Scuola Europea in Anestesia Ostetrica
Master biennale di alto perfezionamento in
ANALGESIA, ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA IN OSTETRICIA
Direttore Prof. Giorgio Capogna
Anno accademico 2016-2017
IL DOLORE NEL POSTPARTUM
Dott. Simone ROTTA Roma, 20/10/2017
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IL DOLORE NEL POSTPARTUM
Introduzione
Il dolore che accompagna ogni parto, sia esso spontaneo o chirurgico (taglio
cesareo) non si esaurisce nei primi giorni dopo la nascita ma, a seconda degli
studi, diventa persistente in una percentuale che varia tra l’1% e il 20%. Questo
dolore può durare mesi, causando notevoli problemi alle donne che spesso si
trovano a dover affrontare lunghi iter prima di arrivare ad una corretta diagnosi e
ad una conseguente terapia mirata.
Le caratteristiche del dolore
Il dolore provato durante il parto è un’esperienza comune a tutte le donne in tutto
il mondo. Questo dolore è causato da numerosi fattori: il danno tissutale, le
posizioni “obbligate” per partorire, le caratteristiche materne e non da ultimo
anche le condizioni psicologiche della partoriente.
Sia il parto vaginale che il taglio cesareo sono associati ad un importante danno
tissutale.
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Infatti il parto naturale prevede che le contrazioni uterine causino una dilatazione
cervicale, una compressione delle strutture pelviche e perineali (muscolari e
nervose) dovute al passaggio del feto nel canale del parto e spesso anche una
episiotomia.
Durante il taglio cesareo invece il danno tissutale è provocato dall’incisione
chirurgica, la trazione sui muscoli addominali, il secondamento manuale e a volte
dalle compressioni addominali per facilitare l’estrazione fetale.
Per quanto riguarda la posizione obbligata durante il parto, bisogna ricordare che
spesso le donne spingono in posizione ginecologica con gli arti appoggiati sui
gambali e facendo trazione con gli arti superiori sulle maniglie dei lettini da parto
per tutta la durata del periodo espulsivo senza interruzione.
Le caratteristiche materne comprendono tutte quelle modificazioni che si
sviluppano in gravidanza, a partire dall’aumento del peso materno che altera la
struttura muscolo scheletrica ai cambiamenti ormonali che agisco sui tessuti.
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Infine anche la componente psicologica ha un suo ruolo nel dolore del postpartum,
soprattutto in quelle che andranno incontro ad un parto cesareo. Sembra infatti
che l’ansia preoperatoria sia presente nella quasi metà delle puerpere sottoposte a
taglio cesareo e questa sia associata con un dolore postoperatorio moderato-
severo.
A completamento di questo capitolo sulle caratteristiche del dolore nel
postpartum, bisogna ricordare che esistono delle condizioni dolorose che possono
precedere e/o insorgere durante la gravidanza.
Ad esempio il dolore da ovulazione, da dismenorrea e i crampi durante il periodo
mestruale possono spesso persistere anche dopo il parto; anche il dolore al cingolo
pelvico spesso localizzato come “dolore lombare” insorge nel primo trimestre nel
72-77% dei casi e peggiora col progredire della gravidanza; in ultimo la cefalea
primaria (emicrania e cefalea muscolo tensiva) è presente fino al 75% dei casi ed
è la più comune richiesta di cure mediche nel puerperio.
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Tipi di dolore
1. Il dolore subito dopo il parto
Questo tipo di dolore compare tipicamente subito dopo il parto e dura in media
2-3 giorni; questo dolore è causato dalle contrazioni dell’utero che lo riportano
alle dimensioni pre-gravidiche.
È un dolore in genere lombare, localizzato medialmente e a volte irradiato alle
zone centro addominali.
Può essere esacerbato dall’allattamento a causa del rilascio di ossitocina.
Spesso viene riferito come simile al dolore delle mestruazioni e definito dalle
puerpere come “morso uterino”.
