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1. Introduzione

“L’atteggiamento davanti al malatoterminale è spesso il banco di prova del

senso di giustizia e di carità, della nobiltàd’animo, della responsabilità e della capa-cità professionale degli operatori sanitari,a cominciare dai medici” [1]. Di fatto,

Medicina e Morale 2018/2: 157-174 SEZIONE MEDICO-SCIENTIFICA

Percorso assistenziale e scelte terapeutiche nellaSclerosi Laterale Amiotrofica (SLA)

MARIO SABATELLI

Centro Clinico NeMO-Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli - IRCCS, Università Cattolica del SacroCuore

Corrispondenza: Centro Clinico NeMO-Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli - IRCCS, Università Cat-tolica del Sacro Cuore, Largo Francesco Vito, 1, 00168, Roma, Italia; e-mail: [email protected]

Ricevuto il 12 aprile 2018; Accettato il 2 maggio 2018

RIASSUNTO

La Sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia devastante caratterizzata da una paralisi progressiva dei mu-scoli scheletrici compresi quelli degli arti, della deglutizione, della fonazione e della respirazione. La morte si verificaentro 3-5 anni nella gran parte dei casi e in un contesto di grande sofferenza a causa dei sintomi della insufficienzarespiratoria. La introduzione di tecnologie innovative per supportare la funzione respiratoria con la ventilazionemeccanica ha cambiato notevolmente l’approccio assistenziale alle persone con SLA.Il presente contributo intende approfondire, sulla base dell’esperienza maturata presso il Centro Clinico NeMO-Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli - IRCCS, alcuni aspetti problematici nel percorso assistenziale edelle relative scelte terapeutiche per i pazienti affetti da SLA.

ABSTRACT

Care pathway and therapeutics choices for Amyiotrophic Lateral Sclerosis (ALS).

Amyiotrophic Lateral Sclerosis (ALS) is a devastating disease characterized by progressive muscular weakness, lea-ding to limb palsy, difficulties in swallowing, speaking and breathing. Death occurs within 3-5 years in most patientsin the context of significant suffering due to symptoms of respiratory failure. The availability of novel technology tosupport respiratory function by mechanical ventilation has profoundly changed the management of people with ALS.The present article addresses some critical aspects of both care pathway and the related therapeutics choices forpatients with ALS on the basis of the experience of the Centro Clinico NeMO-Fondazione Policlinico UniversitarioA. Gemelli - IRCCS.

Parole chiave: sclerosi laterale amiotrofica, tracheostomia, percorso assistenziale.

Keywords: amyiotrophic lateral sclerosis, tracheostomy, care pathway.

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molti operatori sanitari, medici compresi,sono spesso in difficoltà nell’affrontare ilfine vita.

Il medico deve necessariamente sapersiconfrontare con le fasi finali dell’esistenza.Il medico che assiste le persone colpitedalla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA)affronta peculiarità cliniche che raramentesi incontrano in altri campi della medicina.La morte è l’evoluzione obbligata nella to-talità dei casi, si verifica rapidamente e inun contesto di grande sofferenza. Morirecon sintomi di soffocamento per la paralisidei muscoli respiratori è una condizionedrammatica. Ancora di più se la persona èstata già devastata nel fisico e nella menteperché la malattia ha tolto l’autonomia mo-toria, la possibilità di parlare e di deglutire.Inoltre più che in ogni altra situazione,nella persona con SLA il morire si confi-gura nell’odierno contesto come un com-plesso processo decisionale più che comeun evento naturale.

Alleviare le sofferenze è il compito pri-mario dell’attività medica e a volte questoobiettivo coincide con la guarigione o ilmiglioramento della malattia di base. Neicasi di malattie inguaribili, come la SLA,le cure rivolte alla riduzione o eliminazionedei sintomi e al miglioramento della qualitàdi vita rappresentano l’unico obiettivo pos-sibile. Queste cure, che si chiamano pallia-tive, sono il fondamento dell’approccio allaSLA e iniziano sin dal momento della dia-gnosi e continuano fino alle fasi finali [2].Purtroppo le persone con la SLA si trova-vano spesso a subire non solo la devasta-zione propria della malattia, ma anchesofferenze aggiuntive dovute a incertezze,equivoci, ambiguità delle “regole” ri-guardo le scelte di fine vita. La riflessione

sugli aspetti clinici, giuridici ed etici portaalla considerazione che i problemi relativiall’accettazione o rifiuto delle terapie nonsiano riconducibili al vuoto di norme eticheo giuridiche ma al vuoto che lo sguardodella medicina moderna ha verso la per-sona ammalata.

Il presente contributo intende approfon-dire, sulla base dell’esperienza maturatapresso il Centro Clinico NeMO-Fonda-zione Policlinico Universitario A. Gemelli- IRCCS, alcuni aspetti problematici delpercorso assistenziale e delle relative scelteterapeutiche per i pazienti affetti da SLA.

2. La Sclerosi Laterale Amiotrofica

La SLA è una malattia caratterizzatadalla degenerazione di un gruppo di cel-lule nervose, i motoneuroni, deputati alcontrollo della muscolatura scheletrica. Diconseguenza la SLA determina una para-lisi progressiva di tutta la muscolatura,compresa quella degli arti, della respira-zione e della deglutizione. Le persone col-pite da SLA, in maniera rapida, perdonola capacità di camminare, di usare le ma-ni, di parlare, di deglutire e di respirare.L’insufficienza respiratoria rappresenta lacausa principale di morte che si verificain genere dopo 3-5 anni dall’inizio dellamalattia. La malattia può insorgere in ognietà ma è più frequente nell’età adulta, conpicco intorno ai 65 anni. È una malattiarara, con una prevalenza di 8 casi su100.0000 e in Italia si stimano circa 5.000ammalati [3].

La causa della SLA non è al momentoben definita e di conseguenza non sono di-sponibili terapie efficaci in grado di arre-

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stare il decorso della malattia. Nel 5-10%dei casi si osserva che più persone nel nu-cleo familiare allargato hanno la malattia ein questi casi si parla di SLA familiare. Visono solide evidenze che i fattori di rischiogenetici abbiano un ruolo determinateanche nei casi che si manifestano senza al-cuna familiarità. Dall’analisi delle autopsiesi è scoperto che, indipendentemente daigeni mutati, nel citoplasma dei motoneu-roni di quasi tutti i casi di SLA si accumulauna proteina, chiamata TDP43, che proba-bilmente ha un ruolo centrale nell’innescodei processi degenerativi. Lo studio del ge-noma (il DNA) delle persone ammalate diSLA e dei prodotti della sua espressione, leproteine, sta rappresentando in questa faseuno strumento di grande importanza perapprofondire le conoscenze sui meccani-smi che provocano la malattia e per indivi-duare possibili bersagli di nuove terapie[4].

