
Avellino 373.967 3,51 18
Benevento 219.164 2,06 7
Caserta 2.067.651 19,41 45
Napoli 6.005.933 56,39 100
Salerno 1.984.701 18,63 37
Totale 10.651.416 100 207
Fonte: Politiche per l’immigrazione in Campania - Primo bilancio di 4 anni di attività. Giunta regionale della Campania.
461
E ancor più interessante è la tipologia di progetto per provincia. Risulta
dunque che la maggioranza dei progetti si realizza a Napoli e che la tipologia
di progettualità che va sotto la voce di accoglienza risulta quella
maggioritaria per tutte le province.
Tabella 5.19 - Progetti per area di intervento e per provincia.
Provincia
Area di Intervento AV BN CE NA SA Totale
Accoglienza 11 3 18 38 26 96
Lavoro 2 3 5 4 14
Intercultura -Istruzione 2 4 14 22 5 46
Emersione - disagi 1 4 5
Salute 1 8 9 Programmazione Politiche 1 5 6 1 13
Formazione 1 2 8 11
Comunicazione 1 1 9 1 12
Fonte: Politiche per l’immigrazione in Campania - Primo bilancio di 4 anni di attività. Giunta regionale della Campania.
Altra importante caratteristica delle progettualità riguarda la tipologia di
soggetti che beneficia degli interventi posti in essere (tab. 5.20).
Tabella 5.20 - Progetti per soggetti destinatari.
Destinatari Progetti Progetti %
Immigrati 145 70,05
Donne immigrate 11 5,31
Minori Immigrati 23 11,11
Immigrati con disagi 5 2,42
Richiedenti asilo-profughi 2 0,97
Rom 7 3,38
Docenti 13 6,28
Operatori 1 0,48
Totale 207 100
Fonte: Politiche per l’immigrazione in Campania - Primo bilancio di 4 anni di attività. Giunta regionale della Campania.
462
E’ da notare l’alta percentuale di progetti destinati ai minori, questo risulta di
particolare rilevanza considerando anche le caratteristiche che
l’immigrazione sta assumendo in Campania, a tal proposito è interessante
confrontare anche i dati relativi alla presenza scolastica degli alunni stranieri.
Nelle tabelle 5.21 e 5.22 si evidenzia l’elevato numero di alunni stranieri
presenti nelle scuole della regione.
Tabella 5.21 - Distribuzione di alunni stranieri nelle scuole della
Campania per provincia e area geografica di provenienza
Benevento Caserta Napoli Salerno Totale
America Latina 1 12 84 10 107
Cittadinanza Italiana 2 90 106 24 222
Europa dell'Est 39 183 252 51 525
Europa dell'Ovest 2 7 35 5 49
Nord Africa 19 86 61 44 210
Africa Centro Sud 0 14 28 0 42
Altro 0 4 12 0 16
Asia 0 18 246 22 286
Totale 63 414 824 156 1.457
Fonte: Irrsae Campania - Anno scolastico '98-'99.
I tre principali agglomerati si riferiscono ai paesi del Nord-Africa, dell’Europa
dell’Est e della Asia confermando così le tendenze migratorie che interessano
tanto la regione quanto l’Italia intera.
Tabella 5.22 - Distribuzione di alunni stranieri nelle scuole della
Campania per provincia e tipologia di scuola*
Materne Elementari Medie Totale
v.a. v.% v.a. v.% v.a. v.% v.a. v.%
Benevento 11 5,4 37 4,2 15 4,0 63 4,3
Napoli 99 49,0 517 59,0 208 55,0 824 56,6
Caserta 66 32,7 245 27,9 103 27,2 414 28,4
Salerno 26 12,9 78 8,9 52 13,8 156 10,7
Totale 202 100,0 877 100,0 378 100,0 1.457 100,0
Note: (*) Il dato si riferisce al 58,6% del totale delle scuole della regione. Fonte: Irrsae Campania - anno scolastico '98-'99.
463
E’ dunque varia e variegata la tipologia di interventi che l’istituzione mette in
atto per favorire la stabilizzazione e l’integrazione della popolazione
migrante. Come ha avuto modo di dichiarare l’Assessore alle Politiche sociali
della Regione Campania le attività e gli interventi non vanno semplicemente
studiati a tavolino e quindi calati dall’alto, ma vanno piuttosto condivisi e
concertati, vanno calibrati sui bisogni effettivi e quindi realizzati tenendo
presente sempre e comunque la imprescindibile fluidità che caratterizza i
movimenti migratori.
L’immigrazione per la Regione Campania rimane tra le priorità in agenda, le
politiche e gli interventi che nascono o nasceranno per realizzare a livello
locale una società basata sui diritti di cittadinanza e di eguaglianza devono
superare la fase iniziale di conoscenza del fenomeno e passare
dall’accoglienza all’integrazione, dalla gestione di semplici numeri alla
realizzazione di interventi di qualità. Il passaggio sarà probabilmente
segnato dalla nuova Legge regionale sull’immigrazione, ma già adesso con i
fenomeni dell’associazionismo migrante e con la nascita di percorsi formativi
dedicati a professionisti della mediazione culturale si sono fatti enormi
progressi e altri se ne faranno.
La popolazione marocchina rappresenta sicuramente una delle prime
comunità che hanno trovato accoglienza in Regione e che hanno contribuito
a far nascere numerose iniziative. I marocchini hanno costituito gran parte
della prima ondata migrante ed attualmente sono tra i cittadini stranieri che
per primi hanno ottenuto permessi di soggiorno e che ancora riescono ad
inserirsi ed integrarsi in maniera agevole nel tessuto sociale e produttivo
campano grazie anche al supporto di reti amicali e di conoscenza. Ma si
deve comunque sottolineare che i marocchini attualmente non costituiscono
un gruppo di grande presenza nella Regione poiché, essendo tra i primi ad
arrivare, sono stati anche tra i primi ad abbandonare la Campania non
appena hanno avuto la possibilità di ottenere lavori qualitativamente
migliori. I giovani marocchini che ancora arrivano sono spesso impiegati in
agricoltura o in piccole fabbriche ed officine.
La rete istituzionale si forma intorno a loro grazie all’ausilio di una decennale
esperienza accumulatasi per merito dell’azione sindacale ma anche degli enti
cattolici e laici. Ed è proprio dell’azione associativa che andremo a parlare
nel prossimo capitolo.
464
ASSOCIAZIONI E IMMIGRATI: UNA RETE INFORMALE DI SUPPORTO
E SVILUPPO
L’associazionismo rappresenta uno degli strumenti principali e forse più
facilmente attuabili per consentire la partecipazione sociale degli immigrati;
ad esso si associa il più delle volte la presenza e l’efficacia degli organismi di
tipo sindacale e delle strutture promosse dalla Chiesa.
Le associazioni di cittadini stranieri in Italia sono 893, concentrate in misura
maggiore nel Centro-Nord e nel Nord-Ovest. Nel Meridione, invece, gli
immigrati stentano a radicarsi. Sono i dati che emergono da un censimento
promosso dal Cnel4.
Grafico 5.2 - Associazioni Marocchine presenti in Italia.
4 CNEL (2001), Le associazioni dei cittadini stranieri in Italia, Roma.
465
Lo studio traccia una mappa completa dell'associazionismo straniero nelle
sue diverse forme, e sottolinea come gli immigrati riescano ad inserirsi
meglio nel Nord del paese, mentre incontrano maggiori difficoltà ad
organizzarsi e ad associarsi nel Meridione.
La maggior parte delle associazioni straniere si concentra nel Centro-Nord e
nel Nord-Ovest dove, in percentuale sul totale, sono rispettivamente il 29,8
per cento e il 29,3 per cento, contro il 14,4 per cento del Centro l'11 per
cento del Nord-Est, l'8,5 per cento del Sud e il 6,9 per cento delle Isole.
Bisogna tenere presente, tuttavia, che nel Nord-Ovest si registra il numero
maggiore di stranieri, mentre al Centro risulta più alta la presenza di
cittadini stranieri se calcolata rispetto alla popolazione residente.
Grafico 5.3 - Principali città per numero di associazioni dei cittadini
stranieri residenti.
In generale, le associazioni tendono a concentrarsi nei grandi centri (Milano,
Roma, Torino, Firenze), ma se al Centro e nel Nord-Ovest sorgono
soprattutto nei capoluoghi di regione, nelle altre aree sono preferite le città
di provincia. Guardando al "colore" delle associazioni, cioè alla provenienza
degli associati, emerge come quelle africane rappresentino la maggioranza
466
(39,7%), seguite da quelle asiatiche (12,8%), da quelle dell'Est Europa e
dell'America Latina (5,7% rispettivamente).
Ma più di un terzo (36,1%) è rappresentato da associazioni nate all'interno
di strutture italiane o miste, che fanno riferimento a più gruppi stranieri. In
particolare, le comunità rappresentate sono in tutto 68 e tra queste le
principali sono: marocchine (6,6%), arabe (6,5%), senegalesi (5,7%),
albanesi (3%), nigeriane (2,7%), ivoriane (2,2%), peruviane e cingalesi
(2%), filippine, tunisine ed egiziane (1,9%).
Per quanto riguarda il tipo di appartenenza, prevalgono le associazioni
etniche (60,7%), seguite da quelle multietniche (25,6%) e interetniche
(14,5%), che prevedono la collaborazione tra nazionalità diverse.
Se si considerano invece le finalità delle associazioni, il 26,4% sono di tipo
comunitario (dove il legame si basa soprattutto sull’origine comune del
gruppo), il 22,4 per cento socio-culturali, il 14,5 per cento socio-sindacali, il
12,9 per cento culturali, il 12,3 per cento religiose e l'11,4 per cento sociali.
Tra quelle religiose, 7 su 10 sono mussulmane, mentre tra le finalità sociali
più perseguite figurano: il lavoro (10%), la cooperazione con i paesi in via di
sviluppo (7,4%), la solidarietà (5,7%), la questione femminile (4,7%) e le
cause politiche (3,7%).
La realtà dell’associazionismo la si può leggere seguendo diverse
prospettive, e cioè guardando i luoghi - regioni, province, città e paesi -
dove le associazioni tendono a concentrarsi maggiormente, oppure ponendo
in relazione il numero delle associazioni con quello dei cittadini italiani e/o
stranieri. Interessante è, anche in questo caso, leggere i dati in relazione
agli abitanti residenti ed al numero degli immigrati presenti.
Va premesso che il Nord-Ovest è l’area dove vi il numero maggiore di
stranieri, mentre il Centro è quella dove è superiore la presenza di cittadini
extracomunitari calcolata sul numero di residenti.
Detto ciò, incrociando il dato sulla presenza di associazioni con quello dei
residenti italiani, si nota che il Centro-Nord diventa l’area dove c’è la
concentrazione maggiore, seguito dal Centro, dal Nord-Ovest, dal Nord-Est,
dalle Isole e dal Sud.
La graduatoria si modifica se il numero delle associazioni viene incrociato
con la presenza straniera. Il Centro-Nord continua a rimanere al primo
posto, così come il Nord-Ovest al terzo e il Nord-Est al quarto.
467
Retrocede invece al sesto posto il Centro, mentre le Isole salgono al secondo
e il Sud al quinto. Emerge dunque ancora una volta come nelle zone centrali
ed inferiori della penisola gli immigrati trovino maggiori difficoltà ad
organizzarsi e ad associarsi e quindi si presume anche a rappresentarsi
all’interno della contesto in cui vivono.
E’ quindi indubbia la differenza che si pone davanti agli occhi di chi tenta di
descrivere in maniera articolata il quadro dell’associazionismo immigrato. Ma
è anche indubbio il valore che queste forme organizzative rivestono nelle
prassi dialettiche tra istituzioni, enti e comunità straniere.
In un recente saggio sull’associazionismo immigrato5 Francesco Carchedi
afferma:
“Le organizzazioni degli immigrati, nelle loro differenti forme, rappresentano un
referente significativo, sia per le comunità di appartenenza delle stesse, che per le
istituzioni locali, per il ruolo di mediazione che esprimono. La loro distribuzione sul
territorio nazionale non è omogenea e riflette le caratteristiche e la propensione
organizzativa delle collettività [nazionali degli immigrati] maggiormente presenti nei
differenti contesti, nonché il loro grado di inserimento a livello socio-economico, la loro
anzianità di insediamento e la loro capacità di attivare strategie finalizzate alla
costruzione di alleanze con le organizzazioni locali”.
Ma ancora più avanti Carchedi evidenzia alcuni aspetti altrettanto importanti
della conformazione dell’universo associativo immigrato:
“Le regioni a più alta presenza di organizzazioni che intervengono in favore delle
collettività immigrate, sia di italiani che di stranieri, sono il Piemonte, il Lazio, la
Lombardia e l’Emilia-Romagna, seguono il Veneto e la Toscana; [si tratta delle stesse]
regioni dove è maggiore la loro concentrazione quantitativa. […] Dalla ricerca risulta
intorno a 1.000 unità il numero di associazioni di e per immigrati in Italia, mentre in
complesso l’universo del no profit […] comprende circa 13.000 organizzazioni.
