La Pena Capitale
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“Nequaquam ita fiet,
sed omnis qui occiderit Cain,
septuplum punietur!”
(Genesi 4,15)
La Pena Capitale
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La Pena Capitale Introduzione Mi sembra giusto chiarire, nell’iniziare questa breve trattazione sulla pena di morte, perché è stato scritto
questo documento. Il che significa per quali fini e per quale ragione viene pubblicato proprio oggi.
L’obbiettivo è semplice: fornire uno strumento di analisi, una finestra per uno sguardo di insieme su quella
questione molto dibattuta che è la pena di morte. Oggi ricorre – silenziosamente rispetto alle tante
commemorazioni istituzionali – l’anniversario di un evento molto doloroso: la prima ed ultima condanna a
morte eseguita nella Repubblica Italiana1. Mi sembra giusto raccontarvi…
4 Marzo 1947 Il 20 novembre 1945 nella Cascina Simonetto di Villarbasse (TO) stanno cenando l’avv. Massimo Gianoli, nella
casa patronale, e l’affittuario Antonio Ferrero che festeggiava con la sua famiglia la nascita di una nipotina.
Verso le otto di sera tratto fanno irruzione quattro uomini - Francesco La Barbera, Giovanni Puleo, Giovanni
D’Ignoti e Pietro Lala (che lavorava presso la cascina sotto la falsa identità di Francesco Saporito) –,
intenzionati a compiere una rapina, e sequestrarono i presenti.
Tuttavia a Pietro Lala cadde la maschera rendendosi riconoscibile ai presenti: scoperti, i rapinatori decisero
di uccidere tutti per poi fuggire. Li condussero così uno alla volta in cantina dove, colpiti con un bastone, li
gettarono in una cisterna per la raccolta d’acqua piovana. Le vittime furono dieci. Ultimata la rapina fuggirono
in Sicilia. Vennero trovati e arrestati, Pietro Lala venne ucciso, probabilmente in circostanze legate alla mafia,
prima della cattura.
Dopo l'arresto furono portati al carcere di Venaria Reale ma poi furono trasferiti a Le Nuove a Torino; al
processo, i rapinatori furono condannati a morte, il 5 luglio 1946. A nulla servì il ricorso in Cassazione: la
suprema corte si espresse il 29 novembre dello stesso anno,
confermando pienamente le condanne.
Il Capo dello Stato, Enrico De Nicola, rifiutò la loro richiesta di
Grazia, e così il mattino (ore 7.45) del 4 marzo 1947 i tre furono
accompagnati dal cappellano del carcere padre Ruggero
Cipolla (1911-2006) al poligono di tiro delle Basse di Stura a
Torino. Dove venne così eseguita, da un plotone di esecuzione
formato da poliziotti della città, la loro condanna a morte.2
Il giorno successivo, alle cinque del mattino, venne eseguita a Forte Bastia (La Spezia) l’ultima condanna a
morte della Repubblica Italiana, inflitta ad ex collaboratori nazisti.
1 In realtà se ne eseguì un’altra il giorno successivo, ma il tribunale la decretò prima. 2 Tratto e rielaborato da: Contributori di Wikipedia. Strage di Villarbasse [Internet]. Wikipedia, L'enciclopedia libera; 25 nov 2014, 16:08 UTC [in data 2015 feb 25]. Reperibile su: //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Strage_di_Villarbasse&oldid=69329795.
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Situazione attuale
Nel mondo
Negli ultimi decenni molti Stati l'hanno abolita. Amnesty International distingue quattro categorie di Stati:
in 37 Stati al mondo la pena di morte è ancora prevista dal codice penale ed
utilizzata (colore rosso);
48 Stati mantengono la pena di morte anche per reati comuni ma di fatto
non ne hanno fatto uso per almeno 10 anni (colore arancione);
in 7 Stati è in vigore ma solo limitatamente a reati commessi in situazioni
eccezionali, ad esempio in tempo di guerra (colore verde);
100 Stati l'hanno abolita completamente (colore blu).
██ Utilizzata come forma di punizione legale; ██ Non utilizzata ma non abolita; ██ Riservata a circostanze eccezionali (come crimini commessi in tempo di guerra); ██ Abolita per tutti i crimini.
Rapporto si Nessuno Tocchi Caino
Abolizionisti: 100
Albania, Andorra, Angola, Argentina, Armenia, Australia, Austria, Azerbaigian, Belgio, Benin, Bermuda*,
Bhutan, Bolivia, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Burundi, Cambogia, Canada, Capo Verde, Cipro, Città del
Vaticano*, Colombia, Costa d’Avorio, Costarica, Croazia, Danimarca, Ecuador, Estonia, Filippine, Finlandia,
Francia, Gabon, Georgia, Germania, Gibuti, Grecia, Guinea Bissau, Haiti, Honduras, Irlanda, Islanda, Isole
Cook*, Isole Marshall, Isole Salomone, Italia, Kirghizistan, Kiribati, Lettonia, Liechtenstein, Lituania,
Lussemburgo, Macedonia (Ex Repubblica Iugoslava di), Malta, Mauritius, Messico, Micronesia (Stati Federati
della), Moldova, Monaco, Mongolia, Montenegro, Mozambico, Namibia, Nepal, Nicaragua, Norvegia, Nuova
Zelanda, Paesi Bassi, Palau, Panama, Paraguay, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca,
Abolita No de facto
Usata Eccezionali
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Repubblica Dominicana, Romania, Ruanda, Samoa, San Marino, São Tomé e Principe, Senegal, Serbia,
Seychelles, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Timor Est, Togo, Turchia, Turkmenistan,
Tuvalu, Ucraina, Ungheria, Uruguay, Uzbekistan, Vanuatu e Venezuela.
Abolizionisti per crimini ordinari: 7
Brasile, Cile, El Salvador, Figi, Israele, Kazakistan e Perù.
Abolizionisti di fatto (non eseguono sentenze capitali da almeno 10 anni, tra parentesi l’anno dell’ultima
esecuzione, oppure Paesi vincolati a livello internazionale a non applicare la pena capitale): 48
Antigua e Barbuda (1991), Bahamas (2000), Barbados (1984), Belize (1985), Birmania (1988), Brunei
Darussalam (1957), Burkina Faso (1988), Camerun (1997), Ciad (2003), Comore (1997), Congo (1982), Corea
del Sud (1997), Cuba (2003), Dominica (1986), Eritrea (non risultano esecuzioni dall’indipendenza del paese
nel 1993), Ghana (1993), Giamaica (1988), Grenada (1978), Guinea (2001), Guyana (1997), Kenia (1987), Laos
(1989), Lesotho (1995), Libano (2004), Liberia (2000), Madagascar (1958), Malawi (1992), Maldive (1953),
Marocco (1993), Mauritania (1987), Nauru (nessuna sentenza eseguita dall’indipendenza, 1968), Niger
(nessuna esecuzione né condanna a morte dal 1976), Papua Nuova Guinea (1957), Qatar (2003), Repubblica
Centroafricana (1981), Repubblica Democratica del Congo (2003), Santa Lucia (1995), Saint Vincent e
Grenadine (1995), Sierra Leone (1998), Sri Lanka (1976), Suriname (1982), Swaziland (1982), Tanzania (1994),
Tonga (1982), Trinidad e Tobago(1999), Tunisia (1991), Zambia (1997) e Zimbabwe (2003).
Paesi che attuano una moratoria delle esecuzioni: 6
Algeria, Guatemala, Guinea Equatoriale, Mali, Russia e Tagikistan.
Mantenitori: 37
Afghanistan, Arabia Saudita, Palestina*, Bahrein, Bangladesh, Bielorussia, Botswana, Cina, Corea del Nord,
Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Gambia, Giappone, Giordania, India, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Libia,
Malesia, Nigeria, Oman, Pakistan, Saint Kitts e Nevis, Singapore, Siria, Somalia, Stati Uniti d’America, Sudan,
Sudan del Sud, Taiwan*, Thailandia, Uganda, Vietnam e Yemen.
Fonte: Nessuno tocchi Caino
Sottolineati, i Paesi (2) impegnati a livello internazionale a non applicare la pena di morte
In grassetto, le democrazie liberali1 (7) che mantengono la pena di morte
In corsivo, le novità (7) rispetto al 2012
* Stati non membri dell’ONU
1 La classificazione “democrazia liberale” si basa sui criteri analitici usati in “Libertà nel mondo 2013”, il
rapporto annuale di Freedom House sulla situazione dei diritti politici e delle libertà civili Paese per Paese
(www.freedomhouse.org).
Italia La Costituzione italiana, approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1º
gennaio 1948, abolì definitivamente la pena di morte per tutti i reati comuni e militari commessi in tempo di
pace. La misura venne attuata con i decreti legislativi 22 gennaio 1948, n. 21 (Disposizioni di coordinamento
in conseguenza dell'abolizione della pena di morte) e n. 22 (Ammissibilità del ricorso per cassazione proposto
dai condannati alla pena di morte).
Secondo la normativa previgente la pena di morte era eseguita tramite fucilazione all'interno di uno
stabilimento penitenziario e non era ammesso pubblico. Il Ministro della Giustizia poteva stabilire sia che
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l'esecuzione fosse pubblica, sia che fosse effettuata in altro luogo. La normativa sui trapianti (legge 1º aprile
1999, n. 91) vieta l'importazione di organi o tessuti da Stati in cui la legislazione consente la vendita e il
prelievo forzato da cittadini condannati a morte. La pena di morte rimase nel Codice penale militare di guerra
fino alla promulgazione della legge 13 ottobre 1994, n. 589, che l'abolì sostituendola con la massima pena
prevista dal codice penale, che è attualmente l'ergastolo.
L'Italia ha poi ratificato il protocollo n. 13 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle libertà fondamentali, relativo all'abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza, sottoscritto a
Vilnius il 3 maggio 2002. La legge costituzionale 2 ottobre 2007, n. 1 ("Modifica all'articolo 27 della
Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte"), modificando l'art. 27 della Costituzione della
Repubblica Italiana ha eliminato le residue disposizioni in tema (eliminando l'ultimo residuo di previsione da
parte di leggi militari di guerra), sancendo per via costituzionale la non applicabilità. La pena di morte,
contemplata nell'art. 17 e nell'art. 21 del codice penale italiano è oggi da ritenersi abrogata nelle parti in
questione.
Art. 27.
La responsabilità penale è personale.
L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono
tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte.
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Metodi di esecuzione3
Sedia elettrica Sopravvivenza: 10 minuti.
