LA DITTATURA IN
ROMA NEL
PERIODO DI
TRANSIZIONE
DALLA...
Ettore De Ruggiero
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LA DITTATURA IN ROMA
PERIODO DI TRANSIZIONE
DALLA MONARCHIA ALLA REPUBBLICA
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LA IHTTATUHA IN K01IA
PERIODO DI TRANSIZIONE
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LA
DITTATURA IN ROMA
Mi L
PERIODO DI TRANSIZIONE
DALLA MONARCHIA ALLA REPUBBLICA
SUI. MI HTORIC* CRITICO
NAPOLISTABILIMENTO TIPOGRAFICO GHIO
In Santa Teresa agli Sludi
18(37
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AVVERTENZA
Scrìssi questo lavoretto nell'anno 1863, in Berlino. Ila
quel tempo non lo /ras* piit-, mai più lo vidi. Chi lo mandai
a fare vn viaggio in Italia, propriamente in una ritti) molti)
celebre per certo monumen Intimorii'ino noe piii per lo straor-
dinaria sonno ile suoi abitatori. Là slinldonneiiti) aneli' essa
in vn archirio. o mail in ri fu imprigionalo ila non so quali-
ilei nostri crudeli Redolii miiiiti, clic gli vietava ritornasse
nelle mie mani. Eppure, vedi barbarie! io ve ero il padre
Icqiltìmn. l-'inulinenle pietà paterna in lia mimo, ai/vesti
ili, a grillare perchè si sprigionasse il poverino, e guesta mira
l' inesorabile licpolaineiilo cedendo vn po' m'ha fallo pago,
ma col paltò di rinviarlo subito in quel carcere. V ho dun-
giie riletto dopo quattri» anni, ho cisti) che non è indegno
clic respiri un po' d'aria libera e perciò lo mando fuori tale
quale era.
Lettore, guarda su l'anno, pensa che allora io appena
cominciava a farmi dentro alle rime scerete della storia anti-
ca. Così, spero, sarai meco più mite nel giudicarlo e; se per
avventura mi conosci, /orse non mi dirai più fra te medesimo
come disse un papa a quel tale cardinale spagnuolo. sempre,
silenzioso in un roneitio: ma via, dia pur sopii di vita !
Napoli, settembre 48fìl.
ETTORE DE RUGGIERO.
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I.
1 periodi di transizione d' una forma politica o sociale in
un' altra affalto nuova, sono nella storia particolare d' un po-
polo ciò che nella storia dell'umanità sono le ero intermedie,
le quali legano due colture, due civiltà tra loro distinte. Quei
periodi e quelle ere in quanto rinchiudono l'antico e il mo-
derno, il passalo e l'avvenire sono la manifestazione di quel
divenire storico continuo e progressivo che separa tanto ia
storia dell' uomo da quella della natura. In essi le nazioni mo-
strano la loro indole più o meno benigna, le loro tendenze più
o meno pratiche, le loro condizioni morali e intellettive più o
meno svolto; quella virtù insomma, quella vita, quella capa-
cità del meglio, le quali si rivelano vieppiù nei momenti di
creazione. La storia adunque sia che investighi, sia che narri,
sia che rappresenti non può fare a meno di non fermarsi in
modo speciale a quelle forme intermedie : compito necessario
e difficile per la storia d'ogni tempo, ma più necessario e
difficilissimo per quella dell'antichità. Anzi a me pare ch'ei
non s'avrà veramente storia, antica, se non quando studiati
meglio e comparati quei periodi di passaggio nella civiltà di
ciascun popolo, si perverrà a restituire la continuità logica e
progressiva delle istituzioni d'ogni genere nelle differenti elà.
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Li HU ..I flH II - ( I. If P.ll , |. [.. !!
» di due ii incu li copiosi non lia quello dillkultà, quel difetto ili
niez/i che s osservano nel 1" aulici, quante \ olle si viglia ricom-
porre quel legami! di condizioni e ili falli politici e sociali. In
quest'ultima quegli ostacoli di vengo,m i 11 largii D'i quanto più si
risalo a tempi in cui non v' ebbe una storia contemporanea ;
talcbe sperdutisi nella tradizione avvenimenti che parrebbero
seeoiiiiarii. particolarità e istituzioni clic poIrcbbiTO aver sem-
biante di poca importanza, nella sloria che venne di poi so-
vente vedi compiersi in un giorno, per un solo legislatore
quelle Torme di governo, quelle leggi che certo furono opera
di generazioni.
Questo fatto, comune a tutta l'antichità, apparisce poi tanto
maggiormente manifesto presso quelle nazioni che ebbero vita
politica più. attiva e svariala, ì Greci e iltomani. Ognuno sa delle
riforme dì Licurgo, di Solone, di Servio Tullio che la storia sorta
tanto tempo dopo ci ha dato come fruito unicamente della loro
operosità, dei loro tempi, e nelle quali intanto v'ha si gran co-
pia di leggi e consuetudini ad essi anteriori e di altre die si
svolsero più lardi. Ora, a chi si fa a studiare la Storia Romana
nelle sue fonti, sopralullu il periodo clic corse Ira la Monar-
chia e la Repubblica, non possono non sorgerò molti dnbbii
quanto agli avvenimenti che accompagnarono quel passaggio,
o per meglio dire, quanto al passaggio dall' una forma nell'al-
tra, quale é descritto principalmente dal Livio e dal Dionigi.
Il Nicbliur slesso, che quasi sempre tanto felicemente investigo
e divinò, non andò senza di questi dnbbii; anzi riconobbe che
fra il Regno e il Consolalo vi dove essere uno stadio interme-
dio.' Egli però non andò oltre nelle ricerche, non determinò
• Bóm. Gcsch. 1 Th. n. 291. 5acri. Es dùrfte echeinea dass bei
«infili emiitillni Kùni^rciiti, niu l'unii, keiim iwllinriiili^: Yi'iimbiMiiic
tu Millelzustàndcii allivellici blu;: ci ri. ti l'chllc mi-, nicht Vicini die Gcwnlt
dei' Tal (juiniidr in ilei Ibi seliun Ai veri'rblicti au^csdieii word, uml ilin
ini iiduni Ci'schii'i.-liti-r niiljl-iil-ij sa ùL't'niiiiclilii! wari'ii il:i*s ili'' tiùlieivn
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quale potè essere quello stadio, benché inclini ad ammettere
una preponderanza politica nella gente Tarquinia anche dopo
la cacciata del Superbo.
Dopo di lui io non so che di due altri critici alemanni, i
quali parimente abbiano dubitato della immediata introduzione
dei Consoli, il Becker 1
e lo Schwegler. 1Il primo, seguito
dal Wacfasmnlh, 3 non nega del tutto la tradizione comune;
ma non potendo ammettere quella trasformazione come fatta
in pochi di, ricorre a quella notizia del Livio,1 secondo la
quale Servio Tullio avrebbe deliberato un tempo di deporre
lo scettro e di creare novelli ina^isti'ati annui, il che poi non
fece perché morto subitaneamente, lo non ho mestieri di com-
battere tale ipotesi fondata su questa favolosa novella : Io
Schwegler sl'ha già fatto prima di me. Egli poi, seguendo in
parte l'avviso del Nicbbur quauto alla potenza dei Tarquinii
in Roma, opina che Col Ialino appartenente a quella gente sia
succeduto all'ultimo re, senza questo tìtolo e con poteri più
limitati, finché i patrizii gelosi non abbatterono anche lui, so-
stituendogli i Consoli.'' Quest'altra congettura per quanto più
ver uàmi idi dadnrdi bwngtTi siri:i knnnten sica rait der Gemi'iniìe z\i ver-
binden. Dami isl ein versòliueiules A Likurn mirri mi! deni tarquinischeil Ge-
scblecni, wonach eincr dossclbcn, den das Volk ernennen wEIrde, die
l'.uciisli; Gcwalt tlicileu solite, sugar selir glaublicb. Cf. Varlr. ulwr ràm.
Gesch. I,p. 206.
' Handb. d. Rorn. Alt. 11,2, p. 87: Wio schon oberi bemerkt wurdc,
gehórt der erslif Gedanke, an die Stidb: dt-s Kiinigihiiuis cine Consular-
regierung za selzcn vielleicbt se boti doni cileni lichen Begrùnder der
ròmischen Slaatsverfassung, Servius Tullius an.
Rflm. Gesch. Il, p. 76, 77.
'Gfsch. d. ròta. SlaoUs. p. 1X0.
* i, 48, 60. Cf. Dionjs. IV, 40. Plut. de fort. Rocn. IO.
L. e. p. 71. 78.
' L. c. p. 80. 81: Kun. man tl.eb auf talbem Wege • •.. and
Cullatomi werdt - di du Vgm^!ici.r Gcwalt lì-irruli tiit iis ali erblieh
gali— in seiner Eigenscbafi als nàchsler Anwrwaodter dea guUirzieii
— 10—ingegnosa della precedente lascia pure in un dubbio maggiore,
poiché essa non dice chiaramente quale sia siala quella potestà
quasi regia donde fu. investilo Collatino; non indica da quale
dei poteri costituiti ella gli fu data; insomma suppone ima
magistratura affatto nuova nella costituzione Romana e Latina
in genere. Oltreché molte ragioni che valgono a confutarla,
si potranno rinvenire nel seguito di questo scritto. L' accurato
lungo e dotto lavoro di Coruewall Lewis,' ultimo, per quanto
io sappia, intorno all' antichissima Storia Romana, mi faceva
strare, in verità, un esame speciale del quesito che ci occu-
pa. L'autore però, che coraggiosamente e quasi sempre giu-
stamente scrolla tanta parte favolosa di quella storia, dopo
aver rigettala l'opinione del Niebhur di sopra esposta, con-
ciuude che la creazione del Consolalo inunudUtfamente dopo
la cacciala dei Tarquinii benché dia luogo a supporre un di-
verso andamento di fatti,pure debba accollarsi, non essendovi
una testimonianza esplicita per confermare qualche cosa di
differente/ A taluno potrà infine parer troppo ardito il voler
K t'iii^s /li di-ML-n itiuiiiiI, [illi'iilin^i, ivir unni uniu-luHeii
n:=.ts-, .nl'.T AiiI^'Jilk.l; Jri Kl'|..l;;[ìu,
I; ih. il n.it :ij;di rader U.irlilvnll-
komiBHiheit.
' An Enquiry into die Credibilily al die Harly Roman JlisLorv. Loml'
die UinSnderung der DiODarchlscben in die censiti a ri sebo Begierungsform
ìhiL'i;[i\v,!Ìs,.! uilJ uni gi^eiiseiLi^iT U .ilji'i'uiiisliiiiuì:»^ Siali lam:;jc.tinll
stillimi cine selcile Hypolilesc durebaus nielli 7.11 lieil Nachrichten, die wir
als die Gescbirble jenci' Periude besiUcii. tì'u- gtiv.ilbjiii,: Vari rei [uni;
der Tarquinicr ist mit dei' Einuìhning des Cotisulals ani' untrennbare
Weiss veiknùfft, und ubwehl uns ein verseli inde nei' Gang der Ftegcbun-
lleilen wahfsrhehilirlii'i- VuiWmnt, borci;llligt uns dies docb nielli oline
ausdrucklichejj Zeugniss anxuuehineii, dass er wirklieh Stati gefuudea.
