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  • PARMENIDE

    SULLA NATURA Introduzione, traduzione, note e commento a cura di Dario Zucchello

  • PREMESSA

    Il lavoro qui proposto il risultato di anni di confronto con il

    testo e la letteratura parmenidei, sollecitato dalla discussione con

    lamico Livio Rossetti, cui sono riconoscente per stimoli, idee ed esempio, e alla cui vivacit e intelligenza dapproccio alla cultura preplatonica sono debitore di non pochi elementi di riflessione.

    Per rintracciare nel tempo le origini di questo specifico interesse

    eleatico, devo invece risalire agli anni universitari pisani, alle le-

    zioni di Giorgio Colli, nel periodo in cui i volumi della Sapienza

    greca stavano vedendo la luce presso leditore Adelphi: il primo impatto con il pensatore di Elea avvenne infatti nei riferimenti al-

    la discussione intorno alla natura della dialettica arcaica e

    allorigine della filosofia, nonch attraverso la lettura del Parme-nide platonico, proprio in occasione di un corso seguito, tra gli

    altri, anche da due affermati studiosi e recenti editori dellopera del sapiente di Elea: Angelo Tonelli e Riccardo Di Giuseppe.

    Prima dellimpegnativo lavoro di esegesi che ha richiesto una paziente frequentazione delle interpretazioni classiche e contem-

    poranee, la mia fatica (la fatica di chi non ha ricevuto

    uneducazione filologica) si concentrata sulla restituzione di un testo greco che tenesse conto dei contributi originali degli editori

    pi recenti, conservando tuttavia, a dispetto delle molte sugge-

    stioni, una coerenza complessiva. La traduzione non ha alcuna

    pretesa di conservare le qualit letterarie del verso epico, puntan-

    do piuttosto alla massima prossimit possibile ai termini e alla co-

    struzione dei versi stessi. Il mio sforzo non attende quindi ricono-

    scimenti per originalit ed efficacia nella resa del testo parmeni-

    deo: esso ha puntato piuttosto, sin dallinizio, a ricostruire la fi-

  • sionomia di unopera complessa, cercando di strapparla alle ipo-teche metafisiche da cui stata spesso condizionata la lettura.

    Ho gi avuto modo di proporre le mie idee sulla posizione del

    poema nel quadro della storia della sapienza arcaica in due saggi

    stesi in parallelo alla composizione della presente edizione: Par-

    menide e la tradizione del pensiero greco arcaico (ovvero, della

    sua eccentricit), in Il quinto secolo. Studi di filosofia antica in

    onore di Livio Rossetti, a cura di S. Giombini e F. Marcacci, A-

    guaplano, Perugia 2011; Parmenide e la , in

    Elementi eleatici, a cura di I. Pozzoni, Limina Mentis, Villasanta

    (MB) 2012. Il lettore trover nel commento ai frammenti e nella

    introduzione generale unampia difesa della lettura cosmologica del poema, ma, allo stesso tempo, attenzione per le tracce delle

    interazioni di Parmenide con la cultura del suo tempo: un campo

    dindagine che ritengo ancora del tutto aperto a nuove suggestioni.

    Nel presentare il risultato del mio lavoro mi sia concesso

    ringraziare i miei anziani genitori per il sostegno che non mi

    hanno fatto mai mancare e che ha reso possibile le mie ricerche e

    i mei studi, e Umbi e Gig per la loro pazienza. Nonostante tutto.

    A loro questa fatica dedicata.

    Dario Zucchello

    Como, febbraio 2014

  • 4

    INTRODUZIONE

    IL POEMA E IL SUO TEMA

    Secondo quanto ci attesta Diogene Laerzio (II-III secolo),

    Parmenide sarebbe autore di un'unica opera:

    [sc. ] ,

    .,

    altri Melisso, Parmenide e Anassagora [lasciarono] un unico scritto (DK 28 A13),

    un poema in esametri, cui la tradizione posteriore attribuisce la

    titolazione di :

    . ...

    ,

    Sia Melisso sia Parmenide intitolarono i loro scritti

    Sulla natura .... E certo in questi scritti trattano non solo di

    ci che oltre la natura, ma anche delle cose naturali e per questo probabilmente non disdegnarono di intitolarli Sulla

    natura (Simplicio; DK 28 A14).

  • 5

    L'indagine

    Che in effetti tale intestazione potesse risalire a Parmenide stato sostenuto da Guthrie1, sulla scorta della parodia che ne a-

    vrebbe fatto Gorgia con il suo , an-

    che se comune la convinzione che, prima dei sofisti, la designa-zione di un testo avvenisse attraverso la citazione dellincipit (che doveva risultare particolarmente incisivo), con l'indicazione del

    contenuto, preceduta dal nome dell'autore (sulla prima riga del

    testo, analogamente a quanto registriamo nel caso di Erodoto)2.

    Il trattato ippocratico Sull'antica medicina riferisce la formula

    indentificativa almeno ai testi della met del V secolo a.C.:

    Empedocle e gli altri che scrissero sulla natura

    (De prisca medicina cap. 20).

    opinione ampiamente condivisa che essa abbia funzionato, a posteriori, da etichetta per classificare una certa tipologia di scrit-

    ti, manifestandone il tema: in questa direzione possibile che, in particolare, la di Ippia abbia contribuito a fissare un cer-

    to numero di categorie storiografiche tradizionali, tra cui appunto

    la nozione unificante di , la denominazione , il

    termine generico 3. Si tratta, infatti, di uno dei primi4

    sforzi "dossografici", un'opera (molto utilizzata da Platone e Ari-

    stotele) intesa a selezionare, raccogliere, mettere in relazione e

    commentare gli enunciati trovati in ogni genere testuale (poetico e

    1 W.K.C. Guthrie, The Sophists, C.U.P., Cambridge 1971, p. 194. 2 G. Naddaf, The Greek Concept of Nature, SUNY Press, New York 2005, p. 16;

    W. Leszl, Parmenide e lEleatismo, Dispensa per il corso di Storia della filosofia antica, Universit degli Studi di Pisa, Pisa 1994, p. 12.

    3 J.-F. Balaud, Hippias le passeur, in La costruzione del discorso filosofico

    nellet dei Presocratici, a cura di M.M. Sassi, Edizioni della Normale, Pisa 2006, p. 296.

    4 Gorgia ne avrebbe portato avanti uno analogo, ma connotato pi in senso critico, per sottolineare gli insolubili contrasti tra filosofie. Gorgia avrebbe

    influenzato direttamente Isocrate, Platone e lo stesso Aristotele.

  • 6

    in prosa), di ogni epoca, per coglierne convergenze e stabilire li-

    nee di continuit5.

    In ogni caso, al di l della discussione sull'attendibilit storica di quel titolo per le opere del V secolo a.C., non contestato il fatto che tra V e IV secolo a.C. fosse individuabile un gruppo di

    autori , impegnato, in altre parole, in ricerche sulla na-

    tura delle cose: sebbene risulti problematico accertare se coloro

    che chiamiamo filosofi presocratici fossero consapevoli di con-tribuire a una specifica impresa culturale (sottolineandola nell'in-

    testazione o incipit dei propri contributi), tuttavia difficile nega-re che, almeno tra i contemporanei di Platone, si fosse diffusa la

    convinzione dell'esistenza di una tradizione di ricerca sulla natura

    (), iniziata con Talete e conclusasi con Socrate6.

    L'espressione

    A quali contenuti ci si intendeva riferire con l'etichetta

    ? Quale significato da attribuire a tale espressione? Se-condo Naddaf7, che al problema ha dedicato un'ampia indagine,

    con si doveva intendere una storia dell'univer-

    so, dalle origini alla presente condizione: una storia che abbrac-

    ciava nel suo insieme lo sviluppo del mondo (naturale e umano),

    dall'inizio alla fine.

    In effetti, origini e sviluppo sono etimologicamente implicati

    in : nella forma attiva-transitiva , il radicale del sostanti-

    vo significa crescere, produrre, generare; in quella medio-

    passiva-intransitiva , invece, crescere, originare, nascere.

    La prima occorrenza del termine , nel libro X dell'Odissea

    (303), si registra nell'ambito delle istruzioni (da parte di Hermes

    all'eroe) per la preparazione di una pozione efficace (

    5 Balaud, op. cit., p. 291. 6 W. Leszl, Aristoteles on the Unity of Presocratic Philosophy. A Contribution to

    the Reconstruction of the Early Retrospective View of Presocratic Philoso-phy, in La costruzione del discorso filosofico nellet dei Presocratici, cit., p. 357.

    7 Op. cit., pp. 28-29.

  • 7

    ) contro gli effetti delle pozioni velenose ( ) di Circe: Odisseo racconta come Hermes, estratta dalla ter-

    ra ( ) una pianta medicamentosa (), ne illustras-

    se la natura ( ). Per un verso, in quel

    contesto, pu apparire immediatamente sinonimo di , , , termini (ricorrenti in Omero) indicanti la forma: per altro evidente, tuttavia, che quanto Hermes rivela non riguar-

    da semplicemente l'aspetto esteriore, identificativo della pianta,

    piuttosto le sue effettive qualit e la costituzione interna da cui esse discendono. In particolare Hermes si riferisce alla radice, ne-

    ra, da cui cresce il fiore dal colore opposto, bianco: utilizza il ter-

    mine, quindi, per denotare non tanto la forma fenomenica, n propriamente quella che potremmo anacronisticamente definire

    l'essenza della pianta, quanto la sua origine (la radice), differente

    da quel che appare (il fiore, che ne comunque sviluppo). In questo senso il termine occorre nelle pi antiche cita-

    zioni della sapienza greca:

    ,

    ,

    .

    ,

    Di questo logos che sempre gli uomini si rivelano senza comprensione, sia prima di udirlo, sia subito dopo

    averlo udito; sebbene tutto infatti accada secondo questo

    logos, si mostrano privi di esperienza, mentre si misurano

    con parole e azioni quali quelle che io presento,

    analizzando ogni cosa secondo natura e mostrando come

    . Ma agli altri uomini rimane celato [sfugge] quello che

    fanno da svegli [dopo essersi destati], cos come sono dimentichi di quello che fanno dormendo (Sesto Empirico;

    DK 22 B1)

  • 8

    la natura, secondo Eraclito, ama [ solita] nascondersi (Temistio; DK 22 B123).

    Sebbene nell'incipit dello scritto di Eraclito l'espressione

    sia per lo pi resa dagli interpreti moderni intendendo come natura, essenza, incrociando i due frammenti eraclitei inevitabile pensare al passo omerico sull'erba moly: l'origine che si cela dietro il fenomeno8. In questa accezione la se-condo l'Efesio ama nascondersi. Kahn9 ha marcato, invece, come la formula del frammento B1 di Eraclito attesti gi un uso "tecnico" del termine nel linguaggio contemporaneo, per designa-

    re il carattere essenziale di una cosa, unitamente al processo da cui scaturirebbe: la comprensione della natura di una cosa pas-serebbe attraverso la ricostruzione del suo processo di sviluppo.

