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Costruzioni Metalliche - Prof. Ing. Franco Bontempi - Universita' degli Studi di Roma La Sapienza APPUNTI DEL CORSO DI COSTRUZIONI METALLICHE ANNO ACCADEMICO 2014/2015 MARIA VITTORIA SCIARRETTA

Appunti del corso di Costruzioni Metalliche - Sciarretta

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APPUNTI DEL CORSO

DI COSTRUZIONI METALLICHE ANNO ACCADEMICO 2014/2015

MARIA VITTORIA SCIARRETTA

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INDICE

1 ATTIVITÀ E STRUMENTI DI PROGETTO ............................................................................ 4

1.1 SCHEMI STRUTTURALI IDEALI ....................................................................................................... 7

1.2 GERARCHIA DEGLI ELEMENTI ..................................................................................................... 10

1.3 CRITERI DI PROGETTAZIONE ....................................................................................................... 12

1.4 ANALISI STRUTTURALE ............................................................................................................. 17

1.5 REQUISITI STRUTTURALI ........................................................................................................... 20

1.5.1 Duttilità .................................................................................................................. 21

1.5.2 Durabilità ............................................................................................................... 29

1.5.3 Robustezza ............................................................................................................ 31

1.5.4 Resilienza ............................................................................................................... 35

2 TEORIA DELLA PLASTICITÀ ............................................................................................ 37

2.1 PLASTICITÀ A LIVELLO DI MATERIALE ........................................................................................... 38

2.1.1 Criteri di rottura .................................................................................................... 40

2.1.2 Legami costitutivi di calcolo semplificati ............................................................... 43

2.2 PLASTICITÀ A LIVELLO DI ELEMENTO STRUTTURALE ......................................................................... 47

2.2.1 Elemento strutturale inflesso ................................................................................ 47

2.2.2 Concetto di cerniera plastica ................................................................................. 52

2.2.3 Sezioni pressoinflesse............................................................................................ 54

2.3 PLASTICITÀ A LIVELLO DI SISTEMA STRUTTURALE ............................................................................ 57

2.3.1 Comportamento elasto-plastico ........................................................................... 57

2.3.2 Studio della capacità portante .............................................................................. 61

2.3.3 Metodo elasto-plastico incrementale ................................................................... 62

2.3.4 Metodo dell’analisi limite...................................................................................... 63

3 CRISI DEGLI ELEMENTI STRUTTURALI ............................................................................ 68

3.1 INSTABILITÀ DELLE STRUTTURE ................................................................................................... 69

3.1.1 Teoria di Lyapunov ................................................................................................ 70

3.1.2 Problemi euleriani ................................................................................................. 72

3.1.3 Problemi non euleriani .......................................................................................... 77

3.2 INSTABILITÀ DI PIASTRE E LASTRE ................................................................................................ 78

3.3 INSTABILITÀ DI GUSCI ............................................................................................................... 80

4 COSTRUZIONI METALLICHE IN ZONA SISMICA ............................................................... 81

4.1 STRATEGIE DI PROGETTAZIONE ANTISISMICA ................................................................................. 86

4.2 SISTEMI DISSIPATIVI ORDINARI ................................................................................................... 86

4.3 METODO DI ANALISI N2 ........................................................................................................... 87

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5 ESERCITAZIONI DEL CORSO .......................................................................................... 89

5.1 ESERCIZIO 1: SISTEMA RETICOLARE A TRE ASTE.............................................................................. 89

5.2 ESERCIZIO 2: TELAIO PIANO ...................................................................................................... 98

5.3 ESERCIZIO 3: TRAVE DOPPIAMENTE INCASTRATA CON CARICO RIPARTITO .......................................... 108

5.4 ESERCIZIO 4: STUDIO DEL COMPORTAMENTO CRITICO E POST-CRITICO DI UN’ASTA VINCOLATA E CON

RIGIDEZZA CONCENTRATA ..................................................................................... 115

5.4.1 Struttura con comportamento stabile simmetrico ............................................. 115

5.4.2 Struttura con comportamento instabile simmetrico .......................................... 119

5.4.3 Struttura con comportamento asimmetrico ...................................................... 122

5.5 ESERCIZIO 5: ANDAMENTO DELLA CURVA CARICO-SPOSTAMENTO DI UN ARCO A TRE

CERNIERE RIBASSATO ........................................................................................... 125

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INTRODUZIONE

Il corso considera i problemi di concezione, progettazione, analisi strutturale e tecnologia delle costruzioni metalliche, con particolare riguardo a quelle in acciaio. Le costruzioni metalliche sono molto costose e particolarmente sofisticate. Tra tutte le tipologie possibili si analizzeranno gli edifici alti in acciaio. Il corso si articola in:

strumenti con cui impostare l’analisi: attività di progettazione e analisi strutturale; concezione di una struttura; aspetti specifici delle strutture in acciaio; problemi di calcolo: analisi non lineare, calcolo a rottura, instabilità (codici di calcolo

automatico).

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1 ATTIVITÀ E STRUMENTI DI PROGETTO

Gli aspetti da sviluppare nel corso dell’attività di progettazione strutturale sono i seguenti:

documentazione: relazioni di calcolo;

aspetti grafici: permettono di organizzare il problema e di sviluppare la soluzione;

calcoli: basati sull’utilizzo di codici di calcolo generali o specifici.

In un problema di analisi strutturale devono essere sviluppati e ricercati i punti di seguito

riportati, in modo da trattare in maniera esaustiva tutti i possibili problemi, le particolarità, le

peculiarità e le caratteristiche dell’opera in esame:

DATI DEL PROBLEMA STRUTTURALE:

struttura in termini di:

geometria:

locale;

globale;

materiale:

comportamento in esercizio;

comportamento a rottura;

condizioni al contorno:

vincoli;

carichi: distorsioni (variazione di temperatura), quantità statiche concentrate

o meno;

FASE DI CALCOLO: con l’utilizzo di codici di calcolo generale o specifico;

ELABORAZIONE DEI RISULTATI:

in termini di deformata: spostamenti dei vari elementi della struttura;

in termini di reazioni.

Nell’elaborazione dei risultati si parte dagli aspetti generali, globali, totali, fino ad arrivare a

quelli particolari, locali, parziali, confrontandoli con le limitazioni imposte dalla normativa.

A queste fasi nell’attività progettuale deve seguire il controllo dei risultati: nella relazione di

calcolo devono essere presenti due appendici, come richiesto nel capitolo 10 delle NTC 2008:

una relativa al/ai codice/i di calcolo utilizzato/i; si deve eseguire un controllo di qualità

con ridondanza di processo: la soluzione del problema in esame viene ricercata

attraverso più metodi di calcolo;

una contenente un giudizio critico motivato dei risultati ottenuti e dei modelli utilizzati.

Si riporta di seguito un esempio qualitativo che permette di chiarire l’importanza di esprimere

un giudizio critico dei risultati ottenuti e dei modelli utilizzati, in appendice al progetto

strutturale.

Si consideri una mensola con un foro di dimensioni e posizione note, caricata da una forza

concentrata all’estremità libera; si calcoli l’abbassamento della mensola. In prima istanza si

schematizza il problema con il modello ‘0’: trave di Bernoulli-Navier e si calcola l’abbassamento

dovuto al carico concentrato con la formula nota, ottenendo il valore della freccia f0. Sin da

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subito ci si rende conto che il problema preso in considerazione viene eccessivamente

semplificato dalla scelta del modello ‘0’ in quanto questo non tiene in conto la presenza del

foro.

Si comprende, quindi, la necessità di valutare attentamente vari punti:

il contesto, cioè le teorie considerate, in questo caso quella relativa al comportamento

della trave;

se la modellazione adottata è capace di rappresentare tutti i comportamenti. Potrebbe

verificarsi, infatti, che la teoria adottata sia effettivamente corretta, ma che la

modellazione, ad esempio piana, risulti inadeguata allo studio del problema;

se il valore numerico risulta corretto.

Per quanto riguarda la teoria da considerare, nel caso in esame si hanno varie possibilità:

teoria di De Saint-Venant: considera la trave a sezione sottile;

teoria di Bernoulli-Navier;

teoria di Timoshenko;

modello ad elementi finiti.

Per migliorare il modello rispetto a quello ‘0’ se ne introduce un altro: il modello ‘1’ in cui si

tiene conto della presenza del foro considerando la trave come composta da zone con sezioni

diverse e, quindi, con momenti di inerzia differenti. Con questo modello si calcola il valore della

freccia f1 che sarà ritenuto accettabile se appartenente al seguente intervallo: (L

200;L

400). La sola

appartenenza all’intervallo non garantisce, però, che il valore trovato sia effettivamente

corretto; potrebbe accadere, infatti, che il valore della freccia ottenuto nel modello ‘0’ (f0) risulti

maggiore di quello ottenuto nel modello ‘1’ (f1); in tal caso questa soluzione andrebbe scartata

in quanto la struttura senza buco è chiaramente più rigida di quella con il buco, che si deforma

di più e che, quindi, dovrà avere una freccia maggiore.

Se il risultato f1 fosse cambiato più del 5% rispetto al risultato f0, vorrebbe dire che la risposta è

sensibile al calcolo; in caso contrario, invece, non lo è.

Per procedere al calcolo si può seguire la strategia qui riportata:

si deve prestare attenzione alla sensibilità della soluzione a certi aspetti:

si può pensare di introdurre un modello ‘n+1’ in cui l’effetto della presenza del buco sia

massimo; in questo modo si potrà sin da subito avere un’idea sull’entità della freccia

massima (fmax). Come precedentemente esposto, se tale valore risultasse più piccolo del

valore della freccia di uno dei modelli precedenti, in cui l’effetto del buco è minore, il

risultato sarebbe sicuramente errato;

si deve procedere alla delimitazione del campo delle soluzioni:

questo aspetto è di fondamentale importanza per rendersi conto, in maniera rapida, di

eventuali valori non accettabili. In un grafico in cui i valori della freccia trovati per i vari

modelli sono riportati in funzione di tale numero, si può individuare un campo di

delimitazione all’interno del quale si trovano tutte le soluzioni accettabili.

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Si introduce un modello ‘2’ con link rigidi per fare in modo che la sezione ruoti restando rigida.