Un’organizzazione su tredici opera dunque nel settore dell’immigrazione in maniera
diretta e quasi specialistica. Si tratta sostanzialmente di quelle organizzazioni,
specialmente tra quelle composte da immigrati, che hanno raggiunto soglie consistenti
di visibilità al punto da essere intercettabili e censibili all’esterno. In pratica
rappresentano la parte emergente dell’arcipelago associativo di origine immigrata più
5 Pugliese E., (a cura di), (2000), Rapporto Immigrazione. Lavoro, sindacato, società, Ediesse, Roma.
468
dinamico e variamente partecipativo, ma strettamente correlato ad altre organizzazioni
più piccole, di carattere informale, dai confini flessibili e immerse nelle rispettive
comunità di appartenenza”.
E’ quindi interessante notare questi livelli di aggregazione ma anche di
conformazione, difatti se da un lato vi è un livello che potremmo definire
legale e formale dall’altro vi è un livello che sottende relazioni informali e
che si situa all’interno delle comunità di appartenenza.
L’incrociarsi di queste dimensioni genera tutta una serie di reti di conoscenza
che riescono ad assicurare all’immigrato un supporto notevole nei suoi
rapporti con i diversi attori istituzionali e non con cui entra in contatto.
Ed è proprio questo particolare livello che interessa la logica di integrazione.
In un’altra ricerca curata sempre dal CNEL6 ed effettuata dalla CRODES si
mette in evidenza proprio la correlazione tra processo di integrazione e di
rappresentanza che si sviluppano parallelamente lungo un percorso in cui si
individuano tre stadi che possiamo così denominare: l’inserimento, la
rappresentanza e la cittadinanza.
A) Nelle prime fasi dell’inserimento in Italia, quando le esperienze di
socializzazione degli immigrati si realizzano in luoghi e modalità per lo più
informali, in stretto rapporto quindi con i legami di carattere etnico e
parentale, emerge con chiarezza il peso del contesto etnico-culturale di
partenza. Per alcuni, i rapporti familiari paiono configurarsi come momento
di auto-identificazione e di riproduzione delle interrelazioni sociali e culturali
vigenti nel paese di origine. Ciò pare particolarmente vero, ad esempio, tra
gli immigrati di origine cinese, che la distanza culturale ed antropologica con
la popolazione locale induce in misura maggiore a modelli comportamentali
autoreferenziali di tipo etnico.
B) Il rapporto con la popolazione autoctona, riceve, in seguito, impulsi
significativi dalla crescita progressiva del radicamento nel tessuto sociale del
paese di immigrazione. È in questa fase che si sviluppano le prime forme di
partecipazione degli immigrati agli organismi di rappresentanza, spesso
fondati su base nazionale, che sono fortemente cresciuti negli ultimi cinque
6 CNEL, (2000), La rappresentanza diffusa. Le forme di partecipazione degli immigrati alla vita collettiva, Roma.
469
anni ed in fase di ulteriore crescita, secondo gli intervistati. Le istanze di
rappresentanza più evolute, che sfociano in un rapporto concreto con
strutture ed organismi presenti sul territorio, traggono la propria origine da
motivazioni collegate, prioritariamente, alla volontà di vedere riconosciuti i
propri diritti in quanto soggetti che partecipano pienamente alla vita sociale
e produttiva del Paese ospitante, a partire da quelli legati al permesso di
soggiorno ed alla casa.
C) In una fase ulteriore emergono comportamenti volti ad esprimere una
domanda di cittadinanza, che tende a prescindere nella maggioranza dei casi
da esigenze particolari, proprie della condizione di immigrato, o dalla
appartenenza ad una etnia o nazionalità specifica. La rappresentanza
assume allora le connotazioni proprie di una richiesta diffusa di visibilità
sociale, nel lavoro come nella socialità e nella cultura.
Oltre alla gradualità temporale legata alle diverse fasi dell’inserimento
dell’immigrato in Italia, la ricerca evidenzia come lo sviluppo dei livelli di
partecipazione sia inoltre organicamente correlato alla crescita del grado di
istruzione degli immigrati e risulti condizionato da vincoli e barriere di tipo
sociale e culturale: a tale proposito, sono emblematiche le difficoltà
incontrate dalle fasce dotate di minori strumenti culturali ed informativi e
dalla componente femminile della popolazione immigrata.
E’ dunque di primaria importanza non sottovalutare l’enorme portata che
l’associazionismo può rivestire nella dinamiche di accoglienza ed
integrazione, ciò risulta ancor più vero nelle regioni meridionali dove lo
sviluppo di fenomeni direttamente riferiti al privato sociale può rivestire un
importante elemento per evitare dinamiche di esclusione.
In Campania il rapporto tra enti del privato sociale ed immigrati ha rivestito
da sempre tema di dibattito acceso e di difficile comprensione. Inserire la
dialettica di questa particolare fenomenologia di attori sociali e di
aggregazione nella più vasta tematica dello sviluppo attraverso azioni
concordate e reti transnazionali risulta ancora più difficile ed arduo.
Seppur la nazionalità marocchina sia quella che più di tutte ha rappresentato
lo stereotipo ricorrente nell’immaginario locale, attualmente risulta una
comunità con una presenza estremamente esigua.
470
Ciò non vuol dire che non vi siano marocchini, ma semplicemente che riferire
la nascita di associazioni a questo particolare gruppo etnico risulta riduttivo
se non fuorviante.
Secondo una rilevazione condotta di recente nella regione la realtà
dell’associazionismo straniero appare abbastanza modesta e le associazioni
sono solo 22, di cui un terzo “miste” (4) o italiane (3). I gruppi stranieri
rappresentati risultano 10 e quelli marocchini (3) e senegalesi (3) sono i
principali.
Grafico 5.4 - Associazioni in Campania per gruppo di riferimento.
L’associazionismo campano è relativamente giovane e nella parte che è più
direttamente di interesse immigrato lo è ancora di più.
Le associazioni risultano legate il più delle volte ad iniziative nate in ambito
sindacale o nate come filiazione diretta di corsi di formazione per operatori
del sociale.
Le associazioni che rappresentano le diverse comunità risultano in molti casi
“instabili” specialmente quando sono di nascita relativamente recente e il più
471
delle volte non riescono ad essere interlocutori validi nei confronti delle
istituzioni.
La consulta immigrati regionale cerca di rappresentare in maniera
abbastanza realistica l’effettiva consistenza associativa accogliendo al suo
interno alcuni tra i principali leader che sono il più delle volte anche i
presidenti delle associazioni legate alle singole comunità.
L’associazionismo direttamente riferibile a tutte quelle attività che ricadono
nel campo della cooperazione e dello sviluppo conta pochissime entità.
La cooperazione risulta essere un campo di policies giovane e ancora da
strutturare, esistono due deleghe assessoriali, comunale e provinciale, che
rientrano sotto la competenza dell’Assessorato al Lavoro.
Le progettualità da esse inaugurate e portate avanti rappresentano una
tipologia di interventi legata ancora a metodologie e teorie poco attente
all’evolversi delle attuali politiche migratorie e di sviluppo europee.
Purtroppo le giovani ONG campane sono il più delle volte estreme propaggini
di organizzazioni che hanno sedi altrove e quindi vanno a rappresentare
entità di rilevanza minima rispetto alla dialettica utile alla maturazione del
policies making in ambito di cooperazione.
L’associazionismo nella Regione Campania risulta dunque essere tra le leve
principali per agire in campo di accoglienza e di integrazione di popolazioni
migranti ma allo stesso tempo risulta essere anche un campo estremamente
instabile e contraddittorio.
Se è vero che è utile favorire la nascita di nuove associazioni e vero allo
stesso tempo che si deve evitare quanto più possibile che ci si trovi ad
interloquire sempre con rappresentanti diversi che sono espressione il più
delle volte della confusionaria volontà di avere un posto decisionale senza
capire fino in fondo le reali responsabilità o gravità di talune scelte.
Il promuovere nuove associazioni è dunque innanzitutto il portare a
conoscenza di esigenze e di necessità tutti quei soggetti istituzionali e non
che lavorano quotidianamente per creare politiche efficaci e qualitativamente
accettabili; se però alla base di un nuovo statuto associativo non è chiara
fino in fondo la reale responsabilità che pertiene a chi questo statuto lo
sottoscrive è inutile anche avventurarsi lungo questa strada.
Questo discorso vale per tutte le forme associative siano esse associazioni di
volontariato, culturali o anche ONG.
472
Tabella 5.23 - Associazioni dei cittadini stranieri per regioni italiane.
Regione N° Ass.
Popolazione Stranieri Presenza Straniera
su 100 Ab.
Presenza Associazioni su 100.000
Ab.
Presenza Ass. su 1.000
stranieri
Lombardia 162 9.028.913 316.340 3,50 5 1,78 8 0,51 12
Emilia Romagna
139 3.959.770 120.051 3,03 8 3,54 1 1,17 5
Toscana 92 3.528.563 110.226 3,12 7 2,69 4 0,86 7
Lazio 91 5.244.028 263.207 5,01 1 1,71 10 0,34 14
Piemonte 83 4.288.051 94.092 2,19 11 1,94 6 0,88 6
Veneto 80 4.487.560 143.413 3,20 6 1,78 9 0,56 10
Sicilia 50 5.098.234 67.516 1,32 14 0,96 12 0,73 9
Marche 45 1.455.449 36.064 2,48 10 3,16 3 1,28 4
Abruzzo 31 1.277.330 20.390 1,60 13 2,43 5 1,52 3
Puglia 26 4.086.422 51.239 1,25 16 0,66 17 0,53 11
Campania 22 5.792.580 75.398 1,30 15 0,31 19 0,24 17
Sardegna 12 1.654.470 14.234 0,86 18 0,73 16 0,84 8
Liguria 12 1.632.536 41.323 2,53 92 0,74 15 0,29 16
Friuli 11 1.183.916 45.091 3,80 20 0,84 13 0,22 18
Basilicata 11 607.853 3.782 0,62 4 1,81 7 2,91 1
Umbria 8 832.675 29.182 3,50 3 1,08 11 0,31 15
Trentino 7 929.574 34.929 3,76 17 0,75 14 0,20 19
Calabria 7 2.064.718 18.19 0,88 12 0,34 18 0,38 13
Aosta 4 119.993 2.194 1,83 19 3.33 2 1,82 2
Molise - 328.980 2.224 0,68 - 20 - 20
Fonte: CNEL, (2000), Le associazioni dei cittadini stranieri in Italia, Roma, 2001.
473
MEDIAZIONE CULTURALE E FENOMENI DI INTEGRAZIONE
La mediazione culturale è una pratica relativamente recente nell’universo
delle relazioni che si creano tra immigrato e società di accoglienza. La ricerca
di una professione che potesse assicurare da un lato un’importante
occasione per gli immigrati di attivare relazioni chiare e leggibili con soggetti
pubblici e privati e dall’altro garantire uno scambio alla pari basato sul
confronto di culture ha portato all’elaborazione nel tempo di diverse figure di
mediatori affinando di volta in volta la struttura dei percorsi formativi e
professionali. Infatti, attualmente il nome ed il profilo professionale del
mediatore sono in discussione nella maggior parte delle regioni italiane; c’è
convergenza nella scelta di destinare questa qualifica, nella maggioranza dei
casi, a persone immigrate, che posseggano una buona conoscenza del
territorio in cui vivono e abbiano conservato contatti, conoscenze, interesse
per la cultura di provenienza.
Va comunque tenuto presente che il mediatore deve avere una buona
conoscenza della lingua e cultura italiana. Inoltre, deve essere in grado di
intervenire in specifiche situazioni per individuare ed esplicitare bisogni di
utenti extracomunitari e per negoziare prestazioni da parte dei servizi e degli
operatori pubblici, attivando la comunicazione e apportando modificazioni di
contenuto e di modalità di approccio. Il mediatore culturale trova impiego in:
servizi pubblici di primo contatto, servizi sanitari e sociali, istituzioni
scolastiche e servizi educativi e servizi giudiziari. In questi contesti svolge
attività di:
1. presentazione agli utenti delle diverse possibilità ed aiuto;
2. affiancamento dello staff sociosanitario nella presentazione degli
indirizzi, terapie e procedure sociali e sanitarie compatibili con la cultura
di provenienza;
3. aiuto all'utente perché esprima correttamente ed esaurientemente i
propri bisogni, sintomi ed esigenze particolari;
4. contribuzione all'adeguamento del bagaglio culturale degli operatori,
onde evitare di trasformare un problema sociale in problema sanitario;
5. supporto all'attività di assistenza ad avvocati, difensori d'ufficio,
magistrati di sorveglianza;
474
6. interpretariato nel caso di citazioni in giudizio per accusa di reati civili e
penali;
7. comunicazioni telefoniche con i familiari;
8. supporto informativo/linguistico ai familiari durante il periodo di messa
in stato di accusa e/o di detenzione;
9. informazione sui diritti ad accusati, imputati e detenuti;
10. rapporti scuola famiglia e contatti con le comunità di provenienza degli
alunni;
11. traduzioni di avvisi e materiale didattico;
12. facilitazione dell'apprendimento degli alunni nell'ambito della
programmazione didattico curriculare;
13. intermediazione culturale a sostegno della funzione docente.
