I
supplemento al numero 1 - Anno III - gennaio 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org
Pressoché tutti i testi sullastoria delle religioni afferma-no che lo spirito religioso co-mincia a manifestarsi nelmomento del passaggiodall’uomo “habilis” a quello“sapiens” sotto la spinta didue sentimenti: lo stupore ela paura.Stupore davanti alla consa-pevolezza di fenomeni mi-steriosi: il sole che rinascetutte le mattine, il fuoco cheillumina e scalda; paura da-vanti magari a quegli stessifenomeni, ma visti dal latonegativo: il sole che muore altramonto e viene sopraffattodalla notte buia, il fuoco chebrucia e devasta.L’evoluzione, anche organi-ca, del corpo e della mentedell’uomo “sapiens” divenu-to “sapiens sapiens” (la no-stra specie attuale) nel tem-po ha svelato la naturalità dialcuni misteri e dissipato ta-lune paure dell’ignoto, manello stesso tempo ha fattospazio a uno stupore e a unapaura sempre più grandi: ilmistero della vita e il dram-ma della morte.L’atteggiamo dell’uomo difronte a questi fenomeni,tanto magici che paurosi, è
tuttavia sostanzialmente ri-masto lo stesso: gratitudineper le cose belle; paura e sog-gezione per quelle brutte.Il canto, la danza, la festa insegno di gratitudine per lecose belle; il pianto, la pre-ghiera, il sacrificio per lapaura di quelle brutte.Alla madre terra, a Cerere oVesta e ancora a Maria pre-cristiana il ringraziamentoper la fertilità, cioè per la bel-lezza della vita; ai vari demo-ni del cielo e degli inferi i sa-crifici di sangue, cioè l’offer-ta del bene massimo della vi-ta, sia essa animale o umana(Abramo che offre a Jehovahla vita del figlio legittimoIsacco, sino allo stesso Diodei cristiani che sacrifica a sestesso la vita del proprio fi-glio Cristo).Gestire questi sentimenti, so-prattutto quelli dettati dallapaura, è ben presto apparsoun elemento di potere per ilgoverno laico degli uomini.E’ in quel momento che lareligiosità si è (è stata) tra-sformata in religione, in unsistema, cioè, di regole e diriti dialetticamente creati ecreatori di loro interpreti,depositari e tutori.
Nascono così le figure e iruoli culturali e sociali degli“intermediari” con le divini-tà: i “religiosi”.Resta l’aspetto politico, la re-lazione cioè tra il potere laicodel governo delle comunitàcon il nuovo potere religiosoche di quelle comunità, ovve-ro dei singoli componenti diquelle comunità, governa illato emotivo delle menti.La storia ha tramandato, conalterna fortuna ancora oggiassolutamente attuale, alme-no tre modelli principali direlazioni tra i due poteri lai-co e religioso.Un primo modello, certa-mente il più remoto, vede ilpotere laico controllare il po-tere religioso e farne stru-mento di consolidamentoper il proprio controllo sullecomunità.E’ questo, tra i tanti, il mo-dello adottato dai romaniche, dal secondo re di RomaNuma Pompilio creatore del-la istituzione religiosa del“pontefice massimo” nel700 circa avanti Cristo, sinoall’imperatore Costantinoartefice e supervisore delprimo Concilio ecumenicodi Nicea del 325 dopo Cri-
teri politici anche laddove diorigine elettiva.Nel terzo modello di relazionilaico/religiose i due poteri,giuridicamente e struttural-mente ben distinti e recipro-camente autonomi nei lorospecifici ambiti, convivono inun regime di costante scon-tro/confronto che vede il pri-mo potere, quello laico, cerca-re ripetutamente il necessariosupporto del potere religiosoper il rafforzamento del pro-prio controllo della comunitàamministrata e, viceversa oreciprocamente, quest’ultimotentare continuamente di in-terferire nelle prerogative enell’autonomia del primo perindirizzarne la condotta ver-so i propri precetti morali/re-ligiosi, pur senza realizzareuna totale confessionalità delpotere laico.E’ questo il modello adotta-to, tra i tanti, dallo Stato ita-liano con la sottoscrizionenel 1929 dei Patti lateranen-si tra la Chiesa cattolica ro-mana e lo stato fascista, poirimasti confermati dall’art.7 della Costituzione repub-blicana, in virtù del quale, adesempio, l’attuale presiden-te della Conferenza Episco-
Dalla religiosità alla religione pale Italiana (CEI), di nominadiretta del Papa romano, èanche un generale (a tutti glieffetti anche retributivi epensionistici) dell’esercitoitaliano quale comandantedell’ordine (arma?) dei cap-pellani militari.C’è però anche un quartomodello che circa un venten-nio fa sembrava sconfitto,ma che invece conferma ilsuo valore sempre più validoed esemplare, che vede inuno Stato laico e aconfessio-nale la possibilità della liberaespressione di qualsiasi pra-tica religiosa, alla sola condi-zione che resti rigorosamen-te confinata nel proprio am-bito puramente spirituale,esterna ed estranea rispettoa qualsiasi interferenza nellavita sociale laica.In questo caso, diversamen-te dal citato modello roma-no, lo Stato non assume al-cuna posizione, né stabiliscealcuna relazione organicacon le varie religioni e le lorochiese, restandone esternoed estraneo nello stesso mo-do reciprocamente impostoa queste ultime rispetto allequestioni non religiose.E’ questo il modello applica-to, con maggiore o minoreattenzione e successo, nelleesperienze dei dissolti siste-mi del socialismo reale, mapienamente riuscito e fun-zionante in quelli emergentidel comunismo dell’estremooriente e centro-sudamerica.
sto, hanno sottoposto la re-ligione al controllo del pote-re statuale laico, tecnica-mente aggiungendo allamassima carica laica (reale,consolare o imperiale) anchequella religiosa.In epoca molto più recente lostesso modello è stato adot-tato dall’Inghilterra, che nona caso è la più diretta e fede-le erede della cultura giuridi-ca romana occidentale, conlo scisma della chiesa angli-cana voluto nel 1.500 da En-rico VIII, proclamatosi aduno stesso tempo re d’Inghil-terra e capo della chiesa cri-stiana anglicana.Il secondo modello consistenell’esatto opposto, e cioènel potere religioso che si faanche potere laico o tempo-rale, a volte sovrapponendoa tutti gli effetti le due fun-zioni, altre volte sminuendoquella laica in dipendenzaassoluta da quella religiosa.E’ questo il modello adottato,sempre tra i tanti, dalla Chie-sa cattolica romana con il Pa-pa Re, dal buddhismo tibeta-no con il Dalai Lama, da talu-ni stati d’area musulmanacon ayatollah, capi supremireligiosi, sovraordinati ai po-
l’Oppio dei Popoli“La religione è l’oppio del popolo” (Karl Marx)
Questo inserto è dedicato al tema della religione, o più esattamente al passag-gio dalla religiosità alla religione, alle innumerevoli religioni intese come orga-nizzazioni strutturate del potere spirituale, cioè di quel potere che domina icorpi soggiogandone le menti. A queste “organizzazioni” si riferisce precisa-mente l’affermazione di Marx.Altra cosa è la religiosità quale tensione, quasi naturale, dell’uomo a trascen-dere dalla materialità contingente e quotidiana verso aspirazioni per cosìdire più elevate, emotive e sentimentali. Credere è legittimo e naturale come mangiare o pensare; istituzionaliz-zare, disciplinare, catechizzare le credenze, qualunque esse siano(profezie, divinità, extraterrestri) è innaturale, è contro natura,come violentare, sottomettere e sfruttare.Questo inserto, come tutti gli altri d'altronde, non ha alcunapretesa scientifica in termini di esaustività e completezzaespositiva dei diversi argomenti che verranno di seguito trat-tati. Come tutti gli inserti si propone un obiettivo molto piùmodesto ma, almeno a giudizio dell’estensore, assai piùimportante: quello di “provocare”, di stimolare inte-ressi e curiosità, ma anche dibattiti e confronti. Il ta-glio è inequivoco e rispecchia l’impostazioneculturale e morale dell’editore, può quindi esserelegittimamente considerato “di parte”, ma tutti gliargomenti, i dati, le notizie, le informazioni utiliz-zate hanno un preciso riscontro documentale. Benvengano repliche e contestazioni purché assistitedallo stesso rigore mentale e documentale (docu-mentato).Ancora una avvertenza e una considerazione.Potrà sembrare che un tema così vasto e impor-tante venga affrontato con eccessiva semplicità,non sostenuta da una adeguata competenza distudi e di titoli accademici.La religione, o più correttamente in questocaso la religiosità, è patrimonio comune euguale di tutti gli esseri umani, come la vitao la libertà; possono esserci sicuramentedegli studiosi dell’una o dell’altra materiapiù preparati e ferrati, ma nessuno studio,nessun titolo accademico sposta di un’un-ghia (uno “iota” direbbero gli studiosidella Bibbia) l’eguaglianza dei diritti dicredo, pensiero e negazione (se del caso).Infine, non se ne abbiamo a male gli stu-diosi delle scienze divine (teologi, teo-sofi, ayatollah, guru o quanti altri) maper chi scrive, comunista e quindi in-conciliabilmente ateo, appare assai dif-ficile riconoscere una pur minimadignità scientifica a discipline fondatesu “ciò che non esiste”.