Le considerazioni da tenere presenti per valutare l’accettabilità delle soluzioni trovate sono

quelle precedentemente esposte. In generale:

si può affermare che si necessita di almeno due stime: il modello ‘n+1’ serve per

affermare che il modello ‘n’ va bene;

dopo un certo numero di modelli, se troppo raffinati, può avvenire che i risultati inizino a

divergere, quindi che siano palesemente sbagliati;

il numero di cifre significative da considerare e inserire nei calcolatori non deve essere

eccessivo: si introducono fino a tre cifre significative.

Si potrebbe rappresentare concettualmente la struttura mediante uno schema ad albero:

Per ognuno degli elementi sopra citati si possono approfondire di volta in volta aspetti

particolari che devono essere tenuti in considerazione nell’attività di progettazione.

Stru

ttu

ra

Sovrastruttura

Elementi orizzontali

Tipo Abitativo

Commerciale

Speciali Tetto

Pubblico

Elementi verticali

Colonne Esterne

Interne

Sistemi di controventa-

mento

Colonne

Diagonali

Montanti

Comporta-mento a trave

Link

Interfaccia

Di spessore normale

Rinforzata

Sottostruttura

Pali

Risposta alla base

Risposta superficiale

Suolo

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Parlando degli elementi orizzontali, ad esempio, si potrebbe avere a che fare con varie tipologie

di solai: solaio con un buco, solaio adiacente al corpo scala oppure al vano ascensore e così via;

chiaramente ci sarà bisogno di studiare il problema per ogni situazione particolare. I problemi

speciali che si potrebbero presentare riguardano, ad esempio, la forma del solaio e la presenza

di buchi, come precedentemente scritto.

Lo stesso discorso può essere fatto per quanto riguarda i sistemi di controventamento; i

controventi possono, infatti, essere ad aste concentriche, ossia tutti gli assi dell’elemento

convergono in un nodo, oppure ad aste eccentriche, le aste non convergono in un nodo. Si ha a

che fare con delle regioni particolari che sono i cosiddetti link rigidi che non possono essere

studiati utilizzando la teoria della trave, essendo caratterizzati da sezioni con un rapporto

L/h~1÷3. Il link è soggetto a compressione o trazione, a momento flettente e a taglio.

In altri casi si potrebbe presentare il problema di trattare una trave principale ‘dotata’ di fori

per il passaggio di cavi, andando ad operare per sottostrutturazione; in molti altri casi si

potrebbero dover risolvere problemi di deformabilità del nodo non banali in un collegamento. I

nodi sono, infatti, zone molto particolari: si potrebbero dover progettare moltissimi nodi

diversi, molti di più del numero di travi o di link che, seppure di tipi diversi, sono comunque

quasi tutti uguali tra loro.

Un ulteriore problema da trattare riguarda l’interazione suolo-struttura. Il terreno stratificato

va modellato per tenere conto della sua influenza sulla struttura, la fondazione profonda viene

modellata con una serie di molle con rigidezze variabili al variare della profondità.

La scomposizione dell’intera struttura in una parte superiore ed una inferiore, come si era soliti

fare a mano, oggi con l’uso dei calcolatori non ha più ragione d’essere.

I problemi speciali devono essere trattati a parte rispetto all’edificio intero:

si individuano le zone speciali;

si studiano a parte;

si sintetizza il tutto;

si reinseriscono nel modello con le zone regolari.

1.1 SCHEMI STRUTTURALI IDEALI

Ci si concentra sul confronto tra schema a telaio ‘Moment Resistent Frame’ (MRF) e schema pendolare ‘Concentric Braced Frame’ (CBF).

SCHEMA INTELAIATO: MOMENT RESISTENT FRAME (MRF)

si considerano aste tra loro incastrate in modo da sviluppare un comportamento

principalmente flessionale. In particolare, i nodi interni si considerano rigidi e i piedi delle

colonne risultano incastrati o incernierati. Nel suo complesso il sistema longitudinale appare

composto da elementi che collaborano tra loro per sopportare sia carichi verticali che

orizzontali: si sviluppa, quindi, un comportamento strutturale per integrazione.

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Figura 1: Schema intelaiato

SCHEMA PENDOLARE: CONCENTRIC BRACED FRAME (CBF)

si considerano aste tra loro incernierate in modo da sviluppare un comportamento

principalmente assiale; le colonne risultano delle bielle. In questo caso, i nodi interni si

considerano cerniere, incapaci di trasmettere l’azione flettente; i piedi delle colonne

risultano incernierati. Esiste una maglia della sezione in cui sono presenti elementi di

controventamento. Nel suo complesso la struttura appare formata da due sottoinsiemi

strutturali sovrapposti che sopportano uno i carichi verticali e l’altro i carichi orizzontali: si

sviluppa, quindi, un comportamento strutturale per specializzazione.

Figura 2: Schema pendolare

La distribuzione delle reazioni a terra differisce tra i due schemi: nel caso di schema intelaiato,

con comportamento per integrazione, si nota un’equalizzazione delle reazioni orizzontali; nel

caso di schema pendolare, invece, con comportamento per specializzazione, le reazioni a terra

risultano localizzate sotto la maglia dei controventi. Tutto ciò, nel caso di fondazioni isolate,

comporta chiaramente differenti dimensioni delle strutture di fondazione.

Si stanno considerando due tipi di schemi differenti: come detto, il primo lavora per integrazione, mentre il secondo per specializzazione. Per gli S.L.E. si possono fare le seguenti considerazioni:

la deformabilità assiale o tagliante del singolo concio ha molta meno rilevanza rispetto a

quella legata al momento flettente;

più deformabilità assiale equivale a dire meno deformabilità flessionale;

più rigidezza vuol dire meno deformabilità;

ad un valore di carico critico Pcr più alto, corrisponde una minore instabilità.

Per gli S.L.U. si esaminano gli aspetti relativi al collasso: resistenza: non è un aspetto discriminante, si deve solamente dimensionare

correttamente; il discorso cambia se si considera il sistema globale;

duttilità: la struttura MRF è più duttile;

stabilità: si possono avere problemi per gli schemi che portano a β maggiori; lo schema

MRF è più problematico da questo punto di vista.

Considerando i grafici degli esempi precedenti si possono evidenziare alcuni aspetti

fondamentali per i due tipi di schema:

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Tabella 1: Aspetti fondamentali per strutture a comportamento per integrazione e per specializzazione:

SCHEMA INTELAIATO

STRUTTURA PER INTEGRAZIONE

SCHEMA PENDOLARE STRUTTURA PER

SPECIALIZZAZIONE

1. REGOLARITÀ: semplicità; simmetria.

Lo schema intelaiato è più regolare

di quello pendolare.

2. RIPARABILITÀ (p.e. per sisma)

Questo è un aspetto legato allo schema pendolare: cambiato il ‘fusibile’ sismico, si

riesce a riparare il tutto più o meno con facilità.

3. FLESSIBILITÀ

Lo schema pendolare è più flessibile di quello intelaiato. Si specializza solo una parte, tutto il resto è più o meno simile; le strutture modulari

sono più flessibili.

4. ROBUSTEZZA Se un elemento crolla non è detto che crolli

tutto l’edificio.

Se crolla un elemento, crolla tutta la

struttura.

Si può, inoltre, distinguere le strutture in:

struttura a nodi fissi: è un sistema di aste in cui tutti i nodi che possono individuarsi si

possono spostare solamente attivando la deformabilità assiale delle aste. La

sollecitazione più importante è lo sforzo assiale. È una struttura intrinsecamente più

stabile, più vincolata rispetto all’altra, risulta essere meno flessibile e meno deformabile;

struttura a nodi mobili: è un sistema di aste che non è a nodi fissi. La sollecitazione più

importante è il momento, la parte flessionale è quella più rilevante. La struttura è più

deformabile e flessibile.

Per chiarire le differenze tra le due situazioni, accanto alla struttura reale se ne individua una

ausiliaria, uguale a quella reale, ma modificata negli aspetti seguenti:

indipendentemente dallo stato reale della aste, queste si considerano essere delle bielle

inestensibili;

si eliminano tutti i meccanismi di rigidezza flessionale legati ai vincoli esterni,

degradando tutti i vincoli esterni di incastro a cerniere;

si eliminano tutti i meccanismi di rigidezza flessionale legati ai vincoli interni,

degradando a cerniere tutti i nodi interni dove convergono due o più aste distinte.

Considerando la cinematica della struttura ausiliaria, se esiste la possibilità di attivare almeno

un moto rigido, allora vuol dire che la rigidezza flessionale, azzerata se si considerano gli ultimi

due aspetti sopra citati, è necessaria a rendere non labile la struttura reale che, quindi, risulta

essere un telaio a nodi mobili. I moti rigidi che si sono eventualmente individuati rappresentano

i modi deformativi più significativi per la struttura reale.

Se, in caso contrario, i nodi della struttura risultano vincolati in modo da impedire qualsiasi

moto rigido, nella struttura reale deve vincersi la rigidezza assiale delle aste per spostare i nodi

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stessi; ciò vuol dire che il comportamento della struttura in esame si basa sulle rigidezze assiali.

In particolare questo è vero quando tutti i nodi si possono considerare fissati attraverso

triangolazioni di aste.

1.2 GERARCHIA DEGLI ELEMENTI

Gli elementi strutturali non hanno tutti una stessa importanza, si può infatti parlare di gerarchia

degli elementi. In base al rapporto di utilizzo ‘r‘1 massimo, per ogni condizione di carico e per

ogni elemento, ci si può rendere conto della situazione in cui la struttura in esame viene a

trovarsi:

tra elementi dello stesso tipo, ad esempio colonne, si osserva subito quali gruppi sono

più sfruttati rispetto agli altri e quali sono progettati male avendo un rapporto di utilizzo

basso;

per i controventi si può notare che r≪1: r indica, infatti, come è usato l’acciaio nei

riguardi delle resistenza al limite plastico, ma per gli S.L.E. le condizioni possono essere

più significative. Per limitare la deformabilità, quindi, le sezioni possono essere più

grandi e di conseguenza r≪1.

