ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA' DI BOLOGNA
SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI
Corso di laurea in
Scienze della Comunicazione
Memofilm a memoria d’uomo. Ricostruzione dell’identità narrativa attraverso l’utilizzo dei linguaggi
audiovisivi
Tesi di laurea in
Psicologia della Comunicazione
Relatore Prof: Roberta Lorenzetti Presentata da: Lisa Bencivenni Sottocommissione proff: Nicoletti, Lorenzetti, Borghi, Galatolo, Lugli
I Appello
Anno accademico 20152016
INDICE
Pag.
Introduzione 2
Capitolo 1 Il progetto di ricerca “Il Memofilm, a memoria d’uomo” 3
1.1 Contesto e sviluppi del Memofilm 4
1.2 I fattori innovativi del Memofilm 10
1.2.1 Unione Scienza e Arte: la valorizzazione della persona 11
Capitolo 2 Memofilm contro l’Alzherimer, la creatività contro la demenza 13
2.1 Descrizione della sperimentazione 14
2.1.1 I risultati ottenuti 15
2.1.2 Il caso di Alberta: la casa è una parola grande (dicembre 2009) 17
Capitolo 3 “La ricostruzione dell’identità narrativa attraverso l’utilizzo
dei linguaggi audiovisivi” 22
3.1 Funzione strumentale: Importanza delle nuove tecnologie in tutti gli ambiti 22
3.1.1 Il linguaggio audiovisivo utilizzato a fini terapeutici, cinema come cura
in generale e personalizzazione 22
3.1.2 Strumenti e tecniche per la realizzazione di un Memofilm 23
3.2 Funzione narrativa e aspetti sociali e relazionali del Memofilm 25
3.2.1 Noi siamo la nostra storia: costruzione dell’identità attraverso il racconto 25
di noi stessi
3.2.2 Il Memofilm come contenitore di emozioni comuni 26
Conclusioni 28
Appendice 31
Bibliografia /Sitografia 33
1
INTRODUZIONE
Narrazione, identità e memoria, in particolare quella autobiografica, sono tratti
essenziali nell’esistenza dell’essere umano, senza di essi l’uomo non potrebbe definirsi
nella sua integrità e sarebbe come se non esistesse, di conseguenza, tutto ciò che
riguarda questi concetti interdipendenti e ciò che è loro collegato è di fondamentale
importanza.
A questo proposito García Márquez, in apertura del suo libro autobiografico dal titolo
Vivere per raccontarla scrive: "La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si
ricorda e come la si ricorda per raccontarla".
Ogni esperienza vissuta è parte imprescindibilmente della nostra interiorità e definisce
ogni persona nella sua specificità rendendola unica rispetto ad ogni altro, ciò è reso
possibile soprattutto dal potere della narrazione che permette di ricordare il passato e
crea valore nel presente dell’avvenire. In questo senso ognuno di noi è il romanziere
della propria vita. In particolare, il ruolo svolto della memoria autobiografica è basilare
poiché costruisce significato per l’identità del singolo, conferendo coerenza e continuità
individuale.
Questa particolare forma di mantenimento di informazioni che si riferiscono a fatti
personali, che consente di riconoscere familiari, amici e conoscenti, ci permette di
tenere sempre vivo il legame tra mondo esterno, persone care e la nostra interiorità.
Il Memofilm entra in questo contesto con l’obiettivo di ridare VALORE a ciò che è stato
dimenticato, rimodellando l’IDENTITÀdelle persone coinvolte nella sperimentazione,
favorendo la crescita dell’autostima (che si era persa) attraverso lo sviluppo di un
rapporto empatico.
Le forme di demenza alterano la memoria, sia quella meccanica che emozionale, ecco che la
persona malata si ritrova con una identità ridotta in cocci e della rappresentazione di sé non
rimane che un mucchio di specchi rotti. Il memo film ha lo scopo di far permanere il ricordo, per
evitare una separazione definitiva, è una sorta di diario che la persona malata di Alzheimer o di
altre forme di demenza tiene sul comodino, unamemoria sostitutiva, un ritratto di sé, un tentativo
di rimettere insieme i frammenti di quello specchio rotto. (Luisa Grosso)
2
Anticipando brevemente ciò che sarà trattato nell’elaborato: nel primo capitolo si fa
riferimento all’ambiente che ha permesso lo sviluppo del Memofilm e ne viene data una
prima definizione, prendendo in esame ciò che lo contraddistingue come progetto A
MEMORIA D’UOMO.
Nel secondo capitolo viene descritta la sperimentazione in ogni sua parte, dalle
tempistiche agli strumenti utilizzati, fino all’analisi dei risultati ottenuti; la parte
successiva entra nello specifico prendendo in esame il caso di Alberta, una delle
pazienti coinvolte nella sperimentazione malata di Alzheimer.
Infine, il terzo capitolo focalizza l’attenzione su funzione strumentale e funzione sociale
del Memofilm esplicitate nell’importanza rivestita dal linguaggio audiovisivo come
strumento per l’esaltazione del singolo, del suo patrimonio identitario e delle persone
care.
Personalmente penso che sia interessante dare visibilità a interventi non farmacologici
innovativi di questo tipo, soprattutto in un contesto in cui malattie come demenza e
Alzheimer sono sempre più diffuse tra le persone anziane. In particolare ho preso a
cuore questo progetto anche per un motivo ben preciso: Alberta è la mia bisnonna.
1. IL PROGETTO DI RICERCA “IL MEMOFILM, A MEMORIA DI UOMO”
Memoria, ricordo e film, inteso come linguaggio audiovisivo, costituiscono i termini
cardine da cui nasce il “Memofilm”, che si esprime concretamente in un video
personalizzato della durata di circa 20 minuti pensato a scopo terapeutico per i
pazienti affetti da demenza. I filmati sono costruiti sul vissuto del paziente attingendo
al suo patrimonio di affetti, luoghi cari e oggetti familiari, ma non solo e
necessariamente, e fanno riferimento al suo deterioramento cognitivo, ai suoi disturbi
comportamentali e psichici. Questo spiccato tratto di personalizzazione che ogni
filmato assume spiega il sottotitolo del progetto “a memoria d’uomo”, perché è anche
questo che sono gli anziani, persone – non entità numeriche – dotate di un prezioso
patrimonio esistenziale racchiuso nella memoria individuale, sempre più precaria e
fragile. Contrariamente a quanto sarebbe lecito pensare, in questo caso, non si fa
riferimento né a una memoria esterna (protesi), né a un insieme di stimoli audiovisivi,
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ma a un prodotto dotato di senso e di una forte componente emotiva. È proprio il
fattore emozionale, l’immediatezza tipica del linguaggio audiovisivo, a rappresentare il
fulcro intorno al quale prende forma l’intero percorso che cerca di dare continuità al
vissuto della persona attraverso la stimolazione dei ricordi che possano dare
nuovamente valore alla sua esistenza, cercando di contrastare la frammentazione
causata dalla demenza.
1.1. Contesto e sviluppi del Memofilm
Il contesto in cui si sviluppa il progetto è quello di una provincia e in generale di
un’Italia dove l’incremento dell’invecchiamento è particolarmente marcato e correlato
a una sempre maggiore espansione del fenomeno della demenza senile. Parallelamente
si registra un aumento della vita media, a tal proposito va ricordato che l’Italia ha già
raggiunto come Paese longevo il primato della buona salute anche per le persone
ultraottantenni, risultato che ha suscitato in alcune realtà italiane, tra cui Bologna,
l’esigenza di ideare politiche innovative per un ulteriore sviluppo sociale che riesca a
superare gli ostacoli della crisi finanziaria.
La città bolognese è stata una delle prime in cui si è registrato un cambiamento nella
composizione della società, caratterizzata soprattutto da longevità, fragilità e disabilità.
Per capire come poter agire per arginare la crescita del fenomeno della demenza è
necessario innanzitutto conoscere in maniera più approfondita di cosa si tratta e come
si sta diffondendo.
