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Lineamenti di Diritto del lavoro 1 1. Premessa Daniele La Rocca, Consulente del lavoro. http://www.7grammilavoro.com, portale di assistenza sulle tematiche riguardo il diritto del lavoro. Temi da affrontare: 1) Diritto del lavoro; 2) Diritto tributario. IRITTO DEL LAVORO. Branca del diritto che disciplina le tematiche giuridiche e normative del lavoro. La nascita del diritto del lavoro risale agli ultimi decenni del XIX sec. con la Rivoluzione Industriale, quando è avvenuto il passaggio dal lavoro nei campi al lavoro nelle fabbriche. La scintilla che ha fatto nascere il diritto del lavoro è stata la tutela del lavoro e la tutela dei diritti dei lavoratori, soprattutto delle fasce meno protette (es. lavoro minorile). Importanza della giurisprudenza come garante della legge. Una causa di lavoro può passare per i tre gradi di giudizio, Giudice del lavoro, Corte di appello, Corte di Cassazione e, il giudizio di primo grado, è provvisoriamente esecutivo(problema della mediazione, che nel diritto del lavoro è facoltativa). Il legislatore procederà con “l’interpretazione della norma” che regola quel caso(la norma è legiferata in maniera astratta);se invece una controversia non può essere risolta con una precisa disposizione, si farà riferimento a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe. A cosa serve il diritto del lavoro? Serve ad evitare che al lavoratore non vengano riconosciuti i suoi diritti fondamentali. Alla base del diritto del lavoro c’è un contratto di lavoro tra datore di lavoro e lavoratore. Il contratto di lavoro all’interno del c.c. è tutelato abbastanza bene(la natura di tale contratto è privata). Se la causa del contratto di lavoro è illecita il contratto è nullo. Per esempio, supponiamo di avere un lavoratore assunto da un’azienda italiana senza che il lavoratore abbia un permesso di lavoro valido: in questo caso il contratto è nullo, ma allo stesso tempo il diritto di lavoro tutela il lavoratore che, comunque, ha diritto alla paga per il lavoro prestato fino a quando non viene accertata la nullità del contratto di lavoro (problema della nullità e dell’annullabilità del contratto di lavoro). Ci sono norme generali che riguardano il diritto del lavoro e norme specifiche che riguardano i vari casi(differenza tra questioni riguardanti il contratto di lavoro e il diritto di lavoro). Nel rapporto di lavoro esistono due contraenti: il contraente debole (il lavoratore) e il contraente forte (il datore di lavoro). Il lavoratore è parte debole in quanto il numero dei lavoratori è maggiore dei posti disponibili. Essendo il lavoratore la parte debole nel diritto di lavoro, questi impedisce l’asta. Dove la Costituzione parla di lavoro? Nei principi fondamentali, all’art. 1e all’art. 4. Nell’art. 1 la Costituzione Italiana 1 parla del lavoro come uno dei fondamenti su cui si fonda la Repubblica (L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”). Andando ad analizzare l’art. 4 Cost., ci si rende conto che è proprio da questo principio fondamentale che trae origine il diritto del lavoro all’interno del nostro ordinamento giuridico. Art. 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. 1 Per approfondirehttp://www.governo.it/rapportiparlamento/normativa/costituzione.pdf. D

Moduli diritto del lavoro

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Lineamenti di Diritto del lavoro    

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1. Premessa

Daniele  La  Rocca, Consulente del lavoro. http://www.7grammilavoro.com, portale di assistenza sulle tematiche riguardo il diritto del lavoro. Temi da affrontare:

1) Diritto del lavoro; 2) Diritto tributario.

IRITTO DEL LAVORO. Branca del diritto che disciplina le tematiche giuridiche e normative del lavoro. La nascita del diritto del lavoro risale agli ultimi decenni del XIX sec. con la Rivoluzione Industriale, quando è avvenuto il passaggio dal lavoro nei campi al lavoro nelle fabbriche. La scintilla che ha fatto nascere il diritto del lavoro è stata la tutela del lavoro e la

tutela dei diritti dei lavoratori, soprattutto delle fasce meno protette (es. lavoro minorile). Importanza della giurisprudenza come garante della legge. Una causa di lavoro può passare per i tre gradi di giudizio, Giudice del lavoro, Corte di appello, Corte di Cassazione e, il giudizio di primo grado, è provvisoriamente esecutivo(problema della mediazione, che nel diritto del lavoro è facoltativa). Il legislatore procederà con “l’interpretazione della norma” che regola quel caso(la norma è legiferata in maniera astratta);se invece una controversia non può essere risolta con una precisa disposizione, si farà riferimento a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe. A cosa serve il diritto del lavoro? Serve ad evitare che al lavoratore non vengano riconosciuti i suoi diritti fondamentali. Alla base del diritto del lavoro c’è un contratto di lavoro tra datore di lavoro e lavoratore. Il contratto di lavoro all’interno del c.c. è tutelato abbastanza bene(la natura di tale contratto è privata). Se la causa del contratto di lavoro è illecita il contratto è nullo. Per esempio, supponiamo di avere un lavoratore assunto da un’azienda italiana senza che il lavoratore abbia un permesso di lavoro valido: in questo caso il contratto è nullo, ma allo stesso tempo il diritto di lavoro tutela il lavoratore che, comunque, ha diritto alla paga per il lavoro prestato fino a quando non viene accertata la nullità del contratto di lavoro (problema della nullità e dell’annullabilità del contratto di lavoro). Ci sono norme generali che riguardano il diritto del lavoro e norme specifiche che riguardano i vari casi(differenza tra questioni riguardanti il contratto di lavoro e il diritto di lavoro). Nel rapporto di lavoro esistono due contraenti: il contraente debole (il lavoratore) e il contraente forte (il datore di lavoro). Il lavoratore è parte debole in quanto il numero dei lavoratori è maggiore dei posti disponibili. Essendo il lavoratore la parte debole nel diritto di lavoro, questi impedisce l’asta. Dove la Costituzione parla di lavoro? Nei principi fondamentali, all’art. 1e all’art. 4. Nell’art. 1 la Costituzione Italiana1 parla del lavoro come uno dei fondamenti su cui si fonda la Repubblica (“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”). Andando ad analizzare l’art. 4 Cost., ci si rende conto che è proprio da questo principio fondamentale che trae origine il diritto del lavoro all’interno del nostro ordinamento giuridico.

Art. 4

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria

scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

                                                                                                               1Per approfondirehttp://www.governo.it/rapportiparlamento/normativa/costituzione.pdf.  

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Nel secondo comma dell’art. 4 si fondono tutte le anime presenti nell’Assemblea Costituente, (dove era presente una componente cattolica, una socialista, una comunista ed una liberale), dando luogo ad una Costituzione compromissoria. Si parla nuovamente di lavoro nel titolo III della Cost. intitolato Rapporti Economici e, precisamente, nell’art. 35:

Art. 35

La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.

Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.

Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge

nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero. (La tutela previdenziale assistenziale e sanitaria, quindi, dei lavoratori è garantita anche quando la loro attività lavorativa viene svolta all’estero. Ciò avviene attraverso i Regolamenti dell’Unione Europea, le Convenzioni internazionali che l’Italia ha stipulato con alcuni Paesi extracomunitari. In assenza di queste la tutela è realizzata attraverso la normativa nazionale) L’art. 36 fa riferimento al concetto di retribuzione proporzionata.

Art. 36

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia

un'esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi2.

Quale retribuzione richiama il legislatore in questo articolo? Il riferimento è al Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL). In Italia distinguiamo 3 livelli di contrattazione: 1) nazionale o di primo livello (ne esistono all’incirca 400/500); 2) territoriale o di secondo livello; 3) aziendale o di terzo livello. La priorità tra questi 3 contratti è gerarchica, ciò significa che i contratti di livello 3 non possono annullare o contraddire le direttive dei contratti di primo o secondo livello e così via. Per comprendere il motivo del riferimento al CCNL bisogna analizzare l’art. 39 Cost. che disciplina l’organizzazione dei sindacati.

Art. 39

L'organizzazione sindacale è libera.

Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.

E' condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un

ordinamento interno a base democratica.

I sindacati3registrati hanno personalità giuridica4. Possono, rappresentati

                                                                                                               2 Il lavoratore non può rinunziare alle ferie e non può neanche trasformarle in compenso monetario (sono un diritto indisponibile): vanno concordate in base alle esigenze aziendali e lo stesso discorso è valido per il riposo settimanale. A tal proposito la forma di flessibilità consentita in momenti produttivi particolari è quella che prevede 2 riposi in 14 giorni.  3Per approfondimenti http://it.wikipedia.org/wiki/Sindacato  

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unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il

contratto si riferisce.

La giurisprudenza a partire dagli anni ’60 ha iniziato a prendere come riferimento la retribuzione prevista dai CCNL che veniva considerata “equa” perché frutto di una mediazione. Negli anni ’70, poi, si decise di riconoscere la forza di legge a tali CCNL, ottenendo i cosiddetti contratti erga omnes, ma si trattò di una manovra non più ripetibile. In tal modo, il legislatore attribuisce un potere al CCNL molto forte (basti pensare che il datore di lavoro deve pagare i contributi sul CCNL, se lo applica può usufruire di alcune agevolazioni e, inoltre, può apportare delle modifiche all’interno dello stesso, ma solo in senso migliorativo, dal momento che i CCNL garantiscono standard minimi). Ecco come il Contratto Collettivo, pur non essendo obbligatorio di fatto, lo è diventato di sponda. Interessante è l’art. 37che tutela il lavoro femminile (è da qui che nasce tutta la tutela della lavoratrice madre che poi si è evoluta nel corso del tempo nel 2001 con il congedo parentale e poi con la legge Fornero che tutela la genitorialità5).

Art. 37

La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire

l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione.

La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.

