Università degli Studi di Perugia
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Fisica
Anno Accademico 2012/2013
Tesi di Laurea
Automi Cellulari e
Meccanica Quantistica
Laureando:
Alessio Mangoni
Relatore:
Dr. Simone Pacetti
Sommario
La nascita della meccanica quantistica, con il principio di indeterminazio-
ne di Heisenberg e l'esistenza dell'entanglement quantistico, ha scosso radi-
calmente il punto di vista degli scienziati sulla natura. Einstein era riuscito
a conferire una realtà propria alle componenti della natura, sia elaborando
la Relatività Speciale che quella Generale. In queste teorie infatti una gran-
dezza �sica è descritta da un ente matematico che la rende intrinsecamente
invariante, come ad esempio un tensore, concependo le di�erenti osservazioni
delle proprietà del sistema come risultato del cambiamento delle componenti
del tensore a causa di un cambiamento di base. Einstein era convinto che ogni
teoria �sica dovesse essere reale, locale e completa, per questo non credeva che
la meccanica quantistica potesse essere una teoria �nale. Bell dimostrò, con
le sue celebri diseguaglianze, che non si può costruire una teoria a variabili
nascoste locale che riproduca i risultati della meccanica quantistica. Tutta-
via il procedimento con cui si arriva alle diseguaglianze sembra non escludere
che un'evoluzione deterministica e locale, rappresentata da automa cellulare,
possa portare, a grandi distanze, alle previsioni della teoria quantistica.
Indice
Introduzione 3
1 Gli Automi Cellulari 7
1.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.2 De�nizione formale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.3 Proprietà e classi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.4 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2 Le diseguaglianze di Bell 12
2.1 La correlazione quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2.2 Il paradosso EPR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
2.3 Il teorema di Bell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
2.4 Considerazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
3 Dagli Automi Cellulari alla Meccanica Quantistica 20
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
3.2 Quantizzazione primitiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
3.3 Gli operatori Beable e Changeable . . . . . . . . . . . . . . . . 25
3.4 Un modello di Automa Cellulare . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
3.5 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
3.6 Perdita di informazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
1
Introduzione
Fino all'avvento degli esperimenti che misero in crisi la �sica classica e che
indussero la nascita della meccanica quantistica gli scienziati erano pervasi
da un grande ottimismo dovuto alla convinzione di poter controllare i mecca-
nismi della natura tramite teorie deterministiche. Le leggi �siche sviluppate
�no a quel momento permettevano, tramite equazioni di�erenziali più o meno
complesse e condizioni al contorno, di conoscere qualsiasi grandezza �sica di
un dato sistema. Se le equazioni non ammettevano soluzione esatta si poteva
applicare uno dei numerosi metodi di risoluzione numerica, permettendo di
avere la soluzione con la precisione voluta, almeo in linea di principio. Nei
primi anni del Novecento Einstein era riuscito ad elaborare una teoria molto
potente che sistemava le apparenti incoerenze nella descrizione di fenomeni
elettromagnetici, salvando le equazioni di Maxwell e ampliando il gruppo
di trasformazioni di Newton: la teoria della relatività speciale. Contempo-
raneamente, con le conoscenze dell'epoca, non si riuscivano a spiegare vari
risultati di esperimenti come ad esempio la di�razione di elettroni, l'e�etto
Compton, l'esperimento di Stern e Gerlach, la radiazione di corpo nero legata
alla cosiddetta �catastrofe ultravioletta� e il problema del calore speci�co a
basse temperature. Nasceva, pian piano, la meccanica quantistica. Il pri-
mo passo fu il modello proposto dal �sico danese Niels Bohr per spiegare
lo spettro di emissione discreto dell'atomo di idrogeno legato empiricamente
3
4
alla formula di Balmer o, più in generale, a quella di Rydberg, in questo
caso il modulo del momento angolare dell'elettrone era supposto essere mul-
tiplo intero della costante di Planck ridotta, ~, ovvero quantizzato. Una
tappa fondamentale fu l'ipotesi di Louis De Broglie sulla lunghezza d'onda
associabile ad un elettrone, che portò alla formulazione, da parte di Schrö-
dinger e Heisenberg, delle due teorie note come la meccanica ondulatoria e la
meccanica delle matrici. La formalizzazione della teoria quantistica è stata
fatta successivamente da Dirac, Von Neumann e Weyl. Schrodinger propose
un'equazione di�erenziale alle derivate parziale che governa qualsiasi siste-
ma quantistico, dalla quale, con opportune condizioni al contorno, i numeri
interi introdotti arbitrariamente da Bohr nella quantizzazione del momento
angolare dell'elettrone nell'atomo di idrogeno sorgono spontaneamente. Nella
meccanica classica le variabili canonicamente coniugate posizione e impulso
possono essere usate per de�nire lo stato di una particella e il loro valore
può essere conosciuto esattamente; in meccanica quantistica, invece, questo
non è possibile a causa dei limiti imposti dal principio di indeterminazione
di Heisenberg, principio che in realtà può essere dimostrato con l'algebra
degli operatori associati alle osservabili �siche. In questo modo il concetto
di traiettoria di una particella quantistica perde di signi�cato e tutte le in-
formazioni deducibili sono contenute nella funzione d'onda del sistema �sico
ψ(~x, t), il cui modulo quadro rappresenta la densità di probabilità di posi-
zione al tempo t. Il fatto che una descrizione �nale della natura permetta il
solo calcolo delle probabilità di determinate grandezze �siche fu contestato
da molti �sici tra cui Einstein che riassunse il suo disappunto nella celebre
frase �Dio non gioca a dadi con l'universo�. Di contraria opinione era Niels
Bohr e in generale l'interpretazione di Copenaghen della meccanica quanti-
stica secondo cui le informazioni che provengono dalla funzione d'onda sono
5
irriducibili. Nel 1935 Einstein, Podolsky e Rosen pubblicarono un articolo [1]
dal titolo �Can Quantum Mechanical Description of Physical Reality Be Con-
sidered Complete?�, noto col nome di paradosso EPR dal nome dei tre, in cui
si mostrava come, assumendo località e realismo locale, la descrizione della
realtà data dalla funzione d'onda non può essere completa. Successivamente
John Bell [2] mostrò che supponendo di introdurre le variabili nascoste locali
tramite un parametro o una loro distribuzione di probabilità, la probabilità
di misura di osservabili su sistemi correlati (detti anche entangled) dovevano
soddisfare certe diseguaglianze. La teoria quantistica portava a predizioni
che le violavano e quindi Bell concluse che nessuna teoria a variabili nascoste
locali poteva portare ai risultati della meccanica quantistica. Gli esperimenti
e�ettuati �nora sembrano dare supporto alle previsioni quantistiche su par-
ticelle correlate. La teoria quantistica si può tuttavia pensare come un utile
e potente strumento matematico capace di predizioni sulla natura talvolta
molto accurate, ma non come una teoria �nale. Un'idea, portata avanti da
't Hooft, prevede che il determinismo e la località siano preservati alla scala
di Planck sotto forma di un automa cellulare la cui evoluzione è, appunto,
deterministica e classica. In questo modello la natura probabilistica della
meccanica quantistica può essere ottenuta introducendo piccole perturbazio-
ni che comportano perdita di informazione. Come proposto da 't Hooft [3,6]
si può procedere ad una �quantizzazione primitiva� degli automi cellulari,
descrivendo il loro comportamento a distanza tramite operatori quantistici
in uno spazio di Hilbert, con la località espressa mediante i commutatori.
