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IL PROCESSO IN MATERIA DI ACCESSO AI DOCUMENTI (dopo la l. 11 febbraio 2005 n. 15)
1. L’ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI: ASPETTI GENERALI ED
EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA PROCESSUALE.
La legge 7 agosto 1990, n. 241, che ha introdotto in generale il «diritto di accesso ai
documenti amministrativi»1, non riguarda soltanto gli aspetti sostanziali dell'istituto, ma contiene
anche la disciplina di alcuni essenziali profili processuali. In particolare, la legge consente
all'interessato di presentare ricorso in primo grado al tribunale amministrativo regionale «contro le
determinazioni amministrative concernenti l'accesso», definendo sinteticamente il rito e i poteri
del giudice.
La materia dell’accesso ha subito una complessa evoluzione.
In primo luogo, la legge n. 241/1990 è stata modificata dalla legge 3 agosto 1999, n. 265,
che ha ampliato l'ambito dei soggetti nei confronti dei quali può essere esercitato il diritto
1 F. FRACCHIA, Riti speciali a rilevanza endoprocedimentale, Torino, 2003, 9 e ss.; N.
SAITTA, I giudizi in camera di consiglio nella giustizia amministrativa, Milano, 2003, 393 e 55.;
CE. GALLO-S. FOA, Accesso agli atti amministrativi, in Dig. IV (disc. pubbl.), Aggiorn., 2000, 1
e 55; M.A. SANDULLI, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Enc. dir., IV,
Aggiorn., Milano, 2000, 1 e S5.; M. CLARICH, Diritto d'accesso e tutela della riservatezza:
regole sostanziali e tutela processuale, in Dir. proc. amm., 1996,430 e ss.; S. BELLOMIA, Il
diritto di accesso ai documenti amministrativi e i suoi limiti, Milano, 2000; F. CARINGELLA-R.
GAROFOLI-M.T. SEMPREVIVA, L'accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e
processuali, Milano, 1999; E. STOPPINI, Commento all'art. 25, in Le nuove norme in materia di
procedimento amministrativo, Le nuove leggi civili commentate, Padova, 1995, 130 e ss; G.
ARENA (a cura di), L'accesso ai documenti amministrativi, Bologna, 1992; M. ANDREIS,
Commento all'art. 21, l. Tar, in A. ROMANO (a cura di), Commentario breve alle leggi sulla
giustizia amministrativa, II ed., Padova, 2001, 758 e ss.; N. PAOLANTONIO, I riti camerali per
l'accesso e per il silenzio, in F.G. SCOCA (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2003,
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d'accesso, riferendolo anche ai “gestori” dei pubblici servizi. La legge ha anche precisato gli
effetti del silenzio dell’amministrazione sulla richiesta di accesso: trascorsi trenta giorni senza
l’adozione di una determinazione espressa, l’istanza si intende respinta.
Successivamente, la legge 24 novembre 2000, n. 340 ha introdotto una misura deflattiva
del contenzioso, prevedendo l'istituto del riesame, da parte del difensore civico, del diniego della
richiesta o del differimento dell' accesso.
Dal punto di vista più strettamente processuale, la normativa di cui all'articolo 4, comma 3,
della legge 21 luglio 2000, n. 205, ha previsto la possibilità per il ricorrente di stare in giudizio
personalmente. L'amministrazione può inoltre essere rappresentata e difesa da un proprio
dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale
dell'ente.
Ancora, l'articolo 1 della legge n. 205/2000, modificando l'art. 21, comma primo, della
legge n. 1034/1971, ha stabilito che «in pendenza di un ricorso l'impugnativa di cui all'articolo 25,
comma 5, della 1. 7 agosto 1990, n. 241, può essere proposta con istanza presentata al presidente
e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica all'
amministrazione ed ai controinteressati, e viene decisa con ordinanza istruttoria adottata in camera
di consiglio».
In tal modo, affiancando al rito speciale e autonomo definito dalla legge n. 241/1990 un
rito incidentale, l'ordinamento ha attuato un principio di economia processuale, che consente
l'attrazione del giudizio sulle determinazioni in tema di accesso in capo al giudice già investito
della cognizione di altra questione "principale".
La nuova normativa incide notevolmente sia sul piano della tutela in giudizio della parte
privata, sia su quello della rappresentanza e difesa delle amministrazioni.
2. LA RIFORMA DELLA LEGGE N. 241/1990
La legge 15/2005, recante “Modificazioni ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241,
concernenti norme generali sull’azione amministrativa”, ha integralmente riscritto (negli articoli
15, 16 e 17) buona parte delle disposizioni del Capo V della legge n. 241/1990, relativo
all’accesso ai documenti, toccando anche alcuni aspetti strettamente processuali della disciplina.
Ma la legge di riforma incide anche su altri aspetti della normativa.
In termini generali, l’articolo 1 amplia il catalogo dei principi generali dell’azione
amministrativa, includendovi, la “trasparenza” e “i principi dell’ordinamento comunitario”, che, a
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loro volta, comprendono anche il valore della trasparenza.
Le innovazioni direttamente riferite all’accesso ai documenti, peraltro, non sono
immediatamente operanti, ma, tranne alcune eccezioni “hanno effetto dalla data di entrata in
vigore del regolamento” di cui al comma 2 dell’articolo 23. La disposizione richiamata, a sua
volta, prevede che “entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è
autorizzato ad adottare, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, un
regolamento inteso a integrare o modificare il regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 27 giugno 1992, n. 352, al fine di adeguarne le disposizioni alle modifiche introdotte
dalla presente legge”. Si tratta di un termine non definito come perentorio: pertanto, in concreto,
l’operatività della nuova normativa è rinviata ad una data incerta, correlata alla effettiva adozione
del previsto regolamento.
In particolare, sono differite le disposizioni di cui agli articoli 15, 16 e 17, comma 1,
lettera a). Sono immediatamente operanti, invece, poche altre disposizioni, riguardanti la
ricostituzione della commissione per l’accesso ai documenti, nonché le norme concernenti il
riordino del giudizio in pendenza di ricorso e la rappresentanza diretta delle parti.
Il nuovo articolo 22, al comma 1, lettera a), definisce il “diritto di accesso”, come “diritto
degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”.
Il comma 2 del nuovo articolo 22 si preoccupa, poi, di chiarire il rango della disciplina in
materia di accesso ai documenti “l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti
finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di
favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”.
Secondo il legislatore, il diritto di accesso “attiene ai livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai
sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”. Ciò comporta il
riconoscimento della potestà statale legislativa esclusiva in materia. Ma, secondo la disposizione
“resta ferma la potestà delle Regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di
garantire livelli ulteriori di tutela.”
Il rapporto tra la normazione statale e quella regionale e degli enti locali in materia di
accesso ai documenti, è però alquanto complicato da altre previsioni contenute nella stessa legge
di riforma.
L’articolo 23, comma 4 stabilisce che “ciascuna pubblica amministrazione, ove
necessario, nel rispetto dell'autonomia ad essa riconosciuta, adegua i propri regolamenti alle
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modifiche apportate al capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241, dalla presente legge nonché al
regolamento di cui al comma 2 del presente articolo.” In tal modo, si attribuisce un ruolo centrale
alle fonti statali, legislative, ma anche regolamentari, muovendosi dal presupposto che le norme
relative all’accesso ai documenti rientrano nell’ambito della legislazione esclusiva statale, e,
quindi, possono prevedere anche discipline di dettaglio e possono formare oggetto di interventi
regolamentari.
Nel settore dell’accesso, quindi, la potestà normativa statale è significativamente più
ampia di quanto non sia previsto per il procedimento in generale. Al riguardo, il nuovo articolo 29
della legge n. 241/1990, prevede, al comma 1, che “le disposizioni della presente legge si
applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle amministrazioni statali
e degli enti pubblici nazionali e, per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le
amministrazioni pubbliche.” Per quanto concerne il sistema della tutela, quindi, la riforma della
legge n. 241/1990 riguarda, indistintamente, tutte le amministrazioni, senza necessità di interventi
attuativi.
L’articolo 29, comma 2, in una prospettiva più generale, stabilisce che “le regioni e gli enti
locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente
legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione
amministrativa, così come definite dai princìpi stabiliti dalla presente legge».
In via transitoria, infine, la legge di riforma, prevede, all’articolo 24, che “fino alla data di
entrata in vigore della disciplina regionale di cui all'articolo 29, comma 2, della legge 7 agosto
1990, n. 241, come sostituito dall'articolo 19 della presente legge, i procedimenti amministrativi
sono regolati dalle leggi regionali vigenti. In mancanza, si applicano le disposizioni della legge n.
241 del 1990 come modificata dalla presente legge.”
Svolte queste precisazioni, è possibile illustrare il contenuto delle norme rilevanti in
materia di accesso ai documenti.
In particolare, è completamente riscritto proprio l’articolo 25, che riguarda la tutela
processuale. Nel nuovo testo, l’articolo è dotato di una rubrica: “Modalità di esercizio del diritto
di accesso e ricorsi”. Ma,mentre i primi tre commi dell’articolo non subiscono modifiche, il
comma 4 è oggetto di alcune innovazioni.
A) Si chiarisce meglio che il decorso di trenta giorni senza risposta determina la
formazione di un “diniego tacito”, superandosi la precedente dizione che faceva ancora
riferimento al “rifiuto tacito”.
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B) Si chiarisce la competenza del difensore civico in materia di ricorso amministrativo
contro l’accesso, prevedendosi che essa riguarda solo gli atti delle amministrazioni comunali,
provinciali e regionali.
C) Si stabilisce che, qualora il difensore civico non sia stato istituito, la competenza è
attribuita al difensore civico competente per l’ambito territoriale immediatamente superiore.