La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi,

a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione L’art.3 7 si occupa anche dei minori. Attualmente il limite minimo per percepire un salario è 15 anni, purché l’obbligo scolastico sia stato assolto (è un limite che varia al variare dell’età prevista dall’istruzione obbligatoria). N.B.: Nell’apprendistato è previsto il sotto-inquadramento (tendenzialmente due livelli al di sotto di quello che si vuole raggiungere) perché il lavoratore risulta sprovvisto di know-how, ma a mano a mano che la sua formazione e la sua esperienza aumentano, aumenterà anche il suo livello di inquadramento. L’art. 38 tutela i lavoratori inabili e tutela tutti i diritti di natura assistenziale6.

Art. 38

Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle

loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.

L'assistenza privata è libera.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     4 In Italia non esistono sindacati registrati: è una questione di natura storica, per tutelare gli iscritti (prima esistevano le corporazioni fasciste). I sindacati italiani sono tutte associazioni prive di personalità giuridica (l’art. 39 Cost., quindi, non è stato mai applicato).  5La normativa italiana volta alla tutela dei diritti della lavoratrice madre è una delle migliori in Europa.  6 Il collocamento obbligatorio degli inabili al lavoro: ogni azienda tra i 15 e i 35 dipendenti deve necessariamente assumere un invalido. Le aziende tra i 35 e i 50 dipendenti due invalidi; superati i 50 dipendenti, bisogna assumere il 7% di invalidi e l’1% delle categorie protette (vittime della mafia, del terrorismo, profughi, etc.).  

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2. Diritto del Lavoro

Con Diritto del Lavoro si intende l’insieme di norme riguardanti l’organizzazione e l’azione dello Stato e delle Associazioni sindacali volte a tutelare il lavoratore quale contraente debole del rapporto di lavoro. Le tre branche del Diritto del lavoro sono:

- Diritto sindacale; - Disciplina rapporto di lavoro; - Legislazione Sociale (attiene ai rapporti tra dipendente, datore di lavoro e gli enti previdenziali Inps ed

Inail). Le fonti del Diritto del Lavoro, invece, sono:

- La Costituzione; - Atti comunitari7(regolamenti e direttive)8; - Le leggi ordinarie; - La Giurisprudenza9; - I Contratti di Lavoro (nelle grandi aziende si hanno anche i CCNL Aziendali); - Gli usi (molto diffusi e conservati nelle Camere di Commercio di ciascuna provincia); - Gli usi aziendali.

Art. 11710

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli

obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non

appartenenti all'Unione europea; b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza;

sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

n) norme generali sull'istruzione; o) previdenza sociale;

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;

                                                                                                               7 I regolamenti sono direttamente attuabili mentre le direttive, per tradursi in diritto interno, devono essere recepite da un Decreto Legislativo.  8 Disapplicazione del diritto interno rispetto a quello internazionale in ipotesi di contrasto tra normative.  9L’orientamento giurisprudenziale è molto influente nelle decisioni dei giudici.  10Il lavoro è materia concorrente tra Stato e Regioni e proprio questa riforma del titolo V è stata la causa del fallimento dell’Apprendistato che è stato riformato nel 2011 (riforma che risulta effettivamente in vigore dal 25/04/2012).  

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q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico

e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;

s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza

del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del

territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; 40

ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione

dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e

organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere

regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata

alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non

espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro

competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi

internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del

potere sostitutivo in caso di inadempienza. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione

esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane

hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la

parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore

esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e

intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato. (*)

NOTE:

(*) L'art. 117 è stato sostituito dall'art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

Due tipi di forme di lavoro: - Lavoro autonomo (art. 2222 c.c.): “il lavoratore autonomo è colui che si obbliga a compiere verso un

corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione verso il committente”;

- Lavoro dipendente (art. 2094 c.c.): “si definisce il lavoratore subordinato colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa prestando un lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.

Esattamente in mezzo a queste due figure (lavoratore dipendente e lavoratore autonomo, si colloca la figura dei collaboratori che per certi versi somigliano ai primi, per altri ai secondi, ma in ogni caso difettano sempre di qualcosa.

Considerando che qualunque attività umana può essere svolta sia in maniera autonoma sia dipendente, la differenza tra un lavoratore autonomo e un lavoratore dipendente non è così semplice. Non esiste una distinzione in base all’oggetto del lavoro, ma in base a come si comportano le parti. In base al rapporto di dipendenza, si possono stillare degli indici di subordinazione:

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1. Oggetto della prestazione (indice debole); 2. Organizzazione dell’impresa; 3. Rischio d’Impresa; 4. Forma della retribuzione; 5. Orario di lavoro (indice pesante poiché il lavoratore dipendente é obbligo a rispettare tale

orario); 6. Continuità temporale della prestazione; 7. Collaborazione intesa come continuità e sistematicità della prestazione11.

1.1 Costituzione del Rapporto di lavoro “Come nasce il rapporto di lavoro dipendente?”

Ci sarà sicuramente un accordo delle parti, ovvero un contratto, che non prevede una forma determinata e che, pertanto, può essere anche verbale. Non c’è un requisito di forma previsto (“Se fosse previsto l’obbligo della forma scritta quale sarebbe l’effetto sul lavoro nero?” Sarebbe sicuramente più giustificabile) in quanto non è importante la FORMA, ma la SOSTANZA vale a dire il ruolo delle parti assunto all’interno del rapporto di lavoro. La situazione protetta dalla norma di legge è proprio il lavoro dipendente (per conto di altri).Il dipendente, anche quello che lavora in nero, ha comunque diritto alla relativa protezione nell’ambito delle assicurazioni sociali (non importa né se è stato sottoscritto il contratto di assicurazione, né se é stato pagato il premio). Sarà poi compito degli enti INPS e INAIL, volti all’erogazione di tali assicurazioni sociali, andare a bussare alla porta del datore di lavoro! Cause di annullabilità:

- incapacità delle parti a contrarre; - errore sulle qualità essenziali della persona (es: un medico che in realtà non ha nemmeno una

laurea in medicina); - violenza e dolo; - Violazione delle norme sul collocamento

(art. 2126 c.c. in base al quale l’annullabilità non produce effetti per il periodo lavorato)

Cause di nullità: - contrarietà a norme imperative; - illiceità della causa; - oggetto illecito, impossibile, indeterminato o indeterminabile. - Mancanza di un elemento essenziale del contratto

In caso di nullità il contratto è come se non fosse mai esistito

Effetti dell’annullabilità: il dipendente va pagato! La nullità e l’annullabilità del rapporto di lavoro non vale per il periodo lavorato. Molto spesso all’atto dell’assunzione viene fatto firmare non un vero e proprio contratto di lavoro (a differenza di quello che si redige, ad esempio, nell’ipotesi di contratto a progetto), ma si sottoscrive per accettazione una lettera di assunzione, lettera che va a confermare ciò che precedentemente è stato sancito verbalmente. Tale atto sottoscritto non ha una struttura formale contrattuale.

                                                                                                               11La prestazione di un dipendente è fortemente continuativa e sistematica.  

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Cause di annullabilità e nullità: un contratto annullabile può valere fino a quando non è stato mostrato che era annullabile. Il contratto nullo è sostanzialmente nullo, non è mai esistito. La norma di nullità, per effetto dell’art. 2126 del C.C., non vale per il periodo in cui il lavoratore ha prestato il suo servizio. Il legislatore impone la forma scritta (per esempio, atto pubblico, scrittura privata, scrittura privata autenticata, ...) per alcune tipologie contrattuali, in quanto forme eccezionali alla “normale” tipologia di rapporto di lavoro (a tempo pieno ed indeterminato). Le tipologie contrattuali in cui è richiesta la forma scritta sono:

- Contratto di arruolamento marittimo (dove è richiesto l’atto pubblico e dove il registro fondamentale è quello della nave che va sottoscritto presso la capitaneria di porto);

- Contratto di lavoro della gente dell’aria; - Contrato di lavoro a squadra di risaia; - Contratto di lavoro part-time; - Contratto di lavoro sportivo; - Contratto d prestazione di lavoro temporaneo (Somministrazione, interinale); - Contratto di inserimento (non si può più sottoscrivere da gennaio); - Contratto di apprendistato.

Viene escluso dall’elenco il lavoro a tempo determinato (D. Lgs 368/200112), in quanto il legislatore non lo considera una tipologia di contratto, bensì una clausola che si aggiunge al contratto di lavoro a tempo indeterminato. Le clausole speciali(o accessorie, in mancanza delle quali il contratto è da intendersi a tempo indeterminato), che prevedono forma scritta, sono le seguenti:

- Patto di prova (art. 2096 c.c.), ovvero un periodo di tempo entro il quale entrambe le parti possono recedere senza motivo e senza preavviso. La durata massima prevista è di 6 mesi e deve essere sottoscritto prima che il lavoratore inizi a lavorare. Nel periodo di prova la malattia non é retribuita e sospende il periodo stesso. Se il lavoratore non dovesse essere confermato a causa della sua assenza per malattia e cercasse di far causa contro il datore di lavoro, il giudice stabilirebbe solo un indennizzo economico e non il reintegro in servizio.

- Termine: “Quando posso apporre un termine?” Quando ho una motivazione di carattere tecnico (es. saldatore di una nave), produttivo (gestione del picco di lavoro), organizzativo (tipico esempio di un’azienda che è in start-up), sostitutivo (sostituzione lavoratori in ferie, lavoratrici in maternità, …);

- Patto di non concorrenza: condizione finale in base alla quale alla fine del rapporto di lavoro il dipendente non deve prestare attività lavorativa concorrente al datore di lavoro per un periodo massimo di 3anni;tale patto si intende geograficamente limitato all’interno di una Regione (si ritengono insite fedeltà e diligenza). Trattandosi di una forma di difesa va indennizzata e se l’indennizzo è equo, lo stabilisce il giudice. Anche se tale patto spesso è nullo, comunque si esercita pressione psicologica sul lavoratore: un esempio pratico sono gli agenti di commercio e i tecnici specializzati. Può essere inserita anche in un periodo successivo all’inizio del rapporto di lavoro.