Con il termine demenza si indica una sindrome clinica, causata da diverse malattie e
caratterizzata da un insieme di disturbi cognitivi riguardanti la memoria,
l’orientamento spaziotemporale, la capacità di giudizio e di astrazione, la prassia, la
percezione e il linguaggio (V.Ribani, L.Tondi, 2013, p.33)
Oltre a questi, oggi sono presenti in molti pazienti i disturbi non cognitivi, come
aggressività, agitazione psicomotoria, apatia, allucinazioni, deliri, disturbi dell’appetito,
wandering (“vagabondaggio”, inteso come attività motoria incessante) e altri ancora.
Più correttamente questi disturbi sono indicati con l’acronimo BPSD, ossia Behavioral
and Psychological Symptoms of Dementia (sintomi comportamentali e psicologici della
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demenza), che coinvolgono la sfera della personalità, l’ideazione, la percezione, il
comportamento, l’affettività e le funzioni vegetative.
Inoltre è possibile operare una classificazione delle demenze in primarie o
degenerative – l’Alzheimer prima fra tutte – secondarie e alcune forme miste date
dall’associazione di demenza degenerativa e demenza vascolare. Indipendentemente
dal grado della malattia, la vita sociale della persona affetta da demenza è
notevolmente compromessa a causa dalla perdita delle capacità funzionali e cognitive,
ciò influisce anche sui familiari.
Ecco alcuni numeri per capire la portata del fenomeno (riportati nella sezione
“Memofilm in breve” del DVD allegato al libro.)
I malati di demenza sono
⇒ 26,6 milioni nel mondo
⇒ 6,4 milioni in Europa
⇒ 1 milione in Italia
Nei paesi più sviluppati la demenza colpisce il 5% delle persone over 65, con valori tra
il 3,4% e il 6,7%. In Italia la percentuale ruota intorno al 6,6% (5,3% per i maschi e
7,2% per le femmine) comprendendo circa 150.000 casi l’anno e concerne
principalmente anziani di età compresa tra i 65 e gli 85 anni.
Le strutture sociali di servizio alla persona cercano di trovare le migliori soluzioni per
quanto riguarda il disagio che si viene a creare tra i famigliari dell’anziano che soffre di
disturbi comportamentali correlati al decadimento cognitivo ed emotivo.
Conseguentemente agli scarsi risultati ottenuti tramite la somministrazione di farmaci
come terapia per la demenza, negli ultimi anni sono emersi numerosi interventi basati
sull’uso di tecniche non farmacologiche, che si concentrano sugli aspetti psicosociali.
Questi ultimi basano la loro metodologia su una visione olistica della persona, perciò
sull’unità di corpo, mente e cervello, considerando il paziente e le sue esperienze,
emozioni e competenze cognitive a tutto tondo.
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A livello provinciale, l’ASP Città di Bologna, azienda pubblica che opera nel settore
dell’assistenza agli anziani e soggetti con patologie assimilabili a quelle dell’età senile
ma non solo, ha comemission quella di fornire unmiglioramento del benessere sociale,
della convivenza e inclusione nella comunità di questi cittadini. Per realizzare
l’obiettivo ha in corso diverse iniziative di promozione della salutementale attuate con
interventi terapeutici e assistenziali di vario tipo ( Validation, Caffè Alzheimer …) su
tutto il territorio della provincia emiliana, tra questi la coinvolgente collaborazione al
progetto Memofilm.
L’inizio di questo progetto è databile al 2007, quando grazie a una convenzione tra
Cineteca di Bologna e l’ASP Giovanni XXIII, ASP poi confluita in quella di Bologna, si
costituisce un originale gruppo di lavoro formato da registi, filmakers e professionisti
sanitari per studiare l’uso del linguaggio cinematografico contro le malattie
concernenti la perdita di memoria. Alla base, un programma articolato denominato“Il
Memofilm, a memoria di uomo”, presentato al pubblico con una Conferenza Stampa a
novembre di quell’anno.
L’idea originaria era nata qualche anno prima: era il maggio del 2004 quando lo
sceneggiatore bolognese Eugenio Melloni sviluppò l’idea del progetto in seguito a
un’esperienza privata e drammatica che lo aveva colpito personalmente, la morte
improvvisa della madre portò alla luce il disturbo della memoria del padre. L’uomo non
riusciva a ricordare la perdita della moglie, chiedeva di lei continuamente, tanto che la
situazione divenne insostenibile per i familiari, i quali si vedevano costretti a recarsi
ogni mattina a casa dei genitori. Era necessario trovare un modo per fissare nella
memoria dell’anziano ciò che era accaduto, e fu in quel momento che nacque
l’intuizione di creare un filmato da vedere autonomamente in ogni momento della
giornata. Un racconto per immagini che già la registrazione in sé avrebbe reso più
autorevole rispetto a un discorso retto da sole parole diminuendo la diffidenza verso i
suoi contenuti. Dopo alcune riflessioni iniziali e accortezze riguardo alle modalità da
seguire, il primo Memofilm iniziò a prendere forma; l’incertezza dell’esito era
l’interrogativo più grande, ma l’esperimento funzionò e fu ben accolto tanto che ora è
divenuto una ricerca scientifica.
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❖ Come si deve agire secondo il progetto di ricerca per realizzare unMemofilm? Il
PIANO OPERATIVO del singolo filmato prevede diverse fasi:
1. Fase istruttoria: raccolta e analisi dei dati, sia clinici attraverso l’esame della
documentazione sanitaria, sia biografici tramite la testimonianza dei familiari, per
arrivare a definire gli obiettivi individuali perseguibili.
2. Fase preparatoria del personale di cura attraverso un percorso formativo.
3. Fase produttiva: ripresa delle scene ed edizione del Memofilm, con valutazione
del gruppo di studio e dei familiari del paziente attraverso la visione preventiva del
filmato realizzato.
4. Fase di somministrazione (del Memofilm) al paziente secondomodalità e tempi
definiti.
5. Fase di verifica in itinere con eventuali aggiustamenti.
6. Fase di valutazione dei risultati raggiunti.
❖ Cosa si vuole ottenere? La MISSION del progetto ha come scopi:
riorientare il paziente rispetto all’ambiente in cui vive, al tempo della propria
storia personale;
contrastare la frammentazione psichica causata dalla malattia e migliorare i
comportamenti di adattamento;
valorizzazione del singolo individuo: per ogni persona si individuano degli
obiettivi specifici relativamente ai sintomi legati ai disturbi legati a percezione,
pensiero e comportamento che presenta;
stimolazione cognitiva, più precisamente della memoria.
Il Memofilm racchiude quindi una funzione terapeutica per la persona sia sul versante
cognitivo sia psicoaffettivo/comportamentale.
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❖ Dove si vuole arrivare? La VISION del progetto
Vorremmo che i Memofilm fossero solo l’incipit, il momento iniziale, pur
fondamentale e strategico, di un grande, più vasto lavoro sul passato e sulla memoria,
che ha nella tecnologia audiovisiva il suo strumento peculiare e unificante.(Bertolucci,
2013, p.117)
Allargando la visuale, il gruppo di ricerca ha anche prospettato ulteriori orizzonti per
l’utilizzo del video in questo ambito: come strumento di raccolta e conservazione delle
memorie individuali degli anziani ospiti di un’istituzione, come documentazione del
loro immaginario cinematografico e televisivo. Infine come finestra sul presente
attraverso il posizionamento di alcuni grandi schermi all’interno della struttura per far
vedere ciò che accade in diretta in cinque luoghi tipici della città, al fine di non
interrompere il rapporto degli ospiti con ciò che accade fuori dell’istituzione.
La ricerca sul Memofilm ha evidenziato importanti riscontri già al Seminario tenutosi a
Bologna il 1 aprile 2009, una tappa intermedia della sperimentazione, a cui hanno
partecipato membri del gruppo di ricerca, tra cui Eugenio Melloni e Giuseppe
Bertolucci (presidente della Cineteca di Bologna), la regista Luisa Grosso e
rappresentanti delle istituzioni, discutendo sui primi risultati ottenuti. Da un punto di
vista elaborativo la ricerca si è conclusa nel 2013 con il convegno presso il cinema
Lumiere di Bologna.