D) Si prevede che, nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello
Stato, il ricorso amministrativo è inoltrato presso la Commissione per l’accesso di cui all’articolo
27.
E) Si prevede che il difensore civico o la Commissione per l’accesso si pronuncino entro
trenta giorni dalla presentazione dell’istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si
intende respinto.
F) Si disciplina, per gli atti di competenza statale, il coordinamento con la normativa in
materia di privacy, definendosi il rapporto tra la Commissione e il Garante per la protezione dei
dati personali. Il meccanismo introdotto dalla legge è abbastanza complesso: “Se l’accesso è
negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la
Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si
pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si
intende reso.
Qualora un procedimento di cui alla sezione III del capo I del titolo I della parte III del
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, o di cui agli articoli 154, 157, 158, 159 e 160 del
medesimo decreto legislativo n. 196 del 2003, relativo al trattamento pubblico di dati personali da
parte di una pubblica amministrazione, interessi l’accesso ai documenti amministrativi, il Garante
per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della
Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il
termine per la pronuncia del Garante sino all’acquisizione del parere, e comunque per non oltre
quindici giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione.
G) Infine, per ragioni di coerenza sistematica, si inseriscono all’interno dell’articolo 25,
con alcuni cambiamenti di contenuto, le norme riguardanti, rispettivamente, la proposizione del
ricorso per la tutela dell’accesso in pendenza del ricorso per l’annullamento del provvedimento, e
la rappresentanza diretta delle parti.
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3. L’ACCESSO E IL CODICE DEI DATI PERSONALI.
La materia dell’accesso ai documenti ha formato oggetto di importanti interventi
normativi, collocati in diverse fonti.
Il "Codice in materia di protezione dei dati personali", di cui al decreto legislativo 30
giugno 2003, n. 196, in vigore dal 1 gennaio 2004, ha stabilito, all’articolo 59, che “Fatto salvo
quanto previsto dall'articolo 60, i presupposti, le modalità, i limiti per l'esercizio del diritto di
accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale,
restano disciplinati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e dalle altre
disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che
concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione
di una richiesta di accesso. Le attività finalizzate all'applicazione di tale disciplina si considerano
di rilevante interesse pubblico”.
La norma segna il riconoscimento della prevalenza della disciplina in materia di accesso,
che resta condizionata solo in parte dalle regole riguardanti la tutela dei dati “supersensibili”
(salute e vita sessuale). La scelta legislativa rileva sia sul piano sostanziale che su quello
processuale, considerando l’esplicito riferimento alla tutela giurisdizionale.
Ne consegue, quindi, che restano affidate alla giurisdizione amministrativa tutte le
controversie riguardanti le pretese all’accesso ai documenti amministrativi, ancorché relativi a
dati personali, compresi quelli sensibili.
Successivamente, però, la riforma della legge n. 241/1990 ha previsto una tutela più forte –
sul piano sostanziale - dei soggetti cui si riferiscono i dati sensibili.
Per l’articolo 24, comma 7, “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai
documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri
interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è
consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la
vita sessuale.”
4. L’ACCESSO NELLE INDAGINI DIFENSIVE. L’ACCESSO AGLI ATTI DELLE
IMPRESE ASSICURATRICI.
Altri due importanti interventi normativi incidenti, in senso ampio, sull’accesso ai
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documenti, riguardano settori estranei all’ambito operativo del processo speciale disciplinato
dall’articolo 25 della legge n. 241/1990.
Anzitutto, la legge 7 dicembre 2000, n. 397, recante "Disposizioni in materia di indagini
difensive", ha introdotto, nel codice di procedura penale, il nuovo articolo 391-quater (Richiesta
di documentazione alla pubblica amministrazione).
La disposizione stabilisce, al comma 1, che “Ai fini delle indagini difensive, il difensore
può chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione e di estrarne copia a sue
spese”.
Il comma 2 prevede che “l'istanza deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il
documento o lo detiene stabilmente” e stabilisce che “in caso di rifiuto da parte della pubblica
amministrazione si applicano le disposizioni degli articoli 367 e 368.”
Le disposizioni richiamate, a loro volta, prevedono che “quando, nel corso delle indagini
preliminari, il pubblico ministero ritiene che non si debba disporre il sequestro richiesto
dall'interessato, trasmette la richiesta con il suo parere, al giudice per le indagini preliminari.”
Quindi, in questo ambito, la decisione sulla ostensibilità del documento amministrativo è
attribuita al giudice penale.
La laconicità della normativa non consente di definire con maggiore precisione l’ambito
applicativo dell’accesso difensivo. Peraltro, in linea di massima, questo dovrebbe avere
un’estensione oggettiva notevolmente più ampia dell’ordinario accesso ai documenti, coincidendo
il potere del difensore con quello del pubblico ministero. L’amministrazione potrebbe opporre un
rifiuto legittimo solo in presenza di un segreto qualificato (che potrebbe giustificare anche il
rifiuto alla richiesta formulata dal pubblico ministero), oppure quando sussistano fondati dubbi
circa la pertinenza dei documenti richiesti.
In linea di fatto, comunque, non sembra precluso all’interessato di percorrere la via
ordinaria di un accesso amministrativo, seguito, eventualmente, dal ricorso al TAR. E nulla
impedisce che la parte richiedente attivi, contestualmente entrambi i tipi di richiesta.
Il secondo intervento normativo riguarda l’accesso nei confronti delle imprese
assicuratrici: la legge 5 marzo 2001, n. 57, recante “Disposizioni in materia di apertura e
regolazione dei mercati”, prevede, all’articolo 3, l’introduzione nella legge 24 dicembre 1969, n.
990, un nuovo articolo 12-ter.
Il comma 1 stabilisce che le imprese di assicurazione sono tenute a garantire, a coloro che
stipulino con esse contratti di assicurazione riguardanti tale ramo, nonché ai danneggiati, il diritto
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di accesso agli atti a conclusione dei procedimenti di valutazione, constatazione e liquidazione dei
danni che li riguardano.
Il comma 2 prevede che “al fine di cui al comma 1 ciascuna impresa di assicurazione deve
garantire all'assicurato nonché al danneggiato l'accesso agli atti di cui al medesimo comma 1. Se
entro sessanta giorni dalla richiesta l'assicurato o il danneggiato non è messo in condizione di
prendere visione degli atti richiesti, egli può rivolgersi all'ISVAP al fine di veder garantito il
proprio diritto.”
L’accesso si svolge nei confronti di imprese che agiscono nel mercato e che non possono
considerarsi gestori di servizi pubblici. Inoltre, l’accesso è finalizzato a tutelare le posizioni di
diritto soggettivo vantate dall’interessato.
Ne consegue che le eventuali controversie in materia appartengono alla giurisdizione
ordinaria, secondo i principi generali.
Resta il dubbio, però, che quando l’ISVAP abbia adottato un provvedimento esplicito e
questo sia contestato dalla parte interessata o dall’impresa, la relativa controversia spetti alla
cognizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’articolo 23-bis, comma 1, lettera, d), della
legge n. 205/2000, trattandosi di impugnativa di un atto adottato da un’autorità indipendente.
Con decreto del Ministro delle attività produttive 20 febbraio 2004, n. 74 (in G.U. n. 69
del 23 marzo 2004), è stato adottato il “regolamento recante disposizioni in materia di accesso
agli atti delle imprese di assicurazione in attuazione dell'articolo 3 della legge 5 marzo 2001, n.
57”.
5. L’ACCESSO AMBIENTALE.
In materia ambientale il decreto legislativo n. 39/1997, in attuazione della direttiva 7
giugno 1990 n. 90/313/CEE concernente “la libertà di accesso all'informazione in materia di
ambiente stabilisce una disciplina particolare, volta a favorire l’accessibilità di particolari
categorie di documenti, sul presupposto che, secondo la Commissione, “l'accesso alle
informazioni relative all'ambiente in possesso delle autorità pubbliche contribuirà a migliorare la
protezione dell'ambiente”.
Segnatamente, l’articolo 3, comma 1, del decreto stabilisce che “Le autorità pubbliche
sono tenute a rendere disponibili le informazioni relative all'ambiente a chiunque ne faccia
richiesta, senza che questi debba dimostrare il proprio interesse”.
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L’ambito applicativo della norma è potenzialmente molto ampio considerando che la
nozione di “informazioni relative all'ambiente", comprende “qualsiasi informazione disponibile in
forma scritta, visiva, sonora o contenuta nelle basi di dati in merito allo stato delle acque,
dell'aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio e degli spazi naturali, nonché alle
attività (incluse quelle nocive, come il rumore) o misure che incidono negativamente o possono
incidere negativamente sugli stessi, nonché alle attività o misure destinate a tutelarli, ivi compresi
misure amministrative e programmi di gestione dell'ambiente.”
Sul piano della tutela processuale, tuttavia, il decreto rinvia alle regole comuni previste
dalla legge n. 241/1990. L’articolo 6, comma 1, del decreto prevede che “Contro le
determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso alle informazioni in materia
ambientale e nel caso previsto al comma 6 dell'articolo 4 è dato ricorso in sede giurisdizionale
secondo la procedura di cui all'articolo 25, comma 5, della legge 7 agosto 1990, n. 241.”
La direttiva 28 gennaio 2003, n. 2003/4/Ce (GUCE 14 febbraio 2003 n. L 41) del
Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003 sull'accesso del pubblico
all'informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/Cee del Consiglio con decorrenza dal
14 febbraio 2005 non contiene significative innovazioni sul piano della tutela strettamente
processuale.
6. IL RICORSO E LA LEGITTIMAZIONE ATTIVA.
L'articolo 22 della legge n. 241/1990 attribuiva la legittimazione ad agire per l’esercizio
del diritto di accesso in ambito sostanziale (mediante la richiesta dei documenti
all’amministrazione) a «chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti».