L’eterno (e alterno) scontro tra il potere laico e il potere religioso
II III
L’idea di Dio è un prodotto della conformazione organica edel funzionamento elettro-chimico del nostro cervello
Dalla luce della ragione all’oscurità del fanatismoreligioso. La lunga parabola della civiltà araba
(tratto da un articolo di Sharon
Begley pubblicato su La Repub-
blica il 31 gennaio 2001)
Andrew Newberg, dell'Univer-
sità di Pennsylvania, ha sotto-
posto un giovane monaco tibe-
tano a un esperimento rigoro-
samente scientifico. Al monaco
è stato iniettato un liquido di
contrasto idoneo a evidenzia-
re, attraverso un apparecchio
diagnostico denominato Spect,
le variazioni delle attività dei
singoli lobi del cervello nel cor-
so di una seduta di meditazio-
ne religiosa. Al culmine della
concentrazione meditativa del
monaco la regione dell'encefa-
lo posteriore, che compone i
dati sensori che danno la sen-
sazione di dove finisce l’ “io” e
inizia invece il resto del mon-
do, sembra essere stata vittima
di un black out. Privata degli in-
put sensori perché l'uomo è
concentrato sulla sua interio-
rità, questa "zona di orienta-
mento" non può svolgere il suo
compito di marcare il confine
tra l' “io” e il mondo. "Il cervello
non aveva scelta", ha spiegato
Newberg, "percepiva l' “io” co-
me infinito, un tutt'uno con il
creato”. Newberg insieme a Eu-
gene d'Aquili, ha chiamato
questo campo della scienza
neurologica: neuroteologia. Le
conclusioni alle quali sono
giunti i due studiosi affermano
che le pulsioni spirituali sono
l'inevitabile conseguenza della
configurazione cerebrale: "Il
cervello umano è stato geneti-
camente configurato per inco-
raggiare la fede religiosa". An-
che la semplice preghiera ha
un effetto particolare a livello
cerebrale. Nelle immagini cere-
brali registrate dalla Spect rife-
rite a suore francescane in pre-
ghiera si è rilevato un rallenta-
mento di attività nell'area de-
putata all'orientamento, che
dava alle suore un senso tangi-
bile di unione con Dio. "L'assor-
bimento dell' “io” all'interno di
qualcosa di più vasto, non deri-
va da una costruzione emotiva
o da un pensiero pio", scrivono
Newberg e d'Aquili "scaturisce
invece da eventi neurologici".
La neuroteologia spiega come
il comportamento rituale su-
sciti stati cerebrali da cui deri-
va una vasta gamma di sensa-
zioni, dal sentirsi parte di una
comunità, all'avvertire un'unio-
ne spirituale profonda. Le ne-
nie infondono un senso di
quiete che i credenti interpre-
tano come serenità spirituale.
Al contrario, le danze dei misti-
ci Sufi provocano una iperecci-
tazione che può dare ai parte-
cipanti la sensazione di inca-
merare l'energia dell'universo.
Questi rituali riescono ad attin-
gere proprio a quei meccani-
smi cerebrali che fanno sì che i
fedeli interpretino le sensazio-
ni come prove dell'esistenza di
Dio. I rituali quindi tendono a
focalizzare l'attenzione sulla
mente, bloccando le percezioni
sensoriali, incluse quelle che la
zona deputata all'orientamen-
to utilizza per stabilire i confini
dell' “io”. Ecco perché persino i
non credenti talune volte pos-
sono anche commuoversi du-
rante riti religiosi ai quali non
credono. "Finché il nostro cer-
vello avrà questa struttura",
conclude Newberg, "Dio non
andrà via".
(tratto da John Allegro – “Ilfungo sacro e la croce”)
Più volte nell’Antico Testa-mento viene citata la “man-na”, in riferimento al cibo dicui si nutrì il popolo d’Israe-le durante il cammino neldeserto dopo la liberazionedalla schiavitù in Egitto. Il primo riferimento dellaBibbia alla manna è nel librodell'Esodo. Qui infatti èscritto che dopo sei setti-mane di vagabondaggio gliebrei iniziarono a lamentar-si con Mosè di essere stan-chi ed affamati. Allora il Si-gnore disse a Mosè: "Ecco,io sto per far piovere panedal cielo per voi: il popolouscirà a raccoglierne ognigiorno la razione di un gior-no, perché io lo metta allaprova, per vedere se cam-mina secondo la mia legge ono” (16:4). “Poi lo strato dirugiada svanì ed ecco chesulla superficie del desertovi era una cosa minuta egranulosa, minuta come è labrina sulla terra. A tale vistai figli d'Israele si chieserol'un l'altro: “Che cos'è que-sto?” perché non sapevanoche cosa fosse. E Mosè disseloro: “Questo è il pane che ilSignore vi ha dato per cibo”.(16:14,15) La descrizione della mannacoincide facilmente con la
descrizione dei funghi psilo-cibinici. I funghi magici sonopiccoli e rotondi e poichégermogliano così velocemen-te sembrerebbero compariredurante la notte, come se ve-nissero dal cielo. Inoltre,chiunque li raccolga imme-diatamente noterebbe che sicolorano d'azzurro e nonhanno radici, ragioni in piùper pensare che i funghi fos-sero d'origine celeste. Si notiche la manna non cade dalcielo, ma è descritta come unqualcosa che viene con il ge-lo e l'umidità, durante le sta-gioni delle piogge. Questesono le condizioni atmosferi-che precise affinché i funghiprosperino. E' inoltre interessante notareche Mosè dica agli ebrei chela manna viene direttamentedal cielo e se non la mange-ranno non camminerannonella legge del Dio. Questa èla prova che la manna è dota-ta di un potere spirituale in-solito. Tuttavia, la mannanon conferisce automatica-mente potere spirituale. In-vece, serve da prova. I funghimagici fornirebbero le espe-rienze visionarie che certa-mente assicurerebbero chetutti se ne sono cibati. Mosèinoltre ha detto che la mannaè letteralmente "pane del si-gnore", il che è notevolmentesimile al nome azteco per i
funghi psilocybe: "carne de-gli dei". Che cosa è stato detto daMosè a proposito della man-na che deve essere messada parte per le generazionifuture? In Ebrei 9:3-4 trovia-mo: Dietro il secondo velopoi c'era una Tenda, dettaSanto dei Santi, con l'altared'oro per i profumi e l'arcadell'alleanza tutta ricopertad'oro, nella quale si trova-vano un'urna d'oro conte-nente la manna. La mannadoveva essere mantenutanel più santo di tutti i luo-ghi: l'arca del patto! Gli ebrei, i cristiani e i mu-sulmani devono dunque leloro radici ai figli d'Israele,che per quaranta anni han-no mangiato la manna e sisono visti come il popoloscelto da Dio. Se la manna èeffettivamente un fungopsilocibinico, allora questosignifica che il Corano, laBibbia e la Torah sono statiispirati dalle esperienze in-dotte dai funghi magici. E ifondamenti stessi su cuiqueste religioni si basanoderivano dall'esperienza colfungo. Mosè ed i figli d'I-sraele avrebbero usato ifunghi come sacramentoper comunicare con una piùalta potenza, anche cono-sciuta come Allah, Dio eYahweh.
Da Aristotele e Komeini
Paolo, l’uomo che inventòil cristianesimoRicostruire la vicenda della
nascita e della strutturazione
della religione cristiana è una
operazione estremamente
difficile e dagli esiti assai in-
certi, anzitutto perché i mate-
riali documentali, tanto quelli
acquisiti all’ufficialità delle
innumerevoli chiese cristia-
ne, quanto quelli giudicati
apocrifi, sono tutti molto suc-
cessivi agli eventi narrati e,
soprattutto, fortemente e più
volte manipolati nel tempo.
La ragione di questa difficoltà
è proprio nella peculiarità di
una religione che, nata da un
sentimento di intolleranza et-
nica e di ribellione politica,
diviene invece patrimonio
universale plurietnico e so-
prattutto viene acquisita pro-
prio da coloro che all’origine
ne erano i nemici destinati.
Tale evoluzione ha comporta-
to la necessità di apportare ri-
petute modifiche sia ai conte-
nuti dei messaggi religiosi, che
alle stesse vicende storiche o
leggendarie presupposte.
Del Gesù di Nazaret, poi iden-
tificato con il Cristo, non v’è
alcuna documentazione sto-
rica; circostanza che non col-
pisce trattandosi della vita e
della morte del figlio di un fa-
legname, avvenuta peraltro in
circostanze e con modalità
assai diffuse in quel contesto
geo-politico caratterizzato da
diffusi focolai di rivolta, pre-
valentemente attuata con tec-
niche terroristiche e fanati-
smo religioso sacrificale.
Se è mai esistito un Gesù di
Nazaret, o forse meglio i tanti
Gesù realmente vissuti in
quell’epoca, erano sicura-
mente dei ribelli, o terroristi
secondo la legge degli invaso-
ri romani, che predicavano,
anzi incitavano sino al marti-
rio, la lotta armata di libera-
zione dagli invasori.