2. Il dolore perineale
Il dolore perineale è presente nelle prime due settimane del puerperio nel 42%
delle donne che hanno avuto un parto vaginale.
Questo tipo di dolore, a causa della precoce insorgenza, può mettere a rischio
il benessere materno-neonatale; infatti la ridotta mobilità materna influisce
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negativamente sulle cure che la mamma può dare al suo neonato, esponendo
la donna al rischio di depressione postpartum.
Fattori di rischio per lo sviluppo di dolore perineale sono: macrosomia,
nulliparità, mal posizione fetale, episiotomia, lacerazioni perineali.
Quest’ultime in particolare possono poi complicare il dolore perineale
causando incontinenza, disfunzioni sessuale, dolore cronico.
Fattori predisponenti per complicazioni delle lacerazioni sono: fumo,
lacerazioni di 4° grado, parto strumentale (non cesareo). E, come è facile
intuire, tanto più la lacerazione è profonda, tanto più causerà dolore.
Una piccola parentesi sulla classificazione delle lacerazioni (vedi figura
seguente):
-lacerazione di 1° grado: coinvolge la cute perineale e il tessuto sottocutaneo;
-lacerazione di 2° grado: coinvolge i muscoli e il corpo perineale;
-lacerazione di 3° grado: coinvolge lo sfintere anale;
-lacerazione di 4° grado: oltrepassa lo sfintere anale raggiungendo la mucosa
rettale.
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Verrebbe ora da chiedersi se anche l’episiotomia (eseguita di routine oppure
di necessità) abbia un ruolo nel causare dolore nel postpartum. Infatti
l’episiotomia prevede anch’essa una lesione dei tessuti perineali, seppur
eseguita chirurgicamente.
Una rewiew della Cochrane eseguita da Carroli et all dimostra che non c’è
differenza nel dolore del postpartum in puerpere sottoposte a episiotomia
rispetto a quelle che hanno avuto una lacerazione spontanea.
3. Il dolore muscolo-scheletrico e nervoso.
Durante il corso della gravidanza il corpo femminile subisce notevoli
cambiamenti, alcuni di questi particolarmente evidenti quale ad esempio
l’aumento di peso e la ritenzione idrica.
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L’aumento di peso incide spesso sulle articolazioni, sottoponendole ad un
carico di lavoro maggiore; la ritenzione idrica può intrappolare i nervi, tanto
che spesso le donne gravide riferiscono parestesie alle mani.
Durante la gravidanza, a causa dell’aumento delle dimensioni dell’utero, la
lordosi lombare si accentua per permettere di mantenere il baricentro materno
allineato con gli arti inferiori.
Questa modificazione strutturale è sovente causa di mal di schiena già prima
del parto, soprattutto nell’ultimo trimestre di gravidanza, e prosegue anche nel
postpartum finché la colonna ritorna alla sua posizione originaria pre-
gravidica.
Inoltre si assiste ad un graduale aumento della mobilità delle articolazioni
sacroiliache, sacrococcigee e pubica in preparazione al passaggio del feto nel
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canale del parto; a partire poi dalla 30 settimana di gestazione è possibile
evidenziare anche una diastasi della sinfisi pubica.
Questi cambiamenti sui tessuti legamentosi e scheletrici sono causa di dolori
alla schiena in regione lombare che già si manifestano in circa il 50% delle
donne gravide e proseguono poi nel postpartum.
4. Il dolore del pavimento pelvico
Il pavimento pelvico è formato dal muscolo elevatore dell’ano, dai muscoli
coccigei, dal muscolo striato dell’uretra e dal muscolo dello sfintere anale.
Il dolore di questa regione è comune nelle donne che hanno una storia di parto
vaginale, in quanto la testa fetale nel suo passaggio può danneggiare queste
strutture che circondano il canale del parto.
