TRATTAMENTO DELLA SPASTICITA’
1. INTRODUZIONE
La spasticità è causata dall'interruzione delle vie piramidali con
conseguente aumento dell'attività dei motoneuroni gamma dovuta al venir
meno delle inibizioni delle vie discendenti.
Si accompagna ad un aumento del tono muscolare e del riflesso da
stiramento.
Da tutto ciò deriva una contrazione involontaria ed eccessiva d’alcuni
muscoli pur in assenza di grave deficit motorio.
La spasticità è quindi un problema primario per qualunque gruppo di
riabilitazione, può compromettere il movimento volontario agendo a più
livelli:
a. Blocchi articolari
b. Dolore
c. Impossibilità ad assumere e/o mantenere determinate posture
d. Impedire o alterare la comunicazione e favorire l'insorgenza di piaghe
da decubito
Spesso viene trascurata in fase precoce, obbligando il riabilitatore ad
affrontare complicanze secondarie, facilmente evitabili con un adeguato
intervento preventivo.
Attualmente non esiste un trattamento univoco della spasticità, di
conseguenza s’impiegano diverse modalità d’intervento comprendenti:
trattamenti farmacologici, terapie fisiche, chirurgiche, blocchi
neuromuscolari con alcool o con fenolo.
Tuttavia ciascuna delle suddette terapie, nonostante l'indubbia efficacia, ha
palesato limiti e controindicazioni all'impiego.
1
L'utilizzo terapeutico della tossina botulinica, che mediante iniezioni
intramuscolari paralizza reversibilmente e selettivamente muscoli
predeterminati, ha permesso inoltre di trattare con successo, oltre a diversi
disturbi del movimento (torcicolli, blaferospasmi), anche esiti di lesione
del sistema nervoso centrale (ictus, cerebropatie infantili) con conseguente
spasticità.
I vantaggi della metodica sono:
a. Selettività.
b. Semplicità.
c. Specificità.
La sua azione (blocco del rilascio dell'acetilcolina a livello della placca
neuro-muscolare) permette una notevole selettività di applicazione
incrementabile perfezionando tempi e dosi dei trattamenti.
Lo scopo di questo elaborato è di cercare ed indicare tra le varie
metodologie fisioterapiche quelle che incrementino l’effetto del farmaco
migliorando così le prestazioni del paziente.
Si cercherà inoltre un protocollo riabilitativo che permetta una valutazione
su ogni intervento attuato. (1)
2
1.a GENERALITA’ SULLA MIELOLESIONE
a) Eziologia delle Lesioni Midollari
Le mielolesioni sono divise in due gruppi:
1. Mielolesioni Traumatiche
2. Mielolesioni non Traumatiche
1. Mielolesioni Traumatiche:
- Cervicale:
1. Iperflessioni dovute a colpi all’occipite, a traumi al vertice del capo
flesso, all’impatto frontale in autovetture, a tuffi in acqua poco profonda.
Il trauma agendo sull’occipite, sollecita violentemente il capo, quindi il
rachide cervicale, può provocare le seguenti lesioni: fratture anteriori del
corpo vertebrale a cuneo, senza lussazioni, strappo dei legamenti articolari
e frattura dei sistemi articolari con sublussazione o lussazione completa
anteriore di un corpo vertebrale.
2. Iperestensione dovute a traumi frontali o facciali, a tamponamenti
automobilistici a tuffi in acqua bassa. Anche un trauma al vertice del capo
può accentuare l’estensione del collo aggiungendo una componente
compressiva sui corpi e archi vertebrali. Il trauma in estensione può
provocare solo una lesione legamentosa con rottura dei legamenti.
- Dorsale: causate da trauma diretto (schiacciamento da flessione).
3
- Lombare: sono interessati da una violenta flessione.
2.Cause non Traumatiche:
1. Infettive, virali, parassitarie.
2. Tumorali.
3. Vascolari.
4. Tossiche.
5. Degenerative.
6. Altre cause.
b) Dati epidemiologici
L’incidenza delle mielolesioni varia a seconda del Paese, ma i traumi
vertebro-midollari rappresentano la causa più frequente.
Nell’ambito di essi gli incidenti stradali costituiscono al giorno d’oggi la
modalità principale, mentre 30-40 anni fa’ erano preponderanti gli
incidenti sul lavoro.
Negli Stati Uniti d’America i traumi vertebro-midollari hanno
un’incidenza di 30-32 casi per milione di abitanti all’anno, l’età media è di
29 anni, l’età in cui sono più frequenti è 19 anni.
Gli incidenti stradali rappresentano il 47.7%, le cadute nella vita privata
20.8% e gli atti di violenza il 31.5%.
Negli altri stati l’incidenza dei traumi vertebro-midollari è nettamente
inferiore a quella degli U.S.A..
4
Riferendosi a dati del 1980, sempre per milione d’abitanti, la frequenza di
nuovi casi sarebbe così ripartita:
GERMANIA FEDERALE 13,0
AUSTRIA 15,7
SVIZZERA 13,4
NORVEGIA 16,5
FRANCIA 12,7
GIAPPONE 27,1
Sulla base di uno studio eseguito dal GISEM (Gruppo Italiano Studio
Epidemiologico sulle Mielolesioni) nel 1998, grazie ad operatori sanitari
appartenenti a 48 strutture riabilitative che si occupano di mielolesione,
emergono alcuni dati interessanti che fotografano il “problema” lesione
midollare.
In Italia è di circa 20\25 nuovi casi annui per milione di abitanti
l’incidenza della lesione midollare. Il Ministero della Sanità valuta in
60\70 mila le persone colpite da mielolesione in Italia.
L’età media delle persone colpite da mielolesione varia, per oltre l 80%, in
un range tra i 10 e i 40 anni.
Su 840 ricoveri, di cui il 47% considerati “primo ricovero” e per il 53%
rientri, la maggior parte dei casi sono di origine traumatica (65%), ma
risultano in continuo aumento di casi dovuti a malattie (35%); il 69% sono
pazienti tetraplegici e il 31% paraplegici; dei pazienti traumatici
considerati al primo ricovero, il 55% hanno una lesione completa.
5
Le cause della lesione midollare d’origine traumatiche maggiormente
riscontrate sono:
Incidenti d’auto 36%
Cadute 22%
Incidenti motociclistici 12%
Incidenti sportivi 11%
Tentato suicidio 3%
Lesioni da arma da fuoco 2%
Altre cause 14%
L’eziologia delle lesioni midollari non traumatiche emerse sono d’origine:
Infiammatoria 16%
Neoplastica 28%
Vascolare 27%
Degenerativa 14%
Altre cause 13% (2)
6
1.b SPASTICITA’
DEFINIZIONE:
”Esagerazione del tono muscolare di riposo” secondo Vulpian, Charcot..
“Espressione parziale della rigidità decelebrata” secondo Walshe.
L’aumento del tono muscolare di base che si verifica nelle patologie del
SNC, siano esse di origine traumatica, degenerativa, vascolare o
infiammatoria, si definisce IPERTONIA: si distinguono un’ipertonia
spastica o spasticità (danno del sistema piramidale o del I motoneurone) ed
una ipertonia plastica o rigidità (danno del sistema extrapiramidale).
La rigidità comporta un aumento di tensione sia nei muscoli agonisti che
negli antagonisti: cioè, se si mobilizza un segmento corporeo, una volta
cessata l’azione della forza esterna, questo rimane fisso nella nuova
posizione (mentre nel caso della spasticità ritorna spontaneamente alla
posizione di partenza).
La spasticità, invece, è definita come un disturbo motorio caratterizzato da
un abnorme aumento, velocità dipendente, della risposta muscolare allo
stiramento, perché è in questa condizione che essa si manifesta e si valuta.
La spasticità è un complesso sintomatologico caratterizzato da:
segni positivi:
a. Esaltazione dei riflessi propriocettivi;
b. Comparsa di cloni;
c. Aumento della resistenza allo stiramento passivo;
d. Liberazione dei riflessi flessori agli arti inferiori (coltello a
serramanico, spasmi flessori, Babinsky).
Segni negativi:
a. Ipostenia o paresi;
b. Ridotta capacità motoria.
NEUROFISIOPATOLOGIA
7
I meccanismi fisiopatologici sono molteplici e non del tutto noti.
Si possono riassumere nei seguenti punti:
iperattività dei motoneuroni gamma per mancata inibizione da parte dei
centri sovraspinali, quindi sensibilizzazione dei fusi e potenziamento
del riflesso da stiramento;
mancata inibizione dei motoneuroni alfa da parte delle cellule di
Renshaw (interneurone inibitore): inibizione ricorrente;
deficit dell’inibizione pre-sinaptica delle fibre IA (neurotrasmettitori
gabaergici);
modificazione dell’inibizione reciproca: è un fenomeno fisiologico che
agisce tendendo ad inattivare i muscoli antagonisti quando l’agonista si
contrae. Le afferenze Ia infatti, oltre ad attivare il muscolo da cui
originano, inibiscono il pool motoneuronale antagonista attraverso gli
interneuroni Ia, modulati anche da vie discendenti sovrasegmentarie.
L’attività di queste cellule può essere indagata nell’uomo inducendo un
riflesso monosinaptico con la stimolzione di un nervo proveniente
dall’antagonista. Nei pazienti spastici l’inibizione reciproca risulta
essere diminuita a riposo ed ancor di più quando il soggetto contrae
volontariamente il muscolo. Si può quindi affermare che la ridotta
efficienza di questo meccanismo è uno dei momenti fisiopatologici
della spasticità, forse quello che più danneggia il paziente
nell’esecuzione dei movimenti volontari consentendo la co-contrazione
dell’antagonista;
facilitazione delle vie polisinaptiche IA: aumento del riflesso da
stiramento per il sommarsi dell’eccitazione delle fibre IA mono e
polisinaptica.
ASPETTI CLINICI
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La spasticità rappresenta uno degli aspetti più invalidanti per i pazienti
affetti da patologie del motoneurone superiore, tuttavia per impostare un
corretto approccio terapeutico è necessaria una valutazione attenta ed
individualizzata da caso a caso.
Infatti, la spasticità presenta anche alcuni aspetti positivi: l’attività
muscolare, anche se involontaria, limita l’atrofia muscolare e favorisce il
ritorno venoso prevenendo le trombosi venose profonde.
Inoltre può essere utile nell’esecuzione di attività funzionali: la S. in
estensione degli arti inferiori viene sfruttata per la stazione eretta e la
deambulazione dal paraplegico, il quale utilizza la sinergia estensoria
come un "pilone", quasi fosse una protesi.
Gli aspetti negativi della spasticità sono generalmente prevalenti, infatti la
spasticità:
facilita la comparsa di contratture e retrazioni, le quali nel tempo
danno luogo a deformità e posture scorrette non più correggibili
(predisposizione alle piaghe da decubito ed agli altri danni terziari);
facilita la comparsa di dispnea per interessamento dei muscoli
respiratori;
può favorire l’instaurarsi di una sintomatologia dolorosa, che è da
riferirsi all’azione meccanica esercitata dalla S. stessa sulle strutture
muscolo-tendinee;
limita la motilità attiva e, quando la forza dei muscoli spastici
supera quella dei muscoli con attività volontaria, può mascherare
del tutto un reclutamento attivo presente ma deficitario;
può, inoltre, impedire le attività della vita quotidiana quando le
sinergie patologiche e l’irradiazione compaiono anche per
movimenti richiesti nei muscoli sani e lontani da quelli plegici.
Se spasmi e contrazioni dovuti alla spasticità compaiono anche a riposo e
sono d’entità tale da interferire con il mantenimento della posizione seduta
9
in carrozzina e con l’esecuzione delle attività della vita quotidiana, le
ripercussioni sul grado di disabilità del paziente sono significative,
aumentandone la necessità d’assistenza.
DOLORE
E’ una delle componenti che maggiormente limita le possibilità funzionali.
Il dolore ha una genesi complessa e possiamo riconoscere 3 tipi di dolore:
1. PERIFERICO
Può essere suddiviso in :
superficiale somatico: che origina da stimoli nocicettivi cutanei o
delle mucose. Segue le vie sensitive integre per giungere alla
coscienza;
profondo viscerale: che ha origine dai visceri;
profondo somatico:
a. miogeno, suscitato dalla contrattura involontaria. La spasticità
quindi può essere una delle cause del dolore con una componente
diretta, di origine muscolare, ed una indiretta. Infatti provocando
sollecitazioni delle strutture tendinee, ligamentose, articolari e
ossee, può provocare stimolazione delle terminazioni nocicettive.
b. osteogeno, provocato indirettamente dalle sollecitazioni della
spasticità;
c. articolare e periarticolare: anch’esso ha patogenesi indiretta da
sierose e da altri rivestimenti con la stessa origine sopra descritta.
2. NEUROPATICO
Dolore da deafferentazione che può avere una sintomatologia simile al
dolore profondo somatico ma che non risente dell’effetto terapeutico
degli antispastici.
3. PSICOGENO
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Può essere concomitante al dolore somatico aumentandone l’intensità,
ma poiché non ha patogenesi piogena, può risentire solo indirettamente
dei benefici dei miorilassanti.
VALUTAZIONE CLINICA
Clinicamente la S. viene misurata con scale di valutazione
semiquantitative:
Scala di ASHWORTH: valuta la resistenza opposta alla
mobilizzazione delle articolazioni (reazione allo stiramento) con un
valore da 1 (non aumento di tono) a 5 (articolazione bloccata in
flessione od in estensione).
Scala degli spasmi: prevede un punteggio da 0 (assenza) a 4 (più di
10 spasmi spontanei all’ora).
Scala dei riflessi: i valori vanno da 0 (assenza dei ROT) a 5
(presenza di cloni).
Si tratta in tutti questi casi di valutazioni dirette e soggettive.
VALUTAZIONE STRUMENTALENumerosi sforzi sono stati compiuti alla ricerca di un metodo di
valutazione oggettivo del fenomeno della spasticità, riproducibile ed in
grado di quantificarlo.
La valutazione strumentale è oggi ben conosciuta, ma le diverse metodiche
hanno il limite di considerare solo alcuni aspetti del "complesso spasticità"
e non il fenomeno nella sua globalità.
Hanno tuttavia il vantaggio di consentire un monitoraggio temporale,
indispensabile ad esempio per valutare l’efficacia di una terapia
antispastica.
11
1. PENDULUM TEST (o Test di Wartemberg).
E’ stato introdotto nel 1951, ma è tuttora utilizzato. Prende in
considerazione la reazione allo stiramento del muscolo quadricipite: il
paziente viene messo supino con le gambe fuori dal lettino, l’operatore
solleva una gamba fino a raggiungere l’estensione completa del ginocchio,
quindi la lascia andare.
Si verificano delle oscillazioni passive della gamba la cui frequenza ed
ampiezza vengono misurate: nella spasticità sono ovviamente ridotte.
Viene misurato anche l’INDICE DI RILASSAMENTO (I.r.), cioè il
rapporto fra l’ampiezza della prima oscillazione e la differenza tra angolo
di partenza e angolo finale; tale indice è ridotto nella spasticità.
I.r.= amp.I oscillaz.: (angolo di partenza-angolo finale)
Si può, inoltre, effettuare un EMG con elettrodi di superficie sul retto
femorale per misurare l’attività elettrica del muscolo, corrispondente alla
reazione allo stiramento.