3. Il percorso assistenziale

Non molti anni fa tutte le persone conSLA morivano senza che nulla si potessefare per fronteggiare l’incapacità dei mu-scoli a far funzionare il respiro o il mecca-nismo della deglutizione. Negli ultimi de-cenni si è determinato un cambiamentoradicale dell’approccio clinico alle personecon SLA. In particolare la disponibilità diinterventi innovativi per i problemi di re-spirazione e di nutrizione ha migliorato siala sopravvivenza che la qualità di vita [2].Quando si arriva alla fase della insuffi-cienza respiratoria è oggi possibile inter-venire con delle macchine, i ventilatori por-tatili, che pompano aria dentro i polmoni

indeboliti dalla malattia. Queste macchinesono piccole, facilmente gestibili e quindipossono essere utilizzate al domicilio. Iltubo che spinge l’aria può essere collegatocon l’ammalato tramite una maschera pog-giata sul viso, a tenuta, come quella dei su-bacquei (NIV dall’inglese Non InvasiveVentilation). Questo sistema diventa peròinsufficiente nell’arco di alcuni mesi e nellastoria di tutte le persone con SLA arriva ilmomento di valutare se proseguire l’assi-stenza del respiro con una modalità diffe-rente, la tracheostomia. La stessa macchinae gli stessi tubi vengono collegati diretta-mente alla trachea attraverso un foro (tra-chestomia). Il sistema è tecnicamente piùefficiente perché l’aria arriva direttamenteai polmoni ed è possibile, tramite la cannulatracheostomica, aspirare più efficacementele secrezioni bronchiali, il cui ristagno neipolmoni rappresenta un problema impor-tante.

3.1 La NIV

La ventilazione non invasiva viene ini-ziata quando la funzione respiratoria, mi-surata con l’esame spirometrico, si riducesotto al 60-80% o quando si manifestanosintomi legati alla alterazione degli scambidi ossigeno e anidride carbonica [5; 6]. Laprocedura richiede una fase di addestra-mento e di adattamento, da effettuarsi pre-feribilmente in regime di ricovero, durantela quale l’intervento del broncopneumo-logo e dei terapisti respiratori svolge unruolo centrale. Va considerato che in molticentri nazionali e internazionali l’iniziodella NIV viene praticato in ambulatorio.

Tra gli aspetti negativi del trattamento

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vanno inclusi il senso di claustrofobia ta-lora indotto dalle maschere, la sgradevo-lezza di sentire l’aria che entra nei polmoniin maniera innaturale, la necessità di starefermi quando si usa e soprattutto i danni dapressione della maschera sul viso che puòarrivare a provocare lesioni da decubito.L’ammalato però percepisce molto prestogli effetti benefici, come il miglioramentodella dispnea, della qualità del sonno, dellacefalea mattutina dovuta all’aumento dianidride carbonica, della capacità fonato-ria. La NIV aumenta significativamente lasopravvivenza [5]. Alcuni pazienti non rie-scono a tollerare la ventilazione, soprat-tutto le persone con grave compromissionedella muscolatura della faringe, le cosid-dette forme bulbari, nelle quali l’insuffla-zione di aria determina un senso disoffocamento. Nella nostra casistica (datinon pubblicati) circa il 90% delle personeriesce a tollerare la procedura, una percen-tuale decisamente alta rispetto ai dati dellaletteratura.

La NIV nelle fasi iniziali è utilizzata peralcune ore del giorno o della notte, ma conil progredire della malattia il tempo di uti-lizzo aumenta invariabilmente e spesso siarriva a un uso di 24/24h. Quando la NIVsi rende necessaria per più di 16-18 ore algiorno il suo uso è molto meno tolleratodagli ammalati per diversi motivi, il piùimportante dei quali è lo sviluppo di decu-biti nelle zone di maggior pressione sulviso. Comunque la NIV, dopo un periodovariabile, nell’ordine di alcuni mesi, di-venta inefficace.

3.2 La Tracheostomia

I dati relativi alla percentuale degli am-malati che si sottopongono a tracheostomiasono molto eterogenei in letteratura. Tra glistudi nel Nord America la percentuale variadal 2 al 6%, nelle casistiche europee sonoriportate percentuali tra lo 0% e il 10%,mentre in Giappone il 25-46% degli am-malati si sottopone alla procedura [7]. Talidati sono tuttavia di non chiara interpreta-zione perché in tutti i casi il denominatoreè rappresentato da tutti gli ammalati affe-renti al centro clinico. In realtà per avereun dato utile di riferimento al numeratorebisogna mettere il numero di persone cheesegue la tracheostomia e il denominatoredeve essere costituito dal totale delle per-sone che effettivamente “sceglie il tratta-mento”, cioè dalla somma di chi fa latracheostomia più il numero delle personeche sono decedute senza tracheostomia,nello stesso periodo. Nella nostra casisticarelativa a 1.800 ammalati seguiti dal 1993,315 si sono sottoposti a tracheostomia e603 sono deceduti rifiutando la procedura.Pertanto il 34% degli ammalati di SLA de-cide di sottoporsi a tracheostomia. Nelle315 persone che hanno eseguito la tracheo-stomia la sopravvivenza mediana dopol’intervento è stata di 3 anni, ma ci sonopersone che hanno vissuto solo alcuni mesie altre, i giovani, nelle quali la durata divita è arrivata fino ad oltre i 20 anni. La so-pravvivenza dipende dall’età, dalle compli-canze infettive, dalla presenza di altremalattie, dal livello di cure che le personein questo stato possono ricevere. Nella no-stra esperienza il 95% delle persone contracheostomia è ritornata al proprio domi-cilio, una percentuale decisamente più alta

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del 48,5% riportata in una casistica riferitaad ammalati residenti nel nord Italia [8]. Lamaggiore percentuale di ammalati con tra-cheostomia che ritorna al domicilio può es-sere ricondotta a fattori culturali, d’altraparte va sottolineata la carenza nel territo-rio di Roma di strutture in grado di assi-stere ad alto livello ammalati con talecomplessità. Se la possibilità di tornare alproprio domicilio rappresenta l’obiettivoprimario per le persone con tracheostomia,le strutture di lungo-degenza hanno un’im-portanza fondamentale per i casi in cui talescelta trova difficoltà di gestione insormon-tabili per mancanza di un gruppo familiarein grado di fornire assistenza, come nei casidi persone sole o con familiari anziani oimpossibilitati a fungere da caregiver. Il ca-rico familiare nella gestione di una personacon tracheostomia, dal punto di vista psi-cologico, sociale ed economico è moltoelevato. L’aiuto del Sistema Sanitario Na-zionale alle persone con tracheostomia èaffidato alle Regioni, con evidenti diffor-mità di interventi. Non vi è dubbio che lacarenza delle strutture per lungo-degenza ela scarsità degli interventi economici a fa-vore delle famiglie rappresentino fattoriimportanti, in grado anche di influenzare lescelte degli ammalati. La possibilità che lelungo-degenze possano essere utilizzateanche per periodi temporanei, come “isoledi sollievo”, favorirebbe una maggiore tol-lerabilità del carico assistenziale da partedelle famiglie.