In questo modo si avrebbe un modello in partenza deterministico descritto
da un formalismo molto simile alla meccanica quantistica. Si può così, suc-
cessivamente, introdurre la perdita di informazione e de�nire stati correlati
proprio come nella meccanica quantistica. Il dubbio se questo modello vìoli
6
o no le diseguaglianze di Bell è dovuto dal suo essere intrinsecamente locale
e deterministico, ma ciò sarà discusso in seguito.
Capitolo 1
Gli Automi Cellulari
1.1 Generalità
Il modello di evoluzione deterministica da cui tutto segue potrebbe essere,
alle dimensioni della scala di Planck, un automa cellulare [3]. Un automa
cellulare è un modello discreto studiato in varie discipline come ad esempio
�sica, matematica, biologia e informatica, usato in particolare per simula-
zioni. Esso consiste, intuitivamente, in un reticolo regolare d-dimensionale
di celle ciascuna avente uno stato ben de�nito. Al tempo iniziale t = 0 lo
stato di ogni cella è noto e al passo temporale successivo ogni stato evolve
secondo una regola ben de�nita e, in generale, l'aggiornamento di ogni cella
è istantaneo. Inizialmente gli automi cellulari furono studiati verso la metà
degli anni '50 del Novecento da Von Neumann che immaginava un reticolo
bidimensionale composto da in�nite celle quadrate con spazio e tempo di-
screti in cui ogni cella evolveva il proprio stato a seconda della situazione
presente nelle celle vicine.
7
1.2 De�nizione formale 8
1.2 De�nizione formale
Un automa cellulare può essere de�nito, in modo rigoroso, come una
quadrupla A = (d, S, V, f) dove
1. d ∈ N+ è la dimensione del reticolo;
2. S è l'insieme �nito degli stati possibili per una cella;
3. V è un sottoinsieme �nito di Zd detto indice di vicinato e compren-
de tutte le celle del reticolo vicine ad una data cella che in�uenzano
l'evoluzione di quest'ultima;
4. f : Sa → S è una funzione generica che de�nisce l'evoluzione di uno sta-
to al tempo successivo, a partire dallo stato delle celle del suo vicinato
dell'insieme V , a è la dimensione di V .
Lo spazio discreto può essere visto come composto da celle quadrate, esago-
nali o di altre forme. Il vicinato di una cella, nel caso in cui la dimensione
sia d = 2, può essere de�nito in vari modi, i due più noti sono il vicinato di
Neumann e quello di Moore. Il primo include, oltre ad una cella centrale, le
altre quattro con�nanti lungo i lati per un totale di 5 celle, mentre il secondo,
oltre a queste, anche quelle lungo le diagonali e quindi 9 celle in tutto. Questi
due esempi sono mostrati in �gura 1.1, dove le celle bianche sono escluse.
Figura 1.1: Vicinati di Neumann e di Moore.
1.3 Proprietà e classi 9
1.3 Proprietà e classi
Nel caso più semplice di automa cellulare unidimensionale il vicinato può
essere composto da tre celle, la centrale e le due adiacenti, inoltre si possono
scegliere due stati codi�cati dai bit 0, 1. Questo tipo è detto automa cellulare
elementare. Le con�gurazioni possibili per un vicinato di questo tipo sono
23 = 8 e gli automi cellulari possibili 28 = 256. Queste possono essere
scritte con la notazione di Wolfram [4] che assegna come nome alla regola
il numero decimale che, scritto in notazione binaria con 8 bit, fornisce la
tabella dell'evoluzione. Ad esempio la regola 30 in binario è 00011110 ovvero
dato lo stato al tempo t di tre celle, negli otto casi possibili, al tempo t + 1
la cella centrale assumerà come stato uno degli otto bit di 00011110 come
in tabella 1.1. Stephen Wolfram nel 1984, basandosi sul comportamento
Tabella 1.1: Regola 30.
111 110 101 100 011 010 001 000
0 0 0 1 1 1 1 0
Tabella 1.2: Regola 110.
111 110 101 100 011 010 001 000
0 1 1 0 1 1 1 0
durante l'evoluzione di un automa cellulare che parte da uno stato casuale,
classi�cò gli automi cellulari elementari in 4 classi, dette classi di Wolfram [4],
così costituite
1. Uniformi: Dopo un numero �nito di passi, l'automa tende ad un'unica
con�gurazione uniforme
1.4 Esempi 10
2. Periodici: L'automa produce schemi che si ripetono periodicamente,
all'in�nito
3. Caotici: L'automa produce schemi aperiodici e/o caotici, le loro con�-
gurazioni rimangono casuali
4. Complessi: L'automa produce schemi complessi le cui strutture intera-
giscono tra di loro
1.4 Esempi
Tra i 256 automi cellulari elementari alcuni hanno caratteristiche parti-
colari, ad esempio le regole 30 e 110. Simulando la regola 30 per 100 passi
partendo da una con�gurazione iniziale di celle tutte nello stato 0 eccetto
una centrale nello stato 1 si ottiene la piramide in �gura 1.2, dove ogni ri-
ga successiva rappresenta il sistema al tempo successivo. Una simulazione
simile si ha in �gura 1.3 con la regola 110 esplicitata in tabella 1.2. Que-
st'ultima si è rivelata essere una macchina di Turing ossia è capace di com-
putazione universale [5]. Si possono trovare degli automi cellulari che sono
Figura 1.2: Evoluzione regola 30.
legati alle equazioni di�erenziali. Ad esempio data l'equazione delle onde
1.4 Esempi 11
Figura 1.3: Evoluzione regola 110.
1-dimensionale∂2a
∂t2− c2 ∂
2a
∂x2= 0 , (1.1)
si può scrivere l'equazione alle di�erenze �nite
at+1i − 2ati + at−1i
(δt)2− c2
ati+1 − 2ati + ati−1(δx)2
= 0 .
Ponendo il passo del reticolo δx = 1 e il passo temporale δt = 1, si ottiene
at+1i = −at−1i + [ati+1 + uti−1 + 2(1− c2)uti]
che fornisce l'evoluzione temporale di un automa cellulare legato all'equazione
di�erenziale (1.1).
Capitolo 2
Le diseguaglianze di Bell
2.1 La correlazione quantistica
Un sistema quantistico descritto da
|ψ〉 =∑k
ck |ψk〉 (2.1)
è detto essere in uno stato puro, dove |ψk〉 è una base dello spazio di Hilbert.
Un insieme di stati si dice miscela se è separabile in sottoinsiemi ognuno
descritto dallo stato |ψk〉 e rappresentante una frazione pk = |ck|2 del totale.
La di�erenza si vede nel calcolo delle probabilità del risultato di una misura
di un'osservabile descritta da un operatore A con
A |ak〉 = ak |ak〉 , 〈ak|aj〉 = δk,j .
Infatti la probabilità Ppuro(ak) di ottenere ak da una misura e�ettuata sul-
l'insieme in uno stato puro è, usando la (2.1)
Ppuro(ak) = ‖〈ak|ψ〉 |ak〉‖2 =
∥∥∥∥∥∑i
ci 〈ak|ψi〉 |ak〉
∥∥∥∥∥2
=
=∑i
|ci|2 |〈ak|ψi〉|2 +∑i 6=j
c∗jci 〈ψj|ak〉 〈ak|ψi〉 . (2.2)
12
2.2 Il paradosso EPR 13
Mentre invece lo stesso calcolo fatto sul sistema miscela porta a
Pmiscela(ak) =∑i
|ci|2 |〈ak|ψi〉|2 . (2.3)
La di�erenza tra le due probabilità date dalle equazioni (2.2) e (2.3) è il
termine di interferenza ∑i 6=j
c∗jci 〈ψj|ak〉 〈ak|ψi〉 .