    Analogamente Naddaf valorizza la dimensione dinamica implicita

    in : la costituzione reale di una cosa cos come si realizza dall'inizio alla fine con tutte le sue propriet10.

    Il modello nella tradizione medica

    Se ora torniamo al trattato ippocratico sull'Antica medicina, da

    cui abbiamo tratto conferma dell'esistenza (almeno alla met di V secolo a.C.) di una produzione a posteriori classificata come

    , possiamo evincere dal contesto alcuni elementi del model-

    lo:

    .

    ,

    8 M.L. Gemelli Marciano, Lire du dbut. Quelques observations sur les incipit

    des prsocratiques, Philosophie Antique, 7, 2007 (Prsocratiques), pp.

    16-17. 9 Ch.H. Kahn, Anaximander and The Origins of Greek Cosmology, Hackett Pub-

    lishing Company, Indianapolis 1994 (edizione originale 1960), pp. 201-202. 10 Naddaf, op. cit., p. 15.

  • 9

    ,

    .

    ,

    ,

    .

    .

    Alcuni medici e sapienti [sofisti] sostengono che

    nessuno possa conoscere la medica a meno di

    non sapere che cosa sia l'uomo, ma che ci debba conoscere colui che intenda curare correttamente gli

    uomini. Il loro discorso verte dunque sulla filosofia,

    proprio come nel caso di Empedocle o degli altri che

    scrissero sulla natura: che cosa sia dal principio l'uomo,

    come sia stato dapprima generato e come costituito. Io

    ritengo che quanto stato scritto da medici e filosofi sulla natura abbia pi a che fare con il disegno che con la medicina. Ritengo che in nessun altro modo si possa

    conoscere qualcosa di chiaro sulla natura se non attraverso

    la medicina (De prisca medicina cap. 20).

    L'autore, evidentemente polemico, marca in effetti lo scarto tra

    indagine medica e indagine : nell'apertura dell'opera

    aveva contrapposto all'approccio di coloro che ricorrevano a po-

    stulazioni e ipotesi () cio speculazioni - per l'indagi-ne dei fenomeni celesti e terrestri (

    ), il principio e il metodo ( ) della medicina, in al-

    tre parole le scoperte ( ) avvenute nel corso del tem-po e l'osservazione11. Per avere un'idea pi precisa dell'imposta-zione alternativa che egli andava criticando, possiamo leggere un

    altro trattato ippocratico il De carnibus il cui estensore sotto-linea di prendere le mosse da convinzioni condivise (

    ):

    ,

    ,

    , , ,

    11 Naddaf, op. cit., pp. 24-25.

  • 10

    ,

    , .

    Non devo parlare di questioni celesti se non per quanto

    necessario a mostrare, rispetto all'uomo e a tutti gli altri

    viventi, come si sono generati e sviluppati, che cosa sia

    l'anima, che cosa la salute e la malattia, che cosa sia cattivo

    e buono nell'uomo, e perch muoia (De carnibus 1).

    Il passo rivela quelle che dovevano essere le comuni assunzio-

    ni (le contro cui polemizza l'Antica medicina) nella tra-

    dizione della : lo schema adottato infatti il seguente: (i) originaria caoticit e indistinzione di tutte le cose; (ii) processo di discriminazione degli elementi (etere, aria, terra);

    (iii) formazione dei corpi. Centrale risulta il parallelo tra forma-

    zione dei viventi e formazione del cosmo che deve aver effetti-

    vamente costituito un asse portante nella cultura arcaica, sin dalla

    produzione teogonica. Ci risulta confermato dall'autore anonimo del De diaeta:

    ,

    ,

    ,

    Affermo che colui che intenda scrivere correttamente

    sul regime di vita dell'uomo deve prima conoscere e

    riconoscere la natura di tutto l'uomo: conoscere allora da

    quali cose composto dal principio, riconoscere da quali

    parti governato. Se non conosce infatti quella compo-

    sizione originaria, sar incapace di conoscere quanto da

    essa generato; se poi non conosce quel che prevale nel

    corpo, non sar in grado di prescrivere all'uomo il

    trattamento adeguato (De diaeta I, 2)

    Conoscere la natura di tutto l'uomo ( ) condizione del corretto intervento medico: ci implica eviden-

  • 11

    temente conoscere (i) quanto costituisce originariamente l'uomo

    ( ), per rintracciarne e riconoscerne

    gli effetti ( ), e (ii) le componenti che lo

    governano ( ). Conoscere la natura

    comporta, insomma, risalire alla composizione originaria e al

    successivo processo. Significativamente questa riduzione al prin-

    cipio riconduce tutte le cose a due elementi originari, fuoco e acqua:

    , ,

    ,

    I viventi e tutte le altre cose e anche l'uomo sono

    composti da due elementi, l'uno ha il potere di

    differenziare, l'altro il temperamento che combina:

    intendo il fuoco e l'acqua (De diaeta I, 3)

    L'analogia tra formazione biologica dell'individuo umano (nel

    senso dell'odierna embriologia) e processi di strutturazione dell'u-

    niverso (cosmogonia), un dato riscontrato anche nelle testimo-nianze relative ad Anassimandro e autori pitagorici, oltre che nei

    precedenti mitici 12: l'antropologia non poteva prescindere dalla

    antropogonia, come la cosmologia dalla cosmogonia.

    Altre tracce antiche del modello

    Se queste indicazioni - ricavate dalla letteratura scientifica ri-

    salente plausibilmente al V-IV secolo a.C. consentono di farsi un'idea circa la ricezione antica della e dunque

    dell'argomento cui i pensatori arcaici avevano dedicato le loro o-

    pere, alle origini della letteratura filosofica, prima che il modello

    si affermasse e consolidasse definitivamente nella narrazione pe-

    ripatetica, un primo abbozzo ne era stato tracciato in un celebre

    passo del Fedone platonico:

    12 Naddaf, op. cit., pp. 22-23.

  • 12

    , , ,

    ,

    ,

    Io, Cebete, da giovane ero straordinariamente

    affascinato da quella sapienza che chiamano indagine

    sulla natura. Mi sembrava fosse magnifico conoscere le

    cause di ogni cosa, perch ogni cosa si generi, perch si corrompa e perch esista (96a).

    Il filosofo racconta la storia della fascinazione esercitata (non

    chiaro se effettivamente sul protagonista Socrate o sullo stesso autore) da una forma di sapere evidentemente gi riconoscibile e dunque assestato, come rivela la formula impiegata (che chia-

    mano, ) - in grado di rispondere agli interrogativi

    sulla generazione e corruzione, e cos di dar ragione dell'esistenza di ciascuna cosa. Anticipando lo schema del primo libro della Me-

    tafisica aristotelica, Platone disegna una storia della sapienza in-

    centrata sull'efficacia della esplicazione causale, nella quale in-

    tende marcare la svolta radicale rappresentata dalla propria se-

    conda navigazione ( ): il filosofo non discute la ne-cessit di ricondurre le cose alla loro ragion dessere; contesta in-vece la riduzione limitata allorizzonte delle cause fisiche, per Platone insufficienti a dar adeguatamente conto del perch della

    disposizione del tutto. probabile che, pur attingendo a raccolte dossografiche organizzate in ambito sofistico, egli ne adottasse il

    materiale in modo creativo, allo scopo di giustificare e valorizzare

    una prospettiva filosofica peculiare13.

    Un'ulteriore attestazione dell'originaria accezione dell'espres-

    sione ritroviamo, tra i contemporanei di Plato-

    ne, nel riscontro accidentale di un non-specialista come Senofon-

    te:

    13 M. Adomenas, Plato, Presocratics and the Question of Intellectual Genre, in

    La costruzione del discorso filosofico nellet dei Presocratici, cit., p. 344.

  • 13

    .

    ,

    ,

    Ma nessuno mai vide o sent Socrate fare o dire alcunch di irreligioso o empio. Egli infatti non si interessava della natura di tutte le cose, alla maniera della

    maggior parte degli altri, indagando come fatto ci che i sapienti chiamano "cosmo" e per quali necessit si produca ciascuno dei fenomeni celesti (Senofonte,

    Memorabili I, 1, 11).

    Non solo appare assodata - a livello di opinione diffusa - (i) la

    sostanziale equivalenza tra sapienza e ricerca sulla natura di tutte

    le cose ( ), ma anche (ii) la funzionali-t di cosmogonia e cosmologia ( [...] ), e ulterior-

    mente (iii) l'attenzione per la spiegazione di fenomeni specifici

    ( [...] ).

    Una "istantanea" che aiuta a fissare, dall'esterno, i caratteri del

    naturalismo presocratico infine costituita dal frammento dellAntiope di Euripide (fr. 910 Nauck)14:

    ,

    ,

    ,

    .

    14 A. Laks, Philosophes Prsocratiques. Remarque sur la construction dune

    catgorie de lhistoriographie philosophique, in A. Laks et C. Louguet (ds), Quest-ce que la Philosophie Prsocratique? What is Presocratic Phi-losophy?, Presses Universitaires du Septentrion, Villeneuve dAscq (Nord) 2002, p. 20.

  • 14

    Beato colui che alla ricerca ha dedicato la sua vita;

    egli n i suoi concittadini dannegger n contro di loro compir atti malvagi, ma, osservando della immortale natura

    l'ordine che non invecchia, ricercher

    da quale origine fu composto e in che modo.

    Tali individui non saranno mai coinvolti in atti turpi.

    In questo caso, addirittura, abbiamo il privilegio di veder sot-

    tolineato dal poeta il nesso tra contemplazione ()

    dell'ordine che non invecchia ( ) della natura immortale ( ) e ricostruzione delle sue modalit di formazione. A dispetto degli aggettivi coinvolti - e

    (di uso omerico ed esiodeo) evidentemente il og-getto d'attenzione l'ordinamento attuale dei fenomeni perce-pito come il risultato di un processo di composizione (

    ), e il suo studio non pu prescindere dall'indagine (speculativa) sulle sue tappe.

    Il modello peripatetico

    Della la storiografia peripatetica ha certa-mente fissato il canone interpretativo che ha pesato su tutta la tra-

    dizione: nella ricostruzione aristotelica delle origini della filosofi-

    a, infatti, si attribuisce alla maggioranza di coloro che per primi

    filosofarono ( ) la con-vinzione che principi di tutte le cose ( ) fossero solo quelli nella forma di materia ( ), cos argomentando:

    ,

    ,

    ,

    ,

  • 15

    ci da cui, infatti, tutte le cose derivano il loro essere, e ci da cui dapprima si generano e verso cui infine si corrompono, permanendo per un verso la sostanza, per

    altro invece mutando nelle affezioni, questo sostengono

    essere elemento e questo principio delle cose, e per questo

    credono che n si generi n si distrugga alcunch, dal momento che una tale natura si conserva sempre.

