STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO
Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 8
II SEMESTRE
A.A. 2018-2019
Max Weber:
«Come ogni altra attività, l’attività sociale può essere
determinata:
1) In modo razionale rispetto allo scopo (zweckrational),
attraverso delle aspettative concernenti i comportamenti
degli oggetti del mondo esteriore o quelli degli altri uomini;
2) In modo razionale rispetto al valore (wertrational) attraverso
la credenza cosciente nel valore intrinseco di un
comportamento – di ordine etico, estetico, religioso o altro –
indipendentemente dal successo sperato;
3) Secondo gli affetti (in particolare le emozioni), a partire dalle
passioni e dai sentimenti specifici degli attori;
4) Secondo la tradizione, in virtù di abitudini inveterate».
Max Weber:
«Agisce in maniera razionale rispetto allo scopo
colui che orienta il suo agire allo scopo, ai
mezzi e alle conseguenze concomitanti,
misurando razionalmente i mezzi in rapporto
agli scopi, gli scopi in rapporto alle
conseguenze ed infine anche i diversi scopi
possibili in rapporto reciproco: in ogni caso
egli non agisce quindi né affettivamente né
tradizionalmente»
Il «politeismo dei valori»:
«Tra i valori (…) si tratta in ultima
analisi, ovunque e sempre, non già di
semplici alternative, ma di una lotta
mortale senza possibilità di
conciliazione, come tra ‘dio’ e il
‘demonio’».
Max Weber:Uno degli elementi costitutivi dello spirito capitalistico moderno (e
non soltanto di questo, ma della civiltà moderna), ossia la condotta
razionale della vita sul fondamento dell’idea di professione, è nato
(…) dallo spirito dell’ascesi cristiana… Quando infatti l’ascesi fu
trasferita dalle celle dei monaci alla vita professionale e cominciò a
dominare l’eticità intra-mondana, essa cooperò per la sua parte
all’edificazione di quel possente cosmo dell’ordinamento economico
moderno, legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione
meccanica, che oggi determina con strapotente forza coercitiva – e
forse continuerà a determinare finché non sarà bruciato l’ultimo
quintale di combustibile fossile – lo stile di vita di tutti gli individui
nati in questo ingranaggio, e non soltanto di quelli direttamente attivi
nell’acquisizione economica.
Max Weber:
Secondo l’opinione di Richard Baxter, la cura per i beni
esteriori doveva avvolgere le spalle dei suoi santi soltanto come
un ‘sottile mantello che si possa gettar via in ogni momento’.
Ma il destino fece del mantello una gabbia di acciaio. Mentre
l’ascesi intraprendeva lo sforzo di trasformare il mondo e di
esercitare la sua influenza nel mondo, i beni esteriori di questo
mondo acquistavano un potere crescente e, alla fine,
ineluttabile sull’uomo, come mai prima nella storia. Oggi il suo
spirito – chissà se per sempre – è fuggito da questa gabbia. In
ogni caso il capitalismo vittorioso, da quando si fonda su una
base meccanica, non ha più bisogno di questo sostegno.
Max Weber:
Nessuno sa chi in futuro abiterà in quella gabbia e se, alla
fine di questo enorme sviluppo, vi saranno profeti
interamente nuovi o una potente rinascita di principi e di
ideali antichi, oppure ancora – escludendo l’una e l’altra
alternativa – una pietrificazione meccanizzata, adornata di
una specie di convulso desiderio di sentirsi importante.
Allora, certo, per gli ‘ultimi uomini’ di questo sviluppo
culturale potrebbe diventare verità il principio: ‘specialisti
senza spirito, gaudenti senza cuore – questo nulla
s’immagine di essere salito a un grado mai prima raggiunto
di umanità.
Max Weber: la teoria politica
Con Macht si intende «ogni possibilità di
imporre la propria volontà all’interno di una
relazione sociale anche contro eventuali
resistenze, qualunque sia il suo fondamento».
Herrschaft è «la possibilità di trovare
obbedienza ad un comando di contenuto
determinato da parte di qualsivoglia persona»
Max Weber: la teoria politica
«Gli agenti possono accordare a un ordine una validità
legittima:
a)In virtù della tradizione: validità di ciò che è sempre
stato;
b)In virtù di una credenza di ordine affettivo (del tutto
emozionale): validità della nuova rivelazione o
dell’esemplarità;
c)In virtù di una credenza razionale secondo dei valori:
validità di ciò che si ritiene essere un assoluto;
d)In virtù di uua disposizione positiva, alla legalità della
quale si crede».
Max Weber: la teoria politica
«Ci sono tre tipi di dominazione legittima. La validità di questa legittimità
si può basare:
1)Su dei motivi razionali, che si basano sulla credenza nella legalità dei
regolamenti emanati e del diritto di dare delle direttive che hanno coloro
che sono chiamati a esercitare l’autorità con questi mezzi (autorità legale);
2)Su dei motivi tradizionali, che poggiano sulla credenza quotidiana nella
santità delle tradizioni immemoriali nella legittimità di coloro che sono
chiamati ad esercitare l’autorità attraverso tali mezzi (autorità tradizionale);
3)Su dei motivi carismatici, che poggiano sulla devozione nei confronti
della santità eccezionale, della virtù eroica o del carattere esemplare di una
persona individuale, o ancora che emanano da ordini rivelati o emanati da
quella (autorità carismatica)».