                                                                                                               12http://www.normattiva.it/ricerca/semplice;jsessionid=5C57EF09DDEECF8AC203265500FC22CE .Si tratta di una direttiva comunitaria che ha subito diverse vicissitudini (modifiche nel 2007,2008,2010,2011 e 2012) con il tentativo di uniformare il diritto del lavoro all’interno dell’UE.  

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L’apposizione di un termine dipende da ragioni di tipo tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro. Tale apposizione è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni. Il requisito delle ragioni per l’apposizione di un termine non è richiesto nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore ai dodici mesi: si tratta della cd. a-causalità introdotta dalla Riforma Fornero. Siamo di fronte ad una sorta di “prova lunga” attraverso la quale poter studiare attentamente il lavoratore, purché si tratti del primo rapporto di lavoro a tempo determinato, una occasione unica e irripetibile. Alla scadenza del termine - che dura al massimo un anno – il rapporto si conclude e per contratti entro i 6 mesi è prevista una pausa di 60 giorni mentre per quelli superiori ai 6 mesi, il periodo di sospensione si allunga a 90 giorni. Una copia del contratto di lavoro deve essere consegnata al lavoratore entro 5 giorni dalla sottoscrizione. Per rapporti di lavoro puramente occasionale e comunque non superiore ai 12 (0 20?) giorni, la scrittura non è necessaria. Chiedere a La Rocca L’unico a pagare il problema della giustizia non può essere il datore di lavoro! (L.183/2010 collegato al Lavoro in base alla quale, in caso di controversia con il lavoratore, il datore di lavoro non deve pagare per i ritardi imputabili al legislatore e non potrà essere sanzionato con un indennizzo superiore a 12 mensilità). Cessazione del rapporto di lavoro. La risoluzione del rapporto di lavoro può avvenire per diverse cause:

- Mancato superamento del periodo di prova - Scadenza del termine - Risoluzione consensuale - Pensione - Mancata ripresa dell’attività lavorativa superato il periodo di comporto di 180 giorni - Mobilità - Impossibilità e cause di forza maggiore (es. calamità naturali come un terremoto che danneggia la

struttura lavorativa)

- Dimissioni: atto unilaterale, di natura recettizia (vale fino a quanto l’altra parte non accetta). Con la riforma Fornero è entrato in vigore l’obbligo di convalida delle dimissioni che devono essere certificate dalla Direzione Provinciale del Lavoro o centro per l’Impiego per evitare le dimissioni in bianco. Se il dipendente non reca presso la DPL, egli può sottoscrivere il modello Unilav di cessazione preparato dal datore di lavoro, dove viene dichiarata la sua volontà a dimettersi. Qualora il dipendente se ne andasse senza rassegnare le dimissioni formalmente giuste, il datore di lavoro dovrà inviare una raccomandata A/R e il dipendente avrà 7 giorni per confutare le dimissioni, che altrimenti, si intenderanno convalidate. Tale obbligo di convalida vale anche in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e, dal 28/06/2013, con il Pacchetto lavoro, vale anche per i CO.CO.PRO. (il preavviso è stabilito dai CCNL).

- Dimissioni per giusta causa: art 2119 c.c. causa talmente grave che non prevede il preavviso (es: il datore di lavoro che non paga, molestie subite,…), Non solo il lavoratore non ha l’obbligo di preavviso, ma è il datore di lavoro che dovrà pagargli tale preavviso al lordo e che quindi sarà soggetto ad imposte e contributi). Nell’ipotesi di licenziamento per giusta causa, invece, il preavviso sarà trattenuto al dipendente direttamente dal netto.

- Morte del lavoratore: il datore di lavoro, in tale ipotesi, deve corrispondere agli eredi l’indennità di preavviso e il TFR, oltre agli altri compensi maturati nel corso del rapporto e non ancora liquidati;

- Dimissioni Incentivate: in cui il datore di lavoro dà un incentivo al dipendente per dimettersi (incentivo all’esodo); è paragonabile ad una Risoluzione Consensuale.

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- Licenziamento collettivo: per parlare di licenziamento collettivo si deve far riferimento ad almeno 5 dipendenti licenziati simultaneamente nell’arco di 120 giorni e dove i parametri di scelta devono essere concordati con i sindacati, a differenza del licenziamento individuale dove, quella che prevale, è la volontà del datore di lavoro;

- Licenziamento: tre tipologie (art. 2128 del C.C.). I. Ad nutum: libero da ogni condizione (applicabile esclusivamente ai dirigenti apicali e ai

lavoratori domestici), e dettato dal fatto che c’è una stretta collaborazione tra datore di lavoro e dipendente, un rapporto giuridicamente intimo (la motivazione è la medesima per entrambe le figure lavorative su menzionate). Il licenziamento che colpisce chiunque è quello durante il periodo di prova ed è un licenziamento ad nutum. Per licenziare tutti gli altri dipendenti devo avere o una giusta causa, oppure un giustificato motivo.

II. Giusta causa: motivi gravi che ledono irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

III. Giustificato motivo soggettivo: comportamento del dipendente che può influire negativamente sul rapporto di lavoro e molto simile alla giusta causa anche se considerato meno grave;

IV. Giustificato motivo oggettivo (cause oggettive, ma non sono solo motivi economici: l’Azienda che va male e riduce il fatturato, l’Azienda che chiude, oppure il dipendente supera il periodo di comporto della malattia, vale a dire il periodo di conservazione del posto di lavoro durante la malattia – nel commercio sono 180 giorni - ). Nel licenziamento per giustificato motivo viene retribuito il periodo di preavviso.

Tutela reale (per aziende con più di 15 dipendenti o più di 60 dipendenti a livello nazionale. È prevista la reintegra, ma bisogna distinguere:

A) Se il fatto non sussiste il dipendente viene reintegrato e si prende al massimo 12 mesi di retribuzione;

B) Se il datore di lavoro aveva un motivo disciplinare, ma era possibile punire con una sanzione conservativa, al lavoratore spettano da 12 a24 mesi di retribuzione;

C) Se il motivo è valido, ma il datore di lavoro nella procedura di licenziamento del lavoratore ha commesso un errore, al dipendente spetteranno dalle 6 alle 12 mensilità.

D) La reintegra con indennizzo totale riguarda tutti i dipendenti e si applica in ipotesi di licenziamento discriminatorio o in contrasto a norme imperative (vedi per causa di matrimonio o per maternità). Si applica a qualsiasi datore di lavoro e, se il dipendente rinuncia a tale reintegra, si prenderà ulteriori 15 mensilità!

Tutela obbligatoria (che si applica nelle aziende fino a 15 dipendenti): il dipendente deve essere risarcito qualora la causa del licenziamento non fosse giusta, risarcimento che va da 2,5 a 6 mensilità, dell’ultima retribuzione di base, elevate a 10 mensilità se ha più di 10 anni di servizio, e a 14 mensilità se ha più di 20 anni di servizio, ma non è prevista la reintegra.

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SCHEDA  N°1  Decreto Lavoro: Le modifiche al contratto a tempo determinato Importanti modifiche arrivano con il Pacchetto Lavoro alla normativa sul tempo determinato che, ammorbidendo molte delle rigidità introdotte dalla Legge Fornero, introducono nuove forme di flessibilità. La legge 92/2012 trova, a meno di un anno dall’entrata in vigore, nuove modifiche. L’intervento da parte dell’Esecutivo è contenuto all’interno dell’art. 8 dal D.L. 76/2013, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 giugno 2013.

• Contratto A-causale

La prima modifica riguarda il comma 1 bis dell’art. 1 del D. Lgs 368/2001. Come ricorderà il nostro lettore, questo comma era stato inserito proprio dalla Riforma Fornero e introduceva il contratto a termine c.d. a-causale, che permette di sottoscrivere contratti a tempo determinato senza bisogno di causale giustificatrice all’opposizione del termine. Con questa modifica viene riscritto il comma 1-bis, che ora prevede due ipotesi in cui si possa sottoscrivere un contratto a-causale. La prima, prevista dalla lettera del comma novellato, che ricalca sostanzialmente quanto disposto in precedenza, che quindi tale contratto può essere sottoscritto in occasione del primo rapporto a termine tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per una durata massima di 12 mesi (anche in caso di prima missione nel contratto di somministrazione). La lettera, invece, amplifica la possibilità di deroga dei contratti collettivi, prevista dal testo prima della modifica. Viene stabilito, infatti, che il requisito della causa non sia previsto in ogni altra ipotesi prevista dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalla organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. È avviso di chi scrive che, tale formulazione, apre un nuovo scenario. A questo punto si potrebbe parlare di due tipi di contratto a-causale:

- il primo (lettera a) che deve avere come caratteristiche di essere il primo contratto a termine stipulato e con una durata massima di 12 mesi;

- il secondo (lettera b), potrà essere sottoscritto alle condizioni previste dal contratto collettivo, e quindi potrebbe essere ipotizzabile una durata superiore ai 12 mesi, e non necessariamente si dovrà trattare del primo contratto sottoscritto a termine tra le parti (è un’ipotesi totalmente libera, i vincoli mi porrà il contratto collettivo aziendale – es: per ogni iniziativa produttiva).

• Proroga del contratto a-causale Oltre questa novità molto rilevante, viene stabilità anche la cancellazione del comma 2 bis dell’art. 4 del DLgs 368/2001, che poneva il divieto di proroga del contratto a-causale, aprendo quindi alla possibilità dell’applicazione dell’istituto della proroga anche in questo caso, nei limiti delle norme di riferimento. Quindi potrebbe essere ipotizzabile, che in caso di sottoscrizione di un primo contratto a termine a-causale, ai sensi della lettera a), di durata inferiore a 12 mesi, il contratto possa essere prorogato fino al limite massimo di 12 mesi, mentre per un contratto regolamentato dai contratti collettivi anche aziendali, - ipotesi di cui alla lettera b), - il limite massimo verrebbe fissato dal contratto collettivo stesso.

