U T O P I A“Mobilitatevi, non basta indignarsi, bisogna impegnarsi per far cambiare il mondo.”
Novembre - Dicembre 2011 Università di Catania
1
Pietro Figuera
(continua a pagina 2)
Ogni momento di crisi mette in discussione lo statodi cose vigente. Così è oggi, così è sempre stato.Agli inizi degli anni Trenta Hitler mise indiscussione la democrazia di Weimar, indebolitadalla crisi del '29, e in tal modo stravinse leelezioni. Oggi, nel pieno di una crisi di similegravità, tutto viene rimesso in discussione.Berlusconi è caduto e non è più il totem intoccabiledella destra, quale è stato negli ultimi venti anni; laLega torna ad attaccare con forza (e proprio nelcentocinquantenario) il principio di unità nazionale;ampie fette di società mostrano sempre maggioreindifferenza per la classe politica tutta, la qualesembra non sappia più interpretare i sogni e ibisogni del Paese. E fette di società minori, mapericolosamente in crescita, invocano misureestreme come l'uscita dall'euro e addirittural'insolvibilità del debito pubblico. Situazionianaloghe si riscontrano negli altri Paesi europeimaggiormente colpiti dalla crisi, i cosiddetti"PIGS", e ne hanno già fatto le spese i variZapatero, Papandreu, Socrates.Tutto viene rimesso in discussione dunque, persinogli uomini e le istituzioni più consolidate sono incrisi di legittimità. Il principio è giusto: se unsistema fallisce, e lo fa clamorosamente, bisognacambiarlo, c'è qualcosa che non va. E' chiaro chesiamo a un punto di svolta. Il problema è ladirezione che le imprimeremo. Si può tornareindietro: sfiducia, paura, xenofobia, chiusura dellefrontiere, autarchia e populismo, anticameradell'autoritarismo. Ricorda troppo la già menzionataGermania del 1933, o l'Italia del 1922. Oppure sipuò andare avanti, con gli occhi bene aperti:Cultura, legalità, solidarietà sociale, crescitasostenibile, apertura e dialogo verso il mediterraneoe il mondo, salvaguardia della democrazia e dellaCostituzione. E soprattutto riforme, non taglidraconiani. La tentazione di buttar via tutto e tutti èmolto forte, ma bisogna resisterle per salvare ciòche non è stato ancora contaminato dal marcio.Stiamo rischiando molte cose in questa fase.L'appartenenza all'euro, all'Europa che conta. Ma ilvero pericolo è che ci sia un'involuzione.Un'involuzione non solo economica, ma soprattuttoculturale e sociale, e quindi della democrazia.
“L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i
miei orizzonti”.
E così ebbe inizio la storia della seconda Repubblica, che qualcuno
dice essersi conclusa qualche giorno addietro, con le dimissioni del
Presidente del Consiglio.
Sceso in campo dopo tangentopoli, il Cavaliere Berlusconi ha
saputo, grazie alla sua esperienza in campo televisivo, ammaliare il
popolo italiano, sempre sensibile a chi “ci sa fare”. Sorriso
smagliante, imprenditore che “si è fatto da solo”, sulla sessantina,
impeccabile nel portamento, Presidente del Milan, prima che del
Consiglio, nonché nuovo messia delle televisioni, il Cavaliere ha
rappresentato allo stesso tempo ciò che gli italiani erano e avrebbero
sempre voluto essere. Il sogno americano in Italia. L’ambizione.
IL VERO PERICOLO
Gianluca Scerrinumero speciale
2
Il Cavaliere monta in sella per la prima volta con la vittoria,
non priva di alcuna turbolenza politica, alle elezioni del 1994:
pochi mesi di campagna elettorale bastano al cavaliere per
convincere gli italiani, tramite gadgets, spot, cartoni animati e
ritornelli, che lui sia la risposta giusta al terrore del
comunismo in Italia, dopo Tangentopoli. Una campagna
elettorale da 14 miliardi di lire sovrasta le voci, forse un po’
ingenue, che si appellavano all’ ineleggibilità di coloro che
“risultino vincolati con lo Stato [. . . ] per concessioni o
autorizzazioni amministrative di notevole entità economica”
(secondo l’articolo 10 della L.361 /57)”, e così il primo
governo Berlusconi è realtà nel 10 Maggio 1994.
Ma da lì a pochi mesi, il Cavaliere sarebbe stato disarcionato
dai suoi stessi alleati, della Lega Padana, rigorosi e ligi alle
leggi della Repubblica, che si rifiutavano di stare in coalizione
con un Premier che fosse“una persona anche gradevole e
simpatica, tanto più simpatica sapendo che tutto ciò che dice
non è vero”, e che essi stessi denunciavano non essere
colluso, ma essere direttamente appartenete alla Mafia. Il
conflitto d’ interessi esplodeva, anche in Padania, in maniera
distruttiva. La stessa Padania che, forse inconsapevole, era
accanto allo stesso Premier quando questo esprimeva piena e
totale solidarietà a dell’Utri, condannato a sette anni per”aver
SOLO frequentato dei mafiosi”, mentre, incredulo, Dell’Utri
stesso si chiedeva ancora “Cosa c’è, un posto in cui lei bussa
e dice: permette, qui ‘è la Mafia?chi è il direttore generale?
non esiste! ”.
Siamo ancora lontani dal “Contratto con gli italiani”, quando,
un po’ imbeccato, alla domanda del giornalista Mentana che
nel 1996 gli chiede “con quali idee e quali prospettive si
presenta Forza Italia alla seconda campagna elettorale, due
anni dopo”, il Cavaliere, titubante, risponde infatti: “ Io vorrei
parlarle di come si presenta Forza Italia, senza le idee e le
prospettive”. Il suo partito deve ancora sbocciare. Così come
la sicurezza del Cavaliere.
“Qui ho anche appreso la passione per la libertà”.