La disposizione era integrata dalla previsione contenuta nell’articolo 2 del regolamento di
cui al D.P.R. n. 352/1992, il quale precisava che l’interesse deve essere “personale e concreto”.
Ora, nella nuova formulazione dell’articolo 22, è espressamente definita la categoria dei
“interessati”, indicati come “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o
diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
Va poi segnalato che l’articolo 22, nella attuale versione, contiene altre importanti
precisazioni in ordine alla titolarità dell’interesse all’accesso.
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Il comma 4 prevede che “non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica
amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della
persona cui i dati si riferiscono.”
Peraltro, non è chiaro il rapporto con altre disposizioni che fanno esplicito riferimento
all’accesso alle informazioni, in materia ambientale e nell’ordinamento degli enti locali. Si deve
ritenere che nel settore ambientale, i vincoli imposti dal diritto comunitario non possono
consentire limitazioni di carattere oggettivo, posto che la normativa europea compie un’espressa
menzione delle informazioni ambientali.
Per quanto riguarda gli enti locali, poi, resta nell’autonomia delle singole amministrazioni
la possibilità di prevedere forme di accesso riferite anche ad informazioni non tradotte,
formalmente, in documenti.
Secondo il comma 5 del nuovo articolo 23, “l’acquisizione di documenti amministrativi da
parte di soggetti pubblici, ove non rientrante nella previsione dell’articolo 43, comma 2, del testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa,
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si informa al principio
di leale cooperazione istituzionale.”
Inoltre, secondo il comma 6, “il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica
amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di
accedere”.
Ancora, l’articolo 24, comma 3, nella nuova formulazione, afferma che “non sono
ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle
pubbliche amministrazioni.”
Dunque, la titolarità della legittimazione è correlata alla sussistenza di un interesse
differenziato. Tale prescrizione è riferita, in primo luogo, ai titolari di interessi legittimi e di diritti
soggettivi e, cioè, delle tradizionali situazioni giuridiche soggettive protette dall’ordinamento.
La dottrina e la giurisprudenza hanno progressivamente esteso lo spettro dei soggetti
legittimati ad esercitare il diritto di accesso, pur negando la configurabilità di un'azione spettante a
qualsiasi consociato. Questa conclusione è avvalorata dall'articolo 2 del decreto del Presidente
della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352 («Regolamento per la disciplina delle modalità di
esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi»), il quale
definisce come "personale" e "concreto" l'interesse posto a fondamento della richiesta di accesso.
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Va quindi escluso che il diritto di accesso possa presentare la connotazione di un’azione
popolare, diretta ad effettuare un controllo sociale diffuso sull'attività amministrativa2, pur
essendo sufficiente la presenza di una situazione qualificata e protetta dall' ordinamento, insieme
alla esistenza di un interesse correlato alla tutela.
Peraltro, il requisito dell’interesse è costantemente interpretato in senso ampio e
pluricomprensivo3.
Inoltre, la valutazione dell'interesse alla esibizione prescinde dalla fondatezza o dalla
ammissibilità della domanda giudiziale che il privato potrebbe eventualmente proporre4.
L'ampliamento della sfera dei legittimati ad agire scaturisce inoltre dal riconoscimento
della possibilità di esercitare il diritto di accesso in capo ai soggetti che partecipano al
procedimento amministrativo, ai sensi degli articoli 7 e seguenti della legge n. 241/1990.
Le norme sulla partecipazione procedimentale attribuiscono agli intervenienti la facoltà di
prendere visione degli atti. Sul piano strettamente letterale, le disposizioni non contemplano il
potere più ampio di estrarre copia dei documenti.
In assenza di apposite regole relative alla tutela, si ammette pacificamente che all'accesso
endoprocedimentale sia applicabile la disciplina prevista dall'articolo 25 della legge n. 241/19905.
Va ancora aggiunto che numerose altre disposizioni hanno ampliato, in determinati ambiti,
il novero dei soggetti legittimati all'esercizio del diritto d'accesso. Molto importante, in tale
ambito, è l'articolo 10 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico degli enti locali),
il quale riconosce la possibilità di proporre la richiesta di accesso a tutti i cittadini, singoli o
2 Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2001, n. 5291, in Cons. Stato, 2001, 2280; sez. IV, 3
novembre 2000, n. 5930, in Giur. it., 2001, 392; 4 luglio 1996, n. 820, in Cons. Stato, 1996, I,
133; 3 febbraio 1996, n. 98, id., 1996, I, 133.
3 Cons. Stato, sez. IV, 17 giugno 1997, n. 649, in Foro amm., 1997, 1641.
4 Cons. Stato, sez.IV, 8 settembre 1995, n. 688, in Cons. Stato, 1995, I, 1199.
5 Cons. Stato, sez. VI, 22 maggio 1998, n. 796, in Cons. Stato, 1988, I, 984 e sez. IV, 12
maggio 1993, n. 530, in Cons. Stato, 1993, I, 609.
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associati, e prevede l'obbligo per gli enti locali di dettare norme regolamentari per assicurare ai
cittadini medesimi l'informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull'ordine di esame di
domande, progetti e provvedimenti che li riguardino.
La disciplina del testo unico dispone che il regolamento debba assicurare «il diritto dei
cittadini di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l'amministrazione».
La norma legislativa muove dall’idea che nell’ambito degli enti locali, il cittadino è
titolare di un potere di controllo più ampio, espressione di un diritto di partecipazione a sfondo
politico-amministrativo.
Peraltro, molti regolamenti degli enti locali hanno preferito allinearsi alle prescrizioni della
legge n. 241/1990, stabilendo una legittimazione più limitata. E anche la giurisprudenza più
recente pare orientata a svuotare di effettivo contenuto precettivo la norma contenuta nel testo
unico degli enti locali.
Il decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 39, inoltre, stabilisce che le autorità pubbliche
sono tenute a rendere disponibili le informazioni relative all'ambiente «a chiunque ne faccia
richiesta, senza che questi debba dimostrare il proprio interesse». La normativa rinvia
espressamente alla legge n. 241/1990, per quanto attiene ai profili processuali.
L'articolo 26 della legge 7 dicembre 2000, n. 383, infine, riconosce il diritto di accesso in
capo alle associazioni di promozione sociale.
L'ampliamento della legittimazione sostanziale ad esercitare il diritto d'accesso porta ad
attenuare i contorni soggettivistici dell'azione giurisdizionale, introducendo elementi che riducono
notevolmente le distanze rispetto alla giurisdizione di tipo oggettivo.
7. IL RICORSO PROPOSTO DA SOGGETTO DIVERSO DAL RICHIEDENTE. LA
LEGITTIMAZIONE PASSIVA E I CONTROINTERESSATI.
Secondo la formula letterale dell’articolo 25, comma 4, della legge n. 241/1990, l'azione
spetta soltanto a colui che abbia concretamente formulato una richiesta di accesso, su cui
l'amministrazione si sia pronunciata in modo sfavorevole. L'articolo 25 della legge n. 241/1990, si
riferisce, infatti, al solo "richiedente".
Non debbono tuttavia essere sottovalutati gli spunti interpretativi emergenti dalla lettura
del comma 5 dell'articolo 25, il quale prevede, con una formula più ampia, certamente svincolata
da una visuale strettamente riferita al richiedente, che «contro le determinazioni amministrative
concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso...».
13
L'interpretazione preferibile, quindi, è quella che ammette la legittimazione ad agire in
capo a soggetti anche diversi dal richiedente6. Soltanto «nei casi previsti dal comma 4» la
legittimazione va unicamente riconosciuta a tale soggetto.
Il comma 5, invece, aggiunge alle fattispecie di cui al comma 4 la più generale ipotesi che
si verifica allorché l'amministrazione assuma «determinazioni amministrative concernenti il diritto
d'accesso», che ben potrebbero anche essere di accoglimento della richiesta.
In ordine a tale situazione, la possibilità di ricorrere, non spettante al richiedente, privo
dell'interesse ad agire, va riconosciuta al soggetto che contesta la determinazione di accoglimento
della richiesta di accesso.
A tale situazione non si riferisce l'ultimo comma dell'articolo 25, il quale afferma che «in
caso di totale o parziale accoglimento del ricorso il giudice amministrativo... ordina l'esibizione
dei documenti amministrativi».
Circa l'individuazione del ricorrente diverso dal richiedente l'accesso, è sufficiente
indicare, esemplificativamente, il caso dell'istanza volta ad ottenere l'ostensione di atti contenenti
dati concernenti la sfera di un terzo.
In tal caso, l'amministrazione non è collocata in una relazione bilaterale coinvolgente il
solo richiedente, ma è al centro di una vicenda che implica anche il titolare del dato personale.
Sotto il profilo processuale, la posizione del soggetto terzo è stata colta sotto il particolare
aspetto della necessità che il ricorso proposto avverso il diniego all'accesso, a pena di
inammissibilità, venga ad esso notificato in qualità di controinteressato7.
In particolare, l'onere di notificare il ricorso agli eventuali controinteressati è stato sancito
da Cons. Stato, Ad. plen., 24 giugno 1999, n. 168, nel quadro di una riflessione più ampia sui
6 Cons. Stato, Ad. gen., parere 17 febbraio 1987, in Foro it., 1988, III, 22.
7 35 Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2000, n. 753, in Cons. Stato, 2000, 1,296; 26 giugno
2000, n. 3632, ibid., 151; sez. VI, 21 dicembre 1999, n. 2118, id., 1999, 1, 2187; sez. V, 5
maggio 1999, n. 518, ibid., 855; sez. VI, 5 ottobre 1995, n. 1085, in Giur. it., 1996, III, 1,224;
sez. IV, 13 gennaio 1995, n. 5, in Foro it., 1995, III, 386; sez. IV, 15 settembre 1994, n. 713, in
Dir. proc. amm., 1995, 582, con nota di F. FIGORILLI.