• Continuazione del contratto a-causale Il legislatore con una piccola integrazione chiarisce in maniera definitiva che il contratto a-causale potrà essere oggetto di continuazione, ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs 368/2001.

• Continuazione del contratto L’istituto della continuazione è stato oggetto di importanti novità da parte della Legge Fornero. In primo luogo vi è stata un’amplificazione della durata della continuazione che viene confermata mentre viene cancellato l’obbligo di comunicazione di continuazione, tramite il sistema delle comunicazioni obbligatorie, che era stato introdotto proprio dalla Legge Fornero.

• Successione di contratti a termine: Probabilmente si tratta della modifica più attesa tra quelle che interessano il contratto a termine, in particolare sulle pause in caso di sottoscrizione di una pluralità di contratti a termine. In buona sostanza, il legislatore da un lato riporta la situazione a prima della Riforma, quindi prevedendo che le pause tornino agli originali 10 (per contratti fino a 6 mesi) e 20 giorni (per contratti di durata superiore ai 6 mesi), al posto dei 60/90 previsti dalla Riforma. La novità più interessante, invece, è quella legata alla non applicazione della pausa, infatti il nuovo comma 3 dell’art. 5 del D.Lgs 368/2001, prevede che le pause non si applicano in due fattispecie:

1. nel caso di lavoratori impegnati nelle attività stagionali di cui al comma 4-ter dello stesso art. 5, e quindi quelle definite dal DPR 1525/1963, nonché quelle individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative;

2. In relazione alle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Tale seconda ipotesi, quindi, apre a uno scenario in cui i contratti collettivi, anche quelli di terzo livello (ed è proprio questa l’ipotesi forte), potranno prevedere ipotesi in cui non sarà necessario il rispetto di alcuna pausa tra un contratto a termine e il successivo e, l’unico vincolo temporale che resta, sono i 36 mesi ameno che il contratto stesso non prevede un limite superiore. Va evidenziato però che, a livello aziendale, la trattativa non sempre è sana e che i sindacati dei lavoratori possono trovarsi in una posizione più debole.

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Disciplina della proroga(art. 4) La durata massima del singolo contratto a termine dipende dalla causa per cui è stato generato. Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. Ad esempio, qualora un lavoratore avesse già avuto un contratto a tempo determinato per due anni, la proroga varrebbe per un altro anno; in questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi, la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni. La proroga non si applica al contratto di a-casualità. Nel 2007 è stata formulata una norma limitante della successione dei contratti a termine (dove l’onere è rappresentato proprio dal rispetto delle pause). Art. 4 bis13: nel momento in cui ci sono almeno due contratti a termine, la sommatoria dei rapporti di lavoro non può superare i 36 mesi, pause escluse. Tale norma è stata introdotta per ridurre i costi del contenzioso: se tra un contratto e l’altro la pausa non viene rispettata, il secondo contratto si intende a tempo indeterminato. Se invece la pausa non la si fa proprio tra due contratti, (si parla di contratti senza soluzione di continuità), il rapporto di lavoro si intende a tempo indeterminato fin dall’inizio. A partire dal 18/07/2012 i periodi di sospensione previsti si sono ridotti rispettivamente da 60 giorni 20 e da 90 giorni a 30. Proroga assistita. Deve essere fatta davanti alla Direzione Provinciale del Lavoro e il lavoratore deve essere accompagnato da un rappresentante del sindacato di riferimento. Nella conciliazione (sottoscritta in presenza della “Commissione di Conciliazione”) la Direzione Provinciale del Lavoro non svolge attività ispettrice, bensì notarile. Il lavoratore rinuncia espressamente al contratto a tempo indeterminato e il sindacato potrebbe richiedere un’indennità per il lavoratore in cambio della rinuncia. La durata massima prevista per la proroga assistita è di 8 mesi. N.B.: I CCNL possono derogare al termine previsto dei 36 mesi anche a livello aziendale (norma introdotta nel giugno 2008 dal governo Berlusconi). Il vero problema di questa norma è stato il livello contrattuale aziendale! Il licenziamento di un dipendente assunto a tempo indeterminato può avvenire per giusta causa e giustificato motivo, mentre nel contratto a tempo determinato avviene solo ed esclusivamente per giusta causa (se l’azienda sta in crisi non può licenziare).

1.2 Part-time Definito come attività di lavoro svolta ad orario inferiore rispetto a quello previsto dal C.C.N.L. Il rapporto di lavoro, infatti, può avvenire sia a tempo pieno che a tempo parziale; attualmente si può passare da full-time a part-time e viceversa, semplicemente sottoscrivendo un accordo tra datore di lavoro e lavoratore (fino al 31/12/2011, invece, per tale passaggio era prevista anche la vidimazione). Fino alla L.53/2000 il lavoro part-time era una situazione che il legislatore italiano detestava: si è assistito ad un’inversione di tendenza solo grazie ad una direttiva comunitaria che ha suggerito l’importanza della conciliazione tra tempo libero e tempo di lavoro di ciascun soggetto, circostanza perfettamente consentita proprio dal Part-time.

                                                                                                               13 Tale norma che può essere tracciata di incostituzionalità, (in quanto non è espresso un arco temporale di valutazione), non è prevista dalla normativa comunitaria e fa riferimento a contratti in cui c’è lo stesso datore di lavoro, lo stesso lavoratore e mansioni equivalenti (concetto espresso in Corte di Cassazione che indica il bagaglio culturale e delle conoscenze dell’impiego precedente che il dipendente può utilizzare in quello successivo).

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Esistono tre tipologie di part-time:

- Orizzontale: la riduzione colpisce tutti i giorni della settimana, - Verticale: con riduzione basata o sulla settimana, o sul mese o sull’anno; - Misto: con una riduzione che si muove sia in maniera orizzontale che verticale.

1.3 Orario di lavoro La Direttiva Comunitaria sull’orario di lavoro è stata recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 66/200314: non ci sono indicazioni di limiti diretti, ma possiamo quasi tutti ricavarli indirettamente. Il limite orario normale di lavoro é previsto di 40 ore settimanali (limite che può essere derogato dai CCNL). Fino al 1997 (riforma Treu) l’orario normale previsto era di 48 ore, ma si trattava di un orario meramente teorico. Il D.Lgs. 66/2003 fissa anche la massima prestazione lavorativa che un dipendente può svolgere: tenendo conto che un giorno di riposo (24 ore) è sancito dalla Cost. e che tra un turno e l’altro di lavoro devono esserci almeno 11ore di riposo, all’interno di un giorno lavorativo non si possono superare le 13 ore giornaliere. Quindi, oltre le 24ore, devo riposare altre 66 (date dalla somma delle 11 ore giornaliere di riposo). Considerando che in una settimana ci sono 168 ore, da esse devono essere tolte le 90 (66+24) di prima e 1 ora che è la somma delle pause di 10 minuti, all’interno dell’orario di lavoro, che spettano al dipendente se lavora più di 6 ore continuative. Restano, quindi, 77 ore a settimana di lavoro (limite massimo di ore settimanali lavorate). Il legislatore comunitario prevede che nell’arco di un quadrimestre la media lavorativa settimanale non deve superare le 48 ore, ma il contratto può derogare il limite comunitario allungando il periodo di osservazione. Si tratta di un limite valido per tutti i contratti ad eccezione dei dirigenti che sono fuori del limite orario di lavoro e di chi svolge mansioni discontinue, vale a dire prestazioni non assidue (vedi gli autisti o gli addetti alla pompa di benzina in un impianto cittadino).Purtroppo il limite quadrimestrale non è facilmente determinabile, (dato che le ferie e le assenze in generale incidono), e si rischia di creare quadrimestri “ad personam”!!! Il lavoratore deve essere sul posto e nell’orario di lavoro, a disposizione del datore di lavoro e deve esercitare una prestazione lavorativa assidua. A tal proposito, vanno distinte due interpretazioni fornite dal Ministero del Lavoro: quella del cd.“tempo tuta”, che può essere esterno all’orario di lavoro, ma anche interno ad esso (quando il dipendente si cambia in azienda) e quella delle “navette aziendali” (se sono una facoltà e il luogo di lavoro può essere raggiunto anche con altri mezzi la prestazione lavorativa inizia quando si entra sul luogo di lavoro, altrimenti inizia nel momento in cui si sale sulla navetta, in quanto risulta essere un obbligo giornaliero del dipendente). Esempio:

L M M G V S D F 8 13 13 13 13/= 60 ore totali Considerando tale settimana di lavoro, da un punto di vista legale il lavoratore ha fatto 20 ore di straordinario, però dal punto di vista retributivo vengono pagate 28 ore. Distinguiamo, pertanto, un piano legale ed uno economico; molti contratti per il calcolo dello straordinario puntano al giorno tenendo conto che il limite massimo di ore di straordinario annue previste ammonta a 250 ore (si esclude dal limite la banca delle ore intesa come riposi compensativi, una forma di flessibilità che in termini di costo del lavoro genera delle difficoltà, se non viene ben governata).

                                                                                                               14http://www.normattiva.it/ricerca/semplice;jsessionid=5C57EF09DDEECF8AC203265500FC22CE

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1.4 Ferie La Costituzione prevedeva il diritto alle ferie, ma non fissava il numero di giorni. Il D.Lgs. 66/2003fissanell’art.10 il numero minimo di giorni di ferie - 4 settimane - che spettano al dipendente, imponendo un regime di godimento (due settimane devono essere fruite nel corso dell’anno di maturazione, le altre due entro i 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione). Le quattro settimane di ferie non sono indennizzabili, ovvero non possono essere retribuite a meno che il dipendente non cessi il rapporto di lavoro. Se non si monitora la fruizione delle ferie da parte dei dipendenti, la situazione potrebbe degenerare. Bisogna tener conto delle chiusure aziendali e, in ogni caso, vengono salvaguardate le esigenze di tipo aziendale.