Sin dal 1983 infatti, prima della “discesa in campo” del
Cavaliere, i cittadini, avevano imparato anche loro che la
libertà fosse innanzi tutto quella di poter scegliere le soap
opera del pomeriggio e i varietà della sera. Dove la TV
pubblica non riusciva ancora a competere, i cittadini
scendevano in strada e protestavano contro l’oscuramento
delle TV del Cavaliere e per non pagare il canone della TV
pubblica. Dove il problema viene inspiegabilmente risolto,
per decreto legge, a favore del Cavaliere, dall’allora
Presidente del Consiglio Bettino Craxi, s’ insidia il dubbio.
Germoglia il futuro conflitto di interessi.
“Ma, per conflitto di interessi si intende, quando uno è lì, e fa
l’ interesse suo, contro l’ interesse di tutti. Se io, facendo
l’ interesse di tutti, faccio anche il mio, perché sono uno dei
tutti, questo non è conflitto d’ interesse”.
I cinque anni di opposizione dal 1996 al 2001 gli danno
certamente modo di divenire più spigliato, come si evince
dalla familiarità con cui il Cavaliere, rispondendo nel 2002 a
Martin Schulz, parlamentare europeo del PSE, che aveva
sollevato delle osservazioni in merito a delle posizioni tenute
dalla Lega Nord (in netta controtendenza alla Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea), nonché alle vicende
giuridiche del Cavaliere, indusse questo, da presidente di
turno dell'Unione europea, a proporre il tedesco per il ruolo di
Capò per un film prodotto da un produttore di sua
conoscenza.
Da qui cominciò a farsi conoscere per la sua giovialità e
voglia di divertire: fu sempre nel 2002 che venne ritratto, da
responsabile ad interim della Farnesina, con lo scaramantico
rito delle “corna”, mentre i fotografi si apprestavano a
scattare la foto ufficiale degli archivi per il vertice dei ministri
degli esteri, nel febbraio del 2002.
Famoso per le sue telefonate in diretta (perfino al processo di
Biscardi, nel 1 993) e per la sua avversione all’aria dei
tribunali, il Cavaliere si è sempre trovato più a suo agio tra
chitarre, platee inneggianti e canzoni d’amore.
Insomma, il Cavaliere ce l’ha sempre messa tutta per riportare
il modello “Milan-Mediaset” al governo dell’ Italia, ma è
sempre stato osteggiato da provvedimenti giudiziari (più di
2500 udienze) e improvvisi ripensamenti dei parlamentari,
avendo speso “più di 200 milioni di euro, tra consulenti e
giudici”…
“Ho troppa stima dell’ intelligenza degli italiani per pensare
che in giro possano esserci così tanti coglioni che possano
votare facendo il proprio disinteresse”.
Ma nel 2006, gli italiani una sbandata la presero, facendo
vincere “L’Unione” di Prodi. Nonostante il Cavaliere avesse
promesso l’eliminazione dell’ ici sulla prima casa e sulla tassa
sui rifiuti, gli italiani, lasciando fino all’ultimo il Cavaliere
nell’ incertezza, scelsero il Professor Prodi. Forse fu questo a
far capire al Cavaliere che era necessario galoppare verso
l’evoluzione della politica. In parallelo col progetto del centro
sinistra, col “Partito Democratico”, infatti, il Cavaliere, che
per la sua storia e sostanza di vita, non è mai stato secondo a
nessuno, fece nascere il “Partito del predellino”, meglio
conosciuto poi, grazie alla libertà che il Cavaliere ha dato agli
elettori rispetto alla scelta del nome, come “Popolo della
libertà”. E fu con questo che vinse le elezioni del 2008,
probabilmente anche alle sue tecniche di seduzione, di cui si
fece più volte profeta in occasione di congressi e conferenze.
Forse il cavaliere ha sempre rappresentato quella soap opera
che gli italiani agguerriti in piazza cercavano di difendere con
le unghie e con i denti. Siamo proprio sicuri quindi, che siano
davvero disposti a cambiare canale?
ovvero il sogno americano di un Cavaliere tutto italiano(continua dalla prima pagina)
Gianluca Scerri
Melania Cultraro
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E’ sabato. Il sabato di un intrepido autunno. Tutte le
televisioni trasmettono un'insolita notizia. Il Presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi, dopo aver preso (finalmente)
atto della mancanza della sua maggioranza in Parlamento,
dichiara di voler destituire la carica per il bene del Paese.
Sembrano davvero passati anni luce da quando con orgoglio,
fino a pochissimi giorni fa, affermava di avere i “numeri”.
Numeri come pacchi, dove ai lati vi è riportata la scritta
“FRAGILE”. Qualcosa si è incredibilmente rotto, squarciato,
spaccato.
Stavolta a lacerare la famigerata tela di Penelope non è stato
un evento relativo a un nuovo decreto, non è stato un nuovo
processo a carico dell’uscente premier, non sono state le
piazze tempestate di studenti, ricercatori, precari, pensionati.
Stavolta lo schiaffo arriva da un signore distinto e altezzoso:
il mercato.La notizia presto viene divulgata da tutti i quotidiani
nazionali e internazionali. Accanto al nome Berlusconi non
mancano le correlazioni con la bufera di processi a suo
carico.
E’ lei la nemica che ha spodestato il re delle serate di Arcore:
la crisi. Quella crisi soffocata, sotterrata, murata dalle
televisioni e dai giornali. Eccola, è arrivata. E’ arrivata senza
bussare, senza chiedere permesso. Forse il nostro ex
Presidente è stato fin troppo impegnato nei processi a suo
carico sul caso Mills, sulla compravendita dei diritti
televisivi, sulla prostituzione minorile, sulla concussione
aggravata, sull’ inchiesta di Mediatrade, sull’ inchiesta di
Trani.