8 Foro it., 1999, III, 433, con nota di CARINGELLA e ROMEO e in Dir. proc. amm.,
14
caratteri del giudizio.
Ora, questa posizione è ben chiarita dalla nuova formulazione dell’articolo 22, comma 1,
che definisce “controinteressati”, “tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base
alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il
loro diritto alla riservatezza”.
Peraltro, la giurisprudenza nega che sia controinteressato il conduttore, nell'ipotesi di
impugnazione del silenzio serbato sulla richiesta di accesso avanzata dal locatore, il quale, in
possesso di titolo esecutivo di rilascio, abbia chiesto di conoscere l'esatta collocazione di esso
nella graduatoria degli sfratti da eseguirsi con l'assistenza della forza pubblica9.
La presenza di controinteressati, inoltre, è stata negata nel caso di accesso proposto da un
consigliere comunale, con riferimento ad atti pertinenti all'esercizio del mandato10, ovvero
nell'ipotesi di ricorso per l'accesso agli elaborati concorsuali11.
Più in generale, si è ritenuto che ricorra la figura del controinteressato soltanto nei casi in
cui la domanda incida direttamente sul suo interesse alla riservatezza12, situazione che si verifica,
ad esempio, allorché sia minacciato qualcuno degli interessi indicati nell'articolo 8 del D.P.R. 27
giugno 1992 n. 352 (interesse epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e
commerciale)13.
2000, 148 e ss., con osservazioni di C. CACCIAVll.LANI, Il diritto di accesso è interesse
legittimo.
9 Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 1995, n. 108, in Foro it., 1996, III, 374.
10 Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2000, n. 5109, in Giur. it., 2001, 392.
11 Cons. Stato, sez. IV, 13 gennaio 1995, n. 5, in Foro it., 1995, III, 386.
12 Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 1997, n. 1117, in Cons. Stato, 1997, I, 109 e 5 ottobre
1995, n. 1085, in Cons. Stato, 1995, I, 1416.
13 Cons. Stato, sez. IV, 24 febbraio 1996, n. 176, in Giur. it., 1996, III, 1, 257; sez. V, 5
maggio 1999, n. 518, in Cons. Stato, 1999, I, 855; sez. IV, 5 gennaio 1995, n. 4, in Giur. it., 1995,
15
Vanno poi segnalate le difficoltà che i ricorrenti potrebbero incontrare al momento di
integrare il contraddittorio: la posizione del controinteressato non è agevolmente desumibile dal
provvedimento impugnato.
Non solo: spesso si tratta di persone menzionate nei documenti di cui è stato negato
l'accesso, le quali, proprio in ragione di tale diniego, non sempre sono individuabili a priori dal
richiedente. In tali casi, l'onere di integrare il contraddittorio comporterebbe «una inconcepibile
lesione del loro diritto alla tutela giurisdizionale»14, ferma comunque restando la possibilità per il
giudice di concedere la rimessione in termini per errore scusabile15.
8. L’AMMINISTRAZIONE RESISTENTE IN GIUDIZIO.
Secondo l'articolo 23 della legge n. 241/1990 (come sostituito dall'art. 4, comma 2, della
legge n. 265/1999, ma prima della successiva riforma ), «il diritto di accesso di cui all'articolo 22
si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli
enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. il diritto di accesso nei confronti delle autorità di
garanzia e di vigilanza si esercita nell'ambito dei rispettivi ordinamenti, secondo quanto previsto
dall'articolo 24».
Ai sensi dell'art. 25, comma 2, la richiesta di accesso deve essere rivolta
all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente.
Anche l'articolo 2, comma 2, del D.P.R. n. 352/1992, sia pure con formulazione non del
tutto coincidente, si riferisce all'autorità «che è competente a formare l'atto conclusivo o a
detenerlo stabilmente».
Ora, nella nuova versione dell’articolo 22, al comma 1, lettera e), si prevede che rientrano
nella nozione di “pubblica amministrazione” “tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di
diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto
nazionale o comunitario”.
III, 1,470.
14 Cons. Stato, sez. VI, 19 gennaio 1995, n. 37, in Foro it., 1995, III, 308.
15 Cons. Stato, sez. VI, 30 marzo 2001, n. 1882, in Giust. it., 2001, 475.
16
D’altro canto, in una prospettiva più generale, il nuovo comma 1-ter dell’articolo 1
prevede che “I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il
rispetto dei principi di cui al comma 1”, compresi, evidentemente, anche i canoni generali della
pubblicità e della trasparenza”.
Le disposizioni citate rilevano nel senso che i soggetti da esse contemplati, in quanto
competenti ad assumere la determinazione sul diritto di accesso, acquisiscono la qualifica di parti
resistenti nel giudizio.
La legge si riferisce anche ai gestori (e non più ai soli concessionari, come era previsto
nella formulazione originaria dell’articolo 23) di servizi pubblici, indipendentemente dalla loro
qualificazione pubblica o privata.
Pertanto, non sussiste alcun dubbio circa la necessità che parte resistente debba essere il
soggetto il quale abbia assunto la determinazione, o serbato il silenzio, a seguito della richiesta di
accesso.
Tuttavia, poiché la legge si riferisce sia all'amministrazione che detiene il documento, sia a
quella che lo ha formato, potrebbe verificarsi il caso in cui la parte pubblica evocata in giudizio
perché ha negato l'accesso non abbia la materiale disponibilità del documento.
In tal caso, allora, si dovrebbe ammettere l'integrazione del contraddittorio nei confronti
del soggetto che può in concreto ostendere il documento.
9. LA NOTIFICA DEL RICORSO AL CONTROINTERESSATO: L’APPLICAZIONE
DELLE REGOLE GENERALI DEL GIUDIZIO IMPUGNATORIO.
L'orientamento prevalente della giurisprudenza è ora favorevole alla sussistenza di un
onere per il ricorrente di notificare il ricorso al controinteressato, individuato nel soggetto che
abbia un interesse strettamente personale, cui si riferisce il documento oggetto della originaria
richiesta di accesso.
Detta conclusione costituisce l'esito della elaborazione interpretativa concernente la natura
del "diritto" di accesso.
Infatti è controverso se esso debba essere configurato come diritto soggettivo, in coerenza
con il tenore letterale della sua definizione.
Secondo altra impostazione, invece, l'accesso costituirebbe un'altra situazione sostanziale
protetta dall'ordinamento.
Opinando nel senso della sussistenza del diritto soggettivo, non sussisterebbe l'onere di
17
notifica al controinteressato del ricorso, a pena di inammissibilità, e dovrebbe farsi applicazione,
semmai, dell'articolo 102, del codice di procedura civile, che consente l'integrazione del
contraddittorio16.
Più in generale, seguendo questa seconda opinione, ricorrerebbe una ipotesi di
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il quale dovrebbe esaminare direttamente la
fondatezza della pretesa del richiedente l'accesso, mentre la determinazione dell'amministrazione
non costituirebbe immediato oggetto di impugnazione, né risulterebbe direttamente sindacabile
dall'autorità giudiziaria.
Un'ulteriore e importante conseguenza della tesi che qualifica la pretesa all’accesso come
diritto soggettivo attiene alla possibilità per il giudice di disapplicare i regolamenti, contenenti la
disciplina dell'accesso, in contrasto con la legge. Tale potere, infatti, è pacificamente riconosciuto
nei casi in cui si verta in tema di diritti soggettivi.
Occorre ricordare, peraltro, la tesi affermata dall' Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato, con la decisione n. 16/1999, ad avviso della quale, a fronte del potere amministrativo, la
posizione del privato si atteggia a interesse legittimo17.
Non si tratta di opinione unanime: a parte le numerose voci critiche in dottrina; la
giurisprudenza non ha mancato di riproporre, anche di recente, la qualificazione della posizione
del richiedente nei termini di diritto soggettivo18.
16 Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 1998, n. 1079, in Cons. Stato, 1998, I, 1119; Tar Lazio,
sez. II ter, 18 luglio 2001, n. 6638, in Trib. amm. reg., 2001, 2719; Tar Marche, 20 novembre
1997, n. 1181, Id., 1998, I, 225.
17 Cons. Stato, sez. VI, 20 gennaio 2000, n. 257, in Cons. Stato, 2000, I, 82; Cons. Stato,
sez. V, 26 giugno 2000, n. 3632, in Cons. Stato, 2000, I, 1518; sez. VI, 21 dicembre 1999, n.
2118, in Cons. Stato, 1999, I, 2187.
18 Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2002, n. 2542, in Cons. Stato, 2002, I, 1098; sez. IV, 19
marzo 2001, n. 1621, id., 2001, 714; 24 luglio 2000, n. 4092, id., 2000, I, 1794. V. altresì sez. VI,
22 gennaio 2001, n. 191, in Giur. it., 2001, 1268, ove si nega che il giudizio in materia di accesso
abbia carattere impugnatorio.
18
10. I CARATTERI DEL GIUDIZIO.
L'articolo 25 della legge n. 241/1990 prefigura uno specifico procedimento giurisdizionale
per la definizione della controversia.
Non si tratta di procedimento cautelare. Esso è infatti preordinato all'adozione di una
decisione idonea a definire il giudizio e, comunque, è svincolato dalla sussistenza del presupposto
del periculum in mora.
Si tratta, invece, di un procedimento camerale speciale e semplificato, che si chiude con
una decisione da qualificare come sentenza.
I profili di specialità del giudizio attengono, fra l’altro:
a) al termine di proposizione dell'azione (trenta giorni in luogo di sessanta);
b) alla previsione del rito camerale e di un breve termine di conclusione del giudizio
(trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito);
c) alla semplificazione delle modalità di difesa processuale;
d) alla tipizzazione del potere del giudice in caso di parziale o totale accoglimento del
ricorso (ordine di esibizione del documento);
e) alla riduzione del termine di proposizione dell'appello (trenta giorni dalla notifica della
sentenza di primo grado).