    (Metafisica I, 3 983 b8-13)

    Nella lettura di Aristotele, la specificit del contributo dei primi filosofi risiederebbe nella riduzione degli enti ( ) soggetti a divenire alla stabilit della soggiacente, ov-vero, come lo stesso Aristotele precisa:

    ,

    come affermano coloro che sostengono che il tutto

    [l'universo] una certa, unica natura, quale l'acqua o il fuoco o qualcosa di intermedio (Fisica I, 6 189 b2),

    all'unit di una sostanza materiale originaria, elemento () e principio () delle cose ( ). Il quadro si definisce ulteriormente nella ricostruzione che Teofrasto propone

    delle origini in Anassimandro:

    [A.] [...] , .

    , ,

    [B 1],

    .

    ,

    ,

  • 16

    . [...]

    Anassimandro [...] afferm linfinito principio e elemento delle cose che sono, adottando per primo questo

    nome di principio. Egli sostiene, infatti, che esso non sia n acqua n alcun altro di quelli che sono detti elementi, ma che sia una certa altra natura infinita, da cui originano

    tutti i cieli e i mondi in essi: secondo necessit che verso le stesse cose, da cui le cose che sono hanno origine,

    avvenga anche la loro distruzione; esse, infatti, pagano la

    pena e reciprocamente il riscatto della colpa, secondo

    lordine del tempo [B1]. Cos si esprime in termini molto poetici. evidente allora che, avendo considerato la reciproca trasformazione dei quattro elementi, non ritenne

    adeguato porre alcuno di essi come sostrato, preferendo

    piuttosto qualcosaltro al di l di essi. Egli poi non fa discendere la generazione dalla alterazione dellelemento, ma dalla separazione dei contrari, a causa del movimento

    eterno [...] (Simplicio; DK 12 A9).

    Senza scendere nel dettaglio dell'analisi, la testimonianza e la

    citazione lasciano intravedere chiaramente alcuni punti su cui si

    sarebbe concentrata l'indagine del Milesio:

    (i) l'individuazione di un principio-origine delle cose (

    ) sottoposte a generazione () e corruzione ();

    (ii) la formazione nel linguaggio peripatetico della testimo-nianza - degli elementi (), costitutivi materiali da cui ( , dalle quali cose) le cose hanno la loro generazione, e verso

    cui ( , verso quelle stesse cose) si produce () la

    loro corruzione;

    (iii) le modalit del processo dalla natura originaria, attraverso gli elementi, agli enti: secondo necessit ( ), se-condo lordine del tempo ( );

    (iv) il perch, la causa del processo: il costante e compensativo

    confronto conflittuale tra i contrari (

    ).

    Le osservazioni di Teofrasto documentano quindi, agli albori

    dell'indagine , un'attenzione che non si esaurisce nella

    determinazione della materia originaria (secondo l'interpretazione

  • 17

    di Burnet15), ma si rivolge almeno anche ai processi di formazione

    delle cose che sono (come pensava Jaeger, accostando e 16 ). Complessivamente ci doveva conferire alla ricerca quella caratteristica impronta speculativa da cui l'autore dell'Anti-

    ca medicina prendeva le distanze.

    Che l'interesse non dovesse comunque risolversi in una mera

    dimensione archeologica e abbracciare invece anche i risultati dei

    processi, e dunque l'ordinamento dei fenomeni, suggerito da va-rie fonti. Aristotele, per esempio, marca in modo sufficientemente

    netto il focus cosmologico:

    , ,

    , ,

    ,

    , ,

    , , .

    .

    Gli antichi, che per primi filosofarono intorno alla

    natura, indagarono, circa il principio materiale e la causa

    siffatta, che cosa e quale fosse, e in che modo da questa si

    generasse l'intero, e da che cosa il

    movimento, ad esempio dall'odio o dall'amore, o

    dall'intelletto, o dal caso, poich la materia sostrato ha una certa siffatta natura per necessit, ad esempio calda quella

    del fuoco, fredda quella della terra, una leggera, l'altra

    pesante; in questo modo, infatti

    generano anche il cosmo. (Aristotele, Le parti degli

    animali, 640 b4-12. Traduzione di A. Carbone, BUR

    Rizzoli, Milano 2002).

    La ricerca degli antichi primi filosofi ( ) sarebbe stata variamente modulata in-

    torno a:

    15 J. Burnet, Early Greek Philosophy, Black, London 19203, pp. 11-12. 16 W. Jaeger, La teologia dei primi pensatori greci, La Nuova Italia, Firenze

    1961, p. 32.

  • 18

    (i) natura e propriet del principio materiale ( );

    (ii) individuazione della causa del movimento (

    );

    (iii) modalit di generazione dell'intero ( ) ovvero del cosmo ( ).

    Parmenide e la

    Tornando ora alla titolazione del Poema parmenideo, le testi-

    monianze di coloro che hanno contribuito a trasmetterne citazioni

    sopra tutti Sesto Empirico e Simplicio (il secondo molto proba-bilmente disponeva di copia dell'opera, il primo plausibilmente) sono univoche nell'attribuirgli l'intestazione . Abbia-

    mo gi letto le affermazioni di Simplicio (

    .), in linea con quelle

    di Sesto:

    [...]

    Il discepolo di lui (= Senofane), Parmenide [...]

    iniziando appunto il Peri physes scrive in questo modo [] (Adv. Math. VII, 111).

    Si tratta ora di capire entro quali schemi avvenisse la ricezione

    dell'opera e del pensiero di Parmenide nella tradizione

    .

    Parmenide nella

    Prescindendo dagli inquadramenti della produzione per noi

    frammentaria di Gorgia e Ippia, alla collocazione e al ruolo di

    Parmenide nel quadro della sapienza antica pens per primo Pla-tone. Delineando in un lungo passo del Sofista (242 b6-251 a4),

    che costituisce indubbiamente l'antecedente diretto della disamina

  • 19

    dossografica aristotelica, il panorama delle teorie dellessere, egli introduce di fatto alcune categorie destinate a grande fortuna sto-

    riografica: l'occasione fornita proprio da un rilievo su Parmeni-de:

    Mi sembra che con leggerezza si siano rivolti a noi

    Parmenide e tutti coloro che a un certo punto si sono

    impegnati a determinare gli enti: quanti e quali enti

    esistano (242 c4-6).

    Lopposizione tra pensatori pluralisti e unitari, e la battaglia di giganti () tra coloro che riducono tutto a corpo ( ) e coloro che, al contrario, pongono l'essere

    () nelle idee ( ), sono fatte scaturire proprio dai problemi ( , quanti e quali enti esistano)

    sollevati (anche) dal Poema. L'ottica "ontologica" adottata non

    pu nascondere, nel contesto, il riferimento all'indagine

    , e, in particolare, l'equivalenza tra e 17:

    , ,

    ,

    ,

    ,

    Mi sembra che ognuno racconti una storia, come

    fossimo bambini: l'uno [racconta] che gli esseri sono tre,

    alcuni di essi talvolta sono in qualche modo in lotta

    reciproca, talvolta al contrario, diventano amici, si

    sposano, fanno figli e procurano nutrimento alla progenie;

    un altro, invece, sostiene che [gli esseri] sono due - umido

    17 Su questo punto N.L. Cordero nel suo commento a Platon, Le Sophiste,

    traduction et presentation par N.L. Cordero, Flammarion, Paris 1993, p. 240;

    J. Palmer, Plato's Reception of Parmenides, Clarendon Press, Oxford 1999,

    p. 190.

  • 20

    e secco ovvero caldo e freddo -, li fa convivere e li unisce

    in matrimonio (242 c8-d4).

    appunto all'interno di questo ampio disegno di ricostruzione della tradizione di pensiero precedente che Platone fa della stirpe

    eleatica ( )18 il prototipo del monismo. chiaro nel contesto come esso sia, tuttavia, da intendere non ingenua-

    mente - non come se esistesse una sola cosa -, ma in riferimento

    alla discussione sulla realt fondamentale: alcuni pongono tre principi, altri due, gli Eleati uno solo:

    ,

    ,

    da noi la stirpe eleatica - che ha avuto inizio da

    Senofane e anche prima riferisce le proprie storie secondo cui ci che chiamato "tutto" [tutte le cose] non che un solo essere (Sofista 242 d5-6).

    Nell'intenzione di Platone, ricondurre l'eleatismo a Senofane

    era probabilmente funzionale alla sua collocazione entro un dibat-

    tito culturalmente definito19: nella prospettiva di questa ricerca, in

    particolare, risulta significativa la scelta di non isolare il contribu-

    to di Parmenide dallo sfondo d'indagine sui principi (

    ).

    In termini analoghi il Parmenide (180a) delinea le posizioni di

    Parmenide e Zenone:

    ,

    ,

    . ,

    18 probabile che la genealogia sfumata del gruppo eleatico (

    ) fosse motivata dall'intenzione di accentuare la "profondit" (l'antichit) della dottrina di Parmenide in direzione delle origini. Su questo il commento di F. Fronterotta in Platone, Sofista, a cura di

    F. Fronterotta, BUR Rizzoli, Milano 2007, p. 341-342. 19 Palmer, op. cit., pp. 191-192.

  • 21

    ,

    Tu [Parmenide], infatti, nel tuo poema affermi che il

    tutto [l'universo] uno, e porti prove di ci in modo brillante ed efficace; questi [Zenone], invece, sostiene che

    i molti non esistono, e anche lui porta prove molto

    numerose e consistenti. Il primo dice quindi che esiste

    l'uno, l'altro che i molti non esistono: cos ciascuno parla in modo che sembri che non sosteniate alcunch di simile, mentre in realt affermate le stesse cose,

    mentre il Teeteto (180e) sottolinea la continuit tra Parmenide e Melisso:

    ,

    e le altre [dottrine] che i vari Melissi e Parmenidi

    propongono con convinzione, opponendosi a tutti costoro

    [i sostenitori della dottrina del flusso universale], secondo

    cui tutte le cose sono uno e questo rimane stabile in se

    stesso, non avendo luogo in cui muoversi.

    Ci che questi passi confermano almeno nellelaborazione della maturit di Platone20 - la riduzione della dottrina eleatica al-la formula (ovvero ), con unimplicita valenza cosmologica che si affaccia, oltre che in Parmenide (180a), nel

    Sofista (244e):

    , ,

    ,

    ,

    20 Sulle fasi della ricezione platonica di Parmenide oggi fondamentale J.

    Palmer, Plato's Reception of Parmenides, cit..