Un dato fondamentale da considerare èche anche dopo la tracheostomia la SLAconserva intatta la sua forza devastatriceperché la progressione della malattia con-tinua e lo stato clinico e funzionale peg-giora invariabilmente nel tempo.

Ciò implica che se da una parte l’inter-vento regala mesi-anni di vita, dall’altra laqualità del vivere subisce un sensibile peg-gioramento. Uno dei fattori di maggior im-patto è rappresentato dalla capacità dicomunicazione che la persona riesce a con-servare dopo la tracheostomia. Alcune per-sone mantengono una discreta funzionalitàdell’apparato fonatorio e riescono a parlarecon particolari accorgimenti, in particolaretogliendo l’aria della cuffia della cannulatracheostomica. In altri la presenza di unafunzione residua degli arti superiori con-sente la comunicazione attraverso la scrit-tura anche con l’ausilio di strumentiinformatici, come tastiere con espressionevocale. In altri casi ancora la comunica-zione può avvenire solo attraverso i movi-menti degli occhi, con l’aiuto di computera comando oculare. Purtroppo con il pro-gredire della malattia, la capacità di comu-nicazione si riduce drasticamente e nel10% circa degli ammalati si verifica la co-siddetta sindrome Locked-in, letteralmente“chiuso dentro”, nella quale è impossibilequalsiasi forma di comunicazione anche lapossibilità di dire un sì o un no.

Indipendentemente dalla capacità di co-municazione, lo stato di totale paralisi ditutti i muscoli, la necessità di aspirazionidelle secrezioni, i frequenti episodi infet-tivi, la impossibilità a gustare i cibi, la ne-cessità di monitoraggio e di accudimentototale 24 ore su 24, la difficoltà a uscire daldomicilio, la percezione del carico psico-sociale ed economico sui familiari sonotutti elementi che possono influire sulla va-lutazione della gravosità.

In numerosi articoli della letteratura ri-guardo la tracheostomia, si sottolinea comela variabilità delle percentuali di ammalati

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che si sottopongono a tracheostomia sia ri-conducibile a fattori come l’attitudine degliammalati, la organizzazione del sistema sa-nitario, la presenza di supporti familiari ela condizione economica. È da notare comemolti lavori includano tra i fattori che in-fluenzano il processo decisionale anchel’atteggiamento del medico e del caregiver[7; 9].

3.3 La nutrizione artificiale

La quasi totalità delle persone con SLAva incontro a una difficoltà e poi all’impos-sibilità di deglutire (disfagia) a causa dellaparalisi della muscolatura della bocca edella gola. Poiché i nuclei dei nervi che re-golano queste funzioni sono localizzati nelBulbo, parte del troncoencefalo, si parla dicompromissione bulbare, mentre si defini-sce SLA bulbare la malattia che inizia inquesta sede. La difficoltà a ingoiare è unafase importante nella evoluzione della ma-lattia. L’ammalato gradualmente tende amangiare e bere di meno e quindi va incon-tro a denutrizione e disidratazione. Inoltrela possibilità che frustoli di cibo venganoinalati nei polmoni predispone a pericolosepolmoniti cosiddette ab-ingestis. È fre-quente che gli ammalati tendano a sottova-lutare queste difficoltà e le conseguenze.Arriva quindi il momento in cui si ponel’indicazione a una nutrizione artificiale.Questa può essere effettuata attraverso untubicino inserito nello stomaco praticandoun piccolo foro dell’addome. È chiamataPEG da Percutaneous Endoscopic Gastro-stomy: la gastrostomia è un foro nello sto-maco, effettuata tramite un ago che attra-versa la parete dello stomaco e della cute

(percutanea) nel corso di una endoscopia.Si tratta di un intervento relativamente po-co impegnativo e con bassa percentuale dicomplicanze. La gestione a domicilio diuna PEG è estremamente semplice.

4. Le scelte terapeutiche: questioni etico-deontologiche e giuridiche

Oggi, il principio di consensualità co-stituisce uno dei riferimenti ineludibili del-la buona prassi medica. La Carta Costitu-zionale contiene un riferimento molto chia-ro, affermando all’articolo 32 che ogni trat-tamento sanitario per essere praticato ne-cessita del consenso dell’ammalato. Taleprincipio ammette poche riserve e includeanche i casi in cui dal dissenso possa deri-vare un pericolo di vita per l’individuo.L’articolo 35 del Codice di DeontologiaMedica del maggio 2014 riporta: “Il medi-co non intraprende né prosegue in proce-dure diagnostiche e/o interventi terapeuticisenza la preliminare acquisizione del con-senso informato o in presenza di dissensoinformato”. Anche la Convenzione di Ovie-do (Convenzione sui Diritti dell’Uomo e labiomedicina), firmata dal governo Italianonel 1997, afferma nell’articolo 5, il dirittoal consenso e al dissenso alle cure: “Un in-tervento nel campo della salute non può es-sere effettuato se non dopo che la personainteressata abbia dato un consenso liberoe informato (...) La persona interessatapuò, in qualsiasi momento, liberamente ri-tirare il proprio consenso”. Anche la Cortedi Cassazione (Cassazione 21748 4-10-2007) precisa “Il rifiuto delle terapie me-dico-chirurgiche, anche quando conducealla morte, non può essere scambiato per

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un’ipotesi di eutanasia, ossia di un com-portamento che intende abbreviare la vita,causando positivamente la morte, espri-mendo piuttosto tale rifiuto un atteggia-mento di scelta, da parte dell’ammalato,che la malattia segua il suo decorso natu-rale”. Infine, la Legge n. 219 del 22 dicem-bre 2017, nell’articolo 5 afferma: “Ognipersona capace di agire ha il diritto di ri-fiutare, in tutto o in parte, con le stesse for-me di cui al comma 4, qualsiasi accerta-mento diagnostico o trattamento sanitarioindicato dal medico per la sua patologia osingoli atti del trattamento stesso. Ha, inol-tre, il diritto di revocare in qualsiasi mo-mento, con le stesse forme di cui al comma4, il consenso prestato, anche quando larevoca comporti l’interruzione del tratta-mento”.