1.4.1 Ferie nel part-time

Anche in ipotesi di lavoro part-time vengono computate comunque le quattro settimane di ferie; i permessi, invece, saranno rapportati in percentuale rispetto all’orario di lavoro a tempo pieno. L’orario del part-time deve essere in ogni caso espresso con maggior esattezza possibile e sono possibili variazioni di orario. All’interno del part-time possiamo trovare due clausole: elastica e flessibile. Sono clausole che potrebbero essere anche sottoscritte successivamente (si parla, infatti, di elementi accessori del contratto)

a) La clausola flessibile, applicabile a qualunque tipologia di part-time. determina la possibilità di

cambiare l’orario di lavoro senza dover ottenere il consenso del dipendente ogni volta e sottoscrivere un nuovo contratto tra le parti. Si richiede comunque un preavviso e il contratto collettivo, in alcuni casi, potrebbe prevedere un indennizzo economico per tutto il periodo dell’applicazione della clausola (indennità di flessibilità). Tuttavia, l’applicazione di queste clausole resta legata al buon senso.

b) La clausola elastica, applicabile solo al part-time verticale e misto, permette di allungare la prestazione lavorativa di un dipendente.

Fuori dalle clausole è possibile una variazione dell’orario di lavoro soltanto con il lavoro supplementare15 che non deve superare il monte ore del lavoro a tempo pieno. Il part-time orizzontale non può andare oltre il lavoro supplementare e, pertanto, non prevede il lavoro straordinario.

“Quanto deve essere pagata l’ora di lavoro supplementare?”

Ci sono due scuole di pensiero in merito: 1. Non si applica alcuna maggiorazione sulla paga oraria per il lavoro supplementare; 2. Si applica nella prima ora di lavoro supplementare una maggiorazione del 35% (nel terziario)

o del 40% (negli studi professionali) rispetto alla paga oraria (teoria punitiva nei confronti del datore di lavoro).

L’applicazione di una o dell’altra teoria dipende dal datore di lavoro che, normalmente, potrebbe applicare una maggiorazione simile a quella dello straordinario.

                                                                                                               15Il lavoro supplementare eccede l’orario di lavoro del dipendente part-time fino al raggiungimento del normale orario di lavoro.

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1.5 Apprendistato L’apprendistato è un contratto di natura mista in quanto prevede sia la prestazione lavorativa sia la formazione che il lavoratore deve ricevere. Nasce come contratto tipico nell’artigianato e solo nel 1997, con il pacchetto Treu16,viene successivamente esteso a tutti i settori e a qualsiasi tipo di attività. Dal 1° Gennaio 2013 è rimasto l’unico contratto di lavoro di natura formativa. La norma prevede tre tipologie di apprendistato, ma solo una è sfruttata a dovere:

I. Diritto/dovere allo studio, apprendista che la mattina va a scuola e il pomeriggio è in azienda. Funziona molto bene solo nelle Regioni in cui sono presenti i distretti produttivi (come, ad esempio, nella Brianza);

II. Professionalizzante o di mestiere, che può essere applicato a coloro che non hanno compiuto il trentesimo anno di età (vincolo stringente), senza soggetti terzi e dove l’azienda si occupa direttamente della formazione. Può essere applicato da tutti i datori di lavoro ed è finalizzato all’inserimento diretto in azienda di soggetti privi di qualificazione specifica. Lo Stato concede incentivi sia normativi sia economici perché sta pagando un costo formativo e sta facendo il bene della collettività; con tale programma l’azienda cerca di formare il candidato per quelle competenze di cui necessita, conseguendo così quella determinata qualifica. La formazione è alla base del contratto e qualora il datore di lavoro non garantisse tale formazione perderebbe ogni finanziamento e andrebbe incontro a delle sanzioni(dovrà restituire tutte le agevolazioni più una sanzione del 100%; in pratica, il doppio!). Il piano formativo viene fatto dal datore di lavoro. Nella riforma del 2012 vengono fissate le regole sulla formazione (durata e tipologia). Infatti la formazione deve essere di due tipi: la prima, quella trasversale o di base, presente in tutti gli apprendistati le cui regole e contenuti sono fissati a livello Regionale (si farà riferimento alla Regione in cui l’apprendista svolge l’attività); la seconda, quella specialistica in cui i contenuti e la regolamentazione è demandata direttamente al Contratto Collettivo di riferimento che è nazionale. A questo punto si viene a risolvere un problema precedente: prima era la Regione che regolarizzava la formazione, il che determinava una molteplicità di formazioni diverse per la stessa tipologia di mestiere. A questo punto si è giunti ad una semplificazione della regolamentazione riguardo l’apprendistato e il piano formativo. La formazione trasversale deve durare non più di 120 ore (per chi possiede il diploma di scuola secondaria inferiore), 80 ore (per chi possiede un diploma di scuola secondaria superiore) e 40 ore (per i laureati); tale formazione va distribuita per tutta la durata dell’apprendistato che, al massimo, è di 3 anni. Ad esempio, per un apprendista tornitore del settore metalmeccanico abbiamo una formazione trasversale di 120 ore che va desunta dalla delibera regionale e una formazione specialistica on the job che va desunta dal CCNL (che determinerà anche il numero di ore di formazione). Con la nuova norma è stato specificato che il contratto di apprendistato va inteso a tempo indeterminato anche se, il datore di lavoro, al termine dei tre anni di formazione può risolvere il contratto. In questa ipotesi non potrà assumere altri apprendisti per 12 mesi, salvo che non abbia già assunto altre persone che abbiano avuto questa forma contrattuale (anche qui, in ogni caso, è previsto il periodo di prova). La scadenza dei tre anni non riguarda la dimensione lavorativa, bensì quella formativa. Tra i vantaggi normativi del datore di lavoro va rilevata l’immutato dimensionamento dell’azienda; nel terziario, poi, il lavoratore apprendista non matura permessi. Il vantaggio

                                                                                                               16http://it.wikipedia.org/wiki/Pacchetto_Treu

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più grande di tale contratto è rappresentato dal sotto-inquadramento: il lavoratore può essere mantenuto due livelli sotto rispetto a quello per cui l’azienda sta formando il suo apprendista. Il terziario mitiga tale vantaggio applicando due livelli sotto per i primi 18 mesi e un solo livello sotto per i successivi 18 mesi. Secondo la Legge Fornero l’apprendistato è la tipologia contrattuale che le aziende devono prediligere per assumere e introdurre i giovani nel mondo del lavoro. Sono previste agevolazioni a livello contributivo: l’azienda paga un’aliquota ordinaria dell’11,61% anziché il 28,98%17e l’apprendista paga il 5,84% anziché il 9,19%. Il costo dell’apprendistato non partecipa all’ammontare dell’imponibile IRAP dell’azienda.

III. Acquisizione di un percorso di specializzazione post-diploma o post-universitario, comporta il conseguimento di un titolo post-diploma o post-laurea e riguarda le Aziende che operano nell’ambito della ricerca scientifica. Sarebbe favorevole per l’Università in quanto il dottorando farebbe ricerca a costo zero, essendo retribuito direttamente dal datore di lavoro. Si tratta di apprendistato di alta formazione.

1.6 Tutela della genitorialità nel rapporto di lavoro Insieme delle norme inizialmente poste a tutela della lavoratrice madre e del bambino (la tutela della maternità che va trasformandosi in tutela della genitorialità). Le fonti cui fare riferimento sono: il D. Lgs 151/2001 che è un testo unico; la Legge delega 53 del 2000 che prevede ulteriori garanzie e da cui è venuto fuori il testo unico sopra; la L.104 del 1990 che prevede garanzie per genitori con figli portatori di handicap, per parenti assistiti portatori di handicap e per il soggetto lavoratore stesso portatore di handicap.

Due aspetti importanti:

I. Stabilità di impiego, evitare fenomeni che potrebbero portare al licenziamento; II. Tutele che riguardano le assenze dal lavoro, tutele sia economiche sia previdenziali.

Entrambi gli aspetti puntano alla tutela della salute della lavoratrice madre, del nascituro e del bambino.

Norme sulla stabilità di impiego:

Divieto di licenziamento (si parla del contratto a tempo indeterminato)di una dipendente dal periodo di gestazione (300 giorni antecedenti alla data presunta del parto) fino al primo anno di vita del bambino, salvo giusta causa (dipendente che ruba, oppure mancata comunicazione della maternità nei casi in cui la lavoratrice è adibita a mansioni incompatibili con la sua condizione, etc., ovvero tutte quelle motivazioni che portano alla lesione irreparabile del vincolo fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro). Se l’azienda è costretta a chiudere così come in ipotesi di cessazione del contratto a termine: se accade qualcosa entro 60 giorni dalla fine del rapporto di lavoro, l’INPS erogherà direttamente la prestazione fino alla fine dell’evento (anche nel caso di licenziamento per giusta causa la lavoratrice madre sarà tutelata).Qualsiasi licenziamento che avviene in questo periodo al di fuori della chiusura aziendale e scadenza del termine, è nullo (c’è presunzione legale, in quanto si intende intimato per maternità). La tutela del matrimonio, prevista dalla data di pubblicazione fino ad un anno di matrimonio, risulta meno rigida, in quanto c’è presunzione relativa (il datore di lavoro, in questo caso, può dimostrare).

                                                                                                               17 Esistono ulteriori agevolazioni contributive: per le aziende fino a 9 dipendenti che assumono apprendisti tra il 1/01/2012 e il 31/12/2016, è prevista un’aliquota contributiva dell’1.61% (vantaggio considerevole).

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Norme sulla tutela di salute: “Quando una dipendente deve comunicare la maternità al proprio datore di lavoro?” Si fa riferimento alla normativa di sicurezza sul lavoro: tutte le lavoratrici in ambito sanitario e in generale coloro che svolgono lavori pericolosi, faticosi e insalubri vengono allontanate al solo sospetto di maternità. In prima battuta le dipendenti dovrebbero essere adibite a mansioni compatibili (che coincidono sempre con attività amministrative) e, in tale ipotesi, vengono lasciate a lavorare anche fino al 7° mese.