Questi quattro anni lasciano l’amaro in bocca. La domanda
che in molti si pongono è “perché?” Perché aspettare di
arrivare a delle situazioni eccessivamente allarmanti prima di
rendersi conto della situazione? Perché fingere di essere un
Paese dove tutto va a gonfie vele, nonostante tutte le potenze
europee si rendessero conto che ormai eravamo sul lastrico?
Perché non dichiarare a chiare lettere che al G20 si parlava di
crisi italiana mettendola quasi allo stesso piano della crisi
greca? Ma soprattutto perché aspettare il fatidico numero
308 prima di pronunciare la parola responsabilità?Ebbene la responsabilità del precedente Governo ci lascia
con un tasso di disoccupazione che risulta essere il più alto in
Europa; ci lascia con dei tagli alla sanità pari a 418 milioni di
euro; ci lascia con dei tagli alle Regioni di 4 miliardi l’anno,
ci lascia con la sottrazione di 31 miliardi di fondi destinati
per il mezzogiorno; con un ddl sul lavoro che contiene
norme sull’arbitrato che indebolisce o vanifica l’art. 1 8 dello
Statuto dei Lavoratori; ci lascia con dei tagli indiscriminati
alla ricerca di 8,4 miliardi; ci lascia con i problemi irrisolti
nella Campania, nell’Abruzzo in Sicilia, ci lascia con un
debito pubblico che ammonta a 1900 miliardi…E chi più ne
ha più ne metta. A questo punto la cosa più importante da
ribadire è che ci lascia!
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La sera del 12 novembre Silvio Berlusconi dava le sue
dimissioni da Presidente del Consiglio uscendo dal retro del
Quirinale ed entrando – sempre dal retro- nella sua residenza
privata di Palazzo Grazioli: ecco come tramonta un leader!
Silvio Berlusconi, come un novello Charles Foster Kane, il
protagonista di quel Quarto Potere con cui Orson Welles
scrisse un’importante pagina del cinema americano, ci ricorda
che anche l’ascesa di uno statista prima o poi conosce, come
una circostanza ineluttabile, una discesa.
Ciò che è accaduto da quella data in poi è altra storia: il
sessantottenne economista Mario Monti (laureato a Yale dov’è
stato allievo di James Tobin, l’ inventore della Tobin tax),
uomo professionale, a volte rigido, liberista convinto, definito
nel 2000 dalla stampa statunitense come “l’uomo più potente
d’Europa”, già Presidente dell'Università Bocconi dal 1994,
Commissario Europeo per il Mercato Interno tra il 1 995 e il
1 999 nella Commissione Santer, Commissario Europeo per la
Concorrenza fino al 2004 (sotto la Commissione Prodi), il 1 6
novembre prende il posto di Silvio Berlusconi.
Mario Monti: la faccia nascosta dell’ Italia del bunga bunga.
Allo stato attuale delle cose il nuovo Presidente del Consiglio
dei ministri ha l’appoggio di oltre 500 dei 630 deputati.
Quella che fino ad ora sembra essere l’unica certezza assoluta
è che Mario Monti non ha intenzione di presiedere un
“governo a tempo”, bensì restare in carica fino
alla primavera del 2013, cioè fino alla fine
naturale della legislatura.
Come ha satiricamente e sarcasticamente detto
Luciana Littizzetto: <<I ministri di questo
nuovo governo mettono addirittura la mano
davanti la bocca quando starnutiscono!>>;
scherzi a parte, ma la citazione della comica ci
stava tutta, la sensazione è proprio quella che
con l’ insediamento di Mario Monti (o Super
Mario, come è stato più volte designato) il
savoir-faire sia pronto a dilagare in un governo
che, nella precedente stagione, ha visto solo il
paventarsi e prospettarsi di scandali sessuali e
processuali tra i più disparati.
<<Sugli uomini seri non c’è mai molto da
scrivere>>, aveva detto Mario Monti tempo fa
intervistato da Le Monde a proposito di Draghi;
di certo la stessa osservazione può essere fatta
nei suoi confronti. È sicuramente prematuro
parlare dell’operato del nuovo Presidente del
Consiglio ma le valide e promettenti premesse e promesse
sembrano esserci tutte.
Vale la pena soffermarsi sulla nuova squadra di governo (oltre
al Presidente del Consiglio nonché Ministro dell’Economia e
delle Finanza Mario Monti): l'ingegnere Francesco Profumo
per la Pubblica istruzione, l’economista Elsa Fornero come
Ministro del Welfare, la professoressa Anna Maria Cancellieri
come Ministro degli Interni, l’avvocato Giulio Terzi di
Sant’Agata come Ministro degli Esteri, la giurista Paola
Severino come Ministro della Giustizia, l’economista
Corrado Passera come Ministro dello Sviluppo Economico,
l’ammiraglio Giampaolo Di Paola come Ministro della
Difesa, il giurista Renato Balduzzi come Ministro della
salute, il professore Lorenzo Ornaghi come Ministro dei Beni
culturali e il professore Corrado Clini come Ministro
dell’Ambiente.
Conviene interrompere con le figure più rilevanti la casistica
dell’attuale formazione di governo, senza proseguire
oltremodo, perché ciò che conta è notare l’autorevolezza e la
competenza che condisce questa nuova pietanza governativa.
Work in progress dunque; non resta che attendere risultati, si
spera confortarti, sul lavoro che Mario Monti intenderà
eseguire da ora in avanti.
Federica Meli
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Giorgia MusmeciDa mesi ormai i protagonisti dei gossip hanno ceduto il posto
in prima pagina alle Agenzie di Rating, principali figure del
mercato mondiale odierno. Molti ignorano la presenza delle
altre otto, ma nessuno può ignorare le "Big Three", i tre
principali pilastri del rating internazionale: Standard&Poor's,
Moody's e Fitch. Compito di queste vere e proprie "istituzioni
private" è quello di monitorare la solidità finanziaria e
l'affidabilità d'investimento degli enti pubblici e privati sotto
osservazione. Il giudizio viene espresso in una scala alfabetica
sulla base di complesse analisi economico-politiche, spaziando
dalla tripla A (indice del massimo grado di affidabilità) alla D,
o alla C secondo Moody's (status di completa inaffidabilità).