2. MISURAZIONE ELETTROMIOGRAFICA dell’ampiezza del riflesso di
Hoffmann (riflesso H), il quale aumenta nella spasticità.
E’ particolarmente significativo il RAPPORTO H/M, cioè il rapporto tra
riflesso H e risposta muscolare (M) allo stimolo massimale, per valutare il
riflesso miotatico nel tratto motoneuronale e pre-sinaptico. Anche il
rapporto H/M è aumentato nella spasticità.
3. VALUTAZIONE DINAMICA
E’ di frequente riscontro osservare un aumento della spasticità in
situazione dinamica, ad esempio nell’effettuazione di movimenti
12
complessi funzionali, a livello di gruppi muscolari che in situazione statica
non erano ipertonici. Per evidenziare tali aspetti si può eseguire un’EMG
in condizioni funzionali, ad esempio durante il cammino.
Se ad esempio si applicano degli elettrodi di superficie sul tricipite surale
si noterà che nel soggetto sano vi è segnale elettromiografico (contrazione
muscolare) nella fase di appoggio, ma non nella fase di oscillazione; nel
patologico, invece, ci sarà contrazione anche nella fase di oscillazione, per
mancanza d’inibizione. (3)
2.a TERAPIA MEDICO-FARMACOLOGICA
13
TERAPIA FARMACOLOGICA PER VIA ORALE
La terapia farmacologica orale è la più utilizzata, tuttavia, benché si
ottengano risultati ottimi, presenta una finestra terapeutica ristretta, in
quanto le dosi che mostrano una qualche efficacia comportano spesso
anche la comparsa di effetti collaterali.
BACLOFEN: è un analogo dell’acido Gamma-Aminobutirrico
(GABA) e si lega ai recettori B del GABA agendo con un
meccanismo di inibizione pre-sinaptica (interneuroni), cioè
riducendo la quantità di neurotrasmettitori eccitatori. La posologia
varia fra i 10 ed i 120 mg/die; ha un’emivita di 3,5 h.
DIAZEPAM: agisce potenziando gli effetti post-sinaptici del GABA
ed, a livello interneuronale, rinforzando l’inibizione pre-sinaptica
(più fasica che tonica). Ha un’efficacia pressochè equivalente al
baclofen, ma ha maggiori effetti sedativi e può dare assuefazione. Si
usa con buoni risultati nelle patologie midollari, mentre è
sconsigliato nelle lesioni dell’encefalo a causa degli effetti deleteri
sulla memoria e sull’attenzione. Non deve essere associato
all’alcool. Il dosaggio indicato è 10-30 mg/die.
DANTROLEN SODICO: agisce a livello periferico (muscolare),
attraverso la soppressione del rilascio di ioni Ca++ dal reticolo
sarcoplasmatico e conseguente riduzione della forza di contrazione.
La dose efficace è compresa tra 25 e 400 mg. Ha un buon effetto sul
clono e sugli spasmi . Bisogna tenere presente l’epatotossicità (circa
1% dei pazienti).
TIZANIDINA: è un derivato imidazolinico che facilita l’azione
della glicina (neurotrasmettitore inibitore), inibendo l’iperattività dei
motoneuroni Alfa e Gamma e agendo sugli interneuroni spinali. La
posologia varia tra i 2 e i 32 mg/die.
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CLONIDINA: oltre ad avere un effetto ipotensivo riduce la
spasticità.
I farmaci suddetti possono essere associati tra loro e la posologia può
essere aumentata progressivamente, sorvegliando l’eventuale insorgenza
di effetti collaterali: sonnolenza, confusione mentale, stanchezza,
ipotensione, depressione resp., nausea, vomito, diarrea, vertigini.
TERAPIA FARMACOLOGICA INVASIVA
Consiste nel portare il farmaco direttamente sul sito d’azione.
Tale obiettivo può essere raggiunto mediante due tipi di tecniche:
1. Infiltrazione a livello dei tronchi nervosi o del punto motore, di
sostanze che bloccano la conduzione nervosa. Le sostanze utilizzate
sono il fenolo (soluzione acquosa 2-5%) o l’alcool etilico: la durata
dell’effetto è in genere limitata al massimo a qualche mese, inoltre
possono dare origine a neuropatia sensitiva, edema locale e perdita
sensoriale.
2. Somministrazione per via subaracnoidea di Baclofen mediante una
pompa impiantata direttamente nel paziente. Nel 30% circa dei
pazienti la somministrazione di antispastici orali non ha successo,
sia perché le dosi massime consigliate non hanno effetti terapeutici,
sia perché compaiono effetti collaterali.
Il Baclofen somministrato per via orale non penetra facilmente la barriera
emato-encefalica; se somministrato per via intratecale vi è una maggiore
perfusione nel midollo spinale e si può ridurre la dose anche di oltre 100
volte, riducendo l’incidenza degli effetti collaterali.
Il sistema per il rilascio del medicinale è formato da due parti: una da
impiantare nel paziente per il rilascio del medicinale ed una esterna per il
controllo del sistema di infusione.
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La parte da impiantare è costituita dalla "POMPA" vera e propria che
funge da serbatoio e da motore per l’infusione del baclofen. Viene
posizionata in una tasca sottocutanea addominale (sottocostale); ad essa
viene collegato un catetere di raccordo che, attraverso un tragitto
sottocutaneo nel fianco, raggiunge a zona paravertebrale a livello L1, qui
viene collegato con il catetere intratecale il quale viene introdotto nello
spazio sub aracnoideo e spinto in alto fino a livello di T11 (l’esatto
posizionamento si controlla radiologicamente in quanto i cateteri sono in
gomma al silicone, radio-opaca).
Il sistema di controllo esterno è un COMPUTER PORTATILE che per
mezzo di una testa radiante che si posiziona sopra alla pompa (sulla cute)
invia dei segnali elettromagnetici per la telemetrica: in questo modo è
possibile conoscere tutti i dati relativi alla programmazione della pompa.
La pompa viene periodicamente riempita dall’esterno e quando necessario
si possono impostare gli schemi posologici dando il segnale dall’esterno.
Prima di procedere all’impianto è necessario valutare l’efficacia del
farmaco per via subaracnoidea, grazie alla somministrazione di un bolo di
baclofen. Il 1° bolo è di 25 µg e viene ripetuto, in caso di insuccesso, con
dosaggi rispettivamente di 50 µg , 75 µg, 100 µg.
Il test viene giudicato positivo se si ottiene una riduzione significativa
della S. (almeno due punti della scala di Ashworth) che inizi entro 4 ore
dal bolo e che duri per almeno 8 ore. Se il test risulta negativo anche a
100µg. il paziente non è idoneo all’impianto, in quanto il dosaggio utile
potrebbe incidere negativamente sull’attività dei muscoli respiratori.
Indicazioni all’impianto della pompa:
spasticità di origine spinale;
spasticità cronica e stabilizzata;
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spasticità resistente agli antispastici orali.
Appena impiantata la pompa, si programma una infusione continua
semplice alla dose doppia di quella a cui è risultato positivo il test (prime
24 ore). Poi di solito si deve incrementare la dose del 10-30%/die sino a
raggiungere un effetto terapeutico. A dosaggio stabilizzato si può anche
impostare uno schema di infusione continua differenziata se la spasticità
ha un andamento variabile nelle 24 ore.
La maggior parte dei pazienti utilizzano un dosaggio tra i 300 e gli 800
g./die, mentre un 10% circa diviene refrattario agli aumenti di dose.
Effetti clinici :
Riduzione della spasticità e degli spasmi, ma anche riduzione del dolore se
questo è da riferirsi all’azione dell’ipertono muscolare. L‘infusione
determina anche una riduzione dell’attività vescicale, ma è da valutare con
attenzione se questo effetto è positivo o meno rispetto alla preservazione
della funzionalità renale.
Effetti collaterali:
Sono inerenti alla somministrazione di Baclofen:
Sonnolenza, stanchezza, nausea, vertigini, ipotono
Overdose, i cui sintomi sono: eccessiva salivazione, vertigini,
nausea e/o vomito, eccessivo ipotono anche agli AA SS, sonnolenza
fino alla depressione respiratoria ed al coma. Tali sintomi si
manifestano tardivamente dopo molte ore o addirittura giorni, per
cui vi è il tempo di recarsi in ospedale, spegnere la pompa e
svuotare il serbatoio.
Non esiste un farmaco antagonista specifico, tuttavia è dimostrato che la
FISOSTIGMINA può arrestare rapidamente la depressione respiratoria e
la sonnolenza, che risultano i sintomi più pericolosi.
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Complicanze inerenti al sistema d’infusione:
1. Catetere: dislocazione, disconnessione, rottura, inginocchiamento,
occlusione, fissurazione.
2. Pompa: possono alterare il funzionamento: immersioni subacquee,
temperature superiori a 43°, rottura calcoli con US, radioterapia,
marconiterapia e US nella zona della pompa, altitudine superiore a
3000 metri.
3. Cute: sieroma, decubito della ferita, infezione d. tasca.
TECNICHE NEUROCHIRURGICHE
Le tecniche neurochirurgiche si propongono di interrompere l’arco riflesso
andando ad agire sulla branca afferente o quell’efferente. Ci sono tecniche:
Ablative ed irreversibili.
a. Cordectomia: asportazione di parte del midollo dorso-lombare
danneggiato.
b. Rizotomia anteriore chirurgica: sezione delle radici motorie anteriori,
provoca una grave atrofia ed è indicata solo se non è presente
alcun’attività volontaria.
c. Rizotomia posteriore chirurgica: sezione delle radici posteriori
eliminando gli stimoli eccitatori che provengono dalla periferia.
d. Rizotomia chimica con alcool o con fenolo subaracnoideo: provoca una
neurolisi sulle radici posteriori. E’ difficile avere un effetto duraturo con le
concentrazioni utilizzate e non lesive sulle radici motorie.
e. Mielotomia longitudinale laterale: sezione sul piano frontale del
midollo dai segmenti toracici inferiori ad S1, interrompendo l’arco
monosinaptico
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f. Mielotomia a T: sezione della sostanza grigia, separando le corna
anteriori da quelle posteriori.
g. Termorizotomia percutanea delle radici spinali: lesione mediante
termocoagulazione delle radici a livello dei forami di coniugazione L1-
L5.
h. Rizotomia selettiva posteriore: sezione solo delle radici che
elettromiograficamente provocano rispose patologiche.
i. Griseotomia: lesione dell’area d’ingresso delle radici posteriori del
midollo.
l. Rizotomia selettiva sacrale posteriore: sezione delle radicole sacrali
identificate mediante laminectomia di L1-L2 nel punto d’ingresso del
cono midollare. Tale tecnica viene utilizzata nella iperreflessia
detrusoriale nelle donne (negli uomini interferirebbe con l’attività
sessuale).
Neuromodulazione , reversibile.
a. Elettrostimolazione: consiste nel posizionare gli elettrodi nello
spazio extradurale che, connessi con il generatore posizionato in una
tasca sottocutanea, inviano al midollo stimoli elettrici secondo un
programma controllato da un computer esterno attraverso cui
possono essere variati i parametri.
CHIRURGIA ORTOPEDICA
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Si tratta di interventi volti a correggere non la spasticità in sé, ma gli esiti
stabilizzati da essa provocati, nel tentativo di ottenere un miglioramento
funzionale del paziente.
a. Allungamento muscolare o tendineo da utilizzarsi in casi
selezionati. Vi è un rischio di recidiva ed anche di non ottenere il
miglioramento sperato se non si è ben valutato l’aspetto muscolare e
funzionale globale.
b. Tenotomia (adduttori dell’anca, I.C., tendine d’Achille): possono
correggere deformità altrimenti non riducibili a causa della
retrazione ormai strutturata dei tendini. Peraltro spesso la riduzione
della tensione muscolare conseguente a questi interventi riduce gli
stimoli afferenziali responsabili del mantenimento delle RAS con
conseguente riduzione della spasticità.
TRATTAMENTO ORTESICO
L’uso delle ortesi è giustificato dal fatto che, immobilizzando
l’articolazione su cui agiscono i muscoli spastici, si esercita un’azione
inibente riflessa sfruttando il meccanismo neurofisiologico dello
stiramento lento. Le ortesi possono essere statiche (fisse) o dinamiche
(quando sono dotate di un meccanismo di spinta continua a molla o con
altri sistemi meccanici).
Il trattamento mediante tossina botulinica\ortesi statiche progressive sarà
discusso in seguito poiché argomento d’importanza centrale dell’elaborato.
Nel programmare un corretto approccio terapeutico al problema spasticità
è utile seguire una scala di priorità a seconda della gravità della S. e
20
dell’importanza del deficit funzionale che ne deriva, iniziando con le
tecniche meno invasive e meno distruttive per passare a quelle più
impegnative in un secondo tempo, in caso di insuccesso (Fig.1).
(3-4)
Fig.1
2.b TRATTAMENTO FISIOTERAPICO-RIABILITATIVO
La ricerca di una metodica fisioterapica in grado di limitare le interferenze
21
che la spasticità determina sul movimento era, ed è tuttora, uno dei
principali dilemmi della riabilitazione neurologica.
Di tutte le tecniche tuttora in uso le più importanti e le più seguite sono:
A. La rieducazione sensomotoria ovvero la tecnica di Perfetti.
B. La rieducazione secondo il pensiero dei coniugi Bobath.
A. Rieducazione Sensomotoria:
Quest’approccio si basa su alcune idee di fondo:
1. La rieducazione è apprendimento in situazione patologica;
2. E’ artificioso e al tempo stesso impossibile, nel comportamento
motorio, scindere il versante dell’informazione da quello motorio.
Perché vi sia apprendimento motorio occorre (è necessario) dar
ricorso alle informazioni più coscienti e precise. In questo senso le
informazioni cinestesiche ed esterocettive sono privilegiate rispetto
alle informazioni visive;
3. In termini di comportamento motorio occorre aver presente la
globalità non solo dal punto di vista anatomico, ma quale somma
delle seguenti operazioni:
a. Il paziente osserva diversi oggetti, chiude gli occhi, stabilisce
l’ipotesi percettiva, mentre il terapista seleziona uno degli
oggetti.
b. Il paziente analizza le sensazioni tattili ottenute passando il
polpastrello di un dito sull’oggetto selezionato.
22
c. Il paziente confronta le proprie percezioni con l’ipotesi
percettiva: da questo confronto deriva il riconoscimento
dell’oggetto.
4. In questo tipo di riabilitazione la motricità esplorativa o tatto attivo
occupa una posizione dominante nella scelta.
Il tatto attivo designa i movimenti il cui scopo è di porre i recettori di
informazione nella migliore situazione recettiva possibile: chiedere a
qualcuno di distingue due piccoli oggetti, che si differenziano tra loro solo
per il peso, porterà la persona ad aprire le mani, a porre gli avambracci in
supinazione e i gomiti in flessione. Con il rilasciamento dei flessori, il
polso e le metacarpofalangee delle dita passeranno in estensione, gli
oggetti rotoleranno nelle mani e verranno così soppesati.
L’apertura delle dita per mezzo del rilassamento rappresenta un tipo di
comando di inibizione selettiva sui flessori ricercatissimo nei pazienti
neurologici: è anche la prima fase di apertura della mano. In genere, questi
movimenti sono per il tatto quello che l’oculomotore è per la vista.