Utilizzata in: America (USA).
Diffusione (in America)
██ Utilizzata come se cono metodo di esecuzione; ██ Utilizzata in passato; ██ Mai utilizzata;
Cenni storici
L'iniziale idea di tale strumento di soppressione venne a un dentista americano di Buffalo, Alfred Southwick:
ebbe lo spunto quando gli descrissero la morte di un ex impiegato della Brush Electric Light, George Smith,
fulminato mentre era intento a sabotare una centralina elettrica della sua compagnia a causa del
licenziamento per ubriachezza molesta. Colpito da ciò, Southwick pensò alla costruzione di una sedia
collegata ad un generatore elettrico per poter indurre una morte rapida ed indolore ai condannati. Sottopose
l'idea ad un suo paziente, un senatore, che nel 1885 la ritrasmise a Devid Hill, governatore dello stato di New
York.
Nel 1887, una commissione dello stato di New York si riunì per cercare un metodo più umano di infliggere la
pena capitale, e più rapido dell'impiccagione. La fucilazione e la ghigliottina, seppur più veloci, erano
considerati troppo barbari. Hill si ricordò dell'intuizione di Southwick e propose la realizzazione della sedia
elettrica a Thomas Alva Edison. Egli preferì però promuoverne la realizzazione da parte del suo rivale George
Westinghouse, per screditarlo e dimostrare che la tensione generata dalla sua corrente alternata era in grado
di uccidere una persona, precludendone l'utilizzo in campo civile. Scoperto ciò, Westinghouse si disinteressò
al progetto che infine fu portato avanti da Edison. Dopo le prime sperimentazioni sugli animali, nel 1888 lo
stato di New York approvò l'impiego della sedia elettrica. Il primo condannato a morte a venire giustiziato
mediante sedia elettrica fu William Kemmler, reo di aver ucciso la compagna Matilda Ziegler nel 1889.
3 I paragrafi sono stati tratti e/o rielaborati da http://notizie.tiscali.it/articoli/esteri/09/10/30/metodi-pena-morte-54321.html ; da Wikipedia (alle rispettive voci) e da http://digilander.libero.it/ilboa/Pena%20di%20Morte/Pene%20di%20morte.htm
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L'esecuzione durò 17 secondi e provocò molte sofferenze al condannato, suscitando l'indignazione
dell'opinione pubblica. Tuttavia, grazie all'attivismo di Edison tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del
Novecento, la sedia elettrica fu adottata anche in altri stati dell'Unione, fino a quando non divenne il metodo
di esecuzione prevalente negli Stati Uniti sostituendo la tradizionale forca fino alla metà degli anni ottanta.
Dopo di allora la sedia elettrica fu rimpiazzata dall'iniezione letale.
Procedura
Il condannato viene assicurato con delle cinghie
ad una sedia appositamente costruita. La testa e il
corpo sono stati rasati perché gli elettrodi di rame
inumiditi, che il boia applica, facciano un contatto
migliore. Quando l'interruttore viene inserito il
condannato, nonostante sia trattenuto dalle
cinghie, balza in avanti e spesso è colpito da
emorragie interne, vomito, perdita d'urine e feci.
Testimoni hanno affermato di aver sentito odore
di carne bruciata.
La potenza della scarica varia da stato a stato,
dipende anche dal peso corporeo del condannato.
La prima scarica è seguita da altre di voltaggio più
basso. In Georgia applicano 2000 volts per i primi 4 secondi, 1000 per i successivi 7 secondi seguiti da 208
volts per gli ultimi due minuti. Nonostante la potenza della scarica il condannato muore solo dopo molti
dolorosissimi minuti; in alcuni casi non si è verificato il decesso e l'esecuzione è stata rimandata a dopo la
guarigione delle terribili ustioni che il primo tentativo aveva procurato. Abitualmente tre o più boia pigiano
l'interruttore, ma solo uno è realmente connesso alla rete elettrica. Undici stati forniscono i materiali per
questo tipo d'esecuzione.
Casi celebri
Willie Francis: 17enne nero, condannato nel 1946, sopravvissuto al primo tentativo di ucciderlo. Un
testimone oculare disse: "Ho visto il boia che accendeva l'interruttore ed ho visto le labbra del prigioniero
gonfiarsi, il suo corpo teso e stirato. Ho sentito l'incaricato gridare al suo collega di mandare più succo
[elettricità] quando ha visto che Willie Francis non moriva e il collega rispondere che stava mandando tutta
la corrente elettrica che aveva. Allora Willie gridò: 'Toglietemela, fatemi respirare!'. Successivamente ha
detto di aver sentito un bruciore nella testa ed alla gamba sinistra, di essere saltato contro le cinghie e di aver
visto puntini blu, rosa e verdi". Fu messo a morte un anno più tardi, con successo.
John Louis Evans: giustiziato nell'aprile 1983, è stato dichiarato ufficialmente morto - secondo quanto riferito
dai testimoni oculari - soltanto dopo tre distinte scariche di 1900 volt ciascuna, per una durata complessiva
di oltre quattordici minuti.
Impiccagione Sopravvivenza: 8-13 minuti.
Utilizzata in: America, Egitto, Giordania, Iran, Iraq, Pakistan, Singapore, Giappone
Cenni storici
In un primo tempo al condannato era posta una robusta corda al collo con un nodo scorsoio detto cappio;
l'apertura di una botola sotto i piedi provocava la sospensione della vittima che ne causava la rottura delle
ossa del collo e l'asfissia e di conseguenza in breve la morte, oltre all'estroflessione dei bulbi oculari e della
lingua. L'impiccagione viene registrata per la prima volta in Inghilterra nel 1214 d.C., quando il figlio di un
nobile venne impiccato per pirateria.
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Nel Medioevo un'altra forma di impiccagione consisteva
nel legare un cappio al collo del condannato e gettarlo
giù da una grande altezza (le mura di un castello, un
dirupo, ecc.). A volte, quando il condannato era troppo
pesante, non veniva impiccato a causa del fatto che la
testa poteva letteralmente staccarsi.
Procedura
Il boia infila un cappio con nodo scorsoio intorno al collo
del condannato. Una botola si apre sotto i suoi piedi e lui
precipita sotto. Il cappio spezza la terza e quarta vertebra
cervicale e procura asfissia. Per evitare la decapitazione accidentale il boia regola la lunghezza della corda in
base al peso del condannato. Washington e Delaware, dove l'ultima impiccagione è avvenuta nel 1996,
autorizzano questo metodo d'esecuzione, e il New Hampshire lo permetterà se l'iniezione letale verrà
bandita.
Iniezione letale Sopravvivenza: 6-15 minuti.
Utilizzata in: America (USA), Cina, Filippine, Taiwan e Guatemala.
Diffusione (in America)
██ Utilizzata come unico metodo di esecuzione; ██ Utilizzata come principale metodo di esecuzione; ██ Utilizzata una volta; ██ Mai utilizzata;
Procedura
Fu adottata per la prima volta nel 1988. Per questo tipo di esecuzione vengono impiegate delle speciali
camere con un lettino al quale il detenuto viene legato e chiuso all'interno dopo l'applicazione in vena di un
cannello; dall'esterno il boia aziona un meccanismo che dà avvio alle somministrazioni. Un cocktail mortale
stilla dall'endovenosa fin dentro al braccio del condannato. Il Texas e molti altri stati usano una combinazione
di tre sostanze: la prima, Sodio Pentotal (o Tiopental), un barbiturico, rende il detenuto privo di conoscenza.
La successiva, Pavlon (o Pancuronio Bromide), un rilassante muscolare, paralizza il diaframma e i polmoni. La
terza, Cloruro di Potassio, causa l'arresto cardiaco.
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Molti affermano che l'iniezione letale sia la forma più
"umana" di esecuzione. Ma i medici dicono che
somministrala può essere difficile quando il detenuto
ha le vene danneggiate. Questo a volte capita nel caso
dei tossicodipendenti, molto frequenti sia nel braccio
della morte che altrove nelle carceri. Capita così che il
boia non riesca a infilare l'ago, e allora pratichi
un'incisione al collo o alla gamba. Altre volte le tre
sostanze, ispessendosi nelle vene, le ostruiscono
provocando dolore e vanificando in parte l'effetto del
barbiturico per cui il condannato non è totalmente
incosciente.
Dalle finestre il pubblico, spesso composto dai parenti delle vittime e da testimoni che chiedono
volontariamente di partecipare, assistono al decesso. Tale tipo di camere sono commercializzate
dall'industria che le produce e sono vendute anche a paesi stranieri che prevedono la pena di morte. Il
governo federale, l'esercito e 32 stati usano questo mezzo d'esecuzione.
Camera a gas Sopravvivenza: 8-10 minuti.
Utilizzata in: America (USA).
Diffusione (in America)
██ Utilizzata come metodo di esecuzione; ██ Utilizzata in passato;
Procedura
Il condannato viene sigillato, assicurato con cinghie a una sedia, in una apposita camera stagna. Uno
stetoscopio fissato al torace viene collegato a delle cuffie in maniera che un medico possa controllare il
progredire dell'esecuzione. Quindi alcune gocce di Cianuro di Potassio, o Cianuro di Sodio, vengono fatte
cadere in un contenitore pieno di Acido Cloridrico. Questo libera Gas Cianuro che, inibendo l'azione
dell'emoglobina che trasporta l'ossigeno dal sangue alle cellule, provoca asfissia.
Il detenuto perde conoscenza e muore dopo molti lunghi minuti. Ma se istintivamente trattiene il fiato, o
cerca di respirare più lentamente, può essere colpito da violente convulsioni. Successivamente una squadra
addetta alla pulizia indossa maschere antigas, apre la camera e decontamina il corpo con una soluzione
sbiancante. Sette stati forniscono materiali per questo tipo d'esecuzione.
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Durante il Nazismo.
Le camere a gas vennero utilizzate dai nazisti durante l'Olocausto. Diversi esperimenti furono condotti per
trovare il metodo più rapido ed efficace: inizialmente si usò monossido di carbonio prodotto spesso usando
i gas di scarico di camion o carri armati, poi si passò allo Zyklon B, che permetteva di uccidere in maniera
veloce un gran numero di persone contemporaneamente (1000-1500 in circa trenta minuti).
Prima dell'inizio dell'attività delle camere a gas, l'8 dicembre 1941 furono condotti i primi esperimenti di
camere a gas montate su dei camion, i cosiddetti Gaswagen. Quest’ultimi autocarri erano stati
precedentemente utilizzati nella Russia sovietica del 1936.