Si può osservare che questo termine è nullo se l'operatore A è diagonale nella
base |ψk〉. In generale un sistema �sico quantistico formato da più particelle
è descritto da una funzione d'onda unica che non sempre è separabile in
funzioni d'onda di singola particella. Questo è possibile, ad esempio, nel caso
di N particelle libere non interagenti, in questo caso, infatti, l'hamiltoniana
H del sistema è completamente separabile in una somma∑N
k=1Hk, dove
ciascuna Hk è riferita alla k−esima particella e la funzione d'onda totale si
può scrivere come prodotto delle singole funzioni d'onda di ogni particella,
ψ =∏N
k=1 ψk. Nel caso in cui lo stato del sistema sia non separabile si
parla di stato correlato o entangled. La di�erenza tra stati puri e miscele si
può vedere nel calcolo della probabilità di misura dello spin di due particelle
correlate. Si possono trovare insiemi di stati in cui, in uno la probabilità di
misura simultanea dello spin per le due particelle è nulla (puro) e in un altro
no (miscela). Ad esempio nel caso di due paricelle di spin 12che sono in uno
stato di singoletto (spin totale 0).
2.2 Il paradosso EPR
Nel 1935 Einstein, Podolsky e Rosen pubblicarono un articolo [1] in cui,
date le de�nizioni di realtà, località e completezza, si mostrava come la mec-
2.2 Il paradosso EPR 14
canica fosse una teoria �sica non completa. Nell'articolo vengono date le
seguenti de�nizioni:
• realtà: condizione su�ciente per la realtà di una quantità �sica è la
possibilità di predirla con certezza, senza disturbare il sistema;
• località: se due sistemi sono molto lontani spazialmente allora una
perturbazione esterna agente sul primo sistema non può in�uenzare
istantaneamente e direttamente l'altro;
• completezza: una teoria �sica si dice completa se ogni elemento della
realtà �sica ha una controparte nella teoria.
Il punto chiave è che se gli operatori A, B associati a due osservabili A,B non
commutano, [A, B] 6= 0, allora non si può avere una misura simultanea delle
due quantità �siche associate. Da qui i tre dedussero che: o 1) la descrizione
quantistica della realtà data dalla funzione d'onda non è completa, o 2) le due
quantità �siche associate a operatori che non commutano non hanno realtà
simultanea. Nel paradosso descritto nell'articolo, noto col nome paradosso
EPR dalle iniziali dei tre autori, si prendono in considerazione due sistemi
S1, S2, descritti da due operatori A e B, i cui autostati sono correlati, in
modo che la conoscenza dell'autostato di A determini l'autostato di B in
cui si trova il secondo sistema. Ad un certo istante, misurando l'osservabile
A si può sapere il valore di B senza disturbare S2 e dalla de�nizione di
realtà si deduce che B è un elemento di realtà per S2. Se si introduce un
terzo operatore C, tale che [B, C] 6= 0, allora il secondo sistema può essere
descritto da due funzioni d'onda diverse. Negando la 1) si arriva ad una
negazione della 2) e si conclude che la descrizione quantistica della realtà
�sica data dalla funzione d'onda non è completa.
2.3 Il teorema di Bell 15
2.3 Il teorema di Bell
John Bell, nel 1964, pubblicò un articolo intitolato �On the Einstein Po-
dolsky Rosen paradox� [2] in cui si mostra che non si riescono a riprodurre
i risultati della meccanica quantistica con una teorie a variabili nascoste lo-
cali, rappresentate da un certo parametro o gruppo di parametri (discreti
o continui) λ. Infatti, partendo da una teoria a variabili nascoste di questo
tipo, si arriva a delle diseguaglianze, dette appunto di Bell, che devono essere
soddisfatte. Le predizioni della meccanica quantistica non soddisfano que-
ste relazioni e gli esperimenti sembrano confermare le predizioni della teoria
quantistica. Per ottenere le diseguaglianze di Bell si considerino due parti-
celle di spin 12, in moto in direzioni l'una opposta all'altra, generate da una
particella in un singoletto di spin
|0, 0〉 = 1√2(|+〉 ⊗ |−〉 − |−〉 ⊗ |+〉) ,
durante un processo di decadimento che conservi lo spin. Si supponga di
e�ettuare delle misure sulle due particelle con apparati di Stern-Gerlach e
siano a e b i versori della direzione delle loro orientazioni. Chiamiamo con A
e B rispettivamente le osservabili spin della prima particella lungo a e spin
della seconda particella lungo b (in realtà si faranno i calcoli considerando
come operatore anzichè la proiezione dello spin lungo una direzione n, ovvero
l'operatore Sn = ~2~σ · n, semplicemente ~σ · n). Secondo l'idea di Bell si
supponga che le misure di queste due osservabili dipendano non solo dalle
orientazioni, ma anche da un insieme di variabili nascoste caratterizzate dal
parametro λ. La misura dell'osservabile A dipenderà allora da a e λ, ma non
da b per via dell'ipotesi di località. Si avranno dunque, nel caso in questione,
i seguenti possibili risultati di misura
A(a, λ) = ±1, B(b, λ) = ±1 . (2.4)
2.3 Il teorema di Bell 16
Denotando con ρ(λ) la distribuzione di probabilità di λ tale che∫ρ(λ) dλ = 1, ρ(λ) ≥ 0 , (2.5)
si può scrivere la probabilità di misura di A,B in questo modo
P (a, b) =
∫ρ(λ)A(a, λ)B(b, λ) dλ . (2.6)
Si noti come questo può essere scritto solo se le due misure sono statistica-
mente indipendenti. Scegliendo ora altre due direzioni per gli apparati misura
di Stern-Gerlach, rappresentate dai nuovi versori a′ e b′ si ha, analogamente
a prima,
P (a, b′) =
∫ρ(λ)A(a, λ)B(b′, λ) dλ . (2.7)
Calcolando la di�erenza tra le relazioni (2.6) e (2.7) si ottiene
P (a, b)− P (a, b′) =∫ρ(λ)[A(a, λ)B(b, λ)− A(a, λ)B(b′, λ)] dλ =
=
∫ρ(λ)A(a, λ)B(b, λ)[1± A(a′, λ)B(b′, λ)] dλ+
−∫ρ(λ)A(a, λ)B(b′, λ)[1± A(a′, λ)B(b, λ)] dλ . (2.8)
Da cui segue, ricordando le (2.4) e le (2.5), prendendo il modulo della (2.8)
e facendo delle maggiorazioni tramite la diseguaglianza triangolare
|P (a, b)− P (a, b′)| ≤∫ρ(λ) |A(a, λ)B(b, λ)| |1± A(a′, λ)B(b′, λ)| dλ+
+
∫ρ(λ) |A(a, λ)B(b′, λ)| |1± A(a′, λ)B(b, λ)| dλ =
=
∫ρ(λ)[1± A(a′, λ)B(b′, λ)] dλ+
∫ρ(λ)[1± A(a′, λ)B(b, λ)] dλ =
= 2± [P (a′, b′) + P (a′, b)] .
Da cui la diseguaglianza di Bell
|P (a, b)− P (a, b′)|+ |P (a′, b)− P (a′, b′)| ≤ 2 . (2.9)
2.3 Il teorema di Bell 17
Calcolando quantisticamente i valori che compaiono nella (2.9) si osserva
che la relazione di diseguaglianza non è veri�cata. Infatti considerando un
sistema di due particelle ciascuno di spin 12e tali che siano globalmente in
un singoletto di spin |0, 0〉, la funzione d'onda si scrive, come già visto,
|0, 0〉 = 1√2(|+〉 ⊗ |−〉 − |−〉 ⊗ |+〉) .
In questo caso si possono associare alle osservabili A,B gli operatori quanti-
stici A e B per mezzo delle matrici di Pauli ~σ = (σx, σy, σz) dove
σx =
0 1
1 0
, σy =
0 −i
i 0
, σz =
1 0
0 −1
,
ovvero
A = ~σ · a , B = ~σ · b .