Di questo (o questi) Gesù ri-
belle e combattente sino alla
pena della crocifissione ap-
plicata agli insorti (terroristi,
secondo la lingua degli occu-
panti che, come sempre nella
storia, non riconoscono la di-
gnità di combattenti ai suddi-
ti ribelli), vi sono ancora testi-
monianze sino qua-
si alla definitiva
omologazione del
cristianesimo come
religione di Stato
da parte dell’impe-
ratore Costantino.
La figura del Gesù
propagandata dal-
l’attuale religione
cristiana, predicato-
re mite e pacifico,
vittima di un tragi-
co errore giudizia-
rio incolpevolmente
commesso dei do-
minatori romani in-
gannati dalla falsità
e dal tradimento
degli ebrei irriduci-
bili, è una creazione
attenta, consapevo-
le e lungamente ela-
borata proprio da
Paolo, Saul di Tarso,
l’apostolo “non
apostolo”, l’ebreo
cosmopolita con-
vertito alla cultura
della convivenza
con i “gentili”.
Con Paolo, Gesù, da icona di
rivolta, diviene messaggero
di convivenza, termine che
per le classi e per i sistemi
politici dominanti significa
sottomissione e obbedienza
delle classi e dei popoli do-
minati.
L’opera di revisione e rico-
struzione della figura univer-
salistica del Gesù ebreo, dive-
nuto il Cristo figlio di dio, si
realizza proprio con la collo-
cazione a Roma, nel cuore e
nel cervello dell’impero do-
minatore, della sede della
chiesa cristiana strutturata e
militarizzata.
Il modello di organizzazione
gerarchica militarizzata e so-
prattutto la tecnica dell’oc-
cultamento e dell’infiltrazio-
ne Paolo la trae proprio dalla
sua precedente esperienza di
ebreo ribelle, aderente a una
delle diverse formazioni in-
surrezionali terroristiche
operanti nella Palestina all’e-
poca della sua giovinezza
(anche se in verità, e anche
Dio nel cervelloLe nuove frontiere della neuroteologia
Dopo aver completato la
conquista militare e politica
del medio oriente, giungen-
do sino alle porte di Bisan-
zio, il mondo arabo-islamico
si lanciò alla conquista della
civiltà, della scienza e della
filosofia greche. Tutte le ope-
re scientifiche e filosofiche
greche vennero tradotte e
persino, come nel caso di
Platone, commentate e para-
frasate. Aristotele, in parti-
colare, venne riconosciuto
dalla cultura e dalla scienza
araba come la figura di riferi-
mento per eccellenza.
Il mondo arabo allora si sen-
tiva e si proclamava erede e
continuatore del mondo elle-
nistico. Iniziava allora la ci-
viltà del Medio evo arabo
che, in verità, era un vero e
proprio Rinascimento, men-
tre l’occidente era sprofon-
dato nel più oscuro Medio
evo cristiano, avendo perso,
salvo rarissime eccezioni, la
memoria della precedente
storia e cultura latina e in
particolare completamente
di quella greca.
I romani, infatti, conoscevano
il greco e quindi moltissime
opere greche all’epoca non
vennero tradotte in latino sic-
ché, persa la conoscenza del-
la lingua greca, gli occidentali
non erano stati più in grado
di leggere quei testi.
Fu grazie agli arabi, che ave-
vano imparato il greco, che
quelle opere vennero recupe-
rate e tradotte anche in lati-
no, per poter poi tornare alla
conoscenza dell’occidente
ancora latino.
Straordinaria fu in quel tem-
po e a quel fine l’opera di due
grandi studiosi e scienziati
arabi: il medico Avicenna, in
arabo Ibn Sina, e il filosofo e
matematico Avveroè, in ara-
bo Abu I-Walid Muhammad,
ritenuto il più grande studio-
so di Aristotele.
La fioritura della civiltà ara-
bo-islamica, che si era estesa
dal nord Africa al sud dell’Eu-
ropa, nelle isole mediterranee
e nel sud della Spagna, per
quanto grandiosa fu tuttavia
di breve durata, il giusto tem-
po per consentire all’occiden-
te imbarbarito di recuperare
la storia e la cultura greco-la-
tina e uscire dal suo Medio
evo per intraprendere il pro-
prio Rinascimento, nuova-
mente sotto la “stella” della
cultura ellenistica e di Aristo-
tele in particolare.
Nel frattempo l’Islam precipi-
tava sotto le devastanti pene-
trazioni dei nuovi barbari:
turchi, mongoli e berberi.
E’ in questo contesto di col-
lasso economico, sociale e
culturale che si fa avanti e si
impone in tutto il mondo
arabo, e convertito all’Islam,
il predominio della religione
che, come primo effetto, si
ritorce contro la stessa storia
del suo popolo, aggredendo
radicalmente il patrimonio
Una endemica ignoranza della
cultura occidentale per tutto
ciò che non è, per l’appunto,
occidentale, ha condotto a
uno scarso interesse e atten-
zione per il pensiero buddhi-
sta che, nei duemilacinque-
cento anni dalla predicazione
del Buddha, si è diffuso e ha
permeato l’intero continente
orientale, vasto almeno la
metà dell’intera popolazione
mondiale. Il buddhismo, erro-
neamente inteso come una re-
ligione alternativa a quelle
monoteiste mediorientali e
politeiste diffuse un poco in
tutto il mondo (il buddhismo
è una filosofia e Buddha non è
divino, né profeta di un dio), è
stato sostanzialmente scoper-
to dall’occidente dopo la fuga
del Dalai Lama dal Tibet inte-
grato nell’ “unico cielo” della
Cina Popolare.
Ambasciatore e propagatore
del buddhismo in occidente è
stato proprio l’ultimo Dalai
Lama Tenzin Gyatsu, grazie
anche alla sua conoscenza
della lingua inglese e all’ambi-
guo ruolo svolto, consapevol-
mente o meno, nel complesso
giochi della politica mondiale.
Il buddhismo propagandato
dal Dalai Lama è, tuttavia, solo
una versione assolutamente
minore del vastissimo univer-
so delle scuole di pensiero che
si rifanno all’insegnamento di
Siddhartha Gautama, il
Buddha storico nato nel 566
avanti Cristo.
Per dare un ordine di misura
si potrebbe dire che il buddhi-
smo tibetano, quello che fa ca-
po al Dalai Lama, sta all’intero
buddhismo come la Chiesa
valdese sta al cristianesimo
nella somma delle sue innu-
merevoli sette. Nessun rap-
porto organico, fatta eccezio-
ne per il riferimento al comu-
ne “maestro”, sussiste infatti
tra la guida del Dalai Lama e i
monaci birmani, tailandesi o
giapponesi. Il buddhismo ti-
betano è sostanzialmente dif-
fuso solamente in Tibet e ne-
gli stati limitrofi dove, alcune
centinaia di anni prima, mi-
grarono un grande numero di
tibetani sotto la spinta dell’in-
vasione mongola che fece del
Tibet una provincia dell’impe-
ro mongolo e istituì, per la pri-
ma volta nel 1578, la figura
del primo Dalai Lama, Sonam
Gyatso, feudatario del sovra-
no mongolo Altan Khan.
Fu proprio quest’ultimo che,
nello scegliere quale governa-
tore del Tibet il monaco
buddhista di più alto rango e
riconoscimento locale, coniò il
termine Dalai Lama, variamen-
te tradotto in “oceano di sag-
gezza”. Da allora il feudatario
dei monarchi mongoli con-
servò, anche durante le alterne
vicende dell’impero mongolo,
il ruolo di suprema autorità
politica e amministrativa e,
nello stesso tempo, quello di
suprema autorità spirituale; in
sostanza un ruolo e un potere
affatto simile a quello del “Pa-
pa Re” della chiesa cattolica
romana sino alla “breccia di
porta Pia”. Diversamente dalla
vicenda italiana, tuttavia,
quando l’esercito del Popolo
cinese aprì la “breccia” dell’al-
topiano tibetano, il Dalai Lama
non venne rinchiuso nel suo
palazzo del Potala, come av-
venne per Pio IX dentro le mu-
ra del Vaticano, ma, deposto
come autocrate, venne inseri-
to nel governo dello Stato au-
tonomo del Tibet, parte in-
scindibile della Repubblica Po-
polare cinese.
In tale ruolo il giovane Dalai
Lama, appena incoronato mo-
narca all’età di 15 anni, restò
per 9 anni, dal 1950 al 1959,
quando si mise (o fu messo) a
capo di una rivolta nazionali-
sta tibetana che provocò la
reazione cinese e lo costrinse a
emigrare in India con poche
centinaia di seguaci dei ranghi
più alti del vecchio regime.
Proseguendo con il paralleli-
smo con le analogie di “casa
nostra” va detto che, se quan-
do i bersaglieri italiani entraro-
no con le baionette in canna
nella città santa (eterna), Roma
era poco più di un grande pae-
sone tutto all’interno delle mu-
ra aureliane, il Tibet era so-
stanzialmente ancora in pieno
medio evo.
A parte una spaventosa po-
vertà, in qualche modo coeren-
te con l’asperità e la povertà
agricola e produttiva dell’im-
menso ma sterile altipiano ti-
betano, nel 1950 (per intender-
ci gli anni del boom economico
italiano) in Tibet vigeva la “ser-
vitù della gleba”, un regime di
sostanziale schiavitù che lega-
va a vita uomini e famiglie ai
terreni, e quindi ai proprietari
dei terreni, nei quali vivevano e
lavoravano.
