I testi di Officinalab
A cura di Cinzia Citarrella e Nunzio Speciale
Liceo Classico Scaduto – Bagheria (PA)
Sapori mediterranei
di Vincenzo Bondì
Rientrai frettolosamente a casa pregustando la cena tanto
agognata. Il sole era alto all’orizzonte, la terribile afa siciliana mi
toglieva le forze non lasciandomi nemmeno un attimo di tregua, di
pace. L’orologio segnava le 12:45 e, mentre mi apprestavo ad
aprire la porta di casa, sensazioni contrastanti mi assalivano,
odori, suoni, colori erano lì a portata di mano, pronti a essere
finalmente addentati e apprezzati. Non appena inserita la chiave e
spalancata la porta un vento tiepido e rassicurante investì i miei
sensi, quasi mi sollevai in aria facendomi trasportare
esclusivamente da quell’odore di pietanze, da quel meraviglioso
mix di culture e tradizioni che si fondono nella cultura siciliana.
Non feci in tempo nemmeno a chiudere la porta e subito mi
fiondai in cucina, smosso da una forza divina che mi obbligava a
raggiungere al più presto l’atrio della cucina. Una volta girato
l’angolo davanti ai miei occhi si materializzò una tavola imbandita
con ogni genere di pietanza, con ogni genere di leccornia che un
essere umano potesse desiderare e gustare. Pasta con le sarde,
arrosto con patate, sarde a beccafico, pesce spada appena pescato
e per finire cassata e cannoli, giusto per donare al tavolo un tocco
di dolcezza e leggerezza, sensazione che presto svanisce una volta
concluso il pranzo, quando una volta pieni non si riesce più a
respirare. Mia madre mi invitò, una volta entrato in cucina, a
tenere giù le mani, che con tratti quasi smaniosi non restavano
ferme un attimo e sgridandomi mi invitò a raggiungere la sala
dove avrebbe dovuto svolgersi il glorioso banchetto. Intorno alla
tavola sedevano i miei nonni, entrambi ingrassati durante l’età
senile per il poco movimento e per le enormi portate ingurgitate e
mio fratello, anch’egli ingrassato per l’ottima di cucina di mia
madre e intento a tessere le lodi della mia affettuosa madre per
accaparrarsi la porzione più grande. Ad uno a uno i piatti vennero
serviti e ognuno veniva accolto con un sussulto, con una
espressione di stupore e di meraviglia che eccitava e rallegrava
mia madre, cuoca provetta della cucina locale e più in generale
nazionale. La deliziosa “croccantezza” delle sarde, la soffice e
vellutata salsa all’arancia che accompagnava l’arrosto, la
morbidezza e la freschezza del pesce spada, per non parlare dei
cannoli, spumosi quanto basta ma al tempo stesso delicati, capaci
di mettere l’acquolina in bocca. Ogni singolo piatto era
un’esplosione di gusto che investiva il palato dei commensali, che
li faceva sobbalzare dalla sedia ogni qual volta, seppur con fatica,
riuscivano a mandar giù un morso del singolo piatto, quasi
dispiaciuti per la terribile sorte di quelle meravigliose opere
d’arte. Quelle pietanze non meritavano certo di finire assorbite dai
maleodoranti succhi gastrici dello stomaco, piuttosto di restare
esposte in una galleria d’arte, in modo da poter essere
contemplate da qualsiasi passante si fosse avventurato nel
miracoloso e geniale mondo della cucina siciliana.
di Angelo Scardina
Dopo una partita di estenuante ma divertente giocata con gli amici
del quartiere, ripresi la strada che mi portava dritto a casa. La
fame si faceva sempre più forte e io, tutto infreddolito, percorrevo
il corso principale del mio paese. Durante il viaggio preso dalla
fame ripensavo alla torta di mele preparata da mia zia Lucia, una
torta davvero dolce e incredibilmente gustosa. Speravo di
ritrovarla conservata dentro il frigo e non finita da mio fratello.
Avevo fretta di concludere il corso per la presenza di bar che
aumentavano non poco la voglia di mangiare soprattutto la torta
di zia Lucia. Passavo all'ultimo bar del corso e l'odore delle torte e
le immagini dei dolci esposti fuori dal bar aumentavano la mia
fame. Mentre arrivavo sotto casa mia incontrai mio fratello che
con l'aria di principe mangiava un panino molto croccante appena
sfornato ripieno di tutto... Prosciutto crudo, pomodoro, mozzarella
e chi ne ha più ne metta. Mi accingevo finalmente a salire i tre
piani del mio condominio. Rimpiangendo non poco di abitare in
un palazzo senza ascensore, salivo i gradini molto, molto
velocemente e una volta aperta a porta correvo verso la cucina.
Finalmente come un trofeo appena vinto, ritrovavo la mia
splendida torta curata in tutti i particolari. La guardavo
esterrefatto e mi lavavo le mani prima di divorarla, sì
letteralmente divorarla, tant'è che non lasciai nemmeno una fetta
per l'intera famiglia. Coricato nel divano, stanco dalla partita vinta
del pomeriggio, mi addormentai con il favoloso pensiero della
torta di zia Lucia.
di Antonino La Tona
Era stata una mattinata difficoltosa, la notte precedente avevo
dormito pochissimo a causa di un sogno non particolarmente
gradevole. Per fortuna di pomeriggio mi ero sfogato con una bella
partita di calcio che come di consueto avevamo organizzato per
ingannare il tempo. Una volta tornato a casa mi ero fatto la doccia
e avevo sentito un grandioso profumino che proveniva dalla
cucina. Mia madre aveva cucinato una splendida torta alla frutta.
Ero deciso ad assaggiarla, ma una volta arrivato in cucina mia
madre mi disse che la torta non si poteva mangiare poiché era
destinata al festeggiamento serale di una sua amica che compiva
gli anni. Ero pienamente coinvolto da quella torta: il pan di spagna
miscelato alla fragola sembrava inebriare le mie membra e io più
che mai ero deciso a mangiare la torta non appena mia madre
fosse uscita di casa. Quindi, avevo deciso di mettermi nel divano
situato nel salone e di attendere il momento consono per
agguantare il dolce! Aspettai diverse ore e decisi di uscire per
prendere un po’ di aria fresca. La strada era piena, stracolma di
persone, la mia vista fu sconvolta dall’improvvisa visione di una
macchina d’epoca che arrancava sulla strada: era una vecchia Fiat
di colore rosso fuoco, con gli specchietti retrovisori leggermente
danneggiati e con alla giuda un vecchio vestito in maniera
stravagante con uno strano cappello verde ed una piuma, forse da
alpino. L’odore di smog si miscelava a quello inebriante dei
cornetti del bar situato di fronte l’ufficio alla destra di casa mia.
Decisi di rientrare e aperta la porta, vidi mia madre che stava per
scendere le scale. Era il momento adatto. Allora mi apprestai a
salire le scale e di corsa attraversai il corridoio che portava in
cucina, ma improvvisamente nella foga del gesto urtai un vecchio
vaso che immancabilmente cadde per terra e si ruppe. Tragedia!!!