Un’altra spiegazione di questo tipo di dolore, oltre all’azione traumatica sui
tessuti, è la teoria ormonale: gli ormoni in gravidanza causano una lassità dei
legamenti del cingolo pelvico con conseguente aumento della mobilità delle
strutture coinvolte e di conseguenza la possibilità di provare dolore da questa
relativa instabilità.
Questo tipo di dolore, infatti, si manifesta giornalmente ed è peggiorato dal
camminare, dal cambiare posizione e dall’alzarsi in piedi. È un dolore
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compreso tra la cresta iliaca posteriore e la piega glutea, vicino
all’articolazione sacroiliaca. E questo dolore può persistere per alcuni mesi
dopo il parto.
5. Il dolore alle ginocchia
Il dolore alle ginocchia, sia a riposo che durante i movimenti, è frequente nelle
donne in gravidanza. La spiegazione è semplice: l’aumento di peso comporta
una maggiore sollecitazione delle articolazioni del ginocchio. Come il “dolore
lombare” è comune in gravidanza e scompare spontaneamente a pochi mesi
dal parto.
Trattamento del dolore
1. Trattamento del dolore dell’immediato postpartum
In genere è sufficiente del paracetamolo, eventualmente in associazione con
i FANS. Essendo questi dolori dovuti alle contrazioni uterine, sono
sconsigliati gli antispastici in quanto potrebbero interferire con il
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fisiologico ritorno dell’utero alle dimensioni pregravidiche ed il normale
mantenimento del globo di sicurezza.
2. Trattamento del dolore perineale
Un primo trattamento non farmacologico nel trattamento di questo tipo di
dolore consiste nel massaggiare il perineo con lubrificanti e compresse
calde. In particolare questo trattamento, eseguito a partire dalla 35
settimana di gravidanza riduce del 16% le episiotomie e di conseguenza
l’insorgenza di un dolore perineale postpartum.
Il meccanismo d’azione sembra essere l’aumentato rilassamento dei
muscoli e dei tessuti concomitante con l’aumentata circolazione sanguinea
provocata dal massaggio e, di conseguenza, una maggiore elasticità di tutto
il piano perineale.
Un secondo trattamento antidolorifico non farmacologico, da attuare
specialmente una volta che si ha avuto il trauma tissutale, prevede l’utilizzo
di impacchi freddi locali. Come è già ben conosciuto, soprattutto in
occasione dei traumi articolari, gli impacchi ghiacciati riducono il gonfiore
dei tessuti, limitando ma principalmente riducendo il dolore.
Tuttavia queste due prime misure terapeutiche da solo non bastano; è
necessario aggiungere un farmaco per controllare il dolore perineale. Il
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primo farmaco da prendere in considerazione è il paracetamolo: farmaco
sicuro per la mamma e per il bimbo, in quanto non sono stati riportati effetti
sul neonato e incompatibilità con l’allattamento. È questo un farmaco
analgesico e antipiretico con una bassa attività antinfiammatoria.
Al secondo posto per il controllo del dolore perineale ci sono i FANS.
Questi tipi di farmaci agiscono come veri e propri antinfiammatori nel
ridurre il gonfiore dei tessuti lacerati e come analgesici sulle contrazioni
uterine. Dei FANS sono considerati sicuri ibuprofene e diclofenac anche
durante l’allattamento; l’aspirina invece non è compatibile con
l’allattamento.
Se fosse necessario arrivare ai farmaci oppioidi per controllare il dolore
perineale, basse dosi di morfina per via endovenosa o intramuscolare sono
preferibili. La morfina infatti passa nel latte materno in una bassa
percentuale e la sua biodisponibilità orale è ancora più bassa.
3. Trattamento del dolore muscolo scheletrico
I farmaci più efficaci per il trattamento di questo tipo di dolore sono i
FANS, per il loro duplice effetto antinfiammatorio e antidolorifico.
Sembrano essere superiori al paracetamolo, soprattutto nel dolore cronico,
anche se quest’ultimo rimane comunque di prima scelta per la sua assenza
di effetti sulla madre, sull’allattamento e sul neonato.