Non c’era alcun sistema sani-
tario, l’istruzione era esclusi-
vamente riservata ai monaci
(o percorsi di istruzione simili
a quelli dei seminari cristiani)
e comunque dalla stessa era-
no escluse le donne. Vigeva in
sostanza un sistema piena-
mente feudale dove i feudata-
ri, i padroni delle terre, degli
armenti, degli esseri umani
dedicati alla coltivazione o
all’allevamento, erano i mona-
ci buddhisti, secondo un siste-
ma rigorosamente gerarchico
che conduceva al potere asso-
luto, temporale e spirituale,
del Dalai Lama.
Oggi il Tibet, lo Stato Autono-
mo del Tibet, è forse uno dei
territori più sviluppati del
mondo grazie a investimenti
enormi fatti dalla Repubblica
Popolare in quella come nelle
altre regioni a minoranza etni-
ca, collegato alla capitale Pe-
chino con treni pressurizzati
come aeroplani che viaggiano
a 5.000 metri di altitudine, au-
tostrade e aeroporti interna-
zionali collocati a oltre 4.000
metri di quota (come dire... in
cima al Monte Rosa).
Un solo dato sarà sufficiente
per dare l’idea dello sviluppo
di cui il Tibet ha goduto negli
oramai 60 anni dall’unifica-
zione con la Repubblica Popo-
lare cinese: l’aspettativa di vi-
ta della popolazione tibetana
è salita dai 30 anni del 1950
agli attuali 70 anni (e oltre).
Il Tibet, o meglio la questione
tibetana/cinese, è stato tutta-
via da subito un terreno di
aspro scontro, ancorché indi-
retto e sotterraneo, tra la vi-
sione politica del mondo delle
vecchie e nuove potenze colo-
nialiste occidentali, e la emer-
gente politica rivoluzionaria
della Cina comunista.
Attorno alla figura e al ruolo
“carismatico” del Dalai Lama
sono state giocate molte “par-
tite politiche”, che a volte lo
hanno visto docile strumento,
altre volte parte consapevole
e attiva. E’ un dato certo che il
Dalai Lama ha ripetutamente
accettato consistenti aiuti eco-
nomici dalla CIA americana
per sostenere e finanziare un
irredentismo etnico, poten-
zialmente capace di destabi-
lizzare la presenza cinese in
quella vastissima area a ridos-
so del sub continente indiano.
Al Dalai Lama, critiche inter-
ne allo stesso movimento
buddhista tibetano, hanno
più volte imputato il vizio,
per così dire “tipico” della
chiesa cattolica, della vendita
delle indulgenze necessarie a
finanziare il sostentamento
economico della sua vasta
organizzazione religiosa, ma
anche opportune per entrare
nelle stanze del potere occi-
dentale, pur sempre nella
speranza di riuscire e rinego-
ziare un rientro ufficiale nel
nuovo Tibet cinese. Se al Da-
lai Lama si può riconoscere
l’oggettiva debolezza di una
condotta sovente molto on-
divaga (in passato in occasio-
ne di negoziati con il gover-
no cinese che sembravano
riaprirgli le porte del Tibet il
Dalai Lama si era perfino di-
chiarato un buddhista marxi-
sta), assai più grave è la sfac-
ciata ipocrisia della grande
parte della politica occiden-
tale, prima tra le quali quella
italiana.
Encomiato di lodi per la sua
lotta pacifica, premiato con
Nobel, lauree honoris causa e
cittadinanze (Roma e Torino),
il Dalai Lama è stato altrettan-
te volte “scartato” quando la
sua vicinanza poteva mettere
in discussione gli interessi
economici e di setta dei così
detti poteri forti; e ciò tanto
dal governo Prodi che dal sin-
daco di Milano Moratti, sino
soprattutto al Papa cattolico,
assai più interessato a concor-
dare i termini di convivenza
della chiesa cattolica con il go-
verno popolare cinese che a
difendere la altrui libertà reli-
giosa (concorrente).
Il più eclatante esempio di ipo-
crisia lo ha comunque rappre-
sentato la “martire dei diritti
civili”, tale Emma Bonino, mi-
nistro dei governi di destra co-
me di sinistra, commissaria
europea dei governi di destra e
candidata governatrice del La-
zio per la sinistra, eroica com-
battente per i diritti del popolo
tibetano sotto la luce dei riflet-
tori delle Olimpiadi di Pechino
e poi, a fotoelettriche spente,
...in fin dei conti in Italia siamo
cattolici, ai monaci tibetani ci
pensino i buddhisti...
Queste falsità dell’occidente
l’oramai settantacinquenne
Tenzin Gyatso forse le ha ca-
pite quando, avendo probabil-
mente perso la speranza di
rientrare in Tibet da Dalai La-
ma, ha annunciato che forse
non rinascerà più e che que-
sto è il suo ultimo ciclo di vita
terrena. Speriamo.
Tenzin GyatsoXIV Dalai Lama, ultimo “Papa Re” del Tibet
acquisito della cultura elleni-
stica e demonizzandone la
filosofia, la scienza, l’arte e
la letteratura quali cause di
allontanamento e di negazio-
ne della divinità.
Il Medio oriente si impoveri-
sce e cade quindi sotto la do-
minazione degli Ottomani, et-
nia caucasica convertita all’I-
slam, che riesce a conquistare
Bisanzio ponendo fine a quel
che restava dell’Impero Ro-
mano d’Oriente.
La fede religiosa restò così
l’ultimo collante del vastissi-
mo mondo arabo e, grazie
soprattuto ai turchi, si diffu-
se anche oltre il Medio orien-
te sino a raggiungere il cuore
dell’Asia caucasica, sino in
Siberia, nella penisola india-
na e negli arcipelaghi dell’o-
ceania.
La crisi economica, sociale e
culturale del nord Africa e del
Medio oriente non è ancora
terminata e dunque ancora
forte è il ruolo retrivo della
religione, pronto a riaffiorare
in tale forma anche nelle altre
realtà islamizzate centro
asiatiche di recente ricadute
nel caos e nella povertà in se-
guito al collasso dell’Unione
Sovietica.
questo è un mistero non di
poco conto, della vita di
Saul/Paolo si sa bene poco e
la sua vicenda storica scom-
pare d’improvviso, così
com’era apparsa, senza la-
sciare tracce).
La costruzione dell’organi-
smo strutturato della chiesa
universale cristiana si compie
trecento anni dopo il presun-
to evento della predicazione
del Cristo, a opera
dell’imperatore Co-
stantino che, da uni-
versale, rende la reli-
gione, cioè la chiesa
cristiana, unica e che,
con il primo concilio di
Nicea da lui stesso or-
ganizzato e presiedu-
to, da il via alla perse-
cuzione delle eresie,
con tale termine indi-
candosi tutte le altre
correnti del cristianesi-
mo non omologate alla
lettura e nella chiesa
ufficiale.
Come la storia succes-
siva ci ha insegnato la
pretesa della afferma-
zione e della conserva-
zione della unicità e
unitarietà della chiesa
cristiana è stata fonte
di violenze indescrivi-
bili che forse non han-
no avuto paragone in
alcuna altra vicenda di
estremismo etnico o
politico: dai barbari in-
vasori dell’impero romano,
ai mongoli di Gengis Kahn,
sino all’ultima follia colletti-
va fascista e nazista.
Chissà se Paolo quando ha
creato la religione/chiesa cri-
stiana poteva immaginarne le
tremende conseguenze.
La manna, il cibo di Dioche porta alla visione di Dio
Statua di Avicenna in Tagikistan
II III
L’idea di Dio è un prodotto della conformazione organica edel funzionamento elettro-chimico del nostro cervello
Dalla luce della ragione all’oscurità del fanatismoreligioso. La lunga parabola della civiltà araba
(tratto da un articolo di Sharon
Begley pubblicato su La Repub-
blica il 31 gennaio 2001)
Andrew Newberg, dell'Univer-
sità di Pennsylvania, ha sotto-
posto un giovane monaco tibe-
tano a un esperimento rigoro-
samente scientifico. Al monaco
è stato iniettato un liquido di
contrasto idoneo a evidenzia-
re, attraverso un apparecchio
diagnostico denominato Spect,
le variazioni delle attività dei
singoli lobi del cervello nel cor-
so di una seduta di meditazio-
ne religiosa. Al culmine della
concentrazione meditativa del
monaco la regione dell'encefa-
lo posteriore, che compone i
dati sensori che danno la sen-
sazione di dove finisce l’ “io” e
inizia invece il resto del mon-
do, sembra essere stata vittima
di un black out. Privata degli in-
put sensori perché l'uomo è
concentrato sulla sua interio-
rità, questa "zona di orienta-
mento" non può svolgere il suo
compito di marcare il confine
tra l' “io” e il mondo. "Il cervello
non aveva scelta", ha spiegato
Newberg, "percepiva l' “io” co-
me infinito, un tutt'uno con il
creato”. Newberg insieme a Eu-
gene d'Aquili, ha chiamato
questo campo della scienza
neurologica: neuroteologia. Le
conclusioni alle quali sono
giunti i due studiosi affermano
che le pulsioni spirituali sono
l'inevitabile conseguenza della
configurazione cerebrale: "Il
cervello umano è stato geneti-
camente configurato per inco-
raggiare la fede religiosa". An-
che la semplice preghiera ha
un effetto particolare a livello
cerebrale. Nelle immagini cere-
brali registrate dalla Spect rife-
rite a suore francescane in pre-
ghiera si è rilevato un rallenta-
mento di attività nell'area de-
putata all'orientamento, che
dava alle suore un senso tangi-
bile di unione con Dio. "L'assor-
bimento dell' “io” all'interno di
qualcosa di più vasto, non deri-
va da una costruzione emotiva
o da un pensiero pio", scrivono
Newberg e d'Aquili "scaturisce
invece da eventi neurologici".
