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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE POLITICHE (SPO)
IL SINDACALISMO RIVOLUZIONARIO DI ARMANDO BORGHI
TESI DI LAUREA DI : Federico Torza
RELATORE : Prof. Maurizio Antonioli
ANNO ACCADEMICO 2009/2010
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Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell'aria spessa carica di sale, gonfia di odori
lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano
quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.
Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.
Fabrizio De André, La città vecchia
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Indice:
Introduzione…………………………………………………………………..pag 8
Cap.1: La formazione politica e culturale di Armando Borghi: tra anarchismo
e sindacalismo
1.1. Le origini…………………………………………………………pag 12
1.2. Dalla fondazione della C.G.dL. all’esilio parigino……………pag15
1.3. L’influenza operaista…………………………………………...pag 19
Cap.2: Dalla fondazione dell’USI alla settimana rossa
2.1. La crisi della C.G.dL. ed il congresso del Comitato di azione
diretta del 1912…………………………………………………pag 22
2.2. Il ritorno in Italia di Armando Borghi, l’adesione all’U.S.I. e la
polemica con Malatesta……………………………………..…pag 25
2.3. La Settimana Rossa……………………………………………pag 32
Cap.3: L’Italia in guerra ed il segretariato Borghi
3.1. Da De Ambris a Borghi: lo scontro sull’interventismo………pag 36
3.2. La partecipazione italiana al conflitto ed il consiglio generale
dell’U.S.I del 1916……………………………………………...pag 40
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cap4. Il biennio rosso e la delusione bolscevica
4.1. La fine del conflitto e “l’unità dell’azione”……………..……..pag 46
4.2. Il viaggio in Russia, il ritorno in Italia e le tre settimane di
libertà…………………………………………………………….pag 55
cap5. Dalla mancata rivoluzione al fascismo
5.1. Il Consiglio Generale dell’U.S.I. del 1921: il caso Faggi – Di
Vittorio e le dimissioni di Borghi…..………………….……….pag 66
5.2. Il Congresso Nazionale dell’U.S.I. del 1922, la partenza per
Berlino e l’esilio…………………………………………...…….pag 71
Conclusione…………………………………………………………………pag 77
Bibliografia……………………………………………………………….....pag 81
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INTRODUZIONE.
Il fenomeno del sindacalismo rivoluzionario di matrice anarchica in
Italia, poco studiato e ritenuto da molti una parentesi
storicamente marginale, ebbe nell’Unione Sindacale Italiana e
nella figura di Armando Borghi la sua espressione più significativa.
Per capire l’U.S.I. e Borghi è necessario delineare il contesto
storico, economico e sociale nel quale si sviluppò questa
esperienza e, ancora prima, il quadro teorico che portò all’incontro
di anarchismo e sindacalismo.
Il frastagliato percorso, che porta all’avvicinamento della dottrina
libertaria alla pratica sindacalista, affonda le sue radici nella Prima
Internazionale e nello scontro tra anarchici e marxisti.
Il motto originario dell’Internazionale londinese “L’emancipazione
dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi” sintetizza in
modo efficace le due diverse visioni: per i marxisti, l’azione
politica della classe operaia avrebbe dovuto essere guidata dal
partito, unico attore rivoluzionario capace di muovere le masse
per giungere al crollo dello stato borghese e del sistema
economico capitalista; l’ala dell’Internazionale legata a Bakunin,
invece, considerava questa impostazione liberticida ed auspicava
ad una radicale distribuzione di ogni potere: solo in questo modo,
secondo la dottrina anarchica, la classe operaia avrebbe potuto
realmente essere soggetto della propria emancipazione.
Com’è noto, la spaccatura tra marxisti e bakunisti portò
all’espulsione di questi ultimi e alla creazione, con il Congresso di
Berlino del 1922, della Federazione Internazionale degli Anarchici.
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La nascita del sindacalismo rivoluzionario è da ricercarsi in
Francia, nell’ultimo decennio del XIX secolo. Una serie di congressi
operai, da quello di Lione del 1886 a quello di Saint-Etienne del
1892, portarono alla luce una corrente sindacalista, portata avanti
da esponenti legati all’anarchismo come Pelloutier, Pouget e
Delesalle, che criticava fortemente l’impostazione
rivendicazionista del sindacato, considerato invece come struttura
rivoluzionaria. Secondo questa visione, sindacalista e operaista,
solo il sindacato avrebbe portato all’emancipazione di classe,
tramite un percorso rivoluzionario in cui il proletariato potesse
davvero essere soggetto e non oggetto del cambiamento.
In tale contesto ideologico-politico, si colloca la figura di Armando
Borghi, noto agitatore e sindacalista anarchico italiano. La sua
figura non può essere analizzata senza fare riferimento all’U.S.I.
e, biunivocamente, non si può studiare l’U.S.I. senza approfondire
la sua influenza e ciò che Borghi rappresentò per il sindacato;
tuttavia, come osserva Antonioli, Borghi non è l’USI e l’USI non
può sintetizzarsi con la vicenda umana e politica del suo
segretario storico.
In questa analisi cercherò di presentare la vicenda dell’anarchico
di Castelbolognese e dell’Unione Sindacale Italiana dal 1900 fino
all’espatrio e al conseguente esilio del 1922, cercando di
contestualizzare il fenomeno nella crisi dello stato liberale in Italia,
analizzando i rapporti della galassia anarchica con quella socialista
e comunista, dei contrasti con il bolscevismo e l’avversione verso
il modello della “dittatura del proletariato”.
Verrà sottolineata con particolare attenzione la natura “ibrida” del
personaggio Borghi, leader carismatico, provvisto di ottima
oratoria e di un buon senso pratico; anarchico ma fortemente
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criticato da molti compagni libertari (e dall’amico Malatesta, in
primis); sindacalista atipico, dotato di una visione politico-
rivoluzionaria di ampio respiro; organizzatore e anima politico-
ideologica dell’USI durante tutto il suo segretariato.
In ultima analisi, proporrò un punto di vista diverso rispetto a
quegli storici che, come già espresso in precedenza, giudicano non
essenziale l’esperienza anarchica e sindacalista rivoluzionaria
nell’Italia pre-fascista: l’U.S.I., con Borghi segretario, riuscì a
presentare nel paese un metodo nuovo di fare sindacalismo,
partecipò alla diffusione in Italia dell’ “azione diretta” da parte
della classe operaia, collaborò sul piano internazionale con
sindacalisti dei principali paesi europei, fu prima sostenitore e poi
contestatore – dopo il viaggio in Russia - del bolscevismo
sovietico, contribuì a fare uscire (anche se parzialmente) il
movimento anarchico dall’isolamento individualista di fine ‘800,
conquistò – sia dal punto di vista politico che sindacale – una
percentuale rilevante della classe operaia in molte regioni italiane,
tra le più importanti l’Emilia-Romagna, la Toscana, la Liguria e la
Puglia.
Difficile risulta quindi, dal mio punto di vista, considerare
l’esperienza dell’U.S.I. e la figura di Armando Borghi come
marginali nel panorama politico e sindacale italiano, almeno dalla
sua fondazione fino all’avvento del fascismo.
Un’attenta critica sarà rivolta, in fine, a quel metodo di analisi
storica – emerso con chiarezza in alcuni saggi utilizzati per la
stesura di questo elaborato – che ricerca le colpe degli insuccessi
operai ed anarchici nei primi vent’anni del ‘900, le responsabilità
della mancata unità sindacale, gli errori che contribuirono al crollo
dello stato liberale e all’avvento del fascismo.
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A mio modesto parere, questo metodo di analisi inficia anche
valide ricostruzioni; sarebbe forse più efficace un metodo che
analizzi le relazioni tra le diverse parti (sindacati, partiti e
movimenti), i diversi metodi e le differenti visioni politiche, i
diversi approcci alle masse operaie, senza omettere – cosa
fondamentale – il contesto politico e dottrinario.
Un criterio di questo tipo sarebbe forse più utile ai fini di una
analisi storica depurata, per quanto possibile, da ogni dogmatismo
ideologico.
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CAPITOLO PRIMO: La formazione politica e culturale di Armando Borghi: tra anarchismo e sindacalismo.
1.1. LE ORIGINI.
Concordando con quanto sostenuto da Giampietro Berti1, la vita di
Armando Borghi può essere divisa in tre grandi fasi: la prima che va dal
1914 al 1922, la seconda è quella dell’esilio francese ed americano, la terza
si dispiega nel secondo dopo guerra e si conclude nel 1968 con la morte
dell’anarchico.
In questo elaborato mi concentrerò nell’analisi della prima fase,
accennando solamente alle ultime due: è dal 1914 al 1922, infatti, che egli
porta avanti in modo instancabile la sua opera di agitatore, propagandista e
sindacalista libertario.
Armando Borghi nacque il 16 Aprile 1882 a Castelbolognese, cittadina
situata tra Faenza ed Imola; la tradizione politico-ideologica della zona si
riflesse, senza alcun dubbio, nella famiglia: il padre, proprietario di una
bottega di pollami, fu prima mazziniano e poi bakunista. Lo stesso Borghi
sostiene di aver usufruito, per la propria formazione, della fornita libreria
casalinga del padre. Narra Borghi:
<< Là dentro mio padre aveva stipato tutto quanto aveva comprato libri,
opuscoli, giornali,…Collezioni di giornali internazionalisti anarchici di tempi 1 Giampietro Berti, Il Pensiero Anarchico dal Settecento al Novecento. Piero Lacaita Editore, Manduria, 1998. Pag. 812
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lontani, numeri unici, opuscoli, almanacchi, ritratti; opere di Ausonio
Franchi, Guerrazzi, Mazzini, Garibaldi, Bakunin sulla Comune…Esse mi
misero a tu per tu con gli sviluppi dei movimenti di avanguardia in Italia, le
loro origini, le loro crisi, le persecuzioni a cui erano stati ogetti.>> 2
La madre, umile e religiosa, viene descritta dal figlio come piena di
umanità, sempre prodiga di attenzioni e cure nei confronti del figlio e degli
amici anarchici del marito.
Tornando al contesto umano e culturale nel quale si sviluppò la coscienza
politica di Borghi, va sicuramente ricordato che uno dei principali ispiratori
dell’anarchico di Castelbolognese, colui che poi sarà amico e maestro, fu
Errico Malatesta. Il noto libertario campano, tramite la sua propaganda sul
periodico Agitazione, contribuì ad influenzarlo notevolmente durante il suo
periodo di formazione politica e militante.
Iscritto giovanissimo alla sezione socialista-anarchica del piccolo paese
emiliano, Borghi collaborò alla diffusione clandestina di numerose opere e
periodici sovversivi.
Nel 1901 si trasferì a Bologna dove, per portare avanti la propria
formazione sempre più proiettata verso l’impegno militante, esercitò lavori
come il muratore ed il garzone. Nel 1902 frequentò l’università popolare e,
nell’aprile del 1903, tenne il suo primo intervento ad una conferenza sul
tema dell’antimilitarismo.
Nel 1904 inizia un’assidua collaborazione con il periodico libertario l’Aurora,
nel quale Borghi pubblicherà le sue “Note Bolognesi”.
Nel settembre dello stesso anno venne proclamato uno sciopero generale,
conseguenza degli eccidi proletari commessi dalla polizia in numerose città
2 A. Borghi, Vivere da Anarchici, prefazione di Vittorio Emiliani, E.S.I., Bologna, 1964, Pag. 4.
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italiane; anche a causa del protagonismo del giovane anarchico, lo
sciopero nella città felsinea si rivelò un successo, sia per intensità che per
partecipazione operaia. E’ probabile che le prime esperienze con le masse
operaie influenzarono notevolmente Borghi, portandolo a considerare lo
sciopero generale come strumento rivoluzionario, orientandolo verso la
militanza sindacalista.
L’impegno rivoluzionario dell’anarchico attirò l’attenzione della polizia che
ne seguì gli spostamenti riuscendo ad incriminarlo per associane a
delinquere; nel 1906, dopo aver scontato una pena di cinque mesi di
detenzione nelle carceri di Ancona, Borghi si trasferì a Ravenna, dove
assunse la direzione del settimanale l’Aurora. Sulle pagine del giornale, egli
pubblicò alcuni articoli in aperta polemica con le frange anarchiche
individualiste ed anti-organizzatrici. Se vi è un senso nell’alto valore politico
ed etico della libertà, sosteneva Borghi, lo si può difendere solo con la lotta
di classe, garanzia della libertà individuale e delle masse proletarie.
Come ben sintetizza Annamaria Andreasi3, le due principali prospettive
sindacali di Borghi sono:
1. La necessità di una conoscenza e di una coscienza politica
individuale, fattori fondamentali per spingere le masse verso obiettivi
rivoluzionari e per evitare la cristallizzazione burocratica del
sindacato.
2. La necessità, non meno importante della precedente, di non
confinare l’azione sindacale nei soli obiettivi economici e negli
interessi di categoria, ma di sviluppare la propensione rivoluzionaria
verso la costruzione di una nuova società non autoritaria.
3 A. Andreasi, Anarchismo e sindacalismo nel pensiero di Armando Borghi (1907-1922), in Anarchici e anarchia nel mondo contemporaneo, Atti del Convegno promosso dalla Fondazione Luigi Einaudi (Torino, 5, 6 e 7 dicembre 1969), Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1971. Pag. 246-247
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Come approfondiremo in seguito, questa posizione verrà criticata, pur
rimanendo in un contesto di piena stima e rispetto, da Errico Malatesta il
quale – pur esprimendo più volte la sua simpatia nei confronti dell’U.S.I. –
propendeva per una organizzazione anarchica di tipo partitico e criticava il
sindacato, in quanto forma di organizzazione non rivoluzionaria ed atta alle
sole conquiste economiche.
Va ricordato che Malatesta, accusato e condannato per le sue attività
sovversive, nel 1899 venne prima imprigionato e poi confinato a
Lampedusa; fuggito dall’isola, si rifugiò a Londra fino al 1919. Per vent’anni,
quindi, il contesto anarchico italiano fu privato della sua figura più
carismatica. Paradossalmente, questo può essere considerato un bene per
l’U.S.I. che riuscì, nonostante la posizione apertamente antisindacale
dell’anarchico campano, a diventare un punto di riferimento sia per le
masse operaie che per il movimento anarchico.
Una posizione più vicina a quella di Borghi fu quella di Luigi Fabbri, noto
teorico e militante anarchico: egli sosteneva che il sindacato libertario
contenesse in sé il germe della futura società; Fabbri era convinto che la il
partito anarchico propugnato da Malatesta fosse necessario, ma non
vedeva il sindacato come modello organizzativo necessariamente riformista
o antirivoluzionario.4
1.2. DALLA FONDAZIONE DELLA C.G.dL. ALL’ESILIO
PARIGINO
Il 1906 è un anno fondamentale per la storia del sindacalismo italiano: viene
fondata a Milano, tra il ventinove settembre ed il primo di ottobre, la
Confederazione Generale del Lavoro (C.G.dL.). Sin dalla nascita, veniva
sancita l’egemonia socialista riformista sul sindacato, impostazione che
4 E. Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-1922, con pref. di Enzo Santarelli, Urbino, ed. QuattroVenti, 1992. Pag.15
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successivamente creerà una frattura con l’ala socialista massimalista,
libertaria ed anarchica.
A giudizio di Fabbri, il riformismo socialista era l’esempio più evidente di
come un atteggiamento votato alla collaborazione interclassista si
tramutasse, nella pratica, in una contraddizione in termini: ad una teoria
rivoluzionaria veniva contrapposta la pratica riformista e collaborazionista,
ovvero la negazione sostanziale della lotta di classe per il raggiungimento
della società socialista. Armando Borghi, limitatamente alla critica della
C.G.dL. e del P.S.I., espresse sempre posizoni che possiamo considerare
totalmente aderenti a quella di Fabbri.
Gli inizi della “carriera” di organizzatore e militante sindacale di Borghi
risalgono al 1907 (e non al 1908; Borghi sbaglia la data nella sua
autobiografia5) quando, a Bologna, venne fondato il Sindacato Provinciale
Edile e la segreteria venne affidata all’anarchico. La camera del lavoro della
città felsinea, ai tempi, era indipendente dalla C.G.dL.
Il centro della attività sindacale di Borghi erano quindi la città e la provincia
di Bologna, in quanto membro del Consiglio Generale della Camera del
Lavoro; tuttavia la sua “doppia militanza” lo portava ad intervenire nei
comizi anarchici ed antimilitaristi in diverse città: Milano, Brescia e
Piombino, per citarne alcune.
A dimostrazione dell’impegno sui due fronti, il primo Maggio 1910 Borghi
intervenne a Bologna sia al comizio della Camera del Lavoro che in quello
organizzato dalla sezione anarchica locale.6
In questi anni, la camera del lavoro di Bologna era contesa dalle due fazioni
numericamente più rilevanti: quella anarco-rivoluzionaria e quella riformista.