Apparentemente non viene scorta nessuna incongruenza fra il
lavoro svolto oggi da queste agenzie e gli obiettivi perseguiti
dalle stesse al momento della loro fondazione; del resto lo
stesso Henry Poor si battè in vita per obbligare le aziende a
rendere trasparenti i loro bilanci e John Moody pubblicò
addirittura un manuale di guida agli investimenti. Ricerca della
trasparenza. Eppure questo vetro trasparente inizia a diventare
sempre più opaco e gli arbitri obiettivi garanti dell'affidabilità
dei mercati si ritrovano ormai parte integrante del sistema che
avrebbero dovuto combattere. I consiglieri onesti e super-
partes della finanza sono oggi, difatti, i principali speculatori
del mercato mondiale. Come? L'ingrediente è semplice: una
subdola manipolazione del rating per favorirne la
speculazione. Così, oggi, insieme alla parola "Rating" vediamo
spesso accostati altri tre termini: Aggiottaggio, ossia omissione
di un determinato giudizio, mantenendo latenti fallimenti o
manovre riparatorie e preservando l'immagine dell'azienza
analizzata; Sovrastimazione, l'espressione di un giudizio
gonfiato rispetto alla condizione reale
dell'azienda, clamoroso fu il caso della catena di
Banche "Lehman Brothers" che ricevette un
rating molto positivo appena una settimana prima
di finire in bancarotta; Gioco a ribasso, cioè la
compravendita sul mercato finanziario di titoli a
prezzo molto più basso del normale, tenica
utilizzata per lucrare su molte situazioni di crisi,
comprese quelle affrontate dagli stati. Si, c'è
qualcuno che dalla crisi ci guadagna anzi,
paradossalmente, il mercato sopravvive oggi
cavalcando le crisi dei singoli stati. Senza
ricercare esempi altrove, basta ricordare la
declassazione operata ai danni dell'Italia,
giustificata dalla grave istabilità politica tradotta,
dal quotidiano la "Repubblica", con la celebre
metafora Dantesca della “nave senza nocchiere in
gran tempesta”. Tuttavia il nostro paese non
sembra l'unico soggetto privo di guida e di regole; abbassare il
rating di uno stato significa, infatti, per la finanza
internazionale, costringere quello stato ad entrare in crisi,
indebitandosi ancora di più per vendere titoli con interessi più
alti e prelevando i capitali da spendere dalle tasche dei
contribuenti e dai tagli sui servizi pubblici. Qui entrano in
scena le banche ed i CDS (Credit default swap), quasi delle
"assicurazioni" sulla casa di qualcun altro; le banche, cioè,
versano i soldi e assicurano la proprietà di terzi ma, al
momento di un incendio, ad esempio, intascano loro i soldi
dell'assicurazione, lasciando il proprietario a mani vuote. Se
sostituiamo la casa incendiata con un paese in crisi
l'associazione è semplice. La crisi non è dovuta alla mancanza
di ricchezza, ma alla sua distribuzione ed alla capacità di chi la
possiede (e non fa la sua parte), di convincerti che la tua torta
non c'è più e la fetta che ti spettava devi chiederla ai mercati.
Come uscirne allora? La politica europea ha risposto con la
nascita di un'unica agenzia di rating e con la creazione di un
"circuito di dati verificati", ma la domanda sorge spontanea:
Come si può ritenere imparziale un'unica agenzia creata e
controllata dagli stati? Emetterebbe mai giudizi negativi
contro essi? Chi certificherebbe i "dai verificati"?. . . . Insomma
chi controllerà i controllori? La risposta, a mio avviso, non sta
nei numeri, ma in una variabile che probabilmente l'occhio
pragmatico del rating non potrà mai cogliere o quantificare: la
determinazione e la speranza di quella parte di paese fatta di
donne e uomini, che, come hanno dimostrato in Islanda, è
capace di scendere in campo e difendere il proprio futuro da
quello spettro che, più del rating, sembra essere invece il
Conflitto d'interesse. E' possibile? E' necessario!
Federica Meli
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La recente cattura e conseguente morte “in diretta” di
Mu’ammar Gheddafi, con tanto di immagini cruente e
sanguinose pubblicate su tutti i quotidiani, pone un
proverbiale interrogativo deontologico: è opportuno o
sconveniente “sbattere il mostro in prima pagina”?
Vedere un Gheddafi esanime, inerme, privato di quella
violenza e combattività, che tanto avevano affascinato
politici e non, dalla Sicilia in su (ogni riferimento è
casualmente voluto), ha un po’ impressionato; ma che
l’Italia avesse un dittatore, ormai gettato “in pasto ai leoni”,
come amico, socio in affari e alleato, impressiona molto più
del sangue.
Io personalmente, forse perché amo lasciarmi scandalizzare
o, al contrario, perché non sono affatto una moralista o
perché, peggio ancora, sono ormai assuefatta da tutta la
violenza che la tv propina, non censuro affatto quelle
immagini. Credo che in casi estremi ed eccezionali, come
quello appena citato, il perbenismo bacchettone della notizia
edulcorata debba farsi da parte, aprendo la strada alla
necessità imperante di informare e mettere a conoscenza il
popolo, su quanto sta avvenendo; di rendere, cioè,
testimonianza dei grandi risvolti, anche sociali e storici, di
un mondo che, nel bene o nel male, evolvendosi o
involvendosi, sta comunque cambiando. Il corpo di
Mussolini appeso il 29 aprile 1945 a Piazzale Loreto può
valere come esempio: il “non credo se non vedo” (e vedere
un corpo ucciso di un dittatore forse serve a chiarire a se
stessi e al mondo che una dittatura ha avuto fine, a credere
che la svolta si è finalmente compiuta) è una regola
universale che vale a maggior ragione a proposito del
giornalismo. Se un passo indietro bisogna compiere, allora
che sia per tutto: niente più immagini di bambini che
muoiono di fame e carestia, niente più immagini di guerra,
niente più video su militari (ahimè anche italiani;
ricordiamo il caso Quattrocchi che un istante prima di
morire disse: <<Adesso vi faccio vedere come muore un
italiano>>) che vengono sequestrati e magari, dopo le
ultime dichiarazioni, fucilati a sangue freddo. Quanto
inchiostro venne sprecato per stampare in un primissimo
piano, dal sapore quasi voyeuristico, il volto di Silvio
Berlusconi, subito dopo essere stato colpito dalla miniatura
del duomo di Milano? Avrebbe garantito lo stesso effetto
una descrizione scritta, seppur dettagliata e certosina, ma
solo scritta dell’accaduto? Non avremmo avuto alcun
impatto visivo.