L’ « etica della convinzione» e l’
«etica della responsabilità»:
L’uomo dell’etica della responsabilità (…) mette in conto proprio
quei difetti riscontrabili nella media degli uomini, (…) non si
sente autorizzato a scaricare sugli altri le conseguenze del suo
operare, nella misura in cui egli le poteva prevedere. (…) L’uomo
dell’etica della convinzione si sente «responsabile» solo riguardo
a che il fuoco della pura convinzione non si spenga, il fuoco ad
esempio della protesta contro l’ingiustizia dell’ordine sociale.
Ravvivare di continuo questo fuoco è lo scopo delle sue azioni del
tutto irrazionali, se giudicate a partire dal possibile successo, le
quali possono e devono avere soltanto un valore esemplare… (M.
Weber, La politica come professione)
L’ « etica della convinzione» e l’
«etica della responsabilità»:
Non v’è che questa scelta: o democrazia
subordinata a un capo e organizzata mediante la
“macchina”, o democrazia senza capi, vale a dire
dominio dei “politici di professione” senza
vocazione, senza le qualità intime carismatiche
che appunto creano un capo. (M. Weber, La
politica come professione)
STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO
Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 9
II SEMESTRE
A.A. 2018-2019
La politica secondo Schmitt:
- La politica eccede l’individuo e la sua ragione: non è libertà ma
destino;
- Essa eccede altresì il diritto e la sua normatività: non è legge ma
decisione;
- L’ordine politico è necessario e va creato a partire dal disordine con un
atto di decisione sovrana;
- Esso però può sussistere efficacemente solo se conserva al suo interno
il disordine, la violenza, da cui ha avuto origine: il tentativo moderno di
eludere l’origine non razionale della politica, di razionalizzarla
integralmente, produce un mondo “tecnico”, non certo privo di conflitti,
ma privo della capacità di comprenderli e di fronteggiarli (C. Galli).
Carl Schmitt, La dittatura (1921):
Dittatura commissaria: sospende la costituzione per difenderne
l’esistenza;
Dittatura sovrana: «vede in tutto l’ordinamento esistente uno stato
di cose da rimuovere completamente con la propria azione. Essa
non sospende una costituzione vigente facendo leva su di un
diritto da essa contemplato, e perciò stesso costituzionale, bensì
mira a creare uno stato di cose in cui sia possibile imporre una
costituzione ritenuta come quella autentica»
Carl Schmitt, Teologia politica (1922):
Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione.
Infatti ogni ordine riposa su una decisione e
anche il concetto di ordinamento giuridico, che
viene acriticamente impiegato come qualcosa che
si spiega da sé, contiene in sé la contrapposizione
dei due diversi elementi del dato giuridico. Anche
l’ordinamento giuridico, come ogni altro ordine,
riposa su una decisione e non su una norma.
Carl Schmitt, Teologia politica (1922):
(…) L’eccezione è ciò che non è riconducibile; essa si sottrae
all’ipotesi generale, ma nello stesso tempo rende palese in assoluta
purezza un elemento formale specificamente giuridico: la decisione.
Nella sua forma assoluta il caso d’eccezione si verifica solo allorché
si deve creare la situazione nella quale possano avere efficacia norme
giuridiche. Ogni norma generale richiede una strutturazione normale
dei rapporti di vita, sui quali essa di fatto deve trovare applicazione e
che essa sottomette alla propria regolamentazione normativa. La
norma ha bisogna di una situazione media omogenea. Questa
normalità di fatto non è semplicemente un «presupposto esterno» che
il giurista può ignorare; essa riguarda invece direttamente la sua
efficacia immanente.
Carl Schmitt, Teologia politica (1922):
Non esiste nessuna norma che sia applicabile ad un caos.
Prima dev’essere stabilito l’ordine: solo allora ha un senso
l’ordinamento giuridico. Bisogna creare una situazione
normale, e sovrano è colui che decide in modo definitivo se
questo stato di normalità regna davvero. Ogni diritto è
«diritto applicabile ad una situazione». Il sovrano crea e
garantisce la situazione come un tutto nella sua totalità. Egli
ha il monopolio della decisione ultima. In ciò sta l’essenza
della sovranità statale, che quindi propriamente non
dev’essere definita giuridicamente come monopolio della
sanzione o del potere, ma come monopolio della decisione…
Carl Schmitt, Teologia politica (1922):
L’eccezione è più importante del caso
normale. Quest’ultimo non prova nulla,
l’eccezione prova tutto; non solo essa
conferma la regola: la regola stessa vive
solo dell’eccezione. Nell’eccezione, la
forza della vita reale rompe la crosta di
una meccanica irrigidita nella
ripetizione…
Carl Schmitt, Il concetto di «politico» (1927/32)
La specifica distinzione politica alla quale è possibile
ricondurre le azioni e i motivi politici, è la distinzione di
amico (Freund) e nemico (Feind). Essa offre una definizione
concettuale, cioè un criterio, non una definizione esaustiva o
una spiegazione del contenuto. (…) Il significato della
distinzione di amico e nemico è di indicare l’estremo grado
di intensità di un’unione o di una separazione, di
un’associazione o di una dissociazione; essa può sussistere
teoricamente e praticamente senza che, nello stesso tempo,
debbano venir impiegate tutte le altre distinzioni morali,
estetiche, economiche o di altro tipo.
Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Non c’è bisogno che il nemico politico sia moralmente
cattivo, o esteticamente brutto; egli non deve
necessariamente presentarsi come concorrente economico e
forse può anche apparire vantaggioso concludere affari con
lui. Egli è semplicemente l’altro, lo straniero (der Fremde) e
basta alla sua essenza che egli sia esistenzialmente, in un
senso particolarmente intensivo, qualcosa d’altro e di
straniero, per modo che, nel caso estremo, siano possibili
con lui conflitti che non possano venir decisi né attraverso
un sistema di norme prestabilite né mediante l’intervento di
un terzo “disimpegnato” e perciò “imparziale”.
Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Solo chi vi prende parte direttamente può por
termine al caso conflittuale estremo; in
particolare solo costui può decidere se
l’alterità dello straniero nel conflitto
concretamente esistente significhi la negazione
del proprio modo di esistere e perciò sia
necessario difendersi e combattere, per
preservare il proprio, peculiare, modo di vita.
Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Nemico non è il concorrente o l’avversario in generale. Nemico
non è neppure l’avversario privato che ci odia in base a
sentimenti di antipatia. Nemico è solo un insieme di uomini che
combatte almeno virtualmente, e che si contrappone ad un altro
raggruppamento umano dello stesso genere. Nemico è solo il
nemico pubblico, poiché tutto ciò che si riferisce ad un simile
raggruppamento, e in particolare ad un intero popolo, diventa
per ciò stesso pubblico. Il nemico è l’hostis, non l’inimicus in
senso ampio. (…) La contrapposizione politica è la più intensa ed
estrema di tutte e ogni altra contrapposizione concreta è tanto
più politica quanto più si avvicina al punto estremo, quello del
raggruppamento in base ai concetti di amico-nemico…
Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Nel concetto di nemico rientra l’eventualità, in termini reali, di una
lotta. Questo termine va impiegato prescindendo da tutti i mutamenti
casuali o dipendenti dallo sviluppo storico della tecnica militare e delle
armi. La guerra è lotta armata fra unità politiche organizzate, la
guerra civile è lotta armata all’interno di un’unità organizzata (che
proprio perciò però sta divenendo problematica). L’essenza del
concetto di arma sta nel fatto che essa è uno strumento di uccisione
fisica di uomini. Come il termine di nemico anche quello di lotta
dev’essere qui inteso nel senso di un’originarietà assoluta. Esso non
significa concorrenza, non la lotta «puramente spirituale» della
discussione, non il simbolico «lottare» che alla fine ogni uomo in
qualche modo compie sempre, poiché in realtà l’intera vita umana è
una «lotta» ed ogni uomo un «combattente».
Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
I concetti di amico, nemico e lotta acquistano il loro
significato reale dal fatto che si riferiscono in modo
specifico alla possibilità reale dell’uccisione fisica. La
guerra consegue dall’ostilità poiché questa è
negazione assoluta di ogni altro essere. La guerra è
solo la realizzazione estrema dell’ostilità. Essa non ha
bisogno di essere vista come qualcosa di ideale o di
desiderabile: essa deve però esistere come possibilità
reale, perché il concetto di nemico possa mantenere il
suo significato…
Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Allo Stato, in quanto unità sostanzialmente politica,
compete il jus belli, cioè la possibilità reale di
determinare, in dati casi e in forza di una decisione
propria, il nemico e di combatterlo. E’ poi indifferente
con quali mezzi tecnici la guerra verrà condotta, quale
organizzazione militare esista, quante probabilità vi
siano di vincere la guerra, purché il popolo
politicamente uno sia pronto a combattere per la sua
esistenza ed indipendenza: nel che esso determina, in
forza di decisione propria, la sua indipendenza e
libertà.
Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
(…) Lo Stato come unità politica decisiva ha concentrato presso di sé
una competenza immensa: la possibilità di far la guerra e quindi spesso
di disporre della vita degli uomini. Infatti il jus belli contiene una
disposizione di questo tipo; esso comporta la duplice possibilità di
ottenere dagli appartenenti al proprio popolo la disponibilità a morire e
ad uccidere, e di uccidere gli uomini che stanno dalla parte del nemico.
Il compito di uno Stato normale consiste però soprattutto nell’assicurare
all’interno dello Stato e del suo territorio una pace stabile, nello stabilire
«tranquillità, sicurezza e ordine» e di procurare in tal modo la situazione
normale che funge da presupposto perché le norme giuridiche possano
aver vigore, poiché ogni norma presuppone una situazione normale e
non vi è norma che possa aver valore per una situazione completamente
abnorme nei suoi confronti
Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
[La] necessità di pacificazione interna porta, in situazioni critiche, al fatto
che lo Stato, in quanto unità politica, determina da sé, finché esiste, anche il
«nemico interno». In tutti gli Stati esiste perciò in qualche forma ciò che il
diritto statale delle repubbliche greche conosceva come dichiarazione di
polemios e il diritto statale romano come dichiarazione di hostis: forme
cioè più o meno acute, automatiche o efficaci solo in base a leggi speciali,
manifeste o celate in prescrizioni generali, di bando, di proscrizione, di
estromissione dalla comunità di pace, di collocazione hors la loi, in una
parola di dichiarazione di ostilità interna allo Stato. Questo è il segno, a
seconda del comportamento di colui che è stato dichiarato nemico dello
Stato, della guerra civile, cioè del superamento dello Stato come unità
politica organizzata, pacificata al suo interno, chiusa territorialmente e
impenetrabile ai nemici. Il successivo destino di questa unità sarà poi
deciso dalla guerra civile…
Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Pensiero politico ed istinto politico si misurano perciò
sul piano teoretico come su quello pratico, in base alla
capacità di distinguere amico e nemico. I punti più alti
della grande politica sono anche i momenti in cui il
nemico viene visto, con concreta chiarezza, come
nemico. (…) Ma il discorso vale anche in senso inverso:
dovunque nella storia politica, di politica estera come di
politica interna, l’incapacità o la non volontà di compiere
questa distinzione appare come sintomo della fine
politica…
Carl Schmitt, Dottrina della costituzione (1928)
Intesa nel suo senso assoluto, costituzione significa «il
concreto modo di esistere che è dato spontaneamente con
ogni unità politica esistente». «Lo Stato non ha una
costituzione, conforme alla quale si forma e funziona
una volontà statale, ma lo Stato è la costituzione, cioè
una condizione presente conforme a se stessa, uno status
di unità e ordine. Lo stato cesserebbe di esistere se
questa costituzione, cioè questa unità e ordine, cessasse.