Mi affrettai a raccogliere i pezzi e cercai di rendere il tutto il meno
evidente. Ma la missione non era finita. Il profumo inebriava
ancora l’intera casa, e mi decisi ad andare in cucina per
commettere il delitto di gola. Una volta arrivato davanti a tale
splendore rimasi colpito dal colore roseo e dal fantastico pan di
spagna. Tagliai una fetta e la gustai…Una meraviglia per il palato:
il rumore della forchetta era l’unico rumore della casa, finché non
arrivò mia madre, mi guardò, sorrise, mi offrì un’altra fetta!
ASPETTANDO IL PRANZO
di Antonio Finale
Al ritorno da scuola dopo sette ore di mancato cibo e di sofferenza
con i professori che ti interrogano senza tregua e senza capire che
sei stanco, con gente cioè compagni che neanche ti compatiscono
quando gli dici che hai fame e neanche per farti felice ti dicono
“anch’io”, come se gli dicessi una brutta cosa, ma direttamente
rispondono “va bene… tra cinque ore mangi” , “come???!!! tra
cinque ore mangio???!!“. Non ce la farò mai, il mio stomaco non
regge, ha bisogno di qualcosa di commestibile da poter masticare,
assaporarla e mandarla giù: là si che si raggiungerebbe la felicità.
Poi ci sono certuni che sono magri, non mangiano niente e poi a
casa o quando li inviti a casa tua si mangiano di tutto e di più e tu
rimani a bocca aperta e soprattutto senza cose deliziose nel frigo.
Dopo quelle sette ore, col pensiero che è sempre su quello che
mangerò a pranzo, finalmente si ritorna a casa, sempre con quel
pensiero che non sparisce mai, ma sfuggirà solo quando aprirò la
porta di casa. Apro la porta e, e non vedo niente tavola preparata e
nessuno in casa, e mi deprimo perché so che non ce la farò mai a
resistere ancora e che devo prepararmi il pranzo, in un certo
senso sono felicissimo, perché posso prepararmi tutto quello che
voglio senza nessuno che mi dica metti quello, quanti di grammi di
pasta calare su quella pentola, che quando la usa la mamma è
sempre pulita come l’oro, quando la uso io, da color argento
diventa color rosso salsa, ancora mi chiedo il perché. Apro il frigo,
con tanta felicità, e c’è il ben di dio, e penso che aumenterò di un
chilo ma non mi importava, non posso resistere alla tentazione mi
è impossibile con queste buone e adorabili cibi. Accendo i fornelli
e metto la pentola e aspetto che bolle, nel mentre preparo il
condimento, non poco, ma abbondante: il condimento è di
salsiccia e funghi porcini e salsa di funghi, davvero da leccarsi i
baffi. Finalmente bolle la pentola, metto la pasta e non mi basta
aspettare. Nell’attesa preparo la tavola e sono così ansioso di
saper come è venuta. Finalmente arriva l’ora che la pasta è pronta,
la scolo e la metto sul piatto e verso il condimento, dall’odore si
muore dalla voglia di mangiarla. Finalmente si mangia !!!
“A volte i sogni si avverano”
di Chiara Tobia
Mi ero appena appisolata sulla scrivania. Un attimo prima stavo
ripetendo la nuova lezione di Storia ed un attimo dopo mi sono
ritrovata nel corridoio di casa mia, almeno così sembrava. Le luci
dei faretti erano fioche e non si sentiva volare una mosca. Strano,
non si udiva neanche la voce di mio fratello che di solito trascorre
il tempo con quei giochi elettronici tanto estremamente rumorosi,
quanto divertenti. Non riuscivo a capire perché mi fossi alzata dal
letto, dato che erano giorni che non dormivo e la stanchezza stava
per avere la meglio su di me. In quell’attimo mi venne in mente
una motivazione abbastanza credibile: erano mesi che non
mangiavo quella deliziosa torta al cioccolato che la nonna
preparava per le occasioni speciali e come per caso, in quel
momento, mi era venuta voglia di assaggiarne anche solo una
fetta. Solitamente il corridoio di casa mia non è molto distante
dalla cucina, ma in quell’istante vedevo tutto così lontano. Il
percorso non era più rettilineo e uniforme come era sempre stato.
Era diventato la via di una città nell’ora di punta. Automobili e bus
ovunque, gente che urlava e che correva da un marciapiede
all’altro. Io ero scalza e potevo sentire l’asfalto bollente sotto i
piedi, una sensazione alquanto fastidiosa più che dolorosa.
Quell’insopportabile odore di smog e quel fumo grigio mi stavano
avvolgendo dalla testa ai piedi, facendomi sentire smarrita e
confusa. Tra quell’odore soffocante e quel fumo che mi
annebbiava i sensi, riuscii a sentire la fragranza dolce della torta
della nonna. Senza neanche farci caso, mi ritrovai con l’acquolina
in bocca, al solo pensiero di assaporare anche solo uno di quei
bocconi soffici, gustosi, di quelli che fanno danzare le papille
gustative. Ora era una questione di principio: dovevo mangiare
quella torta. Decisi allora di incamminarmi, seguendo ancora
quell’odore che, ahimè, mi giungeva alquanto sottile, a causa di
quegli odori forti accennati poco prima. Sottile, ma comunque
percepibile e sufficiente a rendermi ancora più decisa a
raggiungerlo. Iniziai a camminare seguendo un percorso
abbastanza semplice e poco accidentato. Il marciapiede non era
una superficie dura e uniforme, bensì una sorta di tavola di legno
d’acero, non troppo rigida. L’aroma della torta si faceva sempre
più intenso e forte. Mi ritrovai a salire delle scale, anch’esse di
legno, reggendomi ad una ringhiera cosparsa di rami di edera e
fiori di ciliegio. L’accostamento era così leggero, ma potevo
percepire le foglie e i petali che sfioravano appena la mia pelle,
quasi con delicatezza. In cima alle scale stava la figura di un
ragazzo che mi era molto familiare: era Christopher Harrison, quel
personaggio, frutto della mia immaginazione, che avevo inserito
nel libro che stavo scrivendo. I suoi capelli castani ricordavano
quasi il colore del cioccolato che rivestiva la torta della nonna. I
suoi occhi verdi le decorazioni che la nonna di solito metteva
intorno al piatto.
Si trattava di ramoscelli che avevano il puro scopo di “abbellire” il
dolce. Cosa voleva dire? Non ne avevo idea. Forse era una chiara
indicazione che stava per “Ci sei quasi”. Appena arrivai in cima alle
scale Chris era sparito. Mi guardai intorno, non riuscivo a vederlo.
Di ben evidente c’era solo ancora quella strada affollata. Alzai le
spalle e proseguii. Passai dinanzi ad una pasticceria “So Sweet”,
così si chiamava! In quell’istante la fragranza di tanti dolci diversi
quasi mi inebriò. Ero come avvolta da quell’aroma irresistibile. Ma
della torta della nonna ancora nessuna traccia. Continuai per la
mia strada, fino ad arrivare dinanzi ad un grande albero,
sembrava quasi quello del giardino della nonna. Altro indizio?