Chi di noi, sfogliando le pagine di una qualunque rivista o
quotidiano non si sofferma innanzitutto sulle immagini,
siano esse fotografie o vignette o caricature, che vengono
presentate in allegato all’articolo? Paradossalmente (o forse
non proprio) è l’ immagine il pezzo forte di un articolo, è
essa che gioca un ruolo determinante, è essa che fa storia.
Ma se proprio non ne possiamo fare a meno, d’accordo,
spegniamo i riflettori così da contrapporre al “se non vedo,
non credo”, di poco fa, un più comodo “occhio non vede,
cuore non duole”, che almeno ci farà fare sogni più
tranquilli.
7
Pietro FigueraPer Israele si tratta di una "tragedia". Per Washington, è
"inaccettabile". No, nessun nuovo attentato ha scosso
ambasciate o stazioni metropolitane. Semplicemente,
l'Unesco ha ammesso tra i suoi membri lo stato palestinese.
Con una decisione storica, ma nel pieno rispetto delle regole
democratiche dell'organizzazione internazionale. Gli Stati
Uniti già minacciano il taglio dei finanziamenti per l'Unesco
(in virtù di una legge americana che prevede tale misura in
caso di assegnazione di seggi di agenzie ONU allo stato
palestinese! ). Israele avrà forse percepito la notizia in modo
più drammatico di un attentato, dato l'accerchiamento
politico e diplomatico che sta subendo negli ultimi mesi (i
cambi di rotta di Turchia ed Egitto pesano). Ma questo non
giustifica l'isterica, scomposta reazione del ministro
israeliano Lieberman, che con l'uso della parola "tragedia"
rivela di essere fuori dalla realtà, sicuramente da quella di
Gaza. Israele ha incassato il voto filo-palestinese dei BRICS
(Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e di decine di Paesi
in via di sviluppo (in totale 107); sommando le astensioni
(52), è facile vedere che l'opposizione israeliana al seggio
palestinese ha riscosso ben poche simpatie. Lo stato ebraico
non può dunque consolarsi dell'appoggio americano (Obama
comunque ci perderà più di tutti), e di quello, tradizionale,
tedesco.
Ma nemmeno noi possiamo consolarci. La nostra linea,
infatti, è rimasta immobile in una fredda astensione nel voto.
Opportunità o ambiguità politica? Ricatto diplomatico?
Scarso interesse per la questione? Nulla di tutto ciò. A fugare
ogni dubbio ci ha pensato, puntuale, il portavoce della
Farnesina, Maurizio Massari: "L'Italia ha optato per
l'astensione in mancanza di una posizione coesa e unita
dell'Unione europea". Bene. Questo, in altre parole, vuol dire
che il nostro Paese manca ancora una volta di una benchè
minima e abbozzata linea strategica internazionale. In altre
circostanze, e con un altro governo, avremmo potuto credere
che tale dichiarazione rivelasse un sincero, benchè estremo,
europeismo. Ma eventi passati, che qui è superfluo ricordare,
smentiscono la tesi dell'europeismo per passione e
confermano quella dell'europeismo di facciata. Dietro la
maschera delle belle parole, si cela un inquietante vuoto
strategico e di idee. Frattini, con la sua espressione
sorridente, distesa, pacata, e con le foto delle sue imprese
sciistiche nel suo sito istituzionale, impersona al meglio il
buonismo e allo stesso tempo la superficialità e
l'inconsistenza della nostra politica estera. Fitta di amicizie e
di repentini voltafaccia, e perciò di inevitabili cinismi.
Troppo facile portare ad esempio il caso libico. Tornando
all'europeismo, mai siamo stati così lontani dall'Europa,
economicamente e politicamente, e allo stesso tempo mai ne
siamo stati così vicini, almeno nel dichiarato intento di
costruire una visione internazionale comune che non c'è
oggi, non c'era prima e difficilmente ci sarà mai, finchè
esisteranno gli stati nazionali.
Col recente cambio di governo, è lecito chiedersi se avverrà
un rinnovamento anche della nostra politica estera. Certo, la
nostra credibilità internazionale è già in via di
miglioramento. Ma le speranze di un profondo cambiamento
probabilmente verranno frustrate. Trattandosi di un governo
tecnico, instaurato per salvare il nostro Paese dalla crisi, le
questioni non strettamente economiche perderanno
inevitabilmente di rilievo. Monti si limiterà a mantenere gli
impegni assunti nel consesso internazionale, e delegherà al
suo successore il compito di impostare una nuova
geopolitica. Quindi potrebbero esserci anche due anni di
stallo. Ma le turbolenze del Mediterraneo (politiche a sud,
economiche a nord) cambiano gli scenari di mese in mese, e
noi rischiamo di rimanerne spiazzati. Il mondo non ci
aspetta.
A sinistra, lo sguardo lungimirante dell 'ex ministro degli Esteri Frattini .
In alto, i l neo-ministro Giul io Terzi di Sant'Agata, ex Ambasciatore
ital iano negli Usa.