Fucilazione Sopravvivenza: Incerta
Utilizzata in Cina, America (USA), stati che prevedono la pena capitale per crimini di guerra.
Cenni storici
Malgrado i fucili dall'aspetto moderno fossero stati
utilizzati fin dal XVII secolo, la fucilazione non è stata
usata fino al tardo XVIII secolo. La fucilazione venne
sperimentata per la prima volta durante la guerra
d'indipendenza americana e fu applicata soprattutto
nei confronti di prigionieri di guerra e di disertori.
La fucilazione durante il XIX secolo ebbe una diffusione
mondiale, arrivando anche in Asia e in America del
sud. Fu tuttavia nel XX secolo che questo metodo di
esecuzione ebbe più successo e divenne il più
utilizzato al mondo. Negli eserciti la fucilazione rimase
l'unico metodo di esecuzione e venne applicato soprattutto nella prima e nella seconda guerra mondiale.
Durante quest'ultima, secondo stime non certe, ci sono state 30.000 esecuzioni nella Wehrmacht (di cui
15.000 senza processo nel 1945).
Oggi la fucilazione viene progressivamente sostituita dall'iniezione letale. Nella Repubblica Popolare Cinese
le esecuzioni tramite iniezione letale sono cresciute di parecchio da quando è stata introdotta nel 1997, anche
se l'esecuzione da arma da fuoco rimane il metodo di gran lunga più utilizzato.
Procedura (Italia)
«Plotone, attenti!»
«Caricare!»
«Puntare!»
«Fuoco!»
La fucilazione era la pena più grave comminata dai Codici Militari Italiani (art. 8-29 Codice Penale Esercito -
art. 7-31 Codice Penale Marina) e rappresentava l'unico modo contemplato dalla vecchia legislazione militare
italiana per infliggere la pena di morte. Si distingue in fucilazione al petto e fucilazione alla schiena.
La prima era comminata per reati gravissimi ma non disonoranti. Veniva compiuta da un drappello di dodici
soldati e di un caporale, scelti per anzianità fra tutte le compagnie presenti nella Sede del Corpo al quale
apparteneva il condannato. Per l'esecuzione, l'ufficiale più elevato in grado schierava le truppe e fatte
presentare le armi, leggeva la sentenza. Faceva avanzare il condannato, che poteva essere assistito da un
ministro del culto e, dopo averlo fatto sedere, gli faceva bendare gli occhi. Se il condannato lo chiedeva
poteva essere lasciato in piedi e senza benda. Poi il plotone d'esecuzione compiva la sua missione.
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La fucilazione alla schiena era infamante e veniva comminata per i reati che denotavano l'estrema ignominia.
Prima della fucilazione nella schiena, si compiva la degradazione, poi si passava all'esecuzione: il condannato
veniva fatto sedere, bendato, con le spalle rivolte al plotone di esecuzione; il plotone stesso, se già presente
sul posto prima del condannato, era schierato di spalle, in modo che condannato e plotone non si
guardassero mai in faccia; dopo il dietro-front del plotone veniva eseguita la sentenza.
Dopo la scarica dei soldati, in genere il comandante si avvicinava al corpo del condannato e gli sparava a
bruciapelo nella nuca con una pistola: il colpo di grazia.
In caso di commutazione di pena, la differenza fra le due era notevole: la fucilazione al petto veniva
commutata in reclusione militare, quella alla schiena in lavori forzati a vita.
In Italia, l'ultima fucilazione fu eseguita il 4 marzo 1947, per i responsabili della strage di Villarbasse. La
Costituzione italiana, approvata il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1º gennaio 1948, abolì
definitivamente la pena di morte per tutti i reati comuni e militari commessi in tempo di pace. La misura
venne attuata con il decreto legislativo 22/48 del 22 gennaio 1948 (Disposizioni di coordinamento in
conseguenza dell'abolizione della pena di morte). La pena di morte rimase nel codice penale militare di guerra
fino alla promulgazione della legge 589/94 del 13 ottobre 1994 (in Gazzetta Ufficiale 25 ottobre 1994 n. 250),
che l'abolì sostituendola con la massima pena prevista dal codice penale.
Procedura (USA)
Viene eseguita da un plotone di 5 uomini, una delle 5 armi è caricata a salve in modo da non avere mai la
certezza di quale colpo ha ucciso il condannato. L'ultima fucilazione è avvenuta nello Utah nel 1996 ma è
ancora prevista come metodo di esecuzione in Idaho e Utah. Verrà autorizzata anche in Oklahoma se la
camera a gas verrà dichiarata incostituzionale.
Metodi
Esistono due diversi metodi di fucilazione: l'esecuzione da plotone d'esecuzione e l'esecuzione da arma da
fuoco singola. La fucilazione con il plotone d'esecuzione prevede che un gruppo di uomini spari addosso al
condannato contemporaneamente. Questo viene fatto per aumentare la probabilità di una morte rapida. Il
metodo del plotone d'esecuzione viene utilizzato in quasi tutti gli stati che prevedono la fucilazione. Durante
questo tipo di fucilazione, era prassi che uno dei fucili fosse caricato a salve, per sollevare gli esecutori dalla
certezza di aver ucciso un uomo.
L'esecuzione da arma da fuoco singola oggi viene usata praticamente solo nella Repubblica Popolare Cinese.
In questo secondo metodo di fucilazione, un soldato si mette dietro al condannato (generalmente
inginocchiato) e gli spara da pochi centimetri di distanza al collo o alla nuca, a volte con l'arma attaccata al
corpo della vittima (invece nel primo metodo i soldati stanno ad alcuni metri dal condannato). Invece del
fucile, in genere viene usata la pistola. Anche il proiettile usato è diverso: quello del plotone d'esecuzione
tende a perforare, mentre quello dell'arma da fuoco tende a creare una ferita più larga. In entrambi i casi, in
genere il condannato muore immediatamente. Poiché la Repubblica Popolare Cinese è il paese che conta di
gran lunga il maggior numero di esecuzioni, statisticamente sono più numerose le persone giustiziate con
l'arma da fuoco singola che quelle con il plotone d'esecuzione.
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Dibattito etico
Favorevoli
Argomenti4
Chi sostiene la necessità di mantenere la pena di morte, o la possibilità di ripristinarla laddove non è vigente,
avanza i seguenti argomenti:
è un efficace deterrente, attraverso il suo carattere di esemplarità;
essa costituisce giustizia retributiva verso chi si macchia volontariamente del crimine di omicidio.
Secondo la teoria retributiva sulla funzione della pena (in opposizione alla teoria preventiva), essa è
un male che interviene come reazione morale e giuridica al male che è stato commesso con il reato,
alla cui gravità è proporzionato, in modo da configurarsi come castigo morale e non come vendetta;
nell'equiparazione tra il gesto dell'omicida e la pena inflitta, la condanna a morte rivela una natura
meno punitiva rispetto all'ergastolo e più rispettosa della dignità del condannato in relazione al suo
gesto, in particolare laddove il condannato non si riconosca pentito e non accetti il principio secondo
cui la pena avrebbe funzione rieducativa. Inoltre, chi sostiene che la pena di morte rispetti la dignità
umana del condannato, ricorda come agli ergastolani non sia consentito di commettere suicidio e
come, nonostante ciò, siano numerosi i casi di suicidio. Si ricorda anche il caso del criminale
americano Gary Gilmore, che nel 1977 fece scalpore: Gilmore lottò perché gli fosse applicata la
condanna a morte contro le posizioni abolizioniste favorevoli alla grazia, diventando il primo
condannato a morte da quando, nel 1976, negli Stati Uniti fu ripristinata la pena capitale.
la pena di morte elimina l'eventualità di recidiva da parte del reo, evitando ulteriori costi per la
società;
garantisce la certezza della pena e assicura un risarcimento morale ai parenti delle vittime di
omicidio, eliminando così la tentazione di vendette private;
aiuterebbe a risolvere i problemi di affollamento e di non funzionamento del sistema carcerario;
evita allo Stato le spese derivanti dal mantenimento improduttivo e a vita dei criminali condannati
all'ergastolo
contrapponendosi all’idea filosofica che esistano principi giuridici e morali universali, lo strumento
della pena di morte salvaguardia il diritto particolare di ogni società di dotarsi degli strumenti
legislativi che, in un certo momento storico, sono ritenuti necessari alla propria tutela. Chi è
favorevole alla pena di morte, o contrario alla sua abolizione, in genere non riconosce principi
giuridici universali se non quelli riposti nel diritto naturale, contestando sul piano filosofico il
fondamento dei diritti umani.
Aforismi e citazioni
"La pena capitale potrebbe essere appropriata per i crimini più orrendi, come l'uccisione di bambini o
quelle di massa” (Barack Obama)
“Sono fermamente convinta che una donna ha il diritto di giustiziare un uomo che l'ha stuprata.” (Andrea
Rita Dworkin)
«Per colui che soffre talmente di se stesso, non vi è redenzione, se non la rapida morte»
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, "Del pallido delinquente")
“Bisognerebbe perdonare i propri nemici, ma non prima che li impicchino.” (Heinrich Heinz)
4 Questo paragrafo come anche l’omonimo di motivazioni contrarie è tratto da http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Pena_di_morte&oldid=71094266
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Se la società rinuncia al diritto di infliggere la pena di morte, ricomparirà immediatamente il diritto alla
difesa personale: la vendetta batterà alla porta.
Johann Wolfgang Goethe, Massime e riflessioni, 1833 (postumo)
Se si vuole abolire la pena di morte, che comincino, in questo caso, i signori assassini.
Alphonse Karr, Le vespe, 1839/49
Contrari
Argomenti
Tra le motivazioni contrarie alle pena di morte si cita che essa:
viola il diritto alla vita riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e altri trattati
regionali e internazionali (quali la Convenzione europei sui diritti dell'uomo). Anche l'Assemblea
generale delle Nazioni Unite nel 2007 e nel 2008 ha adottato una risoluzione non vincolante che
chiede, fra l'altro, una moratoria sulle esecuzioni, in vista della completa abolizione della pena di
morte.
è una punizione crudele e disumana. La sofferenza fisica causata dall'azione di uccidere un essere
umano non può essere quantificata, né può esserlo la sofferenza mentale causata dalla previsione
della morte che verrà. Secondo la Dichiarazione universale dei diritti umani: "Nessun individuo potrà
essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, inumane o degradanti".
non è un deterrente efficace. Omicidi vengono commessi in momenti in cui la valutazione razionale
dell'assassino è spesso modificato da forti emozioni, sostanze psicotrope, o instabilità psicologica,
pertanto la previsione della pena di morte non ne modificherebbe in maniera rilevante le scelte.