Fruizione ordinaria del congedo per maternità:(5 mesi e 1 giorno)

Per il calcolo del congedo per maternità obbligatorio vanno considerati 2 mesi prima della data presunta del parto e 3 mesi dopo la data effettiva del parto, la data del parto è fuori dai 5 mesi. Questo periodo di 5 mesi e 1 giorno è il periodo minimo che deve essere tenuto in considerazione (ad esempio nel caso di parto prematuro la dipendente ha comunque diritto a rimanere in maternità per 5 mesi e 1 giorno). Istituzione del principio di flessibilità, che prevede lo spostamento fino a 30 giorni dai 2 mesi precedenti ai 3 mesi successivi, ottenendo il cosiddetto 4+1. Tale richiesta deve essere presentata dalla dipendente e deve essere accompagnata da una certificazione medico-legale rilasciata da una struttura pubblica che valuti la richiesta. Il medico specialista assume una grande responsabilità in quanto attesta che la lavoratrice si trova in una condizione compatibile con il lavoro per l’8° mese. Per i dipendenti soggetti a sorveglianza sanitaria (quasi tutti, ad esclusione di chi lavora con un part-time a 20 ore), devono avere anche una dichiarazione del medico del lavoro (cd. medico di fabbrica). Se una di queste due attestazioni è negativa, la dipendente non può richiedere la flessibilità. Tale richiesta va fatta telematicamente all’Inps e entro e non oltre il 7° mese (contano molto le date di rilascio dei certificati). La flessibilità può essere interrotta e, in tal caso, sarebbe parziale; qualunque evento di malattia interrompe la flessibilità anche se non direttamente legato alla maternità. Nel caso in cui la flessibilità venisse interrotta, i giorni restanti verranno recuperati posticipando il rientro in servizio della lavoratrice; questo perché, per legge, i 5 mesi di maternità sono un periodo obbligatorio e la dipendente non può rifiutarsi di fruirne tornando prematuramente all’attività lavorativa. In caso contrario il datore di lavoro rischia un’ammenda più la reclusione fino a 6 mesi. Nel caso di interdizione anticipata dall’attività lavorativa per motivi di salute (gravidanza a rischio) è l’ASL che direttamente accerta e rilascia l’autorizzazione senza dover passare per l’Ispettorato del lavoro com’era stabilito in precedenza.

L’aborto

Distinguiamo l’aborto entro il 180 giorno, (non è considerato maternità e viene trattato come malattia), da quello che avviene dopo il 180° giorno: viene trattato come nascita a tutti gli effetti, il che implica che la dipendente ha diritto ai 3 mesi successivi perché l’istituto della maternità è obbligatorio. Da settembre 2011 è diventato un diritto disponibile previo preavviso di 10 giorni al datore di lavoro e previa certificazione del medico di struttura pubblica che attesta che non ci sono problemi di salute e che la dipendente può rientrare a lavoro.

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Il congedo del padre

Nel momento in cui nasce il figlio, compare il padre. Il congedo previsto è di un giorno da fruire in maniera obbligatoria (anche se non sono previste sanzioni per il mancato godimento di questo diritto) entro i 5 mesi dalla nascita del figlio, a carico dell’INPS. È una norma sperimentale valida dal 01/01/2013 fino al 31/12/2015. Questo giorno in realtà è un modo per far abituare tutti alla presenza di questo diritto, ovvero il congedo del padre. A questo giorno obbligatorio se ne possono aggiungere altri 2 che, in realtà, non sono un diritto, ma una traslazione di diritto dalla madre che rientra due giorni prima a lavoro al padre. Ci sono, poi, 4 casi in cui il congedo di maternità diviene congedo di paternità:

- morte della madre; - abbandono del figlio; - gravi infermità della madre; - affidamento esclusivo al padre.

In questi casi il padre si sostituisce giuridicamente alla madre e, pertanto, sono valide anche le garanzie sul licenziamento: questa tutela si applica nei casi citati anche quando la madre non ne ha diritto, ad es. non lavora.

I riposi giornalieri

La madre che rientra ha diritto, fino ad un anno di vita del bambino, ai permessi per riposi giornalieri (in gergo definiti allattamento) per accudire il figlio. Se la madre vi rinuncia o non ne ha diritto, li può prendere il padre. Possono essere due riposi o un riposo, si guarda all’orario teorico della giornata: se l’orario teorico della giornata è maggiore o uguale a 6 ore, allora spettano 2 riposi da un’ora, altrimenti si ha diritto ad una sola ora di riposo. In presenza di asilo nido aziendale il riposo dura mezzora, anziché un’ora. Il legislatore non impone un orario di lavoro minimo per poter applicare tale riposo; se la prestazione lavorativa della giornata è di un’ora, la dipendente se ne sta a casa (Circolare Inps 95 bis). I riposi giornalieri non sono cumulabili a meno che non si tratta di banca delle ore (unico caso che permette il cumulo perché sono ore che ho lavorato, altrimenti devo recarmi al lavoro per avere diritto al riposo) e si raddoppiano nel caso di parti gemellari e plurigemellari.

Il congedo parentale

Ad entrambi i genitori spetta il congedo parentale, istituto che consente ai genitori di assentarsi dal lavoro per un periodo complessivo che non può superare i 10 mesi complessivi ( a figlio) e che può essere fruito fino agli 8 anni di vita del bambino. Nelle adozioni valgono le stesse identiche regole purché il figlio sia minorenne (al posto della data presunta del parto si guarda alla data di adozione. Un genitore può fare al massimo 6 mesi, gli altri 4 rimangono per l’altro genitore. Il congedo parentale viene indennizzato dall’INPS al 30% per i primi 6 mesi, entro i 3 anni di vita del bambino; gli ultimi 4 mesi, invece, non sono indennizzati. Se il padre fruisce di almeno 3 mesi di congedo parentale, la normativa prevede l’aggiunta di un ulteriore mese e, in tal modo, il totale dei mesi del congedo parentale previsti sarebbe di 11 mesi. L’indennizzo è certo fino ai primi 3 anni di vita del bambino, successivamente l’indennizzo spetta solo se il reddito del richiedente è inferiore ad una determinata soglia: al doppio dell’assegno sociale (11.154€ annui a persona)

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Malattia del bambino

Nel caso di malattia del bambino, per i primi tre anni le assenze non retribuite sono illimitate, mentre dai 3 agli 8 anni, sono previsti 5 giorni di assenza non retribuita all’anno. C’è accredito figurativo dei contributi, è l’Inps che riconosce la contribuzione perché non c’è versamento e non c’è base imponibile Inps.

Codici Uniemens nella procedura INAZ 1) MAL : Malattia

2) MA1 : Congedo di maternità obbligatorio

3) MA2 : Congedo parentale fino a 6 mesi (un tempo definito astensione facoltativa)

4) MA3 : Malattia bambino fino a 3 anni, sono tutti codici a contribuzione piena e, quindi

effettivamente persa. I codici MB, invece, fanno riferimento ai riposi giornalieri, al congedo parentale non indennizzato (4 mesi successivi ai 6 mesi erogati al 30%) e alla malattia bambino dopo i 3 anni codificata con MB4)e sono codici a contribuzione figurativa: viene integrato un importo standard e indipendente dal reddito del dipendente, pari a due volte e mezzo l’assegno sociale (è come far riferimento ad un lavoratore che guadagna all’incirca 16.000 annui). N.B. – Limite sulla malattia: l’Inps durante tutta la vita lavorativa copre solo 104 settimane in cui c’è stato l’evento! Per la maternità, invece, non sono previsti limiti. Inoltre, per le malattie inferiori a 7 giorni, non è previsto l’accredito contributivo!

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3. Aspetti fiscali L’art. 53 Cost.18prevede la partecipazione da parte del cittadino alle spese pubbliche in proporzione alle sue possibilità. Più hai più paghi, però in maniera progressiva (all’aumentare del reddito aumenta la pressione fiscale a carico del contribuente: sistema tributario ad aliquote fisse, ma per scaglioni di reddito - ad esempio, fino a 15000 € di reddito pago il 23% -). Un sistema ad aliquote fisse non rispecchia al principio sancito dall’art 53 Cost. perché non risponde a criteri di progressività (risultano avere un vantaggio coloro che percepiscono un reddito maggiore): da qui, la creazione delle imposte dirette tra cui spicca l’IRPEF(Imposta sul reddito delle persone fisiche). Quando si parla di aliquota marginale si vuole far riferimento all’aliquota più elevata su cui verrà tassato il reddito). Il TUIR19(Testo unico delle imposte sul reddito) è stato introdotto nell'ordinamento giuridico italiano con il D.P.R. n. 917 del 22 dicembre1986. È un sistema di codificazione che parla di tutti i redditi che ci possono essere nel nostro ordinamento e che viene modificato agendo sulla legge originaria. Il testo unico consta di tre titoli:

• il primo è dedicato alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (cosiddetta IRPEF);

• il secondo alla disciplina dell'Imposta sul reddito delle società (cd. IRES); • il terzo alla trattazione delle disposizioni comuni.

Titolo 1 – IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche) Nell’art.1 TUIR viene espresso il presupposto dell’imposta, ovvero il possesso di redditi in denaro o in natura (ad esempio il cesto natalizio al dipendente) rientranti nelle categorie indicate nell’art.6 (tra questo, c’è anche il lavoro dipendente). Nell’art.6 TUIR vengono classificati i vari tipi di reddito soggetti all’imposta:

1. redditi fondiari; 2. redditi di capitale; 3. redditi di lavoro dipendente; 4. redditi di lavoro autonomo; 5. redditi d’impresa; 6. altri redditi

Nel’art.11TUIRchefa riferimento alla determinazione dell’imposta, vengono specificate le aliquote fiscali (variabili a seconda del periodo di riferimento):

a) fino a 15.000 euro, 23%; b) oltre 15.000 euro e fino a 28.000 euro, 27%; c) oltre 28.000 euro e fino a 55.000 euro, 38%; d) oltre 55.000 euro e fino a 75.000 euro, 41%; e) oltre 75.000 euro, 43%.