La costituzione è la sua «anima», la sua vita concreta e
la sua esistenza individuale» (p. 17).
Carl Schmitt, Dottrina della costituzione (1928)
Intesa in senso positivo, la costituzione è la decisione
fondamentale circa la forma e la specie dell’unità
politica . Essa «vige in forza della volontà politica esistente
di chi la pone».
«Potere costituente è una volontà politica il cui potere o
autorità è in grado di prendere la decisione concreta
fondamentale sulla specie e la forma della propria esistenza
politica, ossia di stabilire complessivamente l’esistenza
dell’unità politica. Dalle decisioni di questa volontà si fa
discendere la validità di ogni ulteriore disciplina legislativa
costituzionale».
Carl Schmitt, Dottrina della costituzione (1928)
Stato è un determinato status di un popolo, e
precisamente lo status dell’unità politica. Forma
di Stato è la specie particolare della struttura di
questa unità. Soggetto di ogni determinazione
concettuale dello Stato è il popolo. Lo Stato è una
condizione, e precisamente la condizione di un
popolo.
STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO
Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 10
II SEMESTRE
A.A. 2018-2019
Carl Schmitt, Il concetto di «politico» (1927-32)
La polemica contro il pacifismo giuridico:
«Un popolo dotato di esistenza politica non può (…) evitare di
distinguere, in casi determinati, fra amico e nemico, mediante una
determinazione propria e a proprio rischio e pericolo. Esso può
solamente proclamare che condanna la guerra come mezzo di
soluzione delle controversie internazionali e che rinuncia ad essa
come ‘strumento di politica nazionale’, com’è accaduto nel
cosiddetto ‘patto Kellogg’ del 1928. In tal modo però esso non ha
rinunciato alla guerra come strumento di politica internazionale (e
una guerra al servizio della politica internazionale può essere
peggiore della guerra che serve solo a una politica nazionale), né
ha soprattutto ‘condannato’ o ‘bandito’ la guerra in generale…»
Carl Schmitt, Il concetto di «politico» (1927-32)
La polemica contro il pacifismo giuridico:«…In primo luogo una dichiarazione del genere soggiace a precise riserve
che, espresse o no che siano, sono evidenti; (…) in secondo luogo, queste
riserve, per quanto riguarda la loro struttura logica, non sono semplici
eccezioni alla norma, ma sono esse stesse a dare alla norma il suo contenuto
concreto; (…) in terzo luogo, finché esiste uno Stato indipendente, è questo
stesso a decidere da sé, in forza della sua indipendenza, se sussista o meno
il caso di una delle riserve indicate; (…) in quarto luogo, infine, non si può
‘bandire’ la guerra in generale, ma solo determinati uomini, popoli, Stati,
classi, religioni, ecc., che, mediante un ‘bando’ , possono essere dichiarati
nemici. In tal caso neppure la solenne ‘messa al bando della guerra’ elimina
la distinzione amico-nemico, ma anzi dà ad essa nuovo contenuto e nuova
vita, per mezzo delle nuove possibilità di una dichiarazione di hostis in
campo internazionale… »
Carl Schmitt, Il concetto di «politico» (1927-32)
La critica dell’universalismo politico:
«…Dal carattere concettuale del ‘politico’ consegue il pluralismo
del mondo degli Stati. L’unità politica presuppone la possibilità
reale del nemico e quindi un’altra unità politica, consistente con la
prima. Perciò sulla Terra, finché esiste uno Stato, vi saranno
sempre più Stati e non può esistere uno ‘Stato’ mondiale che
comprenda tutta la Terra e tutta l’umanità. Il mondo politico è un
pluriverso, non un universo. Perciò ogni teoria dello Stato è
pluralistica. (…) L’unità politica non può essere, per sua essenza,
universale nel senso di un’unità comprendente l’intera umanità e
l’intera Terra».
Carl Schmitt, Il concetto di «politico» (1927-32)
La critica dell’imperialismo umanitario:
«L’umanità in quanto tale non può condurre nessuna guerra, poiché essa
non ha nemici, quanto meno non su questo pianeta. Il concetto di
umanità esclude quello di nemico, poiché anche il nemico non cessa di
essere uomo e in ciò non vi è nessuna differenza specifica. Che poi
vengano condotte guerre in nome dell’umanità, non contrasta con questa
semplice verità, ma ha solo un significato politico particolarmente
intenso. Se uno Stato combatte il suo nemico politico in nome
dell’umanità, la sua non è una guerra dell’umanità, ma una guerra per la
quale un determinato Stato cerca di impadronirsi, contro il suo
avversario di un concetto universale per potersi identificare con esso (a
spese del suo nemico), allo stesso modo come si possono utilizzare a
torto i concetti di pace, giustizia, progresso, civiltà, per rivendicarli a sé
e sottrarli al nemico...»