Le funzioni elencate rappresentano sicuramente una lista di compiti che
esauriscono in massima parte tutto il lavoro di mediazione. Al di là di queste
mansioni si deve comunque mettere in evidenza l’importante significato di
nodo in relazioni di prossimità, svolto dal mediatore. Il mediatore culturale è
un nodo di una rete di rapporti prossimi alle esigenze più comuni che
l’immigrato affronta quotidianamente ed è quindi un elemento
importantissimo nella faticosa pratica dell’accoglienza.
La Regione Campania dedica importanti considerazioni rispetto a questa
figura professionale nel nuovo progetto di legge sull’immigrazione. Nell’art.
17, introduce un’importante novità nel panorama degli operatori nel campo
dell’immigrazione, sostenendo da un lato la necessità di investire nella
formazione degli operatori che nei vari settori operano a favore
dell’immigrazione e dall’altro l’istituzione, la formazione e l’inserimento nei
vari settori delle amministrazioni locali, della figura del mediatore culturale
smentendo il luogo comune che i mediatori si sostituiscono agli operatori e
viceversa. La collaborazione dei mediatori culturali nei vari servizi pubblici
locali eleva la qualità degli interventi e aumenta il livello di soddisfazione dei
bisogni.7 La Regione, per far si che i mediatori siano tra le figure
professionali che maggiormente devono trovare spazio all’interno delle
dinamiche di relazione tra popolazioni locali e immigrati, indica, ancora nella
7 Giunta Regionale della Campania, Proposta di disegno di legge regionale. Misure regionali in materia di immigrazione e di integrazione sociale economica e culturale delle persone straniere presenti in Campania, Napoli, 2004.
475
proposta di legge, che i Comuni capoluoghi di Provincia ed i Comuni con una
quota di popolazione straniera residente superiore al 5 per cento,
istituiscano (nell’ambito dei Piani sociali di zona) Centri servizi per gli
stranieri, mediante i quali :
a. Si forniscano orientamento, informazioni e consulenza, anche
avvalendosi di interpreti e di mediatori interculturali per la traduzione di
documenti rilevanti o lo svolgimento di colloqui circa le effettive
possibilità di inserimento sociale e lavorativo delle persone straniere.
A tal fine essi offriranno informazioni su:
1. modalità e condizioni di accesso delle persone straniere ai servizi
scolastici, sanitari, abitativi, socio–assistenziali, nonché
sull'adempimento dei doveri previsti dalle norme statali, regionali
e locali vigenti;
2. corsi di lingua italiana o corsi di studio o di formazione
professionale, procedure per l’avviamento di attività autonoma o
per la ricerca di lavoro anche con riferimento a bandi, valore dei
titoli di studio e profili professionali.
b. Concorrano ad attivare nei confronti delle persone straniere
regolarmente soggiornanti interventi di assistenza sociale volti al
superamento delle difficoltà di inserimento nella società, indirizzandole
anche verso i centri di accoglienza disponibili nell’ambito del territorio
regionale.
c. Offrano orientamento ed assistenza specifici alle persone straniere che
desiderano richiedere asilo o che hanno lo status di rifugiato o godono di
forme di protezione temporanea.
d. Orientino e indirizzino verso le forme di prima accoglienza e di tutela i
minori stranieri non accompagnati e le persone straniere vittime di
sfruttamento o di violenza.
e. Offrano orientamento e consulenza giuridica ad operatori di Enti Pubblici
e privati e, anche su segnalazione degli operatori, alle persone straniere
presenti sul territorio.
f. Raccolgano, elaborino e mettano a disposizione dati e documentazione
sul fenomeno migratorio, sulle tematiche interculturali, sulla condizione
476
generale delle persone straniere presenti sul territorio, in costante
collegamento con l’Osservatorio regionale per l’immigrazione.
g. Assicurino il collegamento con gli uffici competenti della Giunta
regionale per l’attuazione dei piani e programmi regionali in materia di
immigrazione e di condizione delle persone straniere ed il
coordinamento con ogni altra attività promossa sul territorio da enti
locali ed associazioni.
h. Assicurino alle Associazioni delle persone straniere, operanti sul
territorio comunale e regolarmente costituite, la possibilità di svolgere le
attività in locali adeguati.
i. Forniscano ai rispettivi Comuni, Province e Ambiti territoriali supporti e
informazioni necessari alla rispettiva attività amministrativa concernente
l’immigrazione e la condizione delle persone straniere.
j. Promuovano e sostengano la realizzazione di luoghi o di momenti per la
mediazione ed il confronto tra culture diverse, l'incontro e lo scambio tra
persone di diversa provenienza nonché l'integrazione sociale delle
persone straniere regolarmente soggiornanti sul loro territorio.
Gli enti locali che promuoveranno i Centri servizi per stranieri definiranno
con regolamento i rapporti tra gli enti stessi ed il Centro nonché le modalità
di gestione. La Regione si dota dunque di importanti strumenti che una volta
andati a regime costituiranno l’impalcatura per strutturare importanti reti di
supporto intorno all’immigrato, che potranno favorire in maniera non
traumatica il suo approccio con enti ed istituzioni ma anche coi cittadini.
CONCLUSIONI
Abbiamo visto in questo poche pagine come prende forma e si struttura, in
maniera abbastanza dinamica, la rete di relazioni istituzionali e associative
che si forma intorno all’immigrato. Concludendo possiamo tracciare uno
schema ideale che vede nel suo centro l’immigrato e posti su tre vertici le
istituzioni, le associazioni ed i mediatori culturali.
Le istituzioni rappresentano il livello legislativo e regolamentativo e danno
quindi tutta quella serie di regole che servono a definire i rapporti tra
immigrati e contesto di accoglienza.
477
Esse strutturano delle reti ampie che si collocano ad un livello che sovente
supera il localismo legislativo ponendosi in maniera interlocutoria sia con
enti nazionali che internazionali. In particolare la Regione si trova a
confrontarsi con le leggi emanate a livello nazionale e destinate a
regolamentare i flussi, ma si trova anche a stabilire accordi con istituzioni
internazionali volti a creare momenti di confronto sul fenomeno migratorio.
Nell’istituzione la rappresentanza dell’immigrato è garantita attraverso
organi quali la Consulta degli Immigrati che in Regione Campania è
affiancata dal Servizio Gruppi Etnici. All’altro vertice si pongono le
associazioni che rappresentano da un lato un importante strumento di
rappresentanza ma dall’altro anche un indice del grado di integrazione che si
riscontra nella società di accoglienza. Abbiamo visto quanto le associazioni
possano essere importanti poiché in molte occasioni rappresentano soggetti
interlocutori di primo piano, ma abbiamo visto anche come le associazioni
possano rappresentare, invece, un elemento confusionario all’interno dei
rapporti tra soggetti diversi. Grazie alle associazioni gli immigrati hanno
modo di far sentire la loro voce e di impegnarsi in maniera attiva all’interno
delle dinamiche decisionali e di confronto tra entità pubbliche e del privato
sociale. I mediatori si collocano nell’ultimo vertice, essi rappresentano il
livello più prossimo all’immigrato ma sono anche un importante anello che
congiunge idealmente istituzioni, associazioni ed immigrato. Nella rete di
supporto il mediatore viene a costituire l’elemento attivo che si trova in
prima persona ad interloquire ed a risolvere problemi quotidiani.
Istituzioni
Immigrati
Mediatori Associazioni
478
I ruoli del mediatore sono molteplici ma purtroppo è poco sfruttata la
potenzialità che questo figura professionale offre, in Regione i corsi di
formazione avviati per i mediatori negli ultimi anni si contano sulle dita di
una mano.
E’ dunque un quadro ampio quello che si pone dinnanzi a chi tenta di
decifrare e di tirare i fili della rete che accoglie e cerca di supportare
l’immigrato nel suo cammino verso la cittadinanza e l’integrazione. Tutti i
soggetti impegnati in questa sfida si trovano quotidianamente immersi in
altri confronti: le istituzioni si scontrano quotidianamente con miriadi di
problematiche non solo riferite all’immigrazione; le associazioni sono scosse
continuamente dall’instabilità della loro struttura e del loro modo di operare;
i mediatori sono poco valorizzati o mal gestiti o addirittura non vengono per
niente considerati. Probabilmente la Legge Regionale servirà a mettere
ordine e a dare una coerenza a tutti gli interventi consentendo anche di
creare quella rete di supporto che rappresenterà l’occasione migliore per
confrontarsi con serenità e giungere a soluzioni accettate e quanto più
possibile condivise.
Allegato - Riferimenti legislativi
Riferimenti Legislativi Regionali
• Legge Regionale 3 novembre 1994, n. 33 "Interventi a sostegno dei diritti degli
immigrati stranieri in Campania provenienti da Paesi extracomunitari".
• Legge Regionale 15 gennaio 1997, n. 3 "Integrazione e modifiche alla l. r. 33/94”.
• Proposta di Legge Regionale 13 febbraio 2004 n. 5, “Misure regionali in materia di
immigrazione e di integrazione sociale economica e culturale delle persone straniere
presenti in Campania.”
Decreti e Delibere Regionali Anni 1999 – 2003
Finanziamenti regionali
• Delibera di G.R. n. 6387 del 23/11/01; Delibera C. R. n. 120/12 del 04/06/02 -
Linee guida e interventi a favore delle immigrate e degli immigrati extracomunitari
(ex legge regionale n. 33/94).
479
• Delibera di G.R. n. 022 del 23/02/00; Delibera di C. R. n. 74/9 del 19/10/01
"Piano regionale 2000 - Anno dei nuovi cittadini: politiche a sostegno degli
stranieri in Campania".
• Delibera di G.R. n. 7537 del 30/12/00; Delibera di C. R. n. 117/9 del 04/06/02 -
"Piano degli immigrati e delle immigrate extracomunitari: linee guida e interventi -
anno 2001”.
Finanziamenti nazionali
• Deliberazioni della Giunta Regionale N. 1670 del 5 maggio 2003 Linee d'indirizzo
finalizzate al potenziamento, in Campania, d'interventi e servizi d'inclusione
sociale, culturale, lavorativa, riferite alle politiche migratorie - anno 2003 -
• Delibera di Giunta Regionale n. 1512 del 19/04/02 "Fondo nazionale per le
politiche migratorie - esercizio finanziario 2001 - Linee d'indirizzo per lo sviluppo
delle politiche finalizzate all'integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri"
• Delibera di Giunta Regionale n. 3026 del 22/06/01 "Programma Regionale -
Politiche di governo dei flussi migratori e di supporto all'inclusione sociale degli
immigrati e delle immigrate".
• Delibera di Giunta Regionale n. 3025 del 22/06/01 "Programma Regionale -
Politiche di governo dei flussi migratori e di supporto all'inclusione sociale degli
immigrati e delle immigrate".
Bibliografia
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alla vita collettiva, Roma.
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Mulino, Bologna.
Girotti F., (2000), Welfare State, Carocci, Roma.
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regionali in materia di immigrazione e di integrazione sociale economica e culturale
delle persone straniere presenti in Campania, Maggio 2004.
480
Gorrieri E., (2002), Parti uguali fra disuguali: povertà, disuguaglianza e politiche
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Bologna.
Reyneri E., (2001), Economia occupazione welfare locali, Ediesse, Roma.
481
5.1.3. Il migrante marocchino in Campania come agente di
sviluppo: lavoratori autonomi e operai specializzati. Alcuni
risultati
Mattia Vitiello
LA SCELTA DEI SOGGETTI, LA METODOLOGIA E GLI OBIETTIVI
DELL’INDAGINE
Nel quadro di questo progetto si è ritenuto che il ruolo di agente di sviluppo
potesse essere svolto da immigrati con percorsi lavorativi ben delineati,
stabili e di tipo ascendente, cioè finalizzati all’inserimento in quel settore del
mercato del lavoro caratterizzato da occupazioni stabili e garantite. In base a
questo presupposto la ricerca di possibili soggetti da coinvolgere nelle
attività del progetto si è concentrata intorno alla figura dell’immigrato
lavoratore autonomo/imprenditore oppure operaio specializzato, ritenendo
che probabilmente in Campania fossero questi gli immigrati marocchini con
dotazioni di capitali come da ipotesi di ricerca.