5 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.14 6 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.15
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È interessante rilevare come la posizione politica di Borghi, fino al
temporaneo esilio parigino, non si distaccasse da quella dei molti
sindacalisti rivoluzionari presenti nella C.G.dL. .
Venuto a contatto con la corrente sindacalista francese legata a Monatte, la
posizione borghiana si radicalizzò verso l’operaismo, accentuando ancora
di più la distanza dalla impostazione dell’amico Malatesta.
Nelle elezioni interne alla Camera del Lavoro di Bologna del 1907 prevalse
la corrente riformista.
Borghi e la corrente rivoluzionaria, pur uscendo sconfitti dal confronto
elettorale interno, riuscirono ad ottenere un accordo che garantiva una certa
indipendenza alla lega degli edili, frazione numerosa e legata alla corrente
filo-borghiana.
Negli anni successivi, l’impegno dell’anarchico di Castelbolognese
all’interno della Camera del Lavoro proseguì su due fronti: da un lato la
propaganda e l’azione diretta portata avanti con gli operai, dall’altro il
tentativo di influenzare le direttive politiche del sindacato a livello locale per
ottenere una impostazione più radicale e meno riformista.
Una “prova di forza” in tal senso venne data con il Congresso di Bologna
del dicembre 1910, fortemente voluto da Borghi: ai lavori parteciparono i
delegati di numerose camere del lavoro, tra cui Ferrara, Piacenza, Parma,
Piombino, Napoli e la sezione edile di Bologna (per un totale di circa
150.000 lavoratori organizzati7). Il minimo comun denominatore dei
partecipanti era la condivisione del metodo di azione diretta.
Nonostante la vittoria riformista a Bologna e la grande forza della C.G.dL. a
livello nazionale, si ribadì con forza che una parte della classe operaia
rifiutava e criticava il metodo riformista, preferendo l’azione diretta ed una
pratica con finalità rivoluzionarie.
7 E. Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-1922, con pref. di Enzo Santarelli, Urbino, ed. QuattroVenti, 1992. Pag.26
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Gli sforzi organizzativi iniziarono a dare buoni risultati e il carisma di Borghi
incominciò a riscuotere un notevole consenso: con il passare dei mesi, a
Bologna la corrente rivoluzionaria ingrossava via via le sue file.
Nell’agosto del 1991 si tenne il Consiglio Generale della Camera del Lavoro
felsinea. Il segretario della Camera, Riccardo Momigliano, dopo aver svolto
la consuetudinaria relazione morale, propose che questa aderisse in blocco
alla C.G.dL.
La proposta provocò un’accesa polemica e, grazie agli interventi di Borghi
ed altri sindacalisti della corrente rivoluzionaria, quest’ultima prevalse e la
Camera rimase indipendente.
A sottolineare l’influenza anarchica e rivoluzionaria sulle masse operaie
della zona, propongo un rapporto del questore di Bologna al prefetto, già
citato da E. Falco nel saggio “Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-
1922”:
<< Fin dal 1908 il locale gruppo anarchico capeggiato dal noto Borghi
Armando, facendo assegnamento sulle proprie audacie e su quelle di
uomini pregiudicati e delinquenti, ben lieti di mascherare la propria attività
criminosa sotto l’etichetta di un partito politico erano riusciti ad imporsi alla
maggioranza della classe lavoratrice dentro e fuori la Camera del Lavoro.
L’indole mite delle grandi masse operaie di questa città e Provincia, attive
per le conquiste economiche, ma restie alle agitazioni incomposte e
violente, subiva lentamente la sopraffazione di elementi torbidi ed anarchici
tanto che salvo piccole differenze di numero la Commissione Esecutiva
della locale Camera del Lavoro è riuscita da quattro anni in maggioranza
anarchica e sindacalista.>>8
8 AcS, Min. dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Aff. Gen e ris., 1912, b.48, f. Bologna, Rapporto del questore di Bologna al procuratore del Re datato 15 Novembre 1910
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Come si evince, quindi, l’influenza dell’anarchico e la corrente rivoluzionaria
aumentavano di pari passo.
Nell’ottobre del 1911, tuttavia, si verificò un avvenimento le cui
conseguenze, in qualche modo, contribuirono a modificare l’impostazione
ideologica dell’anarchico: Augusto Masetti, militante libertario ed intimo
amico di Borghi, ferì un tenente colonnello intento ad arringare le truppe in
partenza per l’Africa. L’autore dell’aggressione antimilitarista venne
arrestato ed internato in un manicomio criminale.
L’azione venne difesa ed esaltata da Borghi in un articolo pubblicato dal
periodico l’Agitatore. La repressione nei confronti dei solidali non si fece
attendere: il noto sindacalista venne accusato di aver diffuso materiali di
propaganda antimilitarista nelle campagne e nelle caserme. Venuto a
conoscenza delle accuse prima dell’arresto, Borghi fuggì all’estero.
1.3. L’INFLUENZA OPERAISTA.
Espatriato per evitare il carcere, Borghi si rifugiò prima in Svizzera per poi
raggiungere successivamente Parigi.
Riguardo alle esperienze oltre confine dell’anarchico, sono due le attività
politiche e sindacali rilevanti:
1. Durante l’esilio egli venne invitato da numerosi gruppi anarchici, anche
di emigrati italiani, per tenere conferenze. Borghi approfittò
dell’occasione per svolgere propaganda libertaria e sindacale in
Alsazia, Lorena, a Berna, a Zurigo e a Losanna.
2. A Parigi egli venne a contatto con talune personalità del sindacalismo
francese, come Cipriani, Faure e Guillaume. Frequentando gli
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ambienti sindacalisti parigini, Borghi mutò radicalmente il proprio punto
di vista politico.
Riguardo alla prima attività, certo non stupisce che la strategia politica
internazionalista di Borghi l’abbia portato a tessere una rete di contatti con i
gruppi anarchici e sindacalisti in Europa.
Riguardo alla seconda, invece, è interessante paragonare la posizione
borghiana prima del soggiorno nella capitale francese e al rientro in Italia.
All’inizio della sua militanza, egli era politicamente molto vicino a Malatesta;
con il passare degli anni questa posizione mutò a favore della
partecipazione degli anarchici all’attività sindacale. Come già posto in luce,
la posizione di Borghi, prima del temporaneo esilio francese, non differiva
da quella di molti libertari e rivoluzionari che militavano nel sindacato. A
Parigi l’anarchico approfondì la sua formazione culturale e politica,
frequentò l’Ecole des hautes études presso la Sorbona e collaborò con
diverse riviste quali Battaile Syndacaliste e Libertaire.
Frequentando questi ambienti, egli venne a contatto con la corrente
sindacale operaista legata a Monatte: le tesi dell’autosufficienza sindacale e
della classe operaia come unico attore rivoluzionario lo convinsero fino a
portarlo ad autodefinirsi, in un suo opuscolo su Pelloutier9, monattiano. Una
posizione, quindi, assai differente da quella precedente, che lo porterà
anche a modificare la sua azione sindacale ed i suoi rapporti con il
movimento anarchico una volta tornato in Italia.
La maggior distanza dalla linea malatestiana la si coglie in un articolo del
1912, pubblicato sulla rivista Il Pensiero: qui Borghi sostiene che sia il
sindacato, e non il “partito”10, ad essere dotato della “tecnica economica
9 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.18 10 L’espressione “partito”, riferito a questo contesto temporale e all’ambiente libertario, non fa riferimento all’accezione odierna del termine ma ad una struttura organizzativa - non cristallizzata o burocratica - che riuscisse a coordinare meglio, almeno secondo la visione malatestiana, il movimento anarchico.
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ricostruttrice” e che la classe operaia, e solo questa, possa farsi attore
rivoluzionario in quanto vittima della violenza e della oppressione borghese.
Osserva Antonioli:
<<Siamo di fronte ad un classismo radicale, fortemente venato di
antiintellettualismo, sul tipo di quello di Pouget e di Griffuelhes, in cui
l’autosufficienza del sindacalismo era sottolineata con forza.>>11
Una volta ritornato in Italia, come analizzeremo, Borghi modificò
radicalmente la sua pratica sindacale e politica; sintomo di ciò, furono
soprattutto i rapporti con il mondo anarchico: egli non rinnegò mai la sua
formazione culturale e politica ma rese pubblico il suo cambio di opinione e
la sua svolta operaista. Ebbe, di conseguenza, numerosi contrasti con il
movimento libertario, soprattutto con l’amico Malatesta; finì con il
concentrarsi totalmente sulla pratica sindacale, tralasciando la propaganda
politica, attività che in passato aveva svolto con frequenza e grande
passione.
11 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.18
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CAPITOLO SECONDO: Dalla fondazione dell’U.S.I. alla
settimana rossa.
2.1. LA CRISI DELLA C.G.dL. ED IL CONGRESSO DEL COMITATO DI AZIONE DIRETTA DEL 1912
Durante il suo esilio parigino, Borghi volle fortemente mantenersi aggiornato
riguardo alle vicende politiche e sindacali italiane; egli riuscì, nonostante la
distanza, a mantenere i contatti con alcuni suoi “fedelissimi”, i quali gli
narrarono le vicende che contribuivano a modificare il contesto politico e
sindacale.
Borghi si espresse negativamente, ad esempio, sul congresso straordinario
di Modena del partito socialista. Nonostante la vittoria dei socialisti
rivoluzionari, e la conseguente espulsione dell’area riformista di Bonomi e
Bissoltati, l’anarchico continuava ad intravedere un profondo errore di
metodo: anche l’area massimalista avrebbe perseverato nella presunzione
di considerare il partito come contenitore degli interessi della classe
operaia; questa ambiguità politica e l’attuazione del continuo metodo
elettoralista, avrebbero negato e ritardato quella spontanea propensione
rivoluzionaria del proletariato operaio e contadino.
Egli si espresse, com’era naturale che fosse, anche sulle vicende interne
alla Camera del Lavoro felsinea, a cui guardava sempre con particolare
interesse. All’interno del contesto bolognese proseguivano le tensioni
politiche tra l’area socialista riformista, quella rivoluzionaria e quella
anarchica.
Nel febbraio del 1912, alle elezioni camerali, prevalse l’elemento
rivoluzionario: Zocchi e Rosoni, due socialisti massimalisti, vennero
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nominati segretario e vicesegretario; all’interno della commissione
esecutiva vennero invece nominati numerosi anarchici.
Sempre riguardo alle vicende della Camera felsinea, è necessario ricordare
che l’apice della tensione, divenuta strappo insanabile, venne raggiunto
intorno alla fine del 1912 quando i riformisti, ormai persa la battaglia per il
controllo della Camera, attuarono una scissione creando una nuova
Camera del Lavoro.
Già dai primi mesi del 1913, quindi, a Bologna vi erano due Camere del
Lavoro, sintomo della incompatibilità tra le diverse correnti: quella “vecchia”,
legata ai rivoluzionari ed agli anarchici, e quella nuova, filo riformista.
Lo scontro interno al movimento non era solo locale ma si rifletteva, con
apici di tensione come nel bolognese, in tutta la penisola; il riformismo, in
qualche modo, non veniva criticato e messo in dubbio solo dalle dirigenze
sindacali ma, soprattutto, dalla stessa classe operaia. Un sintomo di questa
tendenza si può intravedere nella crisi della C.G.dL., bandiera del
riformismo in ambito sindacale, la quale passò dai 383.770 iscritti del 1911
ai 309.871 del 191212. La guerra in Libia, la controffensiva padronale, il
rallentamento produttivo, il diffondersi della disoccupazione ed il caro viveri
erano le cause prime del malcontento popolare al quale, la C.G.dL. ed il
Partito Socialista, sembravano non riuscire a dare adeguate risposte.
Avveniva così una radicalizzazione politica di una parte delle masse
operaie e contadine, che iniziarono a considerare l’azione diretta come una
possibilità concreta.
L’adunanza delle correnti sindacali rivoluzionarie, anarchiche e libertarie
veniva chiamata Comitato di azione diretta: questo insieme assai
eterogeneo di sindacalisti aveva nella pratica dell’azione diretta il minimo
denominatore comune e si presentava come la vera alternativa pratica al
riformismo centralista.
12 E. Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-1922, con pref. di Enzo Santarelli, Urbino, ed. QuattroVenti, 1992. Pag.41
24
La rottura confederale nei confronti di questa corrente avvenne nel maggio
del 1912: il Comitato direttivo della C.G.dL. dichiarò incompatibile la
permanenza nel sindacato di tutti gli iscritti aderenti al Comitato di azione
diretta. La risposta non si fece attendere e venne convocato, per il
novembre dello stesso anno, il congresso del Comitato di azione diretta.
In un articolo pubblicato su L’Internazionale, Faggi dichiarava di sostenere
con forza l’unità sindacale ma che, al contempo, la diversità di metodo e
finalità rendesse difficile la coabitazione di due anime in un solo corpo: era
arrivato il momento della fondazione di un nuovo organismo, rivoluzionario,
apartitico, dedito all’azione diretta da parte della classe operaia.
Sullo stesso periodico apparve, poco tempo dopo, un articolo firmato
Armando Borghi che può essere considerato la risposta a quello
precedente di Fabbri; qui l’anarchico rendeva esplicita la propria volontà di
partecipare attivamente, una volta tornato in Italia, alla nuova
organizzazione sindacale.
Nonostante nei mesi precedenti al congresso vennero pubblicati sull’
Avanti! numerosi articoli che esortavano ad evitare divisioni e a proseguire
verso una maggiore coesione della classe operaia, la scissione era
ampiamente pronosticabile.
Dal 23 al 25 Novembre 1912 si svolse quindi il congresso costitutivo
dell’Unione Sindacale Italiana. Furono presenti 154 congressisti, delegati
delle rispettive Camere del lavoro, in rappresentanza di un totale di 77.000
lavoratori.13
Già all’avvio dei lavori, furono ben chiare le due principali posizioni interne
all’assemblea: la prima, contraria alla scissione e convinta di poter entrare
in blocco nella C.G.dL. modificandone la direttive politiche e la pratica
sindacale, era sostenuta principalmente da Ines Bitelli; la seconda,
propensa alla creazione di un organismo che riuscisse ad organizzare le
13 E. Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-1922, con pref. di Enzo Santarelli, Urbino, ed. QuattroVenti, 1992. Pag.43
25
forze rivoluzionarie presenti nel mondo sindacale, voluta da Alceste De
Ambris ma, a causa della sua forzata assenza, portata avanti dal fratello
Amilcare. In Quel periodo Alceste De Ambris si trovava esule in Svizzera,
per sfuggire ad un provvedimento giuridico che lo aveva colpito dopo aver
organizzato uno sciopero.
Il dibattito fu acceso e mise in luce una minoranza motivata che esprimeva
forti dubbi riguardo alla scissione; tuttavia, la votazione premiò la
maggioranza scissionista e venne deciso di fondare l’Unione Sindacale
Italiana.
Al termine del dibattito venne scelta, come sede centrale del nuovo
sindacato, la Camera del Lavoro di Parma. Il periodico L’Internazionale, già
giornale della Camera parmense, divenne l’organo ufficiale della
propaganda dell’U.S.I. .
2.2. IL RITORNO IN ITALIA DI ARMANDO BORGHI,
L’ADESIONE ALL’U.S.I. E LA POLEMICA CON MALATESTA.
Con la vittoria italiana nella Campagna di Libia, il 18 ottobre 1912 venne
firmato il trattato di pace tra l’Italia e l’Impero Ottomano. A seguito di ciò,
Giolitti concesse una amnistia generalizzata ed Armando Borghi, ai tempi
ancora in esilio a Parigi, ebbe la possibilità di ritornare in patria.
Tornato, a Bologna, egli tornò a coprire la carica di segretario del sindacato
provinciale edile, tenuta in sua assenza da Corridoni.
Dopo la scissione riformista, la Camera del Lavoro felsinea si era
gravemente indebolita, sia per la mancanza di mezzi finanziari, sia per il
minor numero di militanti attivi. Tornato dall’esilio, Borghi si dedicò con
particolare attenzione ed impegno alla riorganizzazione della suddetta
26
Camera: il suo attivismo, la sua assidua presenza, la sua propaganda
sindacale ne facevano mese dopo mese il pilastro insostituibile dell’attività
sindacale sia in città che in provincia. Nell’aprile del 1913 partecipava alla
fondazione del sindacato edile della provincia di Piacenza.
In questa fase di grande attività, egli venne accusato di vilipendio nei
confronti delle forze armate per aver tenuto un comizio antimilitarista.
Insieme ad Ettore Cuzzani venne incriminato e condannato a trentaquattro
giorni di reclusione.14 L’arresto e la conseguente detenzione provocarono
ferventi proteste, comizi di solidarietà ed alcuni scioperi di protesta. Tutto
ciò a sottolineare come Borghi, già nel 1913, fosse un indiscusso leader
non solo a livello locale.
