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Caccia pratica
Riemerso come sorta di antica e quasi obliata divinità silvestre alle soglie del terzo millennio, oggi il cinghiale è realtà praticamente ubiquitaria di tutto il Belpaese. Una realtà dietro la quale sono comparse specie differenti di cani e armi
Testo e foto di Andrea Aromatico
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Diana
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Poker d’assi per il cinghiale
Sembrava in via d’estinzione…
Sino a pochi lustri fa, i cinghiali nella caccia italiana li
vedevi per davvero (no, non nei documentari!) solo se
t’invitavano in Maremma o in Sardegna, oppure se eri
maremmano o sardo tu, con l’eccezione -ecumenica
questa- di quei cinghiali di carta ai limiti dell’immagina-
rio protagonisti delle Giornate di Caccia del grande Niccolini, o dei
suoi epigoni, eroi tutti dell’epopea venatoria narrata!
Gli era infatti che l’Italia rurale e mezzadrile, il cinghiale l’aveva
praticamente eradicato dagli scenari naturali. Anzi, non “pratica-
mente”: l’aveva eradicato proprio! Zero, tabula rasa!
Come fu dunque che proprio il cinghiale, l’essere forse più primor-
diale in assoluto fra quelli che popolano la natura, finì per divenire
icona stessa della caccia nell’era della plastica? Già, come fu che dal
nulla di appena 30 anni fa, l’oggi ed il domani in certi comprensori
si vedono fare i conti addirittura col “problema cinghiale”, tanto
ormai è presente in così copiosi branchi da costituire una seria mi-
naccia per le colture umane tutte, e spesso e volentieri per la stessa
sicurezza sulle strade (impattare un bel verro ai 90 all’ora, è come
andare contro un pilone di cemento!)?
Mi domando questo in modo così pressante, perché da 0 a 1000 in
30 anni, è una specie di miracolo. E siccome di solito i miracoli si
occupano di altro, com’è che è successa ‘sta roba qua?
È bene fare un passo indietro per farne due avanti. Il tutto si gioca
infatti su quei “rurale e mezzadrile” di cui sopra, che di colpo, a
partire dal boom economico dei ’60, presero con sempre maggior
accelerazione a divenire “rurale silvestre e meccanizzato”, che è
altrimenti per dire “abbandonato e industrializzato”, e questo in
relazione proprio dello spazio rurale: parliamo apertis verbis di un
epocale cambiamento sociale, capace di rivoluzionare nel profondo
ogni cosa. Questo avvenne quindi con l’abbandono di tutti quei
poderi gestiti a regime di campetti a colture miste contornati da
boschetti da taglio curatissimi, cui fece da contraltare l’ingresso
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Come fu dunque che proprio il cinghiale, l’essere forse più primordiale in assoluto fra quelli che popolano la natura, finì per divenire icona stessa della caccia nell’era della plastica?
sempre più meccanizzato e di tipo monoculturale dell’agricoltura;
cosa che comportò -e a partire dalle montagne e poi via via alle
colline sino al piano- da una parte un massiccio quanto spontaneo
rimboschimento di tipo selvaggio, e dall’altro la creazione di esten-
sioni anche significative di monocolture. Fatti che, in parole povere,
in una campagna sempre più spopolata, vennero a creare il perfetto
terreno di cultura per una nuova quanto massiccia esplosione
demografica del cinghiale (assieme agli ungulati tutti). Fenomeno
aiutato poi, da ogni tipo di ripopolamento possibile e immaginabile.
Ora, se a questa situazione trofica ci mettiamo l’ingrediente magico
dell’assenza pressoché totale di predatori specifici, ecco spiegato lo
stratosferico boom del re del bosco: il cinghiale!
...Devo correggermi: un predatore poi a dire il vero, alla fine della
fiera è uscito fuori. No, non parlo del fantomatico lupo (che c’è,
ma qui non conta anche perché mai presente, al di là del si dice, in
numeri significativi per davvero), quanto piuttosto dell’uomo coi
cani e col fucile: il cacciatore di cinghiali!
Fa quasi tenerezza ripensare a quei primi anni in cui il cinghiale
prese a ritrovarsi nelle campagne.
Gli avvistamenti avevano l’alone della leggenda. Le voci al bar e alle
armerie, erano quelle da far gridare alla balla colossale ogni volta.