Inoltre, una vera deterrenza consiste nell'aumentare le probabilità che chi commette un reato sia
arrestato e condannato, altrimenti un calcolo permetterebbe comunque di decidere razionalmente
di commettere un reato grave con premeditazione, pensando di non essere preso o valutando
maggiormente la ricompensa rispetto alla pena eventuale.
è un omicidio premeditato da parte di uno Stato, che non potrà essere punito come prevede la legge
dello Stato stesso. La pena di morte è sintomo di una cultura di violenza, e lo stato che la esegue
dimostra la stessa prontezza nell'uso della violenza fisica. Secondo alcuni studi, il tasso di omicidi è
maggiore negli stati dove è presente la pena di morte, ed aumenta rapidamente dopo ogni
esecuzione. Come sostiene Cesare Beccaria «La pena di morte, rendendo meno sacro e intoccabile il
valore della vita, incoraggerebbe, più che inibire, gli istinti omicidi». Già secondo il controverso
filosofo francese Marchese De Sade, il diritto dello Stato di uccidere un reo sarebbe ipocrita quando
lo Stato stesso punisce con la pena di morte l'omicidio da parte di cittadini. Lo Stato perde quindi la
sua autorità morale nel giudicare gli assassini, se egli stesso si comporta ugualmente.
è sinonimo di discriminazione e repressione. La pena di morte è eseguita sproporzionatamente
contro le persone e classi più svantaggiate, che non hanno accesso alle risorse necessarie per
affrontare in maniera efficace un processo. Inoltre, essa è spesso utilizzata contro minorenni (al
tempo dei fatti), persone soggette a disturbi mentali, o oppositori politici nel caso di regimi autoritari.
non dà necessariamente conforto ai familiari della vittima. La messa a morte dell'assassino non ridà
vita alla vittima né può cancellare la sofferenza dei suoi familiari. La lunghezza del processo ne
prolunga anzi la sofferenza. Al momento dell'esecuzione pochissimi possono ricordarsi del
condannato e del crimine commesso, ad eccezione delle persone legate alla vittima. Al più essa è
simile ad una "vendetta legalizzata".
può uccidere un innocente in caso di errore giudiziario. Una difesa legale inadeguata, le false
testimonianze e le irregolarità commesse da polizia e accusa sono tra i principali fattori che
determinano la condanna a morte di un innocente. In numerosi stati, non sono previste procedure
di equo processo che dìa garanzie all'imputato. Secondo il filosofo illuminista Voltaire, l'omicidio di
un innocente, compiuto per legge, è il crimine "più orribile di tutti".
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infligge inutile sofferenza ai familiari e amici dei condannati. Costoro, che non hanno nulla a che fare
con il reato per il quale è stato condannato, provano lo stesso atroce senso di perdita avvertito dai
familiari, dagli amici e dai conoscenti della vittima di un omicidio.
nega qualsiasi possibilità di riabilitazione del condannato. In ciò, la pena di morte respinge l'umanità
della persona che ha commesso un crimine. Bisogna piuttosto dare al reo la possibilità di redimersi e
di rendersi utile alla comunità cui ha arrecato danno. Al fine di evitare casi di recidiva, vanno
eventualmente riviste le procedure per la libertà condizionata ed avviato un serio monitoraggio
psicologico durante la detenzione.
la pena di morte, così come il carcere a vita, nega, secondo alcuni scienziati, i presupposti della
biologia e della neurologia: le cellule del corpo umano subiscono un totale ricambio in circa sette
anni, quindi, a maggior ragione dopo un lungo periodo di prigione, il condannato non è più
"fisicamente" lo stesso individuo entrato in carcere; né il DNA spiega del tutto i comportamenti
aggressivi e violenti, che spesso sono frutto del condizionamento e dell'apprendimento
non rispetta i valori di tutta l'umanità. Diverse tradizioni, religioni e culture hanno dato vita agli
standard internazionali di diritti umani, oggi riconosciuti da tutti gli stati membri delle Nazioni Unite
come standard verso i quali tendere. In ogni zona del mondo e attraversando ogni confine religioso
e culturale esistono paesi che hanno abolito la pena di morte per legge o nella pratica. Esistono pene
alternative più che pesanti per punire chi ha commesso un grave reato.
è inutilmente costosa. Secondo uno studio dello Urban istitute su 1.227 omicidi commessi nel
Maryland dal 1978 al 1999, una condanna alla pena di morte costa allo stato circa tre volte una
condanna detentiva, in termini di processi, ricorsi, e sorveglianza in carcere
Aforismi e citazioni
“È abbastanza evidente che coloro che sostengono la pena di morte hanno più affinità con gli assassini di
quelli che la combattono.” (Rémy De Gourmont)
Trent'anni fa ho visto a Parigi decapitare un uomo con la ghigliottina, in presenza di migliaia di spettatori.
Sapevo che si trattava di un pericoloso malfattore; conoscevo tutti i ragionamenti che gli uomini hanno messo
per iscritto nel corso di tanti secoli per giustificare azioni di questo genere; sapevo che tutto veniva compiuto
consapevolmente, razionalmente; ma nel momento in cui la testa e il corpo si separarono e caddero diedi un
grido e compresi, non con la mente, non con il cuore, ma con tutto il mio essere, che quelle razionalizzazioni
che avevo sentito a proposito della pena di morte erano solo funesti spropositi e che, per quanto grande
possa essere il numero delle persone riunite per commettere un assassinio e qualsiasi nome esse si diano,
l'assassinio è il peccato più grave del mondo, e che davanti ai miei occhi veniva compiuto proprio questo
peccato. (Lev Tolstoj)
«Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono
l'omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un
pubblico assassinio.» (Cesare Beccaria)
Un criminale è un essere come gli altri, che in certe situazioni può diventare migliore nello stesso modo in cui
voi e io possiamo, in date circostanze, diventare peggiori. Diamogli una possibilità. Non consideriamolo come
un essere irreparabilmente nocivo, di cui bisogna sbarazzarsi a ogni costo. Quando il nostro corpo è ammalato
non lo distruggiamo, cerchiamo di guarirlo. Perché dovremmo distruggere gli elementi malati della società,
anziché curarli? Tenzin Gyatso (Dalai Lama), I consigli del cuore, 2001
Opinioni dei redattori del Giornalino “Siamo davvero in grado di poter scegliere il momento in cui far terminare la vita di un individuo?”
(Eleonora Fioravanti)
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“Cosa ci dà il diritto di decidere della vita di una persona? Come possiamo arrogarci la facoltà di uccidere
persone che probabilmente sono gravemente malate? Di ignorare uno dei diritti fondamentali dell'uomo: un
diritto fondamentale non conosce se o però, e uno Stato che si identifichi in tali principi non può apertamente
contraddirli! E' perfettamente naturale che l'odio dei diretti interessati li porti a desiderare la massima
punizione per il colpevole, ma uno Stato non può affidarsi al sentimento. E la ragione lo obbliga, lo vincola a
rispettare i diritti che afferma di accettare.” (Giulia Garibbo)
“Non ho alcuna intenzione di scrivere un saggio o un tema sull’argomento, so che probabilmente vi annoierei.
Voglio solo avanzare due riflessioni sulla morte di stato, che sono il succo del mio pensiero e spero possano
essere condivise da qualcuno.
Io credo che la pena di morte sia una maniera facile, per lo Stato, di risolvere il problema del criminale (e non
del crimine!): il criminale è un individuo che è venuto meno a quel patto sociale fondamentale che permette
la costituzione di una società, lo Stato può reintegrarlo o eliminarlo. È chiaro che l’eliminazione sia più rapida
e in linea di massima meno costosa, più facile appunto, ma è evidente che lo Stato non ha il compito di fare
le cose che sono più “facili” ma quelle che sono più giuste. Per questo vedo nella pena di morte una scelta
che lo Stato non deve compiere, perché contraria alla sua natura.
In secondo luogo vorrei sottolineare come il condannato a morte sia privato, non saprei dire se di proposito,
dei più fondamentali diritti dell’essere umano e della sua stessa umanità. Paga la fallibilità umana, la
possibilità a tutti comune di commettere errori, con la negazione della vita, il rifiuto della sua possibilità di
redimersi: l’essere umano intero viene ridotto ad una sua singola azione che assume un carattere eterno e
imperdonabile. Questo non è forse assurdo? La vita di un uomo, quel continuo ciclo di cadere e rialzarsi,
viene negata, annullata e annientata. E quell’uomo diventa un numero su una carta, la sua storia svanisce e
non resta che il dolore innocente della sua famiglia. Riflettiamo.” (Paolo Franchi)
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Appendici
Articolo di Giorgio Bocca sull’esecuzione del 4/03/1947 Articolo di Giorgio Bocca, giornalista presente all’esecuzione, pubblicato su La Repubblica il
4 marzo 20075.
Dieci persone assassinate in una cascina di Villarbasse da quattro banditi siciliani. Ne danno notizia La Nuova
Gazzetta del Popolo e La Nuova Stampa, il 30 novembre del 1945. Due cronisti, uno per giornale, sono stati
accompagnati in auto sul posto dai carabinieri, nessun fotografo, resoconti stringati, freddi: i giornali non
hanno spazio, i lettori sono stanchi di lutti, di orrori, di sangue, qui in Val Sangone sono avvenuti gli eccidi
della X Mas del principe Valerio Borghese, il principe nero. Villarbasse è uno di quei villaggi della campagna
torinese che sono immersi nella storia, ma ancora fuori dalla modernità. Rivoli con il suo castello è a cinque
chilometri e in cinque chilometri si sale alla Sagra di San Michele, l'abbazia dei Longobardi dalle mura alte, e
ai precipizi che non riuscirono a fermare Carlo Magno. Dentro la storia e dentro le leggende, che fanno da
sfondo come le nebbioline delle colline di Giaveno che diedero i natali al corridore ciclista Martano. Ma sì,
scriviamolo: perché le guerre si dimenticano, ma le memorie del Giro d' Italia restano. E resta la bagna caoda,
la salsa di acciughe olio e aglio che continua a cuocere nei fornelletti per condire, ardente, le verdure
freschissime. La bagna caoda è presente in tutte le fasi della strage di Villarbasse. Sul tavolo dell'osteria
torinese di via Cibrario, dove i siciliani progettano il delitto, arrivati al Nord con la guerra, uniti dal mercato
nero. E c' è la bagna caoda la sera dell'eccidio alla cascina Simonetto, dove il proprietario, l'avvocato Massimo
Gianoli, ha riunito una bella tavolata con il fattore Antonio Ferrero, sua moglie, il genero Renato Morra, le
domestiche Teresa Delfino, Rosa Martinoli e Rosina Maffiotto, più un bimbo di due anni e il nuovo lavorante
Marcellino Gastaldi, venuto su per festeggiare l'assunzione. I banditi fanno irruzione verso le otto di sera.