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Accanto alla terapia farmacologica, si associa la terapia fisica. Gli esercizi
mirati all’allenamento dei muscoli trasversi e obliqui dell’addome, glutei,
dei muscoli spinali e quelli delle anche consento una stabilizzazione
relativa di quelle articolazioni che erano stato sollecitate durante il periodo
gravidico comportando un riduzione del dolore del cingolo pelvico nel
postpartum.
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Il dolore dopo il taglio cesareo
È questo il tipo di dolore che più frequentemente ci troviamo a trattare, essendo
gli anestesisti già coinvolti per l’atto chirurgico.
Dedichiamo perciò un capitolo a parte per trattare di questo tipo di dolore.
Il trattamento del dolore postoperatorio è ormai un imperativo, non solo dal punto
di vista etico, ma anche perché riduce le complicanze polmonari e cardiache,
permette una più veloce mobilizzazione con conseguente minor rischio di
trombosi venose profonde, riduce i tempi di ricovero. Nel caso della donna che ha
appena partorito, si aggiunge poi che l’assenza di dolore permette alla puerpera di
accudire meglio il neonato e aumenta la possibilità di un suo allattamento al seno.
Ci sono inoltre degli studi che dimostrano che le puerpere che lamentano un
dolore acuto postpartum hanno un rischio 3 volte maggiore di sviluppare una
depressione postpartum.
L’anestesia locoregionale (ALR) è ormai diventata la tecnica di scelta per eseguire
un taglio cesareo, sia che venga effettuata in spinale, epidurale o combinata (la
cosiddetta spino-peridurale). Il vantaggio di questa tecnica consente un eccellente
analgesia nel postoperatorio con una riduzione della necessità di utilizzo di
oppioidi nel controllo del dolore, un diminuzione dell’effetto sedativo, una minore
concentrazione del farmaco nel latte materno ed una precoce mobilizzazione della
puerpera.
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Ad oggi gli oppiacei intratecali maggiormente utilizzati sono il fentanil ed il
sufentanil. Il primo offre in genere una buona analgesia di breve durata, spesso
limitata alla durata dell’intervento ed in particolare durante l’esteriorizzazione
dell’utero; il secondo ha una potenza maggiore del fentanil, ha il vantaggio di un
rapido onset, un ridotto passaggio transplacentare ma causa maggior prurito e una
durata d’azione minore.
Il TAP-block consiste nell’iniezione di un anestetico locale tra la fascia del
muscolo trasverso dell’addome e il muscolo interno obliquo. Produce
un’anestesia di parete in quanto agisce sui rami sensitivi della parete addominale
anteriore. È questo un blocco di facile esecuzione con un elevato grado di
sicurezza, soprattutto sotto guida ecografica.
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Per quanto riguarda la terapia orale, la PCA di morfina è la tecnica maggiormente
studiata. Ovviamente la PCA è associata a tutti gli effetti che gli oppioidi possono
manifestare, inclusa la depressione respiratoria; pertanto va eseguito uno stretto
monitoraggio materno, eventualmente anche includendo la pulsossimetria in
continuo.
La codeina, altro oppioide naturale, è ormai stata abbandonata per la sua
implicazione nella morte di alcuni neonati. Infatti il polimorfismo genetico
dell’isoenzima CYP2D6, presente nello 0,5-2% della popolazione, può accelerare
il metabolismo della codeina (metabolismo ultrarapido), rendendo una quota di
farmaco maggiormente attiva.
Anche il tramadolo è utilizzato nella terapia antalgica postcesareo. È questo un
oppioide minore che passa nel latte materno in una quantità pari allo 0,1% della
dose somministrata alla puerpera. Tuttavia una singola dose di tramadolo non
impone la sospensione dell’allattamento. Infatti la dose che passa nel latte
materno è inferiore alla dose terapeutica che solitamente viene somministrata ai
neonati per l’usuale terapia antalgica.