Data l’efficacia dei risultati positivi della fase sperimentale, l’esperienza del Memofilm
si è diffusa nella provincia seguendo i protocolli iniziali:
● due memofilm sono stati realizzati recentemente in collaborazione con l’ASP
GaluppiRamponi di San Giorgio di Piano e Pieve di Cento, nell’ambito di una
convenzione stipulata con l’ASP Città di Bologna;
● due alla Casa di cura "Casa del Sole" a Sestola (Modena);
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● dieci sono in programma a Modena.
Il progetto è stato conosciuto dal pubblico soprattutto grazie alla visibilità che ha
saputo guadagnarsi sui vari canali di comunicazione per la sua particolarità, un
incontro tra saperi diversi se non tradizionalmente opposti.
Per quanto riguarda l’ambito giornalistico, numerosi articoli sono stati pubblicati su
quotidiani nazionali e non, comeLA STAMPA,il Resto del Carlino, Repubblica, il Corriere
della Sera. In campo editoriale è stato pubblicato il libro Memofilm. La creatività
contro l’Alzheimer, curato da Luisa Grosso con interventi di psicologi, medici e cineasti
e corredato da un DVD che mostra alcuni dei film. Il libro racchiude le informazioni
sulla ricerca e i risultati principali della sperimentazione, con una descrizione di 4 casi.
Numerosi sono stati gli inviti a partecipare a convegni per presentare il progetto di
ricerca sul Memofilm con motivazioni sempre diverse, far conoscere i risultati e
l’originalità di questo strumento sul piano terapeutico e sull’uso del linguaggio
audiovisivo nell’epoca del digitale. Di particolare importanza quelli svoltesi il 20
ottobre 2015 presso il Museo del Cinema di Torino (MediabibliotecaMario Gromo), e il
Convegno “Tecnica, multimedialità e nuove forme di narrazione” del 28/29 maggio
2015, organizzato all’Università La Sapienza di Roma.
La sperimentazione ha raggiunto popolarità anche in rete aprendosi a un contesto sia
nazionale sia internazionale, ad esempio con l’articolo pubblicato su l’HUFFINGTON
POST, correlato dal Memofilm del caso della signora Alberta, e svariati articoli in lingua
inglese. Spaziando oltre oceano, i primi risultati sul piano scientifico sono stati
pubblicati a maggio del 2013 nella più importante rivista di geriatria degli USA, il
Jags (Journal American Geriatrics society, USA). In televisione sono andati in onda un
servizio sul Tg1 Mattina e il 23 dicembre 2013 su Rai 3 del TGR Leonardo.
La seconda fase del progetto si è aperta sul web dove,
attraverso il sito “Memofilm on the web”
(https://memofilmontheweb.wordpress.com/ ), è nato il
progetto “Memofilm Fase 2” al termine della prima
sperimentazione conclusasi nel dicembre 2014.
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L’obiettivo che s’intende raggiungere tramite la rete risponde sostanzialmente alla
necessità di produrre nuovi casi per arricchire la ricerca, di essere un supporto per le
singole persone che volessero usarlo, di promuovere un confronto in ambito
accademico e clinico.
L’ambizione plausibile, date le premesse a cui sembra tendere l’intero progetto online,
è quella di diventare un punto di riferimento per la ricerca e per la sua diffusione
cercando di promuovere il maggior numero di collaborazioni possibili. L’intera
esperienza del resto punta sulla potenzialità degli effetti positivi mostrati da una
sperimentazione radicata a livello locale, per poi allargarsi a una prospettiva di ricerca
più ampia a livello sia nazionale che internazionale.
1.2 I fattori innovativi del Memofilm
Gli elementi d’innovazione del progetto sono molteplici e ricoprono tutti gli aspetti di
costruzione e realizzazione del filmato, dallo stile e strategie di comunicazione alla
modalità di fruizione del filmato.
Il fatto che il Memofilm sia inciso su un supporto CDDVD oppure oggi su unaMemory
stick, lo rendono uno strumento materiale che può essere fruito dal malato in ogni
momento della giornata e più volte al giorno; questa flessibilità permette alla persona
di vedere il filmato in modo autonomo, senza il necessario intervento del caregiver . 1
Considerando le capacità limitate di concentrazione dello spettatore affetto da
demenza, il filmato ha in media una durata di 1520 minuti, senza mai superare i 30
minuti. Risulta quindi fondamentale utilizzare un linguaggio semplice e diretto, con
maggior riferimenti possibili a situazioni concrete valorizzati dall’uso correlato di
videoimmagini. Il materiale raccolto va innanzitutto rivisitato e in seguito trattato
mantenendo una certa attenzione sui registri narrativi, poiché si argomentano storie e
situazioni concernenti persone malate spesso con gravi disturbi del comportamento da
correggere. Anche se dal punto di vista strutturale il Memofilm può risultare chiaro e di
facile comprensione, esso è in realtà frutto di un elaborato processo creativo di
1 chi, a livello familiare o professionale, presta assistenza a un malato, specialmente terminale (Garzanti Linguistica, http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=caregiver)
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selezione ragionata delle immagini; le ripetizioni di sequenze o di concetti e l’uso di
forme di ancoraggio al passato servono come stimoli evocativi per la memoria. La
personalizzazione è resa da svariate strategie di comunicazione, oltre che dalla
ricostruzione di eventuali momenti chiave della vita del paziente, come per esempio
l’inserimento di immagini in soggettiva o tramite una comunicazione diretta verso il
paziente specie dove la soglia di attenzione è particolarmente bassa. A volte è
necessaria una tecnica che richiami il paziente a svolgere un ruolo in prima persona nel
filmato, per poi rivedersi o ascoltarsi. Altre a volte è un interesse spiccato verso
qualcosa, per esempio uno svago, un affetto, un vecchio film amato, una canzone, una
persona, un caregiver, il mezzo per coinvolgere il paziente/spettatore o per dare
sostanza al racconto.
1.2.1 Unione Scienza e Arte: la valorizzazione della persona
La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero; la fonte di ogni vera arte e di ogni
vera scienza. I più grandi scienziati sono anche artisti. (Einstein)
L’arte e la scienza dunque possono e devono lavorare insieme sull’Alzheimer, una malattia
individuale e metaforicamente, collettiva. (Grosso, 2013, p. 147)
Da un perfetto connubio di arte e scienza prende quindi vita il Memofilm. Cineasti e
scienziati lavorano in sinergia e la collaborazione tra i servizi offerti da Cineteca e ASP
Giovanni XXIII lo concretizza.
Il coinvolgimento dei cittadini completa il quadro degli attori coinvolti. Infatti soltanto
con questa articolata cooperazione è possibile giungere alla realizzazione
dell’obiettivo: i dati clinici sono raccolti dai medici e infermieri, testimonianze e
materiale fotografico sono forniti da familiari e amici, gli operatori di assistenza (se
presenti) raccontano la vita quotidiana del soggetto. Dopo la raccolta di queste
informazioni, il regista cerca di ottenere maggiori dettagli, e in collaborazione con lo
psicologo, rivisita il materiale dando vita al prodotto finale.
L’originalità risiede nel fatto che il Memofilm è un film per un unico spettatore, questo
concetto presuppone un ribaltamento della concezione tradizionale che vede la
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persona come oggetto intorno al quale si esercitano le pratiche audiovisive che hanno il
fine di raggiungere il maggior numero di utenti possibili.
I ricordi rappresentano un elemento fondamentale per la propria identità e solitamente
essi sono espressi attraverso il linguaggio verbale, considerando le difficoltà che
incorrono in quest’operazione a causa della malattia, il linguaggio audiovisivo
rappresenta il mezzo e la soluzione perfetta per continuare a comunicare sensazioni,
emozioni ed esperienze in modo efficace e persuasivo.