Chissà! Proseguii, ancora, dopo aver sfiorato quella ruvida
corteccia. Dopo poco giunsi davanti una porta, la aprii e vi entrai.
Era chiaramente una cucina. La cucina di casa mia. “Ho raggiunto
la meta!” Pensai. Ma nel momento in cui mi avvicinai alla torta che
stava sul tavolo, mi svegliai. Ero ancora con il viso appoggiato sul
libro di storia. In quel momento mia madre entrò nella mia
camera e mi disse che la nonna era venuta a farci visita e aveva
cucinato la sua “torta speciale”. Mi precipitai giù dalla sedia e corsi
in cucina, notando ancora una volta quella deliziosa torta sul
tavolo. L’aspetto era invitante come al solito. La glassa della torta
calda e quell’aroma inconfondibile e incredibilmente buono.
“Buono” potrebbe essere considerato un aggettivo infantile, ma
posso assicurare che è quello adatto per descrivere quel
meraviglioso odore. La torta era già pronta ad essere gustata.
Presi la mia fetta e mi lasciai andare a quel gusto così dolce e
perfetto. Sì, perfetto è un aggettivo ancora più adeguato per la
descrizione di quel dolce semplice, ma strabiliante.
C’è più gusto con un compleanno dimenticato
di Laura Schimmenti
Mi svegliai all’improvviso per il vociare dall’altoparlante di una
lambretta di passaggio. Continuava a gridare da quell’aggeggio
gracchiante, mentre proseguiva per la stradina lentamente. Nella
mia stanza non ci sono finestre, però si era sentito come se fosse
stato a due passi da me. “Cavolo!!! Proprio la domenica mattina
doveva passare questo screanzato? L’unico giorno in cui posso
dormire!” Non feci in tempo a formulare questi pensieri che il mio
stomaco iniziò a brontolare sonoramente. Già, perché quando
sono nervosa mi viene fame. Solo che non avevo alcuna intenzione
di uscire dal piumone caldo e poggiare i piedi sul pavimento
freddo. Rabbrividii al pensiero. Però il mio stomaco non voleva
saperne di lasciarmi stare. E poi l’odore di dolci che mamma aveva
preparato si era diffuso per tutta la casa sino ad arrivare alla mia
stanza. Ero in preda ad una delle scelte più complesse della mia
esistenza: rimanere a letto e riaddormentarmi dato che era
domenica o alzarmi e rifocillarmi con calma e durante la
settimana non mi è mai possibile perché altrimenti perdo il bus.
Alla fine mi venne un’idea: presi il cellulare dalla scrivania e
controllai l’orario. A quest’ora di domenica mattina in casa non
c’era solitamente nessuno; mamma e mia sorella erano ancora a
messa, mentre papà era a lavoro! Con uno sforzo immane scostai
tutte le lenzuola e il piumone e scesi dalla scaletta di metallo
letteralmente congelata. Cercai di non badarci più di tanto,
ripetendomi che avrei fatto in fretta. Poggiai i piedi sul tappeto, e
notai che non c’erano le ciabatte. Sbuffai, aprendo la porta
scorrevole e guardando la distanza che separava la mia stanza
dalla cucina. Aprendola, una folata di fragranze diverse mi fece
venire i brividi per la fame. Mi staccai dal tappeto e feci qualche
passo, ma appena poggiai il palmo del piede sul pavimento
tremendamente freddo, cacciai un urlo e ritornai sul tappeto. La
fame era insopportabile quanto rumoroso il mio stomaco. Guardai
per terra e notai gli altri tappeti sparpagliati per terra. Feci un
balzo e mi spostai su quello più avanti, e così con gli altri, e già mi
trovavo nel corridoio. Percorsi il lungo tappeto del corridoio a
passi veloci. Il profumo di pasta frolla era sempre più intenso,
come anche il rum e l’odore dei pancakes. La fine del tappeto
coincideva con la soglia della porta della cucina. Quale meraviglia
si presentava ai miei occhi! Incurante del pavimento ghiacciato
corsi in punta di piedi sulla sedia e osservai la tavola ricoperta di
una miriade di dolci diversi. Pancakes, tartine alla frutta in crema
gialla e panna con le fragoline, cannoli alla crema e alla ricotta,
croissant al cioccolato, ricotta e marmellata e infine, ma non meno
importante una terrina con quadruplo strato di tiramisù che
aveva fatto mamma! Urca, da sbavo! Quanta roba da mangiare.
Un ragazzo non mi renderebbe mai più felice del cibo! Sembrava
un peccato però mangiare tutto! Mi sedetti e trovai un bigliettino.
Lo aprii, dicendomi che tutto questo non poteva essere solo per
me e che da qualche parte ci stava la fregatura, e lo lessi. Recitava
precisamente: “Ciao figlia! Immaginavo che ti saresti dimenticata il
tuo compleanno, quindi eccoti un piccolo regalino da parte mia. Ps:
Non mangiare tutto il tiramisù che tuo padre vuole assaggiarlo. Ps:
BUON COMPLEANNO!” Che pensiero carino! Mi dissi, mentre
avevo già sbafato tre quarti di cibo.
Un’amara sorpresa
di Martina Fricano
Studiavo già da circa 3 ore, erano le 18:00, avevo studiato chimica
tutto il pomeriggio. Mi alzai per fare una piccola pausa, c’era un
caldo infernale, accesi l’aria condizionata e mi distesi sul letto;
stavo per appisolarmi quando ad un tratto sentì un rumore
provenire dalla cucina; mia madre era ai fornelli da circa due ore,
quella sera mio padre aveva invitato alcuni suo colleghi a cena.
Mi precipitai subito lì, per vedere qual era la causa di quel rumore
assordante; trovai mia madre per terra con tutta la farina sui
capelli, invece di chiederle se stava bene scoppiai subito a ridere
non riuscendo a trattenermi. Dopo essermi calmata l’aiutai ad
alzarsi e pulì il pavimento sporco di farina.
Erano già le 18:30, gli ospiti sarebbero dovuti arrivare alle 19:00 e
mia madre non aveva ancora preparato il dessert, mi chiese di
aiutarla: d’altronde doveva preparare il mio dolce preferito come
potevo dirle di no.
Versai la candida farina nel recipiente, aggiunsi il cacao amaro, lo
zucchero e il latte, iniziai a mescolare con una frusta da cucina ma
dopo, per far si che l’impasto risultasse più soffice, immersi le dita
nell’impasto e continuai a mescolare, subito notai che c’erano
ancora molti grumi perciò cominciai a mescolare un po’ più
velocemente per rendere l’impasto più vellutato.
Versai l’impasto nelle formine a forma di stella e le infornai,
dovevano cuocere per circa 20
minuti, quindi intanto tornai in camera per finire di studiare. Mia
madre nel frattempo continuava a preparare la cena.