Il fatto che questi gesti siano per noi comuni e pertanto prevedibili, che
siano sotto il controllo permanente dell’attenzione, spiega perché li
ricerchiamo e li sollecitiamo in vista di un apprendimento o di una
rieducazione del comando motorio volontario.
Il senso di progressione è distoprossimale a causa dell’importanza delle
mani e dei piedi per il tatto attivo.
Descrizione della tecnica:
Perfetti descrive tre gradi di esercizi. Questi tre livelli corrispondono a tre
obiettivi.
23
a. Esercizi di primo grado: mirano alla lotta contro le disfunzioni
legate alla spasticità. Perfetti definisce la spasticità come
abbassamento della soglia dell’attività miotattica. Ne descrive le
conseguenze motorie, ma anche quelle percettive: l’aumento del
riflesso da stiramento modifica e falsa le informazioni cinestesiche
ed esterocettive. Impedisce la regolazione delle contrazioni chi
assicurano l’ispezione tattile dell’oggetto da riconoscere. Se
domandiamo ad un paziente neurologico di riconoscere l’oggetto sul
quale spostiamo il suo indice sono possibili due situazioni:
1. la contrazione dei suoi muscoli viene regolata correttamente;
il dito percorre l’oggetto: il paziente è in situazione
favorevole per raccogliere le informazioni necessarie al
riconoscimento dell’oggetto;
2. i muscoli che regolano la pressione sono sotto l’effetto della
spasticità e il soggetto non può riconoscere le caratteristiche
dell’oggetto con precisione; identifica la natura di questo
ostacolo e impara, se può, ad aggirarlo.
Questi principi reggono gli esercizi di primo grado: insegnare ai pazienti a
comandare il rilasciamento muscolare in modo selettivo.
b. Esercizi di secondo grado: hanno come scopo di regolare
l’irradiazione delle contrazioni. Durante uno sforzo il soggetto
normale recluta i suoi muscoli interessati, regola il livello di
contrazione o rilasciamento dei propri muscoli in base alle
resistenze opposte e si adatta alla complessità dell’organizzazione
24
del movimento. Il paziente neurologico perde questa facoltà di
adattamento allo sforzo: davanti ad una resistenza o ad un livello di
complessità minima, risponde con un’irradiazione globale non
adeguata e che ha, per un dato soggetto, sempre la stessa
configurazione spaziotemporale. Contro questo tipo di fenomeno
Perfetti preconizza l’uso dello stesso schema di apprendimento
sotteso agli esercizi di primo livello.
1. Il terapista propone alcuni esercizi significativi per il
paziente.
2. Il riconoscimento o meno degli oggetti da parte del paziente
deve permettere a quest’ultimo di distinguere il comando
adeguato da quello che non lo è.
3. La differenza tra primo e il secondo livello di esercizi , deriva
dal fatto che in quest’ultimo è lo stesso paziente ad iniziare i
gesti adeguati.
Il rieducatore facilita, o piuttosto fornisce solo l’aiuto necessario perché il
il gesto si compia senza irradiazioni incontrollate.
c. Esercizi di terzo grado: hanno lo scopo di lottare contro le
disfunzioni legate alla perdita della selettività. I deficit di comando
selettivo spiegano perché il paziente neurologico dispone solo di
movimenti stereotipati e inadeguati. Gli esercizi di terzo grado
cercano di sviluppare i vari gesti a partire dalle situazioni più
evocatrici, più significative per la persona. In questo modo, chiedere
di spingere in avanti la spalla è un movimento significativo per il
terapista, ma non necessariamente per il paziente. Per giungere a
sollecitare questo comando in modo naturale, il terapista propone al
soggetto di riconoscere il percorso di un oggetto posto a distanza e
secondo un orientamento tale da indurre un’antepulsione, l’intensità
25
e la direzione della quale sono controlli per di mezzo della del dito
sull’oggetto. (5)
B. Rieducazione secondo Bobath:
B. Bobath ha dapprima utilizzato le posture di inibizione riflessa. Molto
presto le ha giudicate troppo statiche ed ha preferito un’inibizione più
dinamica: ha allora associato inibizione e facilitazione nello stesso
trattamento. Un tempo, la programmazione neuromotoria dei malati
neurologici centrali si faceva principalmente a livello automatico; poco a
poco si è fatto appello alla partecipazione attiva e volontaria dei pazienti.
Lo spastico ha così imparato a controllare le sue sincinesie.
Capace di inibire il muscolo antagonista spastico, non si otteneva la
contrazione dell’antagonista per mancanza di programmazione; sono
perciò state introdotte le tecniche di stimolazione tattile e propriocettiva e
particolare le battiture.
a. I punti chiave
Sono delle parti del corpo a partire dalle quali il rieducatore può ridurre la
spasticità e facilitare le reazioni posturali e cinetiche normali.
Si distingue un punto chiave centrale, un punto chiave della mobilità, un
punto chiave della stabilità e dei punti chiave prossimali.
1. Il punto chiave centrale (testa-sterno): il rieducatore esperto sceglie
la posizione nello spazio (in decubito, seduto, in piedi), l’ampiezza
del movimento, l’importanza della rotazione del capo in funzione
del programma motorio che si desidera provocare nel paziente.
Wyke ha dimostrato che la posizione di partenza di un’articolazione
26
la velocità di spostamento nello spazio hanno un’azione diretta
sull’attivazione della muscolatura; egli sottolinea l’importanza dei
propriocettori cervicali nell’animale come pure nell’uomo.
2. Il punto chiave della mobilità: il cingolo scapolare.
3. Il punto chiave della stabilità: il cingolo pelvico.
Questi due punti chiave prossimali permettono di ottenere dei movimenti
normali negli arti lesi, una sequenza di un programma motorio elaborato,
o meglio, di correggere una fase del cammino.
Si può inibire la spasticità negli arti inferiori provocando dei movimenti
inversi dello schema: ad esempio un ritorno dal decubito laterale a quello
dorsale a partire dal cingolo scapolare, in un soggetto spastico, con gli arti
inferiori in flessione provoca un’estensione degli arti inferiori.
Le risposte del paziente dipendono molto dall’abilità manuale del
rieducatore.
_I punti chiave distali: mano, pollice, piede, alluce.
E’ possibile influenzare il tono della radice degli arti a partire dai punti
chiave del paziente e fare eseguire al paziente un programma motorio
preciso. La loro padronanza richiede al terapista un lungo esercizio.
Queste tecniche manuali mettono in gioco numerosi propriocettori ed
esterocettori.
Il rieducatore con buone conoscenze in neurofisiologia ed un eccellente
senso di osservazione invia al paziente il massimo numero di informazioni
nel corso delle sue manovre manuali.
b. Inibizione:
27
L’inibizione di schemi anormali non è “una risposta in sé”; è solo una
preparazione, una normalizzazione del tono muscolare, che permette al
paziente di realizzare uno spostamento corretto. Il rieducatore esperto sa
scegliere, tra le numerose tecniche che conosce, la migliore tecnica
manuale per inibire la spasticità.
Ne seguono alcune:
1. Inibizione a partire da punti chiave.
2. Inibizione per stiramento lento e mantenuto della catena muscolare
spastica.
3. Inibizione per controllo della parte prossimale dell’arto e messa in
carico distale.
4. Autoinibizione.
1. Inibizione a partire dai punti chiave:
La posizione del capo ha un’enorme influenza sulla ripartizione del tono
del corpo. Al paziente in decubito ventrale o in piedi, il terapista pone il
capo in estensione; si ottiene allora un’estensione della colonna della
colonna lombare e delle anche; si può anche inibire una spasticità in
flessione del tronco e delle anche. La flessione del capo con rotazione
interna del cingolo scapolare o la pressione sullo sterno inibisce la
spasticità in estensione del tronco; si ottiene così un migliore controllo del
capo e una migliore stabilità del tronco superiore.
2. Inibizione per stiramento lento e mantenuto della catena muscolare
spastica
Il rieducatore deve, prima di tutto, valutare la spasticità dell’arto. Se per
esempio si trova di fronte ad un paziente con spalla in antepulsione-
adduzione-rotazione interna, avambraccio in flessione e pronazione, polso
in flessione con inclinazione ulnare, dita in flessione, la valutazione
28
consentirà al terapista di capire quali siano i muscoli maggiormente
spastici. In tal caso la spasticità sarà più intensa a livello del gran pettorale,
gran rotondo, gran dorsale e trapezio superiore. Il terapista potrà procedere
nel modo seguente: il paziente è sdraiato in decubito laterale, dal lato sano,
con l’arto superiore plegico posizionato su un cuscino in avanti; il terapista
stira lentamente gli adduttori della scapola, poi pone una mano sul bacino
e l’altra sull’ascella e stira il gran dorsale; applica ugualmente la mano sul
bacino, una mano sull’apice della scapola, poi completa la manovra con
lenta dissociazione del cingolo. Successivamente, stira lentamente la spalla
in flessione-abduzone-rotazione esterna. Ci sono tre componenti spastiche
alla radice degli arti. Quando la spalla si rilascia, il rieducatore stira tutta la
catena muscolare a spirale per ottenere l’apertura della mano; termina con
una presa di mano distale.
Il terapista può ugualmente inibire il cingolo pelvico e l’arto inferiore.
Deve provocare il rilasciamento della catena muscolare e non un riflesso
miotattico.
3. Inibizione per controllo della parte prossimale dell’arto e messa in
carico distale
Scegliamo un esempio a carico dell’arto superiore. Il rieducatore pone la
mano in carico (dita flesse), o davanti a sé, o lateralmente. Tiene ferma la
mano, applica una pressione sulla faccia dorsale e coapta successivamente
la spalla in senso prossimodistale. Guida allora il paziente dal punto chiave
del cingolo scapolare; il paziente esegue le rotazioni del tronco superiore.
Si può anche mettere il paziente in carico sui due avambracci, poi guidare
delle flessioni-estensioni del tronco o bilanciamento del tronco sui diversi
piani. Le informazioni vengono dal tronco, dal capo e provocano delle
reazioni d’appoggio sulla mano; la spasticità dei flessori del pugno è
diminuita.
29
4. L’autoinibizione
Ogni paziente in grado di collaborare deve essere capace di inibirsi da
solo. Deve conoscere la distribuzione della sua spasticità e i fattori che ne
aumentano l’intensità.
Un paziente deve essere capace di arrestare da solo un clono al piede o di
diminuire una griffe delle dita (del piede) caricando lentamente l’arto
spastico e assumendo una posizione opposta alla spasticità (triplice
flessione, carico anteriore in caso di spasticità in estensione).
Il paziente impara a controllare l’aumento di spasticità e le sincinesie
durante il cammino. (6)
DISCUSSIONE:
3.a ASPETTI FARMACOLOGICI DELLA TOSSINA BOTULINICA
La tossina botulinica è una sostanza a struttura polipetica prodotta dal
clostridium botulino. Introdotta nell'organismo animale, essa esercita
un'attività inibente la trasmissione colinergica con meccanismo peculiare,
30
differente da quello delle altre molecole, cioè mediante inibizione della
liberazione del neurotrasmettitore a livello sinaptico.
Il clostridium botulino produce 7 tipi distinti di neurotossine indicate con
lettere maiuscole dell'alfabeto:A,B,C,D,E,F e G. Queste tossine hanno in
comune una parte della molecola, ma posseggono proprietà antigenica
distinta, caratteristica importante dal punto di vista pratico, in quanto in
clinica, in caso in cui l’uso di una di queste sviluppi un'elevata risposta
anticorpale con conseguente inattivazione, può essere impiegata una
differente tossina botulinica.
La neurotossina si trova comunemente legata a macomolecole, quali
proteine o acidi nucleici, sprovviste di tossicità propria, ma capacità, in
caso di introduzione orale, di aumentare quella della tossina, in quanto la
proteggono dagli enzimi proteolitici presenti nel tratto gastro-enterico.
D'altra parte, anche se la tossina viene somministrata per via parenterale,
come nell'uso terapeutico, le macromolecole associate possono
aumentarne la stabilità e ritardarne la diffusione.
Le tossine botuliniche vengono sintetizzate sotto forma di una catena
polipeptidica singola dal peso molecolare di circa 150 Kda e dotata di
modesta attività biologica. L'attivazione successiva comporta la
formazione di una molecola costituita da 2 catene aminoacidiche dette
l'una “LIGHT” e l'altra “HEAVY” sulla base del differente peso
molecolare (50 e 100 Kda rispettivamente).
Le due catene sono tenute assieme da un ponte disolfuro. La “light”
possiede attività proteolitica, mentre la “heavy” fornisce specificità
colinergica e promuove il passaggio della catena leggera attraverso la
membrana endosomiale. Le tossine botuliniche differiscono per i loro
bersagli cellulari, per l’intensità dell'attività farmacologica e la durata
d'azione.
31
Com'è noto, alle terminazioni nervose colinergiche l'acetilcolina si trova
immagazzinata nelle vescicole. All'arrivo di uno stimolo nervoso, o in
seguito all'azione di farmaci, si osserva un'apertura dei canali del Ca++
posti sulla membrana neuronale con conseguente aumento del calcio
citosolico. Il calcio induce la produzione di proteine specifiche, quali
sinaptofisina e sinaptina, che consentono, dapprima, il movimento delle
vescicole sinaptiche verso la membrana neuronale e, poi, la fusione fra i
fosfolipidi delle membrane delle vescicole e quelli della membrana
plasmatica e conseguente formazione di fori con la fuoriuscita di
acetilcolina (relasing) nello spazio itersinaptico.
Le vescicole dopo la loro fusione e svuotamento vengono riutilizzate. La
tossina blocca questo meccanismo, impedendo, quindi, la trasmissione
nervosa a livello della placca motrice con conseguente paralisi dei muscoli
scheletrici innervati.
In particolare, viene dapprima internalizzata la tossina mediante un
processo di endocitosi e poi, dopo che il ponte disolfuro si è spezzato, la
catena leggera si porta nel citosol dove impedisce il legame delle
membrane delle vescicole con qulle del neurone e, pertanto, in
conclusione, interrompe la secrezione di acetilcolina.
La catena leggera possiede attività proteolitica (e, come la tossina tetanica,
una zinco-endopeptidasi) che è localizzata nell'N-terminale della
molecola. La liberazione di acetilcolina risulta inibita la tossina provoca
l'interruzione della sequenza aminoacidica di una o più proteine neuronali
coinvolte nel trasporto delle vescicole verso la membrana del neurone,
impedendo così che avvenga il “bilding” e la fusione delle vescicole della
membrana plasmatica.
In effetti, è noto che per un normale attracco delle vescicole alla superficie
interna neuronale occorre la formazione di un complesso che includa le
proteine citoplasmatiche (gmma-SNAP, alfa-SNAP, NSF, SNAP25),
32
proteine delle vescicole e proteine della membrana. La tossina botulinica
A in commercio in Europa sotto il nome di Dysport e nel resto del mondo
come “botox” ha proprietà di agire elettivamnte sulla SNAP25.
L'effetto clinico della tossina botulinica è dovuto principalmente all'attività
sul sistema nervoso periferico. Di norma c'è un ritardo di 24-72 ore tra
somministrazione della tossina e l'inizio dell'attività clinica.