L’originalità eclatante del Memofilm è l’essere un video per un unico spettatore. Ciò
presuppone un ribaltamento della concezione tradizionale per la quale un prodotto
audiovisivo è confezionato per raggiungere il maggior numero di utenti possibili pur
rimanendo una fruizione intimamente personale. Durante la visione, infatti, emozioni
e contenuti sono sempre un’esperienza vissuta individualmente: pur in un affollato
cinema, siamo spettatori soli con noi stessi. Cambia invece il rapporto tra chi realizza il
Memofilm e lo spettatore perché si instaura una relazione diretta, non anonima che ha
come base la vita e la storia del singolo.
L’utilizzo di una semplice videocamera e una troupe minima (a volte soltanto una
persona) è fondamentale per instaurare un rapporto confidenziale basato su un
linguaggio semplice e diretto, senza risultare invasivi come la maggior parte delle
tecnologie audiovisive classiche composte di innumerevoli mezzi.
Grazie alla nuova modalità di utilizzo dell’audiovisivo, strumento cardine della
comunicazione di massa che viene trasposto per un uso individuale, allo scopo di
valorizzare l’identità del singolo, emerge la centralità del paziente tramite un
intervento individualizzato di terapia che Tom Kitwood definisce come cura person
centred. In sintonia con la visione olistica della persona che presuppone il principio
dell’unitarietà di corpo, mente e cervello, dove ogni individuo è espressione di ciò che
pensa e ciò che prova in maniera completamente equivalente.
Per questo è dichiarato e sottolineato più volte che il Memofilm è unfilmper e non
sulla persona. La valorizzazione del paziente nella sua totalità coincide con la
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realizzazione finale del progetto, i suoi sentimenti e le sue emozioni ed esperienze sono
e devono essere al centro di tutto e l’oggetto intorno a cui tutto ruota.
Una definizione particolarmente significativa di Memofilm è quella data dal compianto
Giuseppe Bertolucci, che ha fornito al progetto un impulso di fondamentale
importanza:
Il Memofilm è un film per e non su persone affette da demenza.
Un film per un unico spettatore: questa è l’altra dirompente novità, sul versante audiovisivo del
progetto. Lo strumento principe delle comunicazioni di massa, piegato a una destinazione
assolutamente individuale.
E ancora:un’arma potentissima della società dello spettacolo e dell’omologazione, trasformata
in un’arma “impropria” destinata a difendere quel che rimane della soggettività e dell’identità
di un individuo. È una sorta di felice “contraddizione in termini.
2. MEMOFILM CONTRO L’ALZHEIMER, LA CREATIVITÀ CONTRO LA DEMENZA
La sperimentazione durata cinque anni (20072012) si è svolta nel territorio bolognese
coinvolgendo anziani di età compresa tra i 64 e i 95 anni affetti da deterioramento
cognitivo e diagnosi di demenza di vario grado, associato a disturbi comportamentali
e/o psicologici (BPSD).
In totale sono stati prodotti 17 Memofilm dal 2008 al 2012, di cui 13 sono entrati nel
protocollo del progetto di ricerca, 2 invece non sono stati portati a termine perché i
pazienti sono deceduti poco prima della somministrazione del memofilm e altri due
casi erano sperimentali, riguardavano rispettivamente una persona sana per verificare
come avrebbe impostato la sua narrazione e un individuo all’inizio della malattia. Sul
sito memofilm on the web è possibile analizzare i risultati di ulteriori Memofilm frutto
di una collaborazione recente tra ASP Città di Bologna e ASP GaluppiRamponi in
provincia di Bologna.
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2.1 Descrizione della sperimentazione
Gli obiettivi dello studio sono stati:
1) valutare l’evoluzione e il miglioramento dei disturbi cognitivi e comportamentali;
2) verificare le ricadute dei disturbi sui caregivers familiari e professionali;
3) implementare l’esperienza per mettere a punto una metodologia che avesse una
valenza sia in campo scientifico, sia in quello della produzione audiovisiva.
La fase sperimentale ha previsto uno studiodi tipo casocontrollo con la suddivisione
degli individui in due gruppi omogenei, ciascuno di 13 unità, aventi analoghe
caratteristiche di sesso, età, grado di deterioramento cognitivo. Il gruppo di studio al
quale è stato somministrato l’audiovisivo era costituito da 11 donne e 2 uomini, il
gruppo di controllo da 8 donne e 5 uomini; la maggior parte dei pazienti coinvolti
erano ospiti presso una struttura residenziale dell’ASP Giovanni XXIII di Bologna, altri
vivevano ancora al domicilio.
Gli strumenti di valutazione utilizzati sono stati il Mini Mental State Examination 2
(MMSE) che analizza le funzioni cognitive attraverso 11 item tra cui orientamento
spaziotemporale e attenzione, e ilNeuropsychiatric Inventory (NPI). Questo strumento 3
è fondamentale perché fornisce dati non solo sull’entità dei disturbi comportamentali
associati al deterioramento cognitivo, ma è anche in grado di quantificare lo stress del
caregiverfamiliare o professionale. Inoltre è stata creata una checklist costituita da un
elenco di domande personalizzate relative al vissuto del paziente (oggetti, persone,
circostanze), con lo scopo di verificare la risposta cognitiva e comportamentale
dell’individuo al Memofilm che lo riguarda. I risultati ottenuti nelle scale di valutazione
nei diversi momenti descrivono i risultati della sperimentazione.
La tempistica dello studio sperimentale rispettata prevede tre diversi momenti:
T0: coincide con la fase preliminare in cui gli anziani inseriti nello studio sono
sottoposti ai due test, MMSE e NPI, da parte di un esaminatore “cieco”, un
2 Vedi immagine 1 nella sezione Appendice, p. 30. 3 Vedi immagine 2 nella sezione Appendice, p. 31.
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professionista esterno al gruppo di ricerca e ignaro dell’identità del paziente.
Contemporaneamente avviene la stesura della checklist situazionale per testare la
riconoscibilità da parte del paziente di situazioni e persone significative evocate nel
filmato. In seguito alla valutazione, si procede con la somministrazione del Memofilm al
paziente per due o tre volte al giorno per due mesi; nel periodo delle prime visioni
familiari o personale di assistenza hanno il compito di rimarcare i passaggi più
indicativi ed emozionanti sviluppando un atteggiamento empatico.
T1: dopo due mesi di stimolazione audiovisiva, è compiuta un’altra valutazione
cognitiva e comportamentale sempre con gli stessi strumenti.
T2: identica valutazione è attuata su tutte le persone (casi e controlli) a distanza di un
mese dalla sospensione della visione del Memofilm, utilizzando sempre MMSE, NPI e
checklist per i casi.
2.1.1 I risultati ottenuti
I risultati della sperimentazione sono stati brillanti, in particolare si è registrato un
netto miglioramento in 9 casi su 13 dei pazienti sottoposti alla visione dei filmati, tanto
efficace da perdurare in 5 persone anche un mese dopo la sospensione della cura.
Questa cineterapia ha prodotto notevoli effetti positivi anche sui caregivers
professionalie familiari che assistevano i pazienti evidenziando una diminuzione dello
stress in 8 casi su 13.
Sviluppi veramente importanti si sono osservati all’evoluzione dei disturbi
psicocomportamentali (BPSD) attraverso la misurazione dei punteggi ottenuti dal
Neuropsychiatric Inventory (NPI) test. L’utilità pratica del NPI consiste nella valutazione
di frequenza e gravità di 12 tipi di disturbi comportamentali e psichici della persona
affetta da demenza, assegnando a ciascuno un punteggio variabile da 0 (assenza del
disturbo) a 12 (disturbo massimo).
I grafici seguenti mostrano la variazione dei risultati, in percentuale, che si riferisce a
13 persone del gruppo sperimentale e corrispondenti del gruppo di controllo nel
tempo T1T0 e T2. È necessario fare una premessa per capire come leggere i dati
riportati nelle immagini: quanto più alto è il punteggio complessivo, tanto più
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importante è l’entità di tali disturbi, di conseguenza, una variazione negativa nel corso
del tempo esprime un miglioramento, il contrario una variazione positiva.