Le sezioni delle colonne coinvolte nelle lame di controventamento e dei controventi sono più

critiche di quelle delle altre colonne e delle travi: mentre per le seconde si può tranquillamente

cambiare la sezione dell’elemento, per le prime bisogna fare attenzione a tali variazioni in

quanto, cambiando una di queste sezioni, si potrebbero influenzare le altre e si correrebbe il

rischio di risolvere una situazione rendendone un’altra non accattabile.

E’ importante anche considerare i pesi dei vari gruppi di elementi; in genere, gli elementi più

pesanti sono travi e colonne. Per quanto riguarda i controventi, se si riuscisse a far aumentare il

rapporto di utilizzo, riducendo le sezioni dei controventi in modo da sfruttare di più l’acciaio, si

risparmierebbe sul peso degli stessi, ma si potrebbero avere problemi nelle condizioni di S.L.E.;

la scelta da fare andrà attentamente ricercata tenendo in conto tutti gli aspetti su esposti.

In questo ragionamento rientra anche il numero di elementi di un certo tipo presenti nella

struttura; se, ad esempio, una colonna si danneggia, la situazione sarà ben diversa se la

struttura è composta da poche o da molte colonne.

Per eseguire una classificazione tra i vari elementi strutturali si definiscono dapprima le

cosiddette regioni nodali. Il volume di un componente strutturale, in generale, può essere

suddiviso in due tipi di regioni:

1 Rapporto di utilizzo: indica come è usato l’acciaio nei riguardi della resistenza al limite plastico. Se il rapporto di

utilizzo tende ad 1 si è progettato bene l’elemento strutturale in esame, avendo sfruttato l’acciaio al meglio. Agli S.L.E., per limitare la deformabilità, può però essere necessario ridurre il valore di r, dovendo aumentare le sezioni degli elementi.

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regioni diffusive: sono parti del volume del componente le cui grandezze dipendono dalla

dimensione maggiore della sezione del componente stesso; sono zone in cui il regime

statico e deformativo risulta essere complesso;

regioni di Bernoulli: sono parti del volume del componente in cui il regime statico e

deformativo è semplice e può essere inquadrato all’interno di una teoria strutturale della

trave.

Con il termine nodo strutturale si indica una zona della struttura che presenta delle singolarità

dal punto di vista del dominio strutturale in termini di:

caratteristiche del materiale;

geometria della struttura: variazione della linea d’asse dell’elemento, discontinuità della

sezione;

condizioni al contorno: in termini di vincoli e carichi concentrati applicati.

Alla luce di quanto appena esposto appare immediato classificare i nodi (semi-rigidi), i pannelli

dei nodi e i link come regioni diffusive e le aste come regioni di Bernoulli.

Alcuni criteri di progetto permettono di fare le seguenti distinzioni:

le travi sono elementi soggetti prevalentemente a flessione; agli S.L.U. tali elementi

possono plasticizzarsi;

le colonne sono elementi soggetti prevalentemente a sforzo assiale di compressione;

agli S.L.U. devono rimanere in campo elastico;

i diagonali sono elementi soggetti a sforzo assiale; agli S.L.U. devono rimanere in campo

elastico. Si è visto, infatti, come in caso di sisma si comportino male non avendo

duttilità;

i link sono elementi strutturali che possono plasticizzarsi; sono caratterizzati da rapporti

luce su altezza pari a l/h~1÷2;

il nodo semi-rigido può plasticizzarsi perché legato al comportamento flessionale della

trave; sono molle rotazionali che impediscono l’inflessione della trave;

il pannello dei nodi è un elemento che secondo le normative europee deve rimanere in

campo elastico in quanto legato al comportamento della colonna, secondo quelle

americane , invece, può plasticizzarsi.

Considerando una trave semplicemente appoggiata, è importante che la trave possa

plasticizzarsi, quindi che sia di classe 1 o 2. È importante, inoltre, che si evitino fenomeni di

instabilità:

locali: ad esempio ali o amime compresse;

globali, a livello dell’intero elemento: instabilità flesso-torsionale (sbandamento al di

fuori del piano), non dipende dalla sezione ma dall’altezza e dalla lunghezza della trave,

quindi dalla geometria.

Come già detto, affinché ci sia instabilità, l’elemento deve essere compresso. Nel caso della

trave appoggiata, con sezione a doppio T, soggetta a carico uniformemente distribuito in

direzione verticale, anche se l’elemento non è soggetto direttamente a sforzo assiale di

compressione, si avranno dei fenomeni d’instabilità locale sia in mezzeria, dove l’ala superiore

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del profilato a doppio T si instabilizzerà, sia agli appoggi, dove a causa degli alti sforzi di taglio si

avrà l’instabilizzazione dell’anima della trave stessa.

1.3 CRITERI DI PROGETTAZIONE

Il processo di progettazione strutturale è molto complicato e articolato, per cui nella vita

professionale risulta molto utile tenere presenti alcuni criteri generali che possono agevolare

l’attività lavorativa dell’ingegnere. Tra questi i più significativi sono:

REGOLARITÀ GEOMETRICA E SIMMETRIA: si consiglia l’adozione di una configurazione geometrica

chiara, lineare, con possibili simmetrie e ripetizioni a tutte le scale di lavoro, dal singolo

elemento strutturale, all’intera struttura;

SEMPLICITÀ: è un valore fondamentale che pone le basi per una certezza di

comportamento;

RIDONDANZA STRUTTURALE: si cerca di prevedere la duplicazione dei meccanismi e dei

percorsi resistenti, ponendoli in parallelo in maniera tale da assicurare la sicurezza

globale dell’opera anche in caso di crisi da parte di un sistema resistente, grazie alla

ridistribuzione dei percorsi di carico;

IPERSTATICITÀ: consiste nel progettare strutture con vincoli ed interconnessioni

sovrabbondanti rispetto alla quantità strettamente necessaria;

RIPARABILITÀ;

PREVEDIBILITÀ NEL TEMPO: riguarda la necessità di utilizzare materiali, componenti o soluzioni

con un comportamento il più possibile prevedibile nel tempo.

Considerando un edificio alto, sicuramente tra gli elementi più importanti da studiare ci sono le

colonne, elementi compressi. In generale, è di fondamentale importanza lo studio degli

elementi soggetti ad azioni assiali e di conseguenza il loro posizionamento all’interno della

struttura stessa.

Nella progettazione di elementi soggetti ad azione assiale, di compressione o di trazione, i

principi da seguire sono due: uno da applicare nel caso in cui l’azione sia di compressione, uno

nel caso sia di trazione. Si può pensare di intervenire sulla distribuzione delle aree all’interno

della struttura: tra le due situazioni di elementi raggruppati o distribuiti, in termini di verifica

della resistenza non c’è differenza, il valore della resistenza, infatti, non cambia nei due casi, ed

è pari a σ =P

2a2.

Per spiegare i concetti seguenti si considerino le figure riportate sotto: nella prima sono

rappresentati un elemento compresso ed uno teso in cui l’area della sezione, pari a 2∙a2, è

relativa ad una singola asta; nella seconda, invece, tale area è distribuita su due aste distinte. La

differenza tra le due configurazioni sta nei valori che assume il momento di inerzia I:

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I =8∙a4

12

Figura 3: Elemento compresso ed elemento teso

I =a4

12

Figura 4: Due elementi compressi e due elementi tesi

ELEMENTI SOGGETTI A COMPRESSIONE

Si preferisce raggruppare le aree compresse poiché in questo modo si ottiene un momento di

inerzia I maggiore rispetto al caso di aree distribuite, quindi un carico critico Pcr più elevato,

essendo Pcr =π2EI

l02 . Raggruppare le aree fa aumentare il carico critico Pcr. Questo è il motivo

per cui negli edifici alti è facile trovare elementi compressi grossi.

ELEMENTI SOGGETTI A TRAZIONE

Si preferisce distribuire le aree. In questo caso non si pone il problema dell’instabilità: non c’è

un carico critico, quindi il discorso sul momento di inerzia non entra in gioco; bisogna fare un

discorso sulle resistenze che, però, sono uguali nei casi di aree raggruppate o distribuite, come

detto sopra. Il motivo per il quale si preferisce distribuire le aree è legato alla robustezza

strutturale che risulta essere maggiore proprio se si ripartiscono le aree. Si riporta il caso di

quattro elementi in parallelo:

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Figura 5: Quattro elementi tesi

L’area totale vale sempre ATOT=2a2 . L’avere quattro elementi (o molti elementi, in generale) è

preferibile perché se un elemento collassa, si passa da un carico per elemento pari a P4 = 0.25∙P

ad un carico pari a P3 = 0.33∙P: le aste funzionanti sono diventate tre, quindi per ogni asta

rimanente in funzione il carico è aumentato del 30% circa. La rottura di un elemento dei

quattro in parallelo comporta un aggravio del 30% su ognuna delle tre aste rimanenti in

funzione. Pertanto, in termini di robustezza, distribuire elementi tesi può essere un modo per

aumentare la robustezza strutturale stessa.

ELEMENTI SOGGETTI A FLESSIONE

Figura 6: Possibili disposizioni delle aree nel caso di elementi soggetti a flessione

Una possibilità per migliorare il comportamento a flessione potrebbe essere quella di

distribuire idealmente tutta la massa resistente sul perimetro, come nella figura di destra. In

questo caso, su ciascun lato si avrebbe un’area pari ad A/4. Ci si deve sempre confrontare con

la rigidezza flessionale EI. Nel primo caso I =a4

12, nel secondo caso invece I =

a2

4(5

2a)

2

≅ 3a2,

trascurando gli elementi orizzontali e considerando solo il momento di inerzia di trasporto. Si

nota, quindi, che centrifugando le aree si ottiene un momento d’inerzia pari a circa 30 volte

quello ottenuto nel caso di area concentrata. Nel caso di elementi soggetti a flessione, quindi,

per quanto detto prima, si preferisce centrifugare le aree.

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ELEMENTI SOGGETTI A COMPRESSIONE E FLESSIONE

In questo caso si dovranno combinare i concetti esposti nel caso di compressione e in quello di

flessione. Alla luce di quanto visto si preferisce disporre le aree in maniera tale da avere pochi

elementi grossi centrifugati, disposti ai lati del perimetro.

Figura 7: Disposizione delle aree nel caso di elementi soggetti a compressione e flessione

ELEMENTI SOGGETTI A TAGLIO

In questo caso si avrà complessivamente l’effetto del caso della flessione.