  • 22

    ,

    Se allora un intero, come sostiene anche Parmenide:

    da tutte le parti simile a massa di ben rotonda palla,

    a partire dal centro ovunque di ugual consistenza:

    necessario infatti che esso non sia in qualche misura di

    pi,

    o in qualche misura di meno, da una parte o

    dallaltra,

    essendo tale ci che avr un centro e dei limiti estremi, e, avendoli, necessariamente avr parti,

    e che il Timeo sembra esplicitare21, riferendo l'opera di produ-

    zione del cosmo da parte del demiurgo:

    .

    ,

    , ,

    ,

    .

    .

    ,

    , ,

    ,

    ,

    .

    - -

    E gli diede una figura a s congeniale e congenere. Ma la figura congeniale al vivente che doveva contenere in s

    21 Secondo le indicazioni di Palmer (op. cit., pp. 193 ss.) sulla concentrazione di

    termini parmenidei nel dialogo.

  • 23

    tutti i viventi non poteva essere che quella che

    comprendesse in s tutte le figure possibili; per cui, lo torn come una sfera, in una forma circolare in ogni parte ugualmente distante dal centro alle estremit, che la pi perfetta di tutte le figure e la pi simile a se stessa, giudicando il simile assai pi bello del dissimile. E ne rese perfettamente liscio l'intero contorno esterno per molte

    ragioni. Infatti, non aveva bisogno di occhi, perch nulla era rimasto da vedere all'esterno, n di orecchie, perch nulla era rimasto da sentire; n vi era intorno aria, che dovesse essere respirata, n aveva bisogno di un organo per ricevere in s il nutrimento o per eliminarlo in seguito, dopo averlo assimilato. Nulla, del resto, poteva da esso

    separarsi e nulla a esso aggiungersi da nessuna parte,

    perch nulla vi era al di fuori; infatti, stato prodotto in modo da offrire a se stesso, come nutrimento, la propria

    corruzione e da avere in s e da s ogni azione e ogni passione (33 b-c)

    22.

    Indizi lessicali che invitano a supporre che Platone vedesse

    nell'Essere di Parmenide una sorta di entit cosmica23, nell'inter-pretazione platonica modellata secondo il precedente della divini-

    t cosmica di Senofane24. Come ha prospettato Brisson25, la stessa discussione del Parmenide potrebbe essere imperniata sull'alter-

    nativa:

    (a) tutte le cose (l'universo) costituiscono una realt unica ( ) come sarebbe stato affermato da Parmenide; la molteplicit degli enti solo apparente, dal momento che la loro pluralit reale condurrebbe a paradossi: in questo senso i molti non esistono ( ) - secondo quanto argomentato da Zenone;

    22 Platone, Timeo, introduzione, traduzione e note di F. Fronterotta, BUR

    Rizzoli, Milano 2003. 23 E. Passa, Parmenide. Tradizione del testo e questioni di lingua, Edizioni

    Quasar, Roma 2009, p. 24. 24 Su questo punto Palmer, op. cit., pp. 193 ss.. 25 L. Brisson, Introduction a Platon, Parmnide, prsentation et traduction par L.

    Brisson, Flammarion, Paris 1994, pp. 20-21.

  • 24

    (b) esistono realmente molteplici realt sensibili, esse sono componenti dell'universo a loro volta costituite da componenti e-

    lementari26.

    Eccentricit di Parmenide nella

    Nel terzo capitolo del primo libro della Metafisica, Aristotele,

    riprende uno schema platonico, contrapponendo coloro [...] che

    sostennero che uno solo il sostrato ( [...]

    ) a coloro che ammettono pi principi ( ), ribadendone poi (nel quinto capitolo) le implica-

    zioni cosmologiche, in conclusione della discussione sui Pitagori-

    ci:

    ,

    .

    Da queste cose possibile intendere a sufficienza il pensiero degli antichi che sostenevano la pluralit di elementi della natura. Ci sono poi coloro che parlarono del

    tutto [dell'universo] come di un'unica natura, ma non tutti

    allo stesso modo, n per convenienza n per conformit alla natura (986 b8-12).

    Evidentemente in relazione a Parmenide e ai suoi seguaci, Ari-

    stotele osserva:

    (

    ,

    ,

    26 Ivi, p. 21.

  • 25

    , )

    .

    Una discussione intorno a costoro esula dallesame attuale delle cause: essi, infatti, non parlano come alcuni

    dei naturalisti, i quali, posto lessere come uno, fanno comunque nascere [le cose] dalluno come da materia; essi parlano, invece, in altro modo. Mentre quelli, in

    effetti, aggiungono il movimento, facendo nascere il tutto

    [luniverso], questi, al contrario, sostengono che [il tutto] sia immobile. Almeno quanto [segue], tuttavia, appropriato alla presente ricerca (986 b12-18).

    Nell'ambito di una indagine sulle cause e sui principi primi, il

    confronto con le dottrine eleatiche non avrebbe dovuto trovare

    spazio: in questo senso marcata una radicale differenza rispetto alla ricerca dei naturalisti ( ). Essendosi e-spressi sull'universo [sul tutto] come fosse un'unica natura [real-

    t] ( ), immobile () e immutabile, gli Eleati, in effetti, lo avevano pensato incausato27.

    In De Caelo si sottolinea ulteriormente la peculiare posizione di

    Parmenide e Melisso:

    .

    , ,

    , , ,

    .

    ,

    , ,

    27 Perplessit analoghe sono espresse e discusse da Aristotele nei primi capitoli

    della Fisica (I, 2 e 3).

  • 26

    Coloro dunque che dapprima filosofarono intorno alla

    verit sono stati in disaccordo sia rispetto ai discorsi che noi proponiamo, sia reciprocamente.

    Gli uni, infatti, eliminarono completamente

    generazione e corruzione: sostengono in vero che nessuna

    delle cose che sono si generi o si corrompa, ma

    semplicemente che ci sembra a noi. Cos i seguaci di Melisso e Parmenide, i quali, anche se si esprimono

    adeguatamente sulle altre cose, tuttavia non si deve

    credere che parlino da un punto di vista fisico, dal

    momento che l'essere alcuni degli enti ingenerati e

    completamente immobili proprio piuttosto di un'indagine diversa e prima rispetto a quella fisica.

    Costoro, invece, da un lato non ritenevano esistesse altro

    oltre la sostanza dei sensibili, dall'altro per primi

    pensarono delle nature di tale specie, se doveva esserci

    una qualche forma di conoscenza o intelligenza: cos trasferirono su questi enti [sensibili] i ragionamenti riferiti

    a quell'ambito(Aristotele, De Caelo III, 1 298 b12-24).

    Alludendo esplicitamente a Melisso e Parmenide, Aristotele ne

    disloca il contributo rispetto a una ricerca incardinata sulla rico-

    struzione dei processi di generazione e corruzione ( ): considerare gli enti ingenerati () e completa-mente immobili ( ) proprio di un'indagine diversa e prima rispetto a quella fisica ( ).

    Eppure l'analisi della Metafisica rivela come, secondo Aristo-

    tele, leleatismo presentasse al proprio interno incrinature e frattu-re che l'appiattimento operato dalla dossografia sofistica doveva

    aver coperto o trascurato28. Nel primo libro (, 3 984 a27-b4) dopo aver discusso l'opinione circa la natura ( ) dei pensatori orientati a ricercare la causa prima (

    ) in ambito materiale (di cui Talete sarebbe stato i-

    28 J. Palmer, Parmenides & Presocratic Philosophy, OUP, Oxford 2009, p. 35

    giustamente sottolinea come i raggruppamenti operati da Gorgia nel suo Sulla natura o sul non essere avessero incoraggiato l'assimilazione

    "riduttiva" di Parmenide e Melisso. Aristotele avrebbe avuto il merito di

    recuperare le differenze tra le relative posizioni.

  • 27

    niziatore, ) lo Stagirita marca una discontinuit nel contributo di Parmenide, capace di individuare la causa specifica

    del mutamento ( ):

    ,

    , ,

    (

    )

    .

    ,

    Coloro, dunque, che fin dallinizio aderirono completamente a tale tipologia di ricerca e sostennero che

    uno solo il sostrato, non si resero conto di questa difficolt, ma alcuni di coloro che affermano tale unicit,

    quasi sopraffatti da questa ricerca, sostengono che luno immobile e che lo anche la natura nel suo complesso, non solo rispetto a generazione e corruzione - questa ,

    infatti, [convinzione] antica, su cui tutti concordavano -,

    ma anche rispetto a ogni altro genere di mutamento.

    Questa loro peculiarit. A nessuno, pertanto, di coloro che affermarono che il tutto [luniverso] uno capitato di scoprire tale tipologia di causa, tranne, forse, a

    Parmenide, e a costui nella misura in cui pone non solo

    luno, ma anche che le cause sono in un certo modo due.

    significativo che, illustrando queste affermazioni di Aristo-tele nel proprio commento (in Metaphys. , 3 984 b3), Alessandro di Afrodisia citi Teofrasto:

    . (

    [] ) .

    ,

  • 28

    ,

    ,

    , ,

    .

    Venuto dopo costui (si riferisce a Senofane),

    Parmenide - figlio di Pyres, da Elea - percorse entrambe le

    strade. Dichiara infatti che il tutto eterno, e cerca anche di spiegare la generazione degli enti, pur non affrontando

    entrambe allo stesso modo: piuttosto sostenendo, secondo

    verit, che il tutto uno e ingenerato e di aspetto sferico; ponendo invece, secondo lopinione dei molti allo scopo di spiegare la generazione dei fenomeni [delle cose che

    appaiono] - che i principi siano due, fuoco e terra, l'una

    come materia, l'altro come causa e agente (DK 28 A7).

    Condizionata dalla stessa ricezione schematica, in entrambi i

    casi la valutazione del contributo di Parmenide chiaramente o-rientata dalla prospettiva della : non solo per

    l'attenzione alla natura nel suo complesso ( ), al tutto uno ( ), ma soprattutto per l'evidenza della ricer-ca dell'altro principio ( ), cio del prin-cipio del movimento ( ), per spiegare la pro-duzione dei fenomeni ( ). In questo senso Teofrasto poteva proporre Parmenide al centro di

    una delle due serie di pensatori affrontati sistematicamente: quella

    che collegava i primi a rivelare ai Greci lindagine intorno alla natura ( )29 agli ato-misti30.