La previsione di termini ridotti configura il giudizio come un rito accelerato, mentre
l'applicabilità dell'istituto della sospensione feriale dei termini19 impedisce la sua qualificazione
come rito d'urgenza.
Con riguardo alla proposizione del ricorso, va ricordato l'orientamento secondo cui, in
caso di sopravvenuto diniego espresso, l'interessato può proporre l'azione giurisdizionale entro
trenta giorni, ancorché prima non abbia impugnato tempestivamente il silenzio-rifiuto20.
19 Tar Sicilia, Catania, 12 gennaio 1998, n. 48, in Giust. amm. sic., 1998,521; Cons. Stato,
sez. VI, 11 febbraio 1997, n. 260, in Giur. it., 1997, III, 1,454; 10 febbraio 1996, n. 184, in Cons.
Stato, 1996, I, 269; Tar Lazio, sez. I, 14 gennaio 1993, n. 60, in Trib. amm. reg., 1993, I, 376.
20 Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2000, n. 5109, in Giur. it.,2001, 392; sez. IV, 8
settembre 1995, n. 688, in Foro amm., 1995, 1838.
19
Parte della giurisprudenza si è espressa nel senso che la domanda di accesso sia
espressione di un diritto soggettivo all'informazione21, esercitabile entro il termine di
prescrizione22.
11. IL RICORSO AL DIFENSORE CIVICO.
L'articolo 25, comma 4, della legge n. 241/1990, con specifico riferimento ai casi di
rifiuto, espresso o tacito, e di differimento dell'accesso, consente all’interessato di chiedere nel
termine di trenta giorni al difensore civico competente il riesame della determinazione. I termini
per impugnare sono dunque interrotti a seguito della presentazione della richiesta di riesame.
La norma è stata profondamente riscritta dalla legge 15/2005, secondo quanto precisato al
paragrafo 2.
Il difensore civico o la Commissione per l'accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla
presentazione dell'istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto.
Se il difensore civico o la Commissione per l'accesso ritengono illegittimo il diniego o il
differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all'autorità disponente.
Nel caso in cui l’amministrazione non emani il «provvedimento confermativo motivato»
entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, «l'accesso è
21 Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 1998, n. 641, in Giur. it., 1998, 1722. Nel senso della
possibilità di riproporre l'istanza, Tar Veneto, 21 settembre 1998, n. 1554, in Trib. amm. reg.,
1998, I, 4095; Tar Puglia, Bari, 3 giugno 1997, n. 411, in Trib. amm. reg., 1997, I, 3338; Cons.
Stato, sez. IV, 22 gennaio 1999, n. 56, in Cons. Stato, 1999, I, 37; Tar Marche, 21 marzo 1997, n.
169, in Foro amm., 1997,2835; Tar Puglia, sez. I, 13 settembre 1995, n. 792, in Trib. amm. reg.,
1995, I, 4625. Diversamente, nel senso che il diritto d'accesso non può essere esercitato allorché le
situazioni siano divenute definitive ed inoppugnabili, quando «l'intervento del richiedente non può
svolgere alcuna funzione, neppure in via partecipativa», v. Cons. Stato, sez. VI, 14 maggio 1998,
n. 731, in Cons. Stato, 1998, I, 970.
22 Tar Lazio, sez. II, 18 gennaio 1996, n. 210, in Trib. amm. reg., 1996, I, 429; nello stesso
senso Tar Piemonte, sez. 1,10 novembre 1994, n. 509, in Trib. amm. reg., 1995, 1,90.
20
consentito».
L'inerzia dell'amministrazione è ritenuta equipollente all'accoglimento della richiesta, in
quanto preceduta dalla sollecitazione del difensore a riesaminare la determinazione non
satisfattiva assunta (anche tacitamente) dall' amministrazione in prima battuta.
La circostanza che la legge richieda l'emanazione di un provvedimento "motivato" di
conferma da parte dell' amministrazione consente di affermare che ci si trova dinanzi ad un
provvedimento solo «apparentemente confermativo».
Nell'ipotesi in cui si sia rivolto al difensore civico, il richiedente potrà adire il giudice
amministrativo entro trenta giorni dal ricevimento dell'esito dell’istanza presentata al difensore.
È chiara la finalità deflattiva che ispira la normativa in esame, diretta a favorire l'impiego
di uno strumento facoltativo di risoluzione della controversia in sede non giurisdizionale: il
ricorso al difensore civico non preclude la successiva azione in sede giurisdizionale.
La norma prevede alcune innovazioni significative, già illustrate, con riguardo alla
individuazione dell’organo competente alla decisione.
Molto chiara e condivisibile appare, anzitutto, la scelta di definire puntualmente le
attribuzioni in tema di determinazioni riguardanti le amministrazioni statali: in tale eventualità la
tutela è proponibile solo davanti alla commissione per l’accesso ai documenti.
Meno persuasivo è invece il meccanismo previsto per il caso in cui non si astato costituito
il difensore civico. In tale ipotesi, infatti, si stabilisce che la competenza sia attribuita all’organo
del livello territoriale superiore. In tal modo, però, si determina un’intersezione di competenze che
non pare del tutto compatibile con il disegno autonomistico definito dal Titolo Quinto della
Costituzione. Nel rapporto tra Regioni ed enti locali, infatti, dovrebbe essere garantito, comunque
un adeguato spazio di autonomia alle amministrazioni territoriali. L’opzione legislativa, invece,
comporta una forzatura del sistema che non appare giustificata.
Resta da chiedersi, poi, quale sia il margine di intervento della legislazione regionale in
materia. Nella legge di riforma, la possibilità di ricorrere al difensore civico è configurata come
livello minimo di tutela dell’interessato. Quindi, le Regioni non potrebbero escludere il ricorso al
difensore civico per il caso in cui le amministrazioni locali avessero omesso di istituirlo.
Le altre modifiche apportata dalla legge di riforma riguardano il rapporto con la disciplina
in materia di dati personali.
La norma prevede che la Commissione per l’accesso deve acquisire il parere del Garante
per i dati personali, tutte le volte in cui l’accesso sia stato negato per motivi afferenti alla tutela
21
dei dati personali.
La regola si riferisce, letteralmente, ai soli casi in cui il ricorso sia proposto alla
Commissione, senza considerare la richiesta al difensore civico. La diversità di disciplina non
appare giustificata, considerando che il garante non è certamente consulente del Governo, ma
presenta tutti i tratti caratteristici delle Autorità indipendenti.
Per altro verso, però, il raggio di azione della norma è inusualmente ampio, riferendosi,
senza distinzioni, a tutti i dati personali e non, come sarebbe apparso più logico, ai soli dati
sensibili e giudiziari. È prevedibile che il Garante, a causa dei brevissimi termini stabiliti per la
pronuncia del parere, si disinteresserà delle questioni riguardanti dati privi di protezione
differenziata, ma risulta altrettanto evidente che il procedimento si complica eccessivamente. La
soluzione più semplice avrebbe potuto essere quella di stabilire la mera facoltatività
dell’intervento dell’Autorità.
La stessa norma regola il caso, speculare, in cui l’interessato si sia rivolto al Garante,
attivando i procedimenti di tutela previsti dal Codice per la protezione dei dati personali. In tale
eventualità, è necessario acquisire il parere (obbligatorio ma non vincolante) della Commissione
per l’accesso ai documenti. La formulazione della norma è alquanto lacunosa e imprecisa.
Letteralmente, la norma dovrebbe operare nei riguardi di tutte le amministrazioni (statali,
regionali e locali). Ma questa soluzione lascerebbe perplessi per almeno due motivi. Anzitutto si
verificherebbe una evidente asimmetria con la situazione speculare: solo nel caso di ricorso alla
Commissione per l’accesso, riguardante atti delle amministrazioni statali, è previsto l’intervento
del garante. In secondo luogo, in relazione ad atti di amministrazioni statali e regionali, non
appare giustificato l’intervento di un organo, quale la Commissione per l’accesso, il quale, pur
dotato di autorevolezza e indipendenza, pone in luce la sua vicinanza con le strutture statali,
essendo presieduto dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La disciplina suscita alcuni problemi interpretativi, nonostante le modifiche introdotte.
In primo luogo, nulla è detto circa la posizione del controinteressato, originariamente
"garantito" nei confronti del rischio di una diffusione di dati a lui pertinenti dal diniego opposto
dall'amministrazione. Egli potrebbe aver interesse ad impugnare il successivo silenzio
accoglimento formatosi a seguito della sollecitazione del difensore, sempre che abbia acquisito la
conoscenza dello stesso in tempo utile.
In tal caso, trova applicazione la disciplina generale di cui al comma 5, che consente al
terzo di agire «nel termine di trenta giorni», evidentemente decorrenti non già dalla
22
comunicazione dell' esito dell'istanza al richiedente, ma dalla conoscenza, riferita al terzo, dell'
avvenuta formazione del silenzio.
Più delicato è un ulteriore problema, attinente alla tutela assicurata al privato allorché si
formi il silenzio accoglimento (come tale non impugnabile) e, ciò nonostante, l'amministrazione
persista nel suo atteggiamento reticente, rifiutandosi (implicitamente o in modo espresso) di
consentire l'accesso in ordine al quale il richiedente dispone ora del titolo giuridico che ne fonda
la pretesa.
In tal caso si dovrebbe ammettere l'esperimento del ricorso di cui all'articolo 25 della legge
n. 241/1990.