Figura 8: Modalità staticamente equivalenti di imporre uno stato di sollecitazione sull’edificio

Invece di considerare il momento flettente che inflette la sommità dell’edificio, in un modo

equivalente si potrebbe pensare di applicare quattro forze, due di trazione e due di

compressione, agli spigoli del piano superiore della struttura in maniera tale da ottenere una

situazione uguale a quella in cui era applicato il solo momento flettente, ottenendo uno stesso

comportamento dell’edificio. Le due situazioni sono staticamente equivalenti. Le sollecitazioni

sulla sommità dell’edificio sono riportate in termini qualitativi nella figura seguente.

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Figura 9: Stato di sollecitazione imposto dal sistema di forza (a sinistra) e dal momento flettente (a destra)

Se si applica momento flettente e se la sezione ruota restando piana (vele la teoria della trave

di De Saint Venant), il diagramma delle tensioni σ sarà a farfalla, come si può osservare nella

figura superiore, a destra.

Se si applicano, invece, quattro forze, sperimentalmente si nota che l’andamento delle tensioni

è diverso da quello teorico: in corrispondenza degli spigoli si hanno delle zone più rigide, dove ci

sarà un tasso di lavoro più grande che nelle altre. Dato che deve sempre essere verificato

l’equilibrio globale, le parti più rigide si caricheranno di più, mentre quelle più flessibili si

caricheranno meno: questo spiega l’andamento reale delle tensioni (in rosso nella figura

superiore a sinistra). Le distribuzioni delle tensioni non sono rettangolari: si notano degli

incrementi di tensione sugli spigoli, zone più rigide, e dei decrementi nelle zone interne, più

flessibili. Complessivamente le risultanti sono le stesse.

È da notare che il comportamento è sempre elastico lineare, cambia soltanto, per effetto delle

differenti parti di rigidezze, la distribuzione delle tensioni σ. La distribuzione a farfalla delle

tensioni presuppone che la sezione ruoti restando piana, quindi che sia valida la teoria di De

Saint Venant, alla base della quale c’è l’ipotesi che la sezione sia compatta. La sezione reale,

però, non è compatta perché l’area è stata centrifugata verso l’esterno, è diventata una sezione

a profilo sottile. Il fenomeno che nasce quando si abbandona l’ipotesi di sezione che ruota

restando piana è detto shear lag: ritardo del taglio.

Si esamini un caso semplice: una mensola soggetta a pura trazione. Si ipotizza che la mensola

abbia una sezione con altezza non trascurabile rispetto alla lunghezza. In prossimità

dell’incastro, immaginando di rimuovere tale vincolo, si avrà uno stato di sforzo costante

σ=P/A. Via via che ci si sposta sulla lunghezza della mensola, se le sezioni non ruotano restando

piane, una generica fibra si sposterà più o meno di quelle ad essa adiacenti, in base alla propria

posizione rispetto al punto di applicazione della forza di trazione P. Il profilo della faccia

estrema della sezione considerata non resterà piano, ma avrà una configurazione spezzata. Se

si fissa l’attenzione su una porzione della sezione estrema, risulta evidente che il taglio fluisce

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verso le fibre esterne che sono un po’ in ritardo nel ‘capire come deformarsi’: è proprio questo

il fenomeno dello shear lag, cioè il ritardo con cui da una situazione di forza concentrata, le

tensioni si diffondono in maniera uniforme.

Per evitare il fenomeno dello shear lag si potrebbe posizionare una flangia che

materializzerebbe la sezione che trasla restando piana, trascinando con sé tutte le fibre. In

quest’ottica, in testa all’edificio si dovrebbe posizionare una sorta di ‘flangia’ materializzata

come un piano rigido che ha lo scopo di uniformare lo stato tensionale: si posiziona, quindi, un

piano tecnico, il cosiddetto outrigger che equalizza il comportamento deformativo.

In alternativa si può seguire un’altra strategia, ossia quella di utilizzare, al posto che un unico

tubo di grandi dimensioni, quattro tubi più piccoli, suddividendo la zona sommitale dell’edificio.

Come già detto, le parti rigide sono gli spigoli, i cosiddetti ribs. Grazie alla disposizione dei

quattro tubi gli spigoli non sono più solamente quattro, come nel caso precedente, ma sono

nove. In questo caso non si ha una distribuzione delle tensioni σ come nel caso iniziale in cui era

presente il fenomeno dello shear lag; adesso le tensioni fluiscono verso i vari spigoli

permettendo una ridistribuzione delle tensioni quasi uniforme, ma non completamente

uniforme come se si inserisse un outrigger.

Chiaramente, aumentando la suddivisione in cellule dell’edificio, si avrà una distribuzione delle

tensioni via via più uniforme.

Tutti i concetti visti per edifici alti valgono anche per edifici lunghi.

1.4 ANALISI STRUTTURALE

Il metodo di analisi strutturale deve essere coerente con le ipotesi di progetto. L’analisi deve essere basata su modelli strutturali di calcolo appropriati, a seconda dello stato limite

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considerato. Le ipotesi scelte e il modello di calcolo adottato devono essere in grado di riprodurre il comportamento globale della struttura e quello locale delle sezioni adottate, degli elementi strutturali, dei collegamenti e degli appoggi. Nell’analisi globale della struttura, in quella dei sistemi di controvento e nel calcolo delle membrature si deve tener conto delle imperfezioni geometriche e strutturali di cui al paragrafo 4.2.3.5. delle NTC 2008. Nell’analisi strutturale si devono considerare, se rilevanti, tutti gli effetti che possono influenzare la resistenza e/o la rigidezza della struttura e il suo comportamento, quali, ad esempio, imperfezioni, effetti del secondo ordine, fenomeni d’instabilità locale, effetti di trascinamento da taglio.

CLASSIFICAZIONE DELLE SEZIONI RESISTENTI

Per definire il processo di analisi e verifica di sistemi di travi con sezioni reali, le varie normative propongono suddivisioni delle sezioni in classi. Questo giudizio qualitativo del profilato è influenzato:

dal tipo di acciaio che costituisce il profilo; dalle proporzioni geometriche fra le varie parti della sezione trasversale del profilo; dal diagramma delle tensioni presenti sulla sezione trasversale; dal tipo di analisi condotta a livello di sezione o di sistema; dalla possibilità da parte della anime o delle flange di instabilizzarsi; dalla duttilità risultante della sezione.

Si definiscono quattro classi per le sezioni trasversali, caratterizzate da diversi diagrammi momento-curvatura:

Figura 10: Classificazione delle sezioni resistenti in base al diagramma momento-curvatura

Tabella 2: Classificazione delle sezioni resistenti:

CLASSE DUTTILITÀ TIPO DI ANALISI NOMENCLATURA ESEMPIO DI

SEZIONE

1 ≥5 Elasto-plastica Sezioni plastiche: estrema duttilità

2 ≥2.5

Elastica elasto-plastica con

controllo della duttilità

Sezioni compatte: duttilità limitata

HE-M

3 ≈0 Elastica Sezioni semi-

compatte: senza duttilità

HE-A IPE

4 <0 Elastica Profili sottili

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Classe 1: è la classe delle sezioni plastiche; sono in grado di assicurare una duttilità pari a

quella teorica della sezione che è in grado di sviluppare una cerniera plastica avente la

capacità rotazionale richiesta per l’analisi strutturale condotta con il metodo plastico,

senza subire riduzioni della resistenza. Possono generalmente classificarsi come tali le

sezioni con capacità rotazionale: Cθ > 3;

Classe 2: è la classe delle sezioni compatte nelle quali cominciano a insorgere problemi

locali che inducono una minore duttilità della sezione. Se si vuole applicare l’analisi

elasto-plastica per queste sezioni occorre sia procedere ad un accurato controllo delle

deformazioni cui è soggetta la sezione stessa, sia provvedere a stabilizzare, con

opportuni elementi irrigidenti, le parti della sezione che risultassero carenti. La sezione è

in grado di sviluppare il proprio momento resistente plastico, ma con capacità

rotazionale limitata. Possono generalmente classificarsi come tali le sezioni con capacità

rotazionale: 1.5≤Cθ≤3;

Classe 3: è la classe delle sezioni semi-compatte che non riescono a plasticizzarsi, ma

solamente a raggiungere nella fibra esterna la tensione limite di snervamento. Sono

sezioni che non riescono a ridistribuire le tensioni all’interno della sezione stessa a causa

dell’insorgere di fenomeni di instabilità locale. Le tensioni nella sezione, calcolate nelle

fibre estreme compresse, possono raggiungere la tensione di snervamento, ma

l’instabilità locale impedisce lo sviluppo del momento resistente plastico;

Classe 4: è la classe delle sezioni snelle che non riescono a raggiungere il limite elastico a

causa dell’insorgere di fenomeni di instabilità locale. Per determinare la resistenza

flettente, tagliante o normale è necessario tener conto degli effetti dell’instabilità locale

in fase elastica nelle parti compresse che compongono la sezione. In tal caso nel calcolo

della resistenza la sezione geometrica effettiva può sostituirsi con una sezione efficacie.

Nella classificazione precedente rientra la capacità rotazionale Cθ definita come:

Cθ =θrθy− 1

con θr e θy le curvature corrispondenti rispettivamente al raggiungimento della deformazione

ultima e della deformazione di snervamento.

Per determinare la classe di appartenenza di una sezione occorre:

calcolare il rapporto ε=√235

fy;

calcolare la classe per ogni pannello, confrontandone la snellezza l/t con il valore del

coefficiente ε, con l’aiuto di tabelle fornite dalle normative in funzione della snellezza

stessa del pannello e dello stato tensionale presente;

la classe della sezione, in generale, è la massima classe raggiunta dai singoli elementi

costituenti la sezione.

La distribuzione delle tensioni nel caso di profili in classe 1 e 2 è determinabile con gli approcci

dell’analisi plastica; nel caso di sezioni in classi 3 e 4, invece, lo stato tensionale può essere

determinato con i tradizionali metodi dell’analisi elastica.