( Non avendo innanzi l'eri sin a le inglese mi sdii valuti) della traducane
tedesca del Liebredil. Voi. l,e. M.siO, p.503.)
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Teodoro Momrasen, il quale mostra di non riconoscere altra
magistratura che sia stata cronologicamente intermedia fra i
re e i consoli. Ma cbi sa la sua storia sa pure cbe essa appar-
tiene ad un genere, il quale suppone la critica e la investiga
-
zionn, ma non la fa, accoglie fatti indiscutibili e non disquisi-
zioni su fatti ed istituzioni più o meno possibili. Il suo silenzio
adunque dovesse anche essere indizio cerio della sua pieghe-
volezza alla tradizione comune, — il che ho ragioni di nnn cre-
dere assolutamente—.non deve Urei ristare daspeciali ricerche,
le quali, quando pure non conducessero ad un risultato sicuro,
irrefragahile, almeno mostreranno quanto bisogna andar cauti
nello studio di avvenimenti in tempi assai remoti.
II.
E primamente fa d'uopo ricordare in brevi tratti quanto la
tradizione ha conservato su quel rivolgimento politico che
si mostra non solo in Roma, ma in forma quasi simile con-
temporan eamento in tutto il Lazio, in Etruria e nella stessa
Grecia.'
Seguendo adunque il Livio e il Dionigi, cbe in generale si
distinguono soltanto in quanto l'uno é meno particolareggiato
dell' altro ne! racconto, morta Lucrezia in Gollazia, Bruto,
nipote dell'ultimo Tarquìnio, raccoglie il brando dell'estinta,
muovo con armala mano verso Roma, la ribella e, come tri-
bunun Celerum, ' convoca il popolo e fa che questo deliberi la
cacciata del Superbo e di tutta la sua famiglia.1 Di là si reca
al campo d'Ardea, ove l'esercito Romano accoglie con gioia
la sentenza dei Comizii, mentre che Tarquinio ritornato per
Scbwegler. Op. rit. V. II. p. 10, 71.
*Liv. 1,59. Dionjs. IV, 71. Serv. \en. Vili, 646-
' Cic. Rep. Il, 25, 46. li*. I, 59. Liv. Epit. 67. Dionvs. IV, 84.
altra via a Roma né potendovi entrare, esule si ritira coi fi-
gliuoli in Cere.' Poscia Brnto viene di nuovo in città, confida
a due consoli da eleggersi ogni anno il potere supremo, ad un
rex sacrorum la donila religinsa del re e pel primo anno, in
Comizi] centuriati, sono scelti consoli L. Giunio Bruto e L.
Tarquinio Collatino.- Sulla loro proposta il popolo pronuncia
novellamente l'esilio del re e giura di non più volere un prin-
cipe.3 Essi quindi restaurano la costituzione di Servio Tullio,
da Tarquinio non rispettata giammai e ricompongono il Se-
nato, accogliendovi notabili plebei.'
Se non che, contro l'uno dei consoli, Collatìno, sorge so-
spetto ed ira del popolo, ebe teme in lui un parente dei Tar-
quinia e Collatino dinegandosi ad abbandonare il potere, Bruto
vel costringe con un voto dei Comizii, talché quegli emigra in
Lavinio1
e in suo luogo è eletto Publio Valerio. Segue allora
!a congiura che i messi di Tarquinio tramano in Roma, e la
morte dei due figliuoli di Bruto." Ma Tarquinio non si rista.
Con un esercito raccolto nelle città di Veji e Tarquinii muove
rontrn Roma, e in uno scontro cadono trafitti Bruto e Amosfigliuolo del re.
7 Una voce però sorta dalla selva Arsia e che
era del dio della stessa, fa fuggire gli Etruschi."
Intanto il console Valerio non fa eleggere i! suo collega,
anzi fabbricando sul Velia un castello, lascia temere al popolo
" Liv. I, 60, Secondo Dionigi in G.iliii e poi in Tariutniì IV, 85.
•Lii. I. 60. Dionjs. IV, 84. V. I.
1Liv. 11. 1. Dionvs. V, t. App. de Iteg. fr. 10. Plut. Popi. 2.
l Liv. II, 1. Dinnys. V, 2, 13.20.H»!. Popi, H.Fesl. s.v.patrcs.
* Liv. II, 2. Dionjs. V. 12. Plut. Popi. 7. Fior. I, 0. 3. Eulrop.
I. !). Zonar. VII, 12. Cic. ISep. 1. iù, 02.
Liv. 11.5. IV, 15. Dionvs. V,8. Plut. Popi. 0. Val.Mai.V.B, 1.
Fior. !, 9, 5. Aur.Victorde vir. ili. 10. 5. Oros. 11,5. Zonnr.Vll.-t2.
* Liv. II, 6. Dionvs. V. 15. Val. Max. V, 6,1. Pini. Popi. 9. Anr.
Vici, do vir. ili. 10. 16, Cic. Tusc. IV, 22. 50.
Liv. 11, 7. Dionjs. V, 16. Pini. Popi. 9. Val. Mas. 1,8,5. Zonar,
VII, 12.
la restaurazione della Monarchia. 1 Ma egli sa procacciarsene
di duovo il favore, dismettendo i segni della signoria, facendo
abbatterò il castello ed emanando due leggi, con una delle
quali si commina la morte ad ognuno clic ardisca violare la
libertà, con l'altra s'istituisce il diritto di fare appello all'asscm-
|.|r.i [[<> |.ir* .i-iilr.i '--ut-t.;. [. imIi <t II il.' <1n n, [i iti 'lu-
di di luogo all'elezione dell'altro console, che è Spurio Lucre-
zio, il quale morto poco dopo gli succede M. Orazio Pulvillo.
In questo mezzo Tarqninio unitosi a Porscona re di Clnsio
porta altra guerra a Homi, occupa il Gmuicub v. sarebbe pe-
netrato in citlà, se Orazio Coclite con Sp. Larcio e T. Ermi-
nio non si fosse opposto a tutto l'esercito nemico." Porsenna
assedia Roma e Caio Mucio, detto poscia Sccvola, tenta di
trucidarlo entrando nel suo campo.' II re etnisco allora spa-
ventato offre pace ai Romani, a condizione clic restituiscano ai
Veienti i tolti territorii e, traendo seco statiehi. abbandona il
suolo Romano. 3Tra gli statichi V ha la vergine Clelia che per
salvarsi ardisce tragittare il Tevere sotto le frecce lanciate dal
nemico." Abbandonato da Porsenna, Tarqninio richiede di soc-
corso suo genero Ottavio Mamilio di Tnsculo, il quale gli pro-
cura l'alleanza delle città Latine. Al lago Regillo si viene ad
aspra battaglia: pei Romani combattono i Dioscuri, i Latini
sono sconfitti, Tarqninio si ritira in Clima, presso il tiranno
Aristndemo, la Repubblica Romana è salva.'
' Liv. Il, 7. Dionjs V, 19. Pini. Popi. 10. Cic. Rep. II, 31, 53.
Val. Max. IV, 1, 1. Serv. A™. IV, 4tO.
Cic.Rcp. I, 40 62. II, 31.53. Liv. Il, 7. 8. Dionjs. V, 19. Val.
Max. IV, (1. plot. Popi. 10, 12. Aur. Vici, ilo vir. ili. 15, i. 5. Serv.
Acn. vili, m.• Lif. II, 10. Dionjs. V, 23. Val. Mai III, 2, 1. Plut. Popi. 1B.
* Liv. Il, 12. Dionjs. V, 21. 28 Val. Mai, IH, 1, 1. Plut. Popi. 11.
' Strab. V, 2, 2. Serv. Acn. XI, 13*. Liv. Il, 13. Dionjs. V, 33.
" Liv. Il, 13. Dionys. V. 33. Pini. Popi. l'J. Val. Max. Ili, 2. 2.
Fior. 1, 10, 7. Aur. Vici, de vir. ili. 13. Oro?. II. 5.
' Liv.il,81. Ditmjs.VI,2Ì.Àur.Vici, de vir.ill. 8, 0. Zunar.VII, 12.
ra.
Questi fatti, tanto più perchè riferiti qui tema queir orna-
menlo di particolarità e di accessorii quasi sempre straordi-
nari] o favolosi, che loro danno sopratutto il Livio e il Dio-
nigi, sembreranno forse tali da meritare ogni Fede storica. Mala critica fondandosi sopra uri
1
accurata e severa disamina, deve
portare ben altro giudizio sulla loro credibilità ed autenticità..
Per modo die noi prima d'entrare a vedere so il passaggio
dalla Mooarchia alla Repubblica sia stato possibile nel modo
onde vieu narrato, prima d'investigare meglio nella tradizione
stessa per iscorgerc se ella nasconda altro di quello che ap-
parentemente mostra, crediamo necessario fermarci alquanto
sul quesito — se la narrazione su riferita, riposi o no sopra
documenti scritti contemporanei.
Quantunque fra la storia dell'epoca monarchica e della re-
pubblicana v'abbia questa diversità, cioè che l'una ha per
fondamento favole, poesie, racconti popolari, scarsi o incerti
monumenti, c che l'altra invece poscia su crunaii-iie più o meno
estese, ma tutte contemporanee, da cui trassero gli annalisti
degli ultimi tempi della repubblica; pure nello stesso periodo
repubblicano ve n'ha un altro assai breve, madie, rispetto al
racconto storico, appartiene a quello dei re. Questo periodo é
appunto quello dell' abolizione del principato, della istituzione
ra storia certa, ordioatanon comincia checoll'emigrazionedella
plebe sulmoote Sacro. Esso, siccome l'altro immediatamente
innanzi, é ancora im'ei'lo, n infuso, favoloso, contradittorio nelle
persone, negli avvenimenti, nella cronologia. Bruto, Porscnna,
Orazio Coclite. Muzio Setvola, Clelia sono personaggi che han-
no dello straordinario, dell' eroico, del poetico. La battaglia al
layu lU^illu somiglia aduna delle omeriche; Poslumio, Ebuzio,
— 15—Ottavio Mamilio.T.Tai-quinio, Marco Valerio, T. Erminio com-
battono da eroi; iDioscuri stessi su duo bianchi destrieri favo-
riscono i Romani sul campo, e nella battaglia presso la selva
Arsia iì dio Silvano parla e annunzia vittoria a Roma. Né
questo è tutto. Liruto è detto fanciullo al cominciamenlo del
regno di Tarquinia e già alla line d' esso è dato come padre di
due figlinoli congiuratori ; è detto imbecilli; o inolio infìngen-
tesi tale con tutti e specialmenle col re, e poi se ne fa un tri-
frunttt Celerum, ebe era un allo ullicio nello Stato. Così pari-
mente se Colhilino fosse stalo figliuolo di Egerio, come vuole
la tradizione, e questi nipote di Tarquinia Prisco, egli non
avrebbe potuto essere Dell* anno 245 a. u. c. marito d' una
Lucrezia. Né Suessa Pomesia avrebbe potuto essere as-
sediata sotto i primi consoli, se fosse stata distrutta già da
Tarquinio. Oltre a ciò, contro la tradizione comune la quale
fa primi consoli Unito e Collatino, Polibio che tanto si segnala
per esattezza, dice essere stati liruto ed Orazio ;' e Spurio Lu-
crezio clic, secondo quella fu console invece di Bruto, da altri
annalisti non si nomina mai come tale;: anzi mentre Livio dà
come consoli dell'anno 247 Spurio Larcioe T. Ermenio, 3 Dio-
nigi invece del primo dà M. Orazio Pulvillo.1
Il Livio mede-
simo poi cade anche in contraddizione, quando altrove afferma
che quello stesso Lucrezio mori nuli' anno 245." Egli inoltre
non nomina ì consoli dell'anno 248,— probabilmente perché
' Iti, 22, 1. Il [ìrìniu lr,i;t;il(j li li Hoimi e C;n Icilio fu concbiuso xi-
-.ò. /.'.;•> 'i'.W.yi \'yyj-;-i /.'/:. 'A'ì'.v/.-i'
'.'..-hi-.-i,
t.-.vi-.ìj^ v.i-
' Liv. Il, 8 : apuJ quidam ylLiti'ì liulIuìuì tiun imeniu Lucrcliuiu
i. u
j
l ^11 1
1
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1, lìrulu >;;iLiiu 1 i i jtiui. i ;ii^gtruiU.