Il processo decisionale riguardo le tera-pie ha subito negli anni importanti cambia-menti e oggi si basa su tre componentifondamentali: 1. L’evidenza scientificamostrata dagli studi; 2. L’esperienza delmedico; 3. Il consenso del paziente. Siamonel contesto della moderna medicina basatasulle prove di efficacia, l’“evidence-basedmedicine”, figlia della rivoluzione scienti-fica iniziata da Galileo e Cartesio ed evo-luta fino ai giorni nostri. Dinanzi a undeterminato quadro patologico, vi sonodelle terapie che sono standardizzate sullabase di studi scientifici validati, che il me-dico applicherà in quel determinato pa-ziente in base anche alla sua esperienzadopo aver indicato all’ammalato vantaggie rischi e averne ottenuto il consenso. Que-sti tre elementi devono essere contemplaticontemporaneamente. Non siamo più nellamedicina paternalistica, ma non vi è dub-bio che la relazione medico-paziente ri-

manga fortemente asimmetrica. Se la mi-gliore evidenza scientifica disponibile è ilcuore del processo decisionale, il ruolo delmedico è centrale. Il consenso del pazienteè importante, ma non si può pensare chepossa essere in grado di interpretare la let-teratura scientifica. Dalla evidence-basedmedicine derivano vari corollari. Il mediconon può per esempio applicare metodolo-gie non validate e offerte solo in base allapropria esperienza, e ugualmente il pa-ziente non può pretenderle. I casi Di Bellao Vannoni ne sono il risultato quando l’evi-denza scientifica non venga tenuta nel de-bito conto. Un secondo corollario è che incaso di rifiuto da parte del paziente il me-dico ha il dovere di mettere in attoun’azione di persuasione per convincerlo,partendo da dati, numeri, elementi facil-mente quantificabili che ne dimostrino ivantaggi.

Nel caso di trattamenti come la tra-cheostomia interviene un fattore che rara-mente si impone nella comune prassi me-dica ed è la potenziale “gravosità” deltrattamento, ovvero la possibilità che unadeterminata terapia impatti pesantementesulla qualità di vita dell’ammalato. Quan-do, come nella SLA, il riferimento al vis-suto della persona ammalata diventa piùevidente, si entra in un contesto diverso,quello della medicina basata sui valoriperché i “risultati” non dipendono esclu-sivamente da dati quantificabili, eviden-ce-based. La “value-based medicine”, de-finita anche “medicina umanizzata”, è og-getto di un grande interesse nella lettera-tura scientifica [10; 11]. Non è più il trat-tamento in sé a caratterizzare la sua “effi-cacia”, come nella medicina basata sul-l’evidenza, ma anche la gravosità perce-

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Page 8: Percorso assistenziale e scelte terapeutiche nella ... · Percorso assistenziale e scelte terapeutiche nella Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) ... chiamata TDP43, che proba-bilmente

pita dal paziente. Nel Documento Iura etBona, ad es., si afferma che: “È molto im-portante oggi proteggere, nel momentodella morte, la dignità della persona uma-na e la concezione cristiana della vitacontro un tecnicismo che rischia di dive-nire abusivo. Da questo punto di vista,l’uso dei mezzi terapeutici talvolta puòsollevare dei problemi” [12]. Si sottolineail concetto che esistono mezzi terapeutici,potenzialmente benefici, ma che possonoanche trasformarsi in certe circostanze instrumenti di sofferenza. Il termine adotta-to “abusivo” è molto forte e significativo.

Le tre componenti del processo discelta dei trattamenti rimangono valideanche quando si tratta se fare o meno unatracheostomia, ma il peso relativo cambianotevolmente. L’appropriatezza mantienela sua centralità, perché si indica una te-rapia, la tracheostomia, validata nella let-teratura e anche l’esperienza del medicorimane centrale nella valutazione dellemodalità e tempistiche di trattamento, mai valori, il vissuto dell’ammalato, la suadimensione propriamente esistenziale ac-quistano un ruolo fondamentale. Nella va-lue-based medicine il processo decisiona-le rimane sempre duale, tra medico (team)e ammalato, e asimmentrico, ma non vi èdubbio che nel caso di trattamenti poten-zialmente gravosi, la parte fondamentaledel processo decisionale spetti alla perso-na ammalata. Tale principio è chiaramentedelineato in Iura et Bona: “Prendere delledecisioni spetterà in ultima analisi allacoscienza del malato o delle persone qua-lificate per parlare a nome suo” [12].

Nella value-based medicine, dunque, ilriferimento al “criterio etico e umano”, dicui parla anche Papa Francesco [13], sem-

bra essere la proporzionalità, che implicaun rapporto tra due termini chiaramenteespressi già in Iura e Bona: “In ogni caso,si potranno valutare bene i mezzi mettendoa confronto il tipo di terapia, il grado didifficoltà e di rischio che comporta, le spe-se necessarie e le possibilità di applicazio-ne, con il risultato che ci si può aspettare,tenuto conto delle condizioni dell’amma-lato e delle sue forze psichiche e morali”[12]. Si sottolinea quindi che le “forze psi-chiche e morali” dell’ammalato rappresen-tano il denominatore della “proporzione” edunque il ruolo fondamentale del suo giu-dizio.

È infine importante considerare che sela “proporzionalità fosse riconosciutamancante” il rispetto della scelta si confi-gura non solo come un’opzione lecita macome un “dovere” per il medico: “È anzi-tutto l’ammalato che ha titolo, ovviamentein dialogo con i medici, di valutare i trat-tamenti che gli vengono proposti e giudi-care sulla loro effettiva proporzionalitànella situazione concreta, rendendone do-verosa la rinuncia” [13].

Un problema posto da molte parti, so-prattutto dopo l’approvazione della legge219 del 22 dicembre 2017, è se in questocontesto il ruolo del medico si limiti aquello di mero esecutore della volontà delpaziente. Va rilevato che il timore che gliammalati, in nome di un astratto principiodi autodeterminazione, mettano in diffi-coltà l’autonomia e la responsabilità delmedico non deve esistere in un contestodi alleanza terapeutica. Le persone alla so-glia della morte hanno un estremo biso-gno di conoscere per valutare e riflettere,e il medico diventa il naturale riferimento.In una dimensione relazionale e responsa-

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bile, l’autonomia dell’ammalato e quelladel medico non sono entità che si scontra-no ma si fondono nella interazione. Laprospettiva dell’ammalato contribuisceperciò alla valutazione oggettiva nella re-lazione. In questo contesto la legge 219precisa nell’articolo 1, comma 2: “È pro-mossa e valorizzata la relazione di cura edi fiducia tra paziente e medico che si ba-sa sul consenso informato nel quale si in-contrano l’autonomia decisionale del pa-ziente e la competenza, l’autonomia pro-fessionale e la responsabilità del medico.Contribuiscono alla relazione di cura, inbase alle rispettive competenze, gli eser-centi una professione sanitaria che com-pongono l’équipe sanitaria”. Se, dunque,il medico è parte essenziale e attiva delprocesso decisionale, sia nell’acquisizionedel consenso sia nella pianificazione dicure, non si dovrebbe temere il rischio diuna de-responsabilizzazione. Tuttavia, inquesto contesto, l’atteggiamento di per-suasione da parte del medico, doverosonella evidence-based, dovrebbe avere unamaggiore ponderazione. Al riguardo nonappare condivisibile, infatti, la pratica me-dica che tende a “incoraggiare” la tra-cheostomia come riportato da medicigiapponesi [7] o al contrario quella chetende a “scoraggiare” l’uso come descrittoda medici francesi e svizzeri [14]. In unarticolo di Rabkin et al. si riporta che il70% dei medici coinvolti, se dovesse tro-varsi nelle condizioni degli ammalati, nonsi sottoporrebbe alla procedura [7]. Dun-que il processo decisionale deve tenerconto della dimensione esistenziale del-l’ammalato, non solo della prospettiva delmedico, che quindi non dovrebbe condi-zionare le scelte.