Sapendo che le matrici di Pauli agiscono sugli stati |±〉 in questo modo
σx |±〉 = |∓〉 , σy |±〉 = ±i |∓〉 , σz |±〉 = ± |±〉
si può calcolare il valore di aspettazione P (a, b)
P (a, b) = 〈0, 0|~σ · a⊗ ~σ · b |0, 0〉 = 〈0, 0|3∑
k=1
σkak ⊗3∑
k=1
σkbk |0, 0〉 =
=1
2
[〈+| ⊗ 〈−| − 〈−| ⊗ 〈+|
] 3∑k=1
σkak ⊗3∑
k=1
σkbk
[|+〉 ⊗ |−〉 − |−〉 ⊗ |+〉
],
(2.10)
dove σk sono le tre componenti di ~σ e ak, bk le componenti dei versori a, b.
Intanto si vede che
3∑k=1
σkak ⊗3∑
k=1
σkbk
[|+〉 ⊗ |−〉 − |−〉 ⊗ |+〉
]=((ax + iay) |−〉+ az |+〉
)⊗
⊗((bx−iby) |+〉−bz |−〉
)−((ax−iay) |+〉−az |−〉
)⊗((bx+iby) |−〉+bz |+〉
).
2.3 Il teorema di Bell 18
Inserendo quest'ultima relzione nella (2.10) si ha in�ne
P (a, b) =1
2
[−azbz − (ax − iay)(bx + iby)− (ax + iay)(bx − iby)− azbz
]=
= −axbx − ayby − azbz .
Ovvero quantisticamente
P (a, b) = −a · b = − cos θ (2.11)
dove θ è l'angolo tra i versori a, b. Per mostrare come questo risultato non
soddis� le diseguaglianze di Bell (2.9), basta scegliere ad esempioa′ = a− b
b′ = (a · b)b
e, detto a · b = cosα, si hanno, dalla (2.11), le probabilità quantistiche
P (a, b) = −a · b = − cosα ,
P (a′, b) = −a′ · b = −(a− b)b = − cosα + 1 ,
P (a, b′) = −a · (a · b)b = − cos2 α ,
P (a′, b′) = −(a− b) · (a · b)b = − cos2 α + cosα .
Sostituendo in (2.9) si ha∣∣cos2 α− cosα∣∣+ ∣∣1 + cos2 α− 2 cosα
∣∣ ≤ 2 .
Questa diseguaglianza non è sempre veri�cata. De�nendo la funzione f(α)
come
f(α) =∣∣cos2 α− cosα
∣∣+ ∣∣1 + cos2 α− 2 cosα∣∣− 2 , (2.12)
basta mostrare che f(α) > 0 per qualche α. Dal gra�co in �gura 2.1 si deduce
che c'è almeno un intervallo per α1 < α < α2 in cui è strettamente positiva,
con α2 = −α1 ≈ 1, 86.
2.4 Considerazioni 19
Figura 2.1: Gra�co di (2.12).
α
f(α)
2.4 Considerazioni
Le diseguaglianze di Bell, che devono essere soddisfatte da una teoria a
variabili nascoste locali, non si accordano con la meccanica quantistica e que-
sto sembra essere su�ciente per evitare qualsiasi relazione tra quest'ultima
e una teoria deterministica locale. Tuttavia, le previsioni della meccanica
quantistica potrebbero essere il risultato di una legge di evoluzione classi-
ca e locale all scala di Planck, interpretata da un automa cellulare. Varie
considerazioni saranno fatte nel prossimo capitolo.
Capitolo 3
Dagli Automi Cellulari alla
Meccanica Quantistica
3.1 Introduzione
Si può partire dall'osservazione che un sistema classico che esibisce com-
plessità a piccole distanze può essere manipolato a grandi distanze solo a
livello statistico, anche se la sua legge di evoluzione è relativamente semplice.
Queste caratteristiche sono racchiuse in un automa cellulare. La sua evolu-
zione è regolata da una legge matematica molto generale (un caso particolare
sarà discusso in seguito) e la sua complessità è già evidente nel modello più
semplice. Ad esempio in quello elementare, classi�cato da Wolfram con le
sue 256 con�gurazioni, sono presenti fenomeni di complessità come la legge
110 capace di computazione universale [5], come accennato nel capitolo 1.
Un automa cellulare potrebbe manifestarsi, a grandi distanze rispetto alle
dimensioni del suo reticolo di de�nizione, come un sistema quantistico.
20
3.2 Quantizzazione primitiva 21
3.2 Quantizzazione primitiva
La procedura di quantizzazione primitiva è stata proposta da Gerard
't Hooft [3, 6] e si distingue dalla quantizzazione canonica. Quest'ultima
prevede, in generale, il passaggio dalla teoria classica a quella quantistica
con la sostituzione delle parentesi di Poisson con i commutatori in questo
modo
{A,H} → 1
i~[A,H] . (3.1)
L'equazione del moto classica per la variabile A
dA
dt=∂A
∂t+∑k
( ∂A∂qk
qk +∂A
∂pkpk
)=
=∂A
∂t+∑k
( ∂A∂qk
∂H
∂pk− ∂A
∂pk
∂H
∂qk
)=∂A
∂t+ {A,H} ,
ottenuta usando le equazioni di Hamilton, si può scrivere
dA
dt= {A,H} ,
nel caso in cui A non dipenda esplicitamente dal tempo. In questo caso con
la sostituzione (3.1) e considerando i valori medi, si ottiene
i~d
dt〈A〉 = 〈[A,H]〉 , (3.2)
che costituisce un caso particolare del teorema di Ehrenfest. Infatti, usando
le proprietà dei prodotti scalari e l'equazione di Schrödinger, si ha
i~d
dt〈A〉 = i~
d
dt(ψ,Aψ) = i~
[(∂
∂tψ,Aψ) + (ψ,A
∂
∂tψ) + (ψ,
∂
∂tAψ)
]=
= −(ψ,HAψ) + (ψ,AHψ) + i~(ψ,∂
∂tAψ) = (ψ, [A,H]ψ) + i~(ψ,
∂
∂tAψ) =
= 〈[A,H]〉+ i~⟨∂
∂tA
⟩.
Da cui la (3.2) se ∂∂tA = 0, come ad esempio accade nel caso in cui A = x, A =
p. In questa procedura di quantizzazione standard si introduce la costante
3.2 Quantizzazione primitiva 22
di Planck ridotta ~, che è prettamente quantistica, mentre la procedura di
quantizzazione primitiva parte da un insieme di equazioni classiche del moto
e pruomuove ciascuno stato classico ad uno stato di uno spazio di Hilbert.