Durante il mese di detenzione, l’anarchico scrisse un opuscolo dal titolo
Fernand Pelloutier nel sindacalismo francese. E in Italia?. Il saggio è una
coerente ed organica esposizione del suo pensiero, assai modificato
rispetto al periodo precedente l’esilio. E’ evidente l’influenza di Monatte,
Pelloutier e del sindacalismo rivoluzionario francese.
Nell’opuscolo si ricollega all’idea operaista dell’Internazionale bakuniniana e
sostiene la necessità, per l’anarchismo e per l’intero movimento sindacale,
di legarsi agli interessi specifici materiali delle masse operaie. Solo in
questo modo, secondo Borghi, è possibile rendere reale lo sforzo
rivoluzionario, senza sofismi, senza intellettuali ed intellettualismi: è la
massa proletaria, operaia e contadina, che racchiude già in sé il germe
della novità economica e politica della futura società. E’ questo il periodo in
cui la coscienza politica di Borghi più si avvicina al sindacalismo
rivoluzionario puro, distaccandosi parzialmente da quella dottrina anarchica
che egli aveva sempre considerato magistra vitae.
Nel saggio Borghi espresse anche dei giudizi sul contesto politico in Italia:
egli era sempre più convinto, al contrario dell’amico Malatesta, che fosse
l’azione sindacale quella determinante ai fini rivoluzionari: qualsiasi altro
14 E. Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-1922, con pref. di Enzo Santarelli, Urbino, ed. QuattroVenti, 1992. Pag.49
27
tipo di organizzazione, più politica e meno attiva sul piano della lotta
economica, sarebbe servita solo alla diffusione dell’ideale, alla pura
propaganda. La necessità prima in quel preciso momento storico era
passare dall’idea al fatto; per fare ciò, secondo Borghi, l’azione sindacale
rivoluzionaria era l’unica via. Come già espresso, pur essendo apertamente
in disaccordo con Malatesta, con questa presa di posizione l’anarchico di
Castelbolognese provava a fare uscire il movimento anarchico da una
situazione di isolamento, proponendo un metodo comune di azione, quello
sindacale, ed un campo di “addestramento” ai fini della lotta rivoluzionaria,
quello economico.
E’ in questo frangente che, come anticipato in alcuni articoli pubblicati
durante l’esilio parigino, Armando borghi iniziò a militare nell’Unione
Sindacale Italiana, divenendone ben presto uno dei leader carismatici.
Il 21 febbraio del 1913, scontata la pena, l’anarchico poté tornare in libertà,
e una volta uscito di prigione si dedicò da un lato alla propaganda
sindacale, dall’altro ad una campagna antimilitarista orientata alla
liberazione dell’anarchico Masetti, rinchiuso in un manicomio criminale per
aver attentato alla vita del suo colonnello, mentre era in attesa di partire per
la campagna di Libia.
E’ interessante notare come il nascente Comitato Nazionale pro-Masetti
ebbe un ruolo chiave in quel percorso che portò poi alla Settimana Rossa.
Durante la campagna per la liberazione dell’anarchico imprigionato, si
saldarono sotto la guida di Borghi le anime antimilitariste del movimento
libertario, socialista e repubblicano.
Nel marzo del 1913 si svolse il primo congresso dalla fondazione dell’U.S.I.;
venne scelta Milano come sede per due motivi: il primo è che Filippo
Corridoni, amico di Borghi e figura di spicco del sindacalismo rivoluzionario,
aveva da poco fondato la sede milanese del sindacato; la seconda è che,
essendo la città meneghina la capitale e industriale e finanziaria del paese,
28
era tutto interesse dell’U.S.I. cercare di ampliare la propria base che, fino
ad allora, era stata essenzialmente agricola e legata al settore edile.
I principali obiettivi del congresso furono:
1. La creazione dei sindacati nazionali, per meglio coordinare l’attività
dell’U.S.I. a livello locale, regionale e statale, senza però cadere
nell’errore confederale della eccessiva burocratizzazione e
dell’accentramento di ogni potere decisionale;
2. L’applicazione di un metodo efficiente e sistematico, per garantire al
sindacato i necessari mezzi economici per sopravvivere e sostenere
le lotte operaie e contadine;
3. La discussione di come lo sciopero generale, mezzo mediante il
quale l’U.S.I. sosteneva di raggiungere l’esproprio dei mezzi di
produzione al fine del rovesciamento dello stato borghese, avrebbe
dovuto prepararsi ed attuarsi.
Al congresso, parteciparono 191 delegati in rappresentanza di 1003 leghe,
per un totale di 98037 lavoratori organizzati.15
Masotti, tenendo la relazione morale, ammetteva la mancanza di militanti e
mezzi finanziari, problema che avrebbe dovuto essere risolto al più presto.
Riguardo ai sindacati nazionali, venne stabilito che questi avrebbero dovuto
nascere in seguito ad altri incontri dei dirigenti del sindacato: vi era la
volontà, in sostanza, ma si avvertiva la necessità di discuterne le modalità.
Solo nel maggio dell’anno seguente vennero convocati i congressi per la
formazione dei sindacati nazionali ma, a cuasa della scarsità di mezzi
finanziari e di forze all’interno dell’U.S.I., gli unici che videro la luce furono
quello dei metallurgici e quello e degli edili.
15 E. Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-1922, con pref. di Enzo Santarelli, Urbino, ed. QuattroVenti, 1992. Pag.57
29
L’intervento di Borghi al primo congresso nazionale verteva sul tema dello
sciopero generale come mezzo rivoluzionario; l’analisi, ampia ed articolata,
distingueva tre tipi fondamentali di sciopero generale:
1. lo sciopero generale democratico, utile ad ottenere delle conquiste
politiche nell’ambito della legalità e delle possibilità concesse dallo
stato;
2. lo sciopero generale politico-difensivo, atto a respingere una
reazione delle autorità, finalizzato al mantenimento ed alla difesa di
diritti già conquistati;
3. lo sciopero generale sindacale-aggressivo, atto alla conquista di
sempre maggiori garanzie, spazi e diritti per i proletari nel contesto
dello stato borghese e di una economia capitalista; “palestra”
sindacale per la preparazione dello sciopero espropriatore e
rivoluzionario.
Borghi sostenne che l’U.S.I. non avrebbe dovuto avvalersi mai dello
sciopero democratico, che avrebbe dovuto praticare quello difensivo solo in
casi eccezionali per difendersi dal contrattacco padronale e che,
principalmente, avrebbe dovuto utilizzare lo sciopero aggressivo come
pratica comune, fino al raggiungimento del fine ultimo.
Al discorso dell’anarchico seguì una triplice ovazione, segno del generale
assenso.
L’unico che dissentì fu Errico Malatesta, rientrato in Italia nel 1913 dal lungo
esilio londinese e invitato al convegno per il suo grande carisma nel
movimento anarchico. L’intervento di Malatesta, contrariato dalla posizione
sempre più distante di Borghi, andò in senso totalmente opposto: egli
vedeva il sindacato come un elemento propagandistico e non capace di
spingere le masse verso una cospirazione dettata da una ideologia comune
30
e da una pratica condivisa e coordinata; ancora una volta Malatesta
espresse la sua visione della sfera economica subordinata a quella politica.
Nonostante la posizione contraria di Malatesta, la mozione Borghi ebbe
l’approvazione di tutti i dirigenti dell’U.S.I. .
A fine congresso, venne scelta Milano come sede centrale del sindacato
anche se, a causa della mancanza di sufficienti mezzi economici, lo
spostamento da Bologna non avvenne mai.
E’ importante notare come il carisma, la personalità e l’assidua presenza di
Borghi nel sindacato facevano crescere sempre più l’influenza
dell’anarchico sia sulle masse proletarie, sia sulla dirigenza dell’U.S.I.: già
nel 1913 possiamo quindi considerare Armando Borghi come un possibile
candidato per il segretariato nazionale, allora tenuto da Alceste De Ambris.
Il 13 agosto 1913, dopo un discorso tenuto durante un comizio a Milano,
venne arrestato in quanto ritenuto colpevole di incitamento all’odio di
classe, incitamento alla rivolta ed offese al re. Nei due mesi di reclusione
che seguirono, si sviluppò un movimento di solidarietà molto forte che
rendeva idea di quanto ciò che avveniva ad Armando Borghi venisse
considerato dalle masse popolari un vero accanimento da parte delle
autorità. E’ storicamente incontestabile che la popolarità di Borghi ed i
provvedimenti che lo colpirono divennero da qui in poi direttamente
proporzionali: dimostrazione di quanto lo stato liberale giolittiano
considerasse l’anarchico come una vera minaccia da tenere sempre sotto
controllo.
Riguardo alla polemica tra Borghi e Malatesta, va detto che questa si
inasprì molto, pur rimanendo ben salde l’amicizia e la stima che legava i
due compagni, nel periodo successivo sia al ritorno di Borghi da Parigi sia
al rimpatrio dell’anarchico campano. Nonstante l’opposizione di Malatesta,
31
che rappresentava una sorta di guida morale per tutto il movimento
anarchico italiano, Borghi rimase fedele al suo operaismo radicale,
perseverando e dimostrando una verve da vero leader, forte dell’esperienza
francese e dei successi del neonato sindacato rivoluzionario in italia.
In realtà lo scambio di opinioni politiche tra i due, avvenuto sia tramite un
costante scambio epistolare, sia mediante la pubblicazione di numerosi
articoli sui periodici anarchici o legati al movimento sindacale, non è un
esempio isolato ma va contestualizzato nella polemica internazionale che
vedeva protagonisti da un lato i sindacalisti “puri” francesi e dall’altro l’area
anarchica europea legata allo stesso Malatesta.
A tal proposito, riporto un’osservazione secondo me corretta di G.Landi:
<<La polemica di Malatesta, più che a Borghi, con il quale in quanto
anarchico il contrasto veniva minimizzato, si rivolgeva a James
Guillaume…Borghi veniva coinvolto marginalmente in un di respiro
internazionale e che vedeva come protagonisti da una parte un consistente
gruppo di militanti della C.G.T. (Pierre Monatte ed il gruppo de La vie
Ouvriere) forti dell’appoggio di Guillaume e dell’altra i più rappresentativi
periodici del comunismo anarchico franco-italo-elvetico.>>16
La discussione di fondo verteva sul metodo rivoluzionario, non sulla finalità
in sé: distaccandosi dal pensiero anarchico dominante, Borghi si accostò
alla visione francese, vedendo nel sindacato la miglior sintesi rivoluzionaria:
esso, secondo il sindacalista libertario, era autonomo, sufficiente,
racchiudendo in sé teoria e pratica rivoluzionaria. Malatesta, invece, era su
una posizione diversa, sostenendo la subordinazione del piano economico
a quello puramente politico ed ideologico.
16 G. Landi, Tra anarchismo e sindacalismo rivoluzionario: Armando Borghi nell’U.S.I. (1912-1915), Castel Bolognese, Casa Armando Borghi, 1982, Pag.14
32
2.3. LA SETTIMANA ROSSA.
Negli ultimi mesi del 1913, Borghi si concentrò contemporaneamente su
due piani diversi: a Bologna si impegnò a fondo per far aderire la vecchia
Camera del lavoro felsianea all’U.S.I, riuscnedoci formalmente al congresso
annuale delle leghe aderenti che si svolse nell’aprile dell’anno seguente;
allo stesso tempo proseguiva, sul piano nazionale, la diffuzione del
movimento antimilitarista per la liberazione dell’anarchico Masetti.
Nei primi mesi del 1914, la campagna riuscì a crescere notevolmente,
creando un notevole fermento in tutta la penisola. Descrivendo quei mesi, lo
stesso Borghi sotenne nella sua autobiografia:
<< Noi non si dormiva due settimane nello stesso letto, comizi e comizi in
giro per l’Italia media e settentrionale. […] Ma noi eravamo ad una svolta.
Non potevamo durare a comiziare all’infinito. Io avevo un piano che il
comitato di Bologna aveva fatto suo: trasformare la prima domenica di
giugno, festa dello Statuto, in una giornata nazionale pro-Masetti; se in quel
giorno il governo si fosse macchiato di sangue, rispondere con lo sciopero
generale ad oltranza.>>17
Il 9 maggio si tenne, presso la Camera del lavoro di Ancora, una riunione
del comitato delle leghe aderenti: questo decise di appoggiare in toto la
proposta della Camera felsinea e di lanciare un appello a tutti i sovversivi, a
tutte le Camere del lavoro e a tutte le organizzazioni economiche: il 7
Giugno avrebbe dovuto essere un giorno di mobilitazione nazionale
antimilitarista, per chiedere la liberazione di Masetti, di tutte le vittime del
17 A. Borghi, Mezzo secolo di anarchia 1898-1945, con prefazione di Gaetano Salvemini, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1954, Pag.142
33
militarismo e della repressione. La piattaforma programmatica venne
accettata dal partito socialista, dal partito repubblicano, dalla
Confederazione Generale del Lavoro, dal sindacato ferrovieri e, com’era
logico che fosse, dall’ Unione sindacale.
Nella data prestabilita, si tennero numerosi comizi in tutta la penisola. Ad
Ancona, la polizia sparò sulla folla uccidendo tre giovani manifestanti. La
peggior prospettiva predetta da Borghi si era verificata. Il giorno seguente
numerose città inziarono lo sciopero generlae, in aperta polemica con lo
stato per la violenta repressione subita.
La protesta, partendo dalla Romagna, si estese a numerose regioni. Lo
sciopero, che paralizzò la penisola per una settimana, vide la totale
partecipazione dei tramvieri, quella parziale dei ferrovieri; il blocco della
produzione paralizzò i commerci, proprio mentre le autorità iniziarono la
controffensiva eseguendo numerosi arresti in tutta Italia.
A Bologna, la protesta scatenò la reazione di alcuni gruppi nazionalisti che
iniziarono a manifestare per le strade della città formando cortei spontanei
in aperta opposizione alla reazione operaia. Alcuni storici fanno
giustamente notare come questo episodio non fosse isolato,
contestualizzandolo nella crisi dello stato liberale giolittiano e
considerandolo come il principio di ciò che avverrà successivamente nella
penisola, con il successo del nazionalismo autoritario, sia dal punto di vista
politico che da quello sociale.
Tornando alla settimana rossa, pur continuando a Bologna lo sciopero
generale rinnovato anche per opporsi alla risposta nazionalista, si ebbe con
il passare dei giorni un ridimensionamento della protesta. Il progetto
borghiano, se dal punto di vista programmatico poteva sembrare coerente,
non riuscì per varie ragioni a trasformare il dissenso e la rabbia in un moto
realmente rivoluzionario capace di rovesciare lo stato borghese. Alcune
considerazione possono essere fatte in merito:
34
• In primis, è storicamente innegabile che la coalizione di forze che
parteciparono alla settimana rossa ebbe, nonostante l’iniziale
accordo, modalità e finalità assai differenti: se da un lato l’area
rivoluzionaria ed anarchica avrebbe perseverato ad oltranza nello
sciopero generale, fomentando ed incoraggiando qualsiasi rivolta
contro lo stato nata dal basso, dall’altro la C.G.dL. ed i gruppi più
moderanti non avrebbero seguito le avanguardie più radicali in una
lotta, dal punto di vista riformista, senza prospettive;
• In secundis, tralasciando l’eterogeneità dei gruppi che aderirono allo
sciopero generale, è probabile che l’area anarchica, a causa della
forte repressione subita, di una mancanza cronica di forze interne al
movimento e di uno scarso coordinamento a livello nazionale, non
seppe dare alla protesta una intensità crescente.
Mentre in tutta Italia la protesta scemava, solo a Bologna le agitazioni
proseguirono, scontrandosi con la reazione delle autorità.
Il sindacato ferroviario, mostrando una forza ed una determinazione che
mancò a buona parte del movimento operaio, proseguì lo sciopero fino al
17. A causa della scemante protesta, l’U.S.I. seguì la Confederazione
dichiarando la fine delle ostilità l’11 di giugno.
Se è vero che la settimana rossa dimostrò la capacità da parte degli
anarchici di mobilitare, anche a livello nazionale, le masse operaie e
contadine, è pur vero che questa mobilitazione dimostrò tutti i limiti del
movimento dei lavoratori organizzati, troppo diviso, sia sul piano teorico che
sul piano pratico, per raggiungere quel sol dell’avvenire che veniva
considerato da molti, nonostante le sconfitte, sempre più vicino.
35
Il governo, per ridurre la tensione nel paese, accettò di liberare Antonio
Moroni, un anarchico vittima della repressione, e di trasferire Masetti in un
manicomio civile.