Il lavoro di ricerca dell’équipe di Napoli si è sviluppato essenzialmente lungo
due direttrici. Da un lato, il gruppo si è dedicato alla raccolta dei dati
riguardanti la presenza marocchina in Campania, tali dati successivamente
sono stati analizzati allo scopo di individuare i principali caratteri
dell’insediamento della popolazione immigrata marocchina. In modo
particolare sono stati individuati il modello migratorio della nazionalità
marocchina in Campania con particolare riferimento all’inserimento
lavorativo. Questo allo scopo di individuare quelle dotazioni di capitale, che
gli immigrati possono aver acquisito durante la loro esperienza migratoria in
Campania, che potrebbero essere investite nelle loro zone di origine; e il
profilo che gli immigrati marocchini devono possedere per essere individuati
come agenti di sviluppo.
Dall’altro lato, l’équipe di Napoli si è dedicata alla costruzione di una griglia
di indicatori che è servita ad individuare i soggetti da intervistare allo scopo
di ricostruire il loro percorso migratorio, le dotazioni di capitale acquisite
durante la loro esperienza migratoria, le loro progettualità e la loro
disponibilità a partecipare alle attività previste dal progetto.
482
Questa fase è iniziata con una serie di interviste fatte ad esponenti
istituzionali sia italiani sia marocchini allo scopo di ottenere delle
informazioni più dettagliate sulla presenza marocchina in Regione.
La scelta degli immigrati da intervistare è stata determinata da tre criteri,
cioè sono stati scelti soggetti che durante la loro esperienza migratoria in
Campania abbiano acquisito:
1. La capacità di saper fare e cioè che abbiano acquisito delle abilità e
specializzazioni lavorative di un certo significato e che siano in grado di
trasmettere le proprie conoscenze ad altri;
2. Un capitale sociale e cioè che siano inseriti in una serie di relazioni
economiche, sociali e culturali che eccedano le reti etniche e che
rappresentino un ponte tra le zone di origine e l’Italia;
3. Know how e cioè che abbiano nozioni teoriche e pratiche che riguardino
non solo attività lavorative ma anche capacità di creazione, gestione e
direzione di attività imprenditoriali e che sappiano trasmettere tali
nozioni ad altri individui.
Queste considerazioni hanno portato alla scelta dei cittadini marocchini da
intervistare in base al loro inserimento lavorativo, scegliendo: immigrati
imprenditori o con esperienze di attività di tipo imprenditoriale svolte in
Italia; operai specializzati; artigiani; commercianti; mediatori culturali.
Per quanto riguarda la figura dell’imprenditore, la costruzione del campione
da cui partire per individuare i soggetti da intervistare è stata fatta in base ai
dati degli iscritti della Camera del Commercio campana ed ai contatti forniti
dai testimoni privilegiati.
Per testimoni privilegiati si intendono quegli individui che, a causa del loro
lavoro o del ruolo sociale da essi rivestito, ecc., hanno una conoscenza
approfondita del fenomeno dell’immigrazione e di quella marocchina in
particolare.
Attraverso la lista degli iscritti alla camera di commercio si è provveduto alla
costruzione di un campione rappresentativo8 di 300 imprese condotte da
imprenditori marocchini.
8 In questo caso rappresentativo significa che si è costruito un campione che contenesse in proporzione tutte le attività imprenditoriali condotte da immigrati marocchini inscritte alla Camera di Commercio.
483
Queste trecento imprese sono state censite tramite un’apposita scheda di
rilevazione allo scopo di individuare almeno 10 marocchini imprenditori da
intervistare e da coinvolgere nelle attività del progetto. Questi ultimi sono
stati scelti secondo i seguenti criteri:
1. Residenza o presenza in Campania da almeno 5 anni.
2. Le attività imprenditoriali/lavorative autonome dovevano essere
intraprese con continuità da almeno 3 anni.
3. Le stessa attività dovevano contemplare una certa quantità di
contatti/rapporti col Marocco o perlomeno i titolari dovevano mostrare
interesse ad avviare e coltivare rapporti con il paese di origine.
L’obiettivo del presente lavoro non era certamente quello di indagare
l’imprenditoria marocchina in Campania, ma si è comunque ritenuto
opportuno che una descrizione, seppure sommaria, ed un’analisi del
campione delle imprese e degli imprenditori marocchini secondo la Camera
di Commercio fosse indispensabile non solo per una scelta avveduta degli
intervistati. Questa analisi iniziale che ci ha permesso la comprensione dei
caratteri generali dell’imprenditoria marocchina a Napoli ci ha offerto ulteriori
elementi per identificare se essa rappresenti effettivamente l’ambito
privilegiato in cui ricercare il migrante come agente di sviluppo.
Alla luce di questi obiettivi, il campione è stato analizzato secondo le
seguenti variabili:
• Tipo di attività.
• Anni di attività e/o motivo di cessazione attività.
• Nazionalità clienti.
• Nazionalità fornitori.
• Stima monetaria del volume delle attività.
• Eventuali rapporti con la madrepatria.
Un primo censimento, a partire dal campione identificato nella fase
precedente, è stato effettuato controllando l’effettiva presenza e operatività
della ditta registrata all’interno della regione Campania. Questo
procedimento ha portato alla scrematura dal campione di tutte quelle ditte
non più operanti e all’identificazione di una lista di ditte operative e reali
composte da 100 nominativi.
484
L’altro procedimento seguito per l’identificazione dei soggetti beneficiari della
formazione e dei soggetti da intervistare in profondità, è consistito
nell’identificazione di imprenditori, operai specializzati e artigiani, ecc.
attraverso l’indagine di campo e le interviste a:
• 5 leader storici (uno per ogni provincia) e agli esponenti più
rappresentativi delle varie comunità marocchine presenti sul territorio
campano;
• 3 associazioni marocchine che operano sul territorio campano (2
presenti nella provincia di Napoli e una nella provincia di Salerno);
• associazioni locali che operano nel campo dell’assistenza agli immigrati
(4 nella provincia di Napoli e 2 nella provincia di Caserta e 1 nella
provincia di Salerno);
• rappresentanti di enti locali che prevedono attività di cooperazione con
i paesi in via di sviluppo (la provincia di Napoli) e rappresentanti
istituzionali che all’interno dei progetti di internazionalizzazione delle
imprese campane intrattengano rapporti politici con i paesi maghrebini
(Regione Campania);
• rappresentanti sindacali che prevedono un ufficio immigrazione
operante sia a livello provinciale che regionale (CGIL; CISL);
• 10 testimoni privilegiati che possiedono una notevole conoscenza ed
esperienza della presenza immigrata, e marocchina in particolare, nella
regione Campania.
L’IMPRENDITORIA MAROCCHINA A NAPOLI. ALCUNI CARATTERI
L’immigrazione in Italia negli ultimi anni ha conosciuto una grande crescita e
soprattutto una profonda stabilizzazione. La crescita dell’imprenditorialità
immigrata rappresenta uno degli aspetti più inattesi tra i succitati fenomeni
di stabilizzazione della presenza immigrata. Questo fenomeno anche se dal
punto di vista quantitativo non è oggi diffuso omogeneamente sul territorio
nazionale e non assume ancora una dimensione quantitativa decisiva,
sicuramente contribuisce a migliorare l’immagine dell’immigrazione straniera
presso l’opinione pubblica italiana.
Secondo una recente ricerca della Confartigianato si stima che al 31
dicembre 2002 operavano in Italia circa 125.457 imprenditori provenienti da
485
Paesi non appartenenti all’UE9. La stessa organizzazione sottolinea come il
fenomeno sia esploso nel triennio 2000–2002, quando sono state circa
16.000 le nuove imprese create da immigrati10.
La maggioranza di essi operano nel settore del Commercio, mentre il settore
delle Costruzioni e Manifatturiero coprono il quadro restante delle attività
imprenditoriali prevalenti tra la popolazione immigrata in Italia11. Inoltre, la
Caritas nel suo ultimo rapporto rileva che anche l’articolazione territoriale
dell’imprenditoria straniera è fortemente influenzata dal modello migratorio
nazionale e dal profondo dualismo territoriale che caratterizza l’Italia. Nelle
regioni settentrionali è concentrata la maggioranza relativa degli
imprenditori immigrati, mentre nel Mezzogiorno si conta solo il 29 per cento
circa del totale12.
Per quanto riguarda i caratteri dell’imprenditoria degli immigrati Monica
Martinelli a commento dei dati di una ricerca sull’imprenditoria straniera a
Milano afferma:
“Generalmente si utilizza l’aggettivo “etnica” riferendolo all’impresa aperta da un
immigrato. In realtà, però, non tutte le imprese i cui titolari sono immigrati presentano
le caratteristiche di una impresa etnica, che produce cioè beni o servizi collegati alle
origini dell’imprenditore, o di una impresa etnicamente orientata, rivolta cioè a clienti
che hanno in comune con l’imprenditore le stesse origini. La tipologia delle imprese
immigrate risulta, infatti, molto più variegata”13.
All’interno di questo quadro il caso della Campania, per quanto riguarda
l’imprenditoria marocchina, si presenta abbastanza uniforme. Come già
rilevato nel capitolo precedente, essa si presenta concentrata quasi
esclusivamente nel commercio, soprattutto quello ambulante. Negli ultimi
anni però si sono registrati dei segnali di crescita nel settore edile e nella
ristorazione (macellerie che seguono la macellazione secondo le prescrizioni
religiose), anche se rimangono a carattere molto limitato soprattutto se
vengono comparati con le realtà imprenditoriali delle altre nazionalità
presenti in Campania, come quella cinese, o con le esperienze imprenditoriali
9 Confartigianato, (2003), Imprenditori immigrati: una realtà in crescita, Roma. 10 Idem, pag. 3. 11 Caritas, (2004), Dossier Statistico Immigrazione 2003, Asterios, Roma. 12 Idem, pag. 254. 13 Martinelli M., (2003), Immigrati imprenditori: la fotografia di una realtà dinamica, Dipartimento di Sociologia, Università Cattolica di Milano, Milano, pag. 3.
486
di altri connazionali diffuse in altre regioni italiane, come è ben illustrato nel
capitolo di questo volume riguardante la regione Lombardia.
L’equipe di ricerca campana ha dovuto affrontare due problemi nella ricerca
dei soggetti imprenditoriali con il profilo adatto alle attività del presente
progetto. Il primo problema è stato prettamente di natura definitoria, ma
non è meramente nominalistico, mentre il secondo è derivato dal ruolo che
la regione Campania gioca sia nei confronti del modello migratorio nazionale
sia nei confronti del modello migratorio della nazionalità marocchina, che
finisce per influenzare anche la scelta classificatoria.
Il primo ostacolo consiste nello stabilire che cos’è o chi è un imprenditore o,
per meglio dire, bisogna capire se si può applicare la classica definizione di
imprenditore che assegniamo agli indigeni anche alla popolazione immigrata.
L’interrogativo è se la categoria di imprenditore ha un valore euristico anche
per gli immigrati oppure si corre il rischio di rilevare una scarsa
imprenditorialità immigrata proprio perché la tradizionale categoria non
riesce a leggere/individuare questa realtà14.
Questo problema assume una valenza ancora maggiore per la popolazione
marocchina presente in Campania, in quanto i caratteri propri del modello
migratorio marocchino e le caratteristiche dell’insediamento di questa
nazionalità in Campania pongono ancora più in questione la definizione di
imprenditore.
L’immigrazione marocchina presenta in prevalenza, anche se negli ultimi
anni con la maturazione del fenomeno immigrazione si registrano dei
crescenti segnali che vanno nella direzione opposta, un modello circolatorio,
cioè gli immigrati, data anche la vicinanza geografica, effettuano degli
spostamenti più o meno frequenti fra l’Italia e la comunità di origine. La
popolazione marocchina presente in Campania accentua questo carattere
rispetto ai cittadini marocchini residenti nel resto del territorio nazionale.
Inoltre, la Campania rispetto ai flussi migratori in entrata in Italia, si
presenta soprattutto come regione di approdo e transito verso quelle regioni
italiane che presentano delle condizioni di inserimento lavorativo più
favorevoli. Questo è ancora più vero per la nazionalità marocchina presente
in Campania, nel corso della ricerca sono stati intervistati molti immigrati
marocchini che erano arrivati nella regione Campania perché essa
14 Codagnone C., (2003), Imprenditori immigrati: quadro teorico comparativo, in Chiesi A.M., Zucchetti E., (a cura di), (2003), Immigrati imprenditori, Egea, Milano.