Dopo circa 15 minuti tornai un cucina per controllare se i muffin
erano pronti: aprii il forno, presi uno stecchino e lo infilai in un
muffin, erano ancora un po’ troppo soffici, quindi richiusi il forno
e li lasciai cucinare per altri cinque minuti.
Dopo averli sfornati li posai su un vassoio, di un fantastico color
corallo, pronti per essere serviti. Non riuscivo a resistere al quel
dolce profumo di cioccolato. Decisi, quindi, di assaggiarne uno
senza farmi scoprire da mamma però. Stavo per addentare il
muffin quando sentii la voce di mia madre che gridava di andarmi
a preparare per la cena, così con l’acquolina in bocca riposai il
muffin sul vassoio e andai a prepararmi.
Gli ospiti arrivarono puntuali e dopo aver fatto vedere loro la casa
ci sedemmo finalmente a tavola, avevo una fame da lupi,
soprattutto non vedevo l’ora di poter mangiare i miei muffin, che
avevo preparato con tanto amore e pazienza.
La cena era buonissima, mia madre aveva davvero fatto del suo
meglio; finalmente eravamo arrivati al dessert mia madre mi
chiese di andare a prendere i muffin in cucina, subito mi alzai e mi
avviai verso la cucina; prima di portare il vassoio in salotto però
presi un muffin e lo conservai nella dispensa, in caso di notte mi
fosse venuta fame. Arrivata a tavola presi un muffin e finalmente
riuscii a gustarne uno, gli ingredienti fra di loro formavano un mix
perfetto, riuscii a sentire anche il gusto del mio ingrediente
segreto, la fragranza dello zucchero di canna era fantastica.
Quando diedi il secondo morso il mondo sembrava essere
perfetto, nulla potevi rendermi triste con un muffin al cioccolato
in mano.
Verso mezzanotte finalmente mi misi a dormire, ma come da
programma verso le 3 di notte mi venne una voglia pazzesca di
quel muffin che avevo conservato nella dispensa.
Purtroppo, mi aspettava un’amara sorpresa: il muffin l’aveva già
mangiato il mio fratellino più piccolo. Così triste tornai a letto, ma
il giorno dopo desideravo tanto mangiarne un altro che li preparai
nuovamente ma stavolta li avevo nascosti in un posto più sicuro.
L’effetto che fa
di Francesca Artale
Fuori fioccava da quasi tre ore ormai. Il gelo era appostato appena
fuori dalle mura di casa cercando di introdursi al suo interno da
qualche fessura, ma invano. Il fuoco nel camino crepitava
allegramente scoppiettando come il pop corn e Bonnie era seduta
sul davanzale della finestra avviluppata nel suo plaid preferito che
odorava di infanzia e sonnellini pomeridiani. Le piaceva molto
stare immersa nel silenzio di casa sua ad osservare i fiocchi di
neve scendere dolcemente a imbiancare tutto il paesaggio. Lo
faceva sempre: stesso posto, stessa coperta. L’unica differenza era
la compagnia. Ser, il suo gattino nero, era solito acciambellarsi
sulle sue gambe facendo le fusa a più non posso osservandola con
i suoi occhioni color oro che quasi parlavano. “Accarezzami, sento
freddo!” sembrava quasi implorarla. Un miagolio appena e Bonnie
faceva emergere la mano da sotto il plaid posizionandola appena
sopra la testa del micio che prontamente allungava il collo
cercando (e trovando) il calore della mano della sua padroncina.
Ser era scomparso, da quasi un anno ormai. Bonnie indugiò
troppo a lungo su quel ricordo, una lacrima le solcò il viso e le era
fin troppo chiaro che quando la malinconia e la tristezza
minacciavano di rovinare una splendida giornata come quella
c’era soltanto una cosa da fare: sorseggiare una cioccolata calda.
Certo l’idea di dover abbandonare il suo caldo rifugio la infastidiva
un po’, ma cosa non si farebbe per una tazza di cioccolata calda
fumante, nera, in perfetto contrasto col colore e la temperatura di
tutto ciò che vi era al di fuori della finestra? La prefigurazione di
quell’immagine idilliaca le fece venire l’acquolina in bocca così,
presasi di coraggio, si alzò poggiandosi il plaid sulle spalle. Adesso
non restava che scendere al piano di sotto e sperare di avere
l’occorrente per preparare la sua personale medicina contro la
tristezza. Scese i gradini lentamente in un primo momento, quasi
volando sugli ultimi e fece il suo ingresso nel salotto avvolta dalla
coperta, una specie di mantello. Sembrava una supereroina dei
golosi, pronta a tutto pur di bere la sua tazza fumante di cioccolata
calda! Evitò per un pelo la collisione con la libreria appena dietro
l’angolo e, stringendosi ancora di più nella coperta, entrò in cucina
affrontando con coraggio il freddo che era il padrone di quella
stanza non essendoci riscaldamento, una vera e propria
supereroina. Esitò, però, davanti la credenza, non ricordava dove
l’avrebbe potuto poggiare così si mise a rovistare fra le varie
scatole e finalmente, sul fondo, individuò una scatolina azzurra,
dentro c’era l’ultima bustina bianca. La vista di quella scatola la
rallegrò e un sorriso sbocciò sul suo viso come un fiore in
primavera, l’afferrò e si mise ai fornelli mettendo a bollire il latte.
Non appena raggiunse la temperatura adatta aprì la busta e versò
il contenuto all’interno del tegamino. Il preparato aveva disegnato
come una girandola nera sul bianco del latte e questo la rallegrò
ancora di più, adorava le girandole. Prese un cucchiaio e cominciò
a mescolare creando e disfacendo disegni sempre più diversi fino
a quando il colore non diventò uniforme. La cucina era invasa da
un odore dolciastro, tutto appariva marrone agli occhi di Bonnie, il
profumo del cioccolato aveva tinto le pareti facendole risplendere
di un bellissimo color nocciola. Finalmente la cioccolata si era
addensata al punto giusto. Così la ragazza prese la sua tazza
preferita, una tazza stretta e lunga, allegra, decorata con un
magnifico arcobaleno, e versò al suo interno la cioccolata tanto
desiderata. Con lo scorrere del liquido scorrevano anche le
sensazioni che si impossessavano di Bonnie che da trepidante
diventò spaventata: una volta che sarebbe finita, cosa sarebbe
successo? Chi l’avrebbe riscaldata? Chi le avrebbe fatto
compagnia? No, non era questo il momento di pensarci. In fondo
la tazza di cioccolata calda le serviva proprio a non pensare a tutto
ciò che le mancava e di cui aveva più bisogno, non per aggiungere
altre preoccupazioni a quelle che già la tenevano sveglia la sera. Si
voltò verso destra ricordando che Ser era solito far capolino dalla
porta quando si accorgeva che Bonnie stava trafficando ai fornelli.