    29 G. Colli, La sapienza greca, Vol. II, Milano 1978, Adelphi, p. 247. Teofrasto,

    in effetti, prospetta Parmenide discepolo di Senofane - come riferiscono

    Diogene Laerzio (IX, 21, DK 28 A1), e i commentatori aristotelici

    Alessandro e Simplicio (DK 28 A7) - e di Anassimandro (secondo quanto

    attesta sempre Diogene Laerzio), associandolo poi a Empedocle - ammiratore () e imitatore () di Parmenide (DK 28 A9) - e Leucippo - unito a Parmenide nella filosofia ( , DK 28 A8).

  • 29

    Per quanto possa apparire inverosimile da un punto di vista

    cronologico, laccostamento ad Anassimandro non tuttavia sor-prendente31 e rivela il modus operandi di Teofrasto nelle sue rico-

    struzioni: egli insegue le tracce di problemi che sarebbero giunti

    ad adeguata formulazione solo successivamente, cogliendone lo

    sviluppo attraverso la connessione tra le principali personalit (per altro allinterno di rigide categorie aristoteliche)32. In questa prospettiva, allora, Parmenide, come abbiamo sopra registrato,

    avrebbe compiuto quanto da Anassimandro solo impostato: non si

    sarebbe limitato a mantenere la prospettiva del divenire distinta

    da quella del sostrato materiale, ma ne avrebbe anche individuato

    chiaramente i principi diversi33.

    Un secondo elemento di discontinuit all'interno dell'eleatismo da Aristotele individuato nella concezione dell'unit dell'univer-so ( ), di cui si sottolineano le

    ricadute interessanti anche sull'indagine in corso intorno alle

    cause ( ). Parmenide, infatti, avrebbe

    inteso luno secondo la nozione [forma] ( ), ovve-

    ro come unit finita (essendo la finitezza espressione di determi-natezza); Melisso, da parte sua, secondo la materia ( ), come unit indeterminata e quindi infinita. Senofane - il primo tra costoro a essere partigiano dell'Uno ( ) e per ci ancora una volta riconosciuto maestro di Parme-nide si sarebbe invece limitato, volgendosi all'universo nel suo

    30 Laltra doveva raccogliere Anassimandro, Anassimene, Anassagora,

    Archelao, Empedocle, Diogene di Apollonia. Determinante il ruolo

    riconosciuto complessivamente ad Anassimandro. 31 Nella ricerca contemporanea stata sottolineata la dipendenza della

    cosmologia del poema Sulla natura dalla cosmologia e cosmogonia

    attribuite al Milesio: si veda in particolare Naddaf, op. cit., p. 138. Daltra parte, a dispetto di singoli elementi di convergenza, David Furley ha

    opportunamente marcato la distanza tra the centrifocal universe del poema e quello lineare delle cosmologie milesie (D. Furley, The Greek Cosmologists.Volume I: The formation of the atomic theory and its earliest

    critics, C.U.P., Cambridge 1987, pp. 53 ss.). 32 Unampia discussione della storiografia teofrastea sui presocratici si trova in

    G. Colli, La natura ama nascondersi. Physis kruptesthai philei, a cura di E.

    Colli, Adelphi, Milano 1998, cap. II (Storicismo peripatetico). 33 G. Colli, La sapienza greca, Vol. II, cit., p. 327.

  • 30

    insieme ( ), ad affermarne la divinit ( ).

    Ribadendo un giudizio di valore gi espresso nel Teeteto pla-tonico (183e), lo Stagirita registra l'acutezza del contributo di

    Parmenide, a dispetto della sua eccentricit rispetto al focus "ai-tiologico". Messi da parte Melisso e Senofane come un po trop-po grossolani ( ), egli infatti sottolinea:

    ,

    , , (

    ),

    ,

    ,

    , ,

    .

    Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare

    con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo

    che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. [] Costretto tuttavia a seguire i fenomeni, e assumendo che

    luno sia secondo ragione, i molti invece secondo sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,

    chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi

    dispone il caldo sotto lessere, il freddo sotto il non-essere (986 b27-987 a1).

    Nella ricostruzione aristotelica due sarebbero i cardini della

    dottrina parmenidea:

    (i) la convinzione circa l'unit dell'essere ( ) - da un punto di vista razionale ( ) necessaria (

    ), imposta dalla disgiunzione e mutua esclusione tra essere

    e non-essere: non esiste ci che non al di l di ci che ( );

    (ii) la presa d'atto dell'evidenza fenomenica: cos, secondo noi,

    da intendere l'espressione greca

  • 31

    (letteralmente costretto a essere guidato dai fenome-

    ni [cose che appaiono]).

    Proprio l'ineludibile rilievo empirico della molteplicit ( ) avrebbe imposto un nuovo campo d'indagine,

    inducendo Parmenide a introdurre due cause e due principi ( ), ci legittimando la sua rilevanza per la discussione aristotelica. Si tratta di una lettura che trova con-

    ferma nella dossografia successiva, anche in un autore, Plutarco,

    che attingeva probabilmente a una tradizione accademica, relati-

    vamente autonoma rispetto alla linea teofrastea:

    ,

    ,

    ,

    . ,

    < >,

    ,

    (Parmen. B 1, 29. 30)

    .

    ,

    ; .

    [Parmenide] non elimina alcuna delle due nature, ma a

    ognuna conferendo ci che le proprio, pone l'intelligibile nella classe dell'uno e dell'essere, definendolo "essere" in

    quanto eterno e incorruttibile, e ancora uno per

    uguaglianza a se stesso e per non accogliere differenza; il

    sensibile invece in quella di ci che disordinato e in mutamento. Il criterio di ci possibile vedere: il cuore preciso della Verit ben convincente, che raggiunge l'intelligibile e quanto sempre nelle medesime condizioni, e le opinioni dei mortali in cui non vera certezza [B1.29-30], perch esse sono congiunte con cose che accolgono ogni forma di mutamento, di affezioni

    e disuguaglianze. Come avrebbe potuto allora conservare

    sensazioni e opinione, non conservando il sensibile e

  • 32

    l'opinabile? Non possibile sostenerlo (Plutarco, Adversus Colotem 1114 d-e).

    Le osservazioni di Plutarco sono particolarmente significative

    perch intervengono a correggere l'interpretazione "melissiana" di Parmenide (proposta da Colote), secondo cui Parmenide cancel-

    la ogni cosa postulando l'essere uno ( ): appunto contro questo fraintendi-mento che il platonico attribuisce anacronisticamente all'Eleate

    l'articolazione della realt in intelligibile ( ) e sensibi-le ( ), avendo in precedenza ricordato lo sforzo del Poema di produrre un sistema del mondo (), in con-formit con quanto ci si poteva attendere da un naturalista arcai-co ( ):

    ,

    ,

    Ha costruito anche un sistema del mondo e

    mescolando come elementi la luce e la tenebra, fa derivare

    tutti i fenomeni da questi e mediante questi. Ha detto in

    effetti molte cose sulla terra, e sul cielo e sul sole e sulla

    luna e tratta anche dell'origine degli uomini: nulla ha

    taciuto circa le cose pi importanti, come si addice a uomo arcaico nello studio della natura e che ha composto

    uno scritto proprio non distruzione di un altro (Adversus Colotem 1114b, DK 28 B10).

    Questa testimonianza rafforza la convinzione che - sia per la

    tradizione dossografica antica, sia per la posteriore (in gran parte

    per dipendente da quella) - il tema del Poema parmenideo fosse anche la (nel senso sopra sommariamente ricostruito), seb-

  • 33

    bene se ne registrasse la "eccentricit"34 e quindi la problematica

    riducibilit al paradigma della .

    Tra ricerca e ricerca

    Aristotele, introducendo lindagine sullessere in quanto esse-re ( ), su ci che appartiene a tutte le cose in quan-to enti ( ), la differenzia rispetto a ricerche pi specifiche: ci che la connota , infatti, accanto alla eziologia propria di ogni sapere, l'apertura alla totalit della realt. Riguar-do alla , tuttavia, la sua posizione pi sfuma-ta: l'originale speculazione sullessere in quanto essere pro-posta, infatti, in continuit con la precedente tradizione:

    ,

    .

    ,

    Dal momento che ricerchiamo i principi e le cause

    supreme, evidente come esse riguardino necessariamente una certa natura [realt] in quanto tale. Se

    dunque coloro che ricercano gli elementi delle cose

    ricercavano questi principi, necessario che fossero anche gli elementi dell'essere non per accidente ma in quanto

    essere. Per questo motivo dobbiamo comprendere le cause

    prime dell'essere in quanto essere (Metafisica IV, 1 1003 a26-32).

    Gli elementi costitutivi delle cose che sono ( ) nella misura in cui sono intesi come principi di tutte

    34 Ci siamo occupati di questo aspetto in Parmenide e la tradizione del pensiero

    greco arcaico (ovvero della sua eccentricit), in Il quinto secolo. Studi di

    filosofia antica in onore di Livio Rossetti, a cura di S. Giombini e F.

    Marcacci, Aguaplano, Perugia 2011, pp. 165-178.

  • 34

    risultano in effetti elementi dell'essere in quanto tale ( ), costitutivi di tutto ci che . In questo senso la cifra sapienziale comune alla scienza dell'essere in

    quanto essere ( ) e all'indagine dei data, in definitiva, dalla convergente modalit di realiz-zazione: ricercare i principi e le cause prime ( ) della realt. Pi avanti nello stesso libro, infatti, Aristotele rileva come alcuni dei fisici ( ) si fossero mostrati evidentemente consapevoli di ricercare

    sulla natura [realt] nella sua interezza e sullessere ( , Metafisica IV, 3 1005 a32-

    33), intendendo quindi la natura come una totalit omogenea (dal punto di vista dell'essere), cui ineriscono determinate proprie-

    t riconducibili a principi universali. Ritenendo cos che e coincidessero, che la

    cio costituisse tutta la realt, quei fisici avrebbero manife-stato interesse per gli assiomi (), i principi pi generali di tutti, quelli che appartengono a tutti gli enti ( ), la cui discussione non di competenza dello speciali-sta (che si limita ad applicarli) ma appunto della ricerca del filo-

    sofo ( []). Il riferimento indetermina-

    to ed stato precisato in modo diverso dagli interpreti: noi rite-niamo che esso coinvolga direttamente Eraclito (per la riflessione

    sul logos) e in particolare Parmenide, soprattutto in considerazio-

    ne del lessico dei frammenti B2 e B8. Un lessico che effettiva-

    mente sembra istituire la riflessione ontologica, sia con l'analisi

    dei segni (), delle propriet che manifestano , sia con l'insistenza sulla reciproca implicazione di verit ed essere.