D'altra parte, non è del tutto chiaro, se la tossina raggiunga anche il
sistema nervoso centrale. Nel gatto è stato osservato che, dopo
un'iniezione intramuscolare, la tossina raggiunge il midollo ipsilaterale
entro 3-4 giorni, suggerendo un trasporto neuronale retrogrado della
tossina dal sito di introduzione.
La tossicità della BTX-A è molto diversa da una specie animale all'altra.
La dose letale nell'uomo non è nota, ma certamente è molto lontana dalla
dose raccomandata in terapia, per cui è poco probabile un’avvelenamento
durante il ciclo terapeutico. In ogni caso, è disponibile un'antitossina, da
somministrare entro 21 ore dall'intossicazione. La somministrazione di
BTX-A è controindicata nelle donne in gravidanza e nel periodo
dell'allattamento. (1)
USO CLINICO DELLA TOSSINA
La tossina botulinica purificata di tipo A, si è vista realmente efficace nel
ridurre l'iperattività muscolare in una discreta varietà di patologie con
disturbi neuromuscolari di tipo distonico o paretico.
Dalle iniziali indicazioni cliniche per l'utilizzo del farmaco (trattamento
del blaferospasmo e dello strabismo), si sono susseguite numerose
33
segnalazioni relative all'utilizzo del farmaco in svariate e sempre diverse
forme cliniche.
Tra queste:
a. Paralisi delle corde vocali.
b. Disordini temporo-mandibolari.
c. Acalasia.
d. Iperidrosi.
e. Ragadi anali.
Estrema variabilità posologica, è descritta dalla letteratura internazionale,
anche nell'ambito delle medesime patologie.
Le segnalazioni più recenti di effetti indesiderati sono state:
a. Atrofia di fibre muscolari in sedi distanti dal sito di inoculo.
b. Crisi d’ansia depressive indotte da anestesia ed ipostesia
generalizzata.
c. Ipostenia generalizzata e prolungata nel tempo.
Occorrerà peraltro vigilare sugli effetti collaterali, predisponendo ove
occorra, nuove modalità di intervento. (1)
4.a BENDAGGIO FUNZIONALE
Il Taping, dalla parola americana Tape (nastro), è una tecnica di bendaggio
che si è molto affermata in questi ultimi anni per l'enorme progresso
tecnologico dei materiali ai quali si affida.
Si attua mediante bende anaelastiche adesive con funzione limitante e
bende elastiche adesive che permettono l'espansibilità del muscolo e le
34
strutture correlate.
Nella traumatologia sportiva esse trovano larghissimo impiego, tanto da
costituire uno strumento fondamentale per il trattamento rieducativo.
Il bendaggio consiste in un'intelaiatura esterna che ha due scopi:
a. Limitare, detendere e mettere a riposo parti lesionate.
b. Stirare, allungare le strutture sottostanti.
In Riabilitazione ogni operatore conosce quanta importanza assume la
terapia del "non-movimento o dello stiramento" e le tecniche di Taping ne
sono un esempio molto utile, pratico e senza particolari controindicazioni.
Questo tipo d’immobilizzazione precede e non sostituisce la tutela gessata
che è, e rimane, la terapia d'elezione nei casi più gravi.
Nello stiramento invece il bendaggio permette il progressivo stretching
dei muscoli, procedura che con le valve gessate comporterebbe un gran
dispendio di tempo e di materiale.
Ovviamente, al contrario della tutela gessata, esso non comporta rischi di
ipotrofia muscolare o compromissione del sistema propriocettivo proprio
perché è mirata alla limitazione di uno o più movimenti di
un'articolazione e non al blocco totale di quest'ultima.
Importante è la possibilità di poter controllare nel periodo
d’immobilizzazione parziale, la zona colpita, valutando l'efficacia
terapeutica del trattamento; parallelamente, deve essere possibile
somministrare terapie locali (farmacologiche, fisiche o manuali), e in caso
d’alterazione della sensibilità valutarne le compressioni. (7)
Definizione:
Si tratta di un presidio di "contenzione dinamica" che mediante bende
adesive elastiche ed anaelastiche opportunamente combinate, si propone di
35
ottenere la protezione di singole strutture mio-tendinee e capsulo-
legamentose da agenti patomeccanici o potenzialmente tali, senza limitare
la fisiologica biomeccanica articolare su qualsiasi piano si sviluppi oppure
di mantenere un gruppo muscolare in allungamento al fine di consentire al
farmaco (tossina botulinica) una migliore perfusione.
Per il corretto utilizzo di questa metodica è importante:
• conoscere anatomia, fisiologia e biomeccanica della struttura da bendare.
Il bendaggio quindi deve essere eseguito da personale competente perchè
deve seguire determinate linee di forza e di trazione di tendini, muscoli e
legamenti;
• conoscere i materiali da impiegare poiché non tutti i materiali hanno le
stesse proprietà;
• conoscere le tecniche fondamentali di bendaggio,ma comprendere che
ogni caso ha una propria fasciatura e che difficilmente una fasciatura
risulta essere completamente scorretta o assolutamente corretta.
Indicazioni:
L’elaborato tratta l’utilizzo del tape in seguito a inoculazione di tossina
botulinica, ma questa metodica riabilitativa viene utilizzata anche in:
a. Patologie funzionali da :
• periostiti;
• tendinite;
• sinoviti;
• lesioni legamentosa;
36
• disturbi muscolari.
b. Esiti post-traumatici da:
• distorsioni;
• lussazioni;
• fratture;
• rotture muscolari.
c. Esiti post-operatori:
• trattamento postoperatorio dopo intervento sulle articolazioni.
Controindicazioni:
1. Ipersensibilità verso il materiale (si evita con l'utilizzo del salvapelle).
2. Vesciche ed ulcerazioni della cute. (8)
Metodi di bendaggio:
1. Adesivo elastico solo per comprimere.
2. Adesivo anaelastico solo per limitare e stirare.
3. Misto per entrambe le funzioni.
Materiali:
I materiali occorrenti per l'effettuazione di un bendaggio adesivo sono:
-Tensoplast, un materiale elastico-adesivo, utile per delimitare
prossimalmente e distalmente la zona da bendare e per ricoprire sempre
ogni fasciatura effettuata con effetto compressivo. Esso permette,
essendo elastico, l'espansibilità muscolare senza provocare "effetto
laccio" sulla circolazione sanguigna.
-Tape, un materiale anaelastico (Fig.2), e quindi inestensibile, utile per
limitare i movimenti, ma fastidioso per l'effetto-laccio che può
provocare; inoltre è difficile da usare perché non permette di superare
facilmente i punti di repere e le asperità dei segmenti.
37
Fig.2
-Wrap, una pellicola in spugna o poliuretano (Fig.3) usata per proteggere
la cute da eventuali ulcerazioni o vesciche da trazione potente del cerotto.
Fig.3
-Il taglianastro o le forbici ricurve (Fig.4) per tagliare durante
l’esecuzione o rimuovere velocemente e senza danni le fasciature, usati
generalmente con creme oleose. (9) \
Fig.4
38
Le fasi del Taping :
1. Controllo della zona da bendare; perfetta depilazione del paziente per
una miglior tenuta del bendaggio e per evitare iperfrizioni e dolore alla
rimozione del nastro.
2. Distribuzione del violetto di genziana con un batuffolo di cotone sulla
zona; esso crea un film protettivo dall’adesivo del bendaggio, ed ha
un’azione fungicida e riduce notevolmente la reazione allergica.
3 . Controllo dello stato della cute del pz. perchè non esistano ferite,
abrasioni, infezioni, nei o comunque irritazioni della pelle. Nel caso
fossero presenti si utilizza il salvapelle, ricoprendo interamente
l'articolazione, diminuendo notevolmente la tenuta del bendaggio, oppure
circoscrivendo con il salvapelle solo la zona interessata dall'
infiammazione.
4 . Controllo delle zone a rischio di iper-frizione.
5. Definizione della zona da bendare, in particolare gli attacchi prossimali
e distali rispetto al fulcro dell'articolazione lesa.
Maggiore sarà la distanza degli attacchi dal fulcro dell'articolazione, più
efficace sarà la tenuta del bendaggio. Quindi più un soggetto è pesante, più
distanzieremo gli attacchi.
6. Scelta del tipo di metodica da adottare.
7. Messa in posizione dell'articolazione che deve essere mantenuta ben
ferma, procedendo poi all'effettuazione del bendaggio.
39
8. Prova dell'efficacia di quest'ultimo, che viene fatta manualmente
testandone la resistenza alla trazione nel senso della contenzione. (10)
4.b TUTORI
Le Ortesi sono ausili realizzati sulle dimensioni corporee dell'
articolazione del paziente, atte a sostenere, a supportare un’azione
deficitaria o assente.
Le funzioni delle ortesi sono:
a. Permettere l’esecuzione di attività funzionali laddove la muscolatura è
impossibilitata ad agire attivamente.
b. Sostenere e facilitare l'esecuzione dei movimenti, qualora la muscolatura
sia deficitaria.
c. Immobilizzazione articolazioni o segmenti corporei che devono rimanere
a riposo.
40
d. Favorire retrazioni muscolo-tendinee di tipo funzionale.
e. Evitare retrazioni muscolo-tendinee dannose, limitazioni articolari
funzionalmente ed esteticamente negative.
f. Effettuare un intervento di stretching, in grado di limitare la presenza di
spasticità e di favorire l’estensibilità attiva o passiva (Fig.5-6).
Fig.5 Fig.6
I materiali maggiormente usati sono (Fig.7):
a. Cuoio, nappa e skai
b. Velcro
c. Neopreme
d. Termoplastica
e. Plexiglass e policarburo
41
Fig.7
Le ortesi in termoplastica sono definite "splint".
Gli splint possono essere utilizzati per aiutare un movimento e per
immobilizzare una parte del corpo durante una fase di cicatrizzazione a
causa di una lesione tendinea, nervosa, articolare, ossea, muscolare,
oppure per mantenere in allungamento un muscolo in seguito a
inoculazione di tossina botulinica per aumentarne la perfusione; possono
correggere o prevenire le deformità articolari, possono essere usati per
assistere il movimento dell' arto quando vi sia un deficit di forza
muscolare o presenza di paralisi completa; possono inoltre servire come
base per l' attacco di una serie di ausili per le attività di vita quotidiana
Gli splint vengono classificati in base alle caratteristiche tecniche e non
tanto alle finalità, mediante i parametri seguenti:
a. Punti anatomici di riferimento.
b. Direzione del movimento.
c. Obiettivo dello splint.
d. Coinvolgimento di altre articolazioni oltre alla prima (se coinvolge solo
un'articolazione è definito di "tipo 0", se vi è inclusa un'altra
42
articolazione è definito di "tipo 1", se vi sono 2 articolazioni diventa
"tipo 2" e così via).
Questi splint devono rispondere ai seguenti criteri:
a. Devono essere facilmente correggibili.
b. Non devono creare pressioni sulla cute.
c. Devono essere discretamente leggeri.
d. Devono potersi lavare semplicemente.
e. Devono rispondere ad alcuni requisiti estetici e di comfort.
Tecniche di costruzione
PREPARAZIONE DEL CARTAMODELLO (Fig.8)
Avendo stabilito quale splint si intende realizzare, si prepara il modello di
carta direttamente sulla mano e sull'arto del paziente.
43
Si prende un foglio da disegno, si appoggia su di esso la zona interessata e
si traccia una linea lungo il perimetro segnando dei punti di riferimento
(escrescenze ossee, zone articolari ecc.).
Si taglia il disegno lasciando tutto intorno un bordo di 2 cm.
Si prova il modello ottenuto sull'arto del paziente
Fig.8
PREPARAZIONE DEL MODELLO IN TERMOPLASTICA
Innanzi tutto si deve scegliere quale materiale termoplastico utilizzare
(polyform, aquaplast, sinergy, ecc.) e quale spessore.
Si copia il modello direttamente sul pezzo di termoplastica, si ricalca il bordo
con un pennarello in modo che sia ben visibile e lo si taglia.
COSTRUZIONE SULL' ARTO DEL PAZIENTE (Fig.9)
Una volta pronto il modello in termoplastica, immergerlo in acqua portata ad
una temperatura di 70° ( o comunque alla temperatura indicata per il tipo di
materiale utilizzato) ed attendere che si ammorbidisca bene.
44
Il paziente deve essere posto in maniera tale da avere l'arto da trattare di fronte
al terapista. Quando si toglie il modello in termoplastica dall'acqua calda
asciugarlo, per non bagnare il paziente ed anche per fargli cedere un po’ di
calore prima di posizionarlo sulla pelle. L’arto del paziente può essere protetto
con del tessuto, oppure, se necessario, si riveste il modello di termoplastica con
materiale adesivo morbido ed antidecubito (avendo avuto cura di prepararlo già
tagliato della stessa misura e allargato le dimensioni dello splint in quanto lo
spessore crea maggiori pressioni). Il modello in termoplastica viene adagiato
sull’arto del paziente già in precedenza posizionato; a questo punto il materiale
deve essere accarezzato affinché prenda la forma dell’arto, senza imprimere
pressioni troppo elevate per non creare punti di maggior pressione. Spesso, a
seconda della forma che deve avere lo splint, è bene essere in due operatori ,
altrimenti risulta difficile posizionare correttamente lo splint su più
articolazioni.
Mentre il modello è ben disposto sull’arto del paziente, in attesa che
raffreddandosi si irrigidisca, si controllano i punti maggiormente a rischio di
eventuali compressioni.
Quando lo splint è diventato rigido si sbenda l’avambraccio e si inizia a
controllare il risultato ottenuto.
Fig.9
REALIZZAZIONE DEFINITIVA DELLO SPLINT
Vengono segnati i punti che possono comprimere, che creano dolore o
arrossamenti e quelli che sono sicuramente da tagliare o da modificare.
45
Si può reimmergere in alcune parti lo splint per rimodellarlo o per tagliarlo
oppure si può utilizzare il phon, direzionando il getto d’aria calda direttamente
sul punto da modificare.
Più il materiale ha memoria e più è possibile effettuare aggiustamenti senza
comportare modificazioni con effetti negativi (tensioni interne e distorsioni).
Quando tutto lo splint viene indossato senza più difficoltà e senza punti di
compressione, si passa a posizionare i cinturini di velcro, studiando i punti dove
devono essere affrancati e le modalità di tiraggio.
PROVA DELLO SPLINT
Lo splint deve essere provato per almeno 20-30 minuti appena costruito, in
modo da verificare eventuali arrossamenti, dolore, gonfiore, ecc…
Quando questa prova viene superata ed il paziente riesce tenere per due ore di
seguito lo splint senza conseguenze negative, si può impostare un programma
riabilitativo settimanale, diurno e notturno.
Il controllo dello splint deve essere costante e se vi sono segni di sofferenza si
deve intervenire immediatamente anche ricostruendo completamente lo splint.
MODELLI DI ORTESI E LORO APPLICAZIONI
Le ortesi per il trattamento della spasticità si dividono in splint e cast.
I primi, a forma di doccia, possono essere dorsali, palmari o bi-valve ed hanno
46
il vantaggio di poter essere indossati e rimossi più volte al giorno. I cast si
differenziano dagli splint poiché coprono l'intera circonferenza dell'arto e
pertanto non sono rimovibili.