In associazione agli oppioidi (maggiori o minori), proprio per limitare il loro
utilizzo, si associano sempre il paracetamolo ed i FANS.
Il paracetamolo è uno dei pochi farmaci che non ha controindicazioni
all’allattamento e per le sue dimostrate proprietà di ridurre il consumo di oppioidi
è quindi spesso associato ad essi nella terapia antidolorifica.
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Anche il diclofenac è utilizzato per il trattamento del dolore postcesareo ed è
considerato compatibile con l’allattamento. La quantità escreta nel latte materno
è circa l’1% anche quando vengono assunti dosaggi elevati. Quando
somministrato alle dosi di 150 mg/die riduce il consumo di oppioide del 35-40%.
Il suo effetto antalgico agisce principalmente nel controllo del dolore viscerale
uterino e del sito della ferita chirurgica. Ha un’azione sinergica con il
paracetamolo.
Dato che l’ibuprofene passa in quantità ancora minore nel latte materno (solo lo
0,65%), questo è preferito al diclofenac. Infatti, come per il paracetamolo, non vi
è nessuna limitazione al suo utilizzo durante l’allattamento. Tra tutti i FANS è
quello analgesico e antipiretico di scelta nelle madri nutrici.
Anche il ketorolac è un FANS indicato per il trattamento a breve termine
(inferiore ai 2 giorni). A differenza degli altri FANS ha un potere antalgico simile
agli oppioidi senza però avere i loro effetti negativi (sedazione, nausea e vomito,
prurito); tuttavia come per i FANS ha un elevato rischio di causare un ulcera
gastrica, sanguinamento e perforazione. In Italia è considerato off-label durante
l’allattamento, mentre per la FDA è utilizzabile seppur con opportune
precauzioni, in particolare con la formulazione endovena. Tuttavia non ci sono
ancora dati certi sul suo utilizzo nelle puerpere che allattano e sui i neonati figli
di madri che allattano e sono in terapia con ketorolac.
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Il dolore “cronico” nel postpartum
Se ormai nella quotidiana pratica clinica è entrato prepotentemente il trattamento
del dolore acuto soprattutto postoperatorio, poco viene fatto per quello che si
prolunga poi per alcuni mesi se non addirittura anni. Si parla in questo caso di
dolore persistente dopo il parto.
Il dolore persistente dopo il parto è definito nel seguente modo: insorgenza di un
nuovo dolore dopo la nascita del neonato; dolore che dura minimo 2 mesi dopo il
parto; esclusione di altre cause di dolore insorte precedentemente o durante la
gravidanza.
La natura del dolore persistente dopo il parto rimane poco indagato, specialmente
quello dopo un parto vaginale.
Alcune conclusioni possono però essere fatte in base agli studi finora eseguiti.
Il danno tissutale e la modalità del parto influenzano l’intensità del dolore acuto
nella prima settimana dal parto ma non oltre. Così come il timing del taglio
cesareo (elettivo/emergente), un precedente TC, il tentativo di un travaglio di
prova non sembrano essere associati ad un aumentato rischio di sviluppare un
dolore persistente.
I fattori invece predisponenti allo sviluppo di questo tipo di dolore risultano
essere: un pre-esistente dolore cronico, un forte dolore acuto postpartum, la
fragilità psicologica della donna.
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Incidenza Fattori di rischio
Dolore acuto severo
(< 36 ore postpartum)
TC 17%
Va 10%
Storia di dolore durante la gravidanza.
Intensità del dolore mestruale.
Danno tissutale causato dal parto.
Presenza di iperalgesia intorno alla ferita
(causata da precedente TC).
Dolore a 8 settimane
TC 9,2%
Va 10%
Severità del dolore postpartum.
Risposta dolorifica soggettiva all’insulto.
Dolore a 6 mesi TC e Va 1,8% Non identificato.
Dolore a 12 mesi TC e Va 0,3% Non identificato.