L'evoluzione temporale degli stati, dal tempo t1 al tempo t2, è data da un
operatore U(t1, t2). Se la natura fosse continua e non discreta si avrebbe un
insieme di stati non numerabile il che potrebbe rappresentare un problema,
questo è uno dei motivi per cui si parte da un modello discreto ed è forse
l'assunzione più ragionevole. In questo caso l'operatore U può essere costruito
in modo sistematico, inoltre se si parte da un sistema che sia reversibile nel
tempo, ovvero si può ottenere il passato dal futuro in modo del tutto analogo
all'ottenere il futuro dal passato, allora l'operatore è unitario. E' possibile
quindi trovare un operatore H, detto hamiltoniana, tale che
U(t1, t2) = e−i(t2−t1)H ,
con H hermitiano e di cui vanno stabilite la positività e le eventuali sim-
metrie. Se dalla teoria costruita attraverso la procedura di quantizzazione
primitiva emerge un'hamiltoniana con le caratteristiche necessarie per una
teoria quantistica allora si ha una struttura matematica dalle origini clas-
siche, ma capace di descrivere quantisticamente la natura. Per avere una
descrizione �nale è comunque necessario tenere conto della relatività genera-
le nella costruzione matematica del modello. I gradi di libertà che descrivono
gli stati classici originali del sistema sono descritti da operatori particolari
detti Beable e questo sarà trattato nel prossimo paragrafo. L'esempio più
semplice di quantizzazione primitiva di un sistema classico è il modello detto
modello della ruota dentata [7]. Si ha un ruota con N denti che gira di un
angolo 2π/N ad ogni incremento discreto di tempo δt. Gli N stati assunti
dal sistema e legati all'orientazione della ruota sono promossi a stati di uno
3.2 Quantizzazione primitiva 23
spazio di Hilbert �nito-dimensionale e si indicano con i ket:
|0〉 , |1〉 , |2〉 , · · · , |N − 1〉 .
Ponendo δt = 1 in unità temporali opportune, l'evoluzione del sistema può
essere scritta come
t→ t+ 1
|n〉 → |n+ 1〉 , se 0 ≤ n ≤ N − 2
|n〉 → |0〉 , se n = N − 1 .
(3.3)
Gli stati |n〉 possono essere visti come una base ortonormale dello spazio
di Hilbert e dunque, usando la meccanica quantistica semplicemente come
strumento matematico, un generico stato |s〉 può essere scritto come
|s〉 =N−1∑n=0
an(t) |n〉 , (3.4)
dove dall'ampiezza an(t) si ricava la probabilità |an(t)|2 che il sistema si tro-
vi nello stato |n〉 al tempo t. In meccanica quantistica si può trovare un
operatore di evoluzione temporale legato all'hamiltoniana. In questo caso
speci�co, data l'evoluzione del sistema descritta dalla (3.3) l'operatore uni-
tario in questione è
U =
0 · · · 0 1
1. . . 0 0
0. . . . . .
...
0 0 1 0
,
che naturalmente agisce sullo stato generico in questo modo
U |s(t)〉 = |s(t+ 1)〉 . (3.5)
3.2 Quantizzazione primitiva 24
Facendo agire l'operatore U sullo stato |s(t)〉 si ottiene
U |s(t)〉 = UN−1∑n=0
an(t) |n〉 = U
(a0(t) |0〉+a1(t) |1〉+· · ·+aN−1(t) |N − 1〉
)=
=
0 · · · 0 1
1. . . 0 0
0. . . . . .
...
0 0 1 0
(a0(t)
1
0...
0
+ a1(t)
0
1
0
0
+ · · ·+ aN−1(t)
0...
0
1
)
=
= aN−1(t) |0〉+ a0(t) |1〉+ · · ·+ aN−2(t) |N − 1〉 .
Da cui si osserva che all'istante t l'azione di U comporta la sostituzione
a0(t)
a1(t)...
aN−1(t)
→
aN−1(t)
a0(t)...
aN−2(t)
. (3.6)
D'altra parte, l'azione di U sullo stato (3.4), de�nita dalla (3.5), porta a
U
N−1∑n=0
an(t) |n〉 = a0(t+ 1) |0〉+ a1(t+ 1) |1〉+ · · ·+ aN−1(t+ 1) |N − 1〉 .
Confrontando con la (3.6) si ha in�ne, ∀ t ∈ N,
aN−1(t)
a0(t)...
aN−2(t)
=
a0(t+ 1)
a1(t+ 1)...
aN−1(t+ 1)
.
Si vede che la probabilità di avere un certo stato |n〉, data dal modulo quadro
del suo coe�ciente in (3.4), al tempo t+1 è la stessa che aveva lo stato prece-
dente al tempo t. Si può anche passare ad un'altra base, come in meccanica
3.3 Gli operatori Beable e Changeable 25
quantistica, in cui U è diagonale e dove, quindi, compaiono i suoi autovalori,
ovvero
U =
1 0 · · · 0
0 e−2πi/N 0...
.... . . . . . 0
0 · · · 0 e−2πi(N−1)/N
.
Ne consegue che l'operatore hamiltoniana H, de�nito da U = e−iH , può es-
sere scritto come
H =2π
N
0 0 · · · 0
0 1 0...
.... . . . . . 0
0 · · · 0 N − 1
. (3.7)
Si può osservare la forte analogia, a parte una costante additiva, con i livelli
energetici dell'oscillatore armonico quantistico, infatti 2π/N , in queste unità,
(δt = 1) è proprio la velocità angolare o pulsazione del sistema. Se nella de-
�nizione di hamiltoniana si mettesse, come nel caso quantistico U = e−i~ δtH ,
allora come fattore moltiplicativo per la matrice (3.7) si avrebbe 2π~Nδt
.
3.3 Gli operatori Beable e Changeable
Si possono de�nire, come proposto da 't Hooft [3], tre classi di operatori.
I �beable� sono operatori che misurano alcune proprietà ontologiche di uno
stato, senza modi�carlo in alcun modo. Da questa de�nizione segue che tutti
gli operatori beable ad ogni istante commutano tra di loro, ovvero se B e B′
3.3 Gli operatori Beable e Changeable 26
sono beable allora
[B(t), B′(t′)] = 0, ∀t, t′ .
Esiste inoltre una base, detta base ontologica, in cui tutti i beable sono dia-
gonali in ogni istante. Si de�nisce �changeable�, invece, un operatore che
trasforma uno stato ontologico in un altro stato ontologico, ovvero e�ettua
un cambiamento di stato. In�ne si dice �superimposable� un operatore che
mappa uno stato ontologico in una sovrapposizione di diversi stati ontologi-
ci. Una tipica rappresentazione di queste tre classi di operatori nella base
ontologica è data dalle matrici
B =
∗
∗
∗
∗
, C =
∗
∗
∗
∗
, S =
∗ ∗ ∗ ∗
∗ ∗ ∗ ∗
∗ ∗ ∗ ∗
∗ ∗ ∗ ∗
Un esempio di beable può essere, nella base ontologica, l'operatore di proie-
zione
Pk = |k〉 〈k| .
Secondo 't Hooft una teoria in cui uno stato che ha una interpretazione on-
tologica evolve in uno che non ne ha non può essere considerata una teoria
deterministica. In meccanica quantistica, ad esempio, l'operatore σz, legato
all'operatore di spin Sz =~2σz, può essere visto come un beable se si misura
lo spin lungo l'asse z, mentre invece σx e σy sono changeable se visti nella base
di σz, in questo caso non esiste una base ontologica in cui sono diagonali e in
cui commutano tra di loro. In meccanica quantistica, dunque, un operatore
beable può trasformarsi in changeable, infatti l'operatore σy può essere visto
come una rotazione dell'operatore σx. Per quanto detto se si cerca una teo-
ria deterministica alla base dell'evoluzione dell'universo allora la meccanica
3.4 Un modello di Automa Cellulare 27
quantistica non è una teoria �nale. La trasformazione di un operatore da
beable a changeable è dovuto al fatto che gli operatori in meccanica quan-
tistica potrebbero essere funzioni più o meno complicate di qualche teoria
sottostante. Inoltre 't Hooft crede [7] che ciò sia riconducibile, ad esempio,
all'azione di una trasformazione di un gruppo di rinormalizzazione.
3.4 Un modello di Automa Cellulare
Ci sono in�niti modi di scegliere un modello di automa cellulare, in questo
caso ci mettiamo, seguendo l'idea di 't Hooft [3], in uno spazio di dimensio-
nalità (D + 1) con spazio e tempo entrambi discreti, in cui le posizioni sono
indicate da ~x = (x1, x2, · · · , xD) con xk interi. Le variabili �siche G(~x, t)
vengono scelte intere modulo qualche numero naturale N. Inoltre si sceglie
di limitare i gradi di libertà del sistema solo su siti reticolari spazio-temporali
pari, quindiD∑k=1
xk + t = pari .