    Natura, essere, verit

    Lo Stagirita, in effetti, rilegge la tradizione anche alla luce di

    un'intenzione veritativa di fondo:

  • 35

    consideriamo comunque anche coloro che prima di noi

    hanno proceduto alla ricerca intorno agli enti e hanno

    filosofato intorno alla verit (Metafisica I, 3 983 b1),

    Espressioni come coloro che dapprima filosofarono intorno

    alla verit ( , De Caelo III, 1 298 b12), ovvero che indagarono la verit intor-no agli enti ( , Metafisica IV, 5 1010 a1), rivelano come Aristotele intendesse l'indagine sul-

    la natura come indagine sulla verit, la prima comportando una

    presa di posizione circa ci che Realt35. In questo senso i primi filosofi avevano contribuito allindagine sugli enti ( ): in quanto convinti che la natura fosse la

    realt fondamentale, ricercando sulla natura [realt] nella sua in-terezza ( ) essi avevano offerto anche ri-flessioni sullessere ( ):

    ,

    ,

    ( )

    .

    .

    Coloro che per primi hanno ricercato secondo

    filosofia, indagando la verit e la natura degli enti, furono sviati come su una certa altra strada, sospinti

    dall'inesperienza: essi sostennero che delle cose che sono

    nessuna si generi o si distrugga, poich ci che si genera origina o da ci che o da ci che non ; ma ci

    35 W. Leszl, Parmenide e lEleatismo, Dispensa per il corso di Storia della

    filosofia antica, Universit degli Studi di Pisa, Pisa 1994, p. 16.

  • 36

    impossibile da entrambi i punti di vista. Ci che , infatti, non si genera (dal momento che gi); n da ci che non possibile si generi alcunch: richiesto in effetti qualcosa che funga da sostrato. E aggravando in questo

    modo la conseguenza immediata, affermarono che non

    esistano i molti ma che esista solo l'essere stesso (Fisica I,

    8 191 a25 ss.).

    Il passo di grande interesse: nell'ambito di una discussione sui principi (il primo libro della Fisica compare nei cataloghi an-

    tichi come ), Aristotele (i) intende la riflessione dei

    primi filosofi ( ) come indagine a un tem-

    po sulla natura e sulla verit ( ), e (ii) attribuisce il loro "sviamento", la loro erranza, a

    una precoce analisi ontologica condotta con imperizia (

    ). Bench spesso riferita dai commentatori specificamente agli Eleati, la difficolt segnalata potrebbe intendersi rivolta a coloro che avevano operato la riduzione a elementi base (questo

    appare il significato nel contesto di )36. In tal caso Aristote-

    le riconoscerebbe all'indagine dei fisici un filo conduttore onto-logico, che in Parmenide sarebbe stato pienamente esplicitato.

    significativo che dalle intestazioni attribuite (probabilmente sin dall'antichit37) alle opere di Melisso e Gorgia (di una genera-

    zione posteriore a quella di Parmenide) emergesse gi la consape-volezza dell'inadeguatezza del tradizionale repertorio

    , con la proposta di , nel primo

    caso, e nel secondo; e che in ambi-

    36 Su questo in particolare Palmer, Parmenides & Presocratic Philosophy, cit.,

    pp. 130 ss.. 37 tradizionalmente riconosciuto che l'intenzione dello scritto gorgiano era di

    ribaltare le tesi eleatiche (per esempio, W.K.C. Guthrie, The Sophists,

    C.U.P., Cambridge 1971, pp. 270-271). I due resoconti dell'opera quello di Sesto Empirico (che ci fornisce anche la titolazione completa) e quello

    dell'Anonimo del De Melisso, Xenophane et Gorgia (forse I secolo d.C.) potrebbero dipendere da Teofrasto ed essere stati semplicemente elaborati in

    modo diverso. In alternativa, per la seconda redazione, si supposta la mano di un peripatetico antico (si veda la nota di M. Untersteiner in Sofisti,

    Testimonianze e frammenti, a cura di M. Untersteiner, con la collaborazione

    di A. Battegazzore, Bompiani, Milano 2009, p. 234).

  • 37

    to sofistico proliferassero opere sulla Verit ( e sono le titolazioni attribuite alle opere principali rispetti-

    vamente di Antifonte e di Protagora). Aristotele, in ogni caso, con

    la formula indagine sulla verit intende unindagine sulla realt genuina, tesa ad accertare quale essa sia, spingendosi oltre le ap-

    parenze che la occultano38. Illuminante un passo di De generatio-

    ne et corruptione:

    ,

    ,

    .

    ,

    A partire dunque da questi ragionamenti, e spingendosi

    oltre la sensazione e ignorandola, dal momento che si

    dovrebbe seguire il ragionamento, alcuni dicono che il

    tutto [l'universo] uno, immobile e infinito: il limite, infatti, confinerebbe con il vuoto. Costoro, dunque, in

    questo modo e per queste ragioni si sono espressi sulla

    verit: ora, alla luce dei ragionamenti sembra che queste

    cose accadano cos; alla luce dei fatti, invece, il pensare

    cos sembra quasi follia (Aristotele, De generatione et corruptione I, 8 325 a13ss.).

    Qui Aristotele stigmatizza, per la sua paradossalit (sintomati-co il riferimento alla follia), una forma di razionalismo eleati-

    co39 che, nel riferimento all'infinito, appare sostanzialmente me-

    lissiano40: il contributo all'indagine sulla verit scaturisce da una

    38 Leszl, op. cit., p. 17. 39 Cos Migliori, Aristotele, La generazione e la corruzione, traduzione,

    introduzione e commento di M. Migliori, Loffredo Editore, Napoli 1976, p.

    200. 40 Non un caso che Reale abbia accolto le prime righe del passo aristotelico

    come un vero e proprio frammento di Melisso: Melisso, Testimonianze e

    frammenti, traduzione, introduzione e commento di G. Reale, Firenze 1970,

    La Nuova Italia, pp. 98-104.

  • 38

    ricerca volta alla comprensione della realt naturale nel suo in-sieme ( ). Una ricerca, dunque, a un tempo "ontologica" ed

    "epistemologica" (in senso lato), nella misura in cui la determina-

    zione della realt genuina dipende da considerazioni di ordine gnoseologico (delineate nella contrapposizione -

    ).

    Ora, nei frammenti parmenidei non mancano indizi (come ri-

    velano le letture antiche) della possibilit che l'espressione (ci che ovvero l'essere), di cui si definiscono propriet strutturali - senza nascita () senza morte (), tutto intero (), uniforme (), saldo () (B8.4-5) si riferisca a quel che Aristotele indica come , il Tutto delluniverso41: Parmenide, nel suo sforzo di evitare le incongruenze colte nelle coeve indagini sull'o-

    rigine e sulla struttura del mondo naturale42, avrebbe trasfigurato

    lo spazio cosmico nel compiuto, omogeneo, immutabile campo

    dellessere, cos spingendo la filosofia naturale ai limiti di logi-ca e metafisica43. N, d'altra parte, mancano tracce di una tratta-

    zione 44: la prima sezione del Poema si apre e si

    chiude con chiare menzioni della Verit intesa come la Realt oggetto dell'esposizione stessa, mentre l'impianto dicotomico

    dell'opera trdita riflette la tensione tra il resoconto genuino di

    quella realt e una sua accettabile ricostruzione a partire dall'espe-rienza che gli uomini ne hanno.

    41 Interpreta in questo senso D. Furley, The Greek Cosmologists, cit., p. 54.

    Conche in Parmnide, Le Pome: Fragments, texte grec, traduction, prsentation et commentaire par M. Conche, PUF, Paris 1996, p. 182 osserva come lessere abbia a che fare con il Tutto, con linsieme di ci che , e sia dunque coestensivo al mondo. Una prospettiva analoga a quella che

    proponiamo espressa da M. Kraus, "Sein, Raum und Zeit im Lehrgedicht des Parmenides", in G. Rechenauer (Hg.), Frgriechisches Denken,

    Vandenhoeck & Ruprecht, Gttingen 2005, pp. 252-269. Di particolare rilievo le pagine 260-1.

    42 Lasciamo qui indeterminati i bersagli possibili, da ricercare comunque in

    ambito ionico e pitagorico. 43 D.W. Graham, Empedocles and Anaxagoras: Responses to Parmenides, in

    The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, edited by A.A.

    Long, C.U.P., Cambridge 1999, p. 175. 44 Leszl, op. cit., p. 19.

  • 39

    Natura e verit in Parmenide

    In effetti, nel caso del poema di Parmenide, presumendone u-

    nitariet e coerenza, possiamo registrare: (i) lo squilibrio di struttura: la (seconda) sezione dedicata all'e-

    sposizione dell'ordinamento [del mondo] del tutto appropriato ( , B8.60) doveva essere assai pi consi-stente di quella (la prima) relativa al percorso di Persuasione,

    che si accompagna a Verit ( -

    , B2.4);

    (ii) il costante richiamo, nell'introduzione del , a un

    lessico di conoscenza: B10 appare, in questo senso, un vero e

    proprio programma di istruzione cosmologica e cosmogonica, tra

    l'altro in sintonia con il modello poetico esiodeo della Teogonia45:

    ,

    [5] ,

    .

    Conoscerai la natura eterea e nelletere tutti i segni e della pura fiamma dello splendente sole

    le opere invisibili e donde ebbero origine,

    e le opere apprenderai periodiche della luna

    dallocchio rotondo, e la [sua] natura; conoscerai anche il cielo che tutto

    intorno cinge,

    donde ebbe origine e come Necessit guidandolo lo vincol

    a tenere i confini degli astri.

    45 Laccostamento naturale in Aristotele, quando, in apertura di Metafisica I, 4,

    introduce lanalisi della causalit efficiente, rinviando proprio ai precedenti di Esiodo e Parmenide sul ruolo cosmogonico di Amore.

  • 40

    Che l'articolata indagine prospettatavi possa essere rubricata

    come sembra, alla luce delle considerazioni

    introduttive, indiscutibile, cos come appare chiara la sua inten-zione cognitiva: nella costruzione del Poema, allora possibile rintracciare una corrispondenza tra la ricerca della seconda sezio-

    ne e l'impegno ontologico-veritativo dei frammenti B2-B8. L'o-

    biettivo dichiarato (nel proemio) della comunicazione divina compiutamente conoscitivo, scandito da espressioni verbali dalla

    inequivocabile valenza cognitiva, in relazione tanto a

    quanto ai :

    , .

    ,

    Ora necessario che tutto tu apprenda: sia di Verit ben rotonda il cuore fermo, sia dei mortali le opinioni, in cui non reale

    credibilit.

    Nondimeno anche questo imparerai: come le cose

    accolte nelle opinioni

    era necessario fossero effettivamente, tutte insieme

    davvero esistenti (B1.28b-32).