Sono i tre che hanno progettato il delitto, Francesco La Barbera, Giovanni Puleo, Giovanni D' Ignoti; e poi c'
è Francesco Saporito detto Lala, che ha lavorato per alcuni mesi nella cascina. Si sono mascherati con dei
tovaglioli, sono armati di due pistole. L' operazione è preordinata, a catena. Puleo scende nella cantina, si
piazza sull' orlo della cisterna con un randello grande e nodoso, gli portano le vittime una ad una. Puleo è un
gigante, lascia che la vittima si avvicini alla cisterna e l'accoppa con un solo colpo micidiale di randello: si
salverà solo il bambino, abbandonato in una stanza. Saranno uccisi anche i mariti di due delle domestiche,
saliti alla cascina per cercare le mogli. Quando tutti gli amici dell'avvocato sono morti, i siciliani risalgono in
casa per raccogliere il bottino: duecentomila lire, quattro salami, tre paia di calze, dieci fazzoletti. Delitti così,
senza senso, senza pietà, sono frequenti in quel dopoguerra: una donna di Correggio, la Cianciulli, uccide le
sue vecchie amiche e poi le saponifica tenendo i pezzi in un ripostiglio della cucina; figlio e marito non se ne
accorgono. La Rina Fort ha ammazzato con una sbarra i figli di un suo amante che l'ha abbandonata. E la
politica è spesso un alibi per continuare ad uccidere. Noi, che raccontiamo sui giornali ciò che accade, viviamo
ubriachi di gioventù fra i delitti e le macerie dei bombardamenti, nelle tane urbane lasciate libere dagli
sconfitti, noi giornalisti della Gazzetta, di GL e dell'Unità approdati in casa Protani, il questore repubblichino
Protani, fucilato al "rondo d' la forca" dove prima impiccavano i ladri, e i buoni torinesi venivano a godersi lo
spettacolo. Gli assassini di Villarbasse stanno con il loro misero bottino nello sperduto borgo piemontese e
non sanno che fare, che cosa attendere, ma i dieci che stanno nella cisterna non li trova nessuno e son già
passati dieci giorni. Solo Saporito, che è un bandito vero di professione, capisce che bisogna fuggire, prende
il primo treno per Palermo, torna a Mezzojuso, il paese dove sono nati e cresciuti tutti e quattro, a farsi
uccidere dalla Mafia: non per Villarbasse, ma per altri suoi assassinii o sgarbi. Sono trascorsi, dicevo, dieci
giorni e sulla collina di Villarbasse nulla si muove. Porte finestre della cascina sono chiuse. I cadaveri delle
dieci vittime stanno nella cisterna, i carabinieri sono passati un pomeriggio e i siciliani gli hanno detto che l'
avvocato è partito, non sanno per dove. Eppure le tracce del delitto sono numerose, visibili: un contadino ha
trovato nel prato un cappello macchiato di sangue, poi un vicino ha notato altre macchie di sangue nella
cantina e una giacca sul cui bavero è rimasto appuntato un biglietto con scritta la parola Caltanissetta, che
5 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/03/04/pena-di-morte-quell-ultima-volta-nell.html
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vuol dire? Il capo partigiano Fasola setaccia la zona con i suoi amici e, finalmente, si ricorda della cantina. L'
ingresso è coperto da uno strato di foglie, le rastrellano, entrano e arrivano alla cisterna. Fasola prende una
pertica e cerca nella cisterna, i cadaveri sono al fondo uno accanto all' altro. Questa volta i carabinieri possono
fare il loro mestiere, ricercano e arrestano i siciliani, pronti alla confessione. Sono degli assassini, ma non si
direbbe che sappiano quello che hanno fatto. Un giorno il francescano Ruggero Cipolla, che assiste i
prigionieri alle Nuove di Torino, entra nella cella di Puleo e lo trova steso a terra sotto un lenzuolo sopra il
quale ne ha appeso un altro come un catafalco. E dice al monaco: «Ho deciso di piangere la mia morte, tanto
nessuno lo farà per me». Quando arriva la notizia che la Cassazione ha respinto la domanda di mutare la
sentenza di morte, ululano come lupi per tutta la notte. Ho una memoria incerta e nebbiosa di quella tetra
fucilazione del 4 marzo del 1947, l' ultima condanna a morte eseguita in Italia. Un maresciallo dei carabinieri
mi porta al poligono delle basse di Stura dove, nei tempi felici dei Savoia, c' era una delle riserve di caccia più
vicine alla reggia. I lugubri preparativi sembrano ultimati: il plotone di esecuzione di trentasei uomini è
schierato sul pendio che sta di fronte al muro dei condannati. C' è il frate che va da una sedia all' altra, cui i
condannati sono legati, e mormora parole consolatrici che loro non ascoltano rannicchiati come orsi dietro il
legno delle sedie, l' ultima illusoria protezione. Un signore in abito scuro, il questore suppongo, fa dei segni
perché si affretti l' esecuzione e finisca questa maledetta grana. I soldati del plotone sono nervosi, a uno cade
il fucile di mano: allora accorre l' ufficiale comandante con la sciarpa azzurra. Parte la scarica che, nel vuoto
della campagna, è appena un crepitio, tanto che neanche i passeri si spaventano. Due dei condannati si
afflosciano sulle sedie, Puleo non so come, torcendosi è riuscito a sollevarsi e a gridare qualcosa. Ma cosa?
Un collega ha preso appunti. «Che cosa ha gridato?». «Viva la Sicilia indipendente e libera». Passano alcuni
anni e mi telefona da Torino, dalla Fiat Mirafiori, un siciliano: «Sono del comitato Sicilia libera, le chiediamo
di smentire i suoi scritti su Giovanni Puleo e i compagni uccisi nel complotto anti-siciliano di Villarbasse». «Va
bene - dico -, mandatemi del materiale». Non si sono più fatti vivi.
Cesare Beccaria "Dei delitti e delle pene" Cap.28 - Della pena di morte6
Questa inutile prodigalità di supplicii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili' Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l'aggregato delle particolari. Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo' Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita' E se ciò fu fatto, come si accorda un tal principio coll'altro, che l'uomo non è padrone di uccidersi, e doveva esserlo se ha potuto dare altrui questo diritto o alla società intera'
Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho dimostrato che tale essere non può, ma è una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere. Ma se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell'umanità. La morte di un cittadino non può credersi necessaria che per due motivi. Il primo, quando anche privo di libertà egli abbia ancora tali relazioni e tal potenza che interessi la sicurezza della nazione; quando la sua esistenza possa produrre una rivoluzione pericolosa nella forma di governo stabilita. La morte di qualche cittadino divien dunque necessaria quando la nazione ricupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell'anarchia, quando i disordini stessi tengon luogo di leggi; ma durante il tranquillo regno delle leggi, in una forma di governo per la quale i voti della nazione siano riuniti, ben munita al di fuori e al di dentro dalla forza e dalla opinione, forse piú efficace della forza medesima, dove il comando non è che presso il vero sovrano, dove le ricchezze comprano piaceri e non autorità, io non veggo necessità alcuna di distruggere un cittadino, se non quando la
6 Dei delitti e delle pene. Da http:///www.liberliber.it/biblioteca/b/beccaria/index.htm
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di lui morte fosse il vero ed unico freno per distogliere gli altri dal commettere delitti, secondo motivo per cui può credersi giusta e necessaria la pena di morte.
Quando la sperienza di tutt'i secoli, nei quali l'ultimo supplicio non ha mai distolti gli uomini determinati dall'offendere la società, quando l'esempio dei cittadini romani, e vent'anni di regno dell'imperatrice Elisabetta di Moscovia, nei quali diede ai padri dei popoli quest'illustre esempio, che equivale almeno a molte conquiste comprate col sangue dei figli della patria, non persuadessero glisangue dei figli della patria, non persuadessero gli uomini, a cui il linguaggio della ragione è sempre sospetto ed efficace quello dell'autorità, basta consultare la natura dell'uomo per sentire la verità della mia assersione.
Non è l'intensione della pena che fa il maggior effetto sull'animo umano, ma l'estensione di essa; perché la nostra sensibilità è piú facilmente e stabilmente mossa da minime ma replicate impressioni che da un forte ma passeggiero movimento. L'impero dell'abitudine è universale sopra ogni essere che sente, e come l'uomo parla e cammina e procacciasi i suoi bisogni col di lei aiuto, cosí l'idee morali non si stampano nella mente che per durevoli ed iterate percosse. Non è il terribile ma passeggiero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuto bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella società che ha offesa, che è il freno piú forte contro i delitti. Quell'efficace, perché spessissimo ripetuto ritorno sopra di noi medesimi, io stesso sarò ridotto a cosí lunga e misera condizione se commetterò simili misfatti, è assai piú possente che non l'idea della morte, che gli uomini veggon sempre in una oscura lontananza.
La pena di morte fa un'impressione che colla sua forza non supplisce alla pronta dimenticanza, naturale all'uomo anche nelle cose piú essenziali, ed accelerata dalle passioni. Regola generale: le passioni violenti sorprendono gli uomini, ma non per lungo tempo, e però sono atte a fare quelle rivoluzioni che di uomini comuni ne fanno o dei Persiani o dei Lacedemoni; ma in un libero e tranquillo governo le impressioni debbono essere piú frequenti che forti.
La pena di morte diviene uno spettacolo per la maggior parte e un oggetto di compassione mista di sdegno per alcuni; ambidue questi sentimenti occupano piú l'animo degli spettatori che non il salutare terrore che la legge pretende inspirare. Ma nelle pene moderate e continue il sentimento dominante è l'ultimo perché è il solo. Il limite che fissar dovrebbe il legislatore al rigore delle pene sembra consistere nel sentimento di compassione, quando comincia a prevalere su di ogni altro nell'animo degli spettatori d'un supplicio piú fatto per essi che per il reo.