Cercò di cacciare quel ricordo e voltandosi dall’altro lato tornò in
salotto tenendo con entrambe le mani la tazza fumante che adesso
aveva rallegrato tutta la casa. Andò a sedersi sul divano di fronte
la libreria che precedentemente aveva scansato appena e,
volgendo lo sguardo alla porta d’ingresso non molto distante da lì,
bevve il primo sorso accogliendo benevolmente il calore e il gusto
deciso che le pervase la bocca. Il sapore dolce era così in contrasto
con l’asprezza che caratterizzava la sua vita che si stupì nel
rendersi conto che tutto il suo vivere era incentrato nel perenne
alternarsi dei contrari. La cioccolata l’aveva riscaldata come una
seconda coperta, riportando la sua mente alla serenità, così
continuò a sorseggiarla sempre più allegramente quando,
all’improvviso, il silenzio del mondo fu interrotto da un leggero
miagolio. Bonnie rivolse immediatamente lo sguardo alla porta
d’ingresso e si accorse che il miagolio veniva da lì. “Probabilmente
sarà qualche gatto randagio, non posso lasciarlo sotto la neve!”.
Così si alzò poggiando la cioccolata sul bracciolo del divanetto e
andò davanti la porta, la mano a pochi centimetri dalla maniglia.
Un altro miagolio, più sommesso stavolta, e Bonnie aprì la porta
con decisione. Su ciò che si intravedeva dello zerbino ricoperto
dalla neve c’era un gattino, non poteva avere più di quattro mesi.
Un punto nero su un foglio bianco, un nuovo inizio segnato sulla
pagina della vita della ragazza. Lo prese in braccio incurante della
coperta che le era scivolata dalle spalle finendo sul pavimento. Il
gelo ormai aveva avuto modo di introdursi in casa, ma era
finalmente stato bandito dalla vita di Bonnie.
La crociera e i due americani
di Ylenia Giangrasso
Mi trovavo in crociera durante il mio viaggio di nozze e
passeggiavo lungo la prua della nave per aspettare che si
facessero le 20:30, l’ora di cena. Finalmente si mangia!
Io e mio marito ci sedemmo e cercammo di scegliere ciò che ci
andava da mangiare; nel frattempo vidi una coppia di anziani
americani, abbastanza ciccioni, che mangiavano ricci di mare,
pasta con vongole, pesce spada, tonno affumicato e tante altre
cose, nonostante il medico avesse loro prescritto una dieta
ipocalorica. In effetti, il marito Winston Johnson, pochi giorni
prima, era stato soccorso proprio in crociera dal medico di bordo
per un attacco iperglicemico e la moglie Flora Johns, bulimica, non
si era trattenuta dall’agguantare non pochi dolci mediterranei dal
davanzale della pasticceria di bordo, Belle epoche, non senza i
rimproveri di Manuel Rodriguez, l’addetto alla pasticceria e amico
d’infanzia di Flora Jonhs. Evidentemente il motivo del perché loro
erano così morbosamente attaccati al cibo era il fatto che Flora
Jonhs da giovane era una modella e dopo pochi anni dalla sua
carriera, aveva incontrato Winston Jonhson ad una sfilata. I due si
sposarono ed ebbero un figlio meraviglioso che purtroppo dopo
poco tempo dalla sua nascita era morto a causa di un tumore alla
pelle. I due genitori erano rimasti sconvolti da questa notizia e
avevano cominciato ad essere depressi e a mangiare
continuamente dolci e varie altre cose evidentemente per una
mancanza d’affetto. Infatti, tutti i centri commerciali e
supermercati erano frequentemente visitati dai due. Adesso una
volte al mese, i due si ritrovavano a fare una crociera forse perché
solamente sulla nave i due riuscivano ad immischiarsi tra la gente
comune e quindi non erano riconosciuti da nessuno. Non a caso,
ritornando al discorso precedente, proprio io non sono tanto
amante del pesce ma, quell’odorino che sentivo passare sotto il
mio naso, mi fece venir la voglia di ordinare al cameriere le stesse
cose che avevano ordinato quei due anziani e allora chiesi al
cameriere: “scusi, potrebbe portarci gentilmente la pasta con
vongole, il tonno affumicato, i ricci di mare e il pesce spada?” e lui
rispose: “si certamente signorina”. Ma nell’istante in cui il
cameriere stava per portarci il cibo ordinato, inciampò e cadde,
facendo cascare giù il tutto. Cercai di aiutarlo il più possibile,
raccogliendo tutto il cibo cascato per terra. Ad un certo punto il
cameriere riordinò il tutto e finalmente arrivò quel mangiare
tanto atteso. Gustai con tanto amore quei ricci di mare che
facevano ricordare il mare nel quale erano vissuti poco tempo
prima. Alla fine della crociera si venne a sapere che Flora Johns si
buttò dalla nave per una sua fissazione sull’obesità.
La torta della zia
di Valentina Cannata
Era una giornata molto bella, con un sole che spaccava le pietre.
Sono uscita per passeggiare il cane e al rientro trovai la zia che
preparava qualcosa di molto buono. Cosi decisi di farmi una
doccia per poi studiare. Mentre studiavo sentivo un bell’odore, era
l’odore di una torta. La tentazione di mangiarla era tanta, ma
dovevo prima finire di studiare, perché il giorno seguente avrei
avuto interrogazione e non potevo permettermi di prendere un
impreparato.
Dopo circa un’oretta mi sono presa una pausa per rilassarmi un
po’ e poi tornare a studiare. Esco dalla mia stanza e durante il
tragitto sbatto nella poltrona del salone e successivamente nello
spigolo del tavolo. Più mi avvicinavo alla cucina più sentivo
l’odore della torta. Arrivata alla mia destinazione vidi questa torta
di bell’aspetto con degli smarties sopra e lo zucchero a velo. Solo
guardandola avevo già tanta voglia di mangiarla tutta senza
aspettare di finire il primo pezzo. Mentre la tagliavo si sentiva il
rumore del coltello che arrivava fino in fondo toccando il piatto ed
ecco che dopo aver finito di tagliarla portai la torta alla bocca. Era
così buona che avrei voluto rimanere a mangiarla tutta.
Purtroppo, arrivò mio fratello che pur avendo tre anni ha una
voce molto stridula che si sentiva già dal piano di sotto. Arrivato a
casa, si mise a mangiare la torta con me e il sogno di poterla
mangiare tutta svanì nel nulla. Cosi tornai a studiare e ancora una
volta, durante il tragitto sbattei il ginocchio nella poltrona, quella
maledetta poltrona che dimentico sempre di scansare.
Mentre studiavo ancora, dopo la pausa, il mio cane si mise ad
abbaiare e così dovetti farlo scendere un’altra volta per farlo
calmare. Erano le sei del pomeriggio e c’era molta confusione per
strada dato che molta gente aveva finito di lavorare e stava
rientrando a casa. C’era puzza di smog per le troppe macchine e si
sentiva l’abbaiare del mio e degli altri cani che volevano giocare. Si
sentivano anche le campane che segnavano l’ora.
La testa cominciava a farmi male e così decisi di ritornare a casa.