                                                                                                               18Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è uniformato a criteri di progressività. 19http://www.altalex.com/index.php?idnot=61464

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Si tratta di aliquote in vigore dal 1/01/2007: dal 2007 ad oggi gli scaglioni sono rimasti invariati e sono aumentate le addizionali regionali e comunali che subiscono un meccanismo di aumento automatico nel momento in cui c’è uno sforamento della spesa sanitaria. L’art.49 del TUIR disciplina il reddito da lavoro dipendente:

1. Sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro.

2. Costituiscono, altresì redditi di lavoro dipendente: a)le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati; b) le somme di cui all'articolo 429, ultimo comma, del codice di procedura civile.

Quando nell’ambito di un processo di lavoro il giudice stabilisce che il lavoratore deve essere indennizzato, le somme che per il lavoratore costituiscono reddito (riferimento alla lettera b su citata) le somme derivanti dagli interessi e dalla rivalutazione monetaria in base alle tabelle Istat. L’art.51fa riferimento alla determinazione del reddito da lavoro dipendente. Il comma 1 ci dice che esso è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti20 nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali21, in relazione al rapporto di lavoro. Il periodo di imposta, art.7 TUIR, va inteso per anni solari (365 gg.): si intendono i redditi percepiti all’interno del periodo di imposta, non quelli maturati (il riferimento, infatti, è al principio di cassa): nei contratti di affitto le tasse vengono pagate sull’importo annuale percepito (presupposto fondamentale è il passaggio di denaro). Si considerano percepiti entro il periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere corrisposte dai datori di lavoro entro il 12 gennaio del periodo di imposta successivo a quello cui si riferiscono: è una presunzione relativa che fa riferimento al principio di cassa allargato. I contributi, invece, rispondono al principio di competenza (sono premi assicurativi) e a quello dell’automaticità della prestazione contributiva. L’IRPEF si versa il 16 del mese successivo a quello in cui si percepisce la retribuzione, mentre i contributi, il 16 del mese successivo a quello della maturazione. Nel reddito da lavoro dipendente il reddito complessivo (che diventa reddito imponibile al netto degli oneri deducibili) e reddito da lavoro dipendente coincidono(rigo 1 della dichiarazione dei redditi)mentre non avviene nel caso della determinazione del reddito da lavoro autonomo. Tutto ciò che vin escluso dal reddito è indicato nel comma 2. Non concorrono a formare reddito (comma 2):

a) I contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro e dal dipendente; b) I contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoro ad enti o casse aventi esclusivamente a fini assistenziali in conformità a disposizioni di contratto per un importo non superiore a 3615.20 €. Sono contributi previsti dal CCNL o da regolamenti aziendali (in particolare il settore terziario e quello metalmeccanico); Fino al 2008 con la lettera b) si forniva la possibilità di fare erogazioni liberali fino ad un massimo di € 258 (utilizzato impropriamente per pagare lo straordinario), ma successivamente tale possibilità è venuta meno;

                                                                                                               20 Non si distinguono nemmeno i titoli leciti da quelli illeciti! (questo significa che, se per sbaglio erogo ad un lavoratore 10.000 € anziché 1.000 €, fino a quando non saranno restituiti sarà sempre reddito erogato). 21Tali erogazioni rappresentano un rafforzativo, ma il datore di lavoro non è assolutamente obbligato a farle.

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c) Le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi, o, fino all’importo di 5,29 euro giornaliero (buoni pasto - limite stabilito nel 1997 - la parte eccedente tale somma costituisce imponibile fiscale e previdenziale), le prestazioni e le indennità sostitutive corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone ove manchino strutture o servizi di ristorazione. d) Le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti (norme antielusive), anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti di servizi pubblici; f) L’utilizzazione delle opere e dei servizi di utilità sociale (vedi, ad esempio, l’azienda dotata della palestra oppure quella che organizza una gita culturale per i propri dipendenti;..); f/bis) Le somme di denaro erogate (l’unica che prevede passaggio di denaro esente) dal datore di lavoro alle generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per frequenza di asili nido e di colonie climatiche da parte dei familiari indicati nell’art.12, (quello sulle detrazioni), nonché per borse di studio a favore dei medesimi familiari. N:B.: L’Agenzia delle Entrate chiede delle prove al sostituto d’imposta di tale passaggio di denaro); g) Il valore delle azioni (azioni proprie) offerte alla generalità dei dipendenti per un importo non superiore complessivamente nel periodo d’imposta a 2068 €. Si tratta di uno strumento utilizzato per rendere partecipe il dipendente dell’andamento aziendale e, in genere, viene concesso attraverso una riduzione di prezzo delle azioni stesse, a condizione che non vengano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro oppure cedute prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla percezione. i) Le mance percepite dagli impiegati tecnici delle case da gioco (croupiers) direttamente o per effetto del riparto a cura di appositi organismi costituiti all’interno dell’impresa nella misura del 25% dell’ammontare percepito nel periodo di imposta (il restante 75% è reddito).

Il comma 3 si occupa dei valori dei beni. Ai fini della determinazione dei valori in denaro, si applicano le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenuti nell’art.9 (che corrisponde al valore di mercato). Il valore normale dei generi in natura prodotti dall'azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista. Non concorre a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d'imposta a euro 258,23 (norma di salvaguardia); se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito. Tale valore non si applica alle aziende che commercializzano o a quelle che producono servizi. (Comma 4) Ai fini dell'applicazione del comma 3: a. Per gli autoveicoli indicati nell'articolo 54, comma 1, lettere a), c) e m), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, i motocicli e i ciclomotori concessi in uso promiscuo, si assume il 30% dell'importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15 mila chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali che l'Automobile club d'Italia deve elaborare entro il 30 novembre di ciascun anno e comunicare al Ministero delle Finanze che provvede alla pubblicazione entro il 31 dicembre, con effetto dal periodo d'imposta successivo, al netto dell’ammontare eventualmente trattenuto al dipendente. Se con l’autoveicolo il dipendente ci va pure a casa, l’uso diventa promiscuo. Il legislatore ha, allora, tirato fuori un sistema convenzionale: il costo Kilometrico che comprende il costo del carburante, della manutenzione, dei pneumatici e delle tasse di proprietà si desume dalle tabelle ACI – emesse all’interno di un decreto ministeriale – viene moltiplicato per 15000 Km e se ne considera il 30% (che è la parte che va a formare il reddito). La media di questi valori oscilla tra i 2500 e i 3500 euro e, l’unico parametro che varia è il tipo di auto; b. In caso di concessione di prestiti si assume il 50% della differenza tra l'importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto (TUS, quello della BCE) vigente al termine di ciascun anno e l'importo degli

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interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi. Se il tasso applicato è maggiore del TUS non c’è benefit!! Tale disposizione non si applica per i prestiti stipulati anteriormente al 1 gennaio 1997, per quelli di durata inferiore ai dodici mesi concessi, a seguito di accordi aziendali, dal datore di lavoro ai dipendenti in contratto di solidarietà o in cassa integrazione guadagni o a dipendenti vittime dell'usura ai sensi della legge 7 marzo 1996, n. 108, o ammessi a fruire delle erogazioni pecuniarie a ristoro dei danni conseguenti a rifiuto opposto a richieste estorsive ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, convertito con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172; c. Per i fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato, si assume la differenza tra la rendita catastale del fabbricato aumentata di tutte le spese inerenti il fabbricato stesso, comprese le utenze non a carico dell'utilizzatore e quanto corrisposto per il godimento del fabbricato stesso dal dipendente. Quando il fabbricato è funzionale all’attività svolta (portieri, custodi,…) il valore del bene corrisponde al 30% della predetta differenza. Per i fabbricati che non devono essere iscritti nel catasto si assume la differenza tra il valore del canone di locazione determinato in regime vincolistico o, in mancanza, quello determinato in regime di libero mercato, e quanto corrisposto per il godimento del fabbricato. Il comma 5 si occupa delle trasferte. Un lavoratore è in trasferta ogni volta che è chiamato a svolgere l’attività lavorativa fuori dal comune della sede di lavoro. I dipendenti pubblici avevano un limite di 10 km dal luogo di lavoro. Ad ogni modo, quello di trasferta è un concetto giurisprudenziale e, il vero problema, è il rimborso delle spese (in genere a piè di lista). Le spese di trasferta rimborsabili senza un limite specifico sono il viaggio, il vitto, alloggio. L’unico vincolo nasce per le “altre spese” perché, non sono ben definite (per esempio, lavanderia, telefono, etc.) e non hanno l’obbligo del piè di lista, che ammonta a 15,49 € al giorno. Il datore di lavoro si può anche esimere dal riconoscerle. Le tipologie di rimborso previste sono 3: il piè di lista, il rimborso misto (dove qualche voce di spesa si considera a piè di lista e qualche altra a forfait) e il forfait. Il problema si pone proprio per quest’ultima tipologia dato che il massimale fiscale riconosciuto ammonta a 46,48 € al giorno e comprende tutte le voci di spesa: spesso è stato utilizzato per pagare lo straordinario al dipendente sfuggendo alla tassazione. Ad ogni modo, tale valore esiguo, risale al 1997 e nonostante il comma 9 prevede la possibilità che i limiti stabiliti possano essere aggiornati ogni volta che l’indice dei prezzi al consumo supera il 2%, è rimasto invariato da allora!!! Le ore di viaggio, in genere, non sono orario di lavoro. Le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente 46,48 euro al giorno, elevate a lire 150.000 per le trasferte all’estero, al netto delle spese di viaggio e di trasporto; in caso di rimborso delle spese di alloggio, ovvero di quelle di vitto, o di alloggio o vitto fornito gratuitamente il limite è ridotto di un terzo. Il limite è ridotto di due terzi in caso di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di vitto. In caso di rimborso analitico, delle spese per trasferte o missioni fuori del territorio comunale, non concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto, nonché i rimborsi di altre spese, anche non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente, sempre in occasione di dette trasferte o missioni, fino all'importo massimo giornaliero di 15,49 €, elevate a lire 50.000 per le trasferte all'estero. Le indennità o i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale, tranne i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore, concorrono a formare il reddito. Una vota conosciuto il reddito complessivo del lavoratore non mi rimane altro che applicare l’aliquota corrispondente per il calcolo dell’imposta lorda. Successivamente devo calcolare le detrazioni, che sono, di fatto, riduzioni fiscali e che sono previste nell’ art.12 TUIR (per carichi di famiglia) e nell’art.13 TUIR per lavoro dipendente. Le detrazioni da lavoro dipendente sono previste in quanto il lavoratore non può portarsi in deduzione alcun costo che sostiene: è una sorta di compensazione forfettaria delle spese