Secondo alcuni autori i cast avrebbero maggiore efficacia sulla spasticità in
quanto producono una maggior pressione circonferenziale sul ventre muscolare
e mantengono localmente il calore corporeo (calore neutro). Un particolare tipo
di cast è rappresentato dai cosiddetti drop-out cast, nei quali la parte prossimale
o distale viene aperta "a doccia".
In linea generale, per il trattamento degli arti inferiori gli autori consigliano di
utilizzare i cast, la cui maggior contenzione è richiesta dall'intensità delle forze
generate dai muscoli spastici del piede, mentre gli splint in materiale
termoplastico a bassa temperatura sono invece consigliati per gli arti superiori e
ogni qualvolta non sia indispensabile il posizionamento continuo (ad esempio
nella prevenzione delle deformità) o si rendano necessarie ispezioni per il
monitoraggio dell'arto.
Gli splint possono essere suddivisi in statici o dinamici: i primi non prevedono
parti mobili, mentre i secondi sono dotati di snodi, molle, elastici, ecc.
Gli splint dinamici, detti anche "attivi", hanno lo scopo di dare mobilità
all'articolazione interessata, controllandone la direzione del movimento ed il
grado di forza su di essa esercitata. La controversia riguardante l'uso di modelli
statici o dinamici è stata sollevata da alcuni autori, che considerano questi
ultimi più efficaci nell'evitare le conseguenze dell'immobilizzazione e prevenire
le retrazioni. Tuttavia, riguardo a ciò non vi è evidenza sperimentale e va inoltre
sottolineato che la costruzione di splint dinamici risulta difficoltosa e
dispendiosa in termini di tempo.
Un'ulteriore controversia riguarda l'uso di splint dorsali o palmari nel
trattamento della spasticità dei muscoli flessori del polso e delle dita. Gli autori
in favore di quelli dorsali richiamano l'attenzione sul potenziale rischio di
47
stimolare il riflesso di prensione utilizzando ortesi palmari, mentre altri autori
considerano la pressione esercitata dallo splint su tendini e ventri muscolari
utile per l'inibizione del tono muscolare. Poichè i lavori pubblicati non hanno
stabilito consistenti differenze tra dorsali e palmari, riteniamo più rilevante
considerare altri indicatori per la scelta di uno splint palmare o dorsale: facilità
di applicazione, tollerabilità da parte del paziente e tempo necessario per la
fabbricazione.
In linea con queste considerazioni, Van Lede ha proposto un particolare splint
per la mano con una parte palmare sulle dita e sul palmo, ed una dorsale per
l'avambraccio che assicura un buon posizionamento ed un'adeguata
distribuzione delle forze tra le articolazioni del polso e delle dita, nonchè la
notevole facilità nell'indossamento anche in presenza di retrazioni.
Suggeriamo di conformare le ortesi per il trattamento della spasticità in modo
che i muscoli si vengano a trovare in stato di leggera e sopportabile tensione,
prolungandone il tempo di applicazione e monitorando eventuali incrementi di
tono muscolare o di dolore. Lo splint potrà essere poi progressivamente
modificato (serial splinting o casting) aumentandone il grado di correzione
qualora la tensione percepita dal paziente (o stimata dall'operatore) si sarà
ridotta. Una particolare attenzione va posta ai soggetti con fluttuazioni di tono,
poiché lo splint potrebbe non essere tollerato nei momenti di aumento della
spasticità. (11)
PREVENZIONE E RISOLUZIONE DELLE RETRAZIONI
La revisione della letteratura rivela un largo consenso circa l'utilizzo di splint e
cast nel trattamento delle componenti passive della spasticità, ovvero nella
prevenzione e nel trattamento delle retrazioni muscolari e legamentose,
complicanze frequenti nei soggetti con sindromi ipertoniche. Da un lavoro di
48
Krajnik & Bridle emerge che l' 80% circa dei terapisti occupazionali contattati
dagli autori ed operanti presso centri di terapia intensiva, utilizzavano le ortesi
con l'obiettivo principale di prevenire le retrazioni al polso ed alla mano.
Le tecniche manuali di allungamento passivo risultano insufficienti, poiché
producono effetti transitori e limitati nel tempo agendo solo sulle proprietà
visco-elastiche del muscolo, mentre è stato dimostrato che l'utilizzo di un
apparecchio di contenzione, grazie al prolungato tempo di esposizione alle
forze di allungamento muscolare, è in grado di indurre rimodellamenti
permanenti del tessuto connettivo. Gli autori concordano nel ritenere cruciale
l'adozione delle ortesi il più precocemente possibile nel programma
riabilitativo, poiché la fibrotizzazione e la conseguente perdita di elasticità dei
tessuti molli si sviluppano rapidamente in presenza di immobilità, paralisi
motoria o squilibrio muscolare. (11)
RIDUZIONE DEL TONO
Vi sono alcuni autori che ritengono le ortesi utili per la diminuzione delle
componenti attive della spasticità, quali ad esempio l'iperreflessia,
l'irradiazione ed il clono. Quest’effetto inibente sarebbe dovuto alla
stimolazione degli organi tendinei del Golgi, ottenuta mediante
l'allungamento prolungato dei muscoli spastici, al "calore neutro" fornito
dallo splint o dal gesso e alla pressione circonferenziale esercitata sui
49
ventri muscolari, che secondo Snook può in alcuni casi facilitare l'attività
motoneuronale volontaria.
Lo stretching e “il calore neutro” apportati dai tutori o da un bendaggio
hanno inoltre un’azione di vasodilatazione che permette l’aumento del
metabolismo in loco e quindi la perfusione della tossina.
L’allungamento progressivo accompagnato all’effetto del farmaco
permette quindi un ripristino delle corrette lunghezze e tensioni muscolari.
La dimostrazione di tale processo è confermato dalle casistiche, che se pur
esigue, rendono palese che l’infiltrazione associata a stretching dia risultati
ben superiori alla stessa terapia priva del trattamento fisioterapico. (12)
5. MUSCOLI CHIAVE PER L’INFITRAZIONE DI TOSSINA
BOTULINICA NEL MIELOLESO
Per muscoli chiave si intendono quei muscoli che a causa dell’elevato
ipertono determino nel mieloleso dolore, assunzione di posture viziate,
retrazioni che possono portare all’impossibilità di mantenere una postura,
alla diminuzione dell’autonomia o ancor peggio alla compromissione di
una funzione primaria quale per esempio la respirazione.
50
5.a Gran Pettorale (Fig.10) (16)
Fig.10
Anatomia: Il muscolo gran pettorale è un muscolo largo e laminare, ma in
alcuni punti anche spesso, al quale si può assegnare una forma circa
triangolare con un lato maggiore, l’inserzione supero-medio-inferiore, un
margine libero supero laterale, un altro margine libero quasi orizzontale
inferiore ed un apice sito lateralmente sull’arto. Il muscolo è teso dalla
faccia anteriore del torace all’omero e, passando a ponte dalla gabbia
toracica all’arto, forma il principale piano di copertura anteriore
dell’ascella.
La linea di inserzione prossimale è assai estesa, di forma semicircolare con
la convessità volta medialmente fino ad arrivare sullo sterno a poca
distanza dal piano mediale di simmetria in prossimità dell’inserzione del
muscolo contro-laterale. La linea inizia alla faccia inferiore dei 2/3 mediali
della clavicola: curva quindi verso il basso passando sullo sterno e
discendendo su di esso obliqua progressivamente in basso ed in fuori fino
a terminare sulla parte laterale e superiore della fascia di copertura del
muscolo retto addominale. L’inserzione avviene dappertutto attraverso
brevissime inserzioni tendinee, salvo che nel tratto inferiore dove sono
maggiormente estesi tratti aponeurotici di inserzione. Al di sotto della
51
linea ricordata esistono poi numerose inserzioni di fascetti muscolari alla
faccia esterna della cartilagini costali dalla prima alla sesta. Il muscolo
gran pettorale riceve i nervi toracici anteriori del plesso brachiale (C5-C8 e
T1). (13)
Azione: dato il diverso orientamento dei fasci, il muscolo presenta diverse
linee di trazione sull’arto, che possono anche in parte essere antagoniste.
Quando l’omero é nella posizione anatomica la contrazione avvicina
l’omero alla linea mediana avendo una potente azione adduttrice: lo
proietta anche un poco avanti.
Data inoltre la posizione del solco bicipitale il muscolo svolge una
componente di rotazione interna, sino a che il solco bicipitale viene
portato sul piano frontale di azione del muscolo.
Azioni antagoniste si riscontrano tra i fasci superiori ed inferiori: i primi,
data la direzione obliqua in basso, sollevano l’omero incastrandolo nella
sua articolazione: i fasci inferiori hanno azione contraria.
Tanto l’una tanto l’altra trazione vengono sfruttate per ottenere il blocco
dell’omero contro l’articolazione scapolo-omerale in collaborazione con
altri muscoli.
Data la grande potenza del muscolo quando venga invertito il punto fisso,
cioè durante il blocco dell’arto, il muscolo può esercitare la sua forza sul
tronco: così se l’arto superiore è in forte adduzione il muscolo può
sollevare ed avvicinare il tronco all’omero, come avviene
nell’arrampicamento ed in molte prestazioni atletiche.
È stata assegnata anche al muscolo una certa azione inspiratoria. (13)
In casi di ipertono marcato il paziente soffre di forti algie a livello
dell’articolazione scapolo-omerale e per l'assenza di movimento rischia di
52
andare incontro a macerazione cutanea e successive piaghe da decubito a
livello del cavo ascellare.
Grazie all’intervento selettivo e mirato della tossina botulinica si può
risolvere in parte o definitivamente il problema, sboccando l'arto dalla
posizione viziata e permettendo così un miglior nursing.
Il farmaco può essere inoltre utilizzato in caso di accorciamento
muscolare: il gran pettorale partecipa in parte alla meccanica respiratoria,
in caso di ipertono l'atteggiamento viziato a cui porta rende faticosa
l’ispirazione.
Nel caso d’infiltrazione del pettorale le manovre fisioterapiche sono
limitate: la posizione del muscolo, la sua dimensione e la sua forza non
permettono l’utilizzo di splint o bendaggi, soprattutto con pazienti con
deficit di sensibilità.
Si utilizzano pertanto tecniche di mobilizzazione passiva in stretching atte
a migliorare la lunghezza muscolare, la perfusione del farmaco e la
motilità articolare.
53
5.b Muscolo Flessore Profondo delle Dita (Fig.11) (16)
Fig.11 Anatomia: occupa la parte mediale del terzo strato dove si trova insieme al
flessore lungo del pollice. Origina dai 2/3 superiori delle facce anteriore e
mediale dell’ulna, dalla fascia antibrachiale, dalla parte della membrana
interossea e da margine mediale del radio, al di sotto della tuberosità. Il
ventre si porta in basso e, alla metà dell’avambraccio, si divide in quattro
fasci carnosi cui seguono altrettanti tendini di inserzione; questi ultimi,
attraversato il condotto del carpo, si portano nel palmo della mano e
decorrono nella guaina osteofibrosa che si trova sul lato volare delle dita;
in corrispondenza della 1° falange essi attraversano l’occhiello del tendine
del muscolo flessore superficiale e vanno a fissarsi alla base della 3°
falange delle ultime quattro dita.
Il muscolo è superficialmente in rapporto con il flessore superficiale delle
dita e il flessore ulnare del carpo, con il nervo e i vasi ulnari.
Profondamente ad esso si trovano il pronatore quadrato e la membrana
54
interossea. Il nervo mediano discende nell’interstizio tra il flessore
profondo delle dita e il flessore lungo del pollice.
Il muscolo flessore profondo delle dita è innervato dal nervo mediano
(metà laterale) e dal nervo ulnare (metà mediale). (15)
Azione: è molto attivo nella chiusura del pugno senza resistenza. Flette
soprattutto le due falangi distali: a prima e seconda flessa, la sua efficacia
è modesta. La flessione completa richiede un’escursione di 4-6 cm. (14)
Il flessore profondo delle dita viene infiltrato soprattutto in caso di
accorciamento muscolare con atteggiamento della mano in flessione.
Viene inoltre utilizzata in casi di ipertonia tale da compromettere la
funzione residua degli estensori; il farmaco permette il rilassamento
muscolare e quindi facilita al paziente l’apertura della mano.
Di importanza fondamentale per questo trattamento è il bendaggio post-
infiltrazione e il successivo splinting; nei successivi 5 giorni
all’infiltrazione viene confezionato il bendaggio funzionale in stretching
per stirare in maniera cospicua il flessore.
Il bendaggio deve essere ricontrollato in giornata per verificare la qualità
dei vari scarichi sui punti di pressione.
Bisogna evitare di coprire le unghie per verificare quotidianamente lo
stato, se sono presenti segni di sofferenza.
Dopo la rimozione del bendaggio si procede alla costruzione di uno splint
personalizzato che stiri in maniera specifica il muscolo in questione; la
scelta se costruire uno splint palmare o volare è in funzione dello stato
cutaneo: lo splint non deve coprire od appoggiare in nessun modo su di
una sofferenza cutanea.
55
La lunghezza, il numero di ancoraggi, l’avvolgenza, sono parametri che
devono essere presi in considerazione a seguito di un valutazione della
spasticità, delle eventuali deviazioni del polso e dell’articolarità dei vari
segmenti.
Si devono dare al paziente indicazioni chiare sulla pulizia dello splint, sul
controllo di eventuali punti di pressione, su quando indossarlo.
56
5.c Muscolo Bicipite Brachiale (Fig.12) (16)
Fig.12
Anatomia: è formato da due capi, lungo e breve, che inferiormente
confluiscono in un ventre muscolare unico.
Il capo lungo origina dalla tuberosità sovraglenoidea della scapola e dal
labbro glenoideo mediante un tendine lungo e cilindrico che decorre
dapprima nella cavità dell’articolazione della spalla, tra la testa dell’omero
e la spalla, tra la testa dell’omero e la capsula, e si pone quindi nel solco
bicipitale dell’omero, circondato da un prolungamento della sinoviale
articolare; il tendine si fa carnoso alla fine del solco bicipitale, in
corrispondenza del terzo medio del braccio, si unisce al capo breve.
Il capo breve, mediale rispetto al capo lungo, origina dall’apice del
processo coracoideo e si porta in basso unendosi al capo lungo in un
robusto tendine d’inserzione; quest’ultimo si va a fissare alla tuberosità
bicipitale del radio. Dal margine mediale del tendine d’inserzione si
diparte una lamina, il lacerto fibroso, che si espande in basso e
medialmente fondendosi con la fascia antibrachiale.
57
Il bicipite brachiale è in rapporto, in alto, con il muscoli deltoide e gran
pettorale; in superficie è avvolto dalla fascia brachiale; profondamente è in
rapporto con il muscolo brachiale anteriore.