487
presentava delle condizioni più favorevoli per vivere in uno status giuridico
privo di documentazione in attesa di passare nelle regioni settentrionali
previa un’eventuale regolarizzazione. Questo era vero anche per quei
marocchini regolari che attraverso le proprie reti riuscivano ad incontrare
una buona posizione lavorativa nelle regioni del nord Italia (soprattutto
Lombardia e Piemonte). Il fenomeno dell’emigrazione interna nel quadro del
fenomeno dell’immigrazione straniera in Italia probabilmente per la
nazionalità marocchina assume una significatività maggiore, almeno per la
regione Campania.
Questo significa che la durata media della presenza dell’immigrazione
marocchina in Campania non supera che raramente il tempo necessario
affinché si sedimentino esperienze, capitali e conoscenze necessarie per la
fondazione di attività imprenditoriali. Infine, le caratteristiche del modello
migratorio marocchino rilevate in precedenza rendono la realtà
imprenditoriale marocchina esistente non adatta ad essere rilevata con gli
strumenti tradizionali dell’analisi sociale ed economica.
La presenza marocchina in regione, dunque, si presenta fortemente
polarizzata tra un’area minoritaria il cui percorso migratorio porta al
definitivo insediamento nel territorio e un’altra per cui la permanenza in
regione rappresenta solamente una tappa della propria esperienza
migratoria. Questo riduce notevolmente le possibilità di sviluppo di attività
imprenditoriali da parte dei marocchini e i dati illustrati nel capitolo sulla
presenza marocchina in Campania rilevano quanto le condizioni di vita e di
lavoro della stessa popolazione inficiano lo sviluppo dell’imprenditoria
marocchina.
Secondo gli obiettivi ed i criteri di scelta seguiti da questo progetto e
specificati in precedenza, è risultato che le imprese effettivamente
interessanti e interessate al nostro progetto sono state 10. Di queste 4 erano
ditte individuali la cui attività è quella commerciale e precisamente di vendita
di oggetti vari nei mercati rionali e cittadini. Altre 4 erano anche esse ditte
individuali condotte da commercianti di carni macellate secondo la tradizione
mussulmana e infine 2 ditte di carpenteria edile.
La maggioranza del campione, pari a 65 casi, era composta da ditte
individuali registrate in occasione della regolarizzazione in seguito alla legge
40/1998 in modo da permettere ai titolari delle stesse, di acquisire il
permesso di soggiorno per lavoro autonomo.
488
Tutte queste ditte mostrano due destini prevalenti: molte continuano a
vivere dopo la regolarizzazione, (35 casi), e sono in realtà commercianti
ambulanti dall’alta mobilità territoriale; le altre o sono state chiuse a
regolarizzazione avvenuta (14 casi) oppure i titolari sono risultati irreperibili
in base agli indirizzi rilasciati alla Camera di Commercio. Quest’ultimo
aspetto può essere spiegato in due modi, i titolari, ottenuta la
regolarizzazione, si sono spostati nelle regioni italiane settentrionali oppure
la ditta è stata effettivamente chiusa senza darne avviso alla Camera di
Commercio.
L’altra parte del campione che risulta consistente seppure non maggioritaria,
era formata da ditte funzionanti che non corrispondevano ai criteri di scelta
del progetto sia per il tipo di attività (quasi esclusivamente commercio
ambulante) sia per il loro carattere precario.
Infine, si deve segnalare la larga preponderanza sia della presenza maschile
all’interno dell’imprenditoria marocchina sia della componente priva di
famiglia che assume una particolare significatività per il nostro progetto.
IL MIGRANTE MAROCCHINO IN CAMPANIA COME AGENTE DI
SVILUPPO: I PRIMI RISULTATI
La breve indagine preliminare effettuata sul campione delle ditte individuali
fondate da cittadini nati in Marocco e registrate presso la Camera di
Commercio di Napoli mostra che l’imprenditoria di questi ultimi non è
sicuramente l’esito di un percorso ascendente che porta all’emancipazione
postindustriale, come è stato rilevato in alcuni contesti15, ma piuttosto una
strategia di inserimento lavorativo che supera le difficoltà della ricerca di un
lavoro dipendente stabile. Resta, comunque, da segnale che per la
maggioranza degli immigrati marocchini titolari di attività censite durante
l’indagine di campo, il lavoro autonomo rappresenta una scelta consapevole
e pienamente coerente sia con il loro progetto che con il loro modello
migratorio. Solo un’attività autonoma con spiccate propensioni
all’imprenditorialità permette la necessaria libertà di spostamento tra l’Italia
ed il Marocco che è una delle maggiori aspirazioni degli intervistati.
15 Idem, pag. 47.
489
Quest’aspirazione contribuisce anche a spiegare il perché della permanenza
in Campania di questi immigrati quando potrebbero trovare delle condizioni
lavorative molto migliore in altre regioni.
La scarsità delle attività imprenditoriali intraprese da cittadini marocchini a
Napoli ed il carattere precario delle poche effettivamente presenti, come
anche le scarse prospettive di sviluppo delle stesse, indicano che
l’imprenditoria non è sicuramente l’ambito privilegiato in cui cercare il profilo
di immigrato adatto alla figura di agente di sviluppo. Nondimeno la
popolazione marocchina in Campania, come illustrato anteriormente,
presenta un inserimento lavorativo sempre più stabile anche in quei settori
centrali del mercato del lavoro che all’inizio della storia migratoria della
regione le erano preclusi.
L’inserimento lavorativo stabile e la crescita di tutti gli indicatori di
stabilizzazione della presenza marocchina suggeriscono che l’immigrato
marocchino dispone di tutte le dotazioni di capitali necessarie alla funzione di
agente di sviluppo.
La ricerca si è concentrata soprattutto sui lavoratori autonomi ed operai con
specializzazioni tali che le loro attività lavorative abbiano un carattere di
autonomia molto spiccato.
Prima di passare all’illustrazione dei risultati dell’analisi delle interviste
bisogna sottolineare come tutti gli intervistati siano giunti in Campania alla
vigilia della regolarizzazione successiva alla legge n. 40 del 1998, cioè essi
sono gli esponenti di una fase abbastanza recente dell’immigrazione
marocchina in Campania ma al contempo, dato il notevole ricambio a cui si è
accennato in precedenza, costituisce la parte più antica della presenza
marocchina nella stessa regione. Ciò implica che gli intervistati
rappresentano quella quota della popolazione immigrata marocchina ormai
integrata nella società locale grazie anche alle politiche per gli immigrati
adottate dalla regione.
Percorsi lavorativi
Le occupazioni degli intervistati sono concentrate nel commercio come
lavoratori autonomi, nell’edilizia, nella piccola e media impresa e
nell’agricoltura, come operai alle dipendenze.
490
Per quanto riguarda gli occupati nel commercio (casi 01; 10; 13; 14), due
casi sono titolari di negozi ortofrutticoli (casi 13 e 14) mentre il caso 01
possiede un negozio per la vendita al dettaglio di tappeti marocchini a
Caserta e il caso 10 si occupa di import/export di scarpe nei paesi nord
africani. I restanti sono tutti operai specializzati che si suddividono tra il
settore edile (caso 02 come piastrellista; casi 03 e 04 come operai
specializzati nella sostituzione e nella posa di materiale isolante e
antincendio nelle fabbriche; casi 05, 15 e 18 come carpentieri edili
specializzati nella posa di solai e asfalto sui tetti), la piccola industria
metallurgica napoletana (caso 08 e 16, entrambi saldatori), come tipografo
(caso 11) e nell’agricoltura (caso 06). Per quanto riguarda il tipo di percorsi
lavorativi bisogna sottolineare che gli intervistati occupati nel commercio
hanno cominciato le loro attività commerciali appena arrivati in Campania.
Agli esordi del loro percorso migratorio la loro attività era di vendita
ambulante, però con il passare del tempo tale attività si è progressivamente
stabilizzata fino a divenire stabile e abbastanza remunerativa da permettere
l’apertura di negozi. Questi soggetti, inoltre, mostrano un percorso
lavorativo lineare e pienamente coerente con il loro progetto migratorio. La
partenza per l’Italia per questi soggetti, come anche per tutti gli altri
intervistati, è stata motivata principalmente da ragioni economiche, ma in
questi casi alla ricerca di lavoro si aggiunge il tentativo di accumulare
capitale finanziario da reinvestire in altre attività sempre di tipo
commerciale. L’investimento delle rimesse, d’altro canto, è collegato alla
questione del ritorno alla comunità di origine, nel senso che nessuno degli
intervistati commercianti mostra l’intenzione di recidere le proprie radici e
legami con le comunità di origine anche se l’intenzione del rientro definitivo
non viene presa in considerazione se non come obiettivo a lungo termine. In
ragione di ciò essi intravedono le loro future attività imprenditoriali come
attività da intraprendere sia in Italia che in Marocco, in maniera tale da
tenere insieme quelle che ormai essi sentono come le comunità di
appartenenza. L’alta propensione alle attività transnazionali, così come alla
volontà di non radicarsi definitivamente in nessuna delle due comunità ma di
essere come un ponte tra di esse, può essere spiegata anche dal fatto che
essi sono abbastanza giovani e celibi e, dunque, privi di quei legami
particolari che molte volte trasformano un progetto migratorio di tipo
temporaneo in un insediamento definitivo nella comunità di accoglienza.
491
Gli occupati alle dipendenze, invece, mostrano un percorso meno lineare ma
anche esso di tipo ascendente e di tipo professionalizzante. Nessuno degli
intervistati appartenenti a questo secondo gruppo mostra un progetto
migratorio delineato e preciso come il primo. La principale motivazione
all’emigrazione degli intervistati del secondo gruppo è rappresentata ancora
una volta dalla ricerca di un lavoro e dal desiderio di conoscere nuovi
contesti culturali e sociali. Alla partenza, però, mancava completamente
l’aspirazione di accumulazione di capitale da reinvestire in attività
imprenditoriali. E’ chiaro che vi è l’intenzione di realizzare quante più
rimesse è possibile da utilizzare per il ritorno in patria, ma queste rimesse
devono servire per assicurarsi un futuro tranquillo una volta ritornati e non
per investire in attività rischiose o dal non sicuro rendimento.
Questa osservazione introduce la seconda fondamentale differenza tra i due
gruppi, cioè la differente concezione che essi hanno del rientro. Il secondo
gruppo al momento della partenza concepisce la propria esperienza
migratoria come un progetto a termine, al massimo dieci anni e poi si
ritorna. Queste due differenze sono accompagnate anche da un percorso
lavorativo meno lineare e contraddistinto da un’esplorazione iniziale del
mercato del lavoro locale alla ricerca delle migliori condizioni di lavoro.
Comunque, quest’esplorazione ha avuto un buon esito in quanto il percorso
lavorativo ha portato in tutti i casi all’accumulo di significative competenze
tecniche facilmente spendibili sul mercato del lavoro campano e, nel caso
02, su quello nazionale. Bisogna sottolineare come essi abbiano svolto in
alcuni cantieri funzioni di caposquadra con dipendenti italiani e non.
Il percorso professionalizzante di questi intervistati ha permesso a molti di
loro, cioè a tutti quelli occupati nell’edilizia (casi 02; 03; 04; 05, 15 e 18) di
svolgere attività di lavoro autonomo e di avere come obiettivo di breve
periodo quello di fondare delle imprese edili.
Il livello di istruzione degli intervistati che si presenta medio–alto e per la
prevalenza dei casi di tipo tecnico, ha avuto poca influenza sul percorso
lavorativo di entrambi i gruppi mentre si è dimostrata molto importante per
il buon esito di essi la presenza di precedenti esperienze lavorative
soprattutto nel caso dei commercianti e degli edili. Per tutti gli intervistati
l’esperienza lavorativa in Italia ha rappresentato un notevole incremento
delle conoscenze tecnologiche, organizzative e di know how.
492
E’ interessante notare come anche nel caso di quei soggetti con esperienze
lavorative in Marocco molto simili a quelle italiane, come ad esempio per il
caso 02 per il lavoro edile e per il caso 01 per il commercio, si rilevi un
notevole incremento di quelle conoscenze che in questo lavoro si è
raggruppato nella nozione di capitale umano. E’ questo accumulo di
conoscenze e la discrepanza esistente sia nelle tecnologie che nei materiali,
come anche nell’organizzazione del lavoro tra l’Italia e il Marocco, che fa
nascere per il gruppo degli operai specializzati il progetto di intraprendere
attività lavorative o imprenditoriali in modo da utilizzarle e/o diffonderle
nelle comunità di origine. In questo modo la dimensione transnazionale,
espunta dal progetto migratorio, sorge in seguito all’accumulo di esperienze
e si pone come mezzo attraverso il quale investire/diffondere capitale. Il
problema per gli intervistati è capire attraverso quali procedure e modalità
fare questo. Il gruppo dei cosiddetti commercianti mostra conseguentemente
una più immediata disposizione transnazionale, poiché per essi è più facile
intravederne il mezzo attraverso attività di import/export come è stato
rilevato anche nell’indagine svolta in Marocco.