Carl Schmitt, Il concetto di «politico» (1927-32)
La critica dell’imperialismo umanitario:
«L’umanità è uno strumento particolarmente
idoneo alle espansioni imperialistiche ed è, nella
sua orma etico-umanitaria, un veicolo specifico
dell’imperialismo economico. A questo proposito
vale, pur con una modifica necessaria, una
massima di Proudhon: chi parla di umanità,
vuol trarvi in inganno...»
Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
«Proclamare il concetto di umanità, richiamarsi
all’umanità, monopolizzare questa parola: tutto ciò
potrebbe manifestare soltanto – visto che non si possono
impiegare termini del genere senza conseguenze di un
certo tipo – la terribile pretesa che al nemico va tolta la
qualità di un uomo, che esso dev’essere dichiarato hors-
la.loi e hors-l’umanité e quindi che la guerra deve essere
portata fino all’estrema inumanità. Ma al di fuori di questa
utilizzazione altamente politica del termine non politico di
umanità, non vi sono guerre dell’umanità come tale…»
Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
«Si sta formando (…) un vocabolario nuovo essenzialmente
pacifistico che non conosce più la guerra ma solo esecuzioni,
sanzioni, spedizioni punitive, pacificazioni, difesa dei trattati,
polizia internazionale, misure per la preservazione della pace.
L’avversario non si chiama più nemico, ma perciò egli viene
posto, come violatore e disturbatore della pace, hors-la-loi e hors-
l’humanité, e una guerra condotta per il mantenimento o
l’allargamento di posizioni economicistiche di potere deve essere
trasformata, con il ricorso alla propaganda, nella “crociata” e
nell’”ultima guerra dell’umanità”. Questo è il frutto della polarità
di etica ed economica……»
Carl Schmitt, L’epoca delle neutralizzazioni e
delle spoliticizzazioni (1932)
«…Ormai conosciamo la legge segreta
di questo vocabolario e sappiamo che
oggi la guerra più terribile può essere
condotta solo in nome della pace,
l’oppressione più terrificante solo in
nome della libertà e la disumanità più
abietta solo in nome dell’umanità»
Carl Schmitt, La svolta verso la guerra discriminatoria (1938)
«(…) Attraverso le dichiarazioni con cui il presidente
Wilson, il 2 aprile 1817, ha deciso che il proprio paese
partecipasse alla guerra mondiale contro la Germania, è
entrato nella storia del moderno diritto internazionale il
problema del concetto discriminatorio di guerra. (,,,) Ma
per una guerra giusta la mentalità moderna esige
determinati processi di “positivizzazione” giuridica o
morale…»
Carl Schmitt, La svolta verso la guerra discriminatoria (1938)
«La Società delle Nazioni di Ginevra è (…) fondamentalmente un
sistema di legalizzazione. Essa non può che monopolizzare il
giudizio sulla guerra giusta e mettere nelle mani di certe potenze
la decisione sulla giustizia o ingiustizia della guerra, una decisione
che è gravida di conseguenze e che è correlata alla svolta verso il
concetto discriminatorio di guerra. La società delle Nazioni è
dunque, finché conserva questa forma, solo un mezzo per la
preparazione di una guerra “totale” in sommo grado, e cioè una
guerra “giusta” condotta con pretese sovrastatali e
sovranazionali».
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Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 11
II SEMESTRE
A.A. 2018-2019
Carl Schmitt, Il Nomos della Terra
I grandi atti primordiali del diritto restano (…) localizzazioni
legate alla terra. Vale a dire: occupazioni di terra, fondazioni di
città e fondazioni di colonie. (…) Un occupazione di terra
istituisce diritto secondo una duplice direzione: verso l’interno e
verso l’esterno. Verso l’interno, vale a dire internamente al gruppo
occupante, viene creato con la prima divisione e ripartizione del
suolo il primo ordinamento di tutti i rapporti di possesso e
proprietà. (…) Verso l’esterno, il gruppo occupante si trova posto
di fronte ad altri gruppi e potenze che occupano la terra e ne
prendono possesso. Qui l’occupazione di terra rappresenta un
titolo di diritto internazionale…
Le linee di divisione globale: le rayas del trattato di Tordesillas (1494)
Le linee di divisione globale: le amity lines del trattato di Cateau-Cambresis
(1559)
Le linee di divisione globale: la Dottrina Monroe (1823)
Carl Schmitt, Il Nomos della Terra
La guerra diventa ora una “guerra in forma”, une guerre
en forme e ciò solo in conseguenza del fatto che essa
diviene guerra tra Stati europei con superfici
chiaramente delimitate, confronto tra unità spaziali
rappresentate come personae publicae che sul comune
suolo europeo formano la “famiglia” europea degli Stati
e pertanto sono in grado di considerarsi reciprocamente
come justi hostes.
Carl Schmitt, Il Nomos della Terra
La discriminazione del nemico quale criminale e la contemporanea
implicazione della justa causa vanno di pari passo con il potenziamento
dei mezzi di annientamento e con lo sradicamento spaziale del teatro di
guerra: Il potenziamento dei mezzi tecnici di annientamento spalanca
l’abisso di una discriminazione giuridica e morale altrettanto distruttiva.