Perché una pena sia giusta non deve avere che quei soli gradi d'intensione che bastano a rimuovere gli uomini dai delitti; ora non vi è alcuno che, riflettendovi, scieglier possa la totale e perpetua perdita della propria libertà per quanto avvantaggioso possa essere un delitto: dunque l'intensione della pena di schiavitù perpetua sostituita alla pena di morte ha ciò che basta per rimuovere qualunque animo determinato; aggiungo che ha di piú: moltissimi risguardano la morte con viso tranquillo e fermo, chi per fanatismo, chi per vanità, che quasi sempre accompagna l'uomo al di là dalla tombachi per un ultimo e disperato tentativo o di non vivere o di sortir di miseria; ma né il fanatismo né la vanità stanno fra i ceppi o le catene, sotto il bastone, sotto il giogo, in una gabbia di ferro, e il disperato non finisce i suoi mali, ma gli comincia. L'animo nostro resiste piú alla violenza ed agli estremi ma passeggieri dolori che al tempo ed all'incessante noia; perché egli può per dir cosí condensar tutto se stesso per un momento per respinger i primi, ma la vigorosa di lui elasticità non basta a resistere alla lunga e ripetuta azione dei secondi. Colla pena di morte ogni esempio che si dà alla nazione suppone un delitto; nella pena di schiavitù perpetua un sol delitto dà moltissimi e durevoli esempi, e se egli è importante che gli uomini veggano spesso il poter delle leggi, le pene di morte non debbono essere molto distanti fra di loro: dunque suppongono la frequenza dei delitti, dunque perché questo supplicio sia utile bisogna che non faccia su gli uomini tutta l'impressione che far dovrebbe, cioè che sia utile e non utile nel medesimo tempo. Chi dicesse che la schiavitù perpetua è dolorosa quanto la morte, e perciò egualmente crudele, io risponderò che sommando tutti i momenti infelici della schiavitù lo sarà forse anche di piú, ma questi sono stesi sopra tutta la vita, e quella esercita tutta la sua forza in un momento; ed è
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questo il vantaggio della pena di schiavitù, che spaventa piú chi la vede che chi la soffre; perché il primo considera tutta la somma dei momenti infelici, ed il secondo è dall'infelicità del momento presente distratto dalla futura. Tutti i mali s'ingrandiscono nell'immaginazione, e chi soffre trova delle risorse e delle consolazioni non conosciute e non credute dagli spettatori, che sostituiscono la propria sensibilità all'animo incallito dell'infelice.
Ecco presso poco il ragionamento che fa un ladro o un assassino, i quali non hanno altro contrappeso per non violare le leggi che la forca o la ruota. So che lo sviluppare i sentimenti del proprio animo è un'arte che s'apprende colla educazione; ma perché un ladro non renderebbe bene i suoi principii, non per ciò essi agiscon meno. Quali sono queste leggi ch'io debbo rispettare, che lasciano un cosí grande intervallo tra me e il ricco' Egli mi nega un soldo che li cerco, e si scusa col comandarmi un travaglio che non conosce. Chi ha fatte queste leggi' Uomini ricchi e potenti, che non si sono mai degnati visitare le squallide capanne del povero, che non hanno mai diviso un ammuffito pane fralle innocenti grida degli affamati figliuoli e le lagrime della moglie. Rompiamo questi legami fatali alla maggior parte ed utili ad alcuni pochi ed indolenti tiranni, attacchiamo l'ingiustizia nella sua sorgente. Ritornerò nel mio stato d'indipendenza naturale, vivrò libero e felice per qualche tempo coi frutti del mio coraggio e della mia industria, verrà forse il giorno del dolore e del pentimento, ma sarà breve questo tempo, ed avrò un giorno di stento per molti anni di libertà e di piaceri. Re di un piccol numero, correggerò gli errori della fortuna, e vedrò questi tiranni impallidire e palpitare alla presenza di colui che con un insultante fasto posponevano ai loro cavalli, ai loro cani. Allora la religione si affaccia alla mente dello scellerato, che abusa di tutto, e presentandogli un facile pentimento ed una quasi certezza di eterna felicità, diminuisce di molto l'orrore di quell'ultima tragedia.
Ma colui che si vede avanti agli occhi un gran numero d'anni, o anche tutto il corso della vita che passerebbe nella schiavitù e nel dolore in faccia a' suoi concittadini, co' quali vive libero e sociabile, schiavo di quelle leggi dalle quali era protetto, fa un utile paragone di tutto ciò coll'incertezza dell'esito de' suoi delitti, colla brevità del tempo di cui ne goderebbe i frutti. L'esempio continuo di quelli che attualmente vede vittime della propria inavvedutezza, gli fa una impressione assai piú forte che non lo spettacolo di un supplicio che lo indurisce piú che non lo corregge.
Non è utile la pena di morte per l'esempio di atrocità che dà agli uomini. Se le passioni o la necessità della guerra hanno insegnato a spargere il sangue umano, le leggi moderatrici della condotta degli uomini non dovrebbono aumentare il fiero esempio, tanto piú funesto quanto la morte legale è data con istudio e con formalità. Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio. Quali sono le vere e le piú utili leggi' Quei patti e quelle condizioni che tutti vorrebbero osservare e proporre, mentre tace la voce sempre ascoltata dell'interesse privato o si combina con quello del pubblico. Quali sono i sentimenti di ciascuno sulla pena di morte' Leggiamoli negli atti d'indegnazione e di disprezzo con cui ciascuno guarda il carnefice, che è pure un innocente esecutore della pubblica volontà, un buon cittadino che contribuisce al ben pubblico, lo stromento necessario alla pubblica sicurezza al di dentro, come i valorosi soldati al di fuori. Qual è dunque l'origine di questa contradizione' E perché è indelebile negli uomini questo sentimento ad onta della ragione' Perché gli uomini nel piú secreto dei loro animi, parte che piú d'ogn'altra conserva ancor la forma originale della vecchia natura, hanno sempre creduto non essere la vita propria in potestà di alcuno fuori che della necessità, che col suo scettro di ferro regge l'universo.
Che debbon pensare gli uomini nel vedere i savi magistrati e i gravi sacerdoti della giustizia, che con indifferente tranquillità fanno strascinare con lento apparato un reo alla morte, e mentre un misero spasima nelle ultime angosce, aspettando il colpo fatale, passa il giudice con insensibile freddezza, e fors'anche con segreta compiacenza della propria autorità, a gustare i comodi e i piaceri della vita' Ah!, diranno essi, queste leggi non sono che i pretesti della forza e le meditate e crudeli formalità della giustizia; non sono che un linguaggio di convenzione per immolarci con maggiore sicurezza, come vittime destinate in sacrificio, all'idolo insaziabile del dispotismo. L'assassinio, che ci vien predicato come un terribile misfatto, lo veggiamo pure senza ripugnanza e senza furore adoperato. Prevalghiamoci dell'esempio. Ci pareva la morte violenta una
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scena terribile nelle descrizioni che ci venivan fatte, ma lo veggiamo un affare di momento. Quanto lo sarà meno in chi, non aspettandola, ne risparmia quasi tutto ciò che ha di doloroso! Tali sono i funesti paralogismi che, se non con chiarezza, confusamente almeno, fanno gli uomini disposti a' delitti, ne' quali, come abbiam veduto, l'abuso della religione può piú che la religione medesima.
Se mi si opponesse l'esempio di quasi tutt'i secoli e di quasi tutte le nazioni, che hanno data pena di morte ad alcuni delitti, io risponderò che egli si annienta in faccia alla verità, contro della quale non vi ha prescrizione; che la storia degli uomini ci dà l'idea di un immenso pelago di errori, fra i quali poche e confuse, e a grandi intervalli distanti, verità soprannuotano. Gli umani sacrifici furon comuni a quasi tutte le nazioni, e chi oserà scusargli' Che alcune poche società, e per poco tempo solamente, si sieno astenute dal dare la morte, ciò mi è piuttosto favorevole che contrario, perché ciò è conforme alla fortuna delle grandi verità, la durata delle quali non è che un lampo, in paragone della lunga e tenebrosa notte che involge gli uomini. Non è ancor giunta l'epoca fortunata, in cui la verità, come finora l'errore, appartenga al piú gran numero, e da questa legge universale non ne sono andate esenti fin ora che le sole verità che la Sapienza infinita ha voluto divider dalle altre col rivelarle.
La voce di un filosofo è troppo debole contro i tumulti e le grida di tanti che son guidati dalla cieca consuetudine, ma i pochi saggi che sono sparsi sulla faccia della terra mi faranno eco nell'intimo de' loro cuori; e se la verità potesse, fra gl'infiniti ostacoli che l'allontanano da un monarca, mal grado suo, giungere fino al suo trono, sappia che ella vi arriva co' voti segreti di tutti gli uomini, sappia che tacerà in faccia a lui la sanguinosa fama dei conquistatori e che la giusta posterità gli assegna il primo luogo fra i pacifici trofei dei Titi, degli Antonini e dei Traiani.
Felice l'umanità, se per la prima volta le si dettassero leggi, ora che veggiamo riposti su i troni di Europa monarchi benefici, animatori delle pacifiche virtú, delle scienze, delle arti, padri de' loro popoli, cittadini coronati, l'aumento dell'autorità de' quali forma la felicità de' sudditi perché toglie quell'intermediario dispotismo piú crudele, perché men sicuro, da cui venivano soffogati i voti sempre sinceri del popolo e sempre fausti quando posson giungere al trono! Se essi, dico, lascian sussistere le antiche leggi, ciò nasce dalla difficoltà infinita di togliere dagli errori la venerata ruggine di molti secoli, ciò è un motivo per i cittadini illuminati di desiderare con maggiore ardore il continuo accrescimento della loro autorità.
La Chiesa e la Pena Capitale7 Dio non vuole la morte del peccatore
di don Luigi Lorenzetti
(direttore della rivista "Teologia morale" e docente di teologia)
La cultura tradizionale – anche cristiana – ha considerato la legittimità morale e giuridica della pena di morte
sulla base di una triplice funzione che le si attribuiva: la deterrenza (intimidazione o prevenzione) con lo
scoraggiare dal commettere determinati crimini; la compensazione (o retribuzione) con il ristabilire un
equilibrio sociale infranto; la difesa o sicurezza sociale da persone socialmente pericolose.