Una considerazione a parte richiede lascelta della nutrizione artificiale. Dinanzialla proposta della PEG, molti ammalatioppongono una iniziale resistenza. La pro-cedura viene vissuta come una sorta disvolta nella evoluzione della malattia,come l’ingresso nella fase cosiddetta dei“fori nel proprio corpo”. Il fatto di nonpoter mangiare per via naturale rappresentala negazione di un comportamento ance-strale com’è quello di alimentarsi e unostravolgimento del significato sociale eumano del condividere la mensa. Questi in-dubbi elementi negativi sono però bilan-ciati dai tanti vantaggi della PEG. NellaSLA la disfagia è una fonte di importantesofferenza, non solo per quello che puòprovocare il senso di fame e di sete. Lascarsa idratazione fa sì che le secrezionibronchiali siano dense e difficili da elimi-nare, acuendo così i problemi respiratori.La somministrazione dei farmaci orali di-venta un problema serio. Nella nostra ca-sistica su circa 500 PEG, la valutazione aposteriori della soddisfazione per la proce-dura da parte degli ammalati che l’hannopraticata è sempre positiva. Nessun amma-lato, neanche tra gli indecisi, ha riferito unagravosità “inaspettata” o ne ha mai chiestola rimozione. Anche se una migliore nutri-zione determina una maggiore sopravvi-venza, la PEG a differenza dellatracheostomia, non è vissuta mai come lacausa di un prolungamento penoso dellavita. Il rifiuto della PEG si configura piùspesso come una paura, giustificabile ecomprensibile, ma è dovere del medicochiarire la sua portata positiva, e non ne-cessariamente per motivi “etici”, ma sem-plicemente per buona prassi medica in unaprospettiva palliativa.

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La Fondazione Policlinico Universita-rio A. Gemelli, nel 2014, ha elaborato unpercorso diagnostico e terapeutico assisten-ziale (PDTA) sulla SLA nel quale sono af-frontati, tra altri, i temi specifici delle scelteterapeutiche. Nel documento si precisa che“La tracheostomia rappresenta pertantoun’opzione terapeutica, che il medico ha ildovere di proporre, ma che solo la libera econsapevole decisione del paziente ne le-gittima l’attuazione sul piano terapeu-tico”. E più avanti si afferma che “Ilpaziente, già in ventilazione meccanica in-vasiva mediante tracheostomia, può richie-dere la rinuncia al trattamento in attoladdove si configuri per lui una gravositànon più sostenibile e straordinaria; in talcaso viene richiesta la consulenza di eticaclinica al fine di valutare e condividere conl’équipe l’appropriatezza della sua richie-sta, considerando anche la proporzionalitàdei trattamenti. Il piano terapeutico rela-tivo all’uso di trattamenti invasivi per lagestione dell’insufficienza respiratoria èper definizione “flessibile”, deve cioè es-sere continuamente rimodulato e adattatonel tempo, in rapporto alle variazioni dellecondizioni cliniche e della gravositàespressa dai pazienti per i trattamentistessi. Pertanto, come la volontà espressain precedenza di rifiutare la tracheostomiapuò modificarsi nel tempo, parimenti lepersone che hanno espresso la volontà disottoporsi a tracheostomia possono suc-cessivamente chiedere di rinunciare alpiano terapeutico invasivo, a motivo dellasproporzione o della straordinarietà chetale intervento comporta per loro, optandoper un piano che non preveda interventi in-vasivi ma che abbia la finalità di accom-pagnamento del paziente e del sollievo

della sua sofferenza nelle ultime fasi dellavita, anche con la sedazione palliativa pro-fonda. In questo caso la scelta del paziente,conseguente alla sua capacità di sostenerela gravosità della propria condizione cli-nica, può essere pienamente sostenuta – inbase alle valutazioni di cui sopra – da unacoerente decisione medica di desisteredalla continuazione dei trattamenti inva-sivi, secondo il principio della proporzio-nalità terapeutica, onde evitare ancheeventuali forme di inopportuno accani-mento”.

5. Rifiuto o rinuncia dei trattamenti: ipazienti che lo decidono vogliono real-mente morire?

Questo è un grande equivoco, coltivatomaggiormente da coloro che dibattono sulmorire, spesso lontani dalla realtà. Nellanostra esperienza abbiamo seguito e vistomorire migliaia di persone con la SLA. Lepersone con una malattia, soprattutto segrave come la SLA, non vogliono morire,al contrario apprezzano, desiderano, amanola vita più delle persone sane. Anche senzaesperienza non è tanto difficile coglierequesta verità. Quando una persona con ma-lattia così devastante arriva a rifiutare o ri-nunciare ai trattamenti significa che le sueforze fisiche e morali non ce la fanno più.Non sta assegnando un valore alla mortema solo, semplicemente, fortemente allavita, e ne accetta la finitezza.

Anche in questo aspetto il Magisteronon lascia spazio a equivoci: “È sempre le-cito accontentarsi dei mezzi normali che lamedicina può offrire. Non si può, quindi,imporre a nessuno l’obbligo di ricorrere ad

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un tipo di cura che, per quanto già in uso,tuttavia non è ancora esente da pericoli oè troppo oneroso. Il suo rifiuto non equi-vale al suicidio: significa piuttosto o sem-plice accettazione della condizione umana,o desiderio di evitare la messa in opera diun dispositivo medico sproporzionato ai ri-sultati che si potrebbero sperare, oppurevolontà di non imporre oneri troppo gravialla famiglia o alla collettività” [12].

Sempre nella costituzione Iura et Bonasi legge: “È anche lecito interrompere l’ap-plicazione di tali mezzi, quando i risultatideludono le speranze riposte in essi. Manel prendere una decisione del genere, sidovrà tener conto del giusto desideriodell’ammalato e dei suoi familiari, nonchédel parere di medici veramente competenti;costoro potranno senza dubbio giudicaremeglio di ogni altro se l’investimento distrumenti e di personale è sproporzionatoai risultati prevedibili e se le tecnichemesse in opera impongono al paziente sof-ferenze e disagi maggiori dei benefici chese ne possono trarre” [12].

Il principio che il rifiuto o la rinuncia aun trattamento abbiano lo stesso significatoetico e che ci sia una chiara differenza conl’eutanasia è ribadito da Papa Francesco:“Vediamo bene, infatti, che non attivaremezzi sproporzionati o sospenderne l’uso,equivale a evitare l’accanimento terapeu-tico, cioè compiere un’azione che ha un si-gnificato etico completamente diversodall’eutanasia, che rimane sempre illecita,in quanto si propone di interrompere lavita, procurando la morte” [13].