(…) Il bombardiere o l’aereo di attacco a volo radente usano le proprie
armi contro la popolazione nemica verticalmente, come San Giorgio
usava la sua lancia contro il drago. Nella misura in cui oggi la guerra
viene trasformata in azione di polizia contro i turbatori della pace,
criminali ed elementi nocivi, deve anche essere potenziata la
giustificazione di questo police bombing. Si è così costretti a spingere la
discriminazione dell’avversario in dimensioni abissali…
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Lezione n. 11
II SEMESTRE
A.A. 2018-2019
Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio, Premessa :
(…) Ci volle una bella energia per riempire un mucchio di
taccuini nelle brevi pause della battaglia, dopo le fatiche
imposte dal fronte... L'uomo inclina a idealizzare quanto ha
fatto, ad occultare il laido, il meschino, il quotidiano... Io non
voglio descrivere come sarebbe potuto essere, ma come fu. (…)
Il grado di oggettività di un libro del genere rappresenta la
misura del suo valore. Come tutte le attività umane, la guerra è
composta di bene e di male. Solo che in essa, per la tensione
altissima raggiunta dalla forza dei contendenti, gli opposti si
scontrano in modo più aspro che altrove. Accanto a valori
supremi si spalancano abissi tenebrosi...»…
Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio:
(…) Il 16 giugno il generale ci rispedì alle nostre unità con un breve
discorso, dal quale potemmo facilmente dedurre che il nemico preparava
una grossa offensiva sul fronte occidentale e che l'ala sinistra del suo
schieramento si trovava già quasi tutta dinanzi alle nostre posizioni. Era la
battaglia della Somme che proiettava le sue prime ombre. Essa segnava la
fine del primo periodo di guerra, quello meno duro; ormai, in un certo
senso, ci apprestavamo a una guerra nuova. Ciò che fino a quel momento
avevamo conosciuto era stato, senza che ce ne rendessimo conto,nient'altro
che il tentativo di vincere la guerra con battaglie condotte alla vecchia
maniera, tentativo inesorabilmente sfociato nella snervante guerra
diposizione. Ora ci attendeva la battaglia dei «materiali» col suo gigantesco
spiegamento di mezzi. Questa a sua volta diventò, verso la fine del 1917,
una battaglia di mezzi meccanizzati, la cui fisionomia però non giunse a
delinearsi in tutti i suoi particolari…
Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio:
(…) Il 16 giugno il generale ci rispedì alle nostre unità con un breve
discorso, dal quale potemmo facilmente dedurre che il nemico preparava
una grossa offensiva sul fronte occidentale e che l'ala sinistra del suo
schieramento si trovava già quasi tutta dinanzi alle nostre posizioni. Era la
battaglia della Somme che proiettava le sue prime ombre. Essa segnava la
fine del primo periodo di guerra, quello meno duro; ormai, in un certo
senso, ci apprestavamo a una guerra nuova. Ciò che fino a quel momento
avevamo conosciuto era stato, senza che ce ne rendessimo conto,nient'altro
che il tentativo di vincere la guerra con battaglie condotte alla vecchia
maniera, tentativo inesorabilmente sfociato nella snervante guerra
diposizione. Ora ci attendeva la battaglia dei «materiali» col suo gigantesco
spiegamento di mezzi. Questa a sua volta diventò, verso la fine del 1917,
una battaglia di mezzi meccanizzati, la cui fisionomia però non giunse a
delinearsi in tutti i suoi particolari…
Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio:
(…) In tutta la guerra soltanto quella
battaglia mi rivelò l'esistenza di una sorta di
orrore ignoto e strano come una terra
sconosciuta. Così in quegli attimi non
avvertii alcun timore, ma anzi
un'eccitazione straordinaria, quasi
demoniaca; ebbi anche accessi di riso folle
che non riuscivo in alcun modo a contenere.
Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio:
…Tra le nove e le dieci il fuoco raggiunse una violenza pazzesca.
La terra tremava, il cielo sembrava una gigantesca marmitta in
ebollizione. Centinaia di batterie pesanti tuonavano a Combles e
nei dintorni, innumerevoli granate si incrociavano urlando e
miagolando al di sopra di noi. Tutto era avvolto in un fumo denso
rischiarato dalle luci funeree dei razzi colorati. Soffrivamo di
violenti dolori alla testa e alle orecchie, né potevamo intenderci se
non urlando parole staccate. La facoltà di pensare logicamente e il
senso della gravità sembravano scomparsi. Si era in preda al
sentimento dell'ineluttabilità e della necessità come davanti al
furore degli elementi scatenati. Un sottufficiale del terzo plotone
impazzì…
Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio:
…A sera, poco prima delle dieci, una tempesta di fuoco si abbatté
sull'ala sinistra del reggimento e giunse su di noi venti minuti più tardi.