Paradossalmente, la delegittimazione è venuta affermandosi, nella coscienza collettiva, proprio a partire da
quella triplice argomentazione che un tempo veniva addotta per legittimarla. Rigorosi studi sociologici,
psicosociologici, giuridici hanno dimostrato che la pena di morte non ha funzione deterrente, vale a dire non
scoraggia dal commettere crimini e delitti; non è compensatoria, in quanto un omicidio legale e programmato
dallo Stato, non compensa il crimine che è stato perpetrato; non è riabilitativa, come esige il diritto penale di
ogni società civile. Non è nemmeno difesa sociale da persona socialmente pericolosa, per il semplice fatto
che il colpevole, una volta consegnato alla giustizia, non può ulteriormente nuocere. In breve, le motivazioni
per legittimare la pena di morte hanno perso progressivamente ogni fondamento sostenibile.
7 http://www.stpauls.it/fa_oggi06/0605f_o/0605fo49.htm#1
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Il pensiero cristiano, nel corso della storia, è stato condizionato dalla cultura dominante e ha dimostrato
scarsa capacità di condizionarla e orientarla secondo una logica umana e cristiana. Ancora oggi cristiani,
singoli e associati in movimenti, ritengono che non c’è contraddizione tra essere cattolici e sostenitori della
pena di morte. Ancora più, pensano di addurre, a sostegno della loro posizione, la dottrina della Chiesa, che
sarebbe riproposta in documenti ecclesiali recenti, come il Catechismo della Chiesa cattolica (1992).
In realtà, la morale cattolica ha chiuso con il pensiero tradizionale e ha aperto un’altra tradizione. In questa
prospettiva, pare significativa la vicenda della pena di morte nel Catechismo della Chiesa cattolica (1992).
L’autorevole testo, al n. 2266, sembra riproporre la posizione tradizionale, ma così non è, se quel numero
viene letto unitamente a quello successivo (n. 2267), dove si ricorda alla società e, per essa, allo Stato
l’obbligo di ricorrere a vie alternative alla pena di morte. In altre parole, si richiama la dottrina tradizionale
ma per superarla (vedi box pag. 58)
Non si può negare, tuttavia, che la posizione del Catechismo era suscettibile di essere strumentalizzata da
quanti desiderano pensare, in tema di pena di morte, come si è sempre pensato. Certamente non è
pertinente il contesto di legittima difesa entro il quale si colloca la pena di morte. Un individuo socialmente
pericoloso, che è in carcere, non è un aggressore alla società e, quindi, non può verificarsi il caso della
necessaria difesa.
Tre anni dopo la promulgazione del Catechismo, l’enciclica Evangelium vitae (1995) ritorna sulla pena di
morte e annuncia, tra i «segni di speranza» della cultura della vita, la nuova sensibilità: «Nel medesimo
orizzonte (di speranza) si pone altresì la sempre più diffusa avversione dell’opinione pubblica alla pena di
morte anche solo come strumento di legittima difesa sociale, in considerazione delle possibilità di cui dispone
una moderna società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui
che l’ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi»8.
Il testo riconosce il principio della legittimità della pena di morte, come era scritto nel Catechismo della Chiesa
cattolica, ma non a caso osserva che «si registra, nella Chiesa come nella società civile, una crescente
tendenza che ne chiede un’applicazione assai limitata anzi una totale abolizione»; inoltre, a riguardo delle
situazioni che parrebbero di assoluta necessità nel comminarla, insegna che «oggi[...] a seguito
dell’organizzazione sempre più adeguata dell’istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari, se non
addirittura praticamente inesistenti». Detto più chiaramente, propone autorevolmente la possibilità e il
dovere di adottare altre forme di repressione che rendono inoffensivo il delinquente e, nello stesso tempo,
permettono la sua riabilitazione; e insegna che i casi in cui non ci sono vie alternative alla pena di morte
«sono ormai rari, se non addirittura praticamente inesistenti».
Si trattava, a questo punto, di conciliare la posizione dei due testi: quella del Catechismo con quella
dell’enciclica. Nel 1997 è stata pubblicata l’edizione tipica latina del Catechismo della Chiesa cattolica che –
aggiornando la precedente edizione in base al n. 56 dell’Evangelium vitae – chiarisce la posizione su due
punti: in linea di principio, la pena di morte non è esclusa in assoluto; oggi, tuttavia, tale principio non trova
praticamente alcuna giusta applicazione9.
La domanda è inevitabile: la pena di morte è immorale di fatto, perché non lo è anche di diritto? È sufficiente
affermare che l’autorità pubblica ha tale diritto, ma che oggi ogni suo esercizio è ingiustificato? Sono
domande che rinviano a un ulteriore sviluppo e approfondimento della dottrina cattolica. In ogni caso, una
cosa è evidente: la volontà di chiudere con la tradizione del passato e di aprirne una alternativa, così da non
8 Evangelium vitae 56. 9 Catechismus Catholicae Ecclesiae, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 1997, n. 2267: «Casus in quibus absolute necessarium sit ut reus supprimatur, "admodum raro [...]intercidunt [...], si qui omnino iam reapse accidunt"».
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prestarsi, nel presente e nel futuro, ad avallare una prassi barbara, inutile, immorale, antiumana e, a
maggiore ragione, anticristiana. A conferma di tale impostazione, ci sono ulteriori e autorevoli dichiarazioni
del magistero pontificio ed episcopale. «Un segno di speranza è costituito dal crescente riconoscimento che
la dignità della vita umana non deve mai essere negata, nemmeno a chi ha fatto del grande male»10.
Il cambiamento, sebbene non ancora portato alle ultime conseguenze, è dovuto a un ascolto più attento della
parola di Dio. In questa prospettiva, l’enciclica Evangelium vitae offre una solida base per una teologia della
vita che ha diretta pertinenza anche per l’argomento in questione: solo Dio è padrone della vita e della morte;
la vita umana è sacra, perché è posta sotto la sovranità di Dio e, quindi, sottratta a ogni potere umano. Non
solo la vita dell’innocente ma anche del delinquente, gode della protezione di Dio. Intenzionalmente, al n. 9,
si ricorda che Dio stesso scende in campo perché Caino non sia messo a morte, nemmeno per vendicare
l’uccisione di Abele (Gen 4,14-15). La misericordia di Dio raggiunge ogni essere umano, malgrado l’enormità
del crimine commesso.
Un ritorno alla Sacra Scrittura
Il ritorno alla Sacra Scrittura è doveroso per un duplice motivo. Anzitutto perché è la fonte primaria della
morale teologica; e anche perché la teologia morale ha avallato, nel passato, la legittimità della pena di
morte, anche in nome della parola di Dio, in particolare di alcuni passaggi dell’Antico Testamento. Tali
riferimenti vanno ripensati per una ragione quasi istintiva: è impensabile che il Dio della vita, quale si è
rivelato, possa mettersi a disposizione di qualche causa di morte. Non si tratta, certo, di contrapporre il
Vecchio al Nuovo Testamento e optare per il Nuovo Testamento, quanto piuttosto di verificare come e perché
la posizione legittimatrice della pena di morte sia superata all’interno della rivelazione stessa nel suo
processo storico ed evolutivo. La Sacra Scrittura non va soltanto letta, ma interpretata, per non rischiare di
trasmettere per parola di Dio quanto è addebitabile alla cultura del tempo. Gesù di Nazareth è il primo
ermeneuta e interprete delle norme dell’Antico Testamento: impedisce l’uccisione dell’adultera e di altre
persone colpevoli di violazioni punibili – secondo la legge mosaica – con la pena di morte. Dio, in Gesù, si
rivela definitivamente come colui che combatte il male, ma offre al peccatore spazio di conversione e di
ritorno alla vita buona. Soltanto Dio è padrone della vita e della morte. Il diritto alla vita si fonda sulla vita
stessa, quindi su Dio. Innocente o non innocente, la vita umana è sotto la sua protezione. «Dio impose a
Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato» (Gen 4,15). Al riguardo, l’enciclica
Evangelium vitae offre un lucido commento e scrive: «Gli dà, dunque, un contrassegno, che ha lo scopo non
di condannarlo all’esecrazione degli altri uomini, ma di proteggerlo e difenderlo da quanti vorranno ucciderlo
fosse anche per vendicare la morte di Abele» (n. 9). Dio si è rivelato come colui che non vuole la morte del
peccatore, ma che «si converta e viva». Nel disegno di Dio, l’intera esistenza è tempo di conversione e
nessuno ha diritto di interrompere questa possibilità. La pena di morte si fonda sul pregiudizio e sulla
indimostrata persuasione che la persona sia irredimibile e inconvertibile.
D’altra parte, il cristianesimo storico riconosce di non aver sempre testimoniato il Vangelo della vita e, peggio
ancora, di averlo reso funzionale alle idee e comportamenti del proprio tempo. Più che condizionare la
cultura dominante, è stato condizionato, offrendo addirittura avallo e legittimazione religiosa. Non sempre
tutte le tematiche sociali e morali sono maturate adeguatamente tra i cristiani del tempo. Uno dei casi – ha
affermato riconosciuto un autorevole uomo di Chiesa – è proprio la pena di morte. Ma oggi tutti i cristiani
sanno, come ha ricordato Giovanni Paolo II, che soltanto Dio è padrone della vita e della morte.
In base al magistero della Chiesa, fondato sulla parola di Dio, prende avvio un nuovo modo di pensare. E
questo è dovuto a tre fattori diversi ma convergenti nel comprendere l’immoralità della pena di morte. Il
primo rinvia a un dato, per così dire giuridico-penale: la pena di morte non soddisfa, come è stato
precedentemente chiarito, a nessuna delle tre motivazioni addotte per la giustificazione della pena in
generale: dissuasione, compensazione, riabilitazione. Il secondo fa riferimento alla crescente coscienza
10 Giovanni Paolo II, omelia del 27 gennaio 1999 a St. Louis, Usa.
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collettiva che si esprime nella contrarietà alla pena di morte (opinione pubblica, movimento abolizionista
anche di matrice laica). Tale fenomeno, puntualmente registrato, costituisce un chiaro segno dei tempi da
interpretare come altamente positivo e, quindi, da promuovere. Il terzo fattore è frutto maturo di un ritorno
più evidente ed esplicito da parte della teologia morale, dopo il Concilio Vaticano II, alla parola di Dio, che ha
dischiuso chiaramente l’orizzonte su due principi fondamentali: la dignità e il valore della vita umana, di ogni
vita umana, e l’assoluta signoria di Dio sulla vita.