Sinché tracce di unghioli, grufolate e finalmente i primi abbattimen-
ti, diedero inizio alla storia oltre la leggenda.
E fu lì che iniziarono i problemi...
Ok, c’era, ma come cacciarlo in comprensori
dove la specifica venagione più non aveva
tradizione alcuna, e dunque scienza?
Come scovarli in maniera sistematica?
Come tirargli poi, dato che nessuno aveva
fucili e munizioni specialistici per il grosso
suide.
Ovvio, sulle prime si fece come si poteva, sal-
vo poi, subito dopo, cominciare ad attrezzarsi
per davvero...
Fu magari uno che aveva visto là in Maremma
come si faceva a dare il là; oppure qualche
d’un altro che aveva letto qualche cosa magari
proprio sulla Diana; che a trazione toscana l’era sempre stata, e
quindi tra le sue pagine, nonostante tutto, qualche riga sui cinghiali
la si leggeva ogni tanto qui e là.
Quattro cani
Razza Cerca e caccia
Adattamento ambientale/situazionale
Raggio d’azione e tenacia
Affidabilità e collegamento
Aggancio dell’usta e messa a voce
Abbaio a fermo e combattività
Seguita Rientro
Segugio maremmano ***** ***** **** *** *** **** ***** ****
Segugio Italiano **** **** **** ***** **** *** ***** ****
Beagle *** ***** **** *** **** *** **** ***
Petit bleu de Gascogne *** *** *** **** *** **** *** ****
Come che sia, fatto sta che s’iniziarono per
questa ed altre stravaganti vie a metter su le
prime squadrette di cacciatori di cinghiali in
corso di... specializzazione!
Alla puttanesca sulle prime, per poi far sempre
meglio imitando in tutto e per tutto le sane
tradizioni dove si faceva sul serio per davvero!
Tanto che nel giro di pochi anni la caccerella
alla maremmana, pur con i vari adattamenti,
divenne praticamente la caccia al cinghiale
in quanto tale un po’ di tutto il territorio
nazionale. Parliamo della caccia in battuta. Della braccata coi cani, i
canettieri e le poste: la grande caccia al cinghiale come deve essere
fatta. Uno dei più bei volti della caccia contemporanea...
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La scenografia sono i boschi e le forre fra i campi di tutto
o quasi lo stivale ormai, con differenze orografico/am-
bientali dettate dal localismo. Il copione è più o meno
sempre lo stesso. Ed è quello di un’attività sotto ogni
punto di vista corale. Sia che si parli di uomini, sia che
si parli di cani. Dirò di più: è un’attività “multivoca” anche quando
parliamo di fucili e relative munizioni.
Il cinghiale dall’altana all’aspetto infatti, non è il cinghiale, ma solo
un grosso bersaglio facilissimo d’attingere. No, il cinghiale quello
vero è il frutto dell’azione sagace di tracciatori dapprima, che come
bravi trapper sanno leggere le tracce. Di abili capocaccia, accurati
nel scegliere e mettere le poste. Di coraggiosi e
infaticabili bracchieri poi, che
conducono alle danze i loro
veltri ai quali di lì in poi, passa
in toto la pallina: la muta!
Un tempo era quanto di più
Poker d’assi per il cinghiale
Un’attività “multivoca”
sgraziato e disomogeneo potesse saltare in capo, oggi quasi
dappertutto è il frutto di sapienti composizioni di cani anche di
specie differenti, ma tutti purosangue ormai: tipologia segugio, fra
le varie razze che si son sapute distinguere in questa razza, fino a
creare il poker d’assi più amato dagli italiani cinghialai.
Fra tutti vediamo emergere (l’ordine è puramente casuale, né
determina classifica di merito) in primis le due razze nazionali. Il
segugio maremmano, dunque.
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Il copione è più o meno sempre lo stesso. Ed è quello di un’attività sotto ogni punto di vista corale. Sia che si parli di uomini, sia che si parli di cani. Dirò di più: è un’attività “multivoca” anche quando parliamo di fucili e relative munizioni
Eccolo nelle sue 4 varianti di mantello: 1)
pelo raso fulvo; 2) pelo raso nero focato; 3)
pelo forte fulvo; 4) e la bellissima pelo raso
tigrato. Il segugio italiano, poi. Anche esso
nelle sue 4 varianti di pelo: 1) pelo raso fulvo;
2) pelo raso nero focato; 3) pelo forte fulvo;
4) pelo forte nero focato.