Elviana Palermo
<< Ho scritto questo libro “Indignatevi! ” per mettere fine
all’ indifferenza e allo scoraggiamento. Mobilitatevi, […] non
basta indignarsi […] bisogna impegnarsi per far cambiare il
mondo!>> sono queste le parole del soldato della resistenza
francese e autore del pamphlet “Indignez-vous! ” Stéphane
Hessel che con ogni probabilità hanno ispirato i movimenti
degli Indignados sviluppatisi in tutto il mondo.
Le dimostrazioni di piazza spagnole approdano ben presto in
Italia che viene piacevolmente contagiata dalla febbre della
rivoluzione non violenta. Nell’ultima decade di maggio 2011
si susseguono, nelle strade italiane, assemblee pubbliche ed
autoconvocate sorte dalla sinergia dei cittadini comuni con
l’ausilio dei social network, che diffondono notizie e
comunicazioni e fissano gli appuntamenti in piazza. Nei sit-
in, che spesso diventano presidi permanenti con piccoli
accampamenti di tende, soprattutto davanti luoghi emblemi
del potere politico e finanziario quali Montecitorio e Piazza
Affari, vi è un confronto incessante. Gli interlocutori sono
sempre i giovani preoccupati non solo per il proprio futuro
ma per l’ integrità dell’ intero mondo, sono gli anziani in ansia
per le nuove generazioni sempre meno tutelate, e sono anche
gli adulti, in particolar modo coloro che lavoro nell’ambito
dell’ istruzione, i più frustrati dalle politiche anticrisi.
<<Oggi stiamo facendo un esperimento di democrazia
reale!>> ecco cosa dice con entusiasmo la gente in piazza. Sì,
perché ritengono che la classe politica abbia fallito, che i
partiti non siano più in grado di dare risposte alle esigenze
dei cittadini, che il debito pubblico e la crisi siano stati creati
dalla collusione tra politica e banche e a questo rispondono
con uno slogan: “Noi la crisi non la paghiamo!”. Gli
Indignados italiani immaginano un’Europa diversa, senza
confini, non più soggiogata dalle esigenze di mercato e dalle
imposizioni finanziarie e bancarie, credono in un movimento
transnazionale in grado di coordinarsi.
Costanti e presenti anche se in numero non elevato, gli
Indignados italiani perseverano nelle loro
battaglie per mesi fino alla data mondiale del 1 5
ottobre durante la quale scendono in campo, unite
in unico lunghissimo corteo, tutte le forze che, a
volte apertamente ed altre volte sommessamente,
li hanno sostenuti. La giornata di mobilitazione è
caricata di un’enorme valenza, doveva essere la
dimostrazione che i cittadini liberi, indipendenti
ed uniti sotto i medesimi ideali sono capaci di
produrre il cambiamento che vogliono. L’appello
firmato da numerosissime sigle che fanno tutte
riferimento all’area politica di sinistra o centro-
sinistra contesta: la Commissione Europea, la Banca
Centrale Europea, il Fondo Monetario Internazionale, le
multinazionali e le agenzie di rating che ci impongono il
pareggio di bilancio, le privatizzazioni, i tagli alle spese, le
riduzioni dei servizi, la precarizzazione del lavoro e della
vita tutto in nome del pagamento del debito pubblico.
Contesta la richiesta della cosiddetta “Austerity” alla
popolazione mentre i politici e i grandi finanzieri si godono
indisturbati e non-tassati le loro rendite e loro immensi
patrimoni. I firmatari dell’appello ritengono che queste
soluzioni siano inique e sbagliate, che le norme anticrisi
stiano minando fortemente il lavoro e i suoi diritti, i
sindacati, il contratto nazionale, le pensioni, l’ istruzione, la
cultura, i beni comuni, il territorio, la società e le comunità,
tutti i diritti garantiti dalla nostra Costituzione. Pretendono la
redistribuzione radicale della ricchezza, vogliono che sia
ridotta la forbice tra ricchi e poveri e lo si può fare
cominciando dal taglio alle spese militari, attraverso al
costruzione di un nuovo modello di sviluppo che colga la
sfida della riconversione ecologica dell'economia e di uno
sviluppo sociale partecipato, basato sulla centralità dei saperi
e dell'innovazione, sulla giustizia sociale, sull’accoglienza e
la solidarietà.
La presenza delle numerose forze politiche e sindacali ha
sicuramente incrementato il numero dei partecipanti al corteo
ma, forse, ha anche parzialmente snaturato il movimento
dimostrando una frattura tra le assemblee autoconvocate in
piazza (che criticano contestualmente tutti i partiti) e la
manifestazione; il che ha permesso il tragico epilogo di cui
tutti siamo a conoscenza. Per la grande soddisfazione del
governo, e non solo, il movimento, schiacciato dal peso di
un’informazione dedita solo a divulgare notizie eclatanti e
meno propensa, invece, a diffondere contenuti, rivoluzioni di
coscienza e dimostrazioni non necessariamente clamorose,
sembra per ora sopito.
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Stare al passo con la tecnologia è diventata una tentazione
irresistibile per la maggior parte delle persone dei paesi più
avanzati: acquisti un telefonino e un attimo dopo esce un
nuovo modello che rende il primo obsoleto. Ma dopo aver
sostituito l’apparecchio, cosa fare con quello vecchio? Ecco
che in questo modo si innesca un meccanismo altamente
dannoso per l’ambiente: più passa il tempo e più rifiuti
tecnologici produciamo e, si calcola che ammontino a 40
milioni di tonnellate l’anno (una fila di camion lunga quanto
metà dell’ Equatore, per avere un’idea).
L’Italia ha il titolo di campione d’Europa (già leader
mondiale in questa imbarazzante classifica): secondo l’Istat
generiamo circa 850.000 tonnellate di RAEE (Rifiuti da
apparecchi elettrici ed elettronici) e solo il 7,9% dei nostri
rifiuti tecnologici vengono gestite e recuperate
correttamente, il resto finisce nelle normali discariche.