In un attimo fummo completamente sommersi dal fumo e dalla polvere,
ma i colpi cadevano per la maggior parte proprio davanti o dietro la
trincea, se è possibile dare questo nome a quella piega del terreno
passata al rullo compressore. Mentre l'uragano si scatenava attorno a
noi, ispezionai il settore tenuto dal mio plotone. Gli uomini avevano
innestato la baionetta sulle canne dei fucili. Stavano in piedi, immobili
come statue, sulla scarpata anteriore della strada guardando in avanti. Di
tanto in tanto, alla luce di un razzo, vedevo gli elmetti d'acciaio serrati
l'uno all‘ altro, le baionette brillare lama contro lama. Sentivo nascere
dentro di me la coscienza di essere invulnerabile; ci potevano
schiacciare, ma non vincere.…
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
(…) La mobilitazione parziale corrisponde (…)
all’essenza della monarchia, la quale oltrepassa i propri
limiti precisamente in quanto è costretta a coinvolgere
nell’armamento le forme astratte dello spirito, del
denaro, del ‘popolo’, in breve le potenze della nascente
democrazia nazionale. Retrospettivamente noi oggi
possiamo dire che era del tutto impossibile rinunciare
completamente a questo coinvolgimento. Il modo di
incorporare queste forze nello Stato rappresenta il nucleo
effettivo dell’arte di governo del XIX secolo…
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
Si può ora indagare come, essendosi sempre più trasformata la vita in
energia ed essendosi progressivamente tutti i vincoli svuotati di contenuto a
favore della crescente mobilità, l’atto della mobilitazione (…) abbia
assunto un carattere sempre più radicale. I fenomeni che causano tutto ciò
sono svariati. Così, con la liquidazione dei ceti e con l’abolizione dei
privilegi della nobiltà, scompare contemporaneamente anche il concetto di
casta guerriera; la rappresentanza armata della nazione non è più dovere e
prerogativa soltanto del soldato di professione, ma diventa compito di tutti
coloro che in generale sono atti alle armi. Così, l’enorme aumento dei costi
rende impossibile provvedere alla condotta della guerra con un tesoro di
guerra ben definito, e diventa piuttosto necessario, per mantenere in moto la
Macchina, utilizzare al massimo tutti i crediti e ricorrere anche all’ultimo
centesimo…
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
Così, anche l’immagine della guerra come di un’azione
armata sfuma sempre più nell’immagine ben più ampia
di un gigantesco processo di lavoro. Accanto agli eserciti
che si affrontano sui campi di battaglia sorgono eserciti di
nuovo tipo, l’esercito dei trasporti,
dell’approvvigionamento, dell’industria degli armamenti:
in generale, l’esercito del lavoro. Nell’ultima fase, già
annunciata verso la fine di questa guerra, non vi è più alcuna
attività – neppure quella della lavoratrice domestica alla sua
macchina per cucire – che non sia collegata, in forma almeno
indiretta, alla produzione bellica…
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
In questo assoluto coinvolgimento di ogni energia potenziale, che
trasforma le industrie belliche statali in officine di Vulcano, si
annuncia forse nel modo più evidente l’inizio dell’epoca del lavoro:
questo processo fa della guerra mondiale un fenomeno storico che
supera d’importanza la rivoluzione francese. Per dispiegare energie
di questa misura non è più sufficiente armare il braccio che porta la
spada: è necessario essere armati fino nelle midolla, fino nel più
sottile nervo vitale. Porre in essere quelle energie è il compito della
mobilitazione totale, di un atto cioè attraverso il quale è possibile,
impugnano un unico comando su un quadro di controllo, far
confluire la rete d’energie – tanto ramificata e diffusa – della vita
moderna nella grande corrente dell’energia bellica.
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
Come ogni vita genera in sé già il seme della propria morte, così
anche l’apparire sulla scena delle grandi masse include in sé una
democrazia della morte. Ci siamo già lasciati alle spalle l’epoca
del tiro ben mirato. Il comandante di squadriglia, che nell’alto
della notte impartisce l’ordine di bombardamento, non è più in
grado di distinguere fra combattenti e non combattenti, e la nuvola
mortale di gas trascorre come un elemento naturale su tutti gli
esseri viventi. Ma che simili minacce siano possibili non implica,
come presupposto, né una mobilitazione generale, sì invece una
mobilitazione totale, che si estende fino al bambino nella culla.
Questi è infatti minacciato come tutti gli altri, se non addirittura di
più…
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
Ci sarebbe ancora molto da dire: ma basta soltanto considerare
questa nostra vita nel suo pieno scatenarsi e nel suo spietato
disciplinarsi, coi suoi quartieri fumosi e ardenti, con la fisica e la
metafisica del suo traffico e dei suoi trasporti, dei suoi motori, dei
suoi aeroplani e delle sue gigantesche metropoli, per intuire, con
una sensazione di piacere mista a spavento, che qui non vi è
neppure un atomo che non sia all’opera, e che noi stessi siamo
totalmente impegnati, nel modo più profondo, in questo furioso
processo. La mobilitazione totale non tanto è eseguita, quanto
piuttosto essa stessa si esegue: in pace e in guerra è l’espressione
di una misteriosa e cogente esigenza, a cui siamo sottomessi da
questo vivere nell’epoca delle masse e delle massime…
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
Si perviene così al risultato che ogni singola
vita diventa sempre più inequivocabilmente
una vita di operaio e che alle guerre dei
cavalieri, dei re e dei borghesi seguono le
guerre degli operai, guerre della cui
struttura razionale e della cui spietatezza ci
ha già dato un preannuncio il primo grande
conflitto del XX secolo.
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
(…) Tuttavia il versante tecnico della mobilitazione
totale non è quello decisivo. I suoi presupposti, come i
presupposti di ogni tecnica, si situano a un livello molto
più profondo: ne vogliamo trattare qui come della
disponibilità alla mobilitazione. Questa disponibilità era
presente in tutte le nazioni; la guerra mondiale è stata
una delle guerre più “popolari” che la storia conosca. E
ciò è accaduto perché questa guerra si è verificata in una
guerra che sembrava escludere a priori ogni altro tipo di
guerra che non fosse quella di “popolo”.