Un concetto che nella clinica è benchiaro riguardo la tracheostomia è che, no-nostante se ne possa parlare in maniera dif-fusa e veritiera, nessun ammalato può

realmente comprendere cosa succederà allavita propria e dei familiari se non dopoaverla eseguita. Quindi ciò che in fase de-cisionale si poteva immaginare come unbeneficio (le speranze riposte) può non es-sere confermato dalla realtà, e già questopuò determinare la volontà della personaalla rinuncia. Ma c’è un altro dato fonda-mentale già menzionato, specifico dellaSLA e di altre malattie neuromuscolari, edè che la malattia progredisce inesorabil-mente. Quindi non appare difficile capireche ciò che può essere proporzionato inuna fase della malattia può non esserlo conl’evoluzione delle condizioni cliniche.

Va sottolineato che la valenza della pos-sibilità di rinunciare ai trattamenti dopoaverli iniziati è estremamente importantenel momento in cui la persona deve fare lascelta. Sapere che la tracheostomia non sitrasformerà in una trappola senza alcunavia di uscita è un elemento di consapevo-lezza centrale ai fini della scelta e parados-salmente rappresenta un fattore che favo-risce la scelta di sottoporsi alla procedura,come è successo di costatare in diverse oc-casioni.

Nella nostro lavoro il ricorso alla con-sulenza di etica clinica rappresenta un sup-porto di grande aiuto per il team, l’amma-lato e i familiari. L’intervento della consu-lenza si configura come un fattore per fa-cilitare le scelte, per dirimere eventualiconflitti, per allargare il livello di condivi-sione, per rassicurare sulle valutazioni eti-che e cliniche, al fine di individuare la de-cisione terapeutica migliore nell’interessedell’ammalato.

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6. Le scelte terapeutiche: una questionedi sguardo

Ogni persona ammalata di SLA, nelmomento in cui si pone indicazione allaventilazione meccanica, viene informata inmaniera dettagliata sulle sue condizioni cli-niche, sulle possibili opzioni terapeutiche,sui vantaggi e limiti dei vari trattamenti. Icolloqui sono svolti coinvolgendo più per-sone del team assistenziale e i familiari. Lareale consapevolezza rappresenta un fon-damento della scelta.

Il processo decisionale riguardo la NIVè relativamente semplice. La ventilazionenon invasiva viene generalmente accettatadalla quasi totalità delle persone mentre lapercentuale di persone che la rifiutano nonsupera l’1-2% (dati casistica del PoliclinicoGemelli, non pubblicati). Il fatto che l’am-malato sia nella fase iniziale dell’insuffi-cienza respiratoria, quindi generalmentesenza o con pochi sintomi e che sia possi-bile “saggiare” i benefici e effetti collate-rali con delle prove di durata limitata sonofattori che spiegano l’alta percentuale diaccettazione della terapia.

Lo scenario che si affronta quando bi-sogna decidere se continuare o meno conla tracheostomia è al contrario assai piùcomplesso e non può essere ricondotto allasemplice applicazione di un protocollostandard. Il setting che si realizza è sempreunico perchè unica è la persona coinvolta.Unici sono i fattori psicologici, sociali, fa-miliari, spirituali che faranno parte deldrammatico, difficile processo di scelta.Dice Papa Francesco: “Certo, quando ciimmergiamo nella concretezza delle con-giunture drammatiche e nella pratica cli-nica, i fattori che entrano in gioco sono

spesso difficili da valutare. Per stabilire seun intervento medico clinicamente appro-priato sia effettivamente proporzionatonon è sufficiente applicare in modo mecca-nico una regola generale. Occorre un at-tento discernimento, che consideri l’ogget-to morale, le circostanze e le intenzioni deisoggetti coinvolti” [13].

Occorre innanzitutto la consapevo-lezza, che si forma in fasi laboriose, pro-gressive, a più voci che richiedono tempoe disponibilità nella comunicazione, chedeve essere veritiera ed empatica. La ge-stione della enorme tensione emotiva ri-chiede una impalcatura psichica adeguatada parte del team medico, risultato di un’at-titudine ma soprattutto di preparazione, or-ganizzazione e esperienza. L’angosciadella morte è un limite per tutti, anche perchi ha fede nella vita oltre la morte, comesottolineato da Papa Francesco: “L’ango-scia della condizione che ci porta sulla so-glia del limite umano supremo e le sceltedifficili che occorre assumere, ci espon-gono alla tentazione di sottrarci alla rela-zione” [13]. La rimozione e la fuga sonomeccanismi elementari di difesa della no-stra psiche, come afferma Sigmund Freud:“Nessun uomo crede veramente nella pro-pria morte, l’inconscio si comporta comese fosse immortale”.

Le parole del Papa continuano indivi-duando l’atteggiamento che più di ognialtra cosa ci viene richiesto ed è quellodell’“amore e vicinanza” [13]. Amore e vi-cinanza permettono al nostro sguardo dicogliere la verità. “Uno sguardo che datutte queste situazioni si lascia interpellareper andare alla ricerca di un senso e, nellasofferenza e alle soglie della morte, si aprea ritrovare nel volto di ogni persona un ap-

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pello al confronto, al dialogo, alla solida-rietà. È tempo di assumere tutti questosguardo, ridiventando capaci, con l’animocolmo di religioso stupore, di venerare eonorare ogni uomo” [15]. È quella “visce-rale compassione” del Buon Samaritanodella parabola nel Vangelo di Luca, quelfarsi prossimo con gesti e partecipazione diemozioni che al di là dei ragionamenti,delle leggi, dei codici forse manca per af-frontare e dare un senso a una sofferenzacosì grande. Amore e vicinanza ci possonoconsentire di comprendere, anche se soloper approssimazione, cosa significhi ritro-varsi con quella malattia, con quei deter-minati deficit motori, in quello specificocontesto psicologico, sociale, familiare,economico.

Negare la volontà di una persona chechiede di rifiutare o rinunciare a tratta-menti medici non solo è contro la buonaprassi medica, etica, deontologica e giuri-dica, ma significa soprattutto distoglierequesto sguardo rivolto alla nobiltà del-l’uomo per ridurlo solo al suo corpo. Si-gnifica sacralizzare solo la vita fisica –che pure è un valore fondamentale – e de-sacralizzare l’esistenza che a quel corpo èintimamente connessa.