Il soggetto che, invocando la formazione del silenzio assenso, si rivolga all'
amministrazione, presenta in sostanza una nuova richiesta e, a fronte del diniego o del silenzio, e,
quindi, può proporre l’azione giurisdizionale dinanzi al giudice dell' accesso. Quest'ultimo,
valutandone il carattere elusivo, ha la possibilità di ribadire l'ordine di ostensione con sentenza.
12. LA RAPPRESENTANZA DELLE PARTI.
La legge n. 205/2000 disponeva che il ricorrente può stare in giudizio personalmente,
mentre l'amministrazione, a sua volta, può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente,
purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente. La
norma è ora stata trasfusa nell’articolo 25 della legge n. 241/1990, senza alcuna modifica.
Lo scopo della nuova disciplina è quello di rendere più semplice e spedito il processo
speciale previsto dall’articolo 25 della legge n. 241/1990. L’obiettivo è perseguito eliminando
l’obbligo della difesa tecnica per il ricorrente e per l’amministrazione.
Peraltro, la formulazione della norma si espone a diversi rilievi.
Il testuale riferimento ai soli giudizi di cui all’articolo 25, se inteso letteralmente, potrebbe
determinare qualche limitazione applicativa. Sembra preferibile ritenere, allora, che la norma
riguarda tutti i giudizi in materia di accesso, ancorché regolati, in tutto o in parte, da disposizioni
particolari. In questa corretta prospettiva, la norma va applicata anche alle seguenti materie:
accesso in materia di ambiente;
accesso dei consiglieri comunali e provinciali;
accesso delle organizzazioni di consumatori e di utenti;
accesso ai dati personali del soggetto interessato (art. 10 della legge n. 675/1996).
Il primo periodo della disposizione contempla esplicitamente la sola posizione del
23
“ricorrente”. Anche in questa pare, la norma va letta in senso ampliativo. Ciò significa che la
disposizione non riguarda solo il ricorrente di primo grado, ma anche la parte che avvia autonome
fasi del processo, considerato nel suo intero svolgimento (opposizione di terzo, revocazione,
regolamento di competenza, esecuzione del giudicato, autonome domande cautelari). Pur così
ampliata, la norma non potrebbe trovare applicazione nella fase di cassazione e nell’eventuale
incidente di costituzionalità, poiché in tali casi resta ferma la necessità del patrocinio di avvocato
iscritto nell’apposito albo.
A favore di questa tesi si pone anche l’argomento sistematico secondo cui l’art. 417-bis del
c.p.c., nel regolare la possibilità di difesa diretta delle amministrazioni nei giudizi di lavoro,
compie un preciso riferimento al solo processo di primo grado.
Analoghe ragioni, relative alla necessità di una difesa qualificata inducono a ritenere che la
facoltà di difesa personale non può estendersi al giudizio di appello. La mancanza di una precisa
indicazione della legge potrebbe peraltro fornire argomenti per una tesi diversa, secondo cui
l’espressione “ricorrente” includerebbe anche l’appellante (analogamente a quanto previsto per i
giudizi elettorali).
Le regole processuali sono operanti anche nel caso in cui la parte ricorrente non si limiti a
contestare la singola determinazione in materia di accesso, ma proponga anche una specifica
impugnativa contro atti di natura regolamentare, posto che anche tali controversie rientrano nel
raggio di azione dell’art. 25 della legge n. 241/1990.
Seppure il comma 3 si riferisce esclusivamente alla parte ricorrente, non sembra dubitabile
che la regola debba essere applicata a tutte le parti private del processo (controinteressati,
interventori ad adiuvandum o ad opponendum). Contro questa soluzione non vale obiettare che le
regole sulla difesa personale assumono carattere eccezionale e non sono suscettibili di
applicazione analogica, perché una lettura restrittiva dell’articolo susciterebbe gravi dubbi di
legittimità costituzionale per disparità tra le parti.
A ben vedere, la “filosofia” complessiva della norma suscita qualche perplessità.
L’esigenza di agevolare la soluzione delle controversie originate dal diritto di accesso, pur
condivisibile, sembra trascurare che la materia dell’accesso è, sotto il profilo tecnico-giuridico,
molto complessa e, non di rado, coinvolge, sia pure indirettamente, interessi contrapposti
rilevantissimi. Basti pensare all’importanza degli interventi dell’Adunanza Plenaria ed alla qualità
delle sentenze.
L’incongruenza potrebbe emergere in quei casi, sempre più frequenti, in cui la sostanza
24
della controversia attenga alla tutela dei dati personali, specie se sensibili, del controinteressato. In
tali eventualità, per il tramite della contestazione del diniego di accesso ai documenti opposto
dall’amministrazione, si chiede di accertare, in ultima analisi, la portata dei diritti della personalità
del soggetto evocato in giudizio. Appare davvero inopportuno che processi di questa portata (in
cui possono entrare in giuoco diritti indisponibili) si svolgano senza il patrocinio degli avvocati.
Simili dubbi potrebbero prospettarsi in relazione alle ipotesi in cui insieme alla
contestazione della determinazione in materia di accesso, venga proposta una domanda
risarcitoria. Anche in tali ipotesi, la maggiore ampiezza del petitum indurrebbe ad escludere
l’ammissibilità della difesa personale.
Ed è davvero incomprensibile la valutazione negativa dell’apporto della classe forense,
implicito nella disposizione, che pare considerare l’assistenza tecnica dell’avvocato come un
inutile costo, da eliminare.
Sul piano sistematico, è utile osservare che, nel processo civile, la difesa personale è
ammessa, incondizionatamente, solo nelle cause davanti al giudice di pace, di valore non
eccedente lire un milione. Negli altri casi, il solo giudice di pace può autorizzare la difesa
personale, “in considerazione della natura ed entità della causa”.
Si deve ritenere, allora che l’obiettivo perseguito dal legislatore potrebbe essere più
efficacemente realizzato attraverso altri strumenti:
a) previsione di adeguati canali di contenzioso amministrativo affiancati a quello
giurisdizionale;
b) esplicito riconoscimento della praticabilità della via straordinaria;
c) subordinazione della difesa personale alla esplicita autorizzazione del giudice
competente;
d) limitazione della difesa personale al solo giudizio di primo grado.
13. LA RAPPRESENTANZA DELL’AMMINISTRAZIONE.
Anche il secondo periodo della norma risulta formulato in modo piuttosto infelice. Lo
scopo, generico, di assicurare, anche alla parte convenuta in giudizio, forme di tutela più agili e
rapide, non si è tradotto in una disciplina sufficientemente chiara.
Anzitutto, l’espressione “amministrazione” va intesa in senso ampio, comprendendo anche
i gestori di pubblici servizi, nei cui confronti, sul piano sostanziale, si esercita il diritto di accesso.
25
In secondo luogo, occorre considerare l’evidente improprietà dell’espressione
“dipendente”, perché la funzione rappresentativa ben potrebbe essere assegnata anche ad un
funzionario legato all’amministrazione da un rapporto di diversa natura (collaborazione
autonoma, contratto d’opera, ecc.).
Le concrete modalità di funzionamento della norma non sono affatto chiare.
La disposizione richiede come unica ed indefettibile condizione che il soggetto sia in
possesso della qualifica di dirigente. L’opzione legislativa appare difficilmente giustificabile,
specie se posta a raffronto con il nuovo art. 417-bis del c.p.c., introdotto dal decreto n. 80/1998,
che, molto opportunamente, considera i “dipendenti”, senza ulteriori requisiti. In tal modo, la
norma è inapplicabile alle amministrazioni (specie locali), di minore dimensione, che sono
proprio i soggetti più interessati a ridurre i costi della difesa in giudizio.
D’altro canto, il riferimento alla qualifica di dirigente pone inconvenienti di altro tipo.
Poiché è ragionevole che nei giudizi più complessi le amministrazioni si affidino comunque alla
specifica competenza professionale dell’avvocato esterno, sembra poco probabile che il dirigente
impegni il proprio tempo in un contenzioso ritenuto “minore”. Almeno in tali casi, sarebbe
opportuno ammettere la difesa da parte di funzionari, eventualmente in possesso di adeguati titoli,
certamente in grado di affrontare giudizi di piccola o media rilevanza.
Occorre sottolineare, al proposito, che la norma non prevede affatto la possibilità che il
dirigente investito della rappresentanza processuale possa delegare il proprio compito (o anche
singoli atti) ad altro funzionario privo della necessaria qualifica, nemmeno nelle ipotesi in cui la
subdelega sia indicata nell’atto di autorizzazione.
La qualifica di dirigente, senza alcuna specificazione, poi, non assicura alcuna particolare
garanzia di professionalità in relazione al giudizio di accesso ai documenti. La norma consente
che la difesa possa essere assunta da un qualsiasi dirigente dell’amministrazione, ancorché non
assegnato all’attività relativa alle relazioni con il pubblico (competente, in prima battuta, a
valutare le richieste di accesso) ed il relativo contenzioso, o all’ufficio che detiene stabilmente i
documenti. A stretto rigore, quindi, le funzioni potrebbero essere affidate ad un dirigente
“tecnico”, dotato di competenze mirate in particolari settori. Ma allora, non si vede perché un
dirigente “tecnico” debba essere preferito, in questo settore, ad un funzionario in possesso della
laurea in giurisprudenza o, addirittura, dell’abilitazione professionale.
Senza dire, poi, che la scelta legislativa potrebbe apparire ingiustificata, nella parte in cui
obiettivamente limita il diritto di difesa delle amministrazioni rispetto a quello delle parti private
26
del giudizio.
La norma stabilisce che la rappresentanza è subordinata alla “autorizzazione del
rappresentante legale dell’ente”.
La formulazione della norma non chiarisce affatto se si tratta di una autorizzazione
“preventiva”, idonea ad investire il dirigente della necessaria qualificazione, o se, al contrario,
l’autorizzazione deve essere riferita, di volta in volta, alla singola controversia.