La neuroteologia spiega come
il comportamento rituale su-
sciti stati cerebrali da cui deri-
va una vasta gamma di sensa-
zioni, dal sentirsi parte di una
comunità, all'avvertire un'unio-
ne spirituale profonda. Le ne-
nie infondono un senso di
quiete che i credenti interpre-
tano come serenità spirituale.
Al contrario, le danze dei misti-
ci Sufi provocano una iperecci-
tazione che può dare ai parte-
cipanti la sensazione di inca-
merare l'energia dell'universo.
Questi rituali riescono ad attin-
gere proprio a quei meccani-
smi cerebrali che fanno sì che i
fedeli interpretino le sensazio-
ni come prove dell'esistenza di
Dio. I rituali quindi tendono a
focalizzare l'attenzione sulla
mente, bloccando le percezioni
sensoriali, incluse quelle che la
zona deputata all'orientamen-
to utilizza per stabilire i confini
dell' “io”. Ecco perché persino i
non credenti talune volte pos-
sono anche commuoversi du-
rante riti religiosi ai quali non
credono. "Finché il nostro cer-
vello avrà questa struttura",
conclude Newberg, "Dio non
andrà via".
(tratto da John Allegro – “Ilfungo sacro e la croce”)
Più volte nell’Antico Testa-mento viene citata la “man-na”, in riferimento al cibo dicui si nutrì il popolo d’Israe-le durante il cammino neldeserto dopo la liberazionedalla schiavitù in Egitto. Il primo riferimento dellaBibbia alla manna è nel librodell'Esodo. Qui infatti èscritto che dopo sei setti-mane di vagabondaggio gliebrei iniziarono a lamentar-si con Mosè di essere stan-chi ed affamati. Allora il Si-gnore disse a Mosè: "Ecco,io sto per far piovere panedal cielo per voi: il popolouscirà a raccoglierne ognigiorno la razione di un gior-no, perché io lo metta allaprova, per vedere se cam-mina secondo la mia legge ono” (16:4). “Poi lo strato dirugiada svanì ed ecco chesulla superficie del desertovi era una cosa minuta egranulosa, minuta come è labrina sulla terra. A tale vistai figli d'Israele si chieserol'un l'altro: “Che cos'è que-sto?” perché non sapevanoche cosa fosse. E Mosè disseloro: “Questo è il pane che ilSignore vi ha dato per cibo”.(16:14,15) La descrizione della mannacoincide facilmente con la
descrizione dei funghi psilo-cibinici. I funghi magici sonopiccoli e rotondi e poichégermogliano così velocemen-te sembrerebbero compariredurante la notte, come se ve-nissero dal cielo. Inoltre,chiunque li raccolga imme-diatamente noterebbe che sicolorano d'azzurro e nonhanno radici, ragioni in piùper pensare che i funghi fos-sero d'origine celeste. Si notiche la manna non cade dalcielo, ma è descritta come unqualcosa che viene con il ge-lo e l'umidità, durante le sta-gioni delle piogge. Questesono le condizioni atmosferi-che precise affinché i funghiprosperino. E' inoltre interessante notareche Mosè dica agli ebrei chela manna viene direttamentedal cielo e se non la mange-ranno non camminerannonella legge del Dio. Questa èla prova che la manna è dota-ta di un potere spirituale in-solito. Tuttavia, la mannanon conferisce automatica-mente potere spirituale. In-vece, serve da prova. I funghimagici fornirebbero le espe-rienze visionarie che certa-mente assicurerebbero chetutti se ne sono cibati. Mosèinoltre ha detto che la mannaè letteralmente "pane del si-gnore", il che è notevolmentesimile al nome azteco per i
funghi psilocybe: "carne de-gli dei". Che cosa è stato detto daMosè a proposito della man-na che deve essere messada parte per le generazionifuture? In Ebrei 9:3-4 trovia-mo: Dietro il secondo velopoi c'era una Tenda, dettaSanto dei Santi, con l'altared'oro per i profumi e l'arcadell'alleanza tutta ricopertad'oro, nella quale si trova-vano un'urna d'oro conte-nente la manna. La mannadoveva essere mantenutanel più santo di tutti i luo-ghi: l'arca del patto! Gli ebrei, i cristiani e i mu-sulmani devono dunque leloro radici ai figli d'Israele,che per quaranta anni han-no mangiato la manna e sisono visti come il popoloscelto da Dio. Se la manna èeffettivamente un fungopsilocibinico, allora questosignifica che il Corano, laBibbia e la Torah sono statiispirati dalle esperienze in-dotte dai funghi magici. E ifondamenti stessi su cuiqueste religioni si basanoderivano dall'esperienza colfungo. Mosè ed i figli d'I-sraele avrebbero usato ifunghi come sacramentoper comunicare con una piùalta potenza, anche cono-sciuta come Allah, Dio eYahweh.
Da Aristotele e Komeini
Paolo, l’uomo che inventòil cristianesimoRicostruire la vicenda della
nascita e della strutturazione
della religione cristiana è una
operazione estremamente
difficile e dagli esiti assai in-
certi, anzitutto perché i mate-
riali documentali, tanto quelli
acquisiti all’ufficialità delle
innumerevoli chiese cristia-
ne, quanto quelli giudicati
apocrifi, sono tutti molto suc-
cessivi agli eventi narrati e,
soprattutto, fortemente e più
volte manipolati nel tempo.
La ragione di questa difficoltà
è proprio nella peculiarità di
una religione che, nata da un
sentimento di intolleranza et-
nica e di ribellione politica,
diviene invece patrimonio
universale plurietnico e so-
prattutto viene acquisita pro-
prio da coloro che all’origine
ne erano i nemici destinati.
Tale evoluzione ha comporta-
to la necessità di apportare ri-
petute modifiche sia ai conte-
nuti dei messaggi religiosi, che
alle stesse vicende storiche o
leggendarie presupposte.
Del Gesù di Nazaret, poi iden-
tificato con il Cristo, non v’è
alcuna documentazione sto-
rica; circostanza che non col-
pisce trattandosi della vita e
della morte del figlio di un fa-
legname, avvenuta peraltro in
circostanze e con modalità
assai diffuse in quel contesto
geo-politico caratterizzato da
diffusi focolai di rivolta, pre-
valentemente attuata con tec-
niche terroristiche e fanati-
smo religioso sacrificale.
Se è mai esistito un Gesù di
Nazaret, o forse meglio i tanti
Gesù realmente vissuti in
quell’epoca, erano sicura-
mente dei ribelli, o terroristi
secondo la legge degli invaso-
ri romani, che predicavano,
anzi incitavano sino al marti-
rio, la lotta armata di libera-
zione dagli invasori.
Di questo (o questi) Gesù ri-
belle e combattente sino alla
pena della crocifissione ap-
plicata agli insorti (terroristi,
secondo la lingua degli occu-
panti che, come sempre nella
storia, non riconoscono la di-
gnità di combattenti ai suddi-
ti ribelli), vi sono ancora testi-
monianze sino qua-
si alla definitiva
omologazione del
cristianesimo come
religione di Stato
da parte dell’impe-
ratore Costantino.
La figura del Gesù
propagandata dal-
l’attuale religione
cristiana, predicato-
re mite e pacifico,
vittima di un tragi-
co errore giudizia-
rio incolpevolmente
commesso dei do-
minatori romani in-
gannati dalla falsità
e dal tradimento
degli ebrei irriduci-
bili, è una creazione
attenta, consapevo-
le e lungamente ela-
borata proprio da
Paolo, Saul di Tarso,
l’apostolo “non
apostolo”, l’ebreo
cosmopolita con-
vertito alla cultura
della convivenza
con i “gentili”.
Con Paolo, Gesù, da icona di
rivolta, diviene messaggero
di convivenza, termine che
per le classi e per i sistemi
politici dominanti significa
sottomissione e obbedienza
delle classi e dei popoli do-
minati.
L’opera di revisione e rico-
struzione della figura univer-
salistica del Gesù ebreo, dive-
nuto il Cristo figlio di dio, si
realizza proprio con la collo-
cazione a Roma, nel cuore e
nel cervello dell’impero do-
minatore, della sede della
chiesa cristiana strutturata e
militarizzata.