Il movimento anarchico, cercando di analizzare gli avvenimenti del giungo
del 1914, peccò forse di mancanza di autocritica: se è vero che l’approccio
riformista rallentò lo slancio rivoluzionario, è anche vero che questo non fu
l’unica ragione che portò alla fine delle proteste. Al convegno anarchico di
Forlì, tenutosi a fine giugno, il tradimento confederale venne considerato
l’unico fattore che frenò il tentativo rivoluzionario; venne ribadita la simpatia
degli anarchici per l’U.S.I., considerato l’unico sindacato di ispirazione
libertaria e capace di una pratica realmente sovversiva.
36
CAPITOLO TERZO: L’Italia in guerra ed il segretariato
Borghi.
3.1. DA DE AMBRIS A BORGHI: LO SCONTRO
SULL’INTERVENTISMO.
Il contesto politico e sindacale italiano del 1914, ancora segnato dalle
polemiche seguite alla settimana rossa, fu caratterizzato dall’aperta
discussione riguardante l’imminente conflitto europeo: l’U.S.I., appena
diffusasi la notizia dell’ultimatum austriaco alla Serbia, si espresse in modo
compatto sostenendo con forza la propria posizione antimilitarista, contro
l’intervento italiano nel conflitto.
La sinistra italiana, timorosa di un intervento del governo a favore degli
imperi centrali, si schierò inizialmente contro la guerra.
I partiti socialisti europei, contravvenendo a quanto proclamato
unanimemente al Congresso di Stoccarda del 190718, si espressero a
favore del conflitto, appoggiando apertamente le decisioni dei rispettivi
governi.
A questo punto, anche in Italia la posizione antimilitarista iniziò a vacillare;
le notizie apparse nei principali quotidiani del paese, apertamente schierate
contro le atrocità commesse dalle truppe tedesche durante l’occupazione
del Belgio, scongiurarono l’entrata in guerra a favore degli imperi centrali
europei.
In ambito sindacale, paradossalmente, le prime espressioni di interventismo
provennero proprio dall’U.S.I., per bocca del suo segretario Alceste De
Ambris. Il 18 agosto, in una conferenza tenuta a Milano, tenne un intervento 18 E. Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-1922, con pref. di Enzo Santarelli, Urbino, ed. QuattroVenti, 1992. Pag.79
37
nel quale, premettendo di essere in linea di principio contro la guerra, si
contraddiceva sollecitando l’intervento contro gli imperi centrali.
L’intervento del sindacalista parmense scosse notevolmente la sinistra
italiana.
Osserva De Felice, come la posizione di De Ambris
<<…segnò la data di nascita dell’interventismo rivoluzionario…>>19
creando non solo una fortissima polemica interna all’U.S.I., ma aprendo la
strada a posizioni come quelle che verranno assunte da Benito Mussolini e
dall’ Avanti! .
Il sindacalista parmense, nonostante conoscesse bene la posizione di
Borghi in merito al conflitto e sapesse che buona parte del sindacato si
sarebbe opposto con forza ad una posizione apertamente interventista,
confidava nella sua carica di segretario e nel proprio carisma.
Il tredici e quattordici aprile 1914, venne convocato il consiglio generale
dell’Unione Sindacale per porre fine alla polemica interna.
Durante l’assemblea si contrapposero due guppi ben distinti: da un lato la
fazione interventista, guidata da De Ambris e Masotti, dall’altro quella
neutralista, fedele al principio antimilitarista, portata avanti da Borghi e
Giovannetti.
Secondo la fazione interventista, la tirannide degli imperi centrali andava
combattuta e la guerra, pur essendo portata avanti dallo stato borghese e
con finalità aliene a quelle della classe lavoratrice, andava sostenuta in
quanto evento inevitabile. La corrente neutralista, al contrario, vedeva la
guerra come l’inevitabile scontro dei governi borghesi ed autoritari: l’U.S.I.
19 Renzo De Felice, Sindacalismo Rivoluzionario e Fiumanesimo nel carteggio De Ambris-D'Annunzio, ed. Morcelliana, Brescia, 1966, pag. 40
38
ed il proletariato intero avrebbero dovuto apporsi con forza ad una
posizione interventista, in quanto estranei alle cause, alle conseguenze ed
alle logiche interne al conflitto.
La votazione finale, al termine dell’acceso dibattimento, vide la sconfitta
della corrente legata a De Ambris: tutte le camere del lavoro legate all’U.S.I.
votarono compatte la neutralità, ad eccezione di Milano, Parma e
Castrocaro. E’ evidente che Milano e Parma, due centri fino ad allora molto
importanti, espressero una posizione diversa in quanto la maggior parte dei
militanti aderenti aveva una posizione vicina al socialismo rivoluzionario
che, in larga parte, si espresse a favore del conflitto non solo in contesti di
tipo sindacale.
Il giorno successivo, tutti i dirigenti interventisti si dimisero, compreso il
segretario Alceste De Ambris; nei mesi seguenti, De Ambris cercò di fare
pressione affinchè la sua posizione riuscisse ad ottenere un peso diverso
all’interno del sindacato, ma senza riuscirci. Egli sperava che la
maggiornaza neutralista facesse un passo indietro, chiedendogli di tornare
a ricoprire la carica di segretario. Ma Borghi aveva intuito ciò e, chiedendo
alla fazione neutralista di far valere la propria presa di posizione, l’anarchico
venne eletto segretario nel settembre del 1914.
Borghi, pur rimanendo evidenti i contrasti in seno al sindacato, cercò di
limitare le ostilità, sperando che le camere del lavoro interventiste
esprimessero una posizione di minoranza senza alzare eccessivamente il
livello della tensione o snaturando lo statuto del sindacato stesso; tuttavia,
nel mese successivo, De Ambris divenne direttore dell’ Internazionale,
periodico legato alla camera di Parma ed organo ufficiale della propaganda
dell’U.S.I. .
Da questa posizione, il socialista parmense riuscì a monopolizzare l’organo
di stampa sindacale, prendendo posizioni pubbliche assai distanti da quelle
decise a maggioranza durante il consiglio generale. La situazione di forte
39
contrasto interno aveva raggiunto un punto di non ritorno: le due anime,
interventista e neutralista, pur non auspicando ad una scissione si
trovavano in un impasse dal quale, come poi venne dimostrato, era davvero
difficile uscire.
Intanto Borghi proseguiva la sua campagna antimilitarista, tenendo comizi a
Bologna, Piacenza e Milano. La repressione, atta a limitare le espressioni
neutrliste dal basso, si mosse con velocità. Il 27 novembre 1914 l’anarchico
venne arrestato, tornando in libertà solo nel gennaio del 1915 in seguito ad
una amnistia.
Per cercare di risolvere l’ambiguità legata al periodico l’Internazionale,
l’U.S.I. aveva di fatto un organo propagandistico che non rispecchiava
fedelmente le posizioni espresse dal congresso sindacale, Borghi operò al
fine di creare un nuovo organo ufficiale, relegando il periodico parmense a
giornale della sola Camera del lavoro.
Il 17 aprile 1915 uscì il primo numero di Lotta di Classe, foglio redatto quasi
interamente da Borghi che consentiva all’U.S.I. di prendere posizione in
modo più netto contro l’entrata in guerra dell’Italia.
Durante l’ultimo convegno del Consiglio nazionale dell’U.S.I., di poco
precedente all’entrata in guerra, venne approvata a larga maggioranza una
dichiarazione neutralista, alla quale il delegato della Camera di Parma non
aderì. La sezione milanese, in aperta polemica con la dirigenza sindacale e
nettamente a favore del conflitto, non si presentò in assemblea, venendo
così espulsa. Sembrava quindi possibile la permanenza nel sindacato di
una minoranza interventista e, almeno fino ad allora, l’espulsione della
Camera del lavoro di Parma venne scongiurata.
40
3.2. LA PARTECIPAZIONE ITALIANA AL CONFLITTO ED IL
CONSIGLIO GENERALE DELL’U.S.I. DEL 1916.
L’entrata in guerra dell’Italia determinò per l’U.S.I., ma non solo per questo
sindacato, una drastica riduzione di militanti. Una parte degli iscritti
dovettero rispondere alla “chiamata alle armi”, molti altri invece fuggirono
all’estero a causa delle vessazioni della polizia e della repressione nei
confronti dei disertori.
L’attività di Borghi durante il conflitto si concentrò su due piani: quello
sindacale, al fine di mantenere viva ed attiva l’organizzazione decimata dal
conflitto in corso, e quello politico, continuando nella sua attività di
conferenziere sulle tematiche della neutralità e dell’antimilitarismo.
A causa della oggettiva mancanza di forza, il periodico Guerra di Classe
divenne quindicinale e, durante il conflitto, periodicamente oscurato dalla
censura.
L’incessante attività ed il protagonismo di Armando Borghi vennero
considerati una spina nel fianco della propaganda ufficiale del governo così,
per limitare l’attività e l’influenza dell’anarchico sulle masse lavoratrici, il 6
Aprile 1916 venne confinato a Firenze.
A dimsotrazione dell’importanza del suo segretario, larga parte della
dirigenza U.S.I. venne trasferita da Bologna a Firenze.
Anche il periodico Lotta di Classe, in questo periodo, proseguì le
pubblicazioni nella provincia fiorentina.20
Nel maggio dello stesso anno, le condizioni della moglie del sindacalista,
ammalata di tubercolosi, peggiorarono e le autorità gli concessero di
soggiornare all’Impruneta, frazione di Galluzzo, nella provincia fiorentina.
20 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.31
41
Nel luglio del 1916, si svolse a Firenze il Consiglio Generale dell’U.S.I.; la
localita fu scelta in quanto città più vicina al domicilio coatto dell’anarchico.
Il congresso vide la partecipazione di numerose camere del lavoro: la
carenza di militanti e il momentaneo declino del sindacato, anche grazie
all’assiduo impegno di Borghi, sembravano problemi ormai superati.
I primi interventi del Consiglio generale riguardarono l’operato del suo
segretario e l’espressione di una solidarietà politica per tutti gli anarchici ed
antimilitarisiti colpiti dalla repressione dell’autorità: gli ordini del giorno
vennero approvati all’unanimità.
La tematica più sentita, che aveva creato una spaccatura nel sindacato sin
dall’ultimatum dell’Austria alla Serbia, fu ovviamente quella riguardante il
conflitto in corso: la tensione interna all’U.S.I., fin ora gestita in modo abile
da Borghi e da buona parte della dirigenza sindacale, sfociò in un dibattito
teso e polemico.
La rottura avvene, oltre che per la condotta di De Ambris e dell’ala
interventista, dopo l’episodio meglio noto come “la salandrinata”: il 25
giugno del 1916, la sezione parmense accolse Salandra in modo caloroso,
dimostrando una certa vicinanza ad una politica partitica e filoparlamentare
che il sindacalismo rivoluzionario aveva sempre rifuggito. I fatti
provocarono la reazione della dirigenza U.S.I. che espulse la Camera del
lavoro della bassa parmense.21
Il congresso proseguì con un intervento di Borghi il quale, enunciando i
princìpi ai quali avrebbe dovuto ispirarsi la classe operaia durante il
conflitto, cercò di proporre concretamente una linea politica per la nuova
Internazionale; sintentizzando in sei punti, Borghi si espresse sostenendo:
21 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.30
42
1. Di non concedere, ora e mai, nessuna fiducia alla borghesia, causa
prima dell’oppressione del proletariato e della guerra imperialista;
2. La volontà di liberare la classe lavoratrice dal giogo del sistema
economico capitalista;
3. La negazione del principio di nazionalità e, conseguentemente, la
cancellazione dell’oppressione degli stati sui popoli;
4. L’attribuzione della responsabilità di ogni conflitto agli stati; la
creazione di un nuova Internazionale fondata, in primis,
sull’antimilitarismo;
5. La negazione da parte della nuova Internazionale di ogni possibile
alleanza tra il proletariato e lo stato borghese;
6. L’approvazione di ogni insurrezione dei popoli contro lo stato.
Partendo da questi presupposti, il Consiglio Generale dell’U.S.I. votò a
larga maggiornaza l’ordine del giorno proposto da Borghi secondo il quale,
a conflitto terminato, il proletariato avrebbe dovuto reagire in modo
compatto ed unitario perseguendo i seguenti scopi:
1. Non partecipare, non appoggiare e non assumere nessuna
responsabilità nei futuri trattati di pace tra gli stati imperialisti;
2. Condannare ogni tipo di collaborazionismo, politico o sindacale, con
le istituzioni borghesi;
3. Approfondire la coscienza di classe per ottenere un’autonomia
sempre maggiore della classe lavoratrice dalla borghesia;
43
4. Concentrare l’azione di classe nel sindacato che si ispira al metodo
dell’azione diretta;
5. Respingere con forza l’intervento dello stato nelle relazioni tra le
organizzazioni operaie di diverse nazionalità;
6. Perdonare gli errori tattici e stragecici nella lotta di classe alle masse
proletarie; nessun perdono, al contrario, per i politicanti, responsabili
dell’oppressione del proletariato.22
Analizzando l’intervento di Borghi, si intuisce come già in questo periodo si
stessero attenuando le influenze operaiste francesi, in ogni caso parte del
bagaglio politico e culturale del sindacalista, e stessero riaffiorando quei
princìpi più vicini all’anarchismo che avevano caratterizzato le sue pratiche
politiche precedenti all’esilio parigino. Questo percorso di sintesi creò una
visione più matura e realistica dell’assetto sociale e politico italiano ed
internazionale, confluita di fatto in un sindacalismo, fortemente classista,
fondato pienamente sulla dottrina anarchica organizzativa.
Borghi si rendeva conto di come la classe operaia non avesse possibilità di
riscatto continuando ad operare priva di un percorso e di una finalità
comune.
Durante il periodo di confino fiorentino, l’anarchico dovette sacrificare la sua
probabile miglior dote, quella oratoria, essendogli negato il diritto di libera
circolazione all’interno del paese; tuttavia, egli riuscì a svolgere una valida
attività organizzativa e di coordinazione tramite Virgilia D’andrea, poi sua
futura compagna, ed alcuni ferrovieri. Il sindacato ferrovieri, che non aderì
22 E. Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-1922, con pref. di Enzo Santarelli, Urbino, ed. QuattroVenti, 1992. Pag.98-99
44
né all’U.S.I. ma nemmeno alla C.G.dL., era però più vicino alle posizioni
della prima.
Proprio a causa della sua convizione della necessità di un proletariato forte
ed unito, Borghi, durante il soggiorno coatto, mantenne contatti anche con
dirigenti del P.S.I e della C.G.dL. .
La strategia politica dell’anarchico di Castelbolognese si delineava su due
piani ben distinti: quello nazionale e quello internazionale.
Sul piano internazionale, soprattutto dopo la rivoluzione bolscevica, egli
lavorò affinchè la posizione libertaria non rimanesse slegata dal processo
rivoluzionario in corso, potenzialmente allargabile a livello continentale. Per
fare ciò cercò sempre l’alleanza del gruppo operaista francese e dei vari
gruppi anarchici europei; verrà messo in luce in seguito come egli
auspicasse la creazione di una nuova Internazionale, nella quale la
posizione libertaria non venisse schiacciata e nella quale l’area socialista
non riuscisse ad esautorare le minoranze della propria agibilità politica. Per
questo, Borghi si recò in Russia cercando di ottenere il favore di Lenin e dei
bolscevichi, rivoluzionari e fortemente contrari ad un approccio riformista,
ma totalmente privi di una visione libertaria che potesse garantire la
possibilità di dissenso.
Sul piano nazionale, pur partendo da una posizione fortemente anti-
riformista ed anti-parlamentarista, egli cercò sempre un dialogo con l’area
socialista prima e con quella comunista poi. Questa posizione,
conseguenza di un approccio pragmatico e realista, come si vedrà in
seguito venne più volte frustrata.
La possibilità di un confronto europeo per la nascita di una nuova
Internazionele, programmato con la Conferenza di Stoccolma, venne meno
quando, a causa di dissidi tra gli organizzatori, questa venne annullata.
45
Intanto, dopo la sconfitta di Caporetto, la repressione nei confronti degli
anarchici divenne più pesante: Borghi venne accusato di voler far esplodere
una fabbrica di dinamite; dopo l’arresto venne recluso ad Isernia. Dal
carcere, continuò a dirigere il sindacato tramite la corrispondenza con
Virgilia D’Andrea.
L’evolversi della guerra e la Rivoluzione Russa portarono ad un repentino
cambiamento del panorama politico internazionale: nel 1917 mutarono così
profondamente gli assetti politici negli stati europei che, dal fallimento della
Conferenza di Stoccolma, in Italia si giunse, nell’arco di un anno, ad una
situazione potenzialmente rivoluzionaria: il biennio rosso.
46
CAPITOLO QUARTO: Il Biennio Rosso e la delusione
bolscevica.
4.1. LA FINE DEL CONFLITTO E “L’UNITA’ PER L’AZIONE”.
La conclusione del conflitto coincise, per Armando Borghi, con la fine del
periodo detentivo di Isernia.