TC, taglio cesareo; Va parto vaginale
Il trattamento del dolore lieve/moderato cronico prevede l’utilizzo di FANS,
specie se fosse presente una componente infiammatoria. In genere non andrebbero
prescritti per non più di 7 giorni consecutivi, data la loro caratteristica di
potenziale gastrolesività, epatotossicità e alterazione delle funzionalità
emostatica; trae indicazioni quindi la somministrazione a cicli ripetuti di 5-7
giorni.
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Inoltre si ricorda che il paracetamolo è un farmaco analgesico ma non
antinfiammatorio e, quindi, non può essere sostituito ai classici FANS quando
l’infiammazione è l’obiettivo terapeutico principale.
In caso di fallimento della terapia antinfiammatoria si può ricorrere alle tecniche
di anestesia locoregionale. Tra queste trova posto il blocco del nervo pudendo.
Il nervo pudendo provvede alla sensibilità del pavimento pelvico e del perineo; è
formato dalla fusione della seconda, terza e quarta radice sacrale; esce dalla pelvi
attraverso il grande forame ischiatico ed entrando nel canale omonimo (delimitato
medialmente e superiormente dalla fossa ischiorettale e lateralmente dal muscolo
otturatorio interno e l’osso ischiatico) si divide nei tre rami principali: nervo
emorroidario inferiore, nervo perineale, nervo dorsale del clitoride (l’equivalente
del nervo dorsale del pene nel maschio).
Due approcci sono possibili per eseguire il blocco del nervo pudendo: l’approccio
transperineale e quello transvaginale.
Per il blocco del nervo pudendo per via transperineale, la paziente viene posta in
posizione ginecologica ed il punto di repere è situato circa a cm 2,5
posteriormente e medialmente alla tuberosità ischiatica. Si esegue quindi a questo
livello un’anestesia locale di tutti i piani superficiali e profondi. Si procede poi ad
inserire un ago G22 perpendicolarmente alla cute fino a raggiungere il margine
posteriore della spina ischiatica. Si può utilizzare il dito indice della mano non
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impegnata, inserito nel retto, per identificare la spina ischiatica e il legamento
sacrospinale e orientare la punta dell’ago posteriormente a queste due strutture.
Per il blocco del nervo pudendo per via transvaginale, si pone la paziente in
posizione ginecologica. Si inserisce un dito in vagina per palpare la spina
ischiatica e guidare così l’ago posteriormente ad essa. Si inserisce quindi l’ago in
vagina in quella direzione, superando il legamento sacrospinale (si avvertirà una
perdita di resistenza) dove verrà iniettato l’anestetico locale e/o il cortisonico.
Per entrambe le procedure, il blocco andrà effettuato anche dal lato opposto.
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Conclusioni
Nel corso degli anni le tecniche di analgesia hanno permesso alle donne di avere
un travaglio senza dolore, affinché effettivamente il parto potesse essere quel
momento aspettato da una vita; e questo momento potesse essere vissuto senza il
dolore che lo caratterizza e ho la ha caratterizzato fin dalle origini della vita
umana.
Sono stati sviluppati nuovi anestetici locali e nuove tipologie di analgesie, dalla
bupivacaina alla ropivacaina ed infine alla levobupivacaina, dai boli programmati
all’infusione continua alla PIEB; oggi si insiste sul taglio cesareo dolce.
Insomma abbiamo fatto tutto perché queste future mamme potessero partorire nel
modo più sereno possibile.
E poi?
Una volta avuta questa creatura tra le braccia, cosa facciamo per loro?
Anche le prime settimane, anzi soprattutto questo periodo, sono fondamentali per
l’instaurarsi della relazione madre-figlio, per il benessere di questa nuova diade.
Restiamogli accanto, occupandoci anche del dolore del postpartum che, come
abbiamo visto, può portare alla depressione e allo sviluppo di un dolore cronico…
affinché “quel bambino che hanno portato nel grembo per nove mesi, sia portato
in braccio per tre anni e nel cuore fino al giorno in cui muoiono” (anonimo).
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