Il modello di organizzazione
gerarchica militarizzata e so-
prattutto la tecnica dell’oc-
cultamento e dell’infiltrazio-
ne Paolo la trae proprio dalla
sua precedente esperienza di
ebreo ribelle, aderente a una
delle diverse formazioni in-
surrezionali terroristiche
operanti nella Palestina all’e-
poca della sua giovinezza
(anche se in verità, e anche
Dio nel cervelloLe nuove frontiere della neuroteologia
Dopo aver completato la
conquista militare e politica
del medio oriente, giungen-
do sino alle porte di Bisan-
zio, il mondo arabo-islamico
si lanciò alla conquista della
civiltà, della scienza e della
filosofia greche. Tutte le ope-
re scientifiche e filosofiche
greche vennero tradotte e
persino, come nel caso di
Platone, commentate e para-
frasate. Aristotele, in parti-
colare, venne riconosciuto
dalla cultura e dalla scienza
araba come la figura di riferi-
mento per eccellenza.
Il mondo arabo allora si sen-
tiva e si proclamava erede e
continuatore del mondo elle-
nistico. Iniziava allora la ci-
viltà del Medio evo arabo
che, in verità, era un vero e
proprio Rinascimento, men-
tre l’occidente era sprofon-
dato nel più oscuro Medio
evo cristiano, avendo perso,
salvo rarissime eccezioni, la
memoria della precedente
storia e cultura latina e in
particolare completamente
di quella greca.
I romani, infatti, conoscevano
il greco e quindi moltissime
opere greche all’epoca non
vennero tradotte in latino sic-
ché, persa la conoscenza del-
la lingua greca, gli occidentali
non erano stati più in grado
di leggere quei testi.
Fu grazie agli arabi, che ave-
vano imparato il greco, che
quelle opere vennero recupe-
rate e tradotte anche in lati-
no, per poter poi tornare alla
conoscenza dell’occidente
ancora latino.
Straordinaria fu in quel tem-
po e a quel fine l’opera di due
grandi studiosi e scienziati
arabi: il medico Avicenna, in
arabo Ibn Sina, e il filosofo e
matematico Avveroè, in ara-
bo Abu I-Walid Muhammad,
ritenuto il più grande studio-
so di Aristotele.
La fioritura della civiltà ara-
bo-islamica, che si era estesa
dal nord Africa al sud dell’Eu-
ropa, nelle isole mediterranee
e nel sud della Spagna, per
quanto grandiosa fu tuttavia
di breve durata, il giusto tem-
po per consentire all’occiden-
te imbarbarito di recuperare
la storia e la cultura greco-la-
tina e uscire dal suo Medio
evo per intraprendere il pro-
prio Rinascimento, nuova-
mente sotto la “stella” della
cultura ellenistica e di Aristo-
tele in particolare.
Nel frattempo l’Islam precipi-
tava sotto le devastanti pene-
trazioni dei nuovi barbari:
turchi, mongoli e berberi.
E’ in questo contesto di col-
lasso economico, sociale e
culturale che si fa avanti e si
impone in tutto il mondo
arabo, e convertito all’Islam,
il predominio della religione
che, come primo effetto, si
ritorce contro la stessa storia
del suo popolo, aggredendo
radicalmente il patrimonio
Una endemica ignoranza della
cultura occidentale per tutto
ciò che non è, per l’appunto,
occidentale, ha condotto a
uno scarso interesse e atten-
zione per il pensiero buddhi-
sta che, nei duemilacinque-
cento anni dalla predicazione
del Buddha, si è diffuso e ha
permeato l’intero continente
orientale, vasto almeno la
metà dell’intera popolazione
mondiale. Il buddhismo, erro-
neamente inteso come una re-
ligione alternativa a quelle
monoteiste mediorientali e
politeiste diffuse un poco in
tutto il mondo (il buddhismo
è una filosofia e Buddha non è
divino, né profeta di un dio), è
stato sostanzialmente scoper-
to dall’occidente dopo la fuga
del Dalai Lama dal Tibet inte-
grato nell’ “unico cielo” della
Cina Popolare.
Ambasciatore e propagatore
del buddhismo in occidente è
stato proprio l’ultimo Dalai
Lama Tenzin Gyatsu, grazie
anche alla sua conoscenza
della lingua inglese e all’ambi-
guo ruolo svolto, consapevol-
mente o meno, nel complesso
giochi della politica mondiale.
Il buddhismo propagandato
dal Dalai Lama è, tuttavia, solo
una versione assolutamente
minore del vastissimo univer-
so delle scuole di pensiero che
si rifanno all’insegnamento di
Siddhartha Gautama, il
Buddha storico nato nel 566
avanti Cristo.
Per dare un ordine di misura
si potrebbe dire che il buddhi-
smo tibetano, quello che fa ca-
po al Dalai Lama, sta all’intero
buddhismo come la Chiesa
valdese sta al cristianesimo
nella somma delle sue innu-
merevoli sette. Nessun rap-
porto organico, fatta eccezio-
ne per il riferimento al comu-
ne “maestro”, sussiste infatti
tra la guida del Dalai Lama e i
monaci birmani, tailandesi o
giapponesi. Il buddhismo ti-
betano è sostanzialmente dif-
fuso solamente in Tibet e ne-
gli stati limitrofi dove, alcune
centinaia di anni prima, mi-
grarono un grande numero di
tibetani sotto la spinta dell’in-
vasione mongola che fece del
Tibet una provincia dell’impe-
ro mongolo e istituì, per la pri-
ma volta nel 1578, la figura
del primo Dalai Lama, Sonam
Gyatso, feudatario del sovra-
no mongolo Altan Khan.
Fu proprio quest’ultimo che,
nello scegliere quale governa-
tore del Tibet il monaco
buddhista di più alto rango e
riconoscimento locale, coniò il
termine Dalai Lama, variamen-
te tradotto in “oceano di sag-
gezza”. Da allora il feudatario
dei monarchi mongoli con-
servò, anche durante le alterne
vicende dell’impero mongolo,
il ruolo di suprema autorità
politica e amministrativa e,
nello stesso tempo, quello di
suprema autorità spirituale; in
sostanza un ruolo e un potere
affatto simile a quello del “Pa-
pa Re” della chiesa cattolica
romana sino alla “breccia di
porta Pia”. Diversamente dalla
vicenda italiana, tuttavia,
quando l’esercito del Popolo
cinese aprì la “breccia” dell’al-
topiano tibetano, il Dalai Lama
non venne rinchiuso nel suo
palazzo del Potala, come av-
venne per Pio IX dentro le mu-
ra del Vaticano, ma, deposto
come autocrate, venne inseri-
to nel governo dello Stato au-
tonomo del Tibet, parte in-
scindibile della Repubblica Po-
polare cinese.
In tale ruolo il giovane Dalai
Lama, appena incoronato mo-
narca all’età di 15 anni, restò
per 9 anni, dal 1950 al 1959,
quando si mise (o fu messo) a
capo di una rivolta nazionali-
sta tibetana che provocò la
reazione cinese e lo costrinse a
emigrare in India con poche
centinaia di seguaci dei ranghi
più alti del vecchio regime.
Proseguendo con il paralleli-
smo con le analogie di “casa
nostra” va detto che, se quan-
do i bersaglieri italiani entraro-
no con le baionette in canna
nella città santa (eterna), Roma
era poco più di un grande pae-
sone tutto all’interno delle mu-
ra aureliane, il Tibet era so-
stanzialmente ancora in pieno
medio evo.
A parte una spaventosa po-
vertà, in qualche modo coeren-
te con l’asperità e la povertà
agricola e produttiva dell’im-
menso ma sterile altipiano ti-
betano, nel 1950 (per intender-
ci gli anni del boom economico
italiano) in Tibet vigeva la “ser-
vitù della gleba”, un regime di
sostanziale schiavitù che lega-
va a vita uomini e famiglie ai
terreni, e quindi ai proprietari
dei terreni, nei quali vivevano e
lavoravano.
Non c’era alcun sistema sani-
tario, l’istruzione era esclusi-
vamente riservata ai monaci
(o percorsi di istruzione simili
a quelli dei seminari cristiani)
e comunque dalla stessa era-
no escluse le donne. Vigeva in
sostanza un sistema piena-
mente feudale dove i feudata-
ri, i padroni delle terre, degli
armenti, degli esseri umani
dedicati alla coltivazione o
all’allevamento, erano i mona-
ci buddhisti, secondo un siste-
ma rigorosamente gerarchico
che conduceva al potere asso-
luto, temporale e spirituale,
del Dalai Lama.
Oggi il Tibet, lo Stato Autono-
mo del Tibet, è forse uno dei
territori più sviluppati del
mondo grazie a investimenti
enormi fatti dalla Repubblica
Popolare in quella come nelle
altre regioni a minoranza etni-
ca, collegato alla capitale Pe-
chino con treni pressurizzati
come aeroplani che viaggiano
a 5.000 metri di altitudine, au-
tostrade e aeroporti interna-
zionali collocati a oltre 4.000
metri di quota (come dire... in
cima al Monte Rosa).
Un solo dato sarà sufficiente
per dare l’idea dello sviluppo
di cui il Tibet ha goduto negli
oramai 60 anni dall’unifica-
zione con la Repubblica Popo-
lare cinese: l’aspettativa di vi-
ta della popolazione tibetana
è salita dai 30 anni del 1950
agli attuali 70 anni (e oltre).