Il contesto sociale ed economico dell’epoca era profondamente segnato
dalla guerra: l’arretratezza industriale, l’insufficienza infrastrutturale,
l’organizzazione agricola ottocentesca, le profonde divisioni sociali ed il
malessere economico diffuso erano caratteristiche strutturali dell’economia
italiana, aggravate ancor di più dalle conseguenze del conflitto.
Nell’immediato dopoguerra, mentre l’economia stentava a riprendersi,
l’aumento del costo della vita causò una forte instabilità sociale. In questo
contesto si verificarono alcuni casi di sommosse popolari causate dal caro
viveri.
La profonda convinzione borghiana della necessità dell’unità sindacale,
portò l’anarchico, nei primi mesi del 1919, ad intrattenere una serie di
relazioni con alcuni esponenti della C.G.dL. e del P.S.I. .
Questa esigenza non era propria solo dell’U.S.I. ma anche della C.G.dL. e
di altre organizzazioni politiche e sindacali: il metodo e le prospettive
dell’unità, come vedremo, saranno però molto diverse.
Il 15 Gennaio 1919 la dirigenza del partito socialista convocò C.G.dL.,
U.S.I. ed il sindacato ferrovieri ad un incontro, tenutosi a Roma, nel quale
le parti avrebbero dovuto discutere dell’agoniata unità della classe
lavoratrice.
47
Borghi, che aveva una strategia ben precisa, si presentò all’incontro con
una proposta che si può sintetizzare in quattro punti:
1. Unità immediata nell’azione da parte dei diversi organismi sindacali;
2. Unità immediata per l’azione politica rivoluzionaria da parte dei
diversi organismi politici, anarchici compresi;
3. Epurazione immediata delle fazioni interventiste dei diversi gruppi
politici e sindacali;
4. Ultima, e fondamentale, convocazione di una Costituente sindacale
finalizzata alla nascita di un sindacato nuovo, rivoluzionario, riflesso
dell’unità proletaria e della volontà di sovvertire il sistema politico-
economico esistente.23
La proposta di Borghi, oltre che essere caratterizzata dalla radicalità propria
del personaggio e del sindacato da lui rappresentato, svela da un lato la
volontà di una reale unità sindacale, caratterizzata però da una finalità
rivoluzionaria e non rivendicazionista, e dall’altro la volontà, mai nascosta,
di isolare la fazione riformista.
La richiesta di espulsione delle aree interventiste fu segno, evidentemente,
dell’astio ancora presente nei confronti di chi non si espresse contro il
conflitto, colpevole secondo Borghi di complicità con i responsabili del
contesto sociale ed economico descritto in precedenza.
La strategia dell’anarchico era quella di un’alleanza con le forze radicali e
rivoluzionarie, sia politiche che sindacali, per riuscire a scardinare le
23 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.47
48
dinamiche relazionali tra P.S.I. e C.G.dL.: se i rivoluzionari fossero riusciti a
modificare la linea riformista confederale, si sarebbe realmente potuta
concretizzare quell’alleanza rivoluzionaria da tempo cercata ma, nei fatti,
mai realizzata. I principali attori di questo intervento avrebbero dovuto
essere l’U.S.I., il sindacato ferrovieri, le aree massimaliste e rivoluzionarie
interne alla C.G.dL. e, non ultimo nei piani di Borghi, il movimento
anarchico.
Il progetto era quindi un attacco alla dirigenza riformista confederale da
attuare dall’esterno e dall’interno del sindacato.
Tuttavia, come dimostrarono i fatti, la forza, l’organizzazione ed il
radicamento dei riformisti fu tale da resistere agli attacchi delle aree più
radicali.
Durante l’incontro romano, le dirigenze della C.G.dL. e del P.S.I. risposero
compatte alle proposte di Borghi: l’unità si sarebbe concretizzata solo nel
caso in cui l’U.S.I. e le altre organizzazioni esterne si fossero annesse al
sindacato confederale. D’aragona, ribattendo a Borghi in modo volutamente
elusivo su molte questioni, non negò la possibilità dell’unità sindacale ma
fece capire all’anarchico che questa avrebbe potuto essere messa in atto
solo con lo scioglimento dell’Unione Sindacale e con la confluenza dei suoi
iscritti e delle sue Camere del lavoro nel maggior sindacato nazionale.
Dal 19 al 21 gennaio si svolse, a Firenze, il Consiglio Generale dell’U.S.I.;
nell’assemblea Borghi, dopo aver letto la relazione riguardo alle trattative
per l’unità sindacale, si espresse con toni duri contro le posizioni socialiste
e confederali. La posizione trovò l’approvazione unanime dei presenti,
fortemente contrari alla confluenza dell’U.S.I. nella C.G.dL.
L’organismo confederale, per bocca dei suoi dirigenti, accusò Borghi ed il
suo sindacato di non essere una reale forza nel contesto sindacale
dell’epoca; cercando una legittimazione numerica ed escludendo una
49
trattativa più politica, i dirigenti confederali intrapresero negli stessi mesi
delle trattative con l’Unione Italiana del Lavoro, fazione contro la quale
l’U.S.I. si espresse sempre negativamente, soprattutto a causa della
distanza ideologica, e con la quale non cercò mai alcun accordo sindacale
o politico.
Osserva Antonioli:
<<Come si può vedere, qualsiasi ipotesi unitaria si fondava su basi
estremamente fragili. Del resto, sia per i dirigenti dell’U.S.I. che per quelli
della confederazione la questione dell’unità sembrava essere più un passo
obbligato che una autentica scelta. >>24
Ritengo sicuramente opportuna e condivisibile un’osservazione di questo
tipo che tiene conto, parametro non trascurabile, delle diversità ideologiche
e dottrinarie presenti tra anarchici e socialisti: se l’unità sindacale era
considerata necessaria al fine di un reale cambiamento sociale ed
economico, è altrettanto vero che le differenze politiche, dal piano teorico, si
riflettevano su quello pratico creando posizioni spesso inconciliabili; la
diversità nelle pratiche politiche e sindacali era un evidente riflesso, dal mio
punto di vista, di una visione assai diversa della possibile futura società, e
queste differenze riguardavano tanto l’individuo quanto i fondamentali
modelli di aggregato sociale.
I tentativi di unità, dopo l’incontro di Roma, vennero considerati un totale
fallimento da più parti; tuttavia Borghi, posto davanti all’evidenza di una
impossibile unione formale dei vari sindacati in un unico organismo che non
cancellasse l’esperienza dell’U.S.I. e la sua anima rivoluzionaria, proseguì
24 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.49-50
50
cercando di rendere concreta quella “unità per l’azione” che egli
considerava come il primo passo verso la sconfitta riformista.
Si rileva, nell’aprile del 1919, un notevole risveglio da parte del movimento
anarchico. Venne convocato a Firenze, in questo mese, un convegno
nazionale anarchico, al quale partecipò anche Borghi in qualità di
rappresentante dell’U.S.I.; nei mesi successivi videro la luce, dopo il ritorno
di Malatesta in Italia, la U.A.I., unione anarchica italiana, ed il periodico
libertario Umanità Nova, a questa legata.
Un secondo tentativo di unità venne portato avanti da Borghi sull’onda
emotiva degli scontri tra operai e fascisti avvenuti a Milano nell’aprile del
1919: la proposta di un Fronte Unico Proletario, che avrebbe dovuto
comprendere U.S.I, C.G.dL., U.C.A.I., P.S.I. e S.F.I. , trovò l’appoggio dei
ferrovieri e dei comunisti anarchici, ma non quello dei confederali e del
partito socialista.
L’idea borghiana era quella, data l’impossibilità di accordi tra le diverse
dirigenze, di partecipare, ognuno con il proprio metodo di azione, a lotte
politiche e sindacali considerate largamente condivisibili.
Secondo Borghi, i partitocrati socialisti furono i principali responsabili
dell’ennesima occasione persa.25 Questa posizione, sicuramente
partigiana, rifletteva la frustrazione dell’anarchico, il quale non riuscì nei
suoi intenti a causa della grossa influenza della C.G.dL. e del P.S.I. su larga
parte delle masse operaie e contadine.
Nel luglio del 1919, dopo lo scoppio di rivolte spontanee in Liguria a causa
del grave aumento del costo della vita, l’U.S.I. e le sezioni anarchiche locali
cercarono di organizzare la rabbia del proletariato locale indicendo uno
sciopero generale; quando però non era la cronica divisone sindacale a
sabotare i progetti del sindacalista libertario, si presentava puntuale la
25 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.55
51
repressione dello stato: visto il potenziale successo dell’iniziativa lanciata
dall’Unione Sindacale, tutti i principali dirigenti del sindacato vennero
arrestati poco prima dell’inizio dello sciopero.
Scarcerato dopo una breve detenzione, Borghi seguì nell’agosto del 1919 lo
sciopero interregionale metallurgico, lotta nella quale si affiancarono, pur
con molte differenze, Unione Sindacale e F.I.O.M.
La protesta, sviluppatasi in Emilia, Lombardia e Liguria, cessò con un
concordato, che apportava miglioramenti al minimo salariale garantito, non
sottoscritto dall’U.S.I. ; su questo episodio, se il periodico legato al maggior
sindacato metallurgici espresse critiche verso Borghi senza però esprimere
giudizi duri, i maggiori esponenti confederali polemizzarono apertamente
con la strategia dell’Unione Sindacale esprimento anche giudizi personali
molto duri nei confronti del suo segretario.
Osserva Antonioli:
<<…mentre le C.G.dL. contava alla fine del 1919 oltre 1.500.000 iscritti,
l’U.S.I. ne aveva solo 305.000. Ma quest’ultima era presente, e
sufficientemente forte, in settori e località chiave della penisola, almeno
quel tanto da incrinare l’egemonia confederale…>>26
Nonostante questa possibilità rimase solo un’ipotesi, senza mai
concretizzarsi di fatto, la dirigenza confederale nutriva dei timori riguardo
all’Unione Sindacale: era possibile, infatti, che le fazioni massimaliste,
anarchiche e rivoluzionarie interne alla C.G.dL. coagulassero il loro
dissenso sposando una strategia filo-borghiana.
Questa paura, di natura politica, spinse sempre il sindacato confederale ad
evitare ogni tipo di alleanza con Borghi: il rafforzamento e la diffusione
26 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.61
52
dell’impostazione rivoluzionaria avrebbe causato non solo un cambio ai
vertici della C.G.dL., ma un vero e proprio terremoto politico, dato
l’assoggettamento confederale alla volontà politica socialista.
Dal 20 al 22 dicembre 1919 si tenne a Parma, e non a caso nella roccaforte
di De Ambris, il terzo Congresso nazionale dell’U.S.I.; i temi trattati in
assemblea furono due: i consigli di fabbrica e l’unità sindacale.
Sul primo tema, si svolse un’ampia discussione sulla natura, la funzione e
l’importanza dei consigli operai interni alle fabbriche; tuttavia, tra le posizioni
non entusiaste vi era anche quella di Borghi, questi non furono considerati
come strumenti rivoluzionari, ma come semplici forme organizzative. Il
consiglio, di fatto, non si presentava come un forte strumento di rottura: non
influiva sul processo di espropriazione, non influiva sulle pratiche
sovversive, poteva diventare strumento dei riformisti. Tuttavia, pur
riconoscendone i limiti, dalla votazione emerse un sincero incoraggiamento
dell’U.S.I. nei confronti dei consigli di fabbrica, intesi come organi preposti
all’autogestione ed al protagonismo operaio.
Il secondo ordine del giorno verteva sulla tanto discussa unità sindacale:
l’assemblea dell’U.S.I. trovò nel riformismo la ragione della mancata unità
sindacale. Tuttavia, nella discussione, emerse una corrente minoritaria, tra i
quali spiccava Di Vittorio, favorevole ad un ritorno in seno alla C.G.dL., al
fine di operarvi dall’interno ed accrescere la minoranza rivoluzionaria
presente nel sindacato confederale.
Il fermento nel paese, entrati nel pieno del biennio rosso, aumentava. Le
agitazioni sindacali, le proteste per il caro viveri, il risveglio del movimento
anarchico ed il ritorno di Malatesta, la persistente propaganda sovversiva,
l’avvio della grande agitazione dei metallurgici che sfociò nell’occupazione
delle fabbriche: tutti fenomeni che contribuirono a rendere il contensto
potenzialemente rivoluzionario.
53
Nonostante molte città fossero in sciopero generale, molte fabbriche
occupate, nonostante la pratica dell’azione diretta si stesse diffondendo
come mai prima aveva fatto, Borghi riusciva ad analizzare con oggettività gli
eventi. Egli, pubblicando un articolo su Guerra di Classe dal titolo La
collana senza filo27, utilizzò questa metafora per descrivere gli eventi come
una serie di azioni isolate, prive di una reale finalità, prive di una reale
possibilità di sovversione dell’esistente. L’unica speranza, per Borghi,
consisteva nella scelta, da parte dei socialisti massimalisti, di concretizzare
la loro volontà rivoluzionaria, fino ad allora tutta teorica.
Racconta Giovannetti, vicesegretario U.S.I. e segretario del sindacato
nazionale metallurgici, riguardo a quei mesi intensi:
<< Le lotte economiche proletarie, che nel 1920 si susseguirono in tutti i
campi dell’attività produttiva, vennero senza dubbio soverchiate, per
l’importanza e per il successivo sviluppo, da quella nazionale dell’industria
metallurgica che più tardi culminò nell’occupazione delle fabbriche. […]
Il proletariato organizzato d’Italia, educato alle lotte civili e politiche di un
ventennio di vita sindacale, non è spinto da sentimenti egoistici
nell’agitazione […] ma è animato da sentimenti altruistici, profondamente
umanitari e, soprattutto, guidato […] dalle proprie idealità politiche e
rivoluzionarie. […] L’obiettivo dell’Unione Sindacale Italiana, in questa lotta
memorabile era la presa di possesso delle fabbriche, poiché ormai si
riteneva matura e possibile la trasformazione sociale, e un’azione
rivoluzionaria del proletariato, a giudizio di tutti gli storici, sarebbe riuscita
vittoriosa.
Interprete del sentimento e della volontà dei lavoratori, l’U.S.I. concentra
però tutti i suoi sforzi per il conseguimento immediato di questo scopo. […]
27 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.79
54
Non intendiamo, non vogliamo assolutmente rassegnarci ad una sconfitta
attraverso mezzi inefficaci e manifestazioni oblique. >>28
Tralasciando alcune considerazioni dell’autore forse poco utili dal punto di
vista dell’analisi storica, è sicuramente importante notare come Giovannetti,
a differenza di Borghi, non avesse una visione realistica che potesse
andare oltre il breve periodo; egli pareva avere una fiducia incodizionata
nelle masse operaie e nelle azioni sindacali in corso. Armando Borghi, al
contrario, era alla ricerca di quel filo che riuscisse a collegare in modo
armonico tutte le perle della collana.
In questi mesi di intensa attività, l’anarchico aveva spedito, a nome
dell’U.S.I., una lettera al comitato esecutivo della III Internazionale nella
quale presentava l’organizzazione sindacale rivoluzionaria e richiedeva
formalmente di partecipare all’adunanza.
La posizione di parte del movimento libertario era particolarmente critica nei
confronti dell’Internazionale moscovita: secondo Malatesta le distanze
teoriche tra anarchismo e marxismo parevano inconciliabili. Nonostante
questa premessa, è necessario rilevare come l’entusiasmo legato alla
Rivoluzione Russa causò nelle aree più radicali, ed anche in quella
anarchica, una grande aspettativa: anche molti libertari, quindi,
svilupparono una simpatia nei confronti del bolscevismo e delle vicende
sovietiche. Questa fiducia, tuttavia, era supportata da una informazione
scarsa ed ideologica; osseva correttamente Falco:
<< Dopo la rivoluzione di ottobre poiché i libertari italiani continuavano a
ricevere scarse notizie sulle vicende russe nacque e si sviluppoò 28 Alibrando Giovannetti, Il sindacalismo rivoluzionario in Italia a cura di Marco Genzone e Franco Schirone, ed. USI-Zero in Condotta-Collegamenti Wobbly, Milano-Genova, 2004
55
nell’anarchismo della penisola una “fede acritica” nei confronti del
bolscevismo. >>29
E sulla posizione di malatesta precisa:
<< Secondo Malatesta i bolscevichi erano marxisti e pertanto gli anarchici,
non essendo mai stati d’accordo con loro dal punto di vista ideologico, non
potevano essere solidali con loro “passando dalla teoria alla pratica”. La
dittatura del proletariato era soltanto la dittatura dei capi di un partito che
avevano instaurato un governo e creato un esercito, per il momento per
difendere la rivoluzione contro i nemici esterni ma in seguito, per imporre la
loro volontà alle masse popolari e per creare una nuova classe di
privilegiati.>>30
4.2. IL VIAGGIO IN RUSSIA, IL RITORNO IN ITALIA E LE TRE SETTIMANE DI LIBERTA’.
Nell’aprile del 1920, la commissione apposita dell’Internazionale valutò la
richiesta di ammissione dell’U.S.I.; va osservato come, nei riguardi di
Borghi, si verificò una strana coincidenza di fattori: la risposta tardiva ed il
ritardo del delegato bolscevico causarono la partenza dell’anarchico a due
mesi di distanza da quella della delegazione socialista.