Il tendine d’inserzione si fa profondo nell’avambraccio, tra i muscoli
brachioradiale e pronatore rotondo. A lato del muscolo bicipite si trovano
due solchi (solchi bicipitali); nel solco mediale passano l’arteria e la vena
brachiale con il nervo mediano e, più superficialmente la vena basilica; nel
solco laterale decorre la vena cefalica. Il muscolo bicipite brachiale è
innervato dal muscolocutaneo (C5-C6). (15)
Azione: è un muscolo biarticolare. Alla spalla abduce con il capo lungo se
l’omero è in extra-rotazione. Entrambi i capi intervengono nella flessione,
anche senza resistenza; il breve ruota internamente e adduce sul piano
orizzontale. Al gomito flette e supina: a gomito esteso, solo contro
resistenza. Come flessore, contrariamente a quanto si potrebbe prevedere
per l’avvicinarsi delle sue inserzioni, è più forte in supinazione, perché in
pronazione, arrotolandosi intorno al radio, riduce la sua distanza
dall’asse. E’ più forte anche, naturalmente, se il braccio è esteso sulla
scapola; l’estensione del braccio si associa alla flessione
dell’avambraccio in molte sinergie funzionali, ad esempio nell’atto di
“tirare”. (14)
L’indicazione principale dell’infiltrazione a carico del bicipite, nel
tetraplegico, è l’accorciamento muscolare. L’atteggiamento flessorio
dell’arto superiore è dato dall’eccitazione dell’apparato del golgi e dalle
stimolazioni date dalla forza di gravità. La tossina botulinica favorisce il
rilasciamento muscolare che permette al gruppo riabilitativo di recuperare
il movimento articolare completo.
Un’altra indicazione, in caso di conservata attività del tricipite, è la
semplice riduzione del tono a carico del bicipite: l’inibizione di questo
58
muscolo permette il ripristino di movimenti fini di flesso-estensione del
gomito e quindi il miglioramento dell’autonomia.
Il muscolo può essere trattato mediante splintig e/o mediante
mobilizzazione passiva e stiramenti.
5.d Muscoli Adduttori dell’Arto Inferiore (Fig.13) (16)
59
Fig.13
Gracile
Anatomia: appiattito e nastriforme, occupa il lato mediale della coscia.
Origina dalla faccia anteriore della branca ischio-pubica, nei pressi della
sinfisi, e si porta verticalmente per inserirsi sulla parte superiore della
faccia mediale della tibia.
Il suo tendine d’inserzione concorre a formare la zampa d’oca assieme ai
tendini dei muscoli sartorio e semitendinoso.
Superficialmente il muscolo gracile è ricoperto della fascia femorale
mentre, profondamente, corrisponde ai muscoli adduttori grande e lungo,
al condilo mediale della tibia.
È innervato dal nervo otturatorio (L2-L4).
Azione: assiste nell’adduzione, flessione rotazione interna della coscia:
Jonsson e Steen rilevano il muscolo particolamente attivo come flessore
dell’anca quando il ginocchio è esteso e nei primi gradi del movimento.
60
Pettineo
Anatomia: è situato nella parte supero-mediale della coscia. Origina dal
tubercolo pubico, dalla faccia anteriore del ramo superiore del pube, dalla
cresta pettinea, dal legamento pubo-femorale e dalla fascia che lo ricopre.
I suoi fasci si dirigono lateralmente e in basso per inserirsi sulla linea
pettinea del femore. Superficialmente il pettineo, rivestito dalla fascia
pettinea, corrisponde al triangolo femorale ed è in rapporto con il
legamento lacunare; profondamente è in rapporto con la capsula
dell’articolazione coxo-femorale, con i vasi e i nervi otturatori e con i
muscoli adduttore breve e otturatutorio esterno.
È innervato dal nervo femorale (L2-L3). (15)
Azione :agisce sia come adduttore sia come flessore altrettanto
validamente; partecipa anche nella rotazione esterna, le sue particolari
caratteristiche di “forza” sono dovute al suo braccio di leva che
ulteriormente migliora quando la coscia è flessa e abdotta. E’il muscolo
usato per accavallare le gambe. (14)
Grande Adduttore
Anatomia: situato più profondamente rispetto agli adduttori lungo e breve,
è un muscolo piatto e triangolare il cui apice occupa tutta l’altezza della
linea aspra del femore. Origina dalla faccia anteriore della branca ischio-
pubica e dalla tuberosità ischiatica. Si dirige in dietro, in basso e
lateralmente e, giunto al margine posteriore del femore, termina
61
inserendosi sul labbro mediale della linea aspra fino all’altezza del
tubercolo del grande adduttore che si trova al di sopra dell’epicondilo
mediale.
L’inserzione del grande adduttore è interrotta da una serie di orifizi che
danno passaggio ai vasi perforanti; l’ultimo di tali orifizi, posto tra i fasci
che terminano sulla linea aspra e quelli che terminano sul tubercolo, è
detto anello del grande adduttore e dà passaggio all’arteria poplitea. La
porzione superiore del muscolo grande adduttore viene anche descritta
come muscolo adduttore minimo.
La superficie anteriore del muscolo è in rapporto con gli adduttori lungo e
breve e con il sartorio; inferiormente delimita, insieme al vasto mediale, il
canale degli adduttori. La faccia posteriore corrisponde al muscolo
bicipite, semitendinoso e semimembranoso. È innervato dal nervo
otturatorio e dal nervo ischiatico (L2-L5). (15)
Azione: è caratterizzato da un’ampia zona di origine e da un differente
orientamento delle fibre nelle varie parti del muscolo.
In toto è un adduttore, ma mentre le fibre superiori agiscono anche nella
flessione e forse nella rotazione esterna della coscia quelle inferiori
assistono la rotazione interna e l’estensione. (14)
Adduttore Breve
Anatomia: di forma triangolare, è posto profondamente all’adduttore lungo
e superficialmente al grande adduttore. Origina dalla porzione mediale
della faccia anteriore del ramo superiore del pube e dalla porzione
superiore della faccia anteriore della branca ischio-pubica.
62
Si porta in basso, in dietro e lateralmente per inserirsi al terzo superiore del
labbro mediale della linea aspra del femore.
È innervato dal nervo otturatorio (L2-L4). (15)
Azione: si comporta come le fibre superiori del grande: adduce ed inoltre
partecipa a flettere ed extraruotare la coscia. Quando però la flessione
supera i 70° il muscolo diventa estensore a causa dei mutati rapporti tra
la linea di trazione del muscolo ed asse di movimento. (14)
Adduttore Lungo
Anatomia: è un muscolo piatto, di forma triangolare ad apice
superomediale. Origina dalla faccia anteriore del ramo superiore del pube,
fra il tubercolo e la sinfisi. I suoi fasci si portano in basso, in dietro e
lateralmente e vanno ad inserirsi al terzo medio del ramo mediale della
linea aspra del femore. La sua faccia superficiale è rivestita dalla fascia
femorale e, in basso, è in rapporto con il sartorio e il vasto mediale.
Profondamente corrisponde agli adduttori breve e grande. È innervato dal
nervo otturatorio. (15)
Azione: analogamente al breve adduce, flette (estende la coscia flessa
oltre i 70°) e ruota esternamente. (14)
Il gruppo degli adduttori, nella maggior parte dei casi, viene infiltrato per
ragioni di igene personale: l’attegiamento in adduzione degli arti inferiori
dei pazienti para e tetraplegici rende difficoltosa la pulizia dell’interno
coscia e dell’inguine. Se al suddetto problema si associa l’incontinenza il
pericolo di macerazioni cutanee aumenta esponenzialmente.
63
Anche i passaggi posturali, il vestirsi, e gran parte delle autonomie
vengono compromesse.
Infine il farmaco può essere somministrato anche in caso di spasmi da
parte di questi muscoli durante la deambulazione.
Per lo stiramento degli adduttori si utilizza lo stretching manuale in quanto
nella zona da trattare è impossibile confezionare tutori o bendaggi senza
che essi siano compressivi e causino irritazioni o, peggio, piaghe.
5.e Tricipite Surale (Fig.14) (16)
64
Fig.14
Anatomia: è formato da due muscoli, il gastrocnemio ed il soleo che in
basso convergono su di un unico tendine d’inserzione, il tendine
calcaneare.
Il muscolo gastrocnemio è formato da due ventri muscolari, i gemelli della
gamba. Di essi, il laterale origina dall’epicondilo laterale del femore, dal
piano popliteo e dalla porzione posteriore della capsula articolare del
ginocchio; il mediale si stacca dall’epicondilo mediale, dal piano popliteo
e dalla corrispondente porzione della capsula articolare del ginocchio.
Il muscolo soleo, sito profondamente ai due gemelli, origina dalla parte
superiore della testa, dalla faccia dorsale e dal margine laterale della
fibula, dalla linea obliqua e dal terzo medio del margine mediale della
tibia, da un’arcata fibrosa tesa fra la testa della fibula e la linea obliqua
della tibia, l’arcata del muscolo soleo.
I tre capi muscolari si uniscono nel tendine calcaneare che si inserisce sul
terzo medio della faccia posteriore del calcagno.
A livello del ginocchio, il margine mediale del gemello laterale e il
margine del gemello mediale sono separati da uno spazio angolare aperti
65
in alto e rappresentano i limiti inferiori della fossa poplitea. Il gemello
laterale è incrociato dal tendine del muscolo bicipite e dal nervo peroniero
comune; il gemello mediale corrisponde ai muscoli semimenbranoso e
semitendinoso. Profondamente i due gemelli sono a contatto con la
capsula articolare. Tra essi decorre il fascio vascolo venoso della gamba
costituito, dalla profondità alla superficie e lateromedialmente, dal nervo
tibiale, dalla vena e dall’arteria poplitea. Più in basso i gemelli sono in
rapporto superficiale con la fascia crurale, con il sottocutaneo e quindi con
la cute, profondamente con il muscolo soleo. Il soleo corrisponde
posteriormente al muscolo gastrocnemio e al plantare; anteriormente è in
rapporto con i muscoli flessore lungo dell’alluce, flessore lungo delle dita
e tibiale posteriore, nonché l’arteria e la vena tibiale posteriore e il nervo
tibiale.
Il tendine calcaneare corrisponde superficialmente alla cute, mentre risulta
separato anteriormente dall’articolazione tibiotarsica mediante un piano
adiposo e dalla faccia posteriore del calcagno mediante una borsa mucosa.
Il muscolo tricipite della sura è innervato dal nervo tibiale (L4-S1). (15)
Azione: il gastrocnemio è un muscolo biarticolare flessore di ginocchio ed
ottimo flessore plantare del piede per via, oltre che alla notevole sezione
fisiologica, anche al buon braccio di leva a livello del piede.
Il soleo, monoarticolare, è solo flessore del piede e forma assieme al
gastrocnemio il tricipite surale. Oltre alla principale azione di flessione
plantare questo muscolo determina un movimento di adduzione-rotazione
interna del piede in quanto agisce sulla tibiotarsica attraverso
l’articolazione sottoastragalica e la sua linea d’azione si trova
medialmente all’asse di Henke.
Secondo O’Connel la parte laterale del soleo sarebbe attiva nella
rotazione esterna del piede mentre la parte mediale dello stesso muscolo
66
soleo sarebbe attiva nella rotazione interna. Circa l’attività posturale, i
pareri sono discordanti: Josef e Nightingale ritengono che essa prevalga
nel soleo e sia di tipo continuativo in accordo con la definizione di Granit
di muscolo “tonico”; secondo Smith invece essa è di tipo intermittente e
limitata al gastrocnemio, muscolo “fasico” per Granit.
L’attività posturale del tricipite appare più intensa in soggetti portatori di
tacchi alti a causa dello spostamento in avanti del baricentro.
Durante il cammino, l’attività del gastrocnemio appare evidente nella
parte centrale della fase d’appoggio quando la linea di gravità passa al
davanti della tibiotarsica; il soleo comincia a contrarsi prima che il
tallone si sollevi dal suolo e cessa la sua attività prima che il piede si
stacchi completamente da terra. (14)
L’infiltrazione a carico del tricipite surale nel para e nel tetraplegico
completi ha una funzione per lo più posturale; infatti i cloni di questo
muscolo sono facilmente evocabili sia attraverso la pianta del piede ed il
ventre muscolare sia con lo stiramento. La somministrazione del farmaco
fa sì che si riducano notevolmente l’intensità ed il numero degli spasmi,
migliorando così, la qualità di vita del paziente e la seduta in carrozzina.
In pazienti con lesione midollare incompleta e deambulanti la tossina
botulinica viene utilizzata al fine di migliorare il cammino, rendendolo più
fluido, permettendo un approccio integrale della pianta del piede al suolo,
limitando la comparsa di cloni e quindi di spasmi a tutto l’arto inferiore.
5.f Muscolo Tibiale Posteriore (Fig.15) (16)
67
Fig.15
Anatomia: è situato profondamente rispetto ai due muscoli flessori lunghi
delle dita e dell’alluce. Origina dal labbro inferiore della linea obliqua e
dalla faccia posteriore della tibia, dalla parte superiore della membrana
interossea, dalla faccia mediale della fibula e dai setti muscolari
circostanti. Continua quindi in un tendine d’inserzione che, passando
dietro il malleolo tibiale, va a terminare sul tubercolo dello scafoide, sulla
superficie plantare dei tre cuneiformi e dell’estremità prossimale del 2°, 3°
e 4° osso metatarsale.
È in rapporto anteriormente con le facce posteriori della fibula e della tibia
e corrisponde alla membrana interossea; posteriormente è ricoperto dai
muscoli soleo, flessore lungo delle dita e flessore lungo dell’alluce ed
entra in rapporto con l’arteria e la vena tibiale posteriore e con il nervo
tibiale. Nel collo del piede, il tendine del tibiale posteriore scorre nella
doccia osteofibrosa formata dal retinacolo dei muscoli flessori.
È innervato dal nervo tibiale (L5-S1). (15)
68
Azione: è un flessore plantare ed inoltre adduttore-rotatore interno del
piede essendo particolarmente attivo come rotatore solo se il piede è in
flessione plantare. Nel cammino risulta contratto durante la fase di
appoggio assieme agli altri flessori plantari, ma secondo Macconaill non
al distacco del tallone diversamente da essi: ciò fa ritenere che il suo
intervento serva a controllare la rotazione interna della gamba sul suo
asse verticale durante l’appoggio oltre che a sostenere l’arcata plantare
mediale. (14)
Le indicazioni all’infiltrazione del tibiale posteriore sono analoghe a
quelle sopraindicate per il tricipite surale, pertanto il farmaco viene
somministrato generalmente in entrambi i muscoli per migliorarne
l’effetto.
6.a TRATTAMENTO MIRATO AL PAZIENTE
TRATTAMENTO DELL’ARTO SUPERIORE
69
Nelle pagine a seguire verrà illustrato e spiegato un trattamento all’arto
superiore sul flessore profondo delle dita.
Lo stiramento da applicare alla mano ed al polso deve essere funzione di:
1. Entità degli accorciamenti muscolari.
2. Sensibilità residua post-lesione.
3. Eventuali lesioni cutanee.
4. Dolore del paziente.
a) Bendaggio Funzionale:
Metodica di bendaggio:
1. Con i guanti e mediante batuffolo di cotone stendere in maniera
omogenea il violetto di genziana sulla parte da bendare, in modo da creare
una pellicola protettiva dal collante delle bende e dagli agenti infettanti
(Fig.16).
Fig.16
2. Applicare il salvapelle nei punti di maggior pressione [in questo caso
sono la prima commissura del pollice (fig.17) e a livello del terzo medio
70
inferiore dell’avambraccio (Fig.18)]. Fig.17
Fig.18
3. Iniziare il bendaggio con un tape elastico che funge da base al
bendaggio vero e proprio (Fig.19).