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Scopo della classificazione delle sezioni in acciaio è quello di quantificare l’influenza dei fenomeni di instabilità locale sulla resistenza e sulla capacità deformativa delle sezioni in acciaio. Le tabelle 4.2.I÷III delle NTC 2008 forniscono indicazioni per definire se una sezione appartiene alle classi 1, 2 o 3; il metodo di classificazione proposto dipende dal rapporto tra la larghezza e lo spessore delle parti della sezione soggette a compressione, per cui nel procedimento di classificazione devono essere considerate tutte quelle parti completamente o parzialmente compresse.

La sezione è in genere classificata secondo la classe più sfavorevole delle sue parti compresse. In alternativa, è possibile procedere ad una classificazione separata delle flange e dell’anima della sezione, limitando localmente, all’interno della sezione, le capacità plastiche delle singole parti. Le sezioni che non soddisfano i requisiti imposti per la classe 3 sono di classe 4.

1.5 REQUISITI STRUTTURALI

Si elencano di seguito i requisiti strutturali:

RIGIDEZZA: consiste nella capacità della struttura di limitare le deformazioni a valori

considerati ammissibili sotto l’azione di carichi legati all’usuale esercizio;

RESISTENZA: intesa come la reazione massima che un’entità strutturale riesce ad opporre al

crescere della sollecitazione esterna, prima di giungere al collasso, o ad uno S.L.U.. Tale

requisito può essere inteso a vari livelli gerarchici; si può, quindi, parlare di resistenza a

livello di materiale, di sezione, di elemento, di struttura;

STABILITÀ: da un punto di vista statico è la capacità della struttura di ritornare nella

configurazione di equilibrio dopo aver subito una perturbazione. Tale requisito è

fondamentale nella progettazione di elementi strutturali snelli, o prevalentemente

compressi;

DUTTILITÀ: è la capacità della struttura di offrire un opportuno grado di resistenza oltre il

dominio di risposta elastica, cioè in campo plastico, con la mobilitazione di spostamenti e

deformazioni oltre il limite elastico, ottenuti con modesti incrementi di forza. Anche la

duttilità, come la resistenza, può essere definita a livello di materiale, di sezione, di

elemento o di struttura. L’ottenimento di un adeguato grado di duttilità della struttura è

uno dei principali obiettivi della progettazione, per evitare rotture di tipo fragile.

DURABILITÀ: è definita come conservazione delle caratteristiche fisiche e meccaniche dei

materiali e delle strutture; è una proprietà fondamentale che garantisce i livelli di

sicurezza durante tutta la vita utile di progetto dell’opera. E’ funzione dell’ambiente in

cui la struttura si trova e del numero di cicli a cui essa può essere sottoposta. La

durabilità consiste nella capacità di una struttura di mantenere invariate, al passare del

tempo e dell’utilizzo, la funzionalità ed i margini di sicurezza nei confronti degli stati

limite verificati in fase di progetto, ipotizzando che venga effettuato il previsto piano di

manutenzione;

ROBUSTEZZA: è la capacità della struttura di evitare danni sproporzionati rispetto all’entità

delle cause scatenanti come incendi, esplosioni, urti o conseguenze di errori umani;

RESILIENZA;

SOSTENIBILITÀ.

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1.5.1 DUTTILITÀ

La sopravvivenza delle strutture sottoposte ad azioni eccezionali non può essere affidata alla

sola resistenza, per problemi di costi economici; si deve invece prevedere la fuoriuscita della

struttura del campo elastico, con deformazioni plastiche anche rilevanti, senza tuttavia che essa

raggiunga il collasso.

A livello di materiale la duttilità si valuta sui legami costitutivi. Se per esempio si considerano i

legami normativi presenti nel capitolo 4 delle NTC 2008, assegnato un certo stato tensionale nel

punto, l’area al di sotto del diagramma costitutivo fino al punto σ-ε rappresenta l’energia per

unità di volume che il materiale ha immagazzinato. Allo scarico da tale punto solo una parte

dell’energia viene restituita e l’aliquota non restituita è stata dissipata plasticamente,

conseguentemente il materiale presenta deformazioni permanenti allo scarico. Se l’energia

viene restituita tutta allora il materiale è elastico. La duttilità si definisce numericamente in

modo semplice se il legame costitutivo è elasto-plastico. In particolare la duttilità μ0, in termini

di σ-ε, si definisce come il rapporto tra la deformazione ultima e la deformazione di

snervamento:

μ0 =εuεy

Figura 11: Legame costitutivo elasto-plastico

È il parametro più importante che si utilizza nel valutare la portanza ultima delle strutture in

acciaio in campo elasto-plastico; descrive le risorse plastiche in termini deformativi del

materiale: più il materiale è duttile, più esso può deformarsi senza giungere a rottura.

CARICO MONOTONO CRESCENTE Le considerazioni che seguono sono valide nel caso di carico monotono crescente, ovvero nel caso di spostamento imposto crescente.

Figura 12: Diagramma carico-spostamento

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Per definire la duttilità si fa riferimento a schemi e comportamenti semplici: comportamento elasto-plastico, infinitamente plastico; il sistema è ad infinita duttilità:

comportamento ideale completamente fragile; il sistema è a duttilità nulla:

tra le due situazioni precedentemente esposte c’è un comportamento intermedio:

in questo caso si può definire il coefficiente di duttilità in due modi differenti:

duttilità cinematica: μCIN =qu−qy

qy;

duttilità energetica: μEN =LTOT

Ed.

Entrambe le misure vanno bene in quanto permettono di ottenere gli stessi risultati, coerenti con i modelli a duttilità infinita o a duttilità nulla.

Per semplificare la trattazione si considera il comportamento efficace della struttura e si approssima il comportamento generico ad una bilatera, come riportato nella figura seguente:

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Figura 13: Comportamento approssimato ad una bilatera

La soglia superiore viene fissata ad un valore efficace definito per convenzione, in genere pari a Peff = (0.8÷0.85)P; con tale schematizzazione in una zona centrale del grafico si opera a favore di sicurezza(ci si trova al di sotto del limite massimo), in quelle successiva e precedente ci si trova, invece, a sfavore di sicurezza. Osservando che il procedimento fatto è un’operazione di approssimazione della funzione che descrive la curva con una bilatera, ci si può rendere conto che in termini di lavoro, quindi di energia, si sono considerate delle aree in più a fronte di quelle che invece non sono state considerate: si è scambiato il comportamento reale con un comportamento approssimato. A questo punto si può valutare la duttilità cinematica o quella in termini energetici, facendo riferimento allo schema semplificato su riportato. Tutte le normative contengono regole per il passaggio dalla curva reale a quella approssimata.

In questo discorso è presente un aspetto problematico: in realtà la curva non è semplice come quella rappresentata prima dell’approssimazione, ma è formata da una serie di spezzate, per cui il comportamento reale è molto più complesso di quello inizialmente ipotizzato (chiaramente maggiore è il numero di aste ed elementi nella struttura e meglio approssimabile ad una curva sarà ciò che si ottiene nel grafico carico-spostamento).

Un aspetto rilevante è che nella struttura ci saranno anche una serie di imprecisioni. Se la struttura è iperstatica e c’è una certa duttilità, il collasso di una parte della struttura non comporta il collasso dell’intera struttura. In generale le rotture si propagano per cui chiaramente la risposta degrada, fino a quando la struttura non è più in grado di sopportare i carichi e cede. Con l’analisi strutturale si riesce a seguire la formazione di tutte le cerniere plastiche o l’insorgenza di instabilità negli elementi in modo tale da poter tracciare il diagramma carichi-spostamenti.

L’interpretazione della curva reale non è immediata, si possono riscontrare vari problemi: individuare i valori di massimo;

compensare le aree: per diagrammi che rappresentano situazioni reali più complesse la

compensazione può non essere più accettabile;

identificare il punto in cui termina il diagramma; la curva si arresta nel modo seguente:

ogni volta che c’è una perdita di resistenza brusca, si valuta a cosa sia dovuto il salto

osservato (alla formazione di una cerniera plastica, ad un elemento che si instabilizza,

alla plasticizzazione, ecc.), giudicando, al di là di quello che emerge dal modello, se quella

rottura può essere ‘incassata’ dalla struttura oppure no. Il giudizio in un caso reale va

fatto al di là di ciò che il modello afferma, guardando ciò che accade nella struttura e

valutando se la rottura di un elemento è tollerabile o meno.

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ESEMPIO Ottenuto il valore del drift finale per una struttura, si deve valutare se tale spostamento sia accettabile oppure no. Ciò dipende dall’altezza dell’edificio:

allo S.L.E. si dovrà avere un drift pari a ΔSLE =H

500, considerando la struttura

approssimata ad una mensola;

allo S.L.U., in prossimità del collasso, si dovrà avere un drift pari a ΔSLU =H

50.

Chiaramente la situazione di collasso è molto incerta perché dipende da vari aspetti.

CARICO APPLICATO CICLICAMENTE È molto importante valutare cosa succede quando un elemento è soggetto a un carico ciclico e dare un giudizio sulla duttilità in questa situazione.

A livello di materiale:

COMPORTAMENTO CICLICO ELASTICO, PERFETTAMENTE PLASTICO Si considera il comportamento di un provino soggetto a trazione e compressione. In maniera idealizzata: si ha un comportamento elastico lineare fino a un certo valore, successivamente il comportamento è di tipo plastico perfetto, seguito poi da una discesa del carico fino a σ nulla con ε diversa da zero: la deformazione residua finale εr, diversa da zero, è la prova del comportamento irreversibile plastico dell’acciaio. La deformazione totale εTOT è composta dalla deformazione di snervamento εy più la deformazione plastica εp. Quando si scarica il provino si recupera una parte della deformazione che è quella di snervamento εy.

La situazione potrebbe essere più complicata, con un profilo della risposta più complesso, simile, ad esempio, a quello riportato nella figura seguente:

Figura 14: Comportamento ciclico elastico, perfettamente plastico

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Tale comportamento è ciclico con plasticità perfetta. È il caso in cui non c’è incrudimento. Si parte dal provino scarico indeformato e si suppone che allungandolo il provino si plasticizzi; in questa situazione la forza non aumenta. Si decide poi di scaricare il provino stesso. La legge di scarico prevede che si scenda lungo una retta con pendenza uguale a quella iniziale. Come detto scaricando si arriverà in corrispondenza di un punto per cui la σ è nulla e la deformazione residua εr sarà quella plastica εp, avendo il provino recuperato la deformazione elastica εy. Si inizia poi a comprimere il provino, potendo arrivare fino ad un limite in corrispondenza del quale questo plasticizza per compressione; se si lavora a spostamento imposto si può accorciare il provino: lo sforzo non può scendere sotto il valore -σy. Quando il provino ha uno stato tensionale-deformativo descritto da un punto che si trova sull’asse y, allora questo avrà le dimensioni iniziali (la deformazione ε è nulla), ma contiene al suo interno uno stato di forze pari a σy. Andando avanti si può accorciare ancora il provino fino a decidere poi di riallungarlo e così via, compiendo dei cicli di carico e scarico.