Dai RAEE è possibile recuperare singole componenti da
riavviare agli specifici processi di recupero e riciclaggio e
alla catena di riproduzione. Si recupera plastica, vetro,
metalli. Il processo di recupero di metalli preziosi (oro o
rame) comporta operazioni che si attuano con agenti
aggressivi, acidi che sciolgono i metalli inutili e portano a
galla quelli da riutilizzare. Si tratta di un lavoro sporco che,
secondo un dossier di Greenpeace, risulta portato avanti
dalle popolazioni delle zone più disagiate del pianeta su
commissione dei Paesi occidentali. L’associazione
ambientalista denuncia un vero e proprio dramma: nei
cantieri africani i rifiuti vengono trattati e bruciati a mani
nude e senza alcuna precauzione dai giovani lavoratori che
estraggono le parti metalliche; queste saranno
successivamente rivendute per circa 2 dollari ogni cinque
chili.
Ciò che accade è questo: i Paesi poveri (a partire dall’Africa
nera) vengono prima espropriati delle loro materie prime per
fabbricare la tecnologia usa e getta con cui si diletta il
mondo occidentale; poi vengono utilizzati come pattumiera
per i rifiuti pericolosi e ingombranti del cosiddetto “primo
mondo”.
Questi paesi hanno però trovato il modo per attuare una
“piccola” vendetta: pochi mesi fa la tv di Stato inglese, la
Bbc, ha narrato una storia curiosa ed interessante. Tra la
massa di vecchi apparecchi tv, computer, cellulari che gli
inglesi smaltiscono in Ghana e in Nigeria, succede che i
bambini africani, oltre a cercare componenti e metalli da
rivendere a pochi centesimi, trovino anche dati sensibili dei
vecchi proprietari (dati di carte di credito, conti correnti
bancari…) riposti negli hard disk dei vecchi pc. In questo
modo le informazioni acquisite, gestite da appositi hacker,
consentono di attuare qualche inaspettata truffa all’ ignaro
consumatore occidentale.
Se è vero che è difficile intervenire negli inganni e nelle
ingiustizie messe in atto dalle multinazionali nei confronti
delle popolazioni più deboli e svantaggiate, è anche vero che
nel proprio piccolo i diversi Stati possono fare molto per far
si che i rifiuti tecnologici siano gestiti e smaltiti in maniera
corretta.
Nel 2010, con il decreto ministeriale n. 65, sono state
introdotte alcune novità per i clienti e i venditori di
elettronica: chi deve cambiare un apparecchio, non dovrà più
portarlo a proprie spese all’ isola tecnologica, ma sarà ritirato
gratuitamente dal negozio dove si acquisterà quello nuovo.
Si tratta di passi avanti senza dubbio, ma la strada da
percorrere è ancora lunga; in Italia si registra una maggiore
sensibilità al riciclo nelle aree del nord mentre le regioni del
Sud si trovano in notevole ritardo rispetto alla media
nazionale. Tra le regioni meridionali più virtuose troviamo la
Calabria.
Claudia Cammarata
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Lo scorso 5 novembre, presso la Biblioteca Regionale
Giambattista Caruso, al Rettorato di piazza Università, è stato
presentato il libro ‘Vita di Goliarda Sapienza’ di Giovanna
Providenti, edito da Villaggio Maori, in occasione del primo
appuntamento con Descritto Festival dell’Editoria
Indipendente.
Figlia di Giuseppe Sapienza e Maria Giudice, Goliarda
crebbe, per volere dei genitori, in un clima di assoluta libertà
da vincoli sociali: il padre ritenne opportuno non farle
nemmeno frequentare la scuola, per evitare che la figlia fosse
soggetta a imposizioni e influenze fasciste. La madre è stata
la prima dirigente donna della Camera del Lavoro di Torino
ed è rimasta, insieme alla figlia, una delle icone della lotta
delle donne per le pari opportunità.
Goliarda Sapienza è stata raccontata sapientemente nel libro
di Giovanna Providenti, la quale ha voluto sottolineare la
componente femminile della scrittrice, il suo impegno nella
Resistenza e il coraggio di una continua guerra contro la
depressione. Dopo una giovanile esperienza presso
l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma,
Goliarda lasciò la carriera di attrice per dedicarsi alla
scrittura: verso la fine degli anni sessanta finì tuttavia in
carcere, per un furto di oggetti in casa di amiche. Uno dei
suoi romanzi più celebri, L'arte della gioia , rimase a lungo
inedito. Rifiutato dalle più importanti case editrici italiane, fu
più tardi pubblicato postumo da un piccolo editore che ne
aveva compreso il valore.
La ‘Vita di Goliarda Sapienza’ è un ritratto ben delineato
della scrittrice partigiana di San Berillo, la quale ha amato – è
stata legata sentimentalmente al regista Citto Maselli e in
seguito ad Angelo Pellegrino – ha sofferto e scritto del
dolore, per esorcizzarlo e farlo conoscere al mondo.
Alla presentazione del libro è seguita parte dello spettacolo
della regista Maria Arena , ‘Udite…udite…la storia di
Goliarda che fu scrittrice! ’ , accompagnata in metrica siciliana
dal cantastorie Luigi di Pino e l’attrice Lydia Giordano.
La 68esima Mostra del Cinema di Venezia, ha annoverato tra
i film presentati anche Terraferma, quarto lungometraggio
-dopo Once we were strangers, Respiro e Nuovomondo- di
Emanuele Crialese, regista romano dalle salde origini
siciliane.
Tematica protagonista del film "l'immigrazione clandestina",
che come soggetto cinematografico, trova sempre molto
riscontro nei paesi in cui è particolarmente sentita, come
l'Italia o la Francia.