' Liv. Il, 15. Sp. Lardila inde et T. Hermenius consules fatti.
* V, 21: lls-Wou Oiolsf(sa v& T^ca^i-tiv,-'.: Hs-lixiXa, -.0
iptem si:iv(v aiw.v dwÈsi-pw-s; à^v, xaleiv aù-iù Màpxou
' 11, 8. Creaius Sp. Lucretius miiiul, qui . . . iiiira pjucos dies mo-
ri lur.
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— —quest'anno corse senza grandi avvenimenti— ; ma Dionigi ri-
ferisce essere stati Spurio Lardo e Tito Erminio,1
i favolosi
compagni ili Muzio Scevola. La inaugurazione del tempio di
Giove sul Capitolili è posta nel primo anno della Repubblica
da Livio e altri storici,- mimti^ Dionigi Li riferisce all'anno
terzo.3 E mentre l'uno fa cominciare e finire nell'anno 246
la guerra di l'orsenna, ; Y altro nei 247 3e alcuno ami la fa
durare persino Ire anni.0Livio mette la battaglia al lagoRe-
gillo nel 255 e Dionigi nel 258.'
Ma non è solamente da queste non lievi diversità e contrad-
dizioni, sopratnllo da quella ilrl Polibio, die apparisce cbiaro
quanto il racconto non discenda da lonli contemporanee. Dall'e-
same di questi falli principali di quel periodo si vede Y opera
artificiosa e studiala degli annalisti ad esso posteriori. La qual
cosa é a dire riguardo alla forma, alle particolarità, a! legame
degli avvenimenti che si osservano nell'episodio di Lucrezia,
nelle concioni tenute da Bruto, nella guerra di Porsenna e in
quella coi Latini, ebe, certo, se anche fossero stati rinvenuti
nelle cronache di quegli anni, si sarebbero tramandali con più.
esattezza e brevità. La simiglianza che molti dì quei falli hanno
con altri avvenuti fuori d'Ilalia, con guerre che ebbero luogo
moiti anni dopa; la loro intima impossibilità confermano quanta
poca lede sia da prestare ad essi.
V,3G. OÌ Sì -ìi li-.ij.y-.'.'-t ìvkcj-ìv if:vr.i- ikaiot, Siióp'.sg
Adjxit; xaìTì-s; avi'j r.';ì.i\i.vi -/jv à-s/rp Sii-élzaav.
' 11,8; Nondum dedicala eral in Cnpitolio lovisacdes.Cf. Polyb. Ili
,
22. Plut. Popi. 14.
' V. 35: xar.à toù'wv :ìv ivaatìv i vsù; tsù Kareccwlisu 4ti;
sì; wSr.z-.z'i i\v.y;i.T.'i\, v.iy. si 'ì y.z-.à \>.iy.z sv tij Wj-.vj
òiò^Àuxa W^iu.
* II, 9. Plut. Pupi. 10.1V, il.
I1 orsi; im;i tribus cotitimiis minia trepiJmi] urbuiu U'ituìI. Oros.H, 5.
111, 19-V1, 2.
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— 17 —Ninno oggi vorrà porre più in dubbio la poesia nell'episo-
dio della Lucrezia che, come in Koma, cosi in altri stali d' Ita-
lia e di Grecia, sotto diversi nomi, si porge come cagione di
rivolgimenti politici, di cadute di dinastie.' Forse una simile
violenza potè veramente esser commossa da un Tarquinio,
forse potè anche contribuire ad accrescere i' odio contro «jaclla
gente; ma che sia avvenuta nella guisa onde è narrati, che
abbia portata seco con tanta rapidità la cacciata dei re, é in-
verisimile. Ed inverisimile è pure che Porsenna abbia tolto
l'assedio da Uoma vicina a cadere, solo perchè spaventato
dall' eroismo di Srevnh e «l.iir intemlere da lui, altri trecento
tolse ai Romani i sette pagi dei Vcienli, per generosità poi li
abbia Ioni ridonali; ' die mentre mosse per soccorrere Tarqui-
nio alla riconquista del regno, l'abbia poi abbandonato.
L'incertezza della tradizione in quesla guerra si vede inol-
tre in questo, che secondo Tacito e Plinio Roma dovè arren-
dersi a Porsenna e con le più sfavorevoli condizioni,' mentre
di ciò miro altro storico fa parola. Che se quanto narrano que-
sti due scrittori fosse vero, clic sarebbe a dire delle guerre
che i Romani avrebbero mosso in ogni parte, appena allon-
tanato Porsenna? Insomma, chi si fa a comparare questo as-
sedio dì Roma con l'altro avuto luogo veramente per gli Etru-
schi nell'anno 278, descritti nella medesima guisa dal Livio,'1
1Alcuni esempi se ni; bmu pres-o Ansiceli! . Pulii. V, 8,9.
1Liv. II, 12: trecenti «iiiìili-ìivìhius |iri!n:ipi;s iimmtutis iiomanac, ni
in le Lai: via grassaremur.
"Liv. II. 15. Dionjs. \, 3G.
' Tac. Hist. HI, 12: sedem lovis Optimi Masìmi .... conuilam,
«juani non Porsenna dedita urbe, ncque Galli capta, teincrare potuisseni,
furore Principunl eiscindi. Plin. N. H. XXXIV, 39: in foedere quod
i:Mm1.;is n-5'iljiis pupillo Rumimi) ilalil i'uiv.u.i, nomili. lì.iii cuinprel -uni
invenimus, ne ferro nisi in agri culla ulerelur.
111, 54. Cf- Dionvs. IX, 24.
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— 48 —s' avvedrà che il primo non sia nitro se non una repitizione fa-
volosa del secondo.
Quanto poi alla guerra coi Latini, come è possibile che essa
abbia avuto luogo per riporre Tarquinia- sul trono, se appunto
per lui le città del Lazio furono costrette a riconoscere la su-
premazia di Roma nelìa loro lega?1 Non doveano essi, piuttosto,
voler che Roma fosse rimasta senza re e più debole perchè
divisa da partiti? E clic cosi vollero lo mostra ii fatto della loro
indipendenza, che segai alla cacciala di Tarquinio. Oltre a ciò,
il tempo in cui sarebbe cominciala questa guerra, la sua du-
rala sono cosi diversamente riferiti dagli slorici, elio poco o
nulla resta a credere intorno alla medesima. Infatti il Livio
dice essere cominciala nell'anno 255 di Roma, 2il Dionigi in-
vece nel 253 ;
:
e dalle parole del primo specialmente pare che
sia siala una continuazione di discordie e di separazioni delle
varie città dalla lega, anziché una guerra. 1— lo non aggiungo
nulla sulla credibilità della battaglia al lago Rcgillo. Solamente
si osservi che, mentre pel Dionigi l' effelto di essa sarebbe stata
la disfatta dei Latini e la loro aggiogazione a Roma, 5 e pel Li-
vio sarebbesi rimasto in una condizione Lucerla tra la pace e
la guerra," il trattato concluso poscia Ira essi e Roma sotto
Cassio net 2tìl é testimonio della loro indipendenza ricono-
sciuta da Roma stessa.
' l.iv. I, Ii2 Misniii (Inquinili-} nuuiiiulos ti* Latini? linm.inisijitc.
ul p.x biiiìs singultii fiii'.Ti't ljiiKHijiio e* singulis.
Il, 11).
1 V, !>l).
* Lìt. Il, l!): .. titillimi Lniiniim gliseens iam per aliquoi annos dila-
lum. E piii «lire: 11,31: Triennio deinde lice certa paxnce he! limi fuit.
' VI , ÌS : 'O/.L-fa1
.: Z'ìt.zwi r^ii^i.:: r.'A'-.li:- ir.i 'M xstvsù twv
Aoravwv r,xvr i-i- ftiiTOj; ìi i™i5v -Cyi -iln-n ir.>li/j:i-r.i-Mx -r,i
ìwrJ.w iy?r,\ì v.s-,\ -ri t.',U\l';j -[>jw>j.V- à^siM xeti s^njMtra-;',--/ die. CU'.
clì, 21,
— i9 —[[ difetto di storia contemporanea in quel periodo di transi-
zione non potrebbe esser meglio dimostrato, che da quelle pa-
role del Livio, ove parlando dei fasti dei magistrati e della
loro inesattezza al tempo dell' accennata guerra Latina, dice:
tanti errores inplkant imperimi alita- apud alias ordòiatis
magislrutilnts, ut me qui constile* .iccumhnu tjuosdam, nec
quid quoque annu action sit, in tanta velustate non rerum
modo sed efesi uuctorum digerere possisi Insomma basta
plebe con quella del tempo dei re e della caduta della Monar-
chia, per iscorgere quanta differenza vi sia fra l una e l'altra,
per quanta maggiore esattezza di nomi, di date, di fatti la
seconda vada innanzi alla prima. Certo questa esaltezza non
dipende da altro, che quelle notizie riposano su cronache
contemporanee, mentre la diversità del racconto, la eontra-
dizione, Io sparire di avvenimenti accenna ad un lavoro di
epoca più remota, fondato sopra una tradizione incerta e più.
o meno esagerala dal popolo. Ora se que-to fatto si fosse
preso in maggiore onisiilerazioiio dagli storici, essi non avreb-
bero dato con certezza i consoli come successori immediali dei
re, poiché come è favoloso un Romolo ed un Uomo, altret-
tanto é un Unito e un Collatino. Quale meraviglia adunque
die, in quella confusione cronologica, in quella creazione fan-
tastica di personaggi, in quella oscuriti! medesima sui fatti ca-
pitali di quel tempo, non siasi conservala esatta notizia delle
relazioni politiche, delle nuove autorità supreme dello Sìato
succedute al potere monarchico? Anzi se fra gli stessi anna-
listi da Fahius l'ictor in poi, spessissimo v'ha di quelli che
non intesero giustamente uè anche le forme di magistrati del
tempo ad essi più prossimo, non è strano che questa ignoranza
siasi avuto eziandio dai cronisti ad essi anteriori, i quali non
II, 2i.