Quando rientrai vidi la zia e la mamma che avevano cominciato a
preparare la cena. Ero talmente stanca e assonnata da non poter
più riuscire a studiare così raggiunsi la cucina e cominciai ad
aiutare la mamma. Mentre cucinavo, mangiavo tutto quello che
avanzava e la mamma mi rimproverava. Avevo talmente tanta
voglia di mangiare che l’insalata che stavo preparando finì in un
battibaleno. Era molto buona e tanto condita e mentre la
mangiavo si sentiva il lieve rumore delle foglie di lattuga. Dopo
aver finito di cenare mi misi a ripassare tutto quello che avevo
studiato il pomeriggio ed essendo molto stanca mi addormentai
sui libri. Dopo un paio d’ore la mamma mi svegliò per farmi
mettere a letto e mi accorsi di avere il torcicollo. Così seguii il
consiglio di mamma e il mattino seguente era tutto passato. Era
stata un giornata faticosa ma in fondo anche molto allegra perché
la zia non prepara mai torte ma stavolta si. È come se in lei ci fosse
stato un cambiamento. Ricorderò questa giornata per sempre
perché per una volta anche la zia ha contribuito a rendermi felice
e non solo con la sua torta ma anche con l’allegria. Mentre
preparava la torta canticchiava e questo fece in modo che in casa
ci fosse serenità.
Alla fiera di Sciacca
di Linda Di Leonardo
Era Natale. Il piccolo Mimmo stava camminando per le strade di
Sciacca dove si teneva la più grande fiera natalizia dei dintorni.
Grandi abeti di un verde limpido adornati con centinaia di luci
colorate e fosforescenti ricoprivano ogni angolo della città,
un’infinità di addobbi rossi e dorati costellavano i lampioni ai
bordi delle strade e il tintinnio delle campane in festa della chiesa
San Francesco rimbombava dolcemente in tutto il paese insieme
al melodioso canto degli usignoli. Enormi gazebo di oggettistica di
ogni tipo si disponevano a schiera lungo il corso principale.
Mimmo quel corso lo stava attraversando con il sorriso a
trentadue denti, affascinato, incuriosito e allo stesso tempo
meravigliato da tutti quei rumori, da tutte quelle persone che
freneticamente correvano qua e là senza sosta alla ricerca
dell’offerta migliore, da tutte quelle lampadine luccicanti che
quasi gli sembravano dei semafori, da tutte quelle famiglie che
felici stringevano i propri i figli raccomandandogli di non perdersi
o farsi male giocando. Qui il piccolo Mimmo ebbe un attimo di
esitazione, il suo sguardo ingenuo sprofondò in una voragine di
infantile malinconia, lui una madre e un padre non li aveva. O
forse sì, da qualche parte del mondo, in chissà quale regione
sconosciuta dell’universo probabilmente esistevano, ma lui in
sette anni di vita trascorsi fra orfanotrofi e case famiglia non li
aveva mai conosciuti ma sapeva che un giorno li avrebbe
incontrati, magari con l’aiuto di una fata turchina, di una lampada
magica o di tanti folletti verdi. Gli occhi vuoti e tristi di Mimmo
furono improvvisamente illuminati e ravvivati da una paradisiaca
e quasi fiabesca apparizione. Era lì in fondo alla strada, un
immenso padiglione di salumi e formaggi circondato da una
moltitudine di ghirlande rosse e blu intrecciate tra loro e da una
serie di faville scintillanti che scoppiettavano creando quasi un
piccolo spettacolo pirotecnico. Mimmo stette qualche secondo
immobile ad ammirare e ad ascoltare quella meravigliosa
rappresentazione. Era scappato già da tre giorni dall’ultimo
orfanotrofio a cui era stato affidato e per tre giorni aveva dormito
sui cartoni di barboni, aveva bevuto acqua piovana e non era
riuscito a rimediare niente da mangiare. Aveva tanta fame, più di
quanto ne avesse mai avuta in tutti quegli istituti putridi che
quotidianamente gli avevano servito pane duro e una salsina
insipida e acquosa. Adesso, finalmente, lentamente si dirigeva
verso quel padiglione, gustando e assaporando con la mente e con
il pensiero quegli invitanti formaggi svizzeri e quell'appetitoso
prosciutto che sporgeva dal bancone dei salumi e sperava che un
uomo generoso e di buon cuore gliene avrebbe offerto anche
soltanto una fetta.
Un desiderio….gelato
di Federica Ceraulo
Era un caldo, afoso pomeriggio d’ estate quando decisi di andare a
fare una corsa salutale in riva al mare, nei pressi di un’immensa
spiaggia sabbiosa per poi degustare un gelato dissetante. Per
raggiungere la mia agognata meta dovetti attraversare la mia
amata stradina: era stretta ma piuttosto luminosa e si respirava
l’allegria delle persone che passeggiando rilassatamente si
dilettavano ora chiacchierando ora ridacchiando insieme,
prendendosi beffa di un’anziana signora un po’ strana e
misteriosa. Ero immersa nei miei pensieri quando tutt’un tratto il
mio cellulare squillò. Arrestando il passo cautamente, sfiorando il
tasto verde sullo screen del mio touch risposi e leggendo il nome
della mia migliore amica subito, si irradiò un sorriso sul mio viso
tale da sprigionare tanta euforia da far brillare di felicità tutto ciò
che mi circondava. Aveva appena concluso di elaborare le sue
“sudate carte” -‐ stava scrivendo una nuova canzone -‐ ed essendo
molto stanca mi aveva invitato per una passeggiata. Avendo già
deciso di andare a correre in riva al mare le esposi la mia
intenzione e la invitai: lei accettò con piacere e cosi ci mettemmo
d’accordo sul punto d’ incontro: decidemmo di vederci in seguito
al prato verde vicino casa sua. Per raggiungere la casa della mia
cara amica decisi di prendere una scorciatoia che mi avrebbe
avvantaggiata nell’ arrivare puntuale al prato verde! Dopo qualche
minuto di cammino arrivai; essendo in ritardo di dieci minuti la
trovai ad aspettarmi adagiata su una panchina in tenuta ginnica:
indossava pantaloncini corti, che mettevano in risalto i suoi
muscoli, top scollato che esaltava le sue doti fisiche. Intanto
canticchiava il grazioso nuovo motivetto appena composto, per
distrarsi dalla frenesia dell’ attesa. Mi scusai con un caloroso
abbraccio stringendo la mia guancia “appiccicosa” alla sua.
Arrivammo alla stazione, prendemmo il treno e in poco tempo
giungemmo a destinazione; da lì si scorgeva infatti il quieto mare
blu che scintillava col chiarore dei raggi del sole. Passammo molte
ore correndo affannosamente in riva al mare chiacchierando sulla
giornata trascorsa, sulle noiose ore di scuola, sui molteplici
impegni pomeridiani e su alcuni “gossip” che rimangono
intrappolati nelle stanze più segrete del cuore, perdemmo la
concezione del tempo … il sole stava già calando ed il cielo si era
colorato di un rosa-‐aranciato intenso che inteneriva il cuore con
caratteri romantici. Fu così che ripensammo ai nostri morosi ed
intendendoci con un solo sguardo scoppiammo a ridere, con il
fragore della complicità che accomuna due amiche.