Il protagonista della nuova opera di Crialese è Filippo
(Filippo Pucillo), un giovane che ha sempre vissuto su
un'isola al largo della costa siciliana. Timido e introverso,
orfano di padre, il ragazzo è cresciuto cullato dalla famiglia e
forgiato dall'esperienza marinara: un tipo semplice, per il
quale andare a pescare con la barca di famiglia rappresenta,
più che un metodo per buscare il pane, uno stile di vita. Ma i
tempi cambiano, e quella che una volta era una professione
dignitosa e redditizia, è ora afflitta da eccessiva concorrenza
e difficoltà burocratiche. “Quella barca vale di più a
demolirla che a portarla al largo” è la dura conclusione a cui
giungono sia la madre di Filippo, Giulietta (Donatella
Finocchiaro) che lo zio paterno, Nino (Giuseppe Fiorello),
per la disperazione di nonno Ernesto (Mimmo Cuticchio) e
nipote. I tempi cambiano, dicevamo, e bisogna adattarsi ad
essi: seguendo l'esempio di zio Nino, già affermato operatore
turistico e proprietario di un villaggio vacanze sulla spiaggia,
Filippo e la sua famiglia trasformano la loro abitazione in un
Bed & Breakfast, sperando in un futuro migliore ma non
senza rimpiangere il recente passato. Per Filippo, entrare in
contatto con alcuni suoi coetanei del nord in vacanza in
Sicilia sarà un'esperienza formativa, ma un barcone di
profughi, affondato sulla rotta del suo peschereccio,
cambierà per sempre la sua vita e lo porrà davanti a delle
scelte. . .
Valentina Oliveri
Simone Chisari
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NUOVO COORDINAMENTO NELL'UDU SCIENZE POLITICHE
I l 24 novembre, nel l 'aula E della Facoltà di Scienze Politiche di Catania, si è svolto i l quarto Congresso dell 'UdU di
Scienze Politiche, con il titolo "Libertà è Partecipazione". Presenti iscritti e simpatizzanti del sindacato, anche
provenienti da altre facoltà. I l dibattito si è concentrato sul l 'importanza della forma sindacale come strumento di
tutela degli interessi studenteschi, e sul rapporto corretto che il sindacato deve avere nei confronti degl i studenti.
I l luminanti , a tal proposito, le parole di Elvira Celardi, Consigl iere di Facoltà: "noi non siamo la voce della facoltà per
gl i studenti , ma la voce degli studenti per la facoltà". Partendo da quest'assunto, si può finalmente iniziare a vedere
la politica universitaria come un mezzo, e non più come un fine: visione purtroppo non condivisa da tutti coloro che
rappresentano, o dicono di rappresentare, gl i studenti. Negli interventi , moderati dal referente provvisorio Gianluca
Scerri, Giuseppe Campisi (Responsabile organizzativo d'Ateneo) ha posto l 'attenzione sul le dinamiche politiche
nazionali e le prospettive che si pongono di fronte al l 'Università, Elvira Adamo, nostro
componente dell 'Esecutivo Nazionale dell 'UdU, ci ha il lustrato gl i impegni e i successi
che il sindacato può vantare a livel lo nazionale, Fabio Tasinato, Coordinatore
d'Ateneo, ha incentrato la sua analisi sul l 'accrescimento, in questa fase storica, del
ruolo universitario nel la formazione culturale e lavorativa dei giovani. Non sono
mancati ringraziamenti al gruppo per i l lavoro svolto costantemente, come nelle
iniziative per la campagna referendaria di qualche mese fa (Claudia Cammarata), e
lodi da parte di chi, come Giorgia Musmeci, vede in questo gruppo un punto di
riferimento a livel lo universitario. Infine, Gianluca Scerri ha letto i l documento
congressuale in cui, traendo spunto dalle attività passate, si traccia un quadro
completo sul percorso che il gruppo intende intraprendere nel prossimo anno.
Nella votazione finale è stato eletto come nuovo Coordinatore Giovanni Timpanaro,
del secondo anno del corso di Storia e Scienza dell 'Amministrazione. Dell 'esecutivo
faranno parte anche Elvira Celardi (Responsabile per l 'organizzazione), Roberto
Fischetti , Ester Madonia, Francesco Vasta, Antonio Lo Giudice, Federica Giadone,
Francesco Bruno, Fabrizio Piro, Ivana Gambadoro e Stefano Rapisarda.
Giovanni Timpanaro, classe '89, giàdirettore di Radio Sunshine, è il nuovoCoordinatore UdU per Scienze Politiche
Utopia - Stampato non periodico. Catania, dicembre 2011 . Stampatore: UDU Catania. Direttore: Pietro Figuera. Redazione: Via Crociferi 40, Catania
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Sempre più spesso le giovani generazioni affidano le
proprie aspirazioni lavorative agli stage, che
dovrebbero avere, per chi l i sperimenta, una valenza
formativa. Ma le imprese e gli enti che offrono questa
possibi l ità a molti giovani (1 7.000 in Sici l ia), non
sempre retribuiscono gli stagisti , e non sempre
rispettano i canoni di equità e di pari trattamento con
gli altri lavoratori.
I giovani sici l iani del la CGIL, assieme
all 'associazione "NON PIU'" Sici l ia, hanno creato una
proposta di legge regionale per migl iorare le
condizioni lavorative degli stagisti , e più in generale
per regolamentare lo strumento di formazione-lavoro
del tirocinio. L'obiettivo è quello di raggiungere
1 0.000 firme di cittadini sici l iani entro tre mesi, per
poi presentare la proposta di legge all 'ARS. A tal fine
si sono mobil itati i giovani del l 'Unione degli
Universitari (UdU), raccogliendo le firme necessarie
con dei banchetti nel la facoltà di Scienze Politiche e
in quella di Lettere nel complesso dei Benedettini , a
Catania. La raccolta, iniziata nelle settimane scorse,
proseguirà fino alla fine del 2011 nel l 'Ateneo
catanese e su tutto i l territorio.
I CONTENUTI DELLA PROPOSTA DI LEGGE
UNA LEGGE CONTRO LO SFRUTTAMENTO DEL LAVORO GIOVANILE