Il capitale sociale
Il capitale sociale qui viene inteso come la capacità che ha l’individuo di
mobilitare le proprie reti per ottenere delle risorse scarse, per cui il concetto
di capitale sociale in questa sede attiene più al grado di fiducia che il
soggetto gode da parte dei componenti della propria rete che alla quantità e
al tipo di reti che l’intervistato possiede.
I soggetti intervistati si sono dimostrati molto abili a mobilitare le cosiddette
risorse cognitive delle proprie reti, cioè quelle risorse riguardanti soprattutto
le informazioni e i contatti in merito alle occasioni lavorative, ma hanno
dimostrato scarsa capacità di mobilitazione di quelle risorse legate al grado
di fiducia che essi generano negli altri e che permetterebbe di mobilitare le
“risorse normative” (tra queste risorse devono essere ricordate quelle
monetarie ma anche quelle relative agli aspetti legislativi e consuetudinari
dell’imprenditoria in Campania), cioè quelle risorse che li renderebbe capaci
di adattarsi all’ambiente imprenditoriale campano.
Questa constatazione assume più forza per gli occupati nell’edilizia in quanto
la loro capacità di avviare dei lavori in autonomia mostra una crescente
493
dipendenza dalle relazioni che essi dispongono con italiani che svolgono la
stessa mansione lavorativa, come si può ben capire dall’affermazione di un
intervistato a proposito di una domanda circa il modo in cui riesce a trovare
dei lavori in subappalto.
“Se un imprenditore napoletano conosce il tuo modo di lavorare e tu lavori bene e con
serietà, puoi stare sicuro che la prossima volta che avrà bisogno di un aiuto ti
chiamerà” (caso 02).
E’ chiaro che queste possibilità non dipendono solamente dal numero di
conoscenze e contatti che l’intervistato possiede nell’ambiente
imprenditoriale napoletano, ma soprattutto dal grado di fiducia che gli altri
nutrono nei suoi confronti e in ultimo, ma non per questo meno importante,
dalla capacità che gli intervistati hanno di usare questa fiducia, come lo
stesso intervistato non manca di far rilevare.
“Non devi aspettare il lavoro perché quello non viene mai da te ma devi essere tu che
devi andare dalle persone giuste” (caso 02).
Indubbiamente questo rappresenta il limite più forte per lo sviluppo
imprenditoriale degli intervistati, soprattutto se la capacità finanziaria degli
stessi è limitata dalla scarsa disponibilità di capitale monetario iniziale e se,
a maggior ragione, data la scarsa redditività delle attività lavorative da essi
intraprese, non permette nemmeno la pianificazione dell’acquisizione di un
adeguato capitale a medio termine.
Gli intervistati hanno delle reti limitate alle relazioni con i propri
connazionali, mentre le relazioni che gli stessi hanno con gli autoctoni si
limitano al solo ambito lavorativo.
Questo aspetto non costituirebbe di per sé un limite se non fosse agito in un
contesto come quello napoletano segnato da una forte diffidenza nei
confronti delle nazionalità nord africane e straniere in generale, e dal forte
isolazionismo degli stessi marocchini, i quali non solo non si arrischiano ad
investimenti se non con i propri familiari, ma non riescono nemmeno a
svolgere quel lavoro di mobilitazione delle risorse a cui ha accennato
l’intervistato 02.
494
Il capitale finanziario
L’interesse per il capitale finanziario in questa sede riguarda esclusivamente
il capitale monetario accumulato dall’immigrato intervistato durante la sua
esperienza migratoria oppure la quantità di capitale monetario che lo stesso
intervistato riesce o potrebbe riuscire a mobilitare per suoi eventuali
progetti. Per tutti gli intervistati la questione del capitale finanziario è
risultata essere la più problematica ed un ostacolo per lo sviluppo delle
proprie attività e per la pianificazione di attività future. La difficoltà consiste
principalmente nel fatto che ad essi sono precluse le vie di accesso al
capitale finanziario tramite prestiti da banche, per cui l’unica fonte di
accumulazione del capitale monetario necessario deriva dalla propria
capacità di risparmio. Anche questa seconda via d’accumulazione risulta
difficoltosa in quanto essi percepiscono un salario medio pari a 750 euro
mensili che non permette che risparmiare per le rimesse da inviare alle
comunità di origine.
Per quanto riguarda il rapporto con le banche, si deve sottolineare che la
difficoltà di accedere a prestiti ha scoraggiato i potenziali imprenditori edili
nell’intraprendere la fondazione di un’impresa. Il tipo di attività intraprese da
questi ultimi infatti non necessitano di particolari investimenti finanziari in
quanto essi svolgono, data la mancanza di macchinari necessari, le loro
attività più come prestatori d’opera che come imprenditori. Il caso dei
negozianti (casi 13 e 14) risulta emblematico in merito al rapporto con le
banche in quanto il capitale iniziale investito da questi nell'avvio della propria
attività proviene dai risparmi derivanti dal proprio lavoro. Anche una recente
ricerca condotta dall’associazione Lunaria in merito all’accesso ai servizi
bancari da parte degli immigrati in Italia, sottolinea come l'interesse
crescente delle banche verso la popolazione immigrata è concentrato
essenzialmente sulla capacità di risparmio dei migranti, cioè sulle loro
rimesse16.
Per quanto riguarda l’uso delle rimesse da parte degli immigrati intervistati
risulta che tutti inviano denaro a casa ma con frequenza molto maggiore
rispetto all’invio di denaro, gli intervistati inviano beni. Si tratta
prevalentemente di vestiti, elettrodomestici, beni ad uso e consumo della
famiglia, spesso sotto forma di regali in occasione dei rientri in patria.
16 Lunaria, (2002), Migranti e banche, Roma, pag. 20.
495
La preferenza che gli intervistati accordano all’invio di beni è da imputarsi
fondamentalmente a due ordini di motivazioni.
In primo luogo, la quantità di denaro che gli intervistati riescono a
risparmiare è abbastanza bassa e preferiscono capitalizzarla in Italia, dato
che essi possiedono un conto corrente in banche italiane. In secondo luogo,
gli immigrati preferiscono l’invio di merci anche perché il loro valore
monetario in Marocco risulta molto più alto rispetto alla quantità di denaro
corrispondente che in caso contrario invierebbero. Il più alto valore delle
merci è dovuto al fatto che, come molti intervistati sottolineano, queste
merci in Marocco non si trovano e sono molto ambite dalla popolazione
locale. Questo maggiore valore delle merci fa sì che, come rilevato nel caso
dei commercianti, esse vengano rivendute sul mercato locale.
L’uso delle rimesse da parte degli immigrati intervistati e l’esiguità delle
stesse non indicano una significativa possibilità di innesco di percorsi di
sviluppo per le comunità di origine attraverso i risparmi degli immigrati.
LIMITI, POTENZIALITÀ E PROSPETTIVE
Rispetto alla prospettiva di investimento delle dotazioni di capitale acquisite
dai cittadini immigrati marocchini durante la loro esperienza migratoria in
Campania bisogna dire che i punti deboli sono rappresentati da quelle che in
questa sede sono state definite come le dotazioni di capitale sociale e
finanziario.In relazione alle dotazioni di capitale sociale si è rilevata una
scarsa capacità di usare le proprie reti in funzione del reperimento di risorse
scarse come la possibilità di reperire capitale monetario oppure la possibilità
di operare in partenariato con connazionali o autoctoni allo scopo di allargare
le proprie attività lavorative e/o individuare nuove possibilità di profitto e
lavoro. Il motivo principale di questa mancanza sta sia nella poca fiducia che
i soggetti hanno o godono all’interno delle reti di connazionali e con gli
italiani sia nella scarsa fiducia che gli stessi intervistati nutrono nei confronti
dell’agire cooperativo attraverso associazioni o altre forme societarie. La
scarsa partecipazione dei soggetti alla vita pubblica del territorio in cui
risiedono comporta, inoltre, un’altrettanta scarsa conoscenza delle
associazioni e della vita associativa dello stesso territorio. La chiusura verso
la vita pubblica del territorio di accoglienza alimenta la restrizione delle reti
dell’intervistato all’ambito dei propri connazionali.
496
La chiusura delle proprie reti comporta sia un’usura delle stesse con
un’ulteriore perdita delle capacità di mobilitare risorse normative, sia
un’ulteriore impoverimento della conoscenza del mondo imprenditoriale
autoctono. Impoverimento delle reti e isolazionismo generano a loro volta
perdita di fiducia nelle reti e perdita di fiducia che gli intervistati godono tra i
membri delle proprie reti, entrando in questo modo in un processo di
causazione circolare da cui risulta estremamente difficile uscire. Bisogna,
infine, rilevare che anche la scarsa interazione degli stessi intervistati con le
istituzioni pubbliche e private italiane rafforza questi processi di perdita di
fiducia nelle reti e nella capacità di mobilitazione delle risorse.
Per quanto riguarda il capitale finanziario, si segnala che gli intervistati
scontano una forte difficoltà nell’effettuare investimenti produttivi attraverso
l’uso delle rimesse. Questo è dovuto sia all’esiguità delle stesse sia alla
scarsa fiducia nel paese di origine come luogo di investimento. Del resto in
una situazione precaria come è quella del migrante soprattutto in presenza
di politiche migratorie che non assicurano certezza dei propri diritti; è
difficile non nutrire una scarsa predisposizione al rischio, a maggior ragione
in un paese come il Marocco considerato dagli stessi intervistati ad alto
rischio per qualsiasi investimento. In conclusione, i risparmi di una vita di
migrazioni devono essere investiti per rendimenti sicuri, a garanzia del
futuro. Il capitale umano sicuramente rappresenta la dotazione di capitale
che presenta maggiori possibilità di investimento di sviluppo e di innovazione
nelle comunità di origine degli intervistati. Le competenze tecniche,
organizzative e legislative acquisite dagli immigrati durante il proprio
percorso lavorativo rappresentano un prezioso insieme di risorse
indispensabili per qualsiasi intervento nelle loro comunità di origine.
Il capitale umano non riguarda solamente quelle competenze acquisite
nell’espletamento delle attività lavorative ma riguarda innanzitutto
l’acquisizione delle capacità imprenditoriali come: la motivazione all’impresa;
la capacità di progettazione e implementazione efficiente; la conoscenza dei
mercati e la capacità di previsione degli andamenti futuri dei mercati di
riferimento.
Qualsiasi indicazioni di policy deve partire da questo assunto, emerso con
molta forza durante l’indagine di campo: il migrante rappresenta un ponte
tra la comunità di partenza e quella di arrivo, egli è insieme il soggetto e il
tramite di ogni relazione tra le due comunità.
497
Tale assunto implica che qualsiasi strategia di co-sviluppo o intervento che
intravede nel migrante uno dei soggetti coinvolti deve riguardare le due
comunità, cioè deve interessare il migrante marocchino residente in Italia
(immigrato) e lo stesso migrante marocchino in Marocco (emigrante). Le
policy che intendono costruire l’ambiente istituzionale adatto all’impiego
delle risorse del migrante devono, dunque, tenere conto anche delle politiche
migratorie in generale e di quelle di integrazione in particolare.
Esse devono interessare due ambiti in particolare: le politiche di
immigrazione, rendendo più facile all’immigrato la possibilità di muoversi tra
il paese di emigrazione e quello di immigrazione per l’espletamento delle
proprie attività imprenditoriali; le politiche per l’immigrazione favorendo
l’integrazione degli immigrati, agendo sia sulle possibilità di accesso al
credito per gli immigrati che intendono intraprendere attività lavorative e/o
imprenditoriali che coinvolgono il paese di origine e di arrivo, sia sullo
sviluppo di politiche formative che non si occupino solo dell’aspetto
normativo ed economico del fare impresa ma che soprattutto garantiscano
all’immigrato il reale accesso al mondo imprenditoriale autoctono. Si tratta,
in sintesi, di investire sul capitale sociale dell’immigrato.
In conclusione, solo un immigrato integrato nella comunità di accoglienza
può costituire la risposta transnazionale ai bisogni di sviluppo della propria
comunità di origine.
498
CONCLUSIONI
Antonio Maspoli, Mattia Vitiello
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE IN MERITO AL MIGRANTE COME
AGENTE DI SVILUPPO: LIMITI E INDICAZIONI DI POLICY
Dagli obiettivi ai risultati
Apporre delle conclusioni ad un progetto come quello presente, che si è
caratterizzato per la sua complessità e per l’articolazione su più livelli, sia
territoriali che di settore di intervento, rischia di ridurre la sua ricchezza di
suggerimenti e suggestioni, ma soprattutto costituisce un’indebita chiusura
di un processo che ha ancora bisogno di compiersi per mostrare tutte le sue
potenzialità e ricchezza progettuale. La complessità di questo progetto pilota
è dovuta al fatto che esso è stato sia una ricerca, sia un vero e proprio
progetto di sviluppo, svolto attraverso degli interventi formativi e di
animazione di comunità. Inoltre esso costituisce un’esperienza pionieristica
in questo ambito, per cui risulta importante apprendere dai suoi errori, limiti
e fallimenti, oltre che dai suoi esiti positivi.