COMPORTAMENTO CON INCRUDIMENTO CINEMATICO (HARDENING) La legge che regola il comportamento dell’acciaio incrudente segue uno skyline diverso rispetto al caso precedente:

Figura 15: Comportamento con incrudimento cinematico

A differenza del caso in cui non si ha incrudimento (comportamento perfettamente plastico), in questo caso si ha un modulo di rigidezza E nel primo tratto, più basso di quello del materiale vergine, ed un altro modulo H (hardening) nel tratto incrudente. A compressione il materiale inizia a snervare per un valore < |σy|. Analogo discorso a trazione: il materiale incrudisce per σ>σy. Mentre nel caso precedente si aveva una fascia ± σy entro cui l’andamento σ-ε si poteva ‘muovere’, in questo caso ci si sposta all’interno di un fuso delimitato da due rette parallele con pendenza pari ad H, passanti una per (0; σy) e l’altra per (0; -σy). Tale comportamento è detto ad incrudimento cinematico in quanto la fascia ± σy si sposta lungo il fuso. Il materiale è incrudito. Tale comportamento ciclico in cui le caratteristiche cambiano, è detto effetto Baushinger.

Nel caso di comportamento ciclico non ha senso valutare la duttilità in termini di μCIN in quanto è difficile valutare gli spostamenti nel caso di comportamento ciclico; resta però invariato il significato di μEN, essendo basato su un rapporto di aree, ossia di lavori.

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A livello di elemento:

Figura 16: Biella soggetta a trazione

Figura 17: Comportamento ciclico con instabilità

Si considera una biella soggetta ad uno spostamento imposto, di area A, luce L, in acciaio; la rigidezza della biella è k=EA/L. Si sottopone la biella ad una forza F, inizialmente di trazione, crescente fino al valore di snervamento Fy; a questo punto si prosegue a forza costante e pari proprio a Fy. Se non ci fossero fenomeni di instabilità, la situazione sarebbe come quella trattata nel caso precedentemente esposto. Si considera però che ci sia instabilità.

Nel punto 2, la biella si è allungata di Δ2: se a questo punto si scaricasse il carico, si recupererebbe l’aliquota di deformazione elastica. Man mano che si prosegue con lo scarico, la biella si accorcia, trovandosi ancora in una situazione in cui è tesa rispetto alla configurazione iniziale.

Ad un certo punto lo scarico sarà tale da far sì che la F sia nulla: ci si trova nel punto 3 del grafico; la deformazione non sarà nulla perché non può essere recuperata tutta: in questa condizione la biella è allungata plasticamente, con una lunghezza pari a L+Δ3.

Si comincia poi a comprimere, arrivando nel punto 4 in cui la biella si è accorciata rispetto alla situazione del punto 3, ma è più lunga di Δ4 rispetto alla situazione 0. La biella si sta comprimendo, quindi può esserci instabilità.

Continuando a comprimere: nel punto 7 (biella sbandata), si ha un Δ7 negativo: la biella è più corta rispetto alla situazione 0.

Ad un certo punto, quando la biella sbanda, non si avrà solamente compressione, ma anche momento flettente (con un massimo nella mezzeria), in cui si formerà una cerniera plastica. La biella oltre ad essere più corta ha anche una cerniera plastica in mezzeria in corrispondenza della quale si ha una cuspide perché è violata la congruenza: non si ha più andamento continuo della curvatura.

Se la forza aumentasse ancora, si arriverebbe nel punto 9, che avrà un’ordinata minore rispetto a Fy in quanto, tirando la biella, si agisce su una struttura con una cuspide.

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Ciò fa sì che dopo qualche ciclo (un paio di cicli) la biella si rompa nel punto centrale! La singola biella sotto carico ciclico funziona malissimo. Il degrado è sia nella resistenza massima che nella rigidezza.

A livello di maglia strutturale:

Si considera una maglia strutturale come quella riportata in figura. Il singolo elemento ha un comportamento come quello descritto nel caso precedente. Si analizza ora il comportamento ciclico non del materiale o del singolo elemento, ma della maglia strutturale: una generica maglia di controvento. Si suppone di avere all’inizio uno spostamento positivo

come in figura. Dei due elementi diagonali uno solo è in

funzione, quello teso, l’altro, compresso, è inattivo

perché instabilizzato.

Se lo spostamento fosse molto grande, si potrebbe avere

un comportamento in campo plastico. Se il carico fosse

monotono crescente, non si avrebbero problemi poiché la

biella compressa comunque non sarebbe attiva, mentre

quella tesa si allungherebbe via via di più seguendo un

comportamento come quello descritto appunto nel caso

di carico monotono crescente.

Se il comportamento fosse ciclico, ad un certo punto si

dovrà invertire la situazione. L’elemento diagonale che

nella situazione 1 era teso, nella situazione 2 sarebbe

compresso, quindi instabilizzato, mentre il diagonale che

nella situazione 1 era compresso sarebbe ancora tale: non

ci sarebbe nessun diagonale attivo in questo caso,

essendo i due elementi entrambi compressi. Per quanto

riguarda le forze orizzontali, praticamente non si ha

nessuna forza di richiamo. L’instabilità è in campo elastico

lineare.

In una situazione 3, continuando a muoversi nello stesso

lato, si tornerà nella situazione di partenza,

configurazione verticale perfetta.

L’elemento diagonale che si era instabilizzato in campo

elasto-plastico resterà tale perché non può più tornare a

una situazione iniziale; l’altro elemento invece funziona,

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essendosi plasticizzato in campo elastico lineare.

In una situazione successiva, l’elemento che nelle

situazioni 1 e 2 era compresso ora è teso, quindi, in

questa configurazione è attivo; l’altro elemento sarà

instabilizzato e quindi inattivo.

Nella situazione 5 entrambi i diagonali sono inattivi

essendosi plasticizzati entrambi in campo elasto-

plastico.

Dopo i due cicli appena descritti, la trave può spostarsi come vuole all’interno di un preciso

range perché non è ritenuta da nessun diagonale. La trave arriva a fine corsa con un urto

dinamico: dopo pochi cicli (5÷10), le connessioni tra trave e diagonali saltano. In pochi cicli,

quindi, prima si snerva un diagonale e poi lo so instabilizza, la stessa cosa si ripete dall’altro lato

per l’altro diagonale. Tale comportamento dinamico tipo urto-impatto in pochi cicli danneggia il

controvento causando problemi alle connessioni.

Gli elementi di controventamento concentrici funzionano bene nelle condizioni di esercizio

essendo estremamente rigide, ma funzionano malissimo in termini di duttilità.

Per evitare lo sbandamento del controvento si mette un tutore cilindrico in gesso, attorno

all’elemento diagonale, che non ha funzione né di rigidezza né di resistenza e non è collegato ai

nodi dell’asta, per cui allungando l’asta il tutore resta fermo, comprimendola questo blocca lo

sbandamento dell’asta stessa. L’asta compressa non può, quindi, instabilizzarsi e si deformerà

con una serpentina e non con la deformata dell’asta di Eulero. Si parla in questo caso di

diagonali ad instabilità impedita: l’elemento funziona anche quando è compresso, restando

confinato nel tutore in gesso. Lo svantaggio di tale soluzione è il costo: il tutore deve avere una

certa resistenza per non strapparsi o imbarcarsi quando l’asta cerca di sbandare.

L’inserimento di controventi con dispositivi dissipativi risulta molto efficace per la protezione

sismica degli edifici in acciaio; già da alcuni anni l’utilizzo dei dispositivi ad instabilità impedita, i

cosiddetti ‘Buckling Restrained Brace’ (BRB) viene studiato anche in Italia. I BRB sono costituiti

da un cuore di metallo incapsulato in un tubo di acciaio che può essere riempito con malta o

altro materiale che riesca a confinare il cuore di metallo in modo da prevenire l’instabilizzazione

(tra i due materiali viene inserito uno strato di materiale che ne permetta il “perfetto

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scorrimento”). Questi dispositivi, sottoposti a un evento sismico, offrono la possibilità di

dissipare una notevole quantità di energia sismica senza danneggiare gli altri elementi

strutturali. L’utilizzo di questo tipo di dispositivi inseriti nei diagonali dei controventi presenta

maggiori vantaggi rispetto ai classici tipi di bracci di controventi in termini di capacità di

deformazione ciclica anelastica. I dispositivi BRB possono modificare la risposta sismica della

struttura su cui sono inseriti aggiungendogli resistenza e rigidezza. Inoltre, il dispositivo a

instabilità impedita, può essere modellato come uno smorzatore isteretico e quindi accoppiato

in parallelo alla struttura che si vuole proteggere da un evento sismico per farla rimanere in

campo elastico mentre il dispositivo può danneggiarsi fino alla rottura. Anche se i controventi

muniti di dispositivi ad instabilità impedita permettono di dissipare una quantità maggiore di

energia rispetto ad altri tipi, d’altro canto possono esibire delle forti deformazioni plastiche

senza essere in grado di distribuire la duttilità a tutto l’edificio; ciò comporta la localizzazione

delle deformazioni plastiche. Tutto ciò si traduce nella forte dipendenza della duttilità globale

della struttura alla distribuzione di rigidezza e resistenza dei BRB lungo l’altezza della struttura

stessa.