    La Dea sottolinea il proprio impegno a (i) rivelare la realt ge-nuina (), tradizionale appannaggio divino, e (ii) denuncia-

    re le infondate (senza reale credibilit, ) opinioni

    dei mortali ( ), in ci riflettendo il canonico pessimi-smo sulla condizione e comprensione umana che aveva trovato

    espressione nella poesia e nella sapienza antica:

    ,

    [, .]

    ,

    ,

  • 41

    .

    ,

    .

    Per questo io ti dico e tu ascolta e comprendi:

    nulla pi inconsistente dell'uomo tra tutte le cose che nutre la terra, e sulla terra camminano e si

    muovono.

    Egli sostiene che nulla di male mai gli accadr,

    fin quando gli dei concedono forza e le membra sono

    in movimento.

    Quando invece gli dei beati infliggono anche dolori,

    pure questi sopporta, suo malgrado, con animo

    paziente.

    Tale la comprensione degli uomini che vivono sulla terra,

    quale il giorno che manda il padre degli dei e degli

    uomini (Odissea XVIII, 129-137)

    ,

    il mortale deve pensare cose mortali, non cose

    immortali (Epicarmo, DK 23 B20)

    soltanto dio conosce la verit, a tutti dato solo opinare (Senofane, DK 21 A24).

    Ma il programma non si esaurisce nella contrapposizione tra

    comprensione divina e incomprensione umana, pur limpidamente

    e criticamente evocata. La rivelazione della realt autentica - per la quale Parmenide ricorre a una perifrasi, impiegando due imma-

    gini: letteralmente cuore che non trema ( ) di Veri-t ben rotonda ( ovvero, secondo altri codici, ben convincente, ) - certamente occasione per con-dannare di fronte al giovane poeta () linattendibilit delle convinzioni umane. Essa, nell'economia del poema, appare tutta-

    via funzionale anche alla presentazione di un resoconto alternati-

    vo, plausibile (), del mondo dell'esperienza ( ):

  • 42

    a dispetto dell'inaffidabilit delle correnti opinioni mortali, pos-sibile delinearne una sintesi compatibile con la lezione di verit della prima istruzione.

    Difficile credere che Parmenide non fosse in qualche misura

    convinto della bont del punto di vista espresso negli attuali frammenti B9-B1246, ovvero della tracciatavi,

    anche perch i rilievi del testo richiamano puntualmente i divieti di B2-B8:

    ,

    ,

    Ma poich tutte le cose luce e notte sono state denominate,

    e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state

    attribuite] a queste cose e a quelle,

    tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile, di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle

    due [] il nulla (B9).

    Discorso affidabile e ordinamento

    verosimile

    Eppure il passaggio tra le due sezioni marcato in modo ine-quivocabile:

    A questo punto pongo termine per te al discorso

    affidabile e al pensiero

    intorno a Verit; da questo momento in poi opinioni

    mortali

    impara, lordine delle mie parole ascoltando che pu ingannare (B8.50-2).

    46 Lesher, op. cit., p. 240.

  • 43

    In questi versi si incrociano le due prospettive che Parmenide

    tenta di salvaguardare all'interno della tradizionale opposizione

    tra umano e divino:

    (i) da un lato la "superiore" ottica della divinit, che si esprime

    in un logos degno di fiducia: svolgendo rigorosamente la propria

    disamina dall'alternativa e non possibile non essere-non ed necessario non essere, esso riconosce che:

    ,

    , ,

    ,

    senza nascita ci che e senza morte, tutto intero, uniforme, saldo e senza fine;

    n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto insieme,

    uno, continuo (B8.3b-6a),

    (ii) dall'altro i punti di vista umani, molteplici e concorrenti,

    insidiosi e potenzialmente dispersivi: esplicitamente all'interno di questo orizzonte che la Dea introduce la seconda sezione:

    ,

    Questo ordinamento, del tutto appropriato, per te io

    espongo,

    cos che mai alcuna opinione dei mortali possa superarti.

    Nessun resoconto cosmologico, nella misura in cui si riferisca

    alle vicende di una molteplicit di enti in divenire (instabili e mu-tevoli), pu essere considerato completamente affidabile, come, invece, il discorso su ci che ( ), sulla realt colta come totalit (unitaria, immutevole, essendo nel suo complesso tutto ci che ). Per valutare correttamente l'impresa parmenidea dobbiamo

    tenere conto di due elementi:

  • 44

    (a) del contributo scientifico47 (prevalentemente in campo co-

    smologico48) riconosciuto a Parmenide nellantichit: ancora una volta interessante soprattutto il fatto che Teofrasto (DK 28 A44) gli attribuisse la scoperta della sfericit della Terra:

    , [Phys. Opin.

    17] ,

    [in riferimento a Pitagora] ma fu anche il primo a

    chiamare il cielo cosmo e la terra sferica; per Teofrasto fu

    invece Parmenide, per Zenone Esiodo,

    e che altre fonti risalissero allEleate per osservazioni sulla i-dentit di Espero e Lucifero (DK 28 A40a):

    . ,

    ,

    , ,

    Parmenide pone come primo nell'etere Eos, lo stesso

    da lui chiamato anche Espero; dopo di esso pone il Sole,

    sotto questo, nella parte ignea che chiama cielo, gli astri,

    e sulla natura solare della luce della Luna:

    . [sc. ]

    47 Per una recente valorizzazione di questo aspetto G. Cerri, La riscoperta del

    vero Parmenide, introduzione a Parmenide di Elea, Poema sulla natura,

    introduzione, testo, traduzione e note a cura di G. Cerri, Milano 1999, BUR

    Rizzoli (in particolare pp. 52-57); D.W. Graham, Explaining the Cosmos.The Ionian Tradition of Scientific Philosophy, Princeton University

    Press, Princeton and Oxford 2006, pp. 179-182. 48 Naddaf ha daltra parte segnalato come il modello cosmogonico della seconda

    sezione del poema dovesse essere influenzato da una prospettiva biologica e ricordato opportunamente le tracce di una antropogonia, attestata da

    Diogene Laerzio (DK 28A1). Si veda G. Naddaf, The Greek Concept of Na-

    ture, cit., pp. 137-138.

  • 45

    Parmenide [dice che] la luna uguale al sole: da esso infatti illuminata (DK 28 A42);

    (b) dell'evidente contrasto tra la condanna della confusione

    "mortale" tra le due vie:

    ,

    per i quali esso considerato essere e non essere la stessa cosa

    e non la stessa cosa: ma di [costoro] tutti il percorso

    torna all'indietro (B6.8-9)

    Mai questo sar forzato: che siano cose che non sono

    (B7.1),

    ovvero dellirrisolta opposizione nelle cosmogonie correnti (ioniche? pitagoriche?):

    -

    Presero la decisione, infatti, di dar nome a due forme,

    delle quali lunit non [per loro] necessario [nominare]: in ci sono andati fuori strada (B8.53-4),

    e la sottolineatura (nel gi citato B9) della riduzione omogenea all'essere delle forme introdotte per il :

    ,

    ,

    Ma poich tutte le cose luce e notte sono state denominate,

    e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state

    attribuite] a queste cose e a quelle,

    tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile, di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle

    due [] il nulla (B9).

  • 46

    La distinzione tra i due momenti dell'istruzione divina sembra

    quindi consapevolmente delineare due distinte forme di cono-

    scenza:

    (a) la certezza della comprensione razionale evocata dalla re-iterazione di (comprendere, concepire, pensare) e (intel-

    ligenza, pensiero), nonch di espressioni come (giudica con il ragionamento) - degli attributi universali di ci che ( , il complesso della realt colto come tutto-intero);

    (b) la plausibilit di una conoscenza l'uso di verbi di cono-scenza indiscutibile nei frammenti attribuiti alla seconda sezio-ne - che possiamo definire "empirica", dal momento che si con-

    centra sulla natura delle cose che incontriamo nella nostra espe-

    rienza49.

    In realt il quadro pi complesso, perch fortemente condi-zionato da una cornice religiosa che deve indurre cautela.

    Intanto, quella che abbiamo indicato come conoscenza razio-

    nale (via d'accesso privilegiata alla Verit) proposta come con-tenuto diretto di una rivelazione (B1) che costituisce il contesto

    dell'intera esposizione del Poema, e che pone immediatamente

    (B2) le premesse da cui dipendono i ragionamenti successivi.

    Come avremo modo di sottolineare nel commento, tale rivelazio-

    ne non appare un semplice escamotage poetico, estrinseco rispet-

    to alla comunicazione di verit, ma, al contrario, il vero nucleo

    propulsivo dellopera, la condizione di continuit entro cui le due sezioni assumono il loro senso e il loro statuto50. Un elemento an-

    dato perduto nella ricezione di Parmenide nel IV secolo a.C. (che,

    infatti, non ci ha conservato citazioni dal proemio), ma in s di grande interesse per la collocazione culturale dell'Eleate e per la

    valutazione del suo contributo.

    L'oggetto di tale conoscenza - appare, a sua volta, nei frammenti sia come risultato di una costruzione logica:

    49 Lesher, op. cit., p. 241. 50 Su questo punto insiste Lambros Couloubaritsis, nella nuova edizione (La

    pense de Parmnide, ditions Ousia, Bruxelles 2008) del suo Mythe et Phi-

    losophie chez Parmnide.

  • 47

    , ,

    -

    -

    Il giudizio in proposito dipende da ci:

    o non . Si dunque deciso, secondo necessit, di lasciare luna [via] impensabile [e] inesprimibile

    (poich non una via genuina), e che laltra invece esista e sia reale

    (B8.15b-18),

    sia come concrezione di una sintesi intuitiva, a partire dallo

    sguardo rivolto alla molteplicit degli enti:

    Considera come cose assenti siano comunque al

    pensiero saldamente presenti;

    non impedirai, infatti, che lessere sia connesso allessere,

    n disperdendosi completamente in ogni direzione per il cosmo,

    n concentrandosi (B4).

    In questo secondo caso, la costante presenza dell'essere giu-stapposta alla presenza-assenza degli enti, prefigurando l'opposi-

    zione tra l'immutabile presente dell'uno:

    , ,

    ,

    n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto insieme,

    uno, continuo (B8.5-6a)

    e il divenire - scandito da passato, presente e futuro degli al-tri:

  • 48

    Ecco, in questo modo, secondo opinione, queste cose

    ebbero origine e ora sono,

    e poi, in seguito sviluppatesi, avranno fine (B19.1-2).

    Ci pu suggerire che i due momenti del discorso divino ri-flettano l'originale rielaborazione parmenidea della tensione, im-

    plicita nella cultura delle origini, tra la dimensione temporale del-

    le cose in divenire ( , le cose

    che sono, le cose che sono state e le cose che saranno, Iliade I,

    70) e quella peculiare alla concezione arcaica del divino (

    , dei che sono sempre, Iliade I, 290)51.