Esistono due interpretazioni di questi avvenimenti da parte di Borghi: nella
relazione del 1921, documento redatto dallo stesso anarchico per rendere 29 E. Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-1922, con pref. di Enzo Santarelli, Urbino, ed. QuattroVenti, 1992. Pag.126 30 E. Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-1922, con pref. di Enzo Santarelli, Urbino, ed. QuattroVenti, 1992. Pag.127
56
pubbliche le sue valutazioni sulle assemblee moscovite, egli ritenne che i
russi, durante i colloqui con la delegazione socialista italiana, compresero la
natura riformista del P.S.I e della C.G.dL. in Italia; avversi a questa
impostazione politica, si rivolsero perciò all’organizzazione che
racchiudeva, nella pensisola, le forze rivoluzionarie: l’U.S.I.
Nella seconda interpretazione sviluppata nelle sue memorie, successiva e
forse ispirata dall’evolversi dei fatti, sostiene come l’invito fosse
<< …espressamente ritardato, per evitare a Mosca un mio conflitto con la
Confederazione e per farmi trovare di fronte ai fatti compiuti. >>31
Come osserva Antonioli, una spiegazione non esclude l’altra. Tuttavia è
possibile ritenere più attendibile la prima, per alcune ragioni:
1. in primis, la seconda considerazione può essere fortemente
influenzata dai rapporti tra anarchici e comunisti, peggiorati
notevolmente nel corso degli anni successivi alla rivoluzione
bolscevica;
2. in secundis, un parziale riscontro storico a favore della prima può
essere trovato nell’opera La mia vita rivoluzionaria, di Angelica
Balabanoff; qui l’attivista bolscevica di origine ucraina mette in luce i
pessimi rapporti tra Serrati ed i bolscevichi, fortemente contrariati
dall’impossibilità reale di una espulsione dei riformisti da tutti i gruppi
socialisti in Italia, al fine di una svolta rivoluzionaria.32
31 A. Borghi, Mezzo secolo di anarchia 1898-1945, con prefazione di Gaetano Salvemini, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1954, Pag.242 32Angelica Balabanoff, La mia vita di rivoluzionaria, ed. Feltrinelli, Milano, 1979, Pag. 221
57
Queste tensioni, quindi, avrebbero potuto portare i russi a cercare alleanze
con le aree più radicali ed anarchiche. Il tentativo, poi fallito, mise in luce
ancora una volta le numerose differenze teoriche e pratiche tra socialisti,
comunisti ed anarchici.
Ulteriore dimostrazione di ciò furono gli sforzi di D’Aragona e Serrati,
nonché della folta delgazione riformista, per fare pressione sul Comitato
esecutivo dell’Internazionale per impedire la partecipazione del’U.S.I. al
congresso. Lenin e i bolscevichi, tuttavia, si resero conto ben presto di non
poter fare affidamento sui socialisti riformisti italiani, troppo legati ad una
impostazione parlamentarista.
Borghi partì dalla penisola la sera del 22 luglio; non potendo attraversare la
Svizzera, dalla quale era stato espulso nel 1912, raggiunse Vienna e
successivamente la Germania. Bloccato per molti giorni dalla mancanza dei
visti necessari, l’anarchico si rese conto della scarsa solidarità dei gruppi
comunisti tedeschi; solo grazie all’aiuto dell’area libertaria locale, riuscì a
giungere in Estonia in clandestinità, per poi arrivare a Pietroburgo una
settimana dopo la chiusura del congresso.
La permanenza di Borghi in Russia durò circa venti giorni, nei quali
l’anarchico venne a contatto con le varie anime del bolscevismo: quella
comunista, quella legata all’ambito sindacale e quella vicina al comunismo
libertario.
Ciò che più sorprende della vicenda, sono i punti di vista assai diversi
espressi dallo stesso anarchico: il soggiorno sovietico servì, indubbiamente,
a coscientizzare Borghi facendogli prendere contatto con quella realtà che,
fino ad allora, era stata solo una pura costruzione ideale legata alla
propaganda; è probabile che l’esperienza si scontrò notevolmente con
quella che era l’idea riguardo alla rivoluzione bolscevica. Ma cosa fece
cambiare radicalmente idea sull’esperienza sovietica all’anarchico?
Nonostante, come già espresso, l’esperienza di Borghi e dell’U.S.I. sia poco
58
studiata, sul tema è ancora presente un vivo dibattito storico. Ciò che
emerge in modo netto, anche da analisi storiche molto differenti, è la
grande distanza tra le opinioni dell’anarchico precedenti al viaggio in Russia
e successive alla fine della lunga detenzione, alla quale andò incontro una
volta ritornato in Italia.
La revisione dei fatti presente in Mezzo secolo di Anarchia, oscurata dallo
spettro dello stalinismo, di certo non rende facile interpretare le differenti
posizioni del sindacalista anarchico italiano. Nonostante ciò, è possibile
trovare un riscontro storico alle critiche di Borghi nelle posizioni di altri
autori, come Victor Serge ad esempio, che possono aiutarci ad inquadrare il
contesto che lo portò a posizioni prima fortemente scettiche, poi
apertamente contrarie all’impostazione centralista e liberticida dei
bolscevichi. Lo stesso Serge, infatti, criticò aspramente il percorso
rivoluzionario bolscevico; pur rimanendovi all’interno in questi anni, egli
portò alla luce la sottomissione dei soviet al volere del partito; espresse
anche pesanti critiche nei confronti delle più alte cariche comuniste,
definendo alcuni personaggi, tra cui Trotsky, dei perfetti tiranni.33
L’incontro ed i colloqui con Serge, durante il soggiorno russo, contribuirono
probabilmente alla creazione di quella visione critica che porterà l’anarchico
a non appoggiare la rivoluzione bolscevica, considerata un tradimento del
proletariato.
Un altro dei fattori che contribuirono a ciò, fu probabilmente il contatto con
l’ambiente anarchico e libertario russo. Come in Italia, anche in Russia,
almeno in principio, gli anarchici parteciparono attivamente alla rivoluzione
appoggiandola in pieno. Con il passare del tempo, mentre la dirigenza
comunista mostrava il suo lato oppressivo e la sua “visione unica”, i libertari
iniziarono a criticare aspramente Lenin, Trotsky ed i principali dirigenti
33 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.89
59
comunisti. A causa dell’opposizione, larga parte del movimento libertario
venne imprigionata e perseguitata: la repressione comunista dimostrava di
essere efficiente tanto quanto quella borghese.
Nei colloqui successivi alla fine del congresso, Borghi ebbe l’opportunità,
oltre che di prendere contatto con alcuni dirigenti politici e sindacali
bolscevichi, di incontrare sindacalisti dei principali organismi europei:
l’incontro con Ángel Pestaña, esponente dell’area moderata della C.N.T.
spagnola, può essere utile a capire come, già durante il soggiorno russo, la
posizione di Borghi fosse moderatamente critica nei confronti della
creazione di una Internazionale Sindacalista filo-bolscevica.
Il 25 agosto, nella confusa eccitazione del momento, Borghi aveva
accettato, a nome dell’U.S.I., la risoluzione del comintern in materia
sindacale. Successivamente, Tomskij formulò e presentò alle delegazioni
europee il documento denominato Note du Comité Executif provisoire de
l’Internationale Industrielle rouge sur l’organisation de la propagande:
secondo il piano bolscevico, nei paesi aderenti all’Internazionale, avrebbero
dovuto sorgere uffici speciali del Partito comunista, preposti ad una stretta
collaborazione con le sezioni dei sindacati aderenti al progetto; dal
documento traspariva in modo chiaro la volontà di assoggettare la pratica
sindacale al volere del partito. Borghi comprese la strategia politica dei
bolscevichi e si rifiutò di firmare; durante il colloquio con Pestaña, i due
discussero del documento e lo spagnolo, prima di tornare in patria, ritirò
l’assenso dato in precedenza. E’ quindi corretto sostenere come l’adesione
alla III Internazionale da parte dell’U.S.I., avvenuta ufficialmente, presentò
sin dalle origini qualche incrinatura.
Espletato il suo mandato, Borghi iniziò il viaggio di ritorno alla volta
dell’Italia. Partito nella prima settimana di settembre del 1920, arrivò a
Verona il 16 dello stesso mese; erano i giorni caldi dell’occupazione
nazionale delle fabbriche; i tumulti si susseguivano e l’economia italiana
60
pareva messa in ginocchio dalla più grande protesta operaia della storia del
paese.
Le possibilità reali di Borghi di svolgere attività politica e sindacale, vennero
annullate da un mandato di cattura che lo colpì, a causa di un episodio
banale, e che lo portò ad essere arrestato la sera del 12 ottobre; in queste
tre settimane di libertà, egli si spese in comizi, cercando di tenere viva
l’agitazione, di far proseguire l’occupazione delle fabbriche, di sviluppare sul
piano pratico quella teoria per anni propugnata, secondo la quale la
rivoluzione avrebbe potuto nascere solo dallo sciopero, solo per opera della
classe lavoratrice.
Nei comizi successivi al rientro in Italia, Borghi si espresse sempre a favore
della rivoluzione bolscevica. I suoi interventi, appassionati e ricchi di
demagogia rivoluzionaria, presentarono la Russia come la terra
dell’uguaglianza, della giustizia sociale; in questa terra, secondo
l’anarchico, il popolo riuscì a rovesciare il regime zarista per sostituirvi la
dittatura del proletariato, forma di governo tramite la quale veniva abolita
ogni forma di privilegio ed ogni classe. In Russia, nelle descrizioni
dell’anarchico, pareva non ci fossero ladri, poveri, mendicanti, prostitute: i
vizi della borghesia sembravano sostituiti dalle virtù proletarie.
Tralasciando la retorica populista, come poi fatto presente da Nicola Vecchi
nel 192134, vi è grande distanza tra le opinioni espresse da Borghi negli
scritti e nei comizi tra il settembre e l’ottobre del 1920 e quelle espresse
dopo la sua scarcerazione, avvenuta dopo una lunga detenzione durata
dieci mesi. Cosa motivò queste prese di posizione a favore dei bolscevichi?
E cosa causò le posizioni, così distanti da quelle espresse in precedenza,
sostenute dopo il processo e la relativa scarcerazione?
34 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.101
61
Risulta più facile rispondere alla seconda domanda: se l’opinione di Borghi
riguardo alla rivoluzione russa era già stata parzialmente modificata durante
il soggiorno in Russia, dopo la scissione di Livorno e la nascita del Partito
Comunista d’Italia furono ben chiare le intenzioni dell’area comunista sia nei
confronti dell’U.S.I., sia nei confronti dell’intero proletariato. Lo spirito
libertario di Borghi lo portò, dal 1921 in poi, ad opporsi sempre in modo
feroce al bolscevismo e, successivamente alla degenerazione stalinista.
Sulle prese di posizione del 1920 a favore dei bolscevichi, invece, è più
difficile dare una risposta certa: può aiutare, in questo senso, quanto scritto
da Vilkens, un operaio spagnolo residente in Francia, membro fondatore del
Syndicat du Bâtiment di Chauny, inviato in Russia e facente parte della
delegazione francese. Anch’egli venuto a contatto con Victor Serge, tornò in
Francia con posizioni molto critiche nei confronti delle scelte politiche russe.
Nel suo diario del soggiorno russo, egli parla di una sorta di nevrosi politica
presente in molti militanti di ispirazione libertaria: fortemente critici nei
confronti delle scelte sovietiche, ma fedeli all’ideale della rivoluzione.35
A spiegare le contraddizioni presenti nelle differenti prese di posizione del
segretario dell’U.S.I., può essere utile anche la ricostruzione dei fatti di
Giovannetti: egli sostenne, in un articolo apparso su Lotta di Classe nel
1921, che Borghi espresse in privato le sue perplessità sulla rivoluzione,
ostentando invece in pubblico grande passione e fedeltà alla causa russa.36
Sembra quindi, dal quadro descritto, che Borghi non potesse esprimersi
sinceramente in pubblico, intuendo la portata storica degli avvenimenti del
Biennio Rosso: fu quindi per “buonsenso rivoluzionario” che l’anarchico
tacque, incitando le masse a seguire l’esempio del popolo russo, proprio nel
35 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.92 36 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.102
62
momento in cui vi era necessità di quella concordia ed unità d’azione che,
fino ad allora, erano sempre mancati al movimento operaio.
Soffermandoci ancora sul contesto politico nazionale del 1920, è
ipotizzabile che al ritorno di Borghi in Italia fossero due le possibili
circostanze verificabili: un accordo tra la sinistra, i sindacati ed i gruppi
sovversivi finalizzato al crollo del capitalismo e dello stato borghese, oppure
un reflusso della protesta in senso riformista e rivendicazionista entro gli
argini della monarchia liberale. Come è noto, la seconda opzione fu di fatto
l’unica vera possibilità, data la cronica divisione dei gruppi legati alla classe
lavoratrice e la totale assenza di visioni e pratiche politiche comuni.
Il ritorno di Borghi, però, coincise temporalmente con la fine delle
occupazioni. Se la grande protesta si era sviluppata proprio nell’ultimo
periodo del soggiorno russo e durante il ritorno in Italia dell’anarchico, ciò
che egli vide furono solo i residui della grande lotta operaia, da un lato
sedata dal metodo riformista, dall’altro fortemente smorzata dalla
diplomazia e dall’abilità politica di Giolitti.
Nonostante Giovannetti, in qualità di vice-segretario nazionale e come
segretario del Sindacato Metallurgico, seguì da vicino l’evolversi delle lotte
operaie, va sottolineato che l’U.S.I. affrontò il periodo più caldo del biennio
rosso senza la presenza del suo leader carismatico: Armando Borghi.
Borghi era diventuo un simbolo per le masse proletarie e per il movimento
anarchico, una figura fondamentale capace di scatenare agitazioni e di
indirizzare il malcontento popolare verso la via rivoluzionaria. Sarebbe però
antistorico pensare che la presenza dell’anarchico durante l’occupazione
delle fabbriche avrebbe modificato il corso degli eventi: egli era sì una figura
di spicco, ma di quella fazione che nei due decenni precedenti non era mai
riuscita a scardinare il meccanismo riformista, vedendo sempre frustrati i
propri tentativi.
63
Intanto iniziava a svilupparsi, contemporanea al ridimensionamento della
protesta operaia, l’azione mediatrice di Giolitti. Il Presidente del Consiglio,
consapevole del potenziale rischio rivoluzionario, venne informato sulla
successiva scissione interna al P.S.I. e, temendo un’alleanza tra i comunisti
e gli anarchici, convocò C.G.dL. e Confindustria per risolvere a tavolino le
tensioni che stringevano il paese in una morsa. Egli aveva sempre evitato
un massicio intervento della polizia nei due anni precedenti, spesso
invocato dagli industriali, per mantenere la protesta sul piano economico.
L’abilità politica di Giolitti, che aveva saputo evitare che la protesta
sfociasse in una aperta insurrezione nazionale, gli permise di proporre alle
parti un tavolo di trattativa, successivamente accettato.
Al convegno confederale del 10 settembre 1920, tenutosi a Milano, la
rivoluzione venne di fatto democraticamente procrastinata sine die: l’ordine
del giorno proposto da D’Aragona, nel quale si esplicava la volontà di
evitare un’aperto scontro con le istituzioni, prevalse nelle votazioni finali.
Il 17 settembre, il presidente del consiglio convocò il sindacato confederale
e la confindustria e, dopo una lunga trattativa, vennero approvati degli
accordi che garantivano dei notevoli miglioramenti salariali per i
metalmeccanici. Il 22 dello stesso mese, un congresso straordinario della
F.I.O.M. approvò l’accordo.
Si chiuse di fatto, senza alcuna possibilità concreta di altre eventualità, la
grande protesta che per due anni aveva sconvolto il paese, paralizzandone
l’attività economica e provando a mettere in discussione l’assetto politico ed
economico del paese.