Date le condizioni iniziali G(~x, t = 0) e G(~x, t = 1), si sceglie la legge di
evoluzione nel modo seguente
G(~x, t+ 1) = G(~x, t− 1)+
+Q(G(x1 ± 1, x2, · · · , xD, t), · · · , G(x1, x2, · · · , xD ± 1, t)
)mod N ∈ N,
seD∑k=1
xk + t = dispari , (3.8)
così da avere grandezze de�nite solo su posizioni spazio-temporali pari. In
questa formula la grandezza �sica G assume valori interi modulo qualche
numero naturale. Si noti come dalla (3.8), in questa forma, si possa trovare
G(~x, t − 1) a partire dai tempi successivi. Passando dalla rappresentazione
3.4 Un modello di Automa Cellulare 28
di Heisenberg in cui gli stati sono �ssi e gli operatori dipendono dal tem-
po, alla rappresentazione di Schrödinger, gli operatori G vengono chiamati
X(~x) se agiscono nei siti pari e Y (~x) se agiscono in quelli dispari. L'ope-
ratore di evoluzione su due passi temporali può essere costruito alternando
l'aggiornamento di X(~x) e Y (~x) per mezzo di due operatori A,B
U(t, t− 2) = A ·B ,
dove A aggiorna X(~x) e B aggiorna Y (~x). L'aggiornamento dato da questi
due operatori è costituito da più parti, ognuna de�nita su un sito reticolare
~x, per cui si possono scrivere come
A =∏~x pari
A(~x) , B =∏
~x dispari
B(~x) , (3.9)
riferendosi, come detto, A ai soli siti pari e B ai soli dispari. Inoltre valgono
le regole di commutazione
[A(~x), A(~x′)] = 0 , [B(~x), B(~x′)] = 0 .
Gli operatori A e B invece non commutano tra di loro sempre, infatti se ~x e
~x′ sono vicini, ovvero se |~x− ~x′| = 1, allora
[A(~x), B(~x′)] 6= 0 .
Gli operatori A,B agiscono su un sottospazio �nito di Hilbert e possono
essere scritti come
A(~x) = e−ia(~x) , B(~x) = e−ib(~x) . (3.10)
Si può introdurre l'operatore traslazione di 1 unità di X(~x), detto Tx(~x), che
agisce come
eiTx(~x) |X(~x)〉 = |X(~x)− 1 mod N ∈ N〉 .
3.4 Un modello di Automa Cellulare 29
Per una traslazione −Q({Y }) si può usare l'operatore e−iQ({Y })Tx(~x) e dunque
si può porre
a(~x) = Q({Y })Tx(~x) .
Infatti, dalla (3.10), si ha che
A(~x) |X(~x)〉 = e−ia(~x) |X(~x)〉 = e−iQ({Y })Tx(~x) |X(~x)〉 =
= |X(~x) +Q({Y }) mod N〉 .
In modo simile, introducendo un operatore Ty(~x) si ha
B(~x) |Y (~x)〉 = e−ib(~x) |Y (~x)〉 = e−iQ({X})Ty(~x) |Y (~x)〉 =
= |Y (~x) +Q({X}) mod N〉 .
Si vede che per a(~x) e b(~x) valgono le stesse relazioni di commutazioni di
A(~x) e B(~x)
[a(~x), a(~x′)] = 0, [b(~x), b(~x′)] = 0, |~x− ~x′| > 1→ [a(~x), b(~x′)] = 0 .
Grazie a queste, dalle relazioni (3.9) si può scrivere
A = e−i∑
~x pari a(~x) , B = e−i∑
~x dispari b(~x) .
Come già detto scriviamo l'operatore di evoluzione temporale U(t, t−2) come
un operatore che fa evolvere alternativamente le grandezze G(~x) de�nite sui
pari e sui dispari, cioè X(~x) e Y (~x), per t pari, in questo modo
U(t, t− 2) = A ·B = e−i∑
~x pari a(~x)e−i∑
~x dispari b(~x) = e−2iH ,
dove abbiamo introdotto l'operatore hamiltoniana H. Siccome A e B non
commutano si può valutareH con la formula di Baker-Campbel-Hausdor� [8],
3.5 Esempi 30
che è la seguente
eCeD = eR ,
R = C+D+1
2[C,D]+
1
12[C, [C,D]]+
1
12[[C,D], D]+
1
24[[C, [C,D]], D], · · ·
(3.11)
Questa serie diventa R = C + D se C e D commutano. Generalmente si
assume che questa converga, 't Hooft ha mostrato, [3, 6] che la serie (3.11),
usata con C = −i∑
~x pari a(~x), D = −i∑
~x dispari b(~x) e R = −2iH, converge
solo se presa tra due autostati |E1〉 e |E2〉 che soddisfano
2 |E1 − E2| < 2π~/δt , (3.12)
dove δt è l'unità temporale del reticolo. La convergenza avviene quindi solo
se si prendono in considerazione stati la cui di�erenza di energia è minore
dell'energia di Planck.
3.5 Esempi
Tornando alla formula (3.8) si può cercare di costruire il modello più
semplice assumendo che le dimensioni spaziali del reticolo siano D = 2 e
quindi una dimensione spazio-temporale (2+1). In questo caso le componenti
del vettore ~x sono semplicemente xµ = (x0, x1) e dunque per la funzione Q
in (3.8) si può scrivere (tralasciando la dipendenza temporale che in Q è
all'istante t)
Q = Q(G(x0 + 1, x1), G(x0 − 1, x1), G(x0, x1 + 1), G(x0, x1 − 1)
)La grandezza �sica G(x0, x1) può essere vista come una matrice quadrata
avente le dimensioni del reticolo, dunque de�nendo gli indici i, j, si ha
Gi,j ≡ G(i, j) ,
3.5 Esempi 31
per cui
Q = Q(Gi+1,j, Gi−1,j, Gi,j+1, Gi,j−1
).
Si possono fare degli esempi e simulazioni scegliendo una particolare espres-
sione per la Q. Nel farlo si può scegliere di inserire delle simmetrie, ad
esempio scegliere una legge che sia simmetrica rispetto alla destra e sinistra
o all'alto e basso, essendoci, in questo modello, D = 2 dimensioni spaziali.
Volendo introdurre questa simmetria di �parità� la funzione Q diventa
Q = Q
(F1
(f1(Gi+1,j), f1(Gi−1,j)
), F2
(f2(Gi,j+1), f2(Gi,j−1)
)),
dove f1, f2 sono funzioni generiche a una variabile e F1, F2 tali che
F1(x, y) = F (y, x), F2(x, y) = F2(y, x) .
Il caso più semplice è dato dalla scelta banale
Figura 3.1: Evoluzione (3.13), a partire dalla con�gurazione (3.14).
3.5 Esempi 32
F1(x, y) = F2(x, y) = x+ y ,
f1(x) = f2(x) = x ,
e quindi si può scegliere Q in questo modo
Q = Q(Gi+1,j +Gi−1,j, Gi,j+1 +Gi,j−1
)= Gi+1,j +Gi−1,j +Gi,j+1 +Gi,j−1 .