Tutto questo è compreso e condiviso a mente fredda, ma è messo in questione ogni volta che eventi criminali,
come omicidi di bambini dopo violenze sessuali, mettono a dura prova l’opinione pubblica. Simili reazioni
sono comprensibili a livello emotivo, non lo sono in base alla ragione e alla fede. Scienza ed esperienza sono
concordi nel dimostrare che la lotta alla delinquenza e alla criminalità non ha bisogno della pena di morte.
Questa può rappresentare addirittura un alibi per non affrontare alla radice la prevenzione della criminalità.
I familiari delle vittime hanno diritto alla giustizia, ma la loro disperazione non troverà certo sollievo
nell’esecuzione programmata di un’altra crudeltà e barbarie.
Liberare le coscienze
In presenza di crimini atroci che periodicamente insanguinano le società, tengono banco e ottengono ascolto,
presso larga parte della popolazione, i promotori della reintroduzione della pena di morte nel codice penale
italiano. È abbastanza facile denunciare la familiarità e la simpatia di questi per la morte da usare come
strumento di ordine e di tranquillità sociale. D’altra parte, l’esteso favore popolare per la pena di morte non
trova adeguata spiegazione e non può essere fatto rientrare con la sola individuazione della fonte da cui
proviene un simile appello. Non basta neppure denunciare che l’idea della pena di morte è barbara e che
nulla ottiene se non estendere l’area della morte.
Occorre piuttosto riflettere sul significato di una richiesta che viene definita barbara, ma che è avanzata da
gente che barbara non è. Non basta riconoscere che nel Paese c’è esasperazione e reazione feroce a certi
delitti. In presenza di atroci omicidi, sequestri di persona, delitti mafiosi, è comprensibile che esploda
l’indignato furore dei cittadini onesti. Il consenso popolare alla pena di morte, è sintomo, manifestazione di
un problema più profondo: come mai si perviene a credere che la morte, da dare per mano dello Stato, è
risposta efficace alla delinquenza e alla criminalità?
Che la gente comune, quella semplice e onesta per intenderci, si lasci condurre nel vicolo cieco della morte,
prima subita e poi data, è una prima riflessione che s’impone. Che si faccia appello alla morte per distruggere
la morte, è un dato sul quale è necessario confrontarsi per non rischiare di fare del moralismo o
dell’accademia sul pro o contro la pena di morte. La gente, quei morti stesi sul selciato delle strade, quelle
stragi sulle piazze e alle stazioni ferroviarie, li ha interiorizzati, li ha accompagnati con una risorgente speranza
che fossero sempre gli ultimi, ma inutilmente.
Giustizia o soltanto vendetta?
Lo Stato italiano ha abolito la pena di morte nel 1944. La Costituzione italiana sentenzia: «Non è ammessa la
pena di morte se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra» (art. 27,4). Quando è stata abolita, si è
scritto che era un gran giorno per l’Italia, un giorno da festeggiare e celebrare. Che periodicamente si riprenda
il dibattito e si voglia ripristinarla, significa forse che allora si è peccato di umanitarismo e di ingenuità?
Occorre demistificare l’idea della pena di morte per toglierle ogni fondamento e ogni favore. La pena di morte
non è altro che un delitto commesso con i crismi della legge. Certamente la società e, per essa, lo Stato può
e deve garantire la sicurezza e tranquillità sociale, con il prevenire e punire i delitti e i delinquenti con mezzi
e strumenti a sua disposizione senza ricorrere all’eliminazione fisica del delinquente. Nel caso si ricorra a
questo mezzo, altro non è che vendetta nel senso deteriore del termine. Quale altro aggettivo
qualificherebbe tale società se non quello di disumana e barbara? L’idea della pena capitale costituisce uno
sfogo per la violenza repressa delle masse, ma non rappresenta alcun deterrente per chi ha scelto la via del
delitto, del fanatismo. Si sa che l’indice statistico dei delitti non s’abbassa con la minaccia del patibolo.
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Da parte di molti, tuttavia, si sostiene che, al di là dell’efficacia della deterrenza, la pena capitale si giustifica
«come una necessità del vivere civile: una funzione che deve essere adempiuta, costi quel che costi, senza
preoccuparsi che serva o non serva, per stabilire e mantenere un equilibrio di delitto e castigo che è – questo
sì – sacro». A delitto massimo quindi, castigo massimo, e così l’ordine morale e sociale, come giustizia vuole,
sarebbe ristabilito. A ben considerare le cose, si avverte chiaramente che neppure per questa strada, forse
la più sottile e subdola, si perviene a dare una patente di giustizia alla pena di morte. Infatti, per essere sicuri
di ristabilire la giustizia e l’equilibrio tra delitto e castigo, bisognerebbe valutare con accuratezza la
responsabilità personale del reo, cosa umanamente impossibile. Così l’equivalenza tra delitto e castigo
diviene equivalenza tra delitto e delitto: anziché ristabilimento dell’ordine morale e sociale, si ha nuova
rottura e ulteriore ingiustizia. Inoltre, l’esecuzione della pena di morte rende irrimediabile la sentenza,
qualora fatti nuovi obbligassero a una riapertura del processo che potrebbe scagionare in tutto o in parte il
condannato.
Da ultimo, ma non di importanza, non si può dimenticare che il soggetto, anche se autore di delitti che
meritano il massimo della pena, può, con il passare del tempo, ravvedersi e pentirsi. Non si tratta soltanto di
credere nella possibile riabilitazione, ma anche e soprattutto di favorire tale processo. La pena deve
corrispondere a criteri di umanità e offrire la possibilità di rieducazione e ricuperabilità del reo. Tale alta e
nobile espressione di umanità viene sanzionata nella Costituzione italiana (art. 27). In tale prospettiva, non
soltanto risulta ingiustificabile la pena di morte, in quanto si fonda, in modo arbitrario e gratuito, sulla
irrecuperabilità del condannato. I cristiani che credono in un Dio che non vuole la morte del peccatore, ma
che si converta e viva, che dà a tutti la possibilità del ritorno a una nuova vita, potranno manifestarsi meno
sensibili dei non credenti, nel percepire e nel fare avanzare consapevolmente la contrarietà alla pena di
morte? La pena di morte è l’estremo ricorso alla violenza degli Stati deboli, vi introduce la crudeltà e l’arbitrio
senza per questo restaurare l’auctoritas.
La denuncia dell’immoralità della pena capitale trova significative convergenze con diverse correnti culturali.
La visione cristiana, tuttavia, offre un orizzonte più vasto per comprendere la dignità, l’inviolabilità e
l’indisponibilità della vita umana, di ogni vita umana e, nel contempo, per tradurre il valore della vita nelle
leggi e nelle strutture sociali e politiche.
La vita e la morte dell’uomo sono sotto la Signoria di Dio. Nessun essere umano è padrone della vita e della
morte dell’altro: sia esso innocente o reo. La distinzione tradizionale tra essere umano innocente, che
avrebbe diritto alla vita, ed essere umano non innocente, che tale diritto avrebbe perso, può trovare
un’applicazione nel caso della legittima difesa, dove si dà conflittualità tra vita (dell’aggredito) e vita
(dell’aggressore). Ma la pena di morte, come si è dimostrato ampiamente, non ha nulla a che vedere con la
legittima difesa, dal momento che può essere assicurata senza ricorrere all’eliminazione fisica della persona
socialmente pericolosa.
Per liberare le coscienze dall’idea della pena di morte occorre liberarle dallo spirito di vendetta che insorge
anche nell’animo dei buoni. La morte buona è solo quella che arriva da sola. Quella che si produce in anticipo
è sempre cattiva, sia che la commini lo Stato o una banda armata. Rispettare la morte significa non usarla
come rimedio o strumento di affermazione di sé, di difesa sociale o di qualsiasi altro progetto sociale di
cambiamento.
Il no alla pena di morte, come a qualsiasi altro delitto contro la vita, deve trasformarsi in partecipazione civile
e politica, perché la società possa organizzare e promuovere misure giuste di difesa sociale e rinunciare a
quelle barbare e incivili.
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Sommario Introduzione ...................................................................................................................................................... 3
4 Marzo 1947 ................................................................................................................................................. 3
Situazione attuale .............................................................................................................................................. 4
Nel mondo ..................................................................................................................................................... 4
Rapporto si Nessuno Tocchi Caino ............................................................................................................ 4
Italia ............................................................................................................................................................... 5
Metodi di esecuzione ........................................................................................................................................ 7
Sedia elettrica ................................................................................................................................................ 7
Diffusione (in America) .............................................................................................................................. 7
Cenni storici ............................................................................................................................................... 7
Procedura .................................................................................................................................................. 8
Casi celebri ................................................................................................................................................. 8
Impiccagione .................................................................................................................................................. 8
Cenni storici ............................................................................................................................................... 8
Procedura .................................................................................................................................................. 9
Iniezione letale .............................................................................................................................................. 9
Diffusione (in America) .............................................................................................................................. 9
Procedura .................................................................................................................................................. 9
Camera a gas ............................................................................................................................................... 10
Diffusione (in America) ............................................................................................................................ 10
Procedura ................................................................................................................................................ 10
Durante il Nazismo. ................................................................................................................................. 11
Fucilazione ................................................................................................................................................... 11
Cenni storici ............................................................................................................................................. 11
Procedura (Italia) ..................................................................................................................................... 11
Procedura (USA) ...................................................................................................................................... 12
Metodi ..................................................................................................................................................... 12
Dibattito etico .................................................................................................................................................. 13
Favorevoli .................................................................................................................................................... 13
Argomenti ................................................................................................................................................ 13
Aforismi e citazioni .................................................................................................................................. 13
Contrari ........................................................................................................................................................ 14
Argomenti ................................................................................................................................................ 14
Aforismi e citazioni .................................................................................................................................. 15
Opinioni dei redattori del Giornalino .......................................................................................................... 15
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Appendici ......................................................................................................................................................... 17
Articolo di Giorgio Bocca sull’esecuzione del 4/03/1947 ............................................................................ 17
Cesare Beccaria "Dei delitti e delle pene" ................................................................................................... 18
La Chiesa e la Pena Capitale ........................................................................................................................ 21
Un ritorno alla Sacra Scrittura ................................................................................................................. 23
Liberare le coscienze ............................................................................................................................... 24
Giustizia o soltanto vendetta? ................................................................................................................. 24
Dossier realizzato per il Giornalino Scolastico del Liceo G.V. Catullo – “Sapere Aude”
Paolo Franchi
Versione 1.0
AMDG