— 20—solamente nulla trovarono .scritto intorno al periodo di cui trat-
tiamo, ma ebbero a raccogliere da una tradizione tanto più
invaila, per quanto nasceva da un' epoca di guerra civile. E a
me pare ciò tinto più indubitato, perché, come mostrerò inol-
tre, il potere succeduto alla Monarchia essendo stato molto
simile a questa e al Consolalo, facilmente potè non abbastanza
essere inleso epperò tralascialo, tanto maggiormente che fu
transitorio. Oramai é certo che le prime cronache furono
pelle della gente Fabia, la (piale comparisce nella storia dopo
la prima secessione della plebe. Non è improbabile adun-
que, che quando a questi cronisti gentilizi!, tutto inlenti a
notare soltanto le gesta di alcune famiglie, tennero dietro de-
gli altri che volevano ordinare in un insieme tanti fatti parti-
colari, questi per riempiere quegli anni corsi fra la cacciata
deiTarquinii e il patto stabilito tra patriziato e plebe nel 260
e rimasti vuoti di grandi avvenimenti e di indicazioni certe ri-
guardo al governo, parte rivolgendosi alla tradizione viva e
parte sopperendo con falli posteriori, trasportarono il Conso-
lato vigente ai loro di in quel periodo osru rissimo della storia.
In falli se si considera che una vera e certa cronologia non
l'oioiiicia che dopo la invasione dei Galli, e se è fuori ogni
prima ritirata della plebe sul monte Sacro dovè essere più
lungo di quello dato comunemente, 1 cresce la probabilità che
quegli annalisti per ordinare i fasti consolari parte abbrevia-
rono quel periodo e parte gli attribuirono persone e avveni-
menti, che confusamente poterono trovare nella bocca del po-
polo. La repubblica non comincia die con questa incertezza e
confusione, e la notizia del Polibio intorno ai primi due con-
soli rende oscura e nulla la tradizione del primo Consolato.
Secondo lui,' come s'è veduto di sopra, Lucio (Jiunio [irato
' Mommsin R<">m. Gesch. Voi. I, p. I7+.
111.22, 1.
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e Marco Orazio furono primi consoli, mentre secun.lo il Livio
e il Dionigi essi non sarebhero slati nò i primi, nò mai colle-
glli. Tolto quanto adunque vien narrato intorno a Collatino,
la sua destituzione, il suo esilio sparisco affatto dalia storia,
come sparisce ciò clic si fa operare da Publio Valerio, che non
sarelik: stato più cunsole dopo ni< irtiiUnito, la discordia siu't.L
tra Valerio ed Orazio per la inaugurazione del tempio a Giove
e tante altre circostanze riferite dagli storici.' E poi, che è a
dire del numero dei consoli di quel primo anno, che sarebbero
stati cinque? Non solamente questo numero non occorre mai
nei fasti, ma esso sembra appunto impossibile, perchè vengono
addotte come cagione della loro elezione falli invcrisimili, fa-
volosi. Al Niebhnr nou isfuggi la stranezza di cosiffatta circo-
stanza, epperò s' indusse dapprima a credere che forse vi fu-
rono fasti nei quali erano segnati Urulo, Collatino, Lucrezio
e Valerio Puhlicola come componenti un solo governo appena
deironizzato Tarquinia ;- u poscia determinando meglio la sua
ipolesi, opino che il Consolalo dovè essere preceduto da un
governo di quattro tribuni Cderum.' Come si vede, la combi-
nazione della notizia dei fasti coli' intima iuvorisimiglianza ili
tanti consoli in un solo auno, è ingegnosa; ma il Niebhur noo
svolgendola davanlaggio mostra egli stesso quanto ne era in-
securo. Infatti in tutta la Storia Romana e in quello che si sa
delle costituzioni Latine, manca del lutto un cenno d'un potere
di quattro, sieno tribuni o altro. Aggiungi che il trìbumu Ce-
terum non era che un solo e non s' avea ragione a farne di più;
egli aveva un olìicio puramente militare, era capo della caval-
leria e non so perché qnei membri del governo provvisorio,
' Vedi Livio Lili. Il c Dionigi Lib. V.
' I\6m..Gesch.[ Thril. p.ril'ej, » vrilii-friii-iullch Imi cs Fastcn gcgchen.
welclie ilio vicr MSuner :ih ersiir Olirigksil viT/eiilmeli'n.
1Vorlr. ubcr rom. Gcsch. 1. p. 203: wir srlien nach Tanpiiriiirs Full
vici- Trillimi CcliTimi in Itcsilz ili'i' Il-'i'rsfliali, iilsn ciurli Jlijtislriil vini
vicr Hiiiincrn. <:f. p. 201.
-22 —ammesso anche questo, abhiano dovuto essere [ali tribuni piut-
tosto che altri magistrati già esistenti innanzi, il tribuni!* Ce-
lerum inline era soltanto possibile in relazione al re, il quale
odiato e scaccialo, dovea anche distruggersi se non altro il no-
me del suo rappresentante ; il che avvenne di fatto, sostituen-
dosi a lui nel caso della Dittatura il magister equitum. Insino
a che dunque in Roma non v" ebbe più re, non vi poteva essere
quel tribuno, quindi niuna delegazione di governo a lui, che
solo dal re poteva farsi quando recavasi alla guerra.
La elezione dei primi consoli in Comizii centuriali, le loro
ripetute proposte al popolo sul bando dei Tarquinii e l'aboli-
zione della Monarchia, il complemento del Senato fatto per
Bruto e tanti altri singoli fatti, attestano in fine quel difetto di
storia scrìtta contemporanea, appunto perchè troppo partico-
lareggiati per un tempo cosi remoto ed oscuro, perche troppo
simili a fatti ed istituzioni posteriori. Agli. annalisti dell'epoca
repubblicana, che nulla rinvennero scritto inlorno al periodo
antecedente, dovè parere ragionevole, naturale che i capi della
rivoluzione avessero provocata quella votazione del. popolo;
che la costituzione di Servio Tullio fosse stata richiamata in
vita dai medesimi, perchè essa yij esisteva ai loro tempi ; che
il Senato fosse sialo restaurato, perchè la plebe sembrò loro
avere avuta gran parte al rivolgimento e perchè in falli molti
plebei furono nel Senato della repubblica. In lutto ciò essi
mossi dal concetto che tutta la costituzione dei loro tempi
avesse duvulo nascere colla repubblica ad un'ora, non fe-
cero altro che tradurre in un passalo incerto il loro presen-
te. Noi non possiamo qui sottomettere alla critica tutta la loro
narrazione. Si osservi solo, quanto a queste ultime notizie, che
la convocazione del popolo pel praefeclus urbis/ nella ele-
zione dei primi Consoli, è una grave inesattezza, poiché questo
1Liv. 1 , 00: rlun cuiisiiIiìs indi' unniliis ù-iiIiii'ìliIìs n pracl'cclo urbis
,>s comnuriUii'iis Sci vi Tulli creali sunt t'Ic.
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-23-magistraio non ebbo mai un tal diritto, né sotto la Monarchia
né sotto il Consolato. E qui si vede proprio il prammatismo.
(I Dionigi per non cader in questo errore di diritto pubblico,
parla invece di un interra, 1 che fu Io stesso Spurio Lucrezio
detto dal Livio pracf'cclus urbis. 1Il Moinm.-en accennando ai
favolosi nomi di lìruto, Publicola c Scevota aggiunge, esser
parimente una invenzione annalistica la concioni! delie Curio
tenuta da lìruto, a cui come tribuno non competeva queste
diritto." Altrove poi dimostra che quella elezione nel Senato
fu un ritrovato degli antiquari! Romani stessi, i quali vedendo
ai loro tempi soltanto 1 3C> famiglie patrizie e il Senato es-
sendo composto da 300 nubili, dissero che i primi consoli vi
avevano ammessi 104- plebei.1
IV.
Se le nostre ricerche dovessero ristare a questo punto, esse
non sarebbero di grande importanza; avrebbero distrutto, manon tentato di rieducare, avrebbero fatto riconoscere il difetto
d' una storia autentica del periodo che abbiamo preso a studia-
re, ma non porto alcun mezzo, onde vedere qualche cosa di
piii chiaro e securo, in quella oscurità ed incertezza tradizio-
nale. Qui però é da osservare che, 1' aver dimostrato che
quanto comunemente vien riferito su quel periodo non sia sto-
rico, non imporla punto che quella narrazione debba rigettarsi
tutta intera. Essa ha sempre un valore, poiché più o meno
' IV, Si: y.~.à -«fiX^wv i llji-j-i: à-Miiitv'jst jtsmfav.-
" I, 59 : imperami in urbe L u tre liu, uracfedo urbis nini :mw. jib ror
• llùm. Gesch. I, % 1, p. 250. 4 A ufi.
* RÓm. Forsch. 1, p.!2t. Hom. Gesch. i, 2. 1, p. 2tit.
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— 24 —esattamente ritrae sempre una tradizione orale c monumentale
di tempi vicini a quelli di cui trattasi; tradizione la quale per
quanto favolosa, contiene non pertanto un certo fondo di ve-
rità, a ricercare il quale c ridonarlo, per quanto é possibile,
nella integrili sua, è appunto il fine che ci siamo proposto.
Innanzi lutto però, come nella critica della storia antica ciò
che più agevola a meglio determinare i fatti è l' esaminarli
nella loro verisimiglianza e possibilità, cosi sarà utile il vedere
se era possibile che alla Monarchia avesse lenuto dietro im-
mediatamente il Consolato.