Questo atteggiamento di depersonaliz-zazione è in qualche modo un effetto col-laterale del metodo scientifico che è allabase della medicina moderna che viene in-segnata nelle università. L’approccio scien-tifico-oggettivo si basa sui numeri, su datioggettivi e riproducibili e ci salverà damolte malattie. Ma la scienza medica hadei limiti, può arrivare a comprendere uncorpo ammalato ma quando cerca di com-prendere la vita di una persona, questa ri-mane necessariamente indecifrabile. Il

medico che guarda una persona ammalatacon gli occhi della medicina oggettiva ri-schia di ridurre l’esistenza di una personaalla sua funzionalità biologica. Dice PapaFrancesco ”Gli interventi sul corpo umanodiventano sempre più efficaci, ma non sem-pre sono risolutivi: possono sostenere fun-zioni biologiche divenute insufficienti, oaddirittura sostituirle, ma questo non equi-vale a promuovere la salute” [13]. L’erroredi far coincidere i benefici sul corpo con ilconcetto assai più ampio di salute e di beneintegrale della persona rappresenta la fontedi buona parte degli equivoci e dei pregiu-dizi che circondano i ragionamenti sul finevita. Il diritto inviolabile alla vita biologicatrova una coincidenza nel diritto alla di-gnità. “Il diritto alla vita è il diritto a viverecon dignità umana, cioè ad essere garantitie tutelati in questo bene fondamentale.Originario e insopprimibile che è radice econdizione di ogni altro bene-diritto dellapersona” [15].

7. Pianificazione condivisa delle cure

La possibilità che i giusti desideri del-l’ammalato siano tracciati in un documentodi pianificazione condivisa delle cure rap-presenta uno strumento essenziale per ga-rantire il diritto fondamentale della personaammalata di esprimere le sue volontà circai trattamenti ai quali desidera o non desideraessere sottoposto. Nel PDTA del Gemelli siprecisa che “A tutela della libertà di sceltadella singola persona, è auspicabile elabo-rare un documento scritto, condiviso tra pa-ziente, famiglia e team multidisciplinare,che riassuma le volontà del paziente in me-rito agli interventi invasivi”.

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Da quanto fino ad ora detto risulta evi-dente che la definizione di tali scelte nonpuò essere limitata alla mera sottoscrizio-ne di moduli. Il documento di pianifica-zione delle scelte terapeutiche nelle perso-ne con SLA deve necessariamente rappre-sentare il risultato di una relazione di curabasata sul dialogo costante tra persona am-malata e team multidisciplinare, nel qualei principi di appropriatezza, proporzionalitàe consensualità costituiscono i riferimentiineludibili. Ove sono presenti è anche op-portuno che il documento veda la parteci-pazione dei consulenti di etica clinica.

Il documento di pianificazione con lepersone affette da SLA è utilizzato in duesituazioni. La prima riguarda le personeche decidono di rifiutare la tracheostomia.La proposta della tracheostomia viene so-litamente offerta quando la compromis-sione della funzione respiratoria è tale chein tempi brevi (pochi mesi) sia prevedibilel’indicazione alla tracheostomia. La tempi-stica è un fattore importante. Non è oppor-tuno che si discuta della tracheostomia infase troppo precoce di insufficienza respi-ratoria, quando per esempio l’ammalato hainiziato la NIV. La gradualità della consa-pevolezza rappresenta un comportamentoopportuno. D’altra parte non bisogna par-larne troppo tardi proprio per la necessitàdi lasciare tempo alla riflessione. La neces-sità del documento è legata alla possibilitàche la situazione respiratoria possa scom-pensarsi acutamente e che la persona vadain coma per un aumento dell’anidride car-bonica (coma ipercapnico) impedendoglicosì di esprimere in maniera attuale la suavolontà. Nella pratica clinica tale eventua-lità si verifica non frequentemente. Tutta-via il documento ha un suo valore anche

nel caso in cui si verifichi una crisi di famed’aria e l’ammalato conservi la sua luci-dità. La presenza di un documento condi-viso con i curanti costituisce un elementoimportante per il medico che non conoscel’ammalato e che si trovi a gestire l’acuziein pronto soccorso o a domicilio. Il fattoche le volontà attuali espresse in quella cir-costanza di emergenza siano il risultato do-cumentato di un percorso, è sicuramente diaiuto.

Nella discussione viene chiaramentedefinita e scritta la possibilità di cambiareopinione in qualsiasi momento. Indipen-dentemente dall’aver sottoscritto un docu-mento, dinanzi all’emergenza le decisionidell’ammalato vanno sempre verificate. Sel’ammalato non è in grado di dare il con-senso e non esistono documenti sulle deci-sioni o se ci sono dei dubbi è dovere delmedico attuare tutte le procedure salva-vitadel caso. Poichè la causa dell’impedimentoal consenso attuale è in genere il comaipercapnico, ove sussistano dubbi sulle de-cisioni si può intubare l’ammalato, aspet-tare che riprenda coscienza e quindiverificare le sue volontà. Rimane chiaroche dove invece ci sia stata una decisionechiaramente definita tale procedura si di-mostra inappropriata.

La seconda situazione riguarda le per-sone che hanno effettuato la tracheostomiae che presentino il rischio di evolvere versola condizione di locked-in. In tale situa-zione clinica, come detto, la mente può ri-manere lucida, ma si perde totalmente lacapacità di comunicare e quindi di espri-mere alcuna volontà, anche con un sem-plice cenno di assenso o dissenso. Poichèsi tratta di una condizione di sofferenzaestrema, è doveroso discuterne quando i

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movimenti oculari iniziano a presentareevidenti limitazioni. In questi casi la deci-sione riguarda l’eventuale limitazione deltrattamento di ventilazione invasiva, checome si è detto ha una valenza etica iden-tica a quella del rifiuto del trattamento.

8. Sedazione palliativa profonda conti-nuata.

La dispnea, la fame d’aria è uno dei sin-tomi peggiori che si possano provare e co-stituisce un vero incubo per le persone conSLA. Se l’ammalato con insufficienza re-spiratoria decide di non sottoporsi a tra-cheostomia, il rischio di morire in preda acrisi di dispnea è consistente. La dispnea,alla pari il dolore intrattabile, la nausea e ilvomito incoercibili, il delirium, l’irrequie-tezza psico-motoria, il distress psicologicoo esistenziale, rientra nei sintomi cosiddettirefrattari: “Il sintomo refrattario è un sin-tomo che non è controllato in modo ade-guato, malgrado sforzi tesi a identificareun trattamento che sia tollerabile, efficace,praticato da un esperto e che non compro-metta lo stato di coscienza” [16].

Quando i ventilatori non sono più effi-caci, l’unico trattamento per la dispnea è lasomministrazione di farmaci che determi-nano una sedazione profonda, che aboliscecioè lo stato di coscienza. Questi farmaci,di solito benzodiazepine e morfina, posso-no avere come effetto collaterale una de-pressione del respiro e quindi determinareun’accentuazione dei problemi respiratoridella persona con SLA e in alcuni casi an-ticipare la morte. La morfina, somministra-ta per via orale, sottocute, con cerotti o pervia endovenosa ha un’alta tollerabilità ed

eccezionalmente determina problemi respi-ratori. La morfina non toglie completamen-te la coscienza, anche a dosi elevate, ma li-mita la percezione della dispnea. Il suo usoè opportuno nelle fasi iniziali quando la di-spnea è ancora tollerabile. Quando inveceil sintomo dispnea non risponde alla mor-fina o è comunque intollerabile, vi è la ne-cessità di usare la benzobiazepina, di solitoil Midazolam, a dosi variabili da 5 a 100milligrammi nelle 24 ore.