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
(…) Quando ci troviamo di fronte a sforzi di questa portata,
che si esprimono in potenti costruzioni quali le piramidi o le
cattedrali, oppure in guerre che scuotono fin gli ultimi nervi
vitali – sforzi che possiedono la peculiare caratteristica della
mancanza di scopo – Non riusciamo a trattarli con
spiegazioni di tipo economico, per quanto siano penetranti.
E’ questo, del resto, il motivo per cui la scuola del
materialismo storico può sfiorare solo la superficie degli
avvenimenti. Di fronte a sforzi di questo tipo il primo
sospetto deve piuttosto essere che ci si trovi di fronte ad un
fenomeno di rango cultuale.
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
Con l’osservare che consideriamo il progresso come la grande religione
popolare del XIX secolo, individuavamo già il livello in cui supponiamo
possa essere stato efficace quel potente appello col cui aiuto soltanto poté
avere esecuzione l’aspetto decisivo – cioè quello religioso – della
mobilitazione totale nei riguardi delle masse gigantesche che dovettero
essere acquisite per partecipare all’ultima guerra. Che le masse vi si
sottraessero era tanto meno possibile quanto più si faceva appello alla loro
convinzione, quanto più puramente, quindi, la tendenza delle grandi parole
d’ordine con cui erano state poste in movimento esprimeva un contenuto
progressista. (…) Chi potrebbe negare che la civilisation è più intimamente
legata al progresso che non la Kultur e che quella proprio nelle grandi città
può parlare la sua lingua naturale, maneggiando abilmente mezzi o concetti
coi quali la Kultur o non ha rapporti o ne ha di ostili?
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
(…) Se osserviamo il mondo quale è risultato dalla catastrofe, che unità
di esiti, che cogente consequenzialità storica! In verità, se si fossero
riunite in un sol punto tutte le formazioni spirituali e materiali estranee
alla Zivilisation, che dalla fine del XIX secolo si sono protratte fin
dentro la nostra epoca, e se si fosse aperto il fuoco contro di esse con
tutti i cannoni del mondo, il risultato non avrebbe potuto essere più
evidente. L’antico carillon di campane del Cremlino è regolato per
suonare la melodia dell’«Internazionale». A Costantinopoli gli scolari
imparano caratteri latini invece degli antichi arabeschi del Corano. A
Napoli e a Palermo poliziotti fascisti danno ordine all’animazione della
vita meridionale, secondo i principi di un moderno codice della strada.
Nei paesi più lontani del mondo, ancora quasi favolosi, si inaugurano
palazzi del Parlamento…
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
L’astrattezza, e quindi anche la crudeltà, di tutti i rapporti umani si accresce
ininterrottamente. Il patriottismo è sostituito da un nuovo nazionalismo, fortemente
radicato nella coscienza popolare. Nel fascismo, nel bolscevismo,
nell’americanismo, nel sionismo, nei movimenti dei popoli di colore, il progresso
segna impetuose avanzate, che in passato sarebbero state ritenute impensabili; in un
certo senso il progresso si capovolge, per proseguire il proprio movimento ad un
livello semplicissimo dopo aver descritto un cerchio con la propria artificiosa
dialettica. Il progresso comincia ad assoggettare a sé i popoli in forme che non sono
più distinguibili da quelle di un regime assoluto, se si prescinde dalla misura, molto
più limitata, di libertà e benessere. La maschera umanitaria è già quasi del tutto
caduta in molti punti, e ne è risultato un feticismo della macchina, per metà
grottesco e per metà barbarico, un ingenuo culto della tecnica, e ciò proprio in
luoghi in cui non c’è possibilità di rapporto immediato e produttivo con quelle
energie dinamiche della cui distruttiva marcia trionfale l’artiglieria pesante e le
squadriglie di bombardieri non sono che l’espressione militare…
Ernst Jünger, La mobilitazione totale:
Contemporaneamente aumenta il valore attribuito alle masse; il livello di consenso e di
‘pubblicità’ diventa il fattore decisivo della politica. Particolarmente il socialismo ed il
nazionalismo sono le due grandi macine da mulino fra le quali il progresso tritura i resti
dell’antico mondo, ed infine anche se stesso. Da cent’anni a questa parte la «destra» e la
«sinistra» si sono contese a vicenda, come una palla, le masse accecate dall’illusione
ottica del diritto di voto; è sempre sembrato che ciascuno dei due avversari offrisse una
possibilità di riparo davanti alle pretese dell’altro. Oggi in tutti i paesi si fa sempre più
evidente che sono identiche, e perfino il sogno della libertà vien meno, come sotto la
presa di una ferrea tenaglia. E’ uno spettacolo grandioso e terribile vedere i movimenti
delle masse, sempre più uniformate, e lo spirito del mondo stendere su di essi le sue reti.
Ogni movimento rende l’imprigionamento sempre più rigido e implacabile: sono qui
all’opera sistemi di coercizione più forti della tortura, tanto forti che l’uomo si consegna
ad essi salutandoli con entusiasmo. Dietro ogni via di fuga che assuma a proprio simbolo
la felicità stanno in agguato il dolore e la morte. Felice chi, in questi spazi, avanza
armato!