L’U.S.I. dichiarò di non avallare l’accordo, considerandolo un tradimento
della classe lavoratrice. Riferendosi a quei giorni, narra Giovannetti:
<< Dopo la sconfitta voluta del proletariato italiano in seguito alla traditrice
politica di rinuncia alla rivoluzione da parte delle organizzazioni social-
64
riformiste, nostro primo compito era divenuto quello di mantenersi coll’arma
al piede per la difesa della preveduta offensiva reazionaria della borghesia,
senza perciò perdere di vista l’obiettivo di un ancora possibile attacco
rivoluzionario delle masse lavoratrici prima che la borghesia disgreghi le
loro forze ancora intatte, malgrado il colpo formidabile patito con
l’abbandono delle fabbriche. >>37
Secondo Fabbri, nel Biennio rosso ci furono tre reali possibilità
rivoluzionarie: durante i moti per il caroviveri del 1919, durante la
sollevazione militare di Ancona del 1920 e durante l’occupazione delle
fabbriche. Dato per certo il tradimento confederale, Fabbri cercò di fare
autocritica sottolineando come il movimento anarchico mancò di
quell’organizzazione militare necessaria ai fini rivoluzionari; evidentemente,
come sottolineò, comizi e periodici cartacei non si rivelarono sufficienti per
sovvertire l’ordine costituito.38
Il 12 ottobre Armando Borghi, colpito da un mandato di cattura, venne
arrestato a Bologna, di rientro da Trieste. A qualche giorno di distanza,
venne recluso anche Malatesta: la controffensiva reazionaria, venuta meno
ogni possibilità di moti nazionali, iniziò i suoi attacchi principalmente contro i
militanti anarchici e le aree rivoluzionarie del sindacalismo; nei giorni
successivi vennero perquisite e devastate le sedi dell’U.A.I e venne arresta
l’intera redazione di Umanità Nova.
Il movimento, privo dei suoi leader carismatici, si trovò isolato: senza guide,
diviso dalla maggioranza del proletariato che aveva approvato in modo
compatto le decisioni riformiste, non seppe organizzare una valida protesta
contro la repressione e le vittime politiche. 37 Alibrando Giovannetti, Il sindacalismo rivoluzionario in Italia a cura di Marco Genzone e Franco Schirone, ed. USI-Zero in Condotta-Collegamenti Wobbly, Milano-Genova, 2004, Pag. 137-138 38 Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva, ed. Zero in Condotta, Milano, 2009, Pag.179
65
Borghi e Malatesta, accusati di cospirazione contro la sicurezza dello stato,
vennero privati della libertà fino alla fine del mese di luglio del 1921.
Sottoposti ad un processo-farsa, furono assolti e scagionati da ogni accusa.
Non è opportuno, dal mio punto di vista, analizzare il fallimento dell’U.S.I.
isolandolo dal contesto: la sconfitta del movimento anarchico e del
sindacalismo rivoluzionario è solo una parte di un fenomeno più ampio: la
disfatta di tutta la classe operaia e delle avanguardie di sinistra, il fallimento
di questo modello sociale, culturale, contestualizzato nella crisi della
monarchia liberale, nel fallimento della visione giolittiana e nella sua
incapacità di contenere l’involuzione autoritaria che colpirà il paese dal
1922 in poi.
La sera del 23 marzo 1921, la Bomba del Diana contribuì a rendere più tesa
la situazione politica del paese: l’attentato avvenuto nel cinema milanese, di
matrice anarcoindividualista, portò ad un accanimento delle autorità nei
confronti di tutti i gruppi, politici e sindacali, di matrice libertaria. Ma le
reazioni all’attentato non vennero solo dalle autorità: il fenomeno dello
squadrismo fascista in questi frangenti si intensificò: le sedi dell’Avanti! e di
Umanità Nova vennero devastate e le pubblicazioni dovettero cessare,
almeno per un breve periodo.
66
CAPITOLO QUINTO: Dalla mancata rivoluzione al fascismo.
5.1. IL CONSIGLIO GENERALE DELL’U.S.I. DEL 1921: IL CASO FAGGI - DI VITTORIO E LE DIMISSIONI DI
BORGHI.
Il 1921 ed il 1922 sono due anni molto intensi, non solo per Borghi e l’U.S.I.,
ma per l’intero paese, nel quale si verificarono avvenimenti che possono
essere considerati conseguenze ultime di tutti i problemi politici latenti e di
tutte le tensioni sociali mai risolte.
Dopo la scarcerazione di Borghi e Malatesta, molte cose contribuirono a
modificare il contesto sociale e politico del paese: le ondate di scioperi e di
occupazioni del Biennio Rosso, concluse con gli accordi confederali,
frustrarono notevolmente le aree rivoluzionarie ed anarchiche, sempre più
disincantate e consapevoli dell’impossibilità di un reale cambiamento in
senso socialista dell’assetto economico e politico dello stato; la nascita del
Partito Comunista d’Italia, con la scissione di Livorno, portò alla luce un
nuovo attore politico nel panorama nazionale; la forza del fenomeno
fascista, sempre più dilagante, non venne compresa e lo stesso Giolitti
credette che questo potesse “normalizzarsi” entro i limiti costituzionali.
Dopo l’assoluzione e la scarcerazione, Borghi tornò a dirigere l’U.S.I. che,
però, era ben diversa da quella che aveva lasciato partendo per la Russia:
l’apparato era notevolmente idebolito, molte sedi erano state attaccate dai
fascisti e la repressione poliziesca era stata feroce.
Il neonato Partito comunista, se per alcuni anarchici era come fumo negli
occhi, attirò le attenzioni di numerosi militanti dell’U.S.I., soprattutto
dell’area socialista rivoluzonaria. L’area anarchica interna al sindacato,
67
come sostenne Giovannetti in tempi non sospetti39 - pur essendo un
socialista rivoluzionario -, previde un aspro scontro tra P.C.d’I. e P.S.I. per
l’egemonia della C.G.dL.: entrambi i partiti, infatti, vedevano la lotta
sindacale come strumentale agli interessi del partito, dinamiche che al
contrario non sfiorò mai l’Unione Sindacale.
Tra febbraio e marzo del 1921, si svolse a Livorno il V Congresso del
sindacato confederale: qui andò in scena lo scontro tra le due aree
maggioritarie, quella socialista riformista e quella comunista, per il controllo
del sindacato. Alle votazioni, prevalse la linea riformista, ancora troppo
radicata dopo i decenni di legami col P.S.I.
In questi frangenti, Borghi dovette difendersi dagli attacchi comunisti, che lo
accusavano di disattendere gli accordi della III Internazionale in materia di
unità sindacale. Egli, pubblicando numerosi articoli su Lotta di Classe,
precisò che l’U.S.I., non avendo mai accettato la sottomissione del
sindacato da parte dei socialisti, non avrebbe permesso nemmeno quella
da parte dei comunisti, convinti di rappresentare tramite il partito gli
interessi del proletariato.
E’ in questi mesi, però, che emerse la più grande spaccatura che l’Unione
Sindacale visse dalla sua fondazione: il caso Faggi – Di Vittorio.
I due segretari camerali, rispettivamente di Piacenza e Cerignola,
figurarono tra i numerosi arrestati di quei mesi, nei quali la repressione
aveva decimato le forze del sindacato.
Il Partito socialista, solidale con le correnti dell’U.S.I. politicamente più
vicine, propose la candidatura parlamentare dei due sindacalisti
rivoluzionari, come forma di protesta nei confronti dei gravi provvedimenti
che avevano colpito le organizzazioni. Tuttavia è intuibile come questa non
fosse solo una forma di protesta, ma rappresentasse in qualche modo una
39 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.111
68
sorta di avvicinamento dei due segretari al partito, che per anni aveva
corteggiato l’area socialista dell’Unione Sindacale.
Guerra di Classe, provando ad evitare una polemica interna che avrebbe
ulteriormente indebolito l’organizzazione, cercò più volte di minimizzare
l’accaduto, dichiarando la più totale libertà di pensiero e di azione dei propri
iscritti. Il tentativo fu però fallimentare: la polemica si sviluppò e riuscì a
coagulare il dissenso presente all’interno dell’U.S.I.
Il comportamento dei due iscritti violava esplicitamente le norme interne del
sindacato: essendo fondato sin dal pricipio su valori politici quali
l’antiparlamentarismo, un elezione di un proprio dirigente avrebbe
rappresentato non solo una grande contraddizione, ma un reale cambio di
rotta nell’impostazione politica e di lotta.
Al convengno di Milano del 18 e 19 agosto 1921, emersero le differenti
posizioni ed i contrasti presenti all’interno dell’U.S.I.; Borghi, contrariato
dalla dinamica e consapevole di non poter più guidare un’organizzazione
nella quale non condivideva l’opinione di larga parte degli iscritti, rassegnò
le dimissioni, e con lui la D’Andrea. Gli altri dirigenti, di comune accordo, le
rifiutarono, per discutere più diffusamente nel Congresso nazionale che si
sarebbe svolto nei mesi successivi.
Borghi accettò di riassumere la segreteria e, per rendere pubblico il proprio
punto di vista, pubblicò una lunga lettera aperta su Lotta di Classe, nella
quale espresse la necessità di salvaguardare l’unità interna all’Unione
Sindacale, l’impossibilità di accordi con chiunque volesse sottomettere il
sindacalismo alle direttive di un partito e, riferendosi a Faggi e a Di Vittorio,
l’importanza di “riorientare la bussola” per evitare infiltrazioni
degenerative.40
40 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.117
69
Riguardo alle attività sindacali dell’anarchico, in questi mesi si impegnò
fortemente su due fronti: nelle residue lotte dei metallurgici, soprattutto in
Liguria, regione nella quale l’U.S.I. rimase forte fino al 1925, e nella
campagna pro-Sacco e Vanzetti, in solidarietà di tutte le vittime politiche.
Ma per quanto potesse spendersi, e di questo se ne rese conto, l’U.S.I. e
tutta la classe operaia percorrevano una parabola discendente, nella quale
ogni lotta, ogni rivendicazione pareva andare in senso opposto rispetto allo
standard politico nazionale, sempre più in crisi e privo di punti di riferimento
liberali. Il fascismo, mese dopo mese, faceva terra bruciata nelle
campagne, incendiava le camere del lavoro nelle città e si proponeva come
mandante di molti omicidi politici, come quello di Giuseppe Di Vagno,
deputato socialista ed amico di Borghi, avvenuto il 25 settembre 1921 in
Puglia.
I delegati dell’U.S.I. Vecchi e Mari, erano intanto partiti per Mosca al fine di
partecipare alla riunione dell’Internazionale Sindacale Rossa (I.S.R.).
La polemica sui due parlamentari, intanto, proseguì coinvolgendo anche il
movimento anarchico: aspre critiche sulla condotta dell’U.S.I. nell’affrontare
la questione, furono espresse da Malatesta e da numerosi esponenti
dell’anarchismo italiano. Borghi, preoccupato della possibile deriva del
sindacato che aveva fino al allora guidato, si rendeva conto di come non
fosse possibile, oltre che per coerenza ideologica, cedere sulla questione
dell’antiparlamentarismo. Una scelta di questo tipo avrebbe alienato ogni
simpatia degli anarchici, fino ad allora colonna portante dell’Unione
Sindacale.
Il 5 e 6 ottobre 1921, si svolse a Milano il Consiglio Generale dell’U.S.I.;
durante il congresso, Borghi presentò la sua relazione sul viaggio in Russia,
spiegò le ragioni della necessità di opporsi al bolscevismo e raccontò di
essere stato ingannato da Zinoviev, il quale avrebbe avuto un
70
atteggiamento ambiguo per cercare di sfruttare l’area libertaria al fine di
isolare i socialisti riformisti.
La relazione Vecchi – Mari sull’adunanza internazionale tenutasi a Mosca,
presentata dai due sindacalisti, presentava alcune ambiguità: all’interno
dell’U.S.I. nei mesi precedenti al convegno si era molto dibattuto sulla
spinosa questione delle relazioni con i bolscevichi; se da un lato l’Unione
Sindacale non volle mai accettare la sottomissione della lotta sindacale al
volere di un partito, dall’altro non ci fu mai l’unanime volontà di rompere con
la III Internazionale. I due delegati, consapevoli di queste riserve, tornarono
e comunicarono sia la conferma della partecipazione all’Internazionale
Sindacale Rossa, sia la volontà espressa in ambito internazionale di un
reale impegno per portare a termine l’unità sindacale in Italia. Quest’ultima,
date le circostanze, era impossibile a meno di negare l’esistenza dell’U.S.I.
e di sottomettere le dinamiche sindacali a quelle politico-partitiche. La
relazione, com’è comprensibile, causò un dibattito acceso e polemico.
Borghi, tuttavia, non sconfessò l’operato dei due delegati, cercando di non
minare l’unità dell’organizzazione.
Non si può certo affermare che i due delegati tradirono il mandato
affidatogli, data la posizione poco chiara del sindacato sul tema, ma la loro
condotta fu certo espressione di quella corrente interna all’Unione
Sindacale che in questi mesi incominciava a presentarsi in modo più netto.
L’assemblea optò, alla fine del dibattito, per una soluzione di compromesso,
la quale consisteva nell’adesione all’I.S.R, salvo auspicare la convocazione
di un’assemblea di portata internazionale nella quale si dibattesse
dell’intreccio tra partito e sindacato, seguendo di fatto l’esempio dei
sindacalisti francesi.
Sul tema dei due deputati, Borghi si espresse in modo fortemente contrario
sostenendo la necessità di rimanere fedeli al valore
dell’antiparlamentarismo, anche di fronte alla minaccia fascista ed alla
repressione. L’infiltrazione parlamentarista, sosteneva l’anarchico, rischiava
di sostituire il metodo dell’azione diretta come unico reale metodo di lotta
71
proletaria, facendo così crollare completamente i valori libertari e
rivoluzionari sui quali era nata l’Unione Sindacale, in aperta
contrapposizione ai confederali.
L’ordine del giorno Borghi venne approvato, ma non a larga maggioranza:
si astennero otto sezioni tra cui Milano, Parma, Piacenza, Valdarno e
Bologna; Cerignola votò contro.41 L’U.S.I. si dimostrava divisa come mai lo
era stata precedentemente; insoddisfatto dell’andamento delle votazioni,
non per questioni numeriche, e consapevole di non poter risaldare
l’organizzazione intorno ai suoi valori cardine, Borghi rassegnò le dimissioni
e con lui la D’Andrea. La segreteria venne assegnata ad Alibrando
Giovannetti.
5.2. IL CONGRESSO NAZIONALE DELL’U.S.I. DEL 1922, LA
PARTENZA PER BERLINO E L’ESILIO.
Nelle sue memorie, Borghi sostiene di aver rassegnato le dimissioni per
evitare le continue polemiche con i comunisti, che lo accusavano di essere
la causa prima della mancata unità sindacale.
In realtà questa motivazione appare parziale: fu probabilmente lo scontro
interno sulla questione dei due deputati, come espresso dallo stesso
anarchico in una lettera a Malatesta42, la ragione fondamentale che portò
alle sue dimissioni.
Pur non ricoprendo più la prestigiosa carica, Borghi continuava ad essere il
leader carismatico dell’Unione Sindacale e la nomina di Giovannetti va
interpretata, a parer di numerosi storici, come un segnale di continuità. 41 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.126-127 42 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.128
72
L’ex-segretario, non più legato alla carica precedentemente ricoperta, poté
tornare a quella vita itinerante che aveva caratterizzato gli esordi della sua
attività: partecipò a comizi e conferenze sulla Russia e, tra ottobre e
novembre, ai numerosi scioperi dei metallurgici in Liguria.
In questi frangenti, Vecchi contribuì a rendere più profonda la spaccatura
già presente nell’U.S.I., costituendo una frazione sindacalista rivoluzionaria.
Negli ultimi mesi del 1921, il socialista fondò il periodico L’internazionale,
finanziato dai rubli bolscevichi, per dar voce al dissenso interno al
sindacato.
Facile vedere in questi avvenimenti un preciso piano di Mosca per attaccare
il già indebolito sindacato, per poi cercare di terminare il piano di “assalto
alla diligenza” con le pressioni sempre più forti per ottenere il controllo della
C.G.dL.
Osserva Antonioli:
<< L’uscita de L’internazionale, che Giovannetti non tardava ad interpretare
come un segnale di scissione, serviva da momento di coagulo
dell’opposizione interna all’U.S.I., fino a quel momento priva di effettivi
collegamenti. Vecchi, infatti, pur se i motivi del suo dissenso riguardavano
unicamente i rapporti con l’I.S.R. e il patto con i comunisti, fin dall’intervista
rilasciata a Bordiga aveva fatto chiare avances a Faggi e Di Vittorio,
dichiarandosi convinto che non esistesse incompatibilità tra l’appartenenza
all’U.S.I. e la carica di deputato.
L’apertura ai due deputati, ribadi ne L’internazionale, poteva garantire a
Vecchi l’appoggio di due organizzazioni di prestigio e delle organizzazioni di
Piacenza, Cerignola e Bari. >>43
43 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.132
73
La frazione sindacalista rivoluzionaria (F.S.R.) venne resa ufficiale nel
gennaio del 1922, con un convegno fortemente voluto dallo stesso Vecchi e
tenutosi a Parma. Faggi aderì, con una missiva, al convegno e si dichiarò
favorevole ad una fusione con la C.G.dL.; la volontà dell’area sindacalista
rivoluzionari era, evidentemente, quella di spostare l’asse politico dell’U.S.I.
verso posizioni lontane da quelle degli anarchici, ormai considerati una
minoranza troppo debole, senza seguito popolare ed estranea a quelle
dinamiche politiche internazionali che avrebbero caratterizzato il futuro
sindacalismo rosso.