La legge di evoluzione per l'automa cellulare, ovvero la (3.8), diventa ora
Gi,j(t+ 1) = Gi,j(t− 1) +Gi+1,j +Gi−1,j +Gi,j+1 +Gi,j−1 mod N,
seD∑k=1
xk + t = dispari . (3.13)
Date le condizioni iniziali per t = 0 e t = 1 si può fare una simulazione di
Figura 3.2: Evoluzione (3.13), a partire da una con�gurazione casuale, vista
su un reticolo 70× 70.
questo automa cellulare per osservarne l'evoluzione temporale. Scegliendo le
3.5 Esempi 33
Figura 3.3: Evoluzione (3.15), a partire dalla con�gurazione (3.14).
seguenti matrici per Gi,j(t = 0) e Gi,j(t = 1)
Gi,j(0) =
0 · · · 0 · · · 0
· · · 0 · · · 0 · · ·
0... 1
... 0
· · · 0 · · · 0 · · ·
0 · · · 0 · · · 0
, Gi,j(1) =
· · · 0 · · · 0 · · ·
0 · · · 0 · · · 0... 0
... 1...
0 · · · 0 · · · 0
· · · 0 · · · 0 · · ·
,
che sono matrici (2n+ 1)× (2n+ 1) con
Gi,j(0) =
1, se i = j = n+ 1
0, altrimenti
, Gi,j(1) =
1, se i = n+ 1, j = n+ 2
0, altrimenti
,
(3.14)
in cui il valore non nullo è in celle (i, j) al tempo t per cui i + j + t è pari
come richiesto. Scegliendo n = 22, (25 × 25), e N = 5 si ottiene, al tempo
3.5 Esempi 34
t = 19, l'evoluzione in �gura 3.1. Partendo invece da due con�gurazioni
casuali per t = 0 e t = 1, ad esempio date da due matrici sempre con n = 20
e dunque 41×41 di 1 in posizioni (i, j) casuali tali che, come al solito, i+j+t
sia pari, si ottiene, al tempo t = 15, l'evoluzione in �gura 3.2, sempre con
N = 5. Scegliendo una legge meno simmetrica si ottengono risultati diversi,
ad esempio si può partire da
Q = �oor(30 sin(Gi−1,j)) +Gi+1,j +Gi,j+1 +Gi,j−1 , (3.15)
dove la funzione �oor(x) è l'intero n più vicino a x tale che n ≤ x. Usando
questa in (3.8) con N = 5, n = 20 e le (3.14) si ha, a t = 15, la simulazione
in �gura 3.3. Invece, sempre usando (3.15) con le stesse condizioni, eccetto
Figura 3.4: Evoluzione (3.15), a partire da una con�gurazione casuale, vista
su un reticolo 70× 70.
per quelle iniziali che sono matrici 41 × 41 di 1 in posizioni casuali (con le
3.6 Perdita di informazioni 35
prescrizioni analoghe agli esempi precedenti) si ottiene l'evoluzione in �gura
3.4.
3.6 Perdita di informazioni
Le variabili nascoste nel modello di automa cellulare sono rappresentate
dalla base ontologica. Conoscendo lo stato delle cose per due istanti consecu-
tivi si può ricavare l'evoluzione successiva applicando l'operatore di evoluzio-
ne temporale in modo univoco. Senza alcun tipo di perdita di informazioni
si potrebbe anche ricavare il passato dal futuro senza problemi così come il
futuro dal passato. Nel caso di due particelle correlate certi valori dell'una
implicano altri valori per l'altra. La causalità potrebbe spiegare questo fatto,
ad esempio supponendo che le due abbiano una causa comune nel passato.
La località dell'automa cellulare alla scala di Planck può portare dunque a
fenomeni apparentemente non locali alla scala atomica o subatomica, dove si
usa la meccanica quantistica, perché una perturbazione P fatta (supponiamo
un sistema unidimensionale per semplicità) al tempo t0 in una cella in posi-
zione xi(t0), evolvendo nel tempo, si propaga come bit di informazione �no
alle celle xi+k e xi−k con k ∈ N. Ciò, a grande distanza di scala, può far si che
la cella xi+n(t) evolva in xi+n(t + 1) in un modo correlato con l'evoluzione
della cella xi−n(t) in xi−n(t + 1) perché le celle condividono un passato in
comune che è la perturbazione P. Questo potrebbe spiegare perché esistono
particelle correlate alle scale della meccanica quantistica che invece evolvono
alla scala di Planck in modo totalmente classico e deterministico. Natural-
mente nella visione di un Big Bang responsabile della nascita dell'universo
è sempre possibile trovare un istante nel passato in cui qualsiasi coppia di
particella ha avuto una causa comune. Potrebbe dunque essere sbagliato
3.6 Perdita di informazioni 36
considerare le particelle come se fossero statisticamente indipendenti. Nell'e-
sperimento mentale discusso nella sezione 2.3 con il quale si sono ricavate le
diseguaglianze di Bell non si è tenuto conto inoltre degli e�etti del vuoto che
circonda la sorgente (particella in singoletto di spin che decade) e le particel-
le prodotte. Il ruolo del vuoto e la sua evoluzione potrebbero essere cruciali
nel determinare la correlazione dopo la separazione. Queste sono le ragioni
per cui le diseguaglianze di Bell sembrano non essere applicabili al modello
di automa cellulare proposto da 't Hooft. L'indipendenza statistica usata
da Bell nel suo articolo compare in questo lavoro nell'equazione (2.6). In
una visione deterministica anche la scelta dell'orientazione dell'apparato di
misura, ad esempio dei magneti di Stern e Gerlach, è predeterminata, ovvero
in linea di principio da un'origine comune tutto può essere correlato. Infatti
la decisione presa all'ultimo momento da un misuratore è unica e non si può
escludere che sia stata solo apparentemente arbitraria. L'evoluzione propo-
sta dalla formula (3.8) è reversibile nel tempo, ovvero per ogni condizione
iniziale lo stato successivo può essere predetto senza ambiguità. Tuttavia,
come proposto da 't Hooft [9, 10], potrebbe essere necessario introdurre una
sorta di perdita di informazioni sia per problemi legati all'esistenza di uno
stato fondamentale per l'hamiltoniana sia per ritrovare l'apparente non cor-
relazione alla scala macroscopica. Occorre introdurre un meccanismo per cui
non è detto che sia possibile estrapolare il passato a partire dal presente, a
causa appunto di perdita di informazioni. Si introduce dunque il concetto di
classe di equivalenza, ovvero due distinti stati ontologici ad un istante t = t0
si dicono equivalenti se al tempo successivo t = t0+δt sono evoluti nello stes-
so stato. L'informazione persa avviene dunque quando due stati evolvono in
uno stesso stato. Un esempio di perdita di informazione può essere dato da
un operatore di evoluzione temporale non unitario del tipo
3.6 Perdita di informazioni 37
U =
0 0 0 1 0 0
1 0 0 0 1 0
0 1 0 0 0 1
0 0 1 0 0 0
0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0
,
che agendo sugli stati fornisce l'evoluzione mostrata in �gura 3.5 In questo
Figura 3.5: esempio di perdita di informazioni
esempio gli stati |1〉 e |5〉 evolvono nello stesso stato |2〉 e dunque forma-
no una classe di equivalenza come pure gli stati |2〉 e |6〉. Si può vede-
re uno stato quantistico come una classe di equivalenza di stati, in que-
sto modo, nell'esempio di �gura 3.5, si avrebbero solo 4 nuovi stati ovvero
{{|1〉 , |5〉}, {|2〉 , |6〉}, |3〉 , |4〉} e si potrebbe costruire un nuovo operatore U
unitario che agisce su questi nuovi stati (classi di equivalenza), come ad esem-
pio
U =
0 0 0 1
1 0 0 0
0 1 0 0
0 0 1 0
.