Dall’introduzione si legge che l’obiettivo fondamentale di questa ricerca è
quello di capire attraverso quali strumenti e modalità e con quali politiche di
sostegno, le dotazioni di capitale finanziario, sociale ed umano, acquisite dai
migranti marocchini durante l'esperienza migratoria, possono essere
utilizzate allo scopo di attivare i necessari processi di innovazione e di
sviluppo economico nelle zone di origine.
A questo scopo il lavoro di ricerca si è sviluppato lungo diversi livelli
territoriali; la ricerca è stata svolta nei contesti italiani e marocchini,
passando dal livello micro - rappresentato dai contesti locali delle regioni
italiane oggetto della ricerca e dalle province marocchine - al livello
territoriale rappresentato dai contesti nazionali dell’Italia e del Marocco che
si potrebbe definire meso, fino ad indagare sia l’insieme delle relazioni
499
economiche e commerciali esistenti tra UE e paesi nord africani, sia le
politiche migratorie e di cooperazione, situandosi ad un livello macro.
Da un lato - livello meso - è stata studiata la presenza immigrata
marocchina in Italia, i suoi processi di stabilizzazione e di incorporazione
nella società italiana, come anche la composizione dei flussi migratori in
partenza dal Marocco verso l’Italia.
Il livello di analisi micro ha portato all’individuazione delle dotazioni di
capitale degli immigrati marocchini e degli strumenti necessari affinché tali
dotazioni possano essere utilizzate come risorse per lo sviluppo e
l’innovazione delle zone di origine, mentre quello macro ha evidenziato i
limiti e gli ostacoli che le relazioni esistenti nel bacino del Mediterraneo
pongono all’utilizzo del migrante come agente di sviluppo e di innovazione.
Infine l’intervento di sviluppo si è svolto tramite delle attività di formazione
in creazione e gestione d'impresa, rivolte sia ai migranti marocchini residenti
in Italia, sia agli imprenditori ed artigiani delle quattro zone pilota del
Marocco1.
L'obiettivo era duplice: da un lato assicurare, in ogni caso, un'efficacia al
progetto attraverso le ricadute positive - in termini di potenziamento delle
competenze - sui beneficiari diretti, dall'altro creare un linguaggio comune
ed una possibilità di interazione fattiva tra i migranti, imprenditori ed
operatori sociali, e i loro "omologhi" in Marocco, alfine di permettere lo
scambio di esperienze e, in prospettiva, l'instaurarsi di relazioni
imprenditoriali ed associative durevoli e proficue che vedano il migrante
marocchino giocare un ruolo di facilitatore e di promotore dei processi, in
altre parole di agente di sviluppo.
I livelli di intervento e di indagine rilevano i limiti, ma anche le potenzialità
del migrante come agente di sviluppo e di innovazione.
Analizzando i contesti cittadini - Milano e Napoli - così come quelli regionali -
Lombardia e Campania - si capisce che l’immigrato marocchino può
assumere il ruolo di agente di sviluppo, sfruttando tutte le sue potenzialità,
solamente in presenza di determinate condizioni, che non sempre si
realizzano.
1 Nador, Casablanca, Béni Mellal e Khouribga
500
Rispetto alla relazione diretta tra migranti in Italia e imprenditori ed artigiani
in Marocco, testata attraverso i soggiorni in Marocco degli immigrati coinvolti
nell'ambito delle attività di formazione del progetto, i limiti maggiori che si
sono evidenziati, sono riferiti sia alla disomogeneità dei migranti intervistati
in relazione alle dotazioni di capitale umano, sociale e finanziario, sia al loro
scarso legame con il territorio d'origine.
Se da un lato l'esperienza dell'implementazione delle attività ha mostrato
che la disponibilità e l'interesse allo svolgere il ruolo di agente di sviluppo
delle comunità di origine è direttamente proporzionale alla situazione
personale (stabilità, mantenimento di relazioni e riconoscimento sociale nella
propria comunità di origine, capacità di essere rappresentante e
procacciatore d'affari del mondo imprenditoriale italiano), d'altro lato è
risultato altrettanto importante essere identificati come appartenenti ad un
gruppo di persone e perseguire un fine ed un obiettivo comune,
oltrepassando il limite della rappresentanza e dell'interesse individuale.
In questo senso la legittimazione ottenuta dall'appartenere ad un progetto di
sviluppo ha permesso ai migranti, come gruppo, di essere ricevuti e di avere
colloqui con istituzioni pubbliche che, viceversa non sarebbero ovviamente
state disponibili ad incontri individuali non inseriti all'interno di un processo e
di un progetto "garantito".
Le difficoltà ed il limiti maggiori scaturiscono probabilmente proprio dagli
aspetti principali della migrazione marocchina in Italia, che è caratterizzata
dalla clandestinità (almeno nel primo periodo di approdo), dalla instabilità
dell'inserimento all'interno della società di accoglienza, dallo sforzo
individuale e dall'impossibilità di fare ricorso, una volta partiti, alle risorse ed
alle proprie relazioni nella comunità di origine.
I migranti hanno mostrato un elevato interesse personale all'idea ed alle
attività di progetto (possibilità di contatti, formazione, accesso a risorse), ma
una forte difficoltà di costruzione di visioni ed attività collettive e di relazione
con il territorio d'origine.
L’indagine svolta in Lombardia ha individuato nella comunità marocchina
buone dotazioni di capitale umano ed, in alcuni casi (attività imprenditoriali
di relativo successo), discrete dotazioni di capitale finanziario. Nonostante
ciò si sono riscontrati limiti nell’indirizzo e nel sostegno all’investimento di
questi capitali; limiti sia a livello istituzionale che di apparato di servizi
(sistema bancario, sistema formativo, associazioni di categoria).
501
Dal punto di vista dei migranti si è riscontrata scarsa capacità di effettuare
rimesse di tipo produttivo parallelamente ad una scarsa fiducia nel paese di
origine come luogo di investimento.
Limiti forti si sono riscontrati nelle dotazioni di capitale sociale caratterizzato
da:
Bassa disponibilità all’azione collettiva accompagnata da una debole
fiducia nelle reti di connazionali.
Scarsa interazione con le istituzioni italiane.
Scarsa fiducia nelle istituzioni del paese di origine.
Sul piano delle realtà associative, inizialmente considerate interlocutori
privilegiati da coinvolgere attivamente, sia nella formulazione di idee e
contenuti per il co-sviluppo, sia come ponte per diffondere il progetto pilota
tra la comunità, si è rilevato un quadro frammentato, disperso, e, solamente
in pochi casi, potenzialmente fertile. La comunità marocchina in Lombardia
sembra infatti nel suo complesso aver investito molto poco nella costruzione
di uno spazio sociale di condivisione e partecipazione nei contesti di
insediamento, rispondendo in maniera debole e frammentaria ai già deboli
segnali che provengono dalla società di accoglienza e rendendosi raramente
propositiva e attiva nell’interazione con la società civile e le istituzioni locali.
Tale situazione si riscontra anche a fronte di un grado di stabilizzazione
economica e occupazionale relativamente positivo per la comunità
marocchina in Lombardia.
A livello istituzionale, le attività indirizzate alla creazione di partnership per il
co-sviluppo sono apparse ancora acerbe e poco aperte rispetto alla
possibilità di considerare e valorizzare il potenziale transnazionale dei
migranti. Parallelamente la popolazione immigrata pare ancora molto fragile,
costretta ad una condizione di precarietà giuridica e lavorativa da un lato, e
di emarginazione sociale e spesso anche psicologica dall’altro: tale status ne
soffoca le potenzialità costruttive e propositive rendendo difficile una
progettualità a medio e lungo termine sia sul piano delle esistenze
individuali, sia, a maggior ragione, sul piano della costruzione di realtà
collettive. Raramente viene riconosciuto ai migranti il valore aggiunto e il
contributo che essi potrebbero dare nell’ambito della cooperazione e
dell’internazionalizzazione in ragione della loro identità costruita tra due
mondi.
502
In questo quadro le Regioni dovrebbero avere un ruolo di regia attraverso la
raccolta e la promozione delle sollecitazioni che vengono dal tessuto sociale
ed economico di riferimento. La modalità del partenariato territoriale
coinvolge in un impegno organico e prolungato tutti gli attori delle rispettive
comunità locali a livello istituzionale e di società civile promuovendo sinergie
e collaborazioni.
Sarebbe auspicabile che si strutturassero protocolli e programmi di scambio
in grado di fornire una cornice istituzionale favorevole allo sviluppo di
iniziative nate su impulso delle comunità immigrate o che perlomeno le
coinvolgano come risorsa.
Il contesto campano evidenzia come i due limiti più importanti siano
rappresentati dalla scarsità di capitale sociale e da una bassa disponibilità di
capitale finanziario.
Per quanto riguarda il primo punto, già nell’introduzione si è affermato che il
capitale sociale indagato in questa sede è rappresentato dalle relazioni
costruite dal migrante nello svolgimento del suo percorso migratorio,
considerate sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista del
contenuto che le stesse veicolano.
In particolare ciò che manca agli immigrati marocchini intervistati è ciò che
qui è stata definita la caratteristica chiave del capitale sociale, cioè la
capacità di convertire il capitale sociale in qualsiasi altra forma di capitale.
Questo limite diviene particolarmente evidente quando esso si unisce alla
scarsa disponibilità di reddito monetario mostrata dagli stessi immigrati,
scarsità che si riflette anche nell’invio di rimesse in forma monetaria e che
viene compensata con l’invio di merci di consumo scarsamente reperibili
nelle zone di origine e per questo di prezzo elevato. Infine, anche la difficoltà
che gli immigrati incontrano nell’instaurare un rapporto che non sia di mero
deposito con le banche locali e di accedere alle più comuni forme di credito,
può essere spiegato, ovviamente dal punto di vista delle banche, da questa
mancanza di capitale sociale.
Nel caso di attività imprenditoriali o comunque di attività lavorative di tipo
autonomo che potrebbero trasformarsi in attività imprenditoriali
remunerative, questo limite (di non potere sopperire alla mancanza di
capitale monetario con altre dotazioni di capitale) rappresenta un ostacolo
definitivo allo sviluppo delle stesse attività.
503
Nel contesto di indagine rappresentato dal Marocco – livello meso – sono
stati analizzati i processi di cambiamento mostrati dall’economia e dalla
società marocchina, allo scopo di individuare sia gli effetti che essi hanno sui
flussi migratori, con particolare riguardo alla loro intensificazione e alla loro
composizione, sia gli effetti che gli stessi movimenti migratori hanno sulle
comunità d'origine dei migranti. La dimensione economica più rilevante dei
flussi migratori marocchini verso l’estero è rappresentata dal volume delle
rimesse, che costituiscono la principale risorsa in moneta estera del Marocco.
Dunque l’impatto della migrazione sull’economia nazionale risulta di grande
importanza e si può concludere che la principale ricchezza del Marocco
deriva dallo sfruttamento della forza lavoro all’estero. Tuttavia su scala
regionale le rimesse sono utilizzate principalmente per il consumo e la
sopravvivenza delle famiglie dei migranti. Il resto è accumulato in un fondo
di risparmio che per l’83 per cento dei casi viene investito nella costruzione
di una casa per la famiglia.
A livello locale, l’impatto principale dell’emigrazione sull’economia riguarda la
riduzione della povertà e il miglioramento dello stile di vita della popolazione,
piuttosto che la crescita economica delle stesse regioni. Inoltre, grazie
all’investimento immobiliare dei migranti, le campagne marocchine sono
investite da un fenomeno di micro-urbanizzazione, che comporta una
maggiore accessibilità ai servizi ed all’informazione ed un cambiamento dei
consumi. In particolare la micro-urbanizzazione favorisce la scolarizzazione
delle giovani generazioni residenti in ambito rurale.
A livello di sviluppo economico regionale, al contrario, l’impatto delle rimesse
rimane limitato, visto che i risparmi dei migranti vengono per la quasi
totalità drenati dal sistema bancario in crediti ad investitori di Casablanca,
dove le infrastrutture rendono le attività più sicure. Possiamo riassumere,
dunque, che le rimesse dei migranti giocano un ruolo determinante
nell’economia marocchina a livello nazionale (per coprire la bilancia
commerciale ed aumentare la liquidità a disposizione del sistema bancario),
mentre hanno un impatto principalmente sociale e di riduzione della povertà
a livello regionale. Le regioni di Khouribga e Béni Mellal si trovano escluse
dallo sviluppo economico marocchino, forniscono mano d’opera per l’Europa,
in cambio ne ricevono rimesse, che non potendo essere investite in loco,
sono drenate a Casablanca, all’eccezione di una parte dedicata ai consumi
locali.