Ora, ei non v ha circostanza, che separi più il popolo Ito-
mano dagli altri del ninnilo antico, e che ad un tempo lo ponga
a lato dei più colti moderni, quanto questa, cioè di aver sempre
proceduto loiilaniriiii' e a gradi nella via delle ri forine. Una com-
para/ione a questo riguardi) colla Storia di (leccia, ove le lotte
politiche per lo più avevan luogo colle armi, mentre in Roma
con la parola; ove i! loro line era lo scacciare un parlilo dal go-
verno per collocatisi nn altro anche esclusivamente, mentre in
Roma il line era che una parte della nazione entrasse anche essa
al potere; ove questo potere e in istituzioni cangiavano del tutto
di natura secondo il diverso partito che predominava, mentre in
Roma l'uno e le altre rimanevano le stesse, e solo poco a poco
si rendeva quello accessibile a tutte le classi sociali ; uoa tale
comparazione, io dico, sarebbe forse qui troppo lunga. Baste-
rebbe non per tanto, a confermarsene, non già scorrere tulio
il periodo della repubblica, non farsi innanzi alla mente la in-
terminata lotta delle classi, tendenti alla uguaglianza politica,
ma il considerare solo, come la plebe dalla prima secessione
I li lui uni ri vi J i i- i :> ' Hi|.' <• nv...Iuguli,
senza travolgi meliti pulitici radicali quella rappresentanza nello
Stato, clic la costituì parte del medesimo, mentre prima era
quasi un altro Stato in quello dei patrizi!. Intanto, in opposi-
zione a quest indole cosi manifesta e costante di quel popolo,
Roma, seguendo la tradizione comune, avrebbe in brevissimo
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— 25 —spazio di tempo compiuta la riforma polìtica più radicale, più
grande in Italia ed in Grecia; Roma, clic anche per la offesa
dì Lucrezia e per la esagerala tirannide di Tarquinio anziché
abbattere il principato, avrebbe potuto disfarsi del re ed eleg-
gerne un altro, in un giorno solo, sulla proposta di un Bruto,
avrebbe introdotto una costituzione novella, dimenticando o ab-
bandonando ogni legge e consuetudine del suo diritto pubblico.
Ad un re a vita, illimitalo no' suoi poteri, irresponsabile, avrebbe
sosliluito due consoli governanti un anno, frenati dal potere
del popolo, responsabili; ad un potere supremo, clic sarebbe
stato per sempre inaccessibile alla plebe, avrebbe sostituito un
altro a cui questa poscia poteva pretendere, come vi pretese ;
ad un capo dello Slato eletto da soli patrizi!, altri eletti da pa-
trizii e da plebei. Insomma, Itonia senza appaivrchiarviii, senza
ailri tentativi, senza esempio avrebbe di botto crealo un ma-
gistrato clie non poteva, non doveva essere se non se la tra-
sformazione d'un altro, il quale, come vedremo, è intermedio
tra la Monarchia e il Consolalo, e come tale è cagione natu-
rale dei secondo, come è effetto del primo.
La critica non solo moderna, ma anche aulica notò questa
parte importante, strana della Storia Humana, e per esplicare
quel subitaneo passaggio dall' mia forma politica nelf altra, ri-
corse a quanto la tradizione riferisce intorno a Servio Tullio,
cioè avere egli avuto in animo di sostituire alia Monarchia la
Repubblica, il che poi non opero, perditi colpito dalla morte. 1
E il Niebhur poi* appoggiandosi, come di sopra s'è detto, su
' Li»: 1 , 48 : id ipsum lam mite ac lam moderatalo impcrium [amen,
quia unius esset, deponere euiii in animo liabuissc quidam auctores sunl,
ni scelus inteslinuro liberandac pattine tonsilla agitanti itltertemSMl
Dionjs. IV, 40. (Servio Tullio) Tj^itr/j. -i r.Mo\i ù-iX^iv ù; , et
Sìttov àn^i=r; ,
^-a-Trrpuv ti T/r^% -r^ i;oXiida; ili 3li*0-
xptKiav. Plul.'de fon. Rom. 10. • (Servio Tulliu) ;r,i faciteav àr.a-
v.wi-v.^ ir.iii.izq (dalla morente Tanaquilla).
*RBm, Gesch. [; p. 450.
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-al-lineile parole de! Livio ove. parlando dei due primi corsoli,
dice : ex cotmnenturiis Servi Tulli creati suiti, 1 ha opinato
che Servio, ovvero il legislatore a cui si diè tal nome, concepì il
piano d' introdurre duo consoli annuali scelti dalle due classi,
dei patrizii e dei plebei;disegno che dovè essere trascritto in
(jucllo generale della sua riforma, e di cui si valso il popolo
dopo che cacciò Tarquinio. Quaotunqoe una lunga disamina di
questa congettura non sia indispensabile al nostro proposito,
pure non sarà superlluo il dire, che essa ci sembra poco fon-
dala. È dubbio, per non dire sicuramente infondalo, ebo siensi
conservati libri e commentari! cosi esalti di un tempo tanto
oscuro, o di un re tanto incerto quale è Servio Tullio; tempo
ebe non si ebbe alcuna tradizione scritta, e re di cui non si sa
altro di vero cho la costituzione. Oltreché, ninno degli storici
acceona ad un Consolalo avulo in mente da Servio, ma sol-
tanto di una forma repubblicana. E poi, se egli s'ebbe tempo
di porre in atto la nuova costituzione finanziaria e militare,
come é che non V avrebbe avuto anche per quella del Conso-
lato '? l'are adunque che quanta su questo riguardo riferiscono
il Livio, e con lui gli altri storici, sia sialo un mezzo della stessa
crìtica antica per ispiegare quel salto dall' una costituzione po-
litica all'altra. Itispetlo poi a quelle parole ex commentari ix ecc.
non so perchè non delibasi accettare l'opinione del Sigonio.cioé
che con esse il Livio intese accennare al modo di elezione dei
consoli, i quali, secondo la riforma di Servio intorno ai Co-
mizii centuriati, furono in questi eletti. *
Seguendo la comune tradizione quel rivolgimento politico
sarebbe avvenuto senza agitazioni, senza spargimento di san-
gue, senza lotte di partili. Mentre Tarquinio attende all'assedio
di Ardca, Bruto raccoglie il popolo, che delibera la cacciata
1Liv. I. 60.
1Al luogo del Livio surriferito. Della stessa opinione sono: Gòtlling
Gcscb. li. Rom, Suats. p.2G5; Gcrlacb liisl. Sluii. 1. p. 36(5; Schwe-
gler RSìn. Gestii. 11, p. 18,
-27-del re, e quando questi senza esercito ritorna in Roma, gli
son chiuse le porte, ed egli se ne va in Cere. Da quello
che verrà detto più sotto si ricaverà, quanto poco verisimile
sia questo racconto, e come invece sia da credere ad una
guerra civile, che dovè accompagnare quel grande avveni-
mento. Ma so anche fosse vero che questo sia seguito in pace,
allora il suo effetto non avrebbe potuto essere l'abolizione
della Monarchia, sibbene la cacciala di Tarquinio. Io non dirò
esclusivamente cogli uni, clic la Monarchia Romana sia stata
un magistrato a vita istituita per sola volontà popolare ; né con
altri, che essa sia fondata sulla volontà divina manifestala nel-
r augurium augustum, insomma sia stata un potere esclusiva-
mente teocratico.' Imperciocché se dall' una parte non possono
dinegarsi pruovc a favore della prima opinione, come la ele-
zione del ro, la Icx. curiata de imperio emanala dai patrizii;
dall' altra non possono porsi in dubbio altri fatti a favore della
seconda, come la inaugurano, il possedere il ro gli auspicii
dello Slato, l'essere egli medesimo sacerdote o come tale crcaro
i pontifices a i flantìnes. Laonde panni piuttosto elio ella sia
siala doppia ad un tempo : originata di fatto por delegazione
del popolo, era poi conformata da un legame religioso. Ad ogni
modo dico che, senza una grande rivoluzione, senza una guerra
intestina, che avesse sospeso ogni pratica delle antiche forme
politiche, a cui il popolo prestava tanta devozione, ogni rito
religioso, era impossibile l'abbattimento del principato. Infatti,
gli auspicii dello Stato restavano nella persona del re por (ulta
la sua vita, e non ritornavano ai patres che con la sua morte,
ovvero con ì' abdicedio, perlaquale soltanto potevano pas-
sare al suo successore. Ora Tarquinio né mori, né abdicò;gli
' Risparmio al lellorc le molle e lunghe unte, sopratiHto per quanto ri-
guarda ij cusì ildla ielle l'alno diìl i|in'.ili>, |ii'rtuù suppi'iiigii In lui una
cognizione tfi-Ha uicile.;iuia. IJua.ilo n iiimr..stiMr.; i'uii paraggi ili sciit-
Liiri antirlii ciò die .1-- 1 1> ... mi limilo suìUinlo a quelli elle hanno snella
illinenia ni mio soggetto.
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— 28 —auspicii pubblici adunque, il die vuol diro la sanziono di tutto
il potere supremo, furono illegalmente, irre ligiosanicute strap-
pati da lui ; e i Romani, che tanto rispetto ebbero pel magi-
strato e per la sua dignità, non poterono ciò fare se non iu
uno slato eccezionale, di guerra. Ma, posto anche elio Tarqui-
nio per la sua tirannide avesse perduto gli auspicii, talché il
popolo poteva creare un altro capo dello Stalo, questo non
poteva essere che un re ; Roma non avrebbe potuto fare al-
tro, che nominare un interrex e questi un altro, e questi poi
cleL-'yere un monarca. Dappoiché era col re appunto che avea
luogo la inauguratici, la quale sparì col Consolato, e l'abolire
quella importantissima cerimonia religiosa sarebbe stato uno
sconvolgere tulio l'ordine dello Stato, un turbare tulle le co-
scienze superstiziose— e questo, certo, se avvenne, non polo
avvenire in pace. A dir breve, al re, come primo Sacerdote,
erano congiunte delie azioni sacre, le quali con lui e coll'a-
bolizione del suo potere avrebbero dovuto finire, come fini-
rono ; ma ciò non potè essere opera di pace e ordinaria. Si
dirà forse che, appunto per salvare questo forme religiose, fu
crealo il tei sacrorum, il quale assunse le funzioni sacre eser-
citate prima dal re. Ma l' aver ciò fatto non importa punto che
l'abbattimento della Monarchia, almeno sotto questo rispetto,
non abbia dovuto sembrare ai Romani il fallo più disaccetto
alla divinità. Onde a me pare piuttosto, che questa anziché
essere una istillimene sorta coii!r, iìi]iorain.'anirntc colla cacciata
dei re, sia stata alquanto posteriore, quando ritornata la pace
nello Slato, si volle con essa riparare alle offese fatte agli dei.