Il modo per cercare di ottenere la vittoria della F.S.R. al Congresso
nazionale, che si sarebbe svolto pochi mesi dopo, fu individuato da Faggi
nel sistema di votazione: i socialisti rivoluzionari chiesero ufficialmente di
modificare il metodo di votazione, passando da un sistema fondato sui
delegati ad uno basato sui rappresentanti. Secondo Faggi, il sistema
vigente sottorappresentava le fazioni minoritarie e non tutelava le sezioni
più povere, deboli, o colpite dallo squadrismo fascista.
Nell’inverno tra il 1921 ed il 1922, ormai l’U.S.I. era ridotta all’ombra del
sindacato di pochi anni prima: la repressione, gli attacchi interni ed esterni,
lo squadrismo fascista e la perdita di consensi la relagava a ruolo di
spettatrice del panorama sindacale e politico italiano.
Osserva Antonioli:
<<…la situazione complessiva dell’U.S.I.era disastrosa, nell’inverno ’21-’22.
A parte le violenze fasciste, i contrasti con Verona, Piacenza e quasi tutte le
organizzazioni pugliesi, l’U.S.I. aveva ben dieci segretari locali in carcere
[...] I collegamenti tra i centri cittadini e le leghe di provincia erano interrotti.
Nel marzo del 1922 La Correspondence Internationale valutava a circa 60 –
74
100.000 gli aderenti all’U.S.I. di cui una buona parte appartenenti alla
F.S.R. di Vecchi. >>44
Il 10 marzo 1922, si apriva a Roma , dopo dieci anni dalla fondazione, il IV
Congresso Nazionale dell’Unione Sindacale.
La F.S.R. aprì i dibattiti ponendo la questione del metodo di votazione,
presentando la nuova proposta come una possibilità di dar voce alle leghe
martoriate dal fascismo. Paradossalmente, questa veniva percepita come
un metodo che avrebbe sfavorito le sezioni più deboli e respinta a larga
maggioranza.
L’intervento di Borghi si concentrò sulla necessità di una rottura con
l’Internazionale, sempre più autoritaria e liberticida. Ai voti, vinse l’ordine del
giorno Giovannetti, mediatore tra le diverse posizioni, che proponeva una
adesione con riserva all’Internazionale, per non recidere totalmente i legami
con i comunisti e cercando di preservare l’indipendenza del sindacato dal
partito. Questa posizione, forse ambigua e poco realista, trovò un largo
consenso nell’assemblea, segno di uno smarrimento tangibile di prospettive
concrete per il sindacalismo libertario, ormai irrimediabilmente diviso dallo
storico alleato socialista rivoluzionario.
Al termine dell’assemblea, Borghi e Giovannetti vennero nominati segretari.
Ancora una volta Borghi presentò le sue immediate dimissioni, respinte
all’unanimità e accompagnate dall’esortazione di adempiere al mandato
affidatogli. L’U.S.I. si aggrappava, priva di concrete prospettive, al suo
leader e segretario storico, nella speranza di poter uscire dall’impasse nel
quale si trovava.
Nel maggio del 1922 Borghi si recò in Puglia, cercando di ricucire il legame
con le leghe che avevano aderito alla F.S.R.; parlò a Cerignola, nella
44 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.137
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storica Camera del lavoro legata a Di Vittorio – al momento fuori città – ,
ottenendo consenso da parte della folla, e fece pressione per nominare
Modugno segretario camerale. Al suo ritorno, il sindacalista pugliese
rassegnò le dimissioni dall’Unione Sindacale, determinando di fatto la crisi
del sindacato nella regione. Il maldestro tentativo, oltre che incrinare la
storica amicizia col socialista di Cerignola, indebolì ulteriormente il
sindacato, sempre più debole a livello locale ed isolato politicamente a
livello nazionale.
Nel giugno del 1922, l’U.S.I. impegnava le residue forze nello sciopero del
settore metallurgico, svillupatosi in Lombardia e poi estesosi a livello
nazionale. Questa fu l’ultima prova di forza del sindacato, ormai decimato
dagli arresti e dagli attacchi fascisti.
A metà giugno, Borghi ottenne il passaporto per partecipare alla
Conferenza Internazionale di Berlino, incontro di tutte le esperienze
sindacali europee che si opponevano al modello del sindacalismo rosso
bolscevico. Durante il congresso vide la luce l’ Associazione Internazionale
dei Lavoratori (A.I.T.), alla quale si affiliarono i principali sindacati di matrice
autogestionaria a livello globale; aderendo all’A.I.T., l’U.S.I. ruppe
definitivamente i legami con Mosca e con l’I.S.R.
Dopo la marcia su Roma, dell’ottobre del 1922, l’U.S.I. venne ridotta
sempre più nell’impossibilità di svolgere ogni attività sindacale.
E’ degli ultimi mesi dell’anno, l’esposto del comitato esecutivo dell’Unione
Sindacale al Ministero dell’Interno:
<< L’Unione Sindacale Italiana ha avuto quasi tutte le sue organizzazioni –
sindacati e Camere del lavoro – distrutte o poste in condizioni di non poter
funzionare regolarmente, specie in seguito all’occupazione delle proprie
sedi da parte delle autorità e con il tacito consenso di queste. […] Abbiamo
76
sempre ritenuto e riteniamo che la libertà non debba essere monopolio di
alcun partito e che queste debba essere sovrattutto garantita ai produttori
della ricchezza e del benessere sociale nei propri istituti sindacali. E si
chiedeva perciò la restituzione delle proprie sedi affinchè i lavoratori
potessero liberamente riprendere la loro normale attività sindacale.>>45
La comunicazione alle istituzioni, più che una reale richiesta di agibilità
politica e sindacale, pareva l’ammissione definitiva della sconfitta,
dell’impossibilità di proseguire con il progetto che aveva segnato
indelebilmente l’esperienza sindacalista rivoluzionaria e libertaria del primo
ventennio del ‘900.
L’U.S.I. venne ufficialmente sciolta, tramite decreto del Prefetto di Milano, il
7 gennaio 1925.
Mentre Giovannetti, terminato il Congresso di Berlino, ritornava a Milano,
Borghi e la D’Andrea permanevano in Germania, iniziando il lungo esislio
che, per l’anarchico, terminerà solo nell’ottobre del 1945.
45 M. Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed. Lacaita, 1990. Pag.151
77
CONCLUSIONE.
Durante il ventennio fascista, l’U.S.I. sopravvisse in clandestinità o
all’estero. Nel 1923 l’organo sindacale Lotta di Classe venne soppresso e
sostituito con il più moderato Rassegna Sindacale.
Nacquero, voluti ed animati dai militanti in esilio, dei comitati in supporto dei
residui sindacali rimasti nella penisola.
Nel giugno del 1925, si tenne a Genova un Congresso Nazionale non
autorizzato: durante l’assemblea Giovannetti ammise il fallimento del
progetto rivoluzionario e libertario. La reazione aveva annientato qualsiasi
possibilità di resistenza concreta: la maggioranza dei militanti dell’Unione
Sindacale si trovavano in carcere o in esilio.
Già prima del Patto di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925, con il quale
Confindustria e sindacati fascisti venivano presentati come unici attori
economici, l’Unione Sindacale crollò definitivamente sotto i colpi della
repressione autoritaria dello stato.46
Nemmeno i comitati all’estero seppero assicurarle un minimo di continuità
durante la clandestinità.
Un rapporto del ministero dell’intero del 1926 osserva:
<< In Italia gli anarchici non sono molto temibili, i violenti sono espatriati […]
I capi anarchici non sono disposti a riconoscere come efficaci i gesti
terroristici in questo momento […]; i giovani non hanno molta voglia di
andare in carcere. Così essendo, non c’è più remoto sentore di
complotto…>>47
46 Maurizio Antonioli, Storia di un sindacato libertario, in “A” Rivista Anarchica, anno 33, n. 290, maggio 2003 47 E. Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-1922, con pref. di Enzo Santarelli, Urbino, ed. QuattroVenti, 1992. Pag.175
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Il modello culturale, sociale e politico anarchico aveva fallito; con esso,
falliva l’intera sinistra, frammentata nelle diverse visioni: libertaria, riformista
ed autoritaria. La risposta più efficace, veloce, e forse anche facile, alla crisi
dello stato liberale giolittiano era stata quella fascista, capace di infiltrarsi
nelle istituzioni monarchiche e di raccogliere ampi consensi nelle diverse
classi sociali.
Dopo la conferenza di Berlino, Borghi si recò ad Amsterdam dove partecipò
al congresso dell’Internazional Arbenter Association, pronunciando un
feroce discorso nel quale attaccò Mussolini e l’autoritarismo diffusosi in
Italia.
Durante tutto il suo esilio, l’anarchico si spese molto per diffondere la
cultura antifascista e libertaria, rendendosi conto di quanto grave fosse
stato l’errore fatto in precedenza; come tutto il movimento libertario e la
sinistra marxista, anche Borghi, pur subendo periodici attacchi squadristi
alle sedi dell’Unione Sindacale, sottovalutò il potenziale successo del
fascismo, diffusosi rapidamente anche grazie al contesto di crisi economica,
sociale e politica.
Partito per l’america nel 1926, Boghi vi rimase fino al 1945, anno del
definitivo rimpatrio. Negli Stati Uniti, egli collaborò assiduamente con il
periodico L’adunata dei Refrattari, giornale libertario italo-americano al
quale collaborarono numerose personalità di spicco dell’anarchismo, da
Errico Malatesta a Camillo Berneri.
Al termine del secondo conflitto mondiale, il movimento libertario italiano,
devastato dopo anni di dittatura fascista, cercò nella figura carismatica di
Borghi, un appiglio intorno al quale ricostruire il movimento; tornato in
patria, l’anarchico assunse nel 1953 la direzione del periodico libertario
Umanità Nova e guidò la F.A.I. fino al 1965.
79
Armando Borghi si spense a Roma nell’aprile del 1968, all’alba di quel
risveglio libertario di portata europea di cui ancora oggi, nel bene e nel
male, si percepiscono gli effeti.
Dopo averne presentato le vicende umane e politiche, le lotte, l’impegno
libertario e la sincera propensione rivoluzionaria per quell’emancipazione
proletaria mai attuata, ritengo di poter considerare ancora valido ed attuale
il messaggio di Borghi. Egli seppe coniugare, in una strategia rivoluzionaria
concreta e coerente – ma nel contesto storico verificatasi fallimentare –,
teoria anarchica, volontà rivoluzionaria e pratica sindacale, dimostrando
una capacità di sintesi propria di pochi leader nel movimento libertario.
Il suo sincero orientamento verso l’unità sindacale, dimostrato dai numerosi
tentativi di dialogo con chi – al contrario – vedeva il proletariato come
oggetto del cambiamento in senso autoritario, contribuì ad elevarlo
moralmente dalla gran parte di politici e sindacalisti dell’epoca. Egli, come si
evince dai comizi, dagli scritti e dalle pratiche quotidiane, propugnava l’unità
sindacale non per essere maggioranza, ma per creare un fronte proletario
compatto sulle lotte, sui programmi e sulle finalità. E proprio le differenti
finalità tra anarchici, socialisti e comunisti, dal mio punto di vista,
impedirono la realizzazione della tanto agoniata unità sindacale, specchio di
una reale unità delle masse operaie e contadine.
Nel contesto storico ed economico odierno, nel quale i diritti dei lavoratori
sono sempre più erosi in nome della speculazione, nel quale l’uomo è
sempre meno soggetto delle dinamiche di produzione finendo per subire
l’oppressione del capitale, vi è necessità di recuperare la grande lezione
umana e politica di Borghi.
In un presente in cui il sindacato china il capo di fronte agli industriali, in cui
l’essere umano è secondo al profitto, in cui il lavoro è privilegio senza diritti
o garanzie, vi è necessità di analizzare il disagio, di organizzare la rabbia, di
radicalizzare la lotta, tenendo presenti le istanze operaie e le necessità di
80
nuove politiche industriali a livello globale, maggiormente orientate verso
valori quali il rispetto dei lavoratori (in quanto esseri umani e produttori di
ricchezza) e dell’ambiente (inteso come habitat da preservare per le
generazioni future). Solo un movimento dal basso, uno sviluppo allargato
delle forme odierne di sindacalismo autogestionario, può realmente incidere
sulle future scelte produttive. Forse in questo modo i lavoratori, difficile oggi
parlare di classe operaia, riusciranno a ribaltare la prospettiva che li vede,
in ogni lotta e in ogni trattativa, cedere un passo alla volta. Il contensto
sociale ed economico, per ora, non induce all’ottimismo.
81
BIBLIOGRAFIA:
Annamaria Andreasi, Anarchismo e sindacalismo nel pensiero di Armando
Borghi (1907-1922), in Anarchici e anarchia nel mondo contemporaneo,
Atti del Convegno promosso dalla Fondazione Luigi Einaudi (Torino, 5, 6 e
7 dicembre 1969), Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1971
Maurizio Antonioli, Armando Borghi e l'USI, Manduria-Bari-Roma, ed.
Lacaita, 1990.
Maurizio Antonioli, “Storia di un sindacato libertario”, in “A” Rivista
Anarchica, anno 33, n. 290, maggio 2003
Angelica Balabanoff, La mia vita di rivoluzionaria, ed. Feltrinelli, Milano,
1979
Giampietro Berti, Il Pensiero Anarchico dal Settecento al Novecento. Piero
Lacaita Editore, Manduria, 1998.
Borghi, Mezzo secolo di anarchia 1898-1945, con prefazione di Gaetano
Salvemini, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1954
Armando Borghi, Vivere da Anarchici, prefazione di Vittorio Emiliani, E.S.I.,
Bologna, 1964
Emilio Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani 1900-1922, con pref. di
Enzo Santarelli, Urbino, ed. QuattroVenti, 1992.
Renzo De Felice, Sindacalismo Rivoluzionario e Fiumanesimo nel carteggio
De Ambris-D'Annunzio, ed. Morcelliana, Brescia, 1966
82
Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva, ed. Zero in Condotta, Milano,
2009
Alibrando Giovannetti, Il sindacalismo rivoluzionario in Italia a cura di
Marco Genzone e Franco Schirone, ed. USI-Zero in Condotta-Collegamenti
Wobbly, Milano-Genova, 2004
Gianpiero Landi, Tra anarchismo e sindacalismo rivoluzionario: Armando
Borghi nell’U.S.I. (1912-1915), Castel Bolognese, Casa Armando Borghi,
1982
84
RINGRAZIAMENTI:
Con un ordine ben preciso, consapevole di non dimenticarmi nessuno,
vorrei sinceramente ringraziare chi, in questi anni, mi ha sostenuto
moralmente ed economicamente, chi ha contribuito, con passione ed un po’
di utopia, alla mia crescita umana, culturale e politica.
Un caloroso ringraziamento al Professor Antonioli, indispensabile guida
nella stesura di questo elaborato, esempio di onestà intellettuale e di
passione nell’insegnamento in un contesto accademico sempre più
culturalmente arido.
Ringrazio i miei genitori, in particolare mia madre Maria, senza la quale non
sarei ciò che sono; per l’amore, la pazienza ed il costante appoggio nei
momenti di difficoltà.
Ringrazio mio fratello Alessandro, per il rapporto che ci ha sempre unito,
per essere sempre stato una fonte inesauribile di stimoli culturali.
Ringrazio di cuore Chiara e Vale. Dieci anni sono troppi da riassumere in
due righe. Senza di voi, la parola amicizia sarebbe un termine quasi privo di
significato.
Grazie a Paski, Kasta e Hillo, per ciò che è stato e per ciò che, forse, sarà.
Un grazie speciale ai rampers: Dave, Benza, Radu, Gege, Saet, Dupi, la
Manu, la Fra e la Surela, Padu, Roby, Sacha, Skizzo, Shop, Bianca, Luca,
la Sussy, Yas, Beppe, il Vale….e tutti gli altri. Per le mille serate insieme,
per le risate, le grigliate, le tendate al parco, le birre…per essere, in due
parole, La Rampa.
85
Un pensiero va poi alle poche persone realmente autentiche e genuine che
ho avuto la fortuna di conoscere in questi anni trascorsi in ateneo: Sara,
Andre, Tano, Gio, Marta e, “last but not least”, Lanfro.
Un ringraziamento, carico di stima per il quotidiano impegno nella F.A.I., ad
Antonio D’Errico, per avermi consigliato il testo di Giovannetti.
Volutamente tenuto per ultimo, per chiudere come ho iniziato, il
ringraziamento più sentito a Martina: in due ci si sente meno soli quando si
viaggia “in direzione ostinata e contraria”.