Variazione del punteggio NPI dopo due mesi di visione del Memofilm (T1T0)
Nel periodo compreso tra T0 e T1 (dopo duemesi di visione del Memofilm), nel gruppo
studio l’NPI è diminuito tra il 94% e il 3% in 9 casi, è rimasto invariato in 2 e
aumentato in altri 2; contrariamente a ciò, nel gruppo di controllo il punteggio è
diminuito tra il 38% e il 6% in 4 soggetti, è rimasto stabile in 4 ed è aumentato in 5.
Un altro elemento interessante emerge se si considera la situazione dopo un mese di
sospensione della visione del Memofilm (T2), l’NPI diminuisce ulteriormente in 5
soggetti del gruppo di studio, contrariamente a solo 1 nel gruppo di controllo.
Variazione del punteggio NPI (stress) dopo due mesi di visione del Memofilm (T1T0)
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Le stesse premesse vanno fatte per quanto concerne il livello di stress sui cargivers
considerando unmiglioramento della situazione psicologica nel caso di una valutazione
negativa e grado di stress elevato nel caso di un punteggio alto. Anche in questo caso si
sono verificate differenze rilevanti tra i gruppi di studio e di controllo: neicaregivers
dei soggetti sottoposti a 2 mesi di visione del memofilm lo stress si è ridotto tra il 78%
e il 10% in 8 casi, si è mantenuto stabile in 3, è aumentato in 2; viceversa, nel gruppo di
controllo lo stress è diminuito soltanto in 2 casi, è rimasto invariato in 6 ed è
aumentato in 5.
Per quanto riguarda la valutazione aggiuntiva mediante check list, è migliorato il
riconoscimento dei familiari, di oggetti e situazioni sulla base dei seguenti risultati:12
pazienti su 13 hanno riconosciuto indicandoli col proprio nome persone, oggetti o
situazioni rappresentate nel memofilm. Inoltre il riconoscimento della propria casa ha
prodotto la cessazione del delirio di fuga in 1 caso e il miglioramento di comportamenti
inadeguati e iterativi, come l’incontinenza fecale e il wandering, in 3 casi.
Sul versante cognitivo lo studio non ha evidenziato variazioni significative tra i casi e i
controlli, d’altra parte, dimostrare efficacia in questo ambito non èmai stato l’obiettivo
primario del gruppo di lavoro. Anzi, per il team di ricerca, sarebbe stato esagerato
pensare di poter influire tramite una stimolazione audiovisiva su disturbi cognitivi
originati da lesioni neurologiche di natura organica, pretendendo di ottenere successo
dove neanche la ricerca farmacologica è riuscita a ottenere risultati di rilievo.
In conclusione si può affermare che le percentuali di riduzione del punteggio NPI sono
state di entità maggiore nei malati trattati rispetto ai controlli e i caregivers hanno
espresso un importante giudizio di soddisfazione.
2.2 Il caso di Alberta: la casa è una parola grande (dicembre 2009)
Il caso di Alberta è tra quelli riportati nel libro Memofilm. La creatività contro
l’Alzheimer per il suo carattere al contempo emblematico e specifico.
Sotto il profilo clinico, la diagnosi della paziente definisce uno stato di salute precario:
coesistenza di alcune patologie frequenti in età senile, deterioramento cognitivo dovuto
a disturbi della memoria sempre più gravi, associati a episodi di confusione mentale e
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disorientamento spaziotemporale. Inoltre l’anziana inizia a soffrire di deliri di
persecuzione e di misidentificazione.
È importante ricordare che i deliri della persona affetta da demenza possono rivelare
problemi irrisolti, dolori rimossi da tempo o tormenti che prendono forma per la prima
volta.
E allora, cosa c’è alla base di questi comportamenti deliranti in Alberta?
Alberta soffre di un disturbo del comportamento frequente tra i dementi, ricerca
(ossessivamente) la casa… non riconosce l’abitazione in cui vive come propria.. si alza
di notte, si perde per la campagna limitrofa. In una conversazione con EugenioMelloni
che ha realizzato il Memofilm, il regista sottolinea come la casa immaginaria di Alberta,
capace di produrre un impulso irrefrenabile, potente e la dinamica con cui si è
realizzato il suo Memofilm, conducono a diverse plausibili considerazioni.
Lo schema iniziale della narrazione prevede, infatti, di riprenderla mentre descrive la
casa dove abita, di cui è consapevole e per la quale afferma con orgoglio di averla
costruita insieme ai figli, con lo scopo di smentire questa sua pulsione a ogni visione del
memofilm e convincersi che la sua ricerca è priva di senso. Durante le riprese, tuttavia,
Alberta ha appena finito di descrivere la sua stanza da letto che divide con il marito
(vedi la sequenza: https://youtu.be/RMD85YZ2WDQ ), quando la nipote commenta
rivolgendosi alla nonna: allora questa è la tua casa? Alberta a quel punto, si siede sul
letto e risponde:la casa è una parola grande (aggiungendomi piacerebbe abitare qui)
che diventerà il titolo del suo memofilm. Il team di ricerca ne resta colpito, si chiede da
dove venga una frase così potente e inizia una nuova ricerca.
È importante tener presente il passato della donna: seconda elementare, una vita
passata a lavorare nei campi e ad aiutare con dedizione e amore varie famiglie, dai
suoceri a quelle dei figli.
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La casa è una parola grande, è una sineddoche, una figura di trasferimento semantico di
un significato da una parola all’altra. La casa in quanto parola è piccola. Ma
semanticamente è grande perché può contenere più significati.
La casa necessariamente si presa a evocare emozioni legate alla propria storia, alle
proprie origini, alle proprie vicende, in una parola: alla propria identità. La
simbologia della casa abbraccia tutte le culture, parlare della casa è parlare di se
stessi: è la nostra stessa vita (R.Tedesco, 2013, p. 99)
Nel nostro caso, l’impulso a cercare la propria casa in Alberta è stato libero di agire su
di lei fino a indurla in comportamenti definiti abnormi. Ma cosa impediva prima questi
comportamenti?
La revisione della sceneggiatura iniziale del Memofilm è avvenuta partendo dal
presupposto che ad Alberta mancasse, rispetto ad una persona sana, la consapevolezza
che la casa delle origini non la abiteremo più in quanto lontana nel tempo. Si decide
quindi di focalizzare la sua attenzione sul fatto che l’attuale casa è comunque molto
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accogliente ed è il luogo in cui ha vissutomolti bei momenti con i familiari, rinunciando
a mettere in discussione l’altra casa, quella immaginaria, poiché sarebbe stato molto
difficile, se non sbagliato come approccio. Il nuovo intento diventa quindi quello di
“progettare un interno che fosse soprattutto interiorità, inmodo da rendere la sua casa
una stanza terapeutica” ( Grosso, 2013, p. 73) attraverso videoimmagini che
comunicano un contenuto di altro genere senza negare la casa delle origini: cara
Alberta, la casa dove abiti ora che conosci bene, non sarà come quella che cerchi, ma ci
puoi stare altrettanto bene. Queste parole, pronunciate dal medico Tondi nel discorso
che chiude il Memofilm, sono avvalorate dalla messa in atto di una sorta di persuasione
indiretta con le parole significative pronunciate della nuora e l’affermazione commossa
della nipote: “Se mia nonna va via mi dispiacerebbe molto”.
E’ stato quindi organizzato un grande pranzo con tutti i figli, le nuore, con regali e
manifestazioni di grande affetto da parte loro e fatte le riprese, si sono montati i
momenti più coinvolgenti. Sensazioni e commenti dell’anziana sono mostrati alla fine
del video che riprende le sue reazioni durante tutta la prima visione del Memofilm in
compagnia dei familiari. La donna è palesemente emozionata e quando le viene chiesto
se le sia piaciuto e se lo riguarderà, la risposta strettamente in dialetto bolognese è “A
TAL DEG”; affermando inoltre che se qualcuno andrà a trovarla, sarà orgogliosa di
mostrarglielo.