Guardammo l’orologio e ci accorgemmo che rimanevano soltanto
gli ultimi trenta minuti e decidemmo così di passarli in un
posticino chiamato “il bar del buon gelato”. Non appena lessi il
sostantivo gelato le mia papille gustative andarono in visibilio e
mi venne l’acquolina in bocca Entrammo subito nel bar: era
spazioso arredato in stile moderno, il colore delle pareti era di un
rosso molto vivace ed era in pendant con il parquet in legno.
Essendo più indecisa della mia amica, persi cinque minuti di
tempo per decidere i gusti del gelato; lo desideravo talmente tanto
che ero persa nello scorgere il gusto più innovativo e succulento:
avrei voluto prenderli tutti con un enorme cucchiaio e mangiarne
a sazietà ponendoli in cima ad un cono immenso. Fui richiamata
alla realtà dal gelataio che tentava di calmare il fragore della folla
innervosita dall’attesa. Con le labbra desiderose di mordere quel
gelato dissi, incespicando, caffè e cioccolato. Mi parve un sogno
realizzato e già ne pregustavo il sapore e sentivo l’ odore acre del
caffè e dolce del cioccolato). Afferratolo bramosamente tra le mani
diedi il primo morso e subito la mia bocca si cosparse di quel
dolce amaro che mi trasmise un brivido lungo la schiena e gelò i
miei denti. Io e la mia amica deliziate dal buon gelato ci
dirigemmo verso la stazione e ritornammo a casa, ci separammo
con un altro caloroso abbraccio e avvolti dall’ebbrezza della sera
mi incamminai sulla via di casa scrutando il paesaggio circostante
ripensando alla fantastica giornata che era al volgersi della sera.
Una meravigliosa giornata
di Giulia Greco
Dopo una lunga settimana passata a lavorare, decisi di andare a
trascorrere il week end in montagna dalla mia famiglia. Arrivata
in montagna, non potei fare a meno di notare quella grande
quercia ormai invecchiata che era cresciuta insieme a me ed io
non me ne ero resa conto; la guardai senza parlare per due ore e
pensai a quando ero piccola e passavo le giornate a giocare con le
amiche accanto alla mia adorata quercia. In particolare pensai a
quella meravigliosa giornata.
Era una giornata estiva; avevo appena quindici anni e come
d'abitudine avevo trascorso l'intero pomeriggio a giocare, ma ad
un certo punto mi stancai e mi riposai nell'amaca attaccata alla
quercia. Fu lì che iniziai a sentire quello strano odore; era un
odore che non avevo mai sentito prima, uno di quelli che ti fanno
venire l'acquolina in bocca. In quel momento realizzai che non
potevo fare a meno di scoprire da dove provenisse quel profumo.
Speravo arrivasse da casa mia, così che anch'io avrei potuto
assaggiare quella squisitezza. E così fu perché, ad un certo punto,
mi accorsi che quello strano odore proveniva veramente da casa
mia e, con aria incuriosita, mi diressi velocemente alla porta di
casa. Aprii la porta e sentii il rumore del mestolo che mia madre
girava in maniera centrifuga e le bolle scoppiettanti dell'olio caldo.
Mia madre venne verso di me con aria soddisfatta e con il
grembiule tutto sporco di sugo dicendo: “la nonna Concetta è
venuta a trovarci! Sta preparando la parmigiana, vieni ad
aiutarci”.
Io non avevo mai mangiato la parmigiana, ma il solo pensiero di
degustare qualcosa di nuovo mi procurava brividi alla pelle.
Vedere le melanzane diventare quasi dorate e sentire scoppiettare
l'olio, mi mise un languorino allo stomaco. In quel momento sentii
la mia piccola pancia brontolare e capii, allora, che non potevo più
fare a meno di assaggiare qualcosa.
Così, mentre mia madre e mia nonna si distrassero un attimo, ne
presi una e la addentai. Erano talmente buone che non mi resi
conto di averle finite tutte. Per fortuna mia madre ne stava
preparando due teglie, quindi non rovinai la cena a nessuno. Quel
giorno mi presi un bel rimprovero, ma ne valse la pena.
Entrando a casa trovo mia madre seduta sul divano, vado da lei e
le racconto ciò; lei mi guarda, mi sorride e mi indica con lo
sguardo il tavolo. Mi ha fatto una sorpresa! Ancora una volta mi ha
fatto trovare il mio cibo preferito; mmm.. che fame!
Una passeggiata nel bosco con il nonno
di Adriana Mancarella
Era il mese di Ottobre, mi ero appena svegliata quando ebbi in
mente di andare per il bosco col nonno alla ricerca di quei
deliziosi funghi porcini che desideravo da circa una settimana.
Svegliai il nonno, ci vestimmo ed iniziammo la nostra ricerca.
Indossai una tuta in cotone, non immaginando il clima fresco che
invece caratterizzava il bosco. Senza dubbio era un clima
piacevole ma anche un po’ fastidioso per la mia ricerca. Dopo circa
dieci minuti di cammino a passo lento, ci ritrovammo nel cuore
del bosco. Era un boschetto fitto fitto dove l'ombra dei pini mi
dava respiro, l'odore della resina degli alberi, il cinguettio degli
uccellini davano respiro anche al mio cuore che si rilassava dopo
una settimana intensa. Vidi da lontano una varietà di funghi dal
color marroncino chiaro che fece abbagliare i miei occhi: infatti,
immaginavo già me, il nonno e la mamma pregustare quel piatto
di sfornato ai funghi seduti attorno al camino con un’atmosfera
candida attorno. Lasciata alle spalle la mia immaginazione
raggiunsi il nonno che stava dinnanzi a me di circa quattro metri.
Man mano che avanzavo il cielo, piuttosto grigio e cupo, andava
schiarendosi; all’improvviso, infatti, un raggio di sole penetrò tra i
pini fino ad illuminare il mio percorso. Si trattava di un raggio cosi
dorato che ogni cosa attorno diventò tale…
Mio nonno era un tipo puntiglioso: percepii all’istante che la
ricerca dei miei prelibati funghi sarebbe stata più difficile di come
l’avevo immaginata. Lui, infatti, non faceva che ripetermi ” Matilde
stai attenta, non toccare mai nulla senza il mio consenso, potresti
incontrare una varietà di funghi velenosa che sarebbe nociva per
noi umani”.
Io ascoltavo le parole del nonno con attenzione, anche se la mia
curiosità mi aveva spinto più volte a disubbidire.
Inaspettatamente sembrava che tutto attorno a me fosse divenuto
nulla. La ricerca dei funghi sembrava esser passata in secondo
piano, fui immersa in quell’atmosfera così calma e quasi surreale
che caratterizzava quel luogo. La voce del nonno interruppe il mio
fantasticare; mi sentii chiamare e voltandomi vidi il nonno farmi
cenno di raggiungerlo. Calpestando quel sentiero di foglie secche
mi precipitai da lui e dai tre enormi cesti colmi di funghi porcini.