3.6 Perdita di informazioni 38
Come già detto nella sezione 3.3 gli stati ontologici, alla scala di Planck,
sono descritti da operatori beable, mentre gli stati quantici sono gestiti da
osservabili associate a operatori che sono ora changeable per via delle infor-
mazioni perse. 't Hooft pensa che nel passaggio dalla scala di Planck alla
scala quantistica avviene un mescolamento di operatori beable e changeable
a causa del processo di rinormalizzazione, necessario per ottenere le leggi �-
siche a grandi scale di distanza [7]. Nell'esempio di �gura 3.5 sapendo che ad
un certo istante si ha lo stato |2〉 non si è in grado di stabilire se all'istante
precedente si aveva lo stato |1〉 o |5〉. So�ermandosi sul valore di una cella C
di un modello di automa cellulare e su quello delle sue 2D celle vicine, si può
generalizzare questo fatto supponendo che la perdita di memoria sia minima,
anche se senza la legge di evoluzione non si può avere un quadro �nale. Sulla
scorta del lavoro di Persoon [11] supponiamo che data una certa con�gura-
zione di questi valori delle 2D + 1 celle al tempo t non sia possibile stabilire
lo stato al tempo t−1 della cella C tra due scelte a1 e a2. A questi due valori
possono essere associate le probabilità p e 1 − p che in linea di principio,
senza altre indicazioni, potrebbero essere entrambe 12. Se assumiamo che
la perdita di memoria sia minima allora una di queste due probabilità deve
essere molto piccola. Chiamiamo con T la distanza temporale dopo la quale
una perturbazione ha una probabilità minore di 12di essere rilevata. Due
celle saranno allora dette indipendenti se la loro distanza è maggiore di 2T .
In questo caso non avrebbe senso parlare di causa comune nel passato. Per
quanto detto �nora riguardo all'indipendenza statistica per le diseguaglianze
di Bell il parametro T dovrebbe essere di ordine macroscopico. Ci sono due
casi, o la legge di evoluzione non lascia ambiguità di questo tipo (non c'è
perdita di informazioni) oppure si. In quest'ultimo caso se N è il numero di
3.6 Perdita di informazioni 39
gradi di libertà di ciascuna cella, la probabilità per una certa con�gurazione
A di una cella C e dei suoi 2D vicini si può scrivere come
P(A) = N−(2D+1) .
La probabilità di non avere un'ambiguità a per n passi temporali è data da(1− a
N2D+1
)n.
Ponendo questa probabilità minore di 12e quindi cercando la condizione di
ambiguità, si ottiene
n ≤ln 1
2
ln(1− aN2D+1 )
,
Ovvero:
eln 1
2n ≤ 1− a
N2D+1.
Se n� 1 si può espandere in serie l'esponenziale eln 1
2n ≈ 1 +
ln 12
ne avere
ln 2
n≥ a
N2D+1,
da cui, in�ne
N2D+1 ≥ na
ln 2. (3.16)
Supponiamo ora che n sia 1043 così da avere tanti step temporali ciascuno
del tempo di Planck (tP ≈ 5, 39 · 10−44), tali che alla �ne sia passato circa
T = 1 sec. Assumiamo inoltre che la probabilità per l'ambiguità sia piccola,
ovvero a = 10−k con k > 1 e k ∈ N, la (3.16) diventa
N2D+1 ≥ 1043−k
ln 2,
e, risolvendo per N, si ha
N ≈ 1043−k2D+1 .
Questa è la condizione �a soglia�, �ssati k e D, per avere perdita di memoria
dopo un secondo è necessario che il minimo di gradi di libertà sia maggiore
3.6 Perdita di informazioni 40
di 1043−k2D+1 . Come già detto in precedenza per poter non applicare le disegua-
glianze di Bell occorre che la correlazione che porta la dipendenza statistica
sia presente solo su scala microscopica dove si applica la meccanica quantisti-
ca. Il numero di gradi di libertà della cella dell'automa cellulare e la legge di
evoluzione �nale non sono noti e sicuramente dovranno tenere conto di que-
sta osservazione. La perdita di informazioni che porta a classi di equivalenza
può, come già detto, essere favorevole all'apparente libero arbitrio presente
a distanza macroscopica. Si può associare alla scala dei tempi una scala di
energie, infatti in unità di misura naturali si hanno
~c = 1 ≈ 200MeV fm , c = 1 ≈ 3 · 108m s−1
quindi
1MeV ≈ 1
6, 7 · 10−22 s.
Ad un evento che coinvolge 1MeV di energia si associa una durata di circa
Figura 3.6: Gra�co di (3.17).
k
N
10−21 s, a cui corrispondono circa n = 1022 step temporali ciascuno della
durata del tempo di Planck tP . Dunque la (3.16), sempre con a = 10−k
3.6 Perdita di informazioni 41
(probabilità dell'ambiguità iniziale), assumendo le tre dimensioni spaziali
D = 3, porta a
N7 ≥ 1, 2 · 1022−k
ln 2≈ 1, 7 · 1022−k .
Durante un evento che coinvolge 1MeV di energia si ha probabilità di perdita
di memoria maggiore di 12quando il numero di gradi di libertà di una cella è
circa
N ≈ 1022−k
7 . (3.17)
Il gra�co in �gura 3.6 mostra l'andamento dei gradi di libertà di una cella N
in funzione dell'esponente k della probabilità iniziale a = 10−k di avere un
ambiguità per un processo di energia 1MeV.
Conclusioni
In questo lavoro si è partiti, dopo aver dato la de�nizione formale di au-
toma cellulare, con la dimostrazione delle diseguaglianze di Bell in un caso
particolare con particelle di spin 12. Queste mostrano che una teoria locale
e deterministica non può portare alle predizioni della meccanica quantistica.
Successivamente si è mostrato come la meccanica quantistica possa essere
vista come potente strumento matematico ben adattabile anche a sistemi
classici, tramite la procedura di quantizzazione primitiva, vedendo gli stati
classici come stati di uno spazio di Hilbert e arrivando alla costruzione di
un operatore di evoluzione e di un'hamiltoniana. Si è introdotto un esempio
di automa cellulare con una legge di evoluzione perfettamente deterministica
nel senso classico e reversibile nel tempo. In questo approccio si è fatto uso
delle regole di commutazione di operatori per esprimere la località dell'au-
toma cellulare fortemente legata alla discretizzazione di spazio e tempo in
modo da avere una velocità massima del reticolo che, in unità di Planck, è
proprio la velocità della luce nel vuoto c. Le diseguaglianze di Bell sembra-
no non essere applicabili a questo tipo di approccio in quanto le probabilità
delle due particelle (nell'esempio discusso due elettroni in singoletto di spin)
non sono statisticamente indipendenti e dunque non è possibile usare, per
il calcolo della probabilità simultanea di misura degli spin, il prodotto delle
probabilità o la loro convoluzione pesata da una funzione di distribuzione
42
43
delle variabili nascoste. In breve il modello proposto da 't Hooft parte da
processi microscopici visti come interazioni deterministiche tra le semplici e
classiche celle dell'automa cellulare. Si è parlato della necessità di ampliare
la legge di evoluzione dell'automa cellulare in modo che non sia più rever-
sibile nel tempo e sia legata ad una perdita di informazioni così da poter
avere la descrizione macroscopica e non correlata di fenomeni classici, man-
tenendo però la correlazione alla scala quantistica che permette di aggirare
le diseguaglianze di Bell.
Ringraziamenti
Vorrei ringraziare tutte le persone che mi hanno sostenuto e a�ancato
in questo percorso di Laurea e nella stesura di questa tesi, in modo speciale
la mia �danzata Sabrina, i miei genitori Alba e Giovanni, mia zia Graziella,
Paolo e mia zia Concetta. Un grazie particolare al mio relatore, Dr. Simone
Pacetti, per tutto il tempo che mi ha dedicato durante questo percorso.
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