E’ d’importanza fondamentale non avvolgere a spirale l’arto ma, come si
vede in figura, bendarne una parte e poi tagliare il tape (Fig.20-21).
Quest’accortezza impedisce ai tiranti, in caso di scollamento della base, di
deformare completamente il bendaggio.
Fig.19
71
Fig.20
Fig.21
4. Si posizionano gli ancoraggi, cioè nastro adesivo inestensibile, che
viene applicato agli estremi della parte da stirare [in questo caso sono al 3°
medio prossimale di avambraccio(Fig.22), a livello delle teste metatarsali
(Fig.23)]. Sono d’importanza fondamentale per evitare lo scivolamento dei
tiranti e per bloccare il bendaggio di base.
Fig.22 Fig.23
72
5. Si posizionano delle protezioni imbottite a livello dei punti di fulcro [il
3° inferiore dell’avambraccio (Fig.24)] e sui punti di trazione [polso e dita
(Fig.25)]. La protezione deve essere incollata sulla benda di base.
Fig.24 Fig.25
6. Mediante la spola del tape si può costruire una puleggia rudimentale che
permette di applicare lungo linee più adeguate la forza di trazione. Per
costruirla basta far passare, con un paio di forbici, del nastro inestensibile
all’interno del rocchetto (Fig.26) e posizionarlo al di sopra dell’imbottitura
(Fig.27).
Fig.26 Fig.27
73
7. Applicare i tiranti selettivi per il polso. Il tape deve partire dal palmo
della mano e terminare sull’ancoraggio passando sopra la puleggia. Per
dare maggiore stabilità i tiranti vanno bloccati con del nastro trasversale
applicati prossimamente (Fig.28) e distalmente (Fig.29) alla puleggia. Fig.28
Fig.29
8. Per estendere le dita della mano si utilizza un preformato in materiale
termoplastico rivestito da un’imbottitura che evita punti di pressione
(Fig.30).
E’ consigliato disporre di una vasta gamma di preformati al fine di
adattarli alle dimensioni dell’arto del paziente. Dopo aver scelto il
termoplastico della dimensione adatta si consiglia di fissare le dita con il
nastro, di lasciare libere le unghie per permettere un’attenta ispezione della
74
cute nei giorni successivi (Fig.31). Fig.30
Fig.31
9. Si posizionano i tiranti nella parte inferiore del preformato (Fig.32) e a
livello del pollice (Fig.33); la direzione dello stiramento deve portare le
dita e il polso in estensione, il pollice in abduzione.
Dopo aver sistemato i tiranti, il bendaggio deve essere chiuso con del tape
inestensibile perpendicolarmente alla linea di trazione (Fig.34).
Fig.32 Fig.33
Fig.34
75
Dopo aver confezionato il bendaggio si devono programmare con il
paziente controlli a tre e cinque ore dalla fine del lavoro e una volta al dì
per i cinque giorni successivi.
b) Ortesi in Termoplastica
Metodologia di costruzione
1. Nel disegno del modello per lo splint della mano bisogna prevedere uno
scarico per la prima commissura e per il pollice (Fig.35).
Fig.35
2. Dopo aver riscaldato il termoplastico applicare il foglio di carta e
ritagliare con 2 cm di scarto (Fig.36).
76
Fig.36
3. Il modello deve essere asciugato e raffreddato prima di essere adattato
all’arto del paziente(Fig.37); bisogna avere la cura di inserire la mano
correttamente (Fig.38), modellarlo rapidamente in modo da riscaldare il
materiale il minor numero di volte possibile. Fig.37
Fig.38
4. Per modellare il materiale termoplastico non bisogna applicare pressioni
ma semplicemente adattarlo all’arto con sfioramenti rendendolo il più
congruente possibile alla cute (Fig.39).
Si evitano così pressioni localizzate e queste vengono distribuite su di
un’area la più estesa possibile.
77
Fig.39
5.Una volta terminata la modellazione bisogna valutare dove applicare i
velcri e le eventuali imbottiture (Fig.40).
Fig.40
78
Terminato lo split, come per il bendaggio, bisogna programmare un
incontro con il paziente per valutare i punti di compressione e insegnare al
paziente la manutenzione dello split.
TRATTAMENTO DELL’ARTO INFERIORE:
Il trattamento dell’arto inferiore è analogo a quello della mano
sopradescritto, tuttavia la metodologia costruttiva del bendaggio si
diversifica in maniera interessante per il posizionamento delle linee di
trazione.
Come nell’arto superiore, lo stiramento deve essere ben calibrato sia come
intensità sia come direzione, e le pressioni che ne conseguono sono di
entità superiore e devono pertanto essere ripartite su maggior superficie
possibile.
Le immagini sequenziali del bendaggio sono tratte da un video girato dal
Dott. Molteni nel presidio ospedaliero di Costamasnaga “Villa Beretta”.
a)Bendaggio funzionale:
Metodica di bendaggio:
1. Stesura del violetto di genziana (Fig.41).
79
Fig.41
2. Applicazione dei salvapelle (Fig.42).
Fig.42
3. Preparazione del bendaggio di base (Fig.43-44-45-46).
80
Fig.43 Fig.44
Fig.45 Fig.46
5. Collocazione degli ancoraggi alti e bassi: l’ancoraggio alto viene fissato
sotto il ginocchio (Fig.47), mentre il basso viene posizionato a livello delle
teste metatarsali (Fig.48). Fig.47 Fig.48
81
6. Posizionamento dei tiranti laterali: questi bloccano i movimenti di
lateralità della caviglia, limitano lo scorrimento della pinza tibio-peroneale
sull’astragalo e lo scivolamento dell’astragalo stesso sul calcagno.
Limitano inoltre, seppur in maniera blanda, le rotazioni del piede.
Sono costituiti da un’unica striscia di nastro che parte in corrispondenza
del piatto tibiale laterale, passa al di sotto del calcagno e termina al piatto
tibiale mediale (Fig.49-50).
Fig.49 Fig.50
7. Per evitare i movimenti di prono supinazione a livello della tibio-tarsica
si sistemano due tiranti che partono al di sopra i malleoli (Fig.51), ruotano
intorno alla caviglia (Fig.52) e terminano sotto la pianta del piede a livello
della staffa (Fig.53).
82
Bisogna compiere l’operazione partendo sia dal malleolo esterno, sia dal
malleolo interno. Fig.51 Fig.52
Fig.53
83
8. Il tirante più importante e anche più difficile da posizionare in modo
corretto è quello che blocca la flesso-estensione. Il tape viene diviso a
metà in senso longitudinale ed i due lembi vengono applicati alla staffa al
piede (Fig.54); in questo modo la tenuta del bendaggio è migliore.
Dopo aver stirato bene la caviglia si incolla il nastro alla base (Fig.55); al
3° prossimale di gamba si divide nuovamente il tirante (Fig.56) e lo si
applica sulla sezione del polpaccio. L’operazione va ripetuta più volte
mantenendo quanto più possibile in flessione dorsale l’articolazione
tibiotarsica (Fig.57).
Fig.54 Fig.55
Fig.56 Fig.57
84
9. Si bloccano i tiranti con del nastro posto perpendicolarmente alle linee
di trazione (Fig.58).
Fig.58
85
b)Ortesi in Termoplastica
Metodologia di costruzione:
1. L’utilizzo di preformati velocizza notevolmente il lavoro di
confezionamento degli split. Il preformato sotto illustrato (Fig.59) può
essere utilizzato sia per l’arto superiore sia per l’arto inferiore.
Fig.59
2. Il preformato prima di essere modellato sull’arto del paziente deve
essere asciugato e raffreddato (Fig.60).
Fig.60
3. La modellazione dello splint (Fig.61-62) per l’arto inferiore deve
seguire le regole già enunciate per l’arto superiore, ma, poiché la pressione
86
applicata per mantenere il segmento in posizione è più intensa, si dovrà
utilizzare un materiale meno deformabile. Questi fattori contribuiscono ad
aumentare il rischio di arrossamenti cutanei.
Fig.61 Fig.62
4. Per evitare di deformare l’intero manufatto in caso di punti di pressione
o per arrotondare i bordi, si può utilizzare un phon che riscalda in loco lo
splint e permette di rimodellarlo (Fig.63) anche una volta terminato, senza
deformarlo.
Fig.63
87
5. L’ortesi così terminata va equipaggiata di velcri e in caso sia necessario
di un’imbottitura (Fig.64).
Fig.64
6.b OSSERVAZIONE DEI CASI
88
La ricerca e la creazione di una casistica è di importanza fondamentale
all'interno di un elaborato scientifico: innanzitutto verifica l’efficacia del
farmaco e l'efficienza del metodo di somministrazione; dal punto di vista
medico da un'informazione di tipo posologico, da un punto di vista
fisioterapico fornisce dati sull'utilità del trattamento post-
somministrazione.
Mette in luce intolleranze e resistenze al preparato e divide i casi trattabili
dai non trattabili.
Tutto questo serve per elaborare “un procedimento di infiltrazione e di
trattamento” che sia il più efficace possibile: il protocollo.
89
SCHEDE DI VALUTAZINE PER LA TOSSINA BOTULICA
a. Gran Pettorale
Valutazione pre-infiltrazione:
Tabella I
La tossina botulinica è particolarmente indicata in questi casi per la
risoluzione del dolore, per il recupero del range articolare a livello della
spalla e, nei casi più gravi, il ripristino dell’allineamento del cingolo
scapolare, per migliorare la funzione respiratoria.
Sia per C.K. sia per G.B. l’infiltrazione ha lo scopo di migliorare il R.O.M.
articolare e di conseguenza anche lo stato cutaneo del cavo ascellare, e
risolvere il problema dolore.
In entrambi i casi si prescrive mobilizzazione passiva e stretching.
Nome Anno di
Nascita
Livello della
Lesione
Segni Pre-
Infiltrazione
Ash
wort
h
Spasm
i
Forz
a
R.O.M. Data
Infiltrazione
C. K. 1968 Tetraplegia
Incompleta -
C5
Atteggiamento in
intrarotazione
della spalla dx con
marcato ipertono e
spasmi
3 3 2 Spalla
Flex\Est
120°
0°
0°
03-03-98
Pettorale Dx
Abd.
115°
G. B. 1964 Tetraplegia
Incompleta
C4-C5
Atteggiamento in
intrarotazione
della spalla Dx
con dolore
1 1 2 Spalla
Flex\Est
20°
0°
0°
26-05-1999
Pettorale Dx
Gomito
Flex\Est
120°
70°
0°
90
Follow-up:
Nome 15 Giorni 30 Giorni 60 Giorni 90 Giorni
Data Ashworth ROM D. A
.
ROM D. A
.
ROM D. A
.
ROM
C.K,. Marzo
'98
2 Flex.
Est.
145°
0°
0°
Aprile
'98
2 Flex
Est.
120°
10° -
0°
Maggio
'98
2 Flex
Est.
120°
20°
0°
Giugno
‘98
2 Flex
Est.
130°
0°
0°
Abd.
150°
Abd.
150°
Abd.
140°
Abd.
130°
G.B. Aprile
‘98
1 Flex.
Est.
20°
0°
0°
Maggio
‘98
1 Flex.
Est.
20°
0°
0°
Giugno
‘98
1 Flex.
Est.
20°
0°
0°
Luglio
‘98
1 Flex.
Est.
20°
0°
0°
Gomi
to
Flex.
Est.
120°
70°
0
Gomi
to
Flex.
Est.
120°
70°
0°
Gomi
to
Flex.
Est.
160°
80°
0
Gomito
Flex.
Est.
120°
80°
0
Tabella II
Commenti:
I risultati dell’utilizzo del farmaco si osservano nelle prime settimane: vi è
una progressiva riduzione del dolore ed un recupero del R.O.M. articolare.
91
Tabella III
Come si può osservare dalla Tab.III però, al diminuire dell’efficacia della
tossina corrisponde in entrambi i casi ad una diminuzione dei valori
dell’articolarità.
92
b. Flessore Profondo della Dita
Valutazione pre-infiltrazione:Tabella IV
Il trattamento con tossina botulinica al flessore profondo delle dita ha
come indicazione il ripristino dell’utilizzo della mano. I pazienti infiltrati
presentano segni di un’elevata spasticità e una limitazione del R.O.M.
articolare al suddetto muscolo; tuttavia è evidenziabile un’attività degli
estensori delle dita. Si prescrive il trattamento mediante ortesi di posizione
per L.G. e G.C. mentre per P.G. si prescrive una mobilizzazione passiva e
stretching.
Nome Anno di
Nascita
Livello della
Lesione
Segni Pre-
Infiltrazione
Ashw
orth
Spasm
i
Forza R.O.M Data
Infiltrazione
L. G. 1934 Tetraplegia
Completa –C6
Ipertono alla mano
sin. e spasmi con
atteggiamento in
chiusura.
4 1 4 60
30°
0°
26-05-1999
Flessore
Profondo delle
Dita Sin.
G. C. 1973 Tetraplegia
Incompleta
–C5-C6
Importante
ipertono alla mano
sin. con presenza ,
se stirato, di
spasmi
3 1 3+ Polso
F/E
60°
20°
0°
03-04-2000
Flessore
Profondo delle
Dita Sin.
P. G. 1946 Tetraplegia
Incompleta
-C6-C7
Ipertono alla mano
Dx con importanti
spasmi in chiusura.
3 3 4 60°
30°
0°
16-09-1999
Flessore
Profondo delle
Dita Dx.
93
Follow-up:
Nome 15 Giorni 30 Giorni 60 Giorni 90 Giorni
Data Ashwor
th
Spas
mi
Rom D. A. S. R. D. A. S. R. D. A. S. R.
L.G. Giugno
‘99
4 1 80°
10°
0°
Luglio
‘99
2 1 80°
10°
0°
Agosto
‘99
2 1 80°
10°
0°
Settembre
‘99
2 1 80°
10°
0°
G.C Aprile
‘00
3 1 60°
10°
0°
Maggio
‘00
2 0 Liber
o
Inizio
Luglio
‘00
2 0 Liber
o
P.G. Ottobre
‘99
2 2 60°
30°
0°
Fine
Ottobre
‘99
2 2 60°
30°
0°
Tabella V
Commenti:
In seguito a complicanze non imputabili al farmaco il trattamento
fisioterapico di P.G. viene sospeso.
Negli altri due casi si osserva un miglioramento dell’escursione articolare
e una diminuzione di punteggio della scala Ashworth.
94
Tabella VI
Sia L.G. sia G.C. utilizzano in maniera spontanea la mano infiltrata; inoltre
lo stiramento mediante ortesi ha permesso un recupero quasi completo del
R.O.M. articolare.
95
c. Bicipite Brachiale
Valutazione pre-infiltrazione:
Tabella VII
L'obbiettivo, in entrambi i casi, è il raggiungimento dell'estensione del
gomito completa, al fine di aumentare la funzionalità e permettere al
paziente una maggiore autonomia sia in carrozzina sia nelle ADL.
Nel caso di P.S. si prescrive la costruzione di un ortesi personalizzata che
mantenga il gomito esteso, da indossare nelle ore notturne (Fig.65).
Fig.65
Nel caso di O.G. si procede con mobilizzazione passiva e stretching.