Ilo detto che l'esilio di Tarquiuio e la creazione d' uri nuo-
vo governo non potè avvenire in pace ed in fesla, come vor-
rebbero far crederci gli storici ; che esso dovè essere accom-
pagnato da ima guerra civile aspra, la quale forse gli anna-
listi vollero tacere per soverchia patria carità. No questo è
del tutto taciuto dalla [radi/ione, la quale, sebbene non a-
pertamenle, ne conserva tracce sicure, come nella congiura
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tramala in Roma dai legali di Tarqninio e poi svelala dal cosi
dello Vindicio, corno puro nelle guerre che ne seguirono, le
quali doverono avere un'eco nella cillà medesima, li inai pen-
sabile che un re astuto, ardito, polente quale ci vien descritto
Tarquinia, muova da Ardea verso Roma senza l'esercito, sa-
pendo della ribellione avvenuta; che al solo veder chiuse le
porte della cillà tragga in esilio, mentre poi adopera tanti mezzi
per riconquistare il Irono? Egli avea saputo puntellare la sua
signoria con relazioni esterne, con leghe di principi e famiglie
nobili latine,1 da cui poteva aver soccorso, come lo ebbe di
poi. Ma anche senza questo, egli poteva nella slessa Roma op-
porre la maggiore resistenza alla rivoluzione pel gran partito
che vi avea. Questo, che poscia in gran parte emigri) anche
esso, (ormava nella battaglia al lago Regillo una forte divisione
dell'esercito allealo Latino;5
e, sconfitto Tarqninio, l'accom-
pagnò in Cuoia, e parte si sparse per varie altre città.* Esso poi
comparisce di nuovo, quando nel 262 inviala i Romani una
commissione io Clima per comperar frumento, pose a questa
Ogni ostacolo possibile, perfino inimicandole il tiranno Aristo-
demo.' Che anzi il Livio narra che, allo scoppiare della guerra
' Liv. I, 40 Latinorum sibi maxime gcnicm conciliabat, ut peregri dìs
quoque opibus lutìor ìntcreìves tsut.mrijiin liuspiliii modo cmn prìiiioribus
corum, sci! ailfmiUiles i[ii<j'[iw miccini. Dioiiy-, IV, -Sii. S.o->^i[>.vi::Zì
è Tapiri l:\ [ir, y.xzi ì.i'ysiv. tìc ìwai-sta;, illi
Sia -G>v Sri.iov jt-ijrajiivs:;, n i-r/wwj ili fuXoxij;, àXki
xai Sivutìi, tiv «s^snfcwwv ìv. «3 Asrtivwv :Svs'j;, xai iAkotov
àziv-wi VM-ivi'si, ì^r.'/Jjtnt sl'/.'si v.;: 'rl'.1'A lX\ vrX.
1Liv. Il, 20.
It^Xiùt'.v ìc\Y.v:.i-i'.\-. \v'y>:t;i. w. ì'i ~it
t.ì'i.h t.',ìj.'.\ Ti.j-
paitov à%-.'J.l'sr.\:, -J. iìv -Ci [imù.ì: 'ì'w.w.h '.'//.-a^ì-i--^ i/. ti;;
"i.z-j-ai^ ;i5-/v,c =.>-; ài;;, \ii<i z-m-.vi s invilirai sstsà tot tu-
pd'/VOT ;o :j$ à'rtfi: Ì7,i/i\yi~.7.-i in! =avà?(<j.
*DioBys.VII,t2: 'L'-l -vi-vi 'A -ìv '\vjr.iw^vi i|J.™ "asa-
w.wMv.7.-vi rfir, -.iyi:ri',:yr.-i. K0;«^, ;': ry> 7z?a-i :M vf'&Zli m-
S'iOTàjuvst, t^v -Air,b. -f,: -%-y.ì:: i'yA'i.vi'.n Tjv.i/.ìiaczai $ixrt<i.
-30 —Latina, la cagione che indusse a creare un Dittatore, fu per-
che i consoli di quell'anno erano pel partito di Tarquinio.' Né
v' ha duhhio elio questo partito avea il suo centro nella plebe.
Tarquinio, cornei tirannelli greci, che in tante circostanze sep-
pe tanto imitare, si appoggiò sopratutto alla plebe, a quella
classe del popolo la quale, per giusto e antico odio verso i pa-
trizi!, poteva sostenere la sua signoria contro gli attacchi della
arislocrazia, a cui egli recò il maggiore indebolimento. Il Livio
racconta in fatti, che quando Porsenna comparve innanzi alle
porte di Roma, il Senato temendo che la piche non avesse
all' interno aiutata la sua impresa, cuocesse alla medesima fru-
innanzi avea tentato di porre in discordia l'uno eoo l'altra,
daodo in preda a questa le possessiooi dei re.1 Indi aggiunge,
che all' annunzio della morti» del meritimi», il Senato cominciò
voli tra Tarquioio e la plebe, nel discorso che pone in bocca
al capo di quest'ultima quando su! Monte Sacro rispose ai
messi del Senato/1
' Liv. Il, 18: net quibus ('misurimi, rjuia ex f.iciinnc Tarquiniana es-
serli.. . panini ereditimi sii. 2l:apud cjiiosiIìiiiì invniio: \ IVtummm, quia
rallini! Juliia- lìilei fiierU, se tuii-iilulii nluliraspi:; diclnlorem inde factum.
* Liv. 11,9: nec liosles modo tinicbìint, sed stiosmel ipsi cives, ne
Humana plebi melu perniisi n-ivjiiis in urkiii iv^ilius vcl clini servita te
paceui acciaerei.
1Liv. 11, 5. diripìenda (bona) plebi sunt data, ut contaela regia
' Liv. 11,21. co nitntio (della morte di T.) erecti palres. creda
plebi, sed patrilms iiiiuh luxiirinsa e;i fu il hietitia; plrhi , cui ad eam
die ni sLiraraa npe inservilum erat, i murine a primoribiis fieri coepere.3Diouys. VI, "4. 'lip.ìv -ò àj-/4isv rw,i-=u;j.a u.siaf/ta, r.ai
Hiyy. \s'iii: i;.5ipr,z -li"', -/-.m-i:;',: 'j'—.-'/.isapiv -r, -ù:-=ix. v.%:
T/j.y/. -).-,>.% -7X r-;i[i',-Ai; -.ti-i: 'Mì-i ,r1y.\ r~
i,.-ir.-i-At
lrióitou
uri ™v %y.vj.iw, m: r.àr.t-n r^.i'.-n. uri -fiv lù.-iizibii. -fà(>
il prezzo del sale, diminuì le imposte; 1 e già
di nuovo a bistrattare la plebe.' Il Di
colorito retorico, confessa anche egli
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punto l' arisloi;ra/.ia .ma discapitato no! suo polare col regno
del Superbo, e die infine il nuovo governo istituito non fu che
interamente aristocratico— oligarchico. Quale dunque dovè es-
sere l'atteggiamento della plebe rispetto a quel travolgimento
operato dai patria! ii? V. chiaro die essa, perchè vedeva in Tar-
quinia- un protettore contro gli abusi oligarchici, nella monar-
chia una guarentigia conlra un dispotismo aristocratico, che la
opprimeva più da vicino, per le relazioni finanziarie e agricole
tra lei e i nobili;perché insomma dallo stesso Tarquinto e dai
suoi partigiani tra i patrizi dovè essere spinta a sostenerlo,
non solo dovè opporsi alla sua cacciata, ma anche alla costitu-
zione di un potere aristocratico, quale sarebbe stato e in ori-
gine fu il Consolato. Né a ciò potrà rispondersi col Niebhur,
cioè che Bruto sia nn rappresentante della plebe nel nuovo
governo repubblicano.' Imperocché è noto che i Junii plebei,
di cui parla il Niebhur, non sono gli stessi di quelli che pre-
sero parto alla rivoluzione, la cui famiglia sarcbbesi estinta
colla morte dei due figliuoli del console.- Il quale fu vera-
mente anche egli patrizio,'' figliuolo di Tarquinia, sorella
li-;:-:' iv. r.Cu.'i v'ir. iv.Ti-- '>-?//,- Tj-.Cvi
/''>''.; ~(à'-~~<fi
ii'-i-i.^ tt'J.T.zvj.z. Ti'.:'/. -/.-/.zi vi-;; ow.iVj'i ;i=v
1Bora. G. T. 1. p. 292. ó' edii. emschiedsn rechile idi ili ri (Bruto)
zum plebjischcn Stanile, den er unler den vier Manneni verini.
Dionjs. V, 18. Pini. Bruì. 1 ; Cass. Dio li, 1-2.
' Dionjs. IV, G8; TS avSpi wi-sw r.arty? \ibi Mópxo; 'loijvio;,
Évi? tùv oùv Aìvsia -^m àsswiisv «EÙdvriov à-s-fsvc;, Èv toij èhl-
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— 32 —dell'ultimo re,' e !a sua moglie era della famiglia patrizia dei
Vitelli.' Inoltre come plebeo egli non avrebbe potuto essere
trìbunus Celerum. Ma quel che 6 più, se Bruto quale plebeo
fosse stato console, come spiegasi ebe la plebe dopo lui non
solo non ebbe più rappresentanti nel Consolato, ma in tutta la
lotta coi palrizii non s' appellò mai a questo fatto, die sarebbe
stalo per lei un giusto titolo aJ occupare quel magistrato?
Da allra parie anclie nel patriziato doverono aver luogo di-
scordie e lizze. Non solamente le multe famiglie investite di di-
gnità religiose, non solo quelle che doverono parteggiare per
Tarquinio si opposero alla sua cacciata e in genere all' abbat-
timento dell'antico ordino politico; ma fra le stesse famiglie
nobili delle diverse tribù vi doverono essere pretensioni e ten-
tativi di pervenire al supremo potere. Al che potevano essere
indotte dalla consuetudine che ciascuna tribù, dei lìamnenses
e dei TUienses, dava un proprio re, come avvenne dei primi
quattro; consuetudine, a cui iTarquinii aveano apportala una
interruzione, e die dovi; essere interesse dei patrizii o di una
parte di essi di ristorare. Infine, sieuo poi qualunque le ten-
denze di questa aristocrazia al principato ovvero ad altra forma
di governo, è indubitato die una grande agitazione oligarchica
dovè accompagnare quell'avvenimento, come lo mostra poscia
la oligarchia dei Fabii, che durò dal 269 al 275, e di cui si
conserva memoria solamente, perche quella famiglia si ebbe
una cronaca propria. La plebe, risultando dalla popolazione
agricola dei luoghi circostanti ili Roma, superava in numero i
patrizii; essa perciò costituendo la parte principale e maggiore
dell'esercito, tanto più se era in armi a quei torno, corno ri-
ferisce la tradizione, non poteva permettere che si fosso isti-
tuito un potere a lei pericoloso al quale non avea parto, vo-
glio diro il Consolato. Adunque vi dovè essere guerra civile, e
' Dioiijs. 1. c.
Liv. 11,4.
igifeed t>y Google
-88 —Cicerone lo conferma chiaramente in quelle parole: Tarqui-
nio cxaclo mira qaailam cxsultassc pupnlum insolenti» liber-
talis, tum oxacli in exilium innoccntes, tura bonadirepta mul-
torum ole.1
Che se con quelle disposizioni della plebe, con quelle di-
scordie dei patrizii dovè essere impossibile l' introdurre il Con-
solato, quale dovea essere adunque l'espediente più probabile?
Quale poteva essere un novello governo, r he avrs*>ad un tempo
potuto dare pace alia popolazione, assicuranze alle classi lot-
tanti;clic mentre rimaneva nelle mani dell' aristocrazia, per-
chè questa iniziò la rivoluzione, da altra parie come potere
provvisorio, poteva farsi accettare dalla plebe, a cui rimaneva
la speranza di entrare nel nuovo c definitivo potere supremo'/
V.