Considerazioni
Dopo un mese di somministrazione, il risultato è stato che il disturbo della ricerca
ossessiva della casa è scomparso, sulla base di ciò che riporta l’operatore di assistenza,
Alberta guarda sempre volentieri e con crescente interesse il suo filmato, tanto che un
giorno le sente dire questa frase: “devo smetterla con questa ‘gnola’ (lamentela) questa
è casa mia e qui devo stare”, l’obiettivo del Memofilm è stato quindi raggiunto.
Tanto che il MMSE fatto dal geriatra dopo la somministrazione del memofilm, segnala
pur con la risoluzione del disturbo del comportamento, la perdita di A. di otto punti
nell’orientamento tempospaziale, portandoci alla conclusione che il rapporto con il
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tempo (passato e futuro) compromesso nella demenza di gradomoderato e severo, non
è un fattore irrimediabile clinicamente.
Il grafico mostra i valori
riportati in percentuale
ottenuti attraverso NPI e
MMSE al tempo T1 e T2 delle
performances nel caso di
Alberta. Ciò che emerge è
l’impatto positivo durante i
mesi di somministrazione
del Memofilm e l’effetto
retrogrado al tempo T2 dopo
che il paziente sospende la
visione del filmato per un
mese.
Con la frase “devo smetterla con questa ‘gnola’ (lamentela) questa è casamia e qui devo
stare” non c’è un disconoscimento della casa delle origini, ma il riconoscimento tramite
il filmato, che nella “casa del presente” c’è effettivamente tanto affetto da poter
compensare quella originaria. L’input carico di emozioni e gratificazione, reso
quotidiano la paziente vedeva due volte al giorno il filmato ha permesso di risolvere
la situazione attorno al quale ruotavano tutti quegli altri disturbi del comportamento
poi scomparsi.
Da segnalare inoltre l’impatto decisamente
positivo sui caregivers, l’anziana partecipa con
maggior entusiasmo alle relazioni parentali e
appare meno gelosa del marito, cosa che rende
anche il coniuge più sereno.
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3. “LA RICOSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ NARRATIVA ATTRAVERSO L’UTILIZZO
DEI LINGUAGGI AUDIOVISIVI”
3.1 Funzione strumentale: importanza delle nuove tecnologie in tutti gli ambiti
“È impossibile non comunicare”, il primo assioma della comunicazione conferma
l’irriducibilità e la centralità dell’attività comunicativa nella vita degli esseri umani;
nonostante ciò, l’uomo oggi può scegliere modalità e mezzi con cui comunicare, come
non è mai successo in passato. Lo sviluppo delle nuove tecnologie di comunicazione ha
portato notevoli cambiamenti in diversi ambiti influenzando gli stessi processi
cognitivi, modificando sia gli schemi d’interpretazione della situazione e
organizzazione dell’azione, sia la capacità di riconoscere e sperimentare le emozioni.
Rimanendo su questo concetto, Giuseppe Riva, nel suo libro Nativi Digitali, evidenzia
come “i media siano sempre generatori di cambiamento”, poiché ogni medium agisce 4
come strumento di mediazione ponendosi tra i soggetti interagenti sostituendo
l’esperienza diretta dell’altro con una percezione indiretta (mediata). Questo processo
provoca un cambiamento nei comportamenti del fruitore e nel contempo modifica il
significato proprio dei diversi mezzi di comunicazione.
3.1.1 Il linguaggio audiovisivo utilizzato a fini terapeutici, cinema come cura in
generale e personalizzazione
Ne è convinto il dott. Mirko Labella, psicologo e psicoterapeuta, quando a proposito
dell’uso del cinema nei confronti dei malati di demenza, afferma in una intervista in
occasione della presentazione della ricerca sul Memofilm a Torino, che … a livello
personale ho sempre pensato che l’arte faccia bene alla salute. Quante volte tutti noi abbiamo
trovato sollievo e consolazione grazie alla visione di un film? Le vite dei protagonisti di un film,
spesso, rendono meno solitarie le nostre sofferenze. Ci rispecchiamo nei film ed in alcuni casi
ritroviamo la speranza. Basaglia parlava di “terapia della vita” indicando come, attraverso il
4 Ogni strumento (artefatto) che ci permette di comunicare senza il principale limite della comunicazione faccia-a-faccia: la contiguità spazio-temporale (Riva, 2012, pg. 18)
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confronto con le storie dei film, si possano trovare risposte e stimoli nuovi procedendo verso la
salute. Alla nascita, la nostra mente risponde non alle parole o ai numeri ma alle immagini che
troviamo nel mondo.
Mentre Giuseppe Bertolucci (regista e sceneggiatore) rileva come il Memofilm
rivoluzioni la fruizione dei contenuti audiovisivi: in una società di massa, anonima e
spersonalizzante, dalle mille e mille solitudini, ecco che la cultura decide di occuparsi
concretamente del singolo a fini di bene, non solo della sua salute, che è la motivazione
principale che ha dato avvio al progetto di ricerca, ma della sua vita e della sua storia.
L’originalità di questo progetto sembra, in effetti, ribaltare i paradigmi tradizionali
delle pratiche audiovisive, quella di raggiungere vasti pubblici e alti indici di ascolto,
per concentrarsi esclusivamente sul singolo, la sua storia e la sua malattia. In questo
senso si può parlare di cineterapia: l’apporto del linguaggio audiovisivo nel Memofilm
supera lo status quo della comunicazione di massa, esaltando l’unicità dello spettatore
e la funzione interattiva del mezzo. E questo per rispondere alla necessità, nel
momento in cui il linguaggio verbale non basta più per trasmettere e trattenere ricordi,
di impedire una frantumazione dell’identità, sollecitando l’autostima e costruendo
effettivamente senso che si va perdendo.
3.1.2 Strumenti e tecniche per la realizzazione di un Memofilm
Le possibilità offerte dalla digitalizzazione delle immagini e la facilità della loro
archiviazione sono state tecnicamente la chiave di svolta. Tutta la grammatica
cinematografica è potenzialmente messa in campo e riletta alla luce dell’obiettivo,
dall’uso del primo piano al discorso diretto, da un montaggio semplice a uno più
complesso o alternato. La ripetizione di sequenze o l’insistenza su certi punti di vista,
sono finalizzati a mantenere alta l’attenzione del paziente rispettando i tempi di
assimilazione, cercando di lavorare sull’empatia ancora conservata, sull’identificazione,
ammiccando talvolta al protagonismo dello spettatore.
Nell’ambito del gruppo di ricerca, c’è chi ha cercato di capire la struttura immaginifica
comune di ogni memofilm, come formato da una sequenza diimmagini tema,che sono
veicolo di senso immediato, funzionando come stimolo principale per suscitare una
reazione del paziente. Queste immagini catalizzano l’attenzione e producono
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associazioni mentali immediate perciò hanno più possibilità di mettere in moto la
memoria residua stimolando la fonte emozionale principale del paziente. Per esempio,
nel caso di Alberta sono le immagini della famiglia che per lei rappresenta amore e la
sua ragione di vita.Il ricorso a immagini di repertorio evocative del tempo vissuto dal
paziente tratte ad esempio da documentari d’epoca, sono invece definiteimmagini di
rinforzo perché ampliano il contesto individuale mostrato dalle immagini tema, dando
significato temporale per contrappunto al presente. Nel caso di chi, come per Alberta,
soffre di una sorta di apatia, letta come assenza di rappresentazioni mentali e come
minore corrispondenza tra stimoli esterni e risposta sensoriale, entrano invece in gioco
le immagini ricostituenti che hanno l’obiettivo di indurre appunto, nuove
rappresentazioni mentali. Infine, ma non per minore importanza, ci sono leimmagini
supporto che agiscono da collante tra le precedenti e che funzionano attraverso la
ripetizione dei concetti più importanti per stimolare continuamente la memoria.
Va sottolineato che nel memofilm non soltanto le immagini svolgono un ruolo
fondamentale, suoni e musiche particolarmente emozionanti per il paziente vengono
scelte per catturare la sua attenzione e fare in modo che esso si senta coinvolto.