Il Tibet, o meglio la questione
tibetana/cinese, è stato tutta-
via da subito un terreno di
aspro scontro, ancorché indi-
retto e sotterraneo, tra la vi-
sione politica del mondo delle
vecchie e nuove potenze colo-
nialiste occidentali, e la emer-
gente politica rivoluzionaria
della Cina comunista.
Attorno alla figura e al ruolo
“carismatico” del Dalai Lama
sono state giocate molte “par-
tite politiche”, che a volte lo
hanno visto docile strumento,
altre volte parte consapevole
e attiva. E’ un dato certo che il
Dalai Lama ha ripetutamente
accettato consistenti aiuti eco-
nomici dalla CIA americana
per sostenere e finanziare un
irredentismo etnico, poten-
zialmente capace di destabi-
lizzare la presenza cinese in
quella vastissima area a ridos-
so del sub continente indiano.
Al Dalai Lama, critiche inter-
ne allo stesso movimento
buddhista tibetano, hanno
più volte imputato il vizio,
per così dire “tipico” della
chiesa cattolica, della vendita
delle indulgenze necessarie a
finanziare il sostentamento
economico della sua vasta
organizzazione religiosa, ma
anche opportune per entrare
nelle stanze del potere occi-
dentale, pur sempre nella
speranza di riuscire e rinego-
ziare un rientro ufficiale nel
nuovo Tibet cinese. Se al Da-
lai Lama si può riconoscere
l’oggettiva debolezza di una
condotta sovente molto on-
divaga (in passato in occasio-
ne di negoziati con il gover-
no cinese che sembravano
riaprirgli le porte del Tibet il
Dalai Lama si era perfino di-
chiarato un buddhista marxi-
sta), assai più grave è la sfac-
ciata ipocrisia della grande
parte della politica occiden-
tale, prima tra le quali quella
italiana.
Encomiato di lodi per la sua
lotta pacifica, premiato con
Nobel, lauree honoris causa e
cittadinanze (Roma e Torino),
il Dalai Lama è stato altrettan-
te volte “scartato” quando la
sua vicinanza poteva mettere
in discussione gli interessi
economici e di setta dei così
detti poteri forti; e ciò tanto
dal governo Prodi che dal sin-
daco di Milano Moratti, sino
soprattutto al Papa cattolico,
assai più interessato a concor-
dare i termini di convivenza
della chiesa cattolica con il go-
verno popolare cinese che a
difendere la altrui libertà reli-
giosa (concorrente).
Il più eclatante esempio di ipo-
crisia lo ha comunque rappre-
sentato la “martire dei diritti
civili”, tale Emma Bonino, mi-
nistro dei governi di destra co-
me di sinistra, commissaria
europea dei governi di destra e
candidata governatrice del La-
zio per la sinistra, eroica com-
battente per i diritti del popolo
tibetano sotto la luce dei riflet-
tori delle Olimpiadi di Pechino
e poi, a fotoelettriche spente,
...in fin dei conti in Italia siamo
cattolici, ai monaci tibetani ci
pensino i buddhisti...
Queste falsità dell’occidente
l’oramai settantacinquenne
Tenzin Gyatso forse le ha ca-
pite quando, avendo probabil-
mente perso la speranza di
rientrare in Tibet da Dalai La-
ma, ha annunciato che forse
non rinascerà più e che que-
sto è il suo ultimo ciclo di vita
terrena. Speriamo.
Tenzin GyatsoXIV Dalai Lama, ultimo “Papa Re” del Tibet
acquisito della cultura elleni-
stica e demonizzandone la
filosofia, la scienza, l’arte e
la letteratura quali cause di
allontanamento e di negazio-
ne della divinità.
Il Medio oriente si impoveri-
sce e cade quindi sotto la do-
minazione degli Ottomani, et-
nia caucasica convertita all’I-
slam, che riesce a conquistare
Bisanzio ponendo fine a quel
che restava dell’Impero Ro-
mano d’Oriente.
La fede religiosa restò così
l’ultimo collante del vastissi-
mo mondo arabo e, grazie
soprattuto ai turchi, si diffu-
se anche oltre il Medio orien-
te sino a raggiungere il cuore
dell’Asia caucasica, sino in
Siberia, nella penisola india-
na e negli arcipelaghi dell’o-
ceania.
La crisi economica, sociale e
culturale del nord Africa e del
Medio oriente non è ancora
terminata e dunque ancora
forte è il ruolo retrivo della
religione, pronto a riaffiorare
in tale forma anche nelle altre
realtà islamizzate centro
asiatiche di recente ricadute
nel caos e nella povertà in se-
guito al collasso dell’Unione
Sovietica.
questo è un mistero non di
poco conto, della vita di
Saul/Paolo si sa bene poco e
la sua vicenda storica scom-
pare d’improvviso, così
com’era apparsa, senza la-
sciare tracce).
La costruzione dell’organi-
smo strutturato della chiesa
universale cristiana si compie
trecento anni dopo il presun-
to evento della predicazione
del Cristo, a opera
dell’imperatore Co-
stantino che, da uni-
versale, rende la reli-
gione, cioè la chiesa
cristiana, unica e che,
con il primo concilio di
Nicea da lui stesso or-
ganizzato e presiedu-
to, da il via alla perse-
cuzione delle eresie,
con tale termine indi-
candosi tutte le altre
correnti del cristianesi-
mo non omologate alla
lettura e nella chiesa
ufficiale.
Come la storia succes-
siva ci ha insegnato la
pretesa della afferma-
zione e della conserva-
zione della unicità e
unitarietà della chiesa
cristiana è stata fonte
di violenze indescrivi-
bili che forse non han-
no avuto paragone in
alcuna altra vicenda di
estremismo etnico o
politico: dai barbari in-
vasori dell’impero romano,
ai mongoli di Gengis Kahn,
sino all’ultima follia colletti-
va fascista e nazista.
Chissà se Paolo quando ha
creato la religione/chiesa cri-
stiana poteva immaginarne le
tremende conseguenze.
La manna, il cibo di Dioche porta alla visione di Dio
Statua di Avicenna in Tagikistan
L'esistenza profana dell'erro-re è compromessa dacché èstata confutata la sua celesteoratio pro aris et focis.L'uomo il quale nella realtàfantastica del cielo, dove cer-cava un superuomo, non hatrovato che l'immagine rifles-sa di se stesso, non sarà piùdisposto a trovare soltantol'immagine apparente di sé,soltanto il non-uomo, là dovecerca e deve cercare la sua ve-ra realtà. Il fondamento dellacritica irreligiosa è: l'uomo fala religione, e non la religionel'uomo. Infatti, la religione èla coscienza di sé e il senti-mento di sé dell'uomo chenon ha ancora conquistato oha già di nuovo perduto sestesso. Ma l'uomo non è unessere astratto, posto fuoridel mondo. L'uomo è il mon-do dell'uomo, Stato, società.Questo Stato, questa societàproducono la religione, unacoscienza capovolta del mon-do, poiché essi sono un mon-do capovolto. La religione è lateoria generale di questomondo, il suo compendio en-ciclopedico, la sua logica informa popolare, il suo pointd'honneur spiritualistico, ilsuo entusiasmo, la sua san-zione morale, il suo solennecompimento, il suo universa-le fondamento di consolazio-ne e di giustificazione. Essa èla realizzazione fantasticadell'essenza umana, poichél'essenza umana non possie-
de una realtà vera. La lottacontro la religione è dunquemediatamente la lotta controquel mondo, del quale la reli-gione è l'aroma spirituale. Lamiseria religiosa è insieme laespressione della miseria rea-le e la protesta controla miseria reale.La religione è il sospirodella creatura oppres-sa, il sentimento di unmondo senza cuore,così come è lo spirito diuna condizione senzaspirito. Essa è l'oppiodel popolo. Eliminare lareligione in quanto illu-soria felicità del popolovuol dire esigerne la fe-licità reale. L'esigenzadi abbandonare le illu-sioni sulla sua condi-zione è l'esigenza di ab-bandonare una condi-zione che ha bisogno diillusioni. La critica dellareligione, dunque, è, ingerme, la critica dellavalle di lacrime, di cuila religione è l'aureola.La critica ha strappatodalla catena i fiori im-maginari, non perché l'uomoporti la catena spoglia e scon-fortante, ma affinché egli get-ti via la catena e colga i fiorivivi. La critica della religionedisinganna l'uomo affinchéegli pensi, operi, configuri lasua realtà come un uomo di-sincantato e giunto alla ragio-ne, affinché egli si muova in-torno a se stesso e perciò, in-torno al suo sole reale. La re-ligione è soltanto il sole illu-
sorio che si muove intorno al-l'uomo, fino a che questi nonsi muove intorno a se stesso.È dunque compito della sto-ria, una volta scomparso l'aldi là della verità, quello di ri-stabilire la verità dell'al di
qua. È innanzi tutto compitodella filosofia, la quale sta alservizio della storia, una voltasmascherata la figura sacradell'autoestraneazione uma-na, quello di smascherarel'autoestraneazione nelle suefigure profane. La critica delcielo si trasforma così nellacritica della terra, la criticadella religione nella critica deldiritto, la critica della teologianella critica della politica.