La Dittatura ora un magistrato, che avea molte simiglianze
con la Monarchia, onde accontentava la piche die preferiva
la signoria di un solo debole a quella di più aristocratici forti;
avea una potestà illimitata, onde poteva tenero io freno i par-
liti e lo loro agitazioni ; avea seco gliauspicii come il re, onde si
conservavano le forme religiose e si allontanavano gli scrupoli o
meglio i timori di discapiti Miclle famiglie sacerdotali; insomma
era istituito da tutto quanto il popolo, onde poneva argine ad
ogni lotta di classe. La Dittatura quindi era il solo potere, che
dovea nascere in uno stato di travolgimelo, il solo possibile
tra la Mooarcliia e il Consolato. E questo carattere di inter-
medio, di provvisorio, di ordinatore e pacificatore dello Stalo,
ha ella conservato da allora in poi, in tutta la storia Romana.
Il Consolato era una forma di governo ebe, per la sua natura
medesima, addiinandava uno sialo paciQco por essere intro-
dotto, addimandava una vittoria già conseguita dai paLrizii sui
Rq>. I. io. 63.
— 34 —plebei, del parliti) oligarchico sul monarchico; e questo stato,
questa vittoria non fu in Roma, e non si riportò cosi subito.
Ei non vale opporre che la tradizione non porga cosi le
cose, elio essa non parli di Dittatore se non nel 253 o noi
25G per la prima volta. A me sembra d'avere abbastanza di-
mostrato quanto essa sia poco esatta ed autentica. Non per-
tanto anche '[ni bisnyiia uii.-llerla in disamina, la quale deve
porre più in luce quei falli particolari, che possono accennare
ad un concetto tutt' altro di quello che essa esternamente
mostra. Tra questi fatti, ninno più apertamente di quello
del consolato di Coilatino e della sua destituzione mostra la
grandissima probabilità di una Dittatura, succeduta immedia-
tamente alla Monarchia, lo non ripeterò qui che questo con-
solato svanisce del tutto colia notizia riferita dal Polibio, che
è certo più accurata delle altre. Solamente osservo, che la
elezione di lui a console sarebbe stala la più inconseguente, la
più impossibile; poiché i patrizi doveano temere d'un parente
di Tarquinio, che, se anche non avesse voluto, sarebbe stalo
condottò dalla l'orza stessa degli avvenimenti e dei parliti o
testa per ricostitn;
che Coilatino solo
cipe— postò coni
tanto odiare i Ta>
che avevano tanti
suo avo il goverrif
i rappresentanti d
punto di quella sua pai
abdicare. Ma forse i Koi
in mezzo a queste inver
fermato da tutti gii scrii
" Vedi sopratulli Liv. Il, 2. Dìqiijs, V. 12. Plut. Popi. 7. Fior. I,
9, 3. Eulrop. I. 9. Zonar. VII, 13. Giù. Rep. 1,40, 02.
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— 85-da Roma per sospetti di ambizione monarchica. Adunque è
a credere che, scacciato il re, uno della gente dei Tarqui-
ii che forse si nominò Collatino, dovè impadronirsi del po-
tere, dismettendo il nome di re, per non essere vieppiù male
accetto ai patrizi), e il quale probabilmente dovè appoggiarsi
sulla plebe, perchè vedesi che per opera dei patrizii fn co-
stretto ad abbandonare Roma. Cosi questa avrebbe seguito'
l'esempio di molti Stati greci, ove ai re successero gli arconti
o magistrati simili, i quali per un corto tempo erano eletti e-
Eclusivamcnte dai membri della famiglia regìa, poscia mano
mano da una intera gente, e quindi da tutto il popolo. Che
questo Collatino poi siasi detto Dittatore o altrimenti, che sia
slato o no eletto, che essendolo, lo sia stato dalla plebe sola-
mente, ovvero da lei e dai patrizii, a ciò non può rispondersi
con esattezza. Nè questo diminuisce la probabilità del nostro av-
viso, poiché non v'haragionedi credere che la Dittatura di quel
periodo abbia dovuto ossero simile interamente alla posteriore.
Questa, come vedremo, fn la rcpitizione della prima sorta in
tempi di guerre interne; nonpertanto appunto perchè dovè ac-
comodarsi ad un governo già costituito, non poteva rimanere
quale fu dapprima. Il Niebhur' intravidi! questa (ìossibilità di
un potere preso da uno dei Tarquinii, ovvero concessogli dopo
cacciato il re, raa egli parla, come più innanzi mostrammo, di
un potere consolare e di un accordo coi patrizii, il che e im-
possibile. No da ultimo l'usurpazione MUmperium sarebbe
stato malagevole, poiché oltre al favore della plebe, i Tarquinìi
formavano una intera gens, la quale era numerosissima per fa-
miglie e clienti.'
Il Livio, come abbiani vednto, narra con gli altri storici
che, morto Uruto e il collega Valerio rimasto solo, non pure
non fé eleggere l'altro consolo, ma fahbricossi un castello sui
. ' Etóra. Gcsch. 1,543.
* Cic. Rep. Il, 31, 04: nostri maiores ci Conlalinum iDnacenleal su-
s|iii:iuiic([igrmli()iii« i.'iqwIcniNl , d rcliijiius T.irijiiìiiiiis (illusione nominis.
— 36 —Velia ; che perciò cadde in sospetto di ambizione monarchica
presso il popolo. Ora in questa tradizione é conservato un fatto
storico, innegabile, cioè la signoria assoluta c illimitata di un
patrizio;
signoria che da Tarquinio si continuò in Collatino,
o che, esiliato questi, passò nella famiglia nobile e potente
dei Valerii, sia per usurpazione, sia por delegazione ovvero
per favore d' un partito. Che ami qui appunto si manifesta
ojiella lotta, che dove aver luogo tra patrizi] o plebei per la
rosiituzìoue del novello governo. Collatino appoggiandosi sui
partito plebeo di Tarquinio, dovè essere il primo a porsi a
capo dello Stato, e la sua signoria in osi raridosi pericolosa alla
asistocrazia dovè per opera principalmente di questa essere
scaccialo. Imperciocché è detlo, che quando quegli dinegossi ad
abdicare, Bruto che era un patrizio, il destimi con un voto
dei Comizii curiali i quali, come e nolo, eran composti di pa-
trizii.' Effetto di questa vittoria del patriziato dovè essere il
potere esercitato da Valerio, il che è mostrato non solamente
dalla nobiltà dei Valerii, ma dalle parole del Livio* e del Dione
Cassio, che dicono ossero sialo odialo dalla plebe per quolla
sua tendenza al principato. Ei non si può dire recisamente se la
circostanza del castello fabbricatosi da lui sia una favola o
pure una verità slorica. Ella potrebbe essere storica, poiché è
indubitalo che sul Velia esisteva un castello, ove abitarono
Anco Marzio, Tarquinio Prisco ed il Superbo, 4 ed è probabile
che un Dittatore come Valerio abbia voluto impadronirsene
per (enervisi più sicuro. Ad ogni modo poi anche come favola,
1Ciò. Brut. ti. 53. Fior. I, 0, 3. DioCass. XLVI.M.Liv. 11,1. Gratuiti iu ( il dimettere dei fateti) inulti Unii ni spoeta-
ci! tum fiiìt.
' Fr. 13, 2 (Mai Nov. Coh. T. ll.p.Ua.) (vi È dello, il popolo a-
*Cic. ttop. Il, 34,53. Sol. I, 23. Liv. [, il. Plin. Il N. XXXIV.
13.29.
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— 37 —ella assicura sempre che un Valerio fu in Roma, il cui polere
dovè sembrare pericoloso alla libertà. Né questo pericolo era
in lui possibile siccome console, siimene qual Dittatore, il
quale siccome tale avea la somma del governo nello sue mani,
nò era limitato dal tempo della durata del suo officio. E 1'es-
sere stato egli per lungo tempo consoli; senza collega, non ac-
cenna forse apertamente al potere unico, assoluto che dovè
esercitare? Esso poi apparisce più chiaramente ancora nella
circostanza, che Valerio solo fè quelle due leggi die gli me-
ritarono il nome di Publicola ;' leggi die come console egli non
avrebbe potuto dettare se non insieme all'altro collega, e se
anche fosse vero che poscia il fé eleggere, non avea ragione,
non diritto ad emanare prima di ciò le medesime. Inoltre se
si considera die il DionigiJfa da lui ricostituire il censo e i
Comizii centuriati, che il Kesto ed il Plutarco gli attribuiscono
le elezioni nel Senato,1 che di poi egli depone le insegne e ri-
conosce nel popolo il sommo imperio;
1tutto ciò dimostra elio
egli dovè avere un'autorità non solo suprema nello Stato,
ma riordinatrice del medesimo. Ed a questo concetto corri-
sponde il titolo più antico che solevasi dare al Dittatore, cioè
rei gerumlae o anche .wditioiu's .Kdundae causa. : \è altro
che questa signoria oligairliico-diltatoriali; possono signifi-
care i nomi di quei cinque Valeriì, che appariscono nei cin-
que primi anni della Repubblica sempre come eonsoli. Non
essendovi in quel tempo una tradizione scritta e sicura, prin-
cipalmente quanto ai nomi, è a credere o che il potere del
' Liv. 11,8: inde cognnmen factum Publicolae est, aule omnes de pro-
vratiuiit a'Kvrsus J]'.;ii;ivil[nt|]s |n:[i;il 11:11 s:u;rai;d'ji]ui; cimi lumi* capilo
cius, qui regni 'Xì:ii;i,iiii1ì ciniglia iriis*'t, gr.ilau in vulgus li'yo fucr.!.
Cic.Itcp. Il, 31. 53.
V, 20.
' Fesi. p. 254. Plut. Popi. 11.1 Liv. [1,1: Confessi unemque ftclam populi quam consulis mniesUlem
'"sEDITIONlS. SEfJANDAE ET. tt. G. C.Faat. Capii, m. 38fi.
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-38-primo Valerio si sia ereditato per alcuni anni dalla sua gente,
ovvero cbe quei diversi nomi significhino tutti lo stesso Vale-
rio, ritrovali dagli annalisti por riempiere i fasti consolari. Del
resto, anche in ciò Roma avrebbe seguito l'esempio dei Greci,
i quali sovente eleggevano dei cosidetti Asymneti che con
piena ed illimitata potestà, aveano a riordinare e rappaciare
gli Stati turbati da gnerre civili, e talvolta lo erano a vita,
talvolta finche durava il loro riordinamento.'
Ma Roma sostituendo alla Monarchia la Dittatura, non so-
lamente imitava i Greci, ma un popolo fratello, vicino che
nel medesimo tempo quasi compiva la stessa rivoluzione, i
Latini. Io non ripeterò quanto da altri maestrevolmente é
stato osservato intorno alle relazioni, che questo rivolgimento
politico di Roma ebbe con quello contemporaneo e quasi si-
mile negli effetti in Italia e Grecia. Osservo soltanto che,
mentre nel Lazio, nelle varie città ai tempi della Monarchia
Romana sì porgono come capi dei diversi Stati dei re, a questi
si veggono poco a poco sostituire dei Dittatori. Il Dionigi ri-
ferisce che in Alba Longa alla morte di Kumitore re successe
un Dittatore, 2 e un tal magistrato in vero, Metius Fufetius,
condusse gli Albani contro Roma sotto Tulio Ostilio; e altrove
aggiunge che al tempo della prima secessione della plebe, ne!