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che il lavoratore può sostenere e inerenti alla produzione del reddito. È proprio al reddito e alla durata del rapporto di lavoro, infatti, che esse vengono rapportate. Per carico di famiglia dobbiamo intendere il coniuge (non effettivamente e legalmente separato), i figli e altri familiari a carico. Mentre per il coniuge e per i figli non è previsto l’obbligo della convivenza, lo stesso non si può dire per gli altri familiari a carico: chi sono? Il TUIR demanda all’art. 433 c.c. (che si occupa degli Alimenti e delle Persone obbligate) e ci indica che se nipoti, generi, nuore, suocero, suocera, fratelli e sorelle, con precedenza dei germani sugli unilaterali, convivono con il dipendente (vincolo indispensabile), quest’ultimo avrà diritto alle detrazioni spettanti previste in base al reddito per gli altri familiari a suo carico.

1.7. Adempimenti del Datore di Lavoro nel momento dell’assunzione

• Denunce dell’attività lavorativa all’INPS e all’INAIL (servono la prima volta per l’azienda); • Comunicazione Obbligatorie C.O. (in ipotesi di assunzione, trasformazione e cessazione del

rapporto di lavoro) – Unilav; • Registri obbligatori: Registro degli Infortuni e Libro unico del lavoro.

Comunicazione: la Comunicazione Obbligatoria deve essere fatta entro la mezzanotte del giorno che precede l’assunzione. Tale comunicazione è uno strumento fondamentale (fino al 2008, poteva essere fatta entro 5 giorni dalla data dell’assunzione ed era cartacea22, mentre oggi è telematica). Oltre ad avere il requisito della certezza dell’ avvenuta trasmissione della stessa, riveste anche il ruolo pluri – efficacia, in quanto si tratta di una comunicazione che assolve a più adempimenti. Il sistema telematico, in vigore dal 2008, non è nazionale, ma su base regionale, in quanto ogni Regione ha un suo effettivo portale. Ad esempio, la Regione Lazio, che ha un suo sistema informatico, passa l’informazione al Ministero del Lavoro, il quale a sua volta la trasferisce a tutti agli Istituti interessati (INPS, INAIL e Ufficio Immigrazione) e alla BLN (Borsa Lavoro Nazionale, un database di tutti i lavoratori gestito direttamente dal Ministero del Lavoro). Le C. O., dove oltre alla qualifica del lavoratore si inserisce anche il titolo di studio dello stesso, sono anche bidirezionali: attraverso il numero di protocollo rilasciato a seguito di ogni comunicazione inviata, riesco ad avere tutte le informazioni inerenti il dipendente (ad esempio, se gode di agevolazioni particolari). Se il dipendente non si presenta a lavoro, la comunicazione la posso annullare; mentre la C. O. di assunzione deve essere annullata entro il giorno stesso in cui doveva avvenire l’assunzione, quelle inerenti la trasformazione oppure la cessazione di un rapporto di lavoro possono essere fatte entro 5 giorni dall’evento, dato che non c’è intento fraudolento. Se mi dimentico di fare la C. O., scatta la sanzione amministrativa che va da un minimo di 100€ ad un massimo di 500€. Essendo in vigore il sistema della diffida ad adempiere, qualora il datore di lavoro resista, scatta in automatico la sanzione massima prevista. Denuncia all’INAIL: L’apertura della posizione INAIL la devo fare entro la mezzanotte del primo giorno dell’attività lavorativa e, la denuncia, è telematica. L’INAIL si occupa degli Infortuni sul lavoro e delle Malattie Professionali ed opera come una vera e propria assicurazione. Moltissima importanza assume l’attività svolta dal dipendente: se assumo dipendenti che svolgono attività diverse, dovrò fare denuncia diverse (in base all’attività lavorativa perché la classificazione del rischio è diversa. La PAT (posizione assicurativa territoriale) identifica il luogo di lavoro pertanto, più sedi, implicano più PAT (e, sotto ogni PAT, posso avere voci di rischio diverse). Anche se la base su cui si calcola il premio INAIL è la stessa dell’INPS, l’aliquota varia al variare del rischio. Il premio INAIL viene pagato una volta                                                                                                                22Con il Decreto Bersani Visco la C. O. è divenuta obbligatoria, seppur cartacea, nell’edilizia (18/08/2006), dato che si verificavano sempre infortuni e solo da gennaio 2007 l’obbligatorietà della comunicazione è stata estesa a tutti gli altri settori lavorativi. Tale decreto, all’art. 36 è intervenuto contro il lavoro nero, considerato una fonte di rischio per la sicurezza sul lavoro e ha previsto una maxi sanzione che va da 1.500 a 12.000 € (anche se viene quasi sempre pagato almeno il doppio del minimo, vale a dire 3.000€), più 150€ al dì per ogni giorno di mancata assunzione (conviene fare le comunicazioni in ritardo!!).

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all’anno il 16 febbraio e si chiama Autoliquidazione. Se l’infortunio è avvenuto per colpa del datore di lavoro, l’INAIL eserciterà un’azione di regresso nei suoi confronti. L’assicurazione INAIL scatta anche in presenza di stage o tirocini formativi, pur non essendo classificabili come contratto di lavoro perché, quello che conta, è la situazione di lavoro. Ovviamente, si occupa anche degli infortuni in itinere, ossia quelli che accadono nel momento in cui il lavoratore si reca sul luogo di lavoro oppure rincasa dal lavoro; sono infortuni che, per essere riconosciuti e pagati dall’INAIL devono rispettare necessariamente alcuni parametri:

• suolo pubblico (il cortile di casa non è ammesso); • orari coerenti con l’entrata o l’uscita dal lavoro; • se esistenti, devono essere utilizzati i mezzi pubblici e sarà onere dell’infortunato dimostrare che

in certi sedi di lavoro è davvero impossibile recarsi con i mezzi pubblici. Per mansioni svolte occasionalmente (es. a volte si utilizza la vettura aziendale) non c’è bisogno della denuncia del tipo di attività perché di base il lavoratore si occupa di altro.

Successivamente all’infortunio verrà anche fatto compilare sia al datore di lavoro che all’infortunato un questionario INAIL per attestare la veridicità delle informazioni in esso contenute. Se apro un’altra sede, dovrò fare una denuncia di variazione che va presentata entro 30 giorni, altrimenti scatta la sanzione. N.B.: è prevista anche la sanzione per il lavoro nero regolarizzato!! Denuncia all’INPS: la posizione INPS va aperta entro 30 giorni dalla data di assunzione e comunque non oltre data del versamento dei contributi (il 16 del mese successivo) e si prende la data più vicina (se per esempio assumo il 30/07, inquadrerò il 16/08, non il 29/08!!). L’Istituto intanto provvede a fornire il numero di matricola all’Azienda per il versamento dei contributi. L’inquadramento INPS può essere sia diverso in base all’attività lavorativa, (apro due posizioni INPS), sia unico dove si prende in considerazione l’attività prevalente (il problema, però, è che il discriminante per stabilire l’attività prevalente è il fatturato). Registro infortuni: registro in cui vengono annotati in ordine cronologico tutti gli eventi di infortunio dei lavoratori avvenuti in azienda. Deve essere presente in azienda a prescindere se si è verificato o meno un primo evento di infortunio. In assenza del Registro degli Infortuni, scatta una sanzione di ca. 2.500€. La vidimazione è gestita a seconda della Regione di competenza (ad esempio in Lombardia non è prevista) e viene fatta rilasciata dall’ASL sezione lavoro competente (igiene e sicurezza). Non è prevista una sanzione per il ritardo nella vidimazione. Libro Unico del lavoro: non è il realtà un libro, in quanto non può essere tenuto manualmente. Deve essere prodotto con mezzi informatici in tre modi diversi: 1. stampa meccanografica (quella dei moduli continui), 2. stampa laser ( quella più diffusa dove l’INAIL mi autorizza a timbrare e dove, per ogni foglio, viene stampata la data e l’ora di stampa) 3. tenuta sostitutiva: si tratta di files informatici, che permettono di conservare il LUL in maniera informatica: e, rappresenta il futuro. Il lavoratore però, per la tenuta sostitutiva, deve seguire una serie di informazioni tecniche (doppia autenticazione creata da una procedura che mi permette anche di fare ricerca, apposizione della firma digitale ed apposizione della firma digitale del soggetto certificatore che inserirà anche la data e che, pertanto, sarà assolutamente certa. Il formato inizialmente previsto era un formato immagine e, dall’inizio del 2008, in PDF. Se è vero che ogni tipo di file è modificabile, è anche vero che in presenza di un codice ASHI esadecimale che muta al mutare anche di un solo bit, è facile rendersi conto se sono state apportate modifiche alla versione originaria del LUL stampato). Il Registro delle presenze deve essere tenuto almeno 5 anni, ma preferibilmente il più possibile (così si è cautelati se i lavoratori fanno causa all’azienda). Inoltre, non bisogna dimenticare l’esistenza del dato pensionistico dove la prescrizione dura 10 anni dalla data di maturazione dei requisiti per la pensione!!!

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Compendio realizzato con la collaborazione di: Enrico Berluti Dalila Marricco Daniele Pierucci

Roma, 30 Luglio 2013