IV
Una grande proposta per la PACE nel Mondo
La religione è l’oppio dei po-poli, una sorta di “liquore”spirituale in cui gli schiavi delcapitale fanno annegare la lo-ro immagine umana, la lororichiesta di una vita più o me-no dignitosa.
Ma uno schiavo cheè divenuto consciodella propria schia-vitù ed ha alzato latesta nella lotta perla propria emanci-pazione, non è piùuno schiavo. Il lavo-ratore moderno, conun’elevata coscienzadi classe, cresciutodall’industria su lar-ga scala e illuminatodalla vita di città,con sdegno metteda parte i pregiudizireligiosi, lascia il pa-radiso al clero e aiborghesi bigotti, ecerca di ottenere persé una vita migliore,su questa terra. Ilproletariato moder-no difende le ragionidel socialismo, checombatte la nebbia
della religione con la scien-za, e libera i lavoratori dalleloro credenze in una vitadopo la morte, unendolinella lotta presente per unavita migliore sulla terra.La religione deve essere di-chiarata affare privato. LoStato non deve occuparsi del-la religione, e le associazionireligiose non devono avere al-cun legame con le autorità digoverno. Quello che richiede
il proletariato socialista è lacompleta separazione dellaChiesa dallo Stato.Ma per quanto ci riguarda, labattaglia ideologica non è unaffare privato, è questione ditutto il Partito, dell’interoproletariato.Il nostro programma è inte-ramente basato su una con-cezione del mondo scientifi-ca, e, in particolare, materia-lista. Dunque, una spiega-zione del nostro program-ma include necessariamenteun’analisi delle reali radicistoriche ed economiche del-la nebbia che la religione dif-fonde. Ma in nessuna circo-stanza dobbiamo caderenell’errore di porre la que-stione religiosa in formeastratte ed idealiste, comedibattito intellettuale slega-to dalla lotta di classe, comefatto di dibattito tra i radica-li e la borghesia. L’unità delle classi oppressein questa lotta rivoluzionariaper la creazione del paradisoin terra è molto più importan-te per noi dell’unità del pen-siero del proletariato riguar-do al paradiso nei cieli. Il pro-letariato rivoluzionario otter-rà che la religione diventi unaffare privato, per ciò checoncerne lo Stato. E in questosistema politico, privato daresidui medievali, il proleta-riato intraprenderà una lottadi ampio respiro per l’elimi-nazione dell’oppressione eco-nomica, la prima fonte dellemenzogne con cui la religioneconfonde l’uomo.
L’impotenza della classesfruttata nella lotta condottacontro gli sfruttatori inevita-bilmente rafforza la credenza
in una vita migliore dopo lamorte, così come l’impotenzadell’uomo primitivo nella bat-taglia con la natura rafforzala credenza nell’esistenza didei, demoni, miracoli, e cosìvia. Coloro che lavorano du-ramente e vivono nel bisognosono persuasi dalla religionea essere pazientemente sot-tomessi su questa terra, e atrarre conforto dalla speran-za nella ricompensa divina.
ABOLIAMO LE RELIGIONI
Non si è mai troppo giovani otroppo vecchi per la cono-scenza della felicità. A qual-siasi età è bello occuparsi delbenessere dell'anima.Chi sostiene che non è ancoragiunto il momento di dedicar-si alla conoscenza di essa, oche ormai è troppo tardi, ècome se andasse dicendo chenon è ancora il momento diessere felice, o che ormai èpassata l'età. Da giovani comeda vecchi è giusto che noi cidedichiamo a conoscere la fe-licità. Per sentirci sempre gio-vani quando saremo avanticon gli anni in virtù del gratoricordo della felicità avuta inpassato, e da giovani, irrobu-stiti in essa, per prepararci anon temere l'avvenire.Cerchiamo di conoscere allo-ra le cose che fanno la felicità,perché quando essa c'è tuttoabbiamo, altrimenti tutto fac-ciamo per averla. Pratica emedita le cose che ti ho sem-pre raccomandato: sono fon-damentali per una vita felice.Prima di tutto considera l'es-senza del divino materia eter-na e felice, come rettamentesuggerisce la nozione di divi-nità che ci è innata. Non attri-buire alla divinità niente chesia diverso dal sempre viven-
te o contrario a tutto ciò che èfelice, vedi sempre in essa lostato eterno congiunto allafelicità. Gli dei esistono, è evi-dente a tutti, ma non sono co-me crede la gente comune, laquale è portata a tradire sem-pre la nozione innata che neha. Perciò non è irreligioso chirifiuta la religione popolare,ma colui che i giudizi del po-polo attribuisce alla divinità.Tali giudizi, che non ascolta-no le nozioni ancestrali, inna-te, sono opinioni false.A seconda di come si pensache gli dei siano, possono ve-nire da loro le più grandi sof-ferenze come i beni piùsplendidi. Ma noi sappiamoche essi sono perfettamentefelici, riconoscono i loro simi-li, e chi non è tale lo conside-rano estraneo.Poi abituati a pensare che lamorte non costituisce nullaper noi, dal momento che ilgodere e il soffrire sono en-trambi nel sentire, e la mortealtro non è che la sua assen-za. L'esatta coscienza che lamorte non significa nulla pernoi rende godibile la mortali-tà della vita, togliendo l'in-gannevole desiderio dell'im-mortalità. Non esiste nulla diterribile nella vita per chi dav-
vero sappia che nulla c'è datemere nel non vivere più.Perciò è sciocco chi sostienedi aver paura della morte,non tanto perché il suo arrivolo farà soffrire, ma in quantol'affligge la sua continua atte-sa. Ciò che una volta presentenon ci turba, stoltamente at-teso ci fa impazzire.La morte, il più atroce dun-que di tutti i mali, non esiste
per noi. Quando noi viviamola morte non c'è, quando c'èlei non ci siamo noi. Non ènulla né per i vivi né per imorti. Per i vivi non c'è, i mor-ti non sono più. Invece la gen-te ora fugge la morte come ilpeggior male, ora la invocacome requie ai mali che vive. Per questo noi riteniamo ilpiacere principio e fine dellavita felice, perché lo abbiamo
riconosciuto bene primo e anoi congenito. Ad esso ci ispi-riamo per ogni atto di scelta odi rifiuto, e scegliamo ognibene in base al sentimentodel piacere e del dolore.E' bene primario e naturaleper noi, per questo non sce-gliamo ogni piacere. Talvoltaconviene tralasciarne alcunida cui può venirci più maleche bene, e giudicare alcunesofferenze preferibili ai pia-ceri stessi se un piacere piùgrande possiamo provare do-po averle sopportate a lungo.Ogni piacere dunque è beneper sua intima natura, ma noinon li scegliamo tutti. Allostesso modo ogni dolore èmale, ma non tutti sono sem-pre da fuggire. Bisogna giudi-care gli uni e gli altri in basealla considerazione degli utilie dei danni.Certe volte sperimentiamoche il bene si rivela per noi unmale, invece il male un bene.Consideriamo inoltre unagran cosa l'indipendenza daibisogni non perché sempre cisi debba accontentare del po-co, ma per godere anche diquesto poco se ci capita dinon avere molto, convinti co-me siamo che l'abbondanzasi gode con più dolcezza semeno da essa dipendiamo.In fondo ciò che veramenteserve non è difficile a trovar-si, l'inutile è difficile.Quando dunque diciamo cheil bene è il piacere, non inten-diamo il semplice piacere dei
goderecci, come credono co-loro che ignorano il nostropensiero, o lo avversano, o lointerpretano male, ma quan-to aiuta il corpo a non soffriree l'animo a essere sereno. Di tutto questo, principio ebene supremo è la saggezza,perciò questa è anche più ap-prezzabile della stessa filo-sofia, è madre di tutte le altrevirtù. Essa ci aiuta a com-prendere che non si dà vitafelice senza che sia saggia,bella e giusta, né vita saggia,bella e giusta priva di felicità,perché le virtù sono conna-turate alla felicità e da questainseparabili.La fortuna per il saggio non èuna divinità come per la mas-sa - la divinità non fa nulla acaso - e neppure qualcosa pri-va di consistenza. Non credeche essa dia agli uomini alcunbene o male determinanteper la vita felice, ma sa chepuò offrire l'avvio a grandibeni o mali. Però è meglio es-sere senza fortuna ma saggiche fortunati e stolti, e nellapratica è preferibile che unbel progetto non vada in por-to piuttosto che abbia succes-so un progetto dissennato.Medita giorno e notte tuttequeste cose e altre congene-ri, con te stesso e con chi ti èsimile, e mai sarai preda del-l'ansia. Vivrai invece comeun dio fra gli uomini. Nonsembra più nemmeno mor-tale l'uomo che vive fra beniimmortali.
Lettera sulla FelicitàAbbiamo già pubblicato questo capolavoro di Epicuro nell’inserto del mese di luglio. La bellezza e l’eternità del suo mes-saggio ci spinge a riproporlo, a quanti non avessero avuto l’occasione di leggerlo o l’attenzione di apprezzarlo, come au-gurio finale di questo, indubbiamente difficile, ma intenso inserto sulla inutilità delle religioni
La critica della religione è il presuppostodi ogni critica
La religione è una forma di oppressionespirituale che grava sulle masse
KARL MARX VLADIMIR ILIC LENIN
Recommended