Lazio non v'ebbe più Monarchia.-1 Altrettanto vien dotto dell'E-
truria, dove solamente Vcii conservò fino alla sua rovina il
principato.* Qual meraviglia adunque che Roma abbia seguito
* Vedi Wachsniuth hcll. Altcrthumskundc. ! , p. 441.* V,"4: Aix'lwis; 'A r.n-/ 'AÌ'iotùv vsz<i\ tìv SutTsvtopa 'Piopatgu;
at? (titoStìgat, àfl aù-rijv !xOT"*S ESouciav toì? gasiXeùéi, xoÌeìv
" FJionjs. VI, 62.
* Liv. V. 1. Vcicntcs contea laeriio annuae ambilionis, quae iaterdnm
ili-iiijiJi.nnui i/iiusii criil, vcReiii cuviviTt. diurni il t>a res HOpulorum Elru-
riae animus non ma iure mlio ix^ni i£ii:liii ipsius regis.
-39-anche essa l'esempio di questi popoli, coi quali fu in Unto
commercio, e la cui costituzione sociale era tanto simile a
quella di molte città Latiue ? Io credo che sarebbe invece a
meravigliarsi, se ella non avesse ciò fatto. Dissi di sopra, clie
la Dittatura era il solo potere, il quale naturalmente nasceva
dalla Monarchia e dava la mano al Consolalo ; il solo possi-
bile, necessario in Roma a quei tempo, ove s'avea mestieri
di pace interna e di riordinamento politico. Ora questo doppio
carattere s' ebbe la Dittatura, e lo mostra 1" avorio conservato
anche in segnilo. Divero, lo scopo direi militare, repressivo
della medesima si manifesta in quel titolo che abbiamo riferi-
to: seditionis sedandue causa; lo scopo civile, ricostitutivo nel
nome di magùter populì, che il Dittatore si ebbe nei primi
tempi,' non che nel titolo: mi tjcrumbv: causa. E nell'ima e
nell'altra qualità, il Dittatore era un re a tempo, 1illimitato
nel suo potere, come lo indicano gli epiteti che gli son dati,3
la sua irresponsabilità 1 e in genere la storia dello varie Ditta-
ture. Come al re, tutti gli altri magistrati erano a lui sotto-
messi, ed avea i ventiquattro Littori, segno della sua supre-
ma autorità.' Egli adunque mentre non avea il nomo di re,
perchè questo dove essere odiato per la tirannide di Tarqui-
nio, ne ebbe tutta la potestà necessaria a frenare i partili;
mentre non era limitato da altro magistrato o legge, per non
iscemare la efficacia della sua forza, era poi limitato dal tempo,
* Ci?. Kcp. I, 40, 03. Nani diciatto' quidam ali co anpullatur, quia di-
cìtur; sed in nostris likis viiles unni, Lidi, uiiigislrutii |mjiuli ;i|i|n;lljri.
" Cic. Kep. 11, 32, 50; novumque id genus imperli visura usi et pro-
ximum simili ludi ni regiac.3Dionigi chiama la Dittatura icfl-àfavvov ip/ip (V, Il ), c Polibio
appella il DiUalc-rc à'jTSKfà-iop srporajfi; (111, 81.)
* Dionys. V, "70: à^yr,i .... airaxp arrapa xal àvra'jàuvsv. iSv dv
fyàhpai xaì Kp«fi«t. Cf. VI, 38.1Dionys. X,24: »i; S'èf^i: ^v, oraeii? -'aìi-ù faXdpziq a.r.^cfr,-
eùnpEitfai r.y.-.f^-i. xai -z\ixs>.z àpi rni; fa^Ssi; EÌxnot-
-Ì5za-,iz -a-: ÌT-:tfJ%i y.-ì.-"
igitized ti/ Google
-40-appunto perché esso venne creato come magistrato provvisorio,
a fine di ricostituire un governo. E ciò, io credo, fece uno dei
Valerli; e ciò conferma la tradizione, quando fa primo Ditta-
tore un M. Valùrius, nepole del Publicola.1
La incertezza poi intorno al primo Dittatore, non che sull'an-
no della sua prima elezione, panni che securamente mostri
che la Dittatura non dovè essere instituita nei tempi dopo la
prima secessione della plebe, ma in quei periodo di rivolgi*
„ mento, in cui non v' ebbe tradizione certa e scritta. Livio
dice apertamente essere ignoto il nome del primo Dittato-
re,- e aggiugne che presso alcuni annalisti si rinviene co-
me tale Tito Lardo e noi abbiamo or ora vedalo, che altri
nominano Manio Valerio. Quanto all'anno il Livio nel luogo
citato esprime la stessa incertezza, benché pare che accetti es-
sere :i 253;mentre il Dionigi opina essere l'anno 256.'Dalla
quale incertezza si ricava del pari, che in essa caddero gli sto-
rici per aver ritenuto il Consolato essere subito succedalo alla
Monarchia, laiche furono costretti a dinotare come prima Dit-
tatura una di quelle che doverono sorgere di poi.
Oltre a ciò non sarà inutile por mente ancora a quanto la
tradizione stessa, parlandoci dell'uso di infiggere un chiodo nel
muro del tempio di Giove, ha conservato a tonferma del mio
" Fest. p. 138. Oplima lex: Hanius Valerius Marci filins, prinus ma-
gìslcr populi ereatus est. Liv. li. 18: co magis adducor, ut credam Lar-
dimi, qui conditovi* crai, l'iilius qua m M. Yalcrium M. iilium Volesi ne-
polem, qui [mudimi consci filerai. niiiiìi.'iiiluri m d nmìislrum eonsulibus
appositum. Orci. n. 535; Al. VALERIUS VOLUSl F. MAXIMBS.DICTATOR. AUGUR. PRIMUS. QUASI ULLUN MAGISTRÀ-TDM GEHERET DICTATOR DICTDS EST eie.
" 11, 18 ; lice quo anno.... net qui s i'ìÌ'ìiiiiii (I.cliitor ersutus sii, sa-
lis constai.
' hi: ajiiiil velorrimos (amen auctores T. Lardimi dietatorero priraum,
Sp. Cassiuai niagislriiiii rilutimi: crratos invenia
'Vedi Liv. V. c. 70. ove e. gli parla anche di T. Lardo comi: primu
Diualorc. Diuuys, V, 70,71.
— 41 —avviso. 11 Livio parla di una legge, la quale stabiliva che ogni
anno agli idi dì Settembre un Pretore Massimo dovea porre
un chiodo nel muro del (empio di Giove.' E come ciò s' aveva a
ripetere ogni anno, cosi quel magistrato dovea es sere ordinario.
Ora egli non poteva essere, cerio, un console, perché 1' uno
dei due consoli, il quale per un mese avea f imperiai», era
detto maior e non maximus, appunto perché essi eran due e
non più. Che anzi anche ne'tempi che seguirono, era sempre
un Dittatore che compliva quell'ufficio, siccome si vede dalle
parole surriferite del Livio, epperò non corre dubbio che Pre-
tore Massimo dovè essere proprio il Dittatore sotto questo
riguardo. Quella legge intanto non potè esser data, che appunto
quando si inaugurò quel tempio, ed è noto che ciò avvenne
dopo cacciato Tarquinio.' Adunque a quel tempo dovè essere
capo dello Stato un Dittatore.
Un argomento in fine molto grave per la nostra opinione è,
che nelle città Latine antichissime il passaggio dalla Monarchia
ad una forma politica più libera fu propriamente pel mezzo
della Dittatura. 1 La quale magistratura talvolta si conservò co-
me un potere ordinario, simile in parte a quelie dei consoli,
anche in quelle città che col tempo dipesero come* municipi
i
da Roma.
Se infine si darà uno sguardo alla Dittatura quale fu noi
tempi posteriori, sì vedrà chiaro che essa non fu altro, se
non quella medesima da noi or ora designata e sorta in quel
' Liv. VII, 3; lei velusla est, |iriir:is liltn'is vtrbisque stripla, ut qui
praetor maximus sit idibus SepLcmbi ibu.s claviim pan gal. lixa fuit destro
lateri ;iedis lovìs optimi inasinii, ex qua parie Minervae lempluin est.
E più innanzi... rcpetitum ex seniorum memoria dìritur, peaiileriLian»
quondam ciato ab dittatore fuo sedatam, ca religione adduclns scnatus
dictalorem davi figendi causa dici iussil.
Liv. VII, 3; Horalìus consul ex lego lempluni lovis optimi maximi
dedicavi! anno posi reges «actos; j cunsiilibus puilw ad diulalores, quia
raaius imperium crai, salarimi: Navi lignuli ir.injUtum esl.
1Lorenz de Didaioribns Laiinis. flrim. 18-tl.
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— 42 —periodo di transizione, modificala alquanto però dalle diverse
condizioni politiche. La prima Dittatura non potè avere che
dne scopi, la concordia delle parti, il ricomponimento di un
nuovo governo; non potè avere che due occasioni, la guerra
interna e la esterna. Poscia, costituito il Consolato, il partito
della plebe lottando contra il patriziato per mezzo di un or-
gano governativo, i Tribuni, e tendendo solamente ad otto-
nere la uguaglianza nella società e nello Stato, lo scopo della
Dittatura non poteva più. essere il medesimo ; e ciò che per
la prima fu occasione di lei, per le altre fu scopo, voglio in-
tendere le guerre. Egli è perciò che il Livio dà come cagione
della prima la guerra esterna,' e il Dionigi la ricomposizione
dei parliti.3
Il primo Dittatore se fu eletto, lo dovè essere dal
popolo, cioè dai palrizii, perché furono questi che iniziarono
il movimento antimonarchico; e quando il iNiebhur sostene-
va contra l'opinione di tutti gli storici, che nei primi tempi
egli dovè essere scelto dai Comizii curiati, 1 parmi che si a-
vea ragione. Ma quando la Dittatura si rinnovellò non più
per interesse dei soli patrizii, ma di tutta la nazione; quando
essa entrò mentre gii v'era un altro potere costituito, allora
sol(entrarono i Consoli e il Senato, l'uno proponendo il Ditta-
tore, gli altri eleggendolo. E cosi finalmente, mentre forse la
prima Dittatura dovè aversi una durata illimitata, poiché non
potevasi determinar tempo alla ricostituzione dei poteri, le
altre che vennero poscia non durarono più di sei mesi, anzi
nel fatto duravan molto meno, perché le loro missioni erano
più determinale.
Intendo che fra lo opposizioni le quali verranno fatte in-
torno a questa opinione sulla Dittatura, vi sarà quella: quan-
do dunque fu inslituilo il Consolato? E noi forse in altro scritto
avremo opportunità a tentar di dimostrare, che il Consolato
probabilmente fu instituito insieme al Tribunato della plebe.
11.18. «U.63, 70. ' Itom.Gesrh. 1,592.
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