La ratio della norma, intesa a semplificare ed accelerare i tempi del giudizio, induce a
ritenere che sia sufficiente una unica autorizzazione preventiva.
Peraltro, anche questa soluzione si deve coordinare con i principi che regolano le modalità
di gestione del contenzioso delle amministrazioni. Infatti, la norma non sembra toccare il
principio secondo cui la determinazione in ordine alla posizione processuale da assumere spetti
sempre all’organo deliberante dell’ente. Con riferimento agli enti locali, quindi, la determinazione
di resistenza in giudizio dovrebbe comunque essere assunta della giunta, che è anche l’organo
competente a decidere in ordine al tipo di difesa tecnica da assumere.
Una volta che la Giunta municipale abbia assunto al decisione in ordina alla lite,
avvalendosi di un proprio dirigente, questi è investito della difesa tecnica dell’amministrazione,
sulla base della autorizzazione generale già conseguita. Non è invece necessario il conferimento
di un autonomo atto di procura.
La norma appare di difficile applicazione per le amministrazioni statali e per quelle che si
avvalgono del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. La valutazione sull’opportunità di
assicurare la difesa tecnica sembra riservata, in prima battuta, alla sola Avvocatura, la quale avrà
il compito di decidere se assumere il patrocinio diretto o lasciare tale compito al dirigente
competente.
In questo senso, sembra inevitabile ritenere applicabile, in via analogica, la disposizione
contenuta nell’art. 417-bis, comma secondo, che definisce in modo puntuale i rapporti
dell’Avvocatura con gli organi di amministrazione attiva. Al proposito, va rimarcato che i tempi
brevissimi del rito in materia di accesso e la circostanza che il ricorso introduttivo è notificato
all’Avvocatura rende piuttosto difficile, per le amministrazioni statali, predisporre una difesa
“personale” in tempi accettabili.
Resta fermo, ovviamente, il potere del legale rappresentante dell’amministrazione di
fornire le opportune direttive.
La disposizione va adattata alle ipotesi in cui il giudizio si svolge nei confronti di gestori
27
(formalmente privati) di pubblici servizi. In tali eventualità, non avrebbe senso il riferimento alla
qualifica di dirigente, che nel settore privato assume un significato parzialmente diverso e
potrebbe essere in concreto assente.
Per tali soggetti, quindi, la difesa personale è ammessa senza particolari limitazioni, nel
rispetto delle regole interne che governano la formazione della volontà dell’ente.
14. IL DEPOSITO DEL RICORSO. LA DECISIONE.
La legge n. 241/1990 nulla dice circa il deposito del ricorso notificato. Pertanto, trova
applicazione la disciplina generale (trenta giorni) posta dall'articolo 21 della legge Tar23.
Ne consegue che, in applicazione dei principi processuali in tema di deposito del ricorso, il
giudice non parrebbe poter decidere prima dello scadere del termine per il deposito medesimo24.
Nulla è poi detto circa il deposito di memorie, la produzione di documenti, la
presentazione di istanze e la proposizione di ricorso incidentale: tali attività debbono comunque
essere ammesse, allo scopo di adeguare il rito «ai canoni fondamentali del giusto processo».
Quanto poi alla tematica dei mezzi di prova, essa è strettamente intrecciata a quella della
natura del giudizio: chi individua una ipotesi di giurisdizione esclusiva opina nel senso che il
giudice possa disporre di tutti i mezzi di prova previsti per i relativi giudizi, mentre, seguendo la
costruzione proposta dall'Adunanza plenaria, n. 16/1999, si deve ritenere che i mezzi consentiti
siano l'esibizione di atti e documenti, la richiesta di chiarimenti e la verificazione; può comunque
essere disposta la consulenza tecnica.
Circa le pretese risarcitorie, la relativa azione potrebbe sicuramente essere proposta, ma in
sede diversa - e, cioè, in un giudizio ordinario e non accelerato, anche in ragione della maggior
complessità delle questioni da risolvere - dal ricorso ex art. 25, della legge n. 241/1990 che verte
esclusivamente sulla legittimità della determinazione dell' amministrazione e sulla fondatezza
23 Cons. Stato, sez. VI, 16 dicembre 1998, n. 1683, in Foro it., 1999, III, 67; 8 luglio 1998,
n. 1051, in Urbanistica e appalti, 1998,975; 10 febbraio 1996, n. 184, in Cons. Stato, 1996, 1,
269.
24 Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 1998, n. 1051; Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 1998, n.
1529, in Foro amm., 1998, 2723.
28
della pretesa del richiedente.
Nessun problema particolare si pone nei casi in cui la domanda abbia oggetto il pagamento
di una somma di denaro a titolo di risarcimento danni per equivalente; in ordine alla pretesa che il
giudice disponga il risarcimento in forma specifica, a tacere dei problemi connessi all' eventuale
decadenza dei termini 114, va osservato che tale domanda corrisponde, come visto, alla richiesta
dell'ordine di esibizione che costituisce l'oggetto del rito speciale ex art. 25, della legge n.
241/1990.
Va però ribadito che l'azione in tema di accesso prescinde dalla ricorrenza di un illecito,
laddove la figura generale disciplinata dall'art. 7, 1. n. 1034/1971, ha come presupposto la
sussistenza di un danno da risarcire, sicché alla luce di questa differenza potrebbe configurarsi
uno spazio per una domanda che instauri un giudizio ordinario, avente ad oggetto la
«reintegrazione in forma specifica».
Ai sensi dell'articolo 25, comma 5, della legge n. 241/1990, il giudice decide «entro trenta
giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne
abbiano fatto richiesta», in camera di consiglio25.
Ne deriva che non è necessaria la presentazione dell'istanza di fissazione di udienza.
La ristrettezza dei termini del giudizio sommario non impedisce che, sussistendo
condizioni eccezionali in cui la tutela della situazione del richiedente l'accesso non potrebbe
attendere neppure lo svolgersi del rito accelerato, è ammissibile l'adozione di una misura cautelare
in caso di silenzio o di determinazione non satisfattoria dell'amministrazione
Il contraddittorio è validamente costituito ancorché non sia stato comunicato
all'amministrazione l'avviso di udienza26.
Il comma 6 stabiliva, poi, che, in caso di totale o parziale accoglimento del ricorso, il
giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti.
25 Secondo Tar Sardegna, 14 luglio 2001, n. 789, in Trib. amm. reg., 2001, 3109, il
giudizio deve essere definito in camera di consiglio, ancorché la parte ricorrente chieda la
trattazione delle cause in pubblica udienza, invocando l'art. 6 della Convenzione europea dei
diritti dell'uomo.
26 Cons. Stato, sez. VI, 19 gennaio 1995, n. 37, Foro it., 1995, III, 308.
29
Ora, la riforma della legge n. 241/1990 ha previsto una dizione parzialmente diversa,
stabilendo che “il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei
documenti richiesti ». La dizione è più corretta, perché tiene conto della circostanza che i
presupposti per l’esibizione sono riscontrabili solo qualora sia accolto il ricorso proposto dal
soggetto interessato alla conoscenza dei documenti e questi siano ancora nella disponibilità
materiale dell’amministrazione resistente.
Dunque, sembrerebbe trattarsi di una decisione non avente carattere costitutivo
(l’annullamento dell’atto impugnato), ma di una pronuncia che contiene una condanna, o,
comunque, un ordine specifico.
La circostanza costituisce un importante argomento a favore della tesi che qualifica il
diritto di accesso come un diritto soggettivo e che, di conseguenza, ravvisa nell'azione di cui
all'articolo 25 un caso di giurisdizione esclusiva, in ordine alla quale il giudice può esercitare un
potere di condanna.
In questa prospettiva, l'autorità giurisdizionale si disinteresserebbe del provvedimento di
diniego, per procedere ad un accertamento diretto della fondatezza della pretesa e della
sussistenza dei presupposti dell'accesso.
In senso contrario si obietta che il ricorso potrebbe essere proposto anche da un soggetto
diverso dal richiedente, il quale si dolga della determinazione che accoglie la istanza di accesso.
In tal caso, il giudice che accolga il ricorso non potrebbe ordinare l'ostensione dell'atto. Né
l'ultimo comma dell'articolo 25 pare suscettibile di essere interpretato in via analogica, per
giustificare un “ordine di non esibizione”, vigendo il principio della tipicità dei poteri
giurisdizionali.
Neppure sarebbe sufficiente il mero accertamento dell'insussistenza del diritto di accesso,
atteso che l'amministrazione, accogliendo la richiesta, ha costituito un titolo giuridico in capo al
privato che, al fine di tutelare il terzo, deve essere eliminato.
Pertanto, la tutela è assicurata semplicemente utilizzando il generale potere di
annullamento, avente ad oggetto la determinazione dell' amministrazione, cui è collegato il
consueto effetto conformativo.
La tesi criticata, poi, è stata contrastata anche facendo leva sulla modifica apportata
all'articolo 21 della legge Tar, dalla legge n. 205/2000.
Essa si riferiva espressamente all'«impugnativa di cui all'articolo 25», della legge n.
241/1990. Le indicazioni da essa ricavabili relativamente ai poteri decisori del giudice assumono
30
rilevanza generale, in quanto svincolate dal tipo di rito delineato nel caso specifico.
Sembra dunque doversi concludere che ricorra un caso di tutela impugnatoria, sicché il
giudice dovrebbe sempre annullare la determinazione dell'amministrazione o gli equivalenti effetti
collegati all' inerzia.
La peculiarità del giudizio in tema di accesso consiste nel fatto che l'autorità giudiziaria si
spinge ad accertare la fondatezza della pretesa del richiedente, e, soprattutto, sussistendone i
presupposti, può ordinare l'esibizione del documento.