Da punto di vista medico “è un dirittofondamentale dell’uomo e dunque del mo-rente (adulto o minore) ricevere un ade-guato supporto finalizzato al controllodella sofferenza nel rispetto della sua di-gnità”, come sottolineato anche dal recenteparere dal Comitato Nazionale per la Bioe-tica [17].

Dal punto di vista etico la liceità dellasedazione profonda è stata più volte affer-mata dal Magistero ad iniziare già dal 1956quando papa Pio XII si pronunciava sulladella sedazione: “È lecito l’uso di tecnicheche tolgano dolore e coscienza se anche ciòdovesse abbreviare la vita”.

Esistono regole chiare per l’uso dellasedazione profonda continuativa. Ci deveessere una malattia inguaribile, ci si devetrovare nell’imminenza della morte, il sin-tomo deve essere di tipo refrattario e cideve essere il consenso dell’ammalato. Nelcaso della SLA, la malattia è purtroppo in-guaribile, la dispnea è un sintomo refratta-rio e quando è presente e non responsivo aitrattamenti ordinari significa che si è inprossimità della morte. È quindi un dovereda parte del medico proporla e praticarla,dopo aver discusso e ottenuto il consenso.

La necessità, ogni volta che si parla disedazione, di chiarire le differenze con

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l’eutanasia è lo specchio di una scarsa co-noscenza della natura etica e doverosadella procedura e purtroppo del suo nonfrequente utilizzo da parte dei medici. Valequindi la pena di ribadire ancora una voltaqueste differenze. Il Comitato Nazionaleper la Bioetica “Riafferma che per l’obiet-tivo, le procedure e gli esiti, la sedazioneprofonda continua, che si estende fino allaperdita di coscienza del paziente, va rite-nuta un trattamento sanitario e non va con-fusa con l’eutanasia o con il suicidioassistito o l’omicidio del consenziente”[17]. L’obiettivo dell’eutanasia è procurarela morte, quello della sedazione alleviareun sintomo, la procedura dell’eutanasia èla somministrazione di un farmaco che de-termini la morte, quella della sedazione lasomministrazione di farmaci che aboli-scono la coscienza, che facciano dormireprofondamente.

La sedazione continuata profonda hainoltre applicazione nel caso della personacon SLA che abbia espresso la volontà disospendere la ventilazione meccanica, siainvasiva sia non invasiva. La valenza eticaè identica, l’obiettivo è eliminare un sin-tomo, sia esso per un rifiuto sia per una ri-nuncia, dopo averla iniziata, della ventila-zione.

9. Conclusioni

La presunta mancanza o una difficoltàinterpretativa delle norme giuridiche e eti-che hanno rappresentato per molti medicila giustificazione di comportamenti nonadeguati alle drammatiche necessità assi-stenziali delle persone con SLA alla finedella loro vita. Eppure il diritto e la nostra

Costituzione in particolare contengono tuttigli elementi per definire come il consensoai trattamenti si configuri come un dirittoinviolabile della persona e, in maniera al-trettanto chiara, come per la rinuncia aitrattamenti si rimanga sempre nell’ambitodel consenso al trattamento terapeutico.Contribuisce sicuramente una difficoltà pu-ramente psicologica nel gestire l’angosciadi parlare, discutere e decidere sulla morte.Inoltre l’impreparazione culturale dei me-dici è un dato da considerare perché questaparte fondamentale della medicina nonviene insegnata nelle scuole di medicina.

D’altra parte per chi ragiona su questitemi in prospettiva etica, il timore che la li-bertà di scelta delle terapie possa sconfina-re o comunque aprire la strada verso l’eu-tanasia ha effettivamente creato confusionie non ha contribuito alla comprensione deifatti. Eppure anche le norme etiche e le in-dicazioni del Magistero sono chiare e nonlasciano spazio a equivoci. Come richia-mato, Papa Francesco, nel suo recente in-tervento, ha semplicemente ribadito quantogià da tempo affermato dal Magistero, inparticolare dal Catechismo della ChiesaCattolica, e prima ancora dai pronuncia-menti di Pio XII e dalla Dichiarazione Iuraet Bona della Sacra Congregazione per laDottrina della fede. Ma il suo discorso hadato alle parole già scritte, ma forse dimen-ticate o ignorate, vigore perchè si traduca-no in comportamenti che aiutino le personesofferenti.

Il cuore del problema non è solo di na-tura etica, giuridica, psicologica ma èanche l’incapacità della scienza medicamoderna di alzare l’orizzonte dello sguardoper incontrare la dignità della persona am-malata. Il sapere scientifico permette ai

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medici di interagire efficacemente con uncorpo ammalato e gli strumenti sono quellitecnici, la semeiotica, le indagini di labo-ratorio e strumentali, le terapie. Quando siguarda l’uomo questi strumenti sono peròinefficaci e ne occorrono altri: “l’amore ela vicinanza (...) che più di ogni altra cosaci viene richiesto”[13]. “La vicinanza è piùche il nome di una virtù, è un atteggia-mento che coinvolge tutta la persona, ilsuo modo di stabilire legami, di essere con-temporaneamente in se stessa e attentaall’altro (...) la vicinanza è un atteggia-mento chiave nel vangelo” [18]. L’atteggia-mento di vicinanza si traduce nel rispettodelle volontà della persona ammalata, siaquando vuole continuare la sua battagliacontro la malattia sia quando ritiene siagiunto il momento di fermarsi. La culturadello scarto si insinua quando un valorevero viene “gettato via”, perché conside-rato di poco conto da una cultura che credein valori ingannevoli e effimeri. Noi “scar-tiamo” la persona se non ci facciamo caricodel suo diritto alla dignità del morire, se gliimpediamo di poter dire basta alle sue sof-ferenze che non è in grado più di soppor-tare. La scartiamo se non sosteniamo il suodiritto alla dignità del vivere, quando nonaiutiamo la persona che accetta di fare latracheostomia ad affrontare le mille diffi-coltà quotidiane che questo pure comporta,in nome della sostenibilità economica.

Per comprendere la condizione dellepersone costrette da una malattia a farescelte drammatiche alla fine della propriavita e per evitare la “tentazione di sottrarcialla relazione” c’è bisogno di una nuovacultura medica, non limitata al saperescientifico ma che sappia includere la vici-nanza responsabile. C’è bisogno di sa-

pienza, di un oculato discernimento cheporti a comportamenti equilibrati e giusti.“Occorre quindi un supplemento di sag-gezza…” [13].

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