1.5.2 DURABILITÀ

La durabilità definisce la capacità della struttura di conservare le sue proprietà di progetto per

tutta la durata della sua vita utile nominale, in specifiche condizioni ambientali e di

manutenzione. Si evidenzia, pertanto, che tale caratteristica oltre ad essere influenzata dalle

proprietà dei materiali previsti in progetto, dipende anche da come questi vengono messi in

opera, dalle condizioni ambientali in cui vive la struttura e dagli interventi di manutenzione che

vengono effettuati. Le normative tecniche indicano chiaramente che la durabilità deve essere

un parametro del progetto, non solo per la corretta definizione della vita nominale della

struttura, ma anche per una stima corretta del costo dell’opera che non è dovuto solo ai costi

iniziali di costruzione, ma anche a quelli di manutenzione, e che deve essere rapportato

all’intero ciclo di vita della costruzione stessa.

Il degrado può avere due tipi di origine:

endogena: azioni di origine ambientale (corrosione, fenomeni di infragilimento);

esogena: azioni dei carichi: fatica (es. carichi antropici).

I due tipi di degrado, una volte innescati, si influenzano a vicenda. Qualora si ritenga opportuno

intervenire su una struttura soggetta a degrado si può scegliere come procedere a seconda

delle disponibilità economiche e dei tempi tecnici a disposizione; si distinguono:

manutenzione programmata: permette di intervenire su una struttura con tempistiche

ben stabilite in fase di progetto. Dal punto di vista economico tale tipo di manutenzione

risulta essere più conveniente;

manutenzione straordinaria: si esegue quando la struttura, affetta da un alto livello di

degrado, si trova in una condizione di collasso incipiente. Dal punto di vista economico è

un’operazione molto onerosa che prevede anche tempi di realizzazione solitamente

molto lunghi.

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Se il degrado fosse lineare non ci sarebbe differenza tra interventi di manutenzione

straordinaria ed interventi di manutenzione programmata; il degrado, però, non è mai lineare:

è un fenomeno che si incrementa nel tempo, con un andamento più che lineare.

Un’importante distinzione va fatta quando si decide l’intervento da realizzare:

adeguamento: permette di riportare la struttura alle sue condizioni originarie, portando

a termine una serie di operazioni di rilevanza significativa;

miglioramento: prevede l’esecuzione di una serie di operazioni atte, appunto, a

migliorare il livello dell’opera, senza però riportare la struttura alle sue condizioni

originarie.

Il degrado non è un fenomeno uniforme su tutta la struttura. Per evitare complicazioni relative

al degrado durante la vita utile della struttura si può osservare che:

inizialmente la struttura deve essere sovradimensionata in modo tale da arrivare, dopo

un certo numero di anni, ad un livello ‘scelto’ di degrado;

le sezioni ad I non si usano in ambiente marino; si scelgono sezioni chiuse così da avere

perdite di spessore della sezione solamente all’esterno, chiaramente se la camera è

stagna.

Figura 18: Schema delle cause di degrado dell’acciaio (Manfredi- Pecce)

La corrosione è in generale il deterioramento di un metallo causato da una reazione sulla

superficie, di tipo chimico o elettrochimico, con l’ambiente che lo circonda. Questa reazione

provoca la riduzione della sezione resistente del materiale. La corrosione può avvenire con due

modalità differenti:

a secco: avviene per azione di gas quali ossigeno, idrogeno e vapori di zolfo. I prodotti di

ossidazione del ferro (Fe) hanno scarsa densità e bassa resistenza meccanica, formano

incrostazioni superficiali poco aderenti che portano continuamente allo scoperto nuove

porzioni di metallo;

per via elettrochimica: tale modalità dipende dall’umidità dell’aria.

L’effetto corrosivo può inoltre essere reso ancor più dannoso dalla sinergia con fenomeni

meccanici:

corrosione sotto tensione (stress corrosion);

Degrado dell'acciaio

causa

Corrosione

carbonatazione

cloruri

correnti vaganti

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corrosione per fatica: si verifica quando il materiale è sottoposto a sollecitazioni

alternate e contemporaneamente si trova a contatto con un ambiante aggressivo.

Questo tipo di corrosione ha come conseguenza una riduzione del limite di fatica e della

vita dei componenti e si manifesta sotto forma di cricche.

1.5.3 ROBUSTEZZA

La robustezza riguarda l’eventualità che la struttura debba affrontare un evento avverso

improvviso; è la capacità della struttura di far fronte a tale evento sfavorevole evitando danni

sproporzionati all’entità dell’azione innescante.

Una struttura è robusta se mostra un degrado regolare delle qualità strutturali con l’entità del danneggiamento che subisce. Tale concetto implica cha a piccoli danneggiamenti devono conseguire piccoli decrementi di qualità e a grandi danneggiamenti, grandi decrementi di qualità. Considerando due edifici A e B:

Figura 19: Capacità portante di due edifici in funzione della magnitudo dell’evento negativo

Dal grafico emerge che a causa di un evento improvviso, estremo, accidentale la capacità

portante delle strutture diminuisce fino ad arrivare a un valore di soglia oltre il quale si ha

collasso. La robustezza strutturale è un parametro in base al quale si possono comparare

diverse scelte progettuali. Nel grafico su riportato si sono esaminate due strutture diverse.

Dall’analisi del grafico emergono le seguenti considerazioni:

anche se in condizioni nominali la capacità portante λB > λA , la struttura B degrada prima

della struttura A;

il modo con cui si saggia la robustezza può essere molto delicato in quanto gli eventi da

trattare sono molto complicati; esistono metodi semplificati che permettono di valutare

la robustezza a prescindere dalla natura fisica dell’evento negativo che si verifica.

Nella normativa NTC 2008 l’azione accidentale viene considerata agente senza concomitanza di

altre azioni; in realtà la concatenazione di eventi può portare a situazioni più complesse.

Si cominciò a parlare di robustezza strutturale così come la si intende oggi dopo il crollo di una

parte del Ronan Point Tower Block a Londra, avvenuto nel 1968 in seguito ad un’esplosione. A

causa di un evento critico improvviso, infatti, una struttura si danneggia più o meno

gravemente a seconda della sua vulnerabilità e dell’intensità dell’evento scatenante, che può

portare ad un collasso progressivo dell’opera.

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Figura 20: Bontempi, F. (2005) Frameworks for structural analysis, In: Innovation

in Civil and Structural Engineering Topping, BHV ed., pp. 1-24

Dal grafico precedente si può riscontrare che se la struttura è molto semplice può bastare anche solo un’analisi qualitativa deterministica, se il grado di complessità aumenta diventa necessaria un’analisi quantitativa probabilistica, fino al grado massimo di complessità della struttura che richiede analisi pragmatica e valutazione di vari scenari. Quest’ultimo tipo di analisi si fa in genere quando l’evento è LPHC.

Si distinguono, infatti, due tipi di eventi: HPLC: High Probability Low Consequences; le situazioni HPLC sono generalmente

associate a basse quantità di energia e deboli rotture, coinvolgono poche persone. LPHC: Low Probability High Consequences; le situazioni LPHC sono generalmente

associate a grandi rilasci di energia e ampie rotture, coinvolgono numerose persone.

La teoria del ‘Black Swan’, inizialmente inerente al mondo economico, si utilizza oggi anche

quando si parla di robustezza strutturale. Gli eventi detti ‘Black Swans’ sono particolari eventi

caratterizzati dal fatto di avere un grande impatto sulla comunità e di non poter essere predetti

in quanto molto rari; solamente dopo il loro avvenimento è molto facile pensare che si

sarebbero potuti prevedere.

La teoria del ‘Black Swan’ da un lato ha permesso di avere una maggiore consapevolezza

dell’incertezza nel processo decisionale e dall’altro ha introdotto un nuovo modo di trattare

rischi ed incertezze. Allo stesso tempo è una teoria che presenta anche limitazioni e svantaggi,

essendo molto estrema e non ancora una teoria tradizionale.

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Figura 21: Structural robustness: issues, applications and future trends Konstantinos Gkoumas, Franco Bontempi

Facoltà di Ingegneria, Sapienza Università di Roma

Nella figura precedente è analizzata una qualità strutturale, ad esempio la capacità portante, di

due pilastri, uno cerchiato e uno con staffe. Anche se in condizioni nominali il primo tipo risulta

più performante (ha una capacità portante maggiore dell’altro), è meno robusto del secondo.

Nella figura seguente sono riportati i grafici relativi a due strutture A e B: la struttura A è più

performante della B, ma meno robusta. Nel terzo grafico è rappresentata una situazione simile

a quella della figura precedente: la struttura meno robusta subisce una riduzione della capacità

portante più ingente rispetto alla struttura più robusta.

Si possono distinguere diversi tipi di collasso:

pancake: iniziale collasso dell'elemento portante che innesca la caduta di una parte rigida della struttura su di un’altra, portando ad impatti sequenziali sul resto della struttura che collassa su sé stessa;

zipper: caratteristica redistribuzione della forza in percorsi alternativi di carico a causa di un collasso improvviso dell'elemento;

domino: iniziale ribaltamento dell’elemento rigido che cade su un altro elemento e che, mediante la trasformazione di energia potenziale in energia cinetica innesca il ribaltamento dell'elemento successivo, e così via;

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di sezione: iniziale taglio di una sezione e concentrazione delle tensioni che causano la rottura di ulteriori componenti trasversali (frattura veloce) e il progressivo collasso di tutta la sezione;

per instabilità: la destabilizzazione di alcuni elementi di sostegno dovuta ad una compressione causata da un collasso iniziale di elementi stabilizzanti può innescare un progressivo collasso di tutta la struttura;

misti: alcuni crolli sono meno suscettibili di generalizzazione perché l'importanza relativa delle varie categorie di collasso coinvolte può variare e può combinare tra loro varie tipologie di collassi.

Esistono varie strategie da seguire per fare in modo che il collasso non sia sproporzionato

rispetto alla causa che l’ha innescato:

prevenire la rottura degli elementi principali della struttura;

attribuire una resistenza locale specifica;

prevedere la possibilità di percorsi di carico alternativi;

ipotizzare un fallimento strutturale su un elemento e valutare cosa accade alla struttura;

isolare per compartimentazione/segmentazione, evitando il propagarsi dei collassi,

accettando di perdere una parte della struttura per salvare il resto;

seguire regole di progetto prescrittive;

considerare l’importanza di continuità e ridondanza strutturali.

Da un punto di vista ingegneristico si può pensare di intervenire su vari aspetti:

esposizione;

vulnerabilità;

suscettibilità al collasso progressivo.