Sono cacciatori favolosi, ma dalle caratteri-
stiche ben precise. Dalla voce sempre melo-
diosa quanto potente, il secondo ha saputo
senza difficoltà adattarsi dalla lepre (per cui
era usatissimo e basta) anche al cinghiale,
del quale è divenuto implacabile “competi-
tor”. La sua canizza è musica. Il primo non è
una bestemmia dire che praticamente deve la sua ascesa da idea
a tipo sino a razza vera e propria, proprio al cinghiale: del quale è
specialista assoluto.
Li si vede tal volta lavorare anche da soli, in mute come dicevo
mono-razza, ma anche no. Vero com’è vero che un coro, funziona
sempre meglio se... polifonico!
Ora, credo sia per questo e non certo per esterofila se, oltre ai
nostrani, due altri assi del nostro mazzo vedranno proprio cani
segugi esteri fra i protagonisti.
Il beagle inglese è il primo. Bello, bellissimo, anche troppo visto
che parecchi li si vede finire anche nella scatola dei desideri di
bimbi e signore di città, oltre che dei più accaniti cacciatori (e non
c’è nulla che mi faccia più tristezza, di un caccia destinato ad una
vita gloriosa di foreste che si trasformi in pantofolaio cittadino!).
Nato nella “perfida Albione” per confrontarsi soprattutto con la
volpe, deve a due fattori il suo successo clamoroso anche in chiave
cinghialaia: 1) un caratteraccio da implacabile attaccabrighe, che
Quattro canne
Arma Peso Brandeggiabilità Linea ed estetica Sicurezza Capacità
di fuoco VersatilitàComportamento allo sparo e ripetizione del colpo
Doti balistiche
Doppietta Opal slug Fratelli Poli
**** **** ***** ***** *** *** **** ***
Sovrapposto FAIR Leisure slug ***** **** *** ***** *** **** **** *****
Semiauto Benelli Vinci Slug **** *** **** **** ***** ***** ***** ****
Carabina Benelli ARGO Comfortech **** **** *** **** ***** **** ***** *****
ne fa davvero un super cacciatore; 2) sposato
poi a una piccola taglia che in certi ambienti
molto fitti, sporchi, rogati (nel senso di pieni
di rovi), ne fanno il principe degli scovatori.
Il petit bleu de Gascogne è l’altro, prodotto
cinghialaio made in France, che i cugini
transalpini da decenni selezionano con pas-
sione per le loro (mai interrotte) strepitose
battute a les sangliers! Splendido cane che
c’ha messo nulla ad imparare... l’italiano; era
doveroso, come si diceva, dato che non è raro
vedere i quattro lavorare assieme in splendi-
da armonia, mentre incalzando i branchi da
botri arcani fan salire le loro furiose canizze
al cielo e poi su su, fino alle poste. Già, le poste...
Mentre i bracchieri son armati per lo più di basculanti in calibro 12
ad anima liscia dalle canne corte e cilindriche, i postaioli per parte
loro, variano il loro equipaggiamento in base alle zone ed alle
preferenze; sempre di più tuttavia, sono coloro i quali ricorrono
all’uso di carabine semiautomatiche, tutte camerate con potenti
munizioni della grande famiglia del 7mm, specie americani.
Una buona doppietta da sottobosco o un sovrapposto d’uso
analogo, fucili leggeri e brandeggiabili son dunque le armi del
bracchiere: li definiscono a volte anche tipologie di mire dedicate.
Semiautomatici in configurazione slug se lisci (con tacca di mira
rialzata) oppure carabina assemblate con punterie a “punto rosso”,
ecco i ferri del mestiere dei cinghialai alle poste.
Senza impegno e col minimo sindacale di buon senso, ci permet-
tiamo anche qui -e a tal riguardo- di segnalarvi nell’apposito box
il nostro personalissimi poker d’assi, mentre cogliamo l’occasione
per salutarvi augurandovi il nostro migliore in bocca al lupo!
Nella pagina precedente, Benelli Argo E Comfortech Amazonia Green; qui sopra, Benelli Vinci slug
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