Ricapitolando, le immagini sono il veicolo in grado di attivare sensazioni ed emozioni
che regolano i nostri bisogni primari, come quello di sicurezza, attivano la nostra
interiorità cercando di farci sentire apprezzati. In questo contesto, sul piano
neurofisiologico, sembra decisivo il ruolo svolto dai neuronispecchio che esaltando
l’intersoggettività della persona, rifondano l’incontro e l’esperienza. In questo senso “il
meccanismo di risonanza motoria dei neuroni specchio rappresenterebbe il correlato
neurale della “simulazione incarnata” (dott. Labella, 20 ottobre 2015, Torino). In
quest’ottica si può ipotizzare che la visione del Memofilm diventi anche esercizio fisico,
mettendo in gioco varie componenti del corpo: i pazienti avrebbero provato sensazioni
corporee le quali avrebbero a loro volta stimolato le loro strutture cerebrali come se
essi sperimentassero le azioni/emozioni rappresentate per l’ennesima volta.
24
3.2 Funzione narrativa e aspetti sociale e relazionali del Memofilm
L’altro punto nodale dell’intero progetto riguarda la funzione narrativa, più
precisamente la ricostruzione dell’identità narrativa e l’importanza dell’empatia in
grado di generare effetti positivi sulle relazioni tra parenti (caregivers familiari) e
pazienti.
3.2.1 Noi siamo la nostra storia: costruzione dell’identità attraverso il racconto di noi
stessi
La narrazione è un’attività centrale nella vita dell’uomo, costruisce un senso e
organizza l’esperienza dando vita a un processo identificativo che stimola le emozioni
di chi si racconta. Narrare rappresenta l’unico modo che l’essere umano possiede per
farsi conoscere e per far conoscere un fatto, un accadimento.
La narrazione autobiografica, in particolare, conferisce un significato alle azioni di un
individuo in quanto lo presenta agli altri nel modo in cui egli reputa opportuno rispetto
a una determinata situazione e in conformità dei canoni del sistema simbolico culturale
al quale egli appartiene. Durante l’attività di narrazione autobiografica si modifica e si
ricostruisce l’identità personale così come si cocostruisce (con gli altri partecipanti
all’interazione sociale o testuale) la realtà circostante. (R. Lorenzetti, 2004, p. 21)
Il pensiero del filosofo francese Ricoeur colloca l’origine dell’identità narrativa nella
nostra ricerca e conservazione dell’identità e la sua creazione avviene tramite i
significati che ciascuno di noi attribuisce ai propri racconti; la funzione della
narrazione conferisce un valore aggiunto all’identità poiché include il cambiamento (
l’identitàipse ci permette quelle variazioni di atteggiamento che si riescono a
immaginare ed attivare, quale divenire del nostro carattere). Inoltre, questa operazione
presuppone intenzionalità e consapevolezza in quanto nel momento in cui le persone
costruiscono le storie, determinano anche i significati da attribuire ad esse.
Sulla base di quanto appena detto, la funzione narrativa riveste il ruolo fondamentale
come strumento principale nel processo terapeutico del Memofilm, nell’ottica di
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considerare la terapia come un racconto dei mondi circostanti che il paziente
costruisce e ricostruisce narrandoli. In questo caso lamassima valenza della narrazione
ha la possibilità di esplicitarsi, lavorando nella continua ridefinizione di un’identità.
Nell’ottica del progetto, considerato che i pazienti affetti da demenza sono persone
confuse e spaesate, certamente in senso spaziotemporale, incapaci di articolare un
racconto sensato e complesso aprendo la strada a crisi dell’immaginazione
paragonabili ai deliri psichiatrici, il Memofilm può rappresentare lo strumento perfetto
per cercare di far fronte a questi problemi.
Ulteriore vantaggio della funzione narrativa consiste nel fatto che essa sia essenziale
come strumento relazionale: l’azione non è mai conclusa totalmente e non acquista
senso se non è presente un ascoltatore della narrazione. Per questo motivo ascolto ed
empatia rappresentano le modalità alla base di questo processo, dato che «l’io è
percepibile attraverso l’interpretazione delle tracce che lascia nel mondo» (P. Ricoeur,
Il tempo raccontato, p. 379). E nell’esperienza della visione (passando anche per la
produzione) il coinvolgimento deicaregivers parentali ma anche professionali, diventa
cognitivamente ed emotivamente inevitabile, con tutti i benefici che ciò può
comportare la condivisione di una narrazione (fissata nel tempo) per una famiglia e
una più approfondita conoscenza non solo clinica, del paziente per una pratica
assistenziale.
3.2.2 Il Memofilm come contenitore di emozioni comuni
Se quindi le emozioni segnano più di ogni altro, l’identità profonda di un individuo e
sono in grado di risvegliare i ricordi più intimi, il Memofilm, come si è visto, si
concentra sulla ricerca delle emozioni positive da stimolare nel paziente per poter
riassemblare identità e autostima. Il complesso approccio empatico che s’instaura
grazie al linguaggio audiovisivo fra paziente, caregivers e team, ha però avvio già
all’inizio della produzione del Memofilm, con la condivisione degli obiettivi terapeutici.
Vale quindi la pena ricordare che per empatia enpathos “sentire dentro”si intenda la
capacità di “mettersi nei panni dell’altro” percependo, in questo modo, emozioni e
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pensieri (State of Mind, http://www.stateofmind.it/tag/empatia). E’ questa
competenza emotiva che sta alla base della comunicazione interpersonale che permette
di entrare in sintonia con chi si interagisce con maggiore facilità ed efficacia, tramite
l’immedesimazione nelle emozioni degli altri come se fossero le proprie. L’approccio
empatico è quindi un principio
essenziale per comprendere e
valutare punti di vista, sensazioni,
pensieri di un paziente qualsiasi.
Ma nel caso di un malato di
demenza che non può “raccontare e
raccontarsi” il rapporto empatico è destinato nel tempo inevitabilmente ad essere e
forse dolorosamente accantonato. In questo senso, per i suoi contenuti biografici e
umanizzanti, il Memofilm svolge quella funzione rimotivante, confermata dai risultati
positivi ottenuti con la ricerca, che Tom Kitwood, psicogerontologo auspica in quanto 5
crea le condizioni per cui se un paziente sentendosi (ancora) protagonista si sente
anche “…convalidato, accettato, approvato, sviluppa poi la capacità di percepire la vita
in modo più ricco e sereno, con sempreminor bisogno di mettere in attomeccanismi di
difesa. Con la riduzione dello stress si formano nuovi schemi d’azione, specialmente
nelle relazioni, quindi le interazioni migliorano. Passo dopo passo, il mondo interiore
del disorientato si riorganizza, si forma un bagaglio di sentimenti positivi, con
conseguente aumento del benessere generale.”
Sono risultati confermati dal team di ricerca, per come il Memofilm in pratica 1) agisca
come narrazione che interessa il paziente in quanto persona, ma rimetta
inevitabilmente in circolo quella di tutto il gruppo famigliare. 2) per come la finalità di
benessere di uno dei famigliari, spesso il padre o la madre, diventi occasione per
accantonare e/o elaborare positivamente eventuali dissidi interni al gruppo anche solo
per la gestione del malato, per ritrovarsi in un racconto, oppure superare momenti
critici del singolo nel rapporto con il genitore. 3) permetta di uscire dall'isolamento
nella gestione della malattia e del paziente rispetto alla comunità 4) di superare il
5 Tom Kitwood, psicogerontologo è stato uno dei primi studiosi che ha affrontato il tema della demenza partendo non dalla patologia degenerativa, ma dalla persona.
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senso di impotenza o di rassegnazione che una malattia cronica comporta 5) e tramite
la partecipazione all'elaborazione del filmato, con il contatto con gli operatori
sociosanitari e i videomakers del memofilm, spesso portatori di punti di vista
innovativi, i caregivers migliorino la conoscenza della malattia rendendo possibile un
approccio diverso. Quindi la partecipazione alla produzione del memofilm come
momento di educazione sanitaria reso coinvolgente dai sentimenti personali messi in
campo.
I benefici del Memofilm sono quindi stati ad ampio raggio, portando spesso al
miglioramento delle relazioni affettive tra pazienti, familiari, operatori, ambiente.