15. L’APPELLO. L’ESECUZIONE DELLA DECISIONE.
Ai sensi dell'articolo 25, della legge n. 241/1990, «la decisione del tribunale è appellabile,
entro e non oltre trenta giorni dalla notifica della stessa, al Consiglio di Stato, il quale decide con
le medesime modalità e negli stessi termini».
Ancorché in dottrina si sia sostenuto che l'ordine di esibizione non potrebbe essere
eseguito prima del passaggio in giudicato della sentenza, è preferibile ritenere che trovano
applicazione i principi generali in tema di obbligo di esecuzione delle sentenze del giudice
amministrativo.
Quindi, la decisione sul ricorso in tema di accesso va qualificata come sentenza e per la
sua ottemperanza è esperibile il ricorso di cui all'articolo 27, n. 4, del regio decreto 26 giugno
1924, n. 1054 (Testo Unico delle leggi del Consiglio di Stato), a seguito della riforma operata
dalla legge n. 205/2000, ora ammissibile anche nei casi in cui la sentenza non sia passata in
giudicato.
16. IL GIUDIZIO INCIDENTALE INTRODOTTO DALLA LEGGE N. 205/2000.
Il nuovo terzo periodo dell’art. 21, comma primo, della legge TAR, introdotto dall’articolo
1 della legge n. 205/2000, disciplinava uno speciale rito incidentale in materia di accesso,
innestato in un giudizio “principale”, pendente dinanzi al tribunale. La norma è ora stata inserita,
con alcuni mutamenti, nell’articolo 25 della legge n. 241/1990.
Nel nuovo testo, si definisce meglio il contenuto del ricorso in materia di accesso,
sopprimendo ogni equivoco riferimento alla “impugnativa”, che poteva alimentare ulteriori
incertezze in ordine al carattere impugnatorio della richiesta.
Inoltre, la nuova formulazione chiarisce meglio quale sia il giudizio principale in cui si
inserisce la controversia in materia di accesso, riferendolo al ricorso proposto ai sensi della legge
31
n. 1034/1971.
Vi è però anche un’ulteriore innovazione formale, che potrebbe avere un certo rilievo
sistematico. Si prevede che la preventiva notifica dell’istanza per l’accesso debba essere rivolta
all’amministrazione “o ai controinteressati”. Letteralmente, quindi, non è richiesta la congiunta
notifica preventiva all’amministrazione e ai controinteressati, essendo invece sufficiente la
notifica ad uno solo di questi soggetti.
La modifica potrebbe avere una giustificazione proprio nell’ambito della particolare
configurazione incidentale del giudizio: la realizzazione piena del contraddittorio sull’istanza
potrebbe compiersi anche in un momento successivo.
È però possibile anche una lettura diversa della nuova formula normativa, valutata in
parallelo alla soppressione del riferimento al concetto di impugnativa: il legislatore avrebbe inteso
affermare che anche l’ordinario ricorso in materia di accesso, proposto in via principale non
sarebbe riconducibile allo schema del ricorso straordinario e, quindi, per la sua rituale
proposizione potrebbe essere sufficiente verificare la tempestiva notifica ad una sola delle parti
necessarie del giudizio.
La nuova disciplina mira a segnare un migliore coordinamento tra il ricorso giurisdizionale
e il giudizio in materia di accesso ai documenti.
A ben vedere, in passato, la specialità del rito in materia di accesso e la pacifica
ammissibilità del rimedio anche in pendenza di ricorso giurisdizionale non avevano creato
eccessivi problemi applicativi. Tuttavia, l’intervento normativo è utile perché permette di
connettere in modo assai intenso il giudizio sull’accessibilità dei documenti a quello sul rapporto
sostanziale sottostante.
La esplicita previsione di un giudizio incidentale successivo rende evidente che, ora, il
ricorso in materia di accesso può essere, sin dall’origine, proposto cumulativamente anche contro
il provvedimento ritenuto lesivo.
La norma, richiamando il procedimento di cui all’art. 25 della legge n. 241/1990, rende
applicabili tutte le norme relative, con la sola eccezione di quelle derogatorie introdotte
dall’articolo 21, nel nuovo testo. Ne deriva, fra l’altro, che nel giudizio incidentale previsto dalla
norma potrebbero trovare applicazione le nuove norme sulla rappresentanza diretta delle parti. Al
di là del riferimento testuale all’impugnativa, poi, la norma va ritenuta applicabile a tutti i casi di
determinazioni in materia di accesso, comprese, quindi, le controversie con cui i soggetti titolari
del diritto alla privacy intendano contestare le decisioni positive in materia di ostensibilità dei
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documenti amministrativi.
Trattandosi di un tipico giudizio di accesso, sia pure innestato in un processo ordinario,
sembrano ammissibili anche le impugnative degli atti regolamentari o generali presupposti al
diniego di accesso.
L’espressa previsione dell’obbligo di notifica ai “controinteressati” conferma che
all’incidente in materia di accesso debbano partecipare non solo le parti del giudizio principale (il
loro intervento è necessario per i riflessi istruttori della pronuncia), ma anche i soggetti titolari di
interessi potenzialmente contrapposti alla pretesa di accesso.
La norma considera la pronuncia come una “ordinanza istruttoria”. In tal modo, però, si
trascura la portata decisoria della statuizione, che determina il contenuto delle posizioni
sostanziali delle parti in ordine alla richiesta di accesso ai documenti. Il contenuto effettivo
dell’ordinanza induce a ritenere che essa abbia la portata sostanziale di una sentenza e come tale,
sia suscettibile di appello immediato ed autonomo. Non sembra ipotizzabile un appello differito,
perché la parte soccombente in ordine alla richiesta di accesso potrebbe risultare vincitrice nel
merito della controversia principale.
Per analoghe ragioni, quindi, la norma non sembra applicabile nel giudizio di appello
davanti al Consiglio di Stato, perché la decisione non sarebbe suscettibile di autonomo gravame.
Peraltro, non vi sono difficoltà ad ammettere l’esperibilità del rimedio nel caso di altri
giudizi proposti davanti al tribunale, quali il ricorso per l’esecuzione del giudicato, l’opposizione
di terzo, la revocazione.
La norma non chiarisce se il suo ambito applicativo comprenda solo le ipotesi di rifiuto
all’accesso propriamente detto (formatosi al di fuori del processo in corso), oppure possa trovare
applicazione anche nei casi in cui l’amministrazione non adempia agli ordini istruttori del
giudice, adducendo ragioni che concernono l’inaccessibilità dei documenti. Peraltro, lo spirito
della legge, inteso ad assicurare il massimo coordinamento tra normativa sull’accesso e poteri
istruttori del giudice, sembra imporre un’interpretazione lata.
Per le stesse ragioni, quindi, il potere istruttorio del giudice non sembra esercitabile in
relazione ai documenti la cui inaccessibilità sia stata positivamente accertata, anche nel corso di
un autonomo giudizio “ordinario” di accesso ai documenti. Con maggiore cautela, si dovrebbe
affermare, invece, che il potere istruttorio del giudice trovi un ostacolo anche nelle ipotesi in cui
il rifiuto di ostensione dei documenti sia stato adottato con provvedimento non impugnato nei
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termini: al riguardo, infatti, permane il contrasto giurisprudenziale in ordine alla reiterabilità della
domanda di accesso dopo la formazione del silenzio.
Il rito, che si configura come incidentale rispetto a quello ordinario, si caratterizza, innanzi
tutto, per la modalità di presentazione della domanda (istanza e non già ricorso), per la sua
facoltatività e per l'attrazione di competenza in capo al giudice del processo pendente.
17. LA NATURA ISTRUTTORIA DEL GIUDIZIO.
Resta ancora qualche dubbio sulla natura del giudizio speciale.
Una prima ipotesi ricostruttiva è quella che ammette la tutela processuale in qualsiasi
ipotesi di impugnativa ex art. 25, della legge Tar.
Si tratterebbe, dunque, di una forma di tutela che prescinde dalla natura o dalla rilevanza
dei documenti oggetto della richiesta di accesso.
L'ordinanza con cui il collegio decide sull'istanza, assimilabile in tutto e per tutto alla
decisione cui fa cenno l'art. 25, 1. Tar, sarebbe di conseguenza autonomamente impugnabile e
soggetta alla disciplina del ricorso per l'ottemperanza27.
In senso opposto, si osserva che la rilevanza meramente istruttoria alla pronuncia con cui il
giudice decide sull'istanza deriva direttamente dalla sua qualificazione come "ordinanza
istruttoria".
Inoltre la competenza della cognizione della controversia sorta a seguito dell'impugnativa
della determinazione sull’accesso si giustifica solo in quanto gli atti ostensibili siano in qualche
misura rilevanti nel processo.
Una diversa opzione ermeneutica è quella che comporta l'attribuzione all'istanza
sull'accesso di una valenza tipicamente istruttoria, in funzione servente rispetto al giudizio
principale.
Ne consegue che l'ordinanza avrebbe carattere istruttorio, sicché essa non sarebbe
autonomamente impugnabile, anche in ragione del principio dell'unicità dei gravami. In caso di
comportamento elusivo dell'amministrazione, inoltre, risulterebbe inoltre quantomeno dubbia
l'esperibilità del giudizio di ottemperanza28.
27 Tar Lazio, Sez. II, ord. 18 marzo 2001, n. 1834.
28 Cons. Stato, sez. VI, ord. 22 gennaio 2002, n. 403.
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Sembra in ogni caso condivisibile l'opinione secondo cui, ove l'amministrazione depositi
nel processo principale i documenti, il giudizio incidentale diventa improcedibile, ovvero si
determina la cessazione della materia del contendere29.
29 Tar Lombardia, sez. Brescia, ord. 22 gennaio 2001, n. 11, www.giustizia-
amministrativa.it.