    La distinzione ben delineata nei frammenti trditi, come ab-

    biamo visto, quella tra: (i) la certezza ( ) che scaturisce dal giudizio razio-

    nale su :

    ,

    Dire e pensare: ci che , necessario: essere

    infatti possibile,

    il nulla, invece, non (B6.1-2a);

    (ii) la verosimiglianza del resoconto cosmologico, che pur le-

    gittimato dalla parola divina:

    ,

    Questo ordinamento, del tutto appropriato, per te io

    espongo,

    cos che mai alcuna opinione dei mortali possa superarti (B8.60-1)

    si rivolge all'origine e sviluppo di fenomeni prodotti dall'azio-

    ne celeste:

    51 Ivi, p. 102.

  • 49

    ,

    Conoscerai la natura eterea e nelletere tutti i segni e della pura fiamma dello splendente Sole

    le opere invisibili e donde ebbero origine,

    e le opere apprenderai periodiche della Luna

    dallocchio rotondo, e la [sua] natura (B10.1-5a),

    e, ulteriormente, ai fondamenti cosmogonici e cosmologici (in

    questo senso alle condizioni generali del mondo naturale):

    conoscerai anche il cielo che tutto intorno cinge,

    donde ebbe origine e come Necessit guidando lo vincol

    a tenere i confini degli astri (B10.5b-7).

    La certezza prodotto del percorso di Persuasione ( ) associato a Verit () ed essere ( ): Parme-nide insiste sulla necessit di tale sapere, chiaramente correlata a immutabilit, identit e stabilit del suo oggetto. La ricostruzione del riflette, d'altra parte, la mutevolezza dei fe-

    nomeni fissati dall'arbitrio delle denominazioni umane: in questo

    senso, rispetto all'affidabilit del percorso di Persuasione che manifesta la genuina realt (la Verit), essa proposta dalla Dea come , secondo opinione.

    Essere e natura in Parmenide

    Nel proprio schema (Metafisica I, 5 986 b27-987 a1) - che gi abbiamo commentato - Aristotele aveva dunque colto sostanzial-

    mente nel segno:

  • 50

    ,

    , , (

    ),

    ,

    ,

    , ,

    .

    Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare

    con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo

    che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. [] Costretto tuttavia a seguire i fenomeni, e assumendo che

    luno sia secondo ragione, i molti invece secondo sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,

    chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi

    dispone il caldo sotto lessere, il freddo sotto il non-essere.

    La lettura aristotelica suggerisce, infatti, che l'oggetto appa-rentemente diverso - delle due sezioni del Poema sia in verit i-dentico, sebbene prospettato secondo differenti modalit gnoseo-logiche: secondo ragione ( ) e secondo sensazio-ne ( ). Una considerazione puramente razionale fa emergere la realt (naturale) come uno-tutto; il riferimento all'esperienza manifesta la pluralit dei fenomeni: nel primo caso il livello di astrazione fa perdere di vista i connotati fenomenici e

    risaltare i tratti di fondo della realt; nel secondo l'urgenza di dar

    conto dei fenomeni spinge all'individuazione di efficaci principi

    esplicativi. Come non possibile parlare di due oggetti diversi, cos non pu sfuggire nei frammenti il tentativo di Parmenide di ripensare il problema dei principi in termini ontologici, attribuen-

    do cio ai principi alcune caratteristiche dei segni di :

    , ,

    , , ,

  • 51

    Scelsero invece [elementi] opposti nel corpo e segni

    imposero

    separatamente gli uni dagli altri: da una parte, della

    fiamma etereo fuoco,

    che mite, molto leggero, a se stesso in ogni direzione identico,

    rispetto allaltro, invece, non identico; dallaltra parte, anche quello in se stesso,

    le caratteristiche opposte: notte oscura, corpo denso e

    pesante (B8.55-9)

    ,

    ,

    ,

    Ma poich tutte le cose luce e notte sono state denominate,

    e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state

    attribuite] a queste cose e a quelle,

    tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile, di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle

    due [] il nulla (B9).

    Questo autorizza l'ipotesi che la prima sezione pur compiuta, autosufficiente e autonoma fosse effettivamente intesa come preparatoria alla seconda, con la quale l'autore entrava in compe-

    tizione (come sottolineato anche dalle parole della divinit) con

    altre cosmologie. plausibile che il modello esplicativo del mon-

    do naturale che vi si delinea abbia profondamente influenzato

    quello, fondato sulla nozione di mescolanza, adottato da Empedo-

    cle e Anassagora52, sensibili, tra l'altro, ai rilievi ontologici di

    52 In modo diverso giungono a sostenere questa ipotesi P. Curd, The Legacy of

    Parmenides. Eleatic Monism and Later Presocratic Thought, Princeton Uni-versity Press, Princeton 1998; P. Thanassas, Parmenides, Cosmos, and Be-

    ing. A Philosophical Interpretation, cit.; D.W. Graham, Explaining the Cos-

    mos, cit..

  • 52

    Parmenide53

    come risulterebbe da una serie di frammenti (DK 31 B8, B9, B11, B12; DK 59 B17).

    53 D.W. Graham, Empedocles and Anaxagoras: Responses to Parmenides, in

    The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, cit., p. 167. Per una

    pi meditata e articolata riflessione sullo stesso tema, si pu ora consultare D.W. Graham, Explaining the Cosmos, cit..

  • 53

    IL TESTO DI PARMENIDE E LA SUE FONTI

    Si ipotizza che la consistenza dell'unica opera di cui la tradi-

    zione sostiene Parmenide sia stato autore, fosse approssimativa-

    mente di un migliaio di versi, 160 (circa) dei quali abbiamo rice-

    vuto attraverso posteriori citazioni da parte di altri autori. Essi ri-

    ferivano in qualche caso direttamente da una copia del poema, in

    altri indirettamente da selezioni antologiche ovvero da citazioni

    altrui. Riflettendo sulla storia di queste citazioni testuali, possia-

    mo concludere che il poema di Parmenide sia stato oggetto di due

    distinti momenti di attenzione, a distanza di 4 secoli luno dallaltro, prima di scomparire definitivamente54.

    Il materiale del Poema

    Possiamo supporre che una prima diffusione di copie del Poe-

    ma avvenisse sotto il controllo dell'autore e che forme di controllo

    sul testo e sulla sua circolazione fossero esercitate dagli allievi nel

    periodo immediatamente successivo alla sua morte. plausibile che nel mondo greco occidentale si conservasse una memoria te-

    stuale autonoma, da collegare forse ad ambienti pitagorici 55 , e

    che, analogamente, tradizioni del testo si affermassero anche in

    altre aree di civilizzazione greca, come l'Asia Minore, dove il po-

    ema sembra essere stato conosciuto abbastanza presto. Si tratta

    solo di congetture, dal momento che non disponiamo di evidenze

    di questa fase pre-platonica, ma, secondo Passa56, non da esclu-dere che a una di queste tradizioni abbia attinto Sesto Empirico.

    La prima attestazione del Poema risale a Platone, che cita per

    cinque volte Parmenide: nel Teeteto (180d a proposito della tesi

    dellunit e della immobilit dellUno-Tutto), nel Simposio (178b

    54 N.-L- Cordero, Lhistoire du texte de Parmnide, in tudes sur Parmnide,

    sous la direction de P. Aubenque, t. II, Problmes dinterpretation, Vrin, Pa-ris 1987, p. 4.

    55 E. Passa, Parmenide. Tradizione del testo e questioni di lingua, Edizioni

    Quasar, Roma 2009, p. 143. 56 Ibidem.

  • 54

    a proposito del primato di Eros), tre volte nel Sofista (237a e 258d

    a proposito del parricidio; 244e a proposito della struttura e in-

    divisibilit del Tutto). Aristotele, a sua volta, replica la descrizio-ne del Tutto gi citata da Platone (Fisica 207 a18), cita il verso su Eros (Metafisica 984 b26) e trascrive l'attuale frammento 16 (Me-

    tafisica IV, 5 1009 b22). Lultima citazione della prima "esistenza postuma" del Poema in Teofrasto, che riprende tre volte il fr. 16 (in una versione diversa da quella aristotelica). probabile che le citazioni del frammento 8 nello pseudo-aristotelico Su Melisso,

    Senofane e Gorgia e in Eudemo derivino da Platone57.

    Dopo un lungo silenzio - segnale, secondo Cordero58, non pro-

    priamente di scomparsa del testo parmenideo, piuttosto di man-

    cato utilizzo - il platonico Plutarco (I secolo d.C.) torna a fare uso abbondante dei frammenti del poema, aprendo di fatto la se-

    conda stagione dattenzione per l'opera - la pi ricca di citazioni testuali - che dura fino a tutto il VI secolo. Caratteristica di questa

    fase il ricorso al Poema non per illustrare la posizione dell'auto-re, ma per confermare o chiarire il tema oggetto di analisi da parte

    dei commentatori: probabile che le citazioni non siano di prima mano, ma dipendano in gran parte da Platone, Aristotele e Teo-

    frasto.

    A Simplicio, lultimo autore conosciuto che abbia usato un manoscritto dellintera opera di Parmenide59, dobbiamo la cita-zione (in gran parte come unica fonte) dei due terzi dei 160 versi

    trditi del poema: egli cita estensivamente anche perch consape-vole della rarit del testo gi nella sua epoca (clamorosamente quella in cui aumenta il numero di autori che direttamente o indi-

    rettamente citano Parmenide: Damascio, Filopono, Asclepio, Bo-

    ezio, Olimpiodoro60):

    ,

    57 Cordero, op. cit., pp. 4-5. 58 Ivi, p. 5. 59 A.H. Coxon, The Fragments of Parmenides, Van Gorcum, Assen/Maastricht

    1986, p. 1. 60 Cordero, op. cit., p. 6.

  • 55

    anche a costo di sembrare insistente, vorrei aggiungere

    a questi miei appunti i non molti versi di Parmenide

    sull'essere uno, sia per il credito delle cose da me dette, sia

    per la rarit dello scritto parmenideo (DK 28 A21).

    Cordero giudica molto probabile sulla scorta del lavoro filo-logico di Diels l'utilizzazione da parte di Proclo (V secolo) e Simplicio (VI secolo) di due differenti versioni del poema di

    Parmenide61. Damascio (V-VI secolo d.C.) cita sulla scorta del

    commento perduto di Giamblico (III-IV secolo d.C.) al Parmeni-

    de platonico. Altri autori antichi (V e VI secolo d.C.) come Am-

    monio, Filopono, Olimpiodoro e Asclepio potrebbero non aver

    avuto la possibilit di accedere direttamente a copia dellintero poema62.