504
L’analisi economica è stata accompagnata da uno studio – sempre su scala
nazionale - riguardante i programmi delle istituzioni Marocchine e
Internazionali, volti alla valorizzazione del migrante come agente di sviluppo.
L’analisi ha mostrato l’esistenza di tre filoni principali, caratterizzati da
diverse visioni del processo di sviluppo nell’area mediterranea e del ruolo
giocato dal migrante all’interno del suddetto processo. Il primo filone
riguarda l’esperienza di ONG franco-marocchine (Migration &
Développement, Immigration Développement et Democratie), fondate da
migranti arrivati in Francia negli anni 60, durante la prima grande ondata
migratoria verso l’Europa. I migranti, visti come cittadini transnazionali,
sono considerati agenti di sviluppo su entrambe le rive del mediterraneo. In
Marocco il loro ruolo è favorire uno sviluppo locale integrato, sia economico e
sociale che culturale; in Francia i migranti sono chiamati a partecipare
attivamente alla costruzione di una società multietnica. Il secondo filone
riguarda i programmi di istituzioni Marocchine (Fondation Hassan II pour les
MRE, Ministère Délégué auprès du Ministre des Affaires Etrangères chargé de
la Communauté MRE, Bank Al Amal) ed Europee (Fondazione Olandese
IntEnt), che vedono nel migrante un agente di sviluppo essenzialmente
economico per il Marocco, grazie ad un trasferimento di fondi e competenze
dalla riva Nord alla riva Sud del Mediterraneo. Infine il terzo filone riguarda
l’approccio di associazioni locali, nate negli ultimi anni, in regioni di forte
migrazione illegale verso l’Italia (AFVIC), che vedono il migrante come
clandestino, vittima del sottosviluppo e delle politiche Europee di chiusura
delle frontiere. I programmi di quest’ultimo filone riguardano principalmente
attività di sensibilizzazione sul rischio che comporta la migrazione
clandestina. In generale i primi due filoni si riferiscono ai migranti
marocchini residenti in Francia o nel Nord Europa, mentre il terzo ai migranti
in Italia e Spagna.
L’esempio di Migration et Développement e Immigration Développement et
Democratie risulta di grande interesse, dato che vede il migrante, non solo
come agente di sviluppo puramente economico, o come vittima di un divario
tra le due rive del mediterraneo, ma come vettore d’innovazione
transnazionale. La possibilità di estendere l’esperienza delle ONG franco-
marocchine nei paesi di recente migrazione si scontra, tuttavia, con le
caratteristiche dei flussi migratori degli anni 90.
505
I migranti partiti in Francia negli anni 60, erano legali sul territorio francese,
lavoravano come operai in grandi industrie e beneficiavano dell’assistenza
dello stato sociale. La migrazione verso l’Italia non è solo più recente
rispetto a quella francese, avviene anche in un contesto economico e politico
diverso, con forti sacche di clandestinità nel periodo iniziale e dinamiche di
esclusione dal tessuto socio-economico in fase di stabilizzazione, che non
favoriscono la partecipazione attiva dei migranti alla società italiana.
L’analisi a livello micro, nel contesto marocchino, si è articolata lungo la
comparazione delle potenzialità economiche delle regioni indagate ed il
punto di vista dei piccoli imprenditori locali sulla possibilità di instaurare reti
economiche di scambio attraverso i migranti in Italia.
Le caratteristiche economiche e sociali di tali regioni, soprattutto se
considerate in relazione ai fenomeni migratori, con particolare riferimento
alle regioni di Khouribga e Béni Mellal rendono queste aree un luogo
privilegiato per la realizzazione di reti di scambio con l’Italia.
A Béni Mellal i settori più dinamici dell’economia locale sono quello agro-
alimentare, soprattutto la produzione d’olio d’oliva, ed il turismo di
montagna; a Khouribga questi settori riguardano i servizi e le attività di
“sous traitance” dell’Office Chérifien du Phospate (OCP).
I piccoli imprenditori intervistati riconoscono ai migranti un ruolo propulsivo
nello sviluppo imprenditoriale locale. Questo ruolo non è legato solamente al
reperimento di fondi per finanziare nuove attività, ma anche all’allargamento
dei mercati, alla costruzione di reti commerciali e all’importazione di nuovi
mezzi e modi di produzione. Per queste ragioni i piccoli imprenditori di
Khouribga e Béni Mellal mostrano un interesse abbastanza alto ad uno
scambio con l’Italia, riconoscendo nei migranti gli agenti prioritari nel
processo d’internazionalizzazione della piccola impresa locale, in mancanza
di altri fonti di intermediazione.
Un tale interesse, tuttavia, è accompagnato da alcune riserve riguardo alla
possibilità di associarsi e di condividere il capitale con migranti residenti in
Italia. Per giustificare la loro sfiducia, i piccoli imprenditori avanzano un
insieme di argomenti e considerazioni, che possono essere sintetizzate in tre
punti principali, riguardanti: a) le dimensioni ridotte del capitale monetario a
disposizione dei migranti; b) i limiti strutturali dell’economia locale; c)
l’immagine negativa degli stessi immigrati in Italia.
506
I primi due argomenti sono correlati. Il ruolo del migrante come agente di
sviluppo non può ridursi al solo investimento delle proprie rimesse, e non
solo per la loro esiguità rispetto ai capitali necessari ad innovare il sistema
produttivo locale. La struttura monopolistica del mercato, gli ostacoli legati
alla struttura amministrativa ed istituzionale (burocrazia eccessiva e
mancanza di informazione), il difficile accesso dei piccoli imprenditori al
sistema bancario e l’assenza di infrastrutture adeguate rendono il sistema
produttivo locale poco dinamico. L’alto tasso di rischio dell’ investimento, che
ne consegue, in particolare per capitali iniziali ridotti, spinge i migranti a
impiegare i loro risparmi in attività sicure e a bassa redditività, come la
ristorazione o l’immobiliare, e a rinunciare ad investimenti più ambiziosi. Il
terzo punto riguarda, infine, la carenza di capitale sociale dei migranti, non
solo rispetto al contesto italiano, ma anche rispetto a quello marocchino. Gli
imprenditori e gli artigiani locali informano che gli emigranti presenti in Italia
non godono di una grande fiducia e vengono visti come partner commerciali
poco affidabili. Passando ai possibili ambiti economici sopra cui costituire reti
commerciali tra Italia e Marocco, i piccoli imprenditori intervistati hanno
proposto come oggetto di partenariato con l’Italia un ventaglio molto vasto e
disparato d’attività. Questo dato riflette una conoscenza frammentaria
dell’ambiente economico e la mancanza di una visione strategica per lo
sviluppo della piccola impresa locale. Di conseguenza diverse attività
produttive con alte possibilità di sviluppo, sia nel campo dei servizi che nel
campo industriale, sono sfruttate al di sotto delle possibilità esistenti e
spesso vengono sostituite da attività commerciali d’importazione. In queste
condizioni risulta difficile alla piccola impresa locale valorizzare appieno le
potenzialità offerte dal fenomeno migratorio verso l’Italia.
L’analisi delle attività del progetto pilota di formazione in gestione e
creazione d’impresa per gli artigiani e i piccoli imprenditori delle regioni in
analisi confermano i risultati della ricerca. I beneficiari dei corsi, circa 800
persone, hanno mostrato un grande interesse a scambi commerciali con
l’Italia. Tale interesse, tuttavia, non riesce a concretizzarsi in progetti di
partenariato a causa dei limiti interni alla piccola impresa locale (carenza di
competenze in gestione d’impresa e commercializzazione dei prodotti), e
della mancanza di strutture efficaci di supporto e guida all’impresa, che
possano elaborare una strategia di riferimento per lo sviluppo economico
locale.
507
Dai limiti alle indicazioni di policy
I limiti individuati nella prima sezione di queste osservazioni conclusive
indicano gli ambiti nei quali intervenire e le misure politiche da sviluppare in
modo che il migrante marocchino dispieghi tutto il suo potenziale come
agente di sviluppo e di innovazione.
Partendo dai contesti locali, risulta che in Marocco l’analisi a livello micro ha
evidenziato il bisogno di una politica d’accompagnamento alle piccole
imprese e di appoggio alle associazioni locali per valorizzare l’intervento dei
migranti.
A livello meso fondamentalmente si rileva il bisogno di un intervento da
parte delle istituzioni pubbliche allo scopo di valorizzare le rimesse come
risorsa per l’investimento locale (es. investimento statale in infrastrutture).
Infine, per valorizzare le esperienze preesistenti di istituzioni - pubbliche e
non - sul binomio migrazione-sviluppo, l’analisi dei risultati della ricerca
sottolinea che è meglio partire dai bisogni locali in Marocco, dove esiste un
forte capitale sociale, e mobilitare i migranti in Italia intorno a questi bisogni,
utilizzando un approccio partecipativo e comunitario. In questo modo si ha il
duplice effetto di creare reti in Italia tra migranti marocchini e associazioni e
rispondere ai bisogni della regione d’origine. La cosa è facilitata dalle
strutture a filiera della migrazione che connette città a città.
Le misure di policy suggerite dai contesti locali indagati in Italia, Campania e
Lombardia, convergono sostanzialmente in direzione di un rafforzamento
delle politiche di integrazione degli immigrati e di un ripensamento delle
politiche di ingresso degli immigrati in territorio italiano.
Da tutte le indagini svolte durante questo progetto, così come in tutti i
momenti di riflessione, di formazione ed incontro, è emerso con forza che
esiste nel migrante il desiderio e l’intenzione di pensarsi come agente di
sviluppo, anche per riappropriarsi di un ruolo riconosciuto, attivo e continuo,
nella sua comunità di origine. In effetti la grande risorsa rappresentata
dall’immigrato marocchino in veste di agente di sviluppo e di innovazione
della propria comunità di origine è rappresentata dal fatto che egli è situato
sia in questa comunità che in quella di accoglienza.
Ma, quasi paradossalmente, emerge che la sua maggiore debolezza si
riferisce al progressivo scollamento dalla sua comunità di origine; la sua
capacità di collegare le due comunità e la ricchezza e la complessità delle
508
risorse acquisite durante il percorso migratorio rappresentano quello che
può offrire per lo sviluppo delle sue comunità di appartenenza (origine e
accoglienza). Questi due connotati dell’esperienza del migrante e la sua
capacità di metterle al servizio delle proprie collettività dipendono, in larga
misura dal suo grado di integrazione nella società ospite ed in quella di
origine. Le dotazioni di capitale acquisibili dal migrante si sviluppano
soprattutto nell’ambito lavorativo e nelle relazioni con la società ospite. Una
buona posizione lavorativa ed una buona possibilità di interazione con il
tessuto sociale di accoglienza determinano la ricchezza del capitale umano e
sociale dell’immigrato. Inoltre, la possibilità che ha il migrante di spostarsi
può essere intesa anche come un pilastro della sua condizione di "ponte". In
ultima analisi, l’insieme ed il grado di godimento dei diritti che le politiche di
immigrazione assicurano all’immigrato incidono anche sulle sue capacità di
essere agente di sviluppo e di innovazione. Dalle ricerche locali si rilevano
due interessanti esempi in merito all’influenza che le politiche di
immigrazione esercitano sulle potenzialità e capacità dell’immigrato di
ricoprire il ruolo di agente di sviluppo. Dal punto di vista delle politiche di
integrazione economica, si possono citare il cattivo o addirittura mancato
rapporto degli immigrati con le banche, mentre per quanto riguarda
l’integrazione sociale va sottolineata l’insufficienza degli interventi delle
istituzione politiche (soprattutto enti locali) e delle strutture associative
(associazioni di categoria, sindacati, ONG, ecc.), in merito a queste
tematiche. In sintesi, il progetto suggerisce che una maggiore apertura delle
politiche di ingresso, consentendo al migrante di potere avere a disposizioni
più canali regolari per l’accesso nei paesi di accoglienza e una più ampia
possibilità di stabilizzazione del proprio status giuridico, rafforzano le
possibilità che ha il migrante di costituirsi come collegamento tra le sue due
comunità di riferimento. Inoltre, un più alto riconoscimento dei diritti dei
lavoratori immigrati, così come un loro più ampio coinvolgimento nella vita
associativa e politica delle comunità di accoglienza, garantisce l’acquisizione
e la qualità delle risorse da investire nella propria comunità di origine.
I risultati della ricerca, infine, indicano nel livello micro l’ambito da cui
devono partire gli interventi di sviluppo che pongono al centro del proprio
agire l’immigrato e la sua comunità.
Exodus Edizioni s.r.l. Viale Marotta 18/20
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