Nome Anno di
Nascita
Livello della
Lesione
Segni Pre-
Infiltrazione
Ashw
orth
Spasmi Forza R.O.M Data
Infiltrazione
P. S. 1982 Tetraplegia
Completa -C5
Ipertono marcato
all'arto superiore sn.
con atteggiamento
in flessione
3 no 2 120°
20°
0°
09-03-2000
Bicipite
Brachiale
Sn.
O. G. 1964 Tetraplegia
Incompleta C4-
C5
Ipertono all'arto
superiore dx. con
atteggiamento in
flessione marcata
3 no 3 140°
40°
0°
26-05-1999
Bicipite
Brachiale
Dx.
96
Follow-up:
Nome 30 Giorni 60 Giorni 90 Giorni 180 Giorni
Data Ashworth ROM D. A. ROM D. A. ROM D. A. ROM
P.S. Aprile
'00
3 120°
20°
0°
Maggio
'00
2 120°
10°
0°
Giugno '00 2 120°
20°
0°
O.G. Luglio
'99
3 140°
10°
0°
Agosto
'99
2 140°
5°
0°
Settembre
'99
2 140°
0°
0°
Novembre
'99
140°
0°
0°
Tabella VIII
Commenti:
Nel caso di P.S. non si è portato a termine il programma riabilitativo, per
complicanze insorte in seguito alla somministrazione del farmaco non
dovute all’infiltrazione.
Tabella IX
Nel caso di O.G. il programma riabilitativo si è dimostrato efficace con un
recupero dell’intero R.O.M. articolare.
97
d. Gruppo degli Adduttori
Valutazione Pre-infiltrazione:
Nome Anno di
Nascita
Livello della
Lesione
Segni Pre-
Infiltrazione
Ashw
orth
Spasm
i
Forza R.O.M
.
Data Infiltrazione
G. M. 1937 Paraplegia
Ischemica
Marcato ipertono
aduttorio con
atteggiamento in
chiusura degli arti
inferiori
4 3 Flex
Est
120°
0°
0°
16-09-1999
Adduttori Arto
Inferiore Dx e Sn.
Abd
10°
Tabella X
La retrazione degli adduttori può provocare gravi conseguenze sia dal
punto di vista cutaneo che per il posizionamento in carrozzina.
Il paziente G.M. presenta ipertono adduttorio e limitazioni del R.O.M.
articolare a livello dell’anca; viene prescritta, in seguito ad inoculazione,
mobilizzazione passiva e stretching della muscolatura trattata.
98
Follow up:
Nome 15 Giorni 30 Giorni 60 Giorni 90 Giorni
Data Ashwor
th
Spas
mi
Rom D. A. S. R. D. A. S. R. D. A. S. R.
G.M. Ottobre
‘99
2 2 Abd
20°
Ottobre
‘99
2 2 Abd
20°
Agosto
‘99
2 1 Abd
30°
Tabella XI
Commenti:
La riduzione del tono ha permesso una mobilizzazione adeguata ed è stato possibile posizionare il paziente in posture di stiramento prolungate anche nel tempo.
Tabella XII
L’esito del trattamento ha permesso il recupero del R.O.M. articolare (Tabella XII). Per mantenere o migliorare i risultati ottenuti s’insegna al paziente l’automobilizzazione da effettuare più volte al giorno.
99
e. Gastrocnemi e Soleo
Valutazione pre-infiltrazione:
Tabella XIII
L’obbiettivo principale dell’infiltrazione, per A.R., è quello di ridurre i
cloni in modo tale da permettere un adeguato posizionamento dei piedi e
degli arti inferiori in carrozzina e soprattutto migliorare la qualità di vita
del paziente.
Per B.S. e G. il trattamento con tossina ha la funzione, dal punto di vista
clinico, di ridurre gli spasmi; dal punto di vista funzionale, consente al
paziente di attuare una deambulazione più naturale ed ergonomia.
Per tutti i pazienti si prescrive il trattamento mediante l’ortesi di posizione
personalizzata.
Follow-up:
Nome Anno di
Nascita
Livello della
Lesione
Segni Pre-
Infiltrazione
Ash
wort
h
Spasm
i
Forza R.O.M. Data
Infiltrazione
A. R. 1977 Tetraplegia
Completa –C7
Importante
presenza dei
spasmi agli arti
inferiori
2 3 0 Libero 03-04-’00
Soleo Sn.
B. 1962 Tetraplegia
Incompleta -
C4-C5
Ipertono agli arti
inferiori più
accentuato a sn.
che a dx
Sn 3
Sn 3
CloniIr
riducib
ili
3 MisuraTibio
Tarsica
0°
15°
40°
20-03-2000
Soleo e
Gemello
Mediano Sn.
Dx 2
Dx 2
Cloni
Riduci
bili
3 0°
0°
40°
A ginocchio
esteso
G. 1939 Paraplegia
Incompleta da
Ischemia
Midollare -D1
Ipertono marcato
ad entrambi gli
arti inferiori più
marcato a dx
3 1 4 0°
10°
40°
Al ginocchio
30-06-1999
Soleo dx
100
Nome 15 Giorni 30 Giorni 60 Giorni 90 Giorni
Data Spasmi ROM D. S. ROM D. S. ROM D. S. ROM
A.R. Aprile
'00
3 Libero Maggio
'00
2 Liber
o
B.S. Aprile
‘00
Cloni 3
Irriduci
bili
0
10°
40°
Alla
Tibio
tarsica
con
ginocch
io
esteso
Agosto
'99
2
ridu
cibili
0°
0°
40°
G. Giugno
‘99
1 0°
10°
40°
Maggio
’99
1 0°
5°
40°
Giugno
‘99
1 0°
5°
40°
Luglio
‘99
2 0°
5°
40°
Tabella XIV
Commenti:
In tutti e tre i casi si osserva un aumento dell’escursione articolare e una
diminuizione dei cloni a carico del tricipite, tale da consentire al paziente
una resistenza al cammino maggiore.
101
Tabella XV
Nel caso di A.R. l’infiltrazione ha permesso di effetuare gli spostamenti ed
il posizionamento in carrozzina autonomamente in modo più rapido e
sicuro.
f. Tibiale Posteriore
Valutazone pre-infiltrazione
Nome Anno di
Nascita
Livello della
Lesione
Segni Pre-
Infiltrazione
Ashwo
rth
Spas
mi
Forza R.O.M Data
Infiltrazione
B. 1945 Paraplegia
Completa
-T8-T12
Marcata presenza
di cloni alla tibio
tarsica appena si
mobilizza
Non
valutab
ile per
la
presen
2 Non
valutab
ile
Tibio
Tarsica
Flex
Dors.
90°
27-03-2000
Tibiale Posteriore
E Soleo
102
za di
cloni
Flex
Plant.
30°
Z. S. 1961 Paraplegia
Incompleta -
T12
Ipertono all'arti
inferiori con cloni
evocabili con
stretchin della tibio
tarsica
2-3 2 3 con
presen
za di
cloni
Tibio
Tarsica
Dx
10°
0°
25°
07-02-2000
Tibiale Posteriore
Bilaterale.
Sx
10°
0°
35°
Tabella XVI
L’infiltrazione a carico del tibiale posteriore ha indicazione soprattutto in
casi di cloni a livello tibiotarsica.
Nei soggetti deambulanti viene trattato in contemporanea con il tricipite
surale.
Nel caso di B. la tossina ha la funzione di ridurre l’atteggiamento
intrarotatorio del piede e gli spasmi all’arto inferiore.
Per Z.S. l’infiltrazione ha l’obiettivo di migliorare la deambulazione,
diminuendo il tono dell’arto inferiore. Si prescrive per entrambi
mobilizzazione passiva e stretching.
Follow up:
Nome 15 Giorni 30 Giorni 60 Giorni 90 Giorni
Data Ashwor
t
Spas
mi
Rom D. A. S
.
R. D. A. S. R. D. A. S. R.
B. Aprile
‘00
1 2 in
dimi
nuzio
ne
T.T.
Flex
Dor.
90°
Aprile
‘00
1 1 T.T.
Flex
Dor
90°
Plan
30°
103
Z.S. Febbrai
o
'00
2-3 2 T.T.
Dx
10°
0°
40°
Marzo
'00
Dx
1
1 T.T.
Dx
20°
0°
50°
Maggio
'00
Dx
1
T.T.
Dx
20°
0°
50°
Prescritta
Botox
Ai
Gemelli
Sx
10°
0°
40°
Sx
2
Sx
15°
0°
40°
Sx
2
Sx
15°
0°
40°
Tabella XVII
Commenti:
Per B. il programma riabilitativo viene interrotto per problemi non derivanti dal farmaco.Il R.O.M. articolare migliora sensibilmente nel caso di Z.S. mettendo in luce come lo stretching post-infiltrazione abbia un’importanza fondamentale.In entrambi i casi si osserva una diminuzione dell’insorgenza di cloni dovuto all’effetto della tossina.
Tabella XVIII
7. PROTOCOLLO DEL BLOCCO NEUROMUSCOLARE CON
TOSSINA BOTULINICA
La proposta di un protollo riabilitativo inerente la tossina botulinica è un
grosso passo avanti in quanto permette ai riabilitatori di avere un
documento di origine medica che dà un’indicazione al trattamento.
Permette inoltre un confronto fra le varie strutture che possono compararsi
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mediante gli esiti dei trattamenti raggiungendo risultati che saranno
indubbiamente migliori.
Deve essere comunque considerato una linea guida in quanto ogni singolo
caso presenta particolari differenti da altri; inoltre il seguente protocollo è
stato ideato per patologie come l’ictus o le P.C.I.
Bisogna tenere ben presente che la tossina botulinica può essere utilizzata
anche in casi d’accorciamento muscolare e in caso di cloni inesauribili,
problemi che abbassano la qualità di vita del paziente e che hanno poco a
che vedere con le prove funzionali che sono inserite nel protocollo.
ARTO INFERIORE:
Pre blocco:
1. test della velocità del cammino
( 50mt velocità media; velocità massima; numero di passi nelle due
situazioni);
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2. valutazione range articolare del segmento infiltrato;
3. valutazione della spasticità con la scala di Ashworth;
4. valutazione del controllo volontario del selettivo segmento
infiltrato.
Post blocco:
1. bendaggio funzionale immediatamente post infiltrazione;
2. modificazione del bendaggio quotidiana con progressivo stretch dei
muscoli infiltrati;
3. asportazione bendaggio in V giornata post infiltrazione;
4. rivalutazione ortesi;
5. dal I° giorno post infiltrazione: esercizi carico monopodalico;
controllo bacino; controllo deambulazione.
ARTO SUPERIORE:
Pre blocco:
1. valutazione range articolare;
2. valutazione controllo selettivo;
3. valutazione prese;
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4. valutazione utilizzo in attività di vita quotidiana;
5. scala di Ashworth.
Post blocco:
1. bendaggio in allungamento dei muscoli infiltrati da modificarsi
quotidianamente secondo tolleranza del paziente;
2. asportazione del bendaggio in V giornata;
3. confezionamento splint su misura in materiale termoplastico da
utilizzarsi 12 ore al giorni nei 3 mesi post blocco neuromuscolari.
Sono da programmare controlli clinici di follow-up a 1-3-6-9-12 mesi post
blocco neuromusoclare per verificare indicazioni a nuovi interventi con
blocco neuromuscolare, modificazioni ortesi, splint, indicazioni di
chirurgia funzionale. (12)
8. CONCLUSIONI
E’ stato ormai assodato che lo stiramento prolungato, di gruppi muscolari
trattati con tossina botulinica, migliora notevolmente l’effetto del farmaco.
La mobilizzazione passiva manuale in stretching è inadeguata, è limitata
alla durata del trattamento e non può essere, proprio per ragioni
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organizzative del reparto riabilitativo, ripartita più volte durante la
giornata. Questo va a discapito dell’efficacia del farmaco, infatti, il
paziente trascorre gran parte della giornata in posture determinate
dall’ipertono dei muscoli antigravitari.
L’unico mezzo a disposizione del riabilitatore è quindi un presidio
contenitivo, che permetta di stabilizzare l’arto in posizioni statiche, per più
ore durante le giornata, senza causare lesioni cutanee; deve essere anche
rimodellabile per consentire eventuali correzioni qualora lo stiramento
applicato risulti insufficiente.
Gli strumenti che il terapista ha a disposizione e che rispondono in
maniera soddisfacente alle richieste sopraelencate, sono le ortesi in
materiale termoplastico ed il bendaggio funzionale.
La costruzione di questi ausili deve seguire parametri e regole ben precise,
al fine di non arrecare alcun danno al paziente e di stirare in maniera più
selettiva possibile il gruppo muscolare trattato.
Ne consegue che è d’importanza fondamentale, al fine di confezionare un
bendaggio ed uno splint efficaci, conoscere l’anatomia, la cinesiologia e le
proprietà dei vari materiali utilizzati.
L’utilizzo della tossina in campo riabilitativo è da considerare un valido
trattamento della spasticità ed i segni che da essa derivano, soprattutto
quando questi sono localizzati.
Bisogna, infatti ricordare che è sconsigliato superare le quattro infiltrazioni
annuali, ed in caso di ipertono diffuso, soprattutto nei casi di tetraplegia, si
propone l’utilizzo di farmaci che abbiano un effetto generalizzato.
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9. BIBLIOGRAFIA
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botulinica. Giornale italiano di medicina riabilitativa, 1999
vol.13 N° 3.
2. ALBERTO NOBILE- Appunti sulla mielolesione, 1999.
109
3. Atti del Convegno SO.MI.PAR. Bologna, 1997.
4. MARIO MANCA- Quando trattare la spasticità.
Giornale italiano di medicina riabilitativa, 1999 vol.13 N° 3.
5. Y. PICARD, YL. LE GUIET, Y. RABASSE, Y. LION, G.
LECLAIRE, C. PERFETTI- Rieducazione sensomotoria. Tecnica di
Perfetti. E.M.C. Medicina Riabilitativa 26-060-D-10, 1996, 5p.
6. NOEL DUCRET F.- Il pensiero dei Bobath
E.M.C. Medicina Riabilitativa 26-060-B-10, 1988, 21p.
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Piccin-Padova, 1991.
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e nastri adesivi" Lohmann-Rijen, 1983.
10. ROUILLON - Lo strapping:i bendaggi
Ed. C.E.L.I.del gruppo adesivi applicati all'arto edit.
Faenza, 1991 Vol. 1–2.
11.TIZIANA REDALLI, LAURA VALSECCHI-
Terapia Occupazionale.
Solei gruppo editoriale informatico, 1996.
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12. dott. MOLTENI- Appunti su “Trattamento Con Tossina
Botulinica”.
13. A. BAIRATI- Trattato di Anatomia Umana.
Apparato Locomotore Vol. II Minerva Medica, 1978.
14. S. BOCCARDI, A. LISSONI- Cinesiologia.
Società editrice Universo, 1997.
15. AA.VV.- Anatomia Umana Vol. I
Edi Ermes, 1993.
FIGURE:
16. F. H. NETTER- Interactive Atlas of Human Anatomy.
Cibal Medical Education, 1995.
10. RINGRAZIAMENTI:
Ringrazio tutto lo staff riabilitativo del C.R.F. per la disponibilità, la
cortesia, ma soprattutto per avere per avermi infuso parte della loro
passione per la riabilitazione.
In particolare ringrazio il T.d.R. Alberto Nobile senza il quale non avrei
mai terminato quest’elaborato.
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