Era arrivata l’ora di tornare a casa e finalmente quel delizioso
sformato di funghi sarebbe stato mio! Appena entrammo nella
nostra piccola casetta costruita con materiale in legno sentii il
calore del camino attraversare la mia pelle. La mamma si mise
immediatamente ai fornelli e dopo aver lavato e pulito
accuratamente i funghi iniziò la base per lo sformato.
Nel frattempo io avevo iniziato a svestirmi per potermi lavare e
riscaldare un po’ nella mia comoda vasca da bagno. Non appena
mi immersi in quell’acqua così calda, mi tornò in bocca
quell’acquolina, allora decisi di sbrigarmi e nel giro di pochi
minuti fui pronta per il pranzo. La mamma nel frattempo aveva
ultimato lo strato di sformato sovrastante con le più ricche varietà
di formaggi. La mia attesa si faceva sempre più spossante: non
potevo resistere ancora per molto.
D’altronde dovevo aspettare e, dopo, avrei avuto la mia super
porzione. Per distrarmi decisi di prendere un libro. Mi capitò tra le
mani “Giovani Principesse”, un libro piuttosto interessante che
avevo già letto precedentemente. Nonostante la mia giovane età
mi piaceva leggere libri di alta elitè: credevo e credo tutt’ora che
mi avrebbero formato in maniera più consona. Iniziai a leggere la
prima pagina, nonostante non fosse la prima volta, quel libro
riusciva ad estrapolarmi dalla realtà ed a non farmi pensare più a
nulla, ma all’improvviso un languore allo stomaco mi fece
ritornare alla realtà e ripensare a quell’invitante sformato ai
funghi.
Mi alzai dalla poltrona e balzai in cucina chiesi alla mamma se era
pronto, ma lei a malincuore mi rispose che dovevo pazientare
ancora un po’. Per distrarmi nuovamente provai ad accendere il
pc per compilare qualche cruciverba.
Mi ero quasi convinta che questo mi avrebbe aiutata a non
pensare e così fu. Inaspettatamente un’inserzione mi apparve
sullo schermo: parlava di un corso di cucina che avrebbe dovuto
svolgersi in città quel fine settimana. Cosi il mio stomaco riprese a
farsi sentire ed allora pensai che nulla avrebbe potuto distrarmi.
Così spensi il computer e mi sdraiai sul mio letto a pensare un po’,
ripensai al mio ultimo compleanno avvenuto pochi giorni prima,
nel quale avevo invitato tutti i miei amici, fu una festa ricca di
sorprese, dai colori dei festoni che mai avrei potuto immaginare
fossero stai scelti da mia mamma, alla deliziosa e coloratissima
torta che il nonno mi fece preparare, ma così ritornai a pensare al
cibo. Mi accorsi che i minuti erano passati velocemente e
finalmente la mamma urlò: “Matilde vieni a tavola, è pronto lo
sformato”.
Balzai dal mio letto rosso e verde e mi diressi come un uragano
verso la cucina.
Adesso non dovevo più attendere! Quello sformato era finalmente
mio!
La frittata
di Francesca Fontana
Sono sul balcone di casa mia e osservo le auto che passano
velocemente, alzo gli occhi e comincio a contare le stelle, quando
ad un tratto un buon odore mi distrae. Non riesco a distinguere di
quale pietanza si tratti, è un insieme di odori, forse quello del pane
fragrante appena sfornato a quello di una frittata appena
cucinata. È la mia vicina che sta preparando la cena! Mi viene un
forte languorino. Quasi, quasi vorrei ritrovarmi là seduta a quella
tavola con loro per assaggiare il gustoso risultato che danno
quattro uova fritte in padella.
È scortese autoinvitarsi a cena, soprattutto da una vicina di casa
con la quale scambio solo un saluto la mattina prima di andare a
scuola, mentre lei stende i panni appena lavati. Allora comincio a
pensare, perché la voglia di mettere dentro almeno un boccone di
quella pietanza è troppa. Improvvisamente un'idea! Apro il
frigorifero e mi accorgo che ci sono due uova, sembra quasi che mi
stessero aspettando lì immobili.
Le picchetto su un piatto si rompono e comincio a girare
fortemente con una forchetta per far amalgamare bene tra loro
tuorlo e albume; apro il cassetto nel quale tengo il contenitore con
il pangrattato, ne aggiungo un poco alle uova. Adesso manca solo
una manciata di formaggio e un pizzico di sale ed ecco il mio
desiderio esaudito! Il composto si sparge sulla padella
antiaderente e comincia a crearsi un soffice e morbido strato di
frittata. L'odore è molto gradevole e una volta pronta ne mangio
subito un boccone ma ancora scotta e la mia lingua sembra andare
a fuoco. Subito dopo aver bevuto un bicchiere d'acqua, riesco ad
assaporare la mia gustosa pietanza. Sto per mangiarla tutta ma poi
penso: "ne conservo un po', perché sono sicura che i miei familiari,
entrando in casa, non sapranno resistere al buon profumo che la
padella fumante ancora emana!"
Rimando al passato
di Giada Tomaselli
Erano ormai le 19:57 l’ora di cena era sempre più vicina, quando il
direttore si precipitò nel mio ufficio: “assemblea straordinaria,
assemblea straordinaria”. Mi sembrò un incubo. Quelle parole
risuonavano nella mia mente così forte e così insistentemente che
mi martellavano i timpani. Non ci credo! Non potrò tornare a casa
per l’ora di cena. Ciò mi distrugge, mi toglie il fiato. Prima di
uscire, stamani, aveva lasciato sul tavolo del salotto un biglietto
per Gimmy, il mio compagno, con su scritto: “FARFALLETTE AL
SALMONE”. Durante l’assemblea, il mio capo non faceva altro che
parlare dei tagli e delle sostituzioni che l’ufficio era costretto a
fare. Il mio unico pensiero, la mia unica preoccupazione invece era
rivolta a quelle farfallette al salmone. Il solo pensiero mi metteva
acquolina in bocca. Sentivo sciogliere la panna e tutti quegli aromi
che davano un retrogusto di non so che. Era bellissimo ma al
contempo mi procurava un forte brontolio allo stomaco che mi
portò a lasciare l’ufficio per andare a gustare le mie amate
farfallette. Subito mi affrettai verso l’uscita e una volta salita in
macchina mi diressi immediatamente per la via di casa. Aperta la
porta di casa, mi accorsi che tutto era come lo avevo lasciato. Il
biglietto era al suo posto, mai stato letto, perfino il phon era fuori
posto dalla mattina. Ma cosa più importante: il mio desiderio era
svanito. Le mie adorate e ormai pregustate farfallette non
potranno essere mie per questa sera. Così, quasi a malincuore,
aprì il frigorifero e tra le tante pietanze mi accorsi di un piatto che
era già stato preparato. Era il minestrone della mamma. Non
avendo nessun’altra alternativa e avendo molto fame iniziai a
mangiarlo. Già l’odore mi riportava al passato e così pian piano,
cucchiaio dopo cucchiaio, assaporavo ogni ricordo e ogni
freschezza di quella gioventù ormai svanita.