Prima della sperimentazione, rassegnazione, sgomento e tristezza erano le sensazioni
più diffuse con cui i familiari dovevano convivere e che influivano fortemente nel
rapporto con i cari e l’ambiente circostante creando una sempre maggiore tensione. Il
successo in questo caso è visibile sia in forma analitica guardando il test NPI sui livelli
di stress sui caregivers prima e dopo la sperimentazione, sia sulla base dei commenti
riportati dai familiari durante e dopo il periodo della sperimentazione. Nelle interviste
ad alcuni dei parenti sul sito del progetto, memofilmontheweb, si possono ascoltare
risposte alla domanda “Cos’è per lei il Memofilm?” :
Il Memofilm è…..una piccola perla (figlia di Angiolina); …valorizzazione della vita
(Giada Malaguti, nipote di Alberta) …una grande opportunità di documentazione …
(Mara, figlia di Arduino).
Traspare in questo vissuto l’idea del Memofilm come strumento per il passaggio di
testimonianza tra una generazione e l’altra in una fase difficile della vita assai lunga
che, non dimentichiamolo, è destinata a concludersi con la perdita della persona cara.
CONCLUSIONI
Il Memofilm si è imposto come punto di svolta che ha saputo andare oltre gli interventi
assistenziali tradizionali irrompendo con un innovativo uso terapeutico del cinema,
meglio dell’audiovisivo. È uno strumento rimotivante che ha permesso una rinascita
interiore dalle ceneri di solitudine e rassegnazione in cui si trovano i pazienti a causa
della malattia e ha saputo dare nuova fiducia e speranza alle famiglie che l’avevano
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persa. Il filmato ha reso tutti protagonisti riaccendendo la luce negli occhi e
mobilizzando le emozioni di chi ha partecipato al progetto, dalle persone malate, al
team di ricerca, ai familiari. I risultati raggiunti erano inizialmente impensabili in un
campo tanto delicato, dove anche la ricerca sanitaria s’imbatte in numerosi ostacoli e
non sempre ne esce vittoriosa. In una situazione in cui terapie farmacologiche e
linguaggio non bastano più come soluzioni, il Memofilm si colloca come strumento di
mediazione per l’autoidentificazione sfruttando l’impiego dell’attività narrativa.
“Il Memofilm esercita la memoria, funziona da contenimento emotivo, agisce sui
disturbi comportamentali, rallenta il decorso della malattia.” (L.Grosso, 2013, p. 152)
Nel caso specifico della signora Alberta, è possibile affermare che la casa delle origini
non è stata quindi sostituita dalla casa del presente tramite la cognizione del tempo
passato, ma dalla concretezza di una catena di affetti famigliari presentati tramite il
Memofilm grazie:
⇒ ai contenuti coinvolgenti del video che persistono emotivamente rispetto a un
dato semplicemente cognitivo, tipico peraltro del linguaggio audiovisivo (messa in
scena);
⇒ alla ricostruzione biografica avvalorata da immagini (identità narrativa)
coincidente con la sua idea di sé.
⇒ alla autorevolezza dei protagonisti (i famigliari e il medico);
⇒ presumibilmente alla carica di verità prodotta dai procedimenti percettivi
(quelli fisiologici della simulazione incarnata capace di far vivere come reale, l’irreale);
⇒ all’essere il filmato riproducibile;
⇒ e prescindendo totalmente dal fattore cognizione del tempo passato.
Sono grata e orgogliosa del fatto che la mia bisnonna sia stata uno dei casi preso in
esame dalla sperimentazione e personalmente, come testimonianza da nipote dopo
aver visto il filmato che riprende le sue reazioni mentre guarda il Memofilm, sono
rimasta sorprendentemente commossa dal video e dalla ricchezza delle emozioni che la
visione ha suscitato in lei ma anche in me. Vedere Alberta così serena e felice di poter
rivivere quei ricordi e quei momenti che le hanno permesso di stare bene, è tutt’oggi
che lei non c’è più, gratificante. Il filmato ha una carica emozionale talmente grande che
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è in grado di coinvolgere anche lo spettatore estraneo al vissuto dell’individuo
protagonista, permettendo di sviluppare quel legame empatico tanto importante per la
ricerca.
Come già dimostrato con i risultati ottenuti dal caso, emerge che il rapporto con il
tempo (passato e futuro) compromesso nella demenza di gradomoderato e severo, non
è un fattore irrimediabile clinicamente. Ci può sempre essere la possibilità di una
risposta se si opera con la mente aperta e con la fiducia nei nuovi approcci innovativi e
nello sviluppo delle tecnologie come strumenti al servizio di diversi ambiti.
Come afferma il regista Eugenio Melloni, “se con l’avanzamento della ricerca, avremo
un’ulteriore conferma di quanto descritto occorre dire che il cinema ha fatto un altro
miracolo.”
Per questo motivo, il Memofilm, e la ricostruzione biografica realizzata con esso, non
deve essere considerato come fine raggiunto ma quanto meno un punto di partenza.
L’intero progetto scorre su una linea interdisciplinare che tocca molte materie che ho
studiato in questi anni e il background formativo ricevuto dal suddetto corso in Scienze
della Comunicazione mi ha permesso di capire l’importanza della sua portata. Al
contrario di un tempo, oggi i mezzi e i modi per comunicare sono infiniti e facilmente
accessibili grazie all’innovazione tecnologica e le possibilità offerte da Internet.
Nonostante ciò, l’assunto fondamentale da tenere presente risiede nel fatto che ciò che
è davvero importante, non è il contenuto del messaggio trasmesso, ma lo sforzo
creativo per trovare una forma di comunicazione utile e coinvolgente, che rompa i
canoni di una tradizione che si rinnova in modo abitudinario, e sappia coinvolgere il
pubblico suscitando curiosità e benessere. Uscire dallo status quo per distinguersi è il
consiglio ricevuto il primo giorno e quello chemi sento di suggerire a ogni persona che
intenda intraprendere il mio percorso di studio.
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Bibliografia De Santis, S., 2016, “Memofilm contro l'Alzheimer, il filminodella propria vita emoziona e aiuta a ricordare. A Bologna un esperimento è oggi terapia (VIDEO)”, L’HUFFINGTON POST http://www.huffingtonpost.it/2016/02/11/memofilmbolognacontroalzheimer_n_9208272.html Gloria Gaetano, La narrazione come cura Psicologia e Psicoterapia, LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE http://www.homolaicus.com/linguaggi/narrazione.htm Grosso, L. (a cura di), 2013, MEMOFILM. La creatività contro l’Alzheimer, Mimesis Edizioni, MilanoUdine Grosso, L., 2009, “MEMOFILM Breve relazione di Luisa Grosso”, Memofilm on the web – la documentazione https://memofilmontheweb.wordpress.com/ladocumentazione/ Lorenzetti, R.; Stame, S. (a cura di), 2004, Narrazione e identità. Aspetti cognitivi e interpersonali, Editori Laterza Riva, G., 2014, Nativi digitali. Crescere e apprendere nel mondo dei nuovi media, Il Mulino, Bologna Redazione Memofilmontheweb (a cura di), 2009,“Conoscere e curare l’essere umanonella sua interezza e il Memofilm”, Memofilm on the web – la documentazione https://memofilmontheweb.wordpress.com/ladocumentazione/ Sitografia il lavoro culturale, Il Memofilm. La creatività contro l’Alzheimer, http://www.lavoroculturale.org/ilmemofilmlacreativitacontrolalzheimer/ il lavoro culturale, Nascita del Memofilm, http://www.lavoroculturale.org/intervistaaeugeniomelloni/ memofilm on the web, https://memofilmontheweb.wordpress.com/ State of Mind. Il giornale delle scienze psicologiche, http://www.stateofmind.it/tag/empatia/ Video You Tube Alberta mentre guarda il Memofilm,https://www.youtube.com/watch?v=VDbf17kjXwY&feature=youtu.be La casa è una parola grande, https://www.youtube.com/watch?v=RMD85YZ2WDQ&feature=youtu.be
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