Metodi di quantificazione della robustezza strutturale possono essere:

risk based: ci si focalizza sulla capacità della struttura di essere sottoposta ad azioni;

damage based: ci si focalizza sulla capacità della struttura di essere sottoposta a danni;

member consequence factor and robustness assessment.

Nel terzo punto si ipotizza che la struttura sia sottoposta ad una serie di scenari di danno e la

conseguenza dei danni è valutata con il member consequence factor (Cfscenario) che può essere

espresso in percentuale. Per scenario di danno si intende il fallimento di uno o più elementi

strutturali. La robustezza può essere espressa come il complemento a 100 del Cfscenario, inteso

come l’effettivo coefficiente che influenza direttamente la resistenza. Cfscenario è valutato come il

rapporto tra la massima differenza percentuale degli autovalori della matrice di rigidezza

strutturale tra le configurazioni della struttura danneggiata e non danneggiata:

Cfscenario = max (

λin.d. − λi

d.

λin.d.

∙ 100)i=1−N

con λin.d. e λi

d., rispettivamente, l’i-esimo autovalore della matrice di rigidezza nella

configurazione non danneggiata e in quella danneggiata, ed N è il numero totale degli

autovalori. L’indice di robustezza corrispondente è:

Rscenario = 1 − Cfscenario

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Valori di Cfscenario prossimi al 100% indicano che il collasso di un elemento strutturale può

causare il collasso globale, quindi l’elemento che collassa è di grande importanza per il

sistema strutturale;

bassi valori di Cfscenario non indicano necessariamente che la struttura sopravvivrà dopo la

rottura di un elemento strutturale: questa eventualità andrà stabilita con altre analisi

che considerino la perdita dello specifico elemento;

Un valore nullo di Cfscenario vuol dire che la struttura ha un’ottima robustezza strutturale.

Tale metodo è valido solo per determinati tipi di strutture; non viene utilizzato per:

strutture che hanno un’alta concentrazione delle masse in una zona specifica;

strutture che presentano sistemi strutturali di cavi, ad esempio i ponti sospesi.

Se da un lato la robustezza strutturale è di fondamentale importanza, sussiste il problema

dell’ottimizzazione dei costi dell’opera tenendo conto del tipo di sistema strutturale analizzato

e della probabilità di avvenimento e dell’intensità di determinati eventi negativi. Se il costo

totale delle misure di robustezza è maggiore di quello dovuto alle conseguenze del collasso,

allora il sistema è robusto ma non economico. In una situazione del genere possono essere

usati metodi probabilistici di valutazione del rischio.

1.5.4 RESILIENZA

Si possono unire i concetti fin qui esposti in un grafico tridimensionale in cui si riporta una

qualità della struttura in esame Q, che può essere la capacità portante, in funzione del tempo t

e della magnitudo M dell’eventuale evento negativo che si potrebbe verificare durante la vita

utile della struttura.

Figura 22: Schema teorico

Se non si verificasse nessun evento estremo negativo, la curva nel grafico si troverebbe

interamente nel piano Q-t: si avrebbe degrado della struttura nel tempo. In un certo istante di

tempo t1, si ipotizza che possa avvenire un evento negativo di magnitudo M1: adesso la curva si

sposta nel piano Q-M con diminuzione istantanea della capacità portante a causa dell’evento

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suddetto. Se la struttura non collassa, al trascorrere del tempo subirà ulteriore degrado: la

curva si sposterà in un altro piano Q-t, sfalsato rispetto a quello iniziale. La struttura potrà

giungere al collasso oppure si potrà intervenire su di essa con un intervento di riparazione per

riportarla al livello originario. La riparazione, però, è un intervento che richiede tempo, non è

istantaneo. La struttura che richiede meno tempo per essere riparata è una struttura più

resiliente.

Dal grafico si nota che la struttura B è più resiliente della A perché torna alla situazione iniziale

più velocemente.

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2 TEORIA DELLA PLASTICITÀ

Si considererà la plasticità a livello di:

materiale;

elemento strutturale;

sistema strutturale.

A differenza di ciò che si fa nella Tecnica delle Costruzioni riguardo alle strutture in acciaio,

ossia verificare tali strutture mettendo in relazione resistenza in campo elasto-plastico e

sollecitazioni in campo elastico, nel corso di Costruzioni Metalliche, si calcoleranno anche le

sollecitazioni, e quindi il comportamento dei sistemi strutturali, in campo elasto-plastico. A

livello di materiale, quindi, il comportamento non sarà indefinitamente elastico, ma sarà elasto-

plastico; a livello di sezione, facendo l’ipotesi che le sezioni ruotino restando piane,

l’andamento delle deformazioni ε e delle tensioni σ sarà comunque a farfalla, nel caso di trave

inflessa; a livello di sistema strutturale il discorso si complica: se una delle sezioni raggiunge lo

snervamento e ci si trova in campo elasto-plastico perfetto, l’andamento dei momenti flettenti

varierà la propria forma e la propria distribuzione.

NON LINEARITÀ NELLE STRUTTURE

Intesa come non linearità:

di materiale: come visto in precedenza;

di geometria: classica non linearità delle strutture a cavi;

di vincoli: classica non linearità dei vincoli non bidirezionali; un esempio sono i vincoli ad

attrito, ossia quelli per i quali, vinto l’attrito, spingendo in una direzione si ha una certa

resistenza dovuta al coefficiente di attrito dinamico, mentre se si inverte la direzione

della forza il corpo si arresta prima di ripartire e quindi ciò che influenza la resistenza è il

coefficiente di attrito statico (in carico e in scarico si avrà un diverso comportamento del

sistema);

di forze: dovuta all’applicazione di forze posizionali2; è la non linearità del fenomeno del

“flutter” per il quale le azioni non sono indipendenti dal moto del corpo(ponte di

Takoma).

IN CAMPO LINEARE

vale il principio di sovrapposizione degli effetti: cambiando l’ordine di applicazione dei

carichi la risposta finale non cambia; ciò non è vero nel caso di comportamento non

lineare in cui, invece, la sequenza delle azioni è importante nella determinazione degli

effetti finali;

vale il teorema di Kirchhoff sull’esistenza e l’unicità della soluzione del problema; in

campo non lineare non è così: ad una configurazione strutturale possono corrispondere

più soluzioni;

2 Forze posizionali: dipendono, nel loro valore e nella loro direzione, esclusivamente dalla posizione del punto su cui

agiscono.

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le equazioni sono lineari: per esempio in statica le equazioni risolutive del sistema

strutturale possono esprimersi come segue: K q = Q , con K: matrice di rigidezza, q:

vettore degli spostamenti e Q: vettore dei carichi, e con K e Q che non dipendono dagli

spostamenti; in campo non lineare, invece, la matrice di rigidezza o il vettore dei carichi

possono dipendere dal valore che assumono gli spostamenti: un esempio per capire tale

concetto è il comportamento di una fune sottoposta a carichi verticali: la fune è in grado

di fornire reazioni vincolari solo lungo la propria tangente. Ad opera dei carichi verticali

applicati sulla fune, questa si inflette; la deformata della fune sarà tale che le

componenti verticali delle reazioni vincolari agli appoggi saranno in equilibrio con le

azioni verticali esterne.

Ci si trova in campo lineare se e solo se sono valide le seguenti quattro ipotesi

contemporaneamente:

legame elastico lineare: il materiale è illimitatamente elastico e ciò assicura la natura

elastica del problema perché gli stati di tensione e deformazione risultano indipendenti

dalla storia di carico;

piccoli spostamenti: si calcola l’equilibrio nella configurazione indeformata e

spostamenti e deformazioni sono descritti come quantità cinematiche del primo ordine

e quindi sono possibili le consuete vantaggiose approssimazioni analitiche;

vincoli bilateri privi di attrito;

azioni indipendenti dal moto.

Nella realtà non esistono sistemi lineari; le ipotesi appena fatte permettono di semplificare la

realtà ed hanno senso esclusivamente se portano ad una soluzione conservativa del problema

studiato.

2.1 PLASTICITÀ A LIVELLO DI MATERIALE

In questo paragrafo verranno trattati i seguenti argomenti:

criteri di rottura;

legami costitutivi di calcolo;

Il materiale è non lineare quando il legame σ-ε è non lineare, per cui allo scarico si hanno delle

deformazioni residue:

Figura 23: Deformazioni residue allo scarico

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Figura 24: Schematizzazione del caso precedente

L’ACCIAIO

Il legame costitutivo a cui si farà riferimento per l’acciaio si determina con la prova di trazione

monoassiale che si esegue su provini di acciaio ricavati dai profilati o dalle lamiere mediante

opportune lavorazioni. Si applica sul provino una forza assiale di intensità regolabile, prima

crescente e poi decrescente, fino a provocarne la rottura, registrando gli allungamenti del

provino. Di seguito si riporta il diagramma carico-allungamento nella modalità della frattura

duttile in quanto la rottura è preceduta da notevoli deformazioni:

il legame è a limite di elasticità ben definito;

gli stati tensionali non sono monodimensionali: si ha strizione3 dell’acciaio nella zona

centrale del provino esaminato. Negli stati di tensione bidimensionali si deve

considerare una superficie di snervamento: in termini di elasticità è il luogo dei punti per

cui si ha una combinazione di sforzo non monoassiale per cui si esce dal campo elastico;

gli stati interni a tale superficie si considerano ammissibili, quelli esterni non ammissibili.

Figura 25: Legame costitutivo dell’acciaio

nella prima zona l’andamento del diagramma mostra un comportamento lineare, vale la

legge di Hooke, gli allungamenti sono molto piccoli e la riduzione delle dimensioni

trasversali del provino per l’effetto Poisson è trascurabile;

la seconda zona è caratterizzata da un tratto ondulato con andamento medio all’in circa

orizzontale, dovuto all’insorgere delle deformazioni plastiche: snervamento;

3 Strizione dell’acciaio (o necking): è un fenomeno che si manifesta nelle prove di trazione su provini prismatici o

cilindrici di materiali duttili, questo fenomeno porta ad una riduzione della sezione del provino prima dell'effettivo collasso dello stesso.

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la terza zona presenta un ramo ascendente, l’aumento dell’allungamento si ottiene solo

aumentando il carico: allungamento. In questa fase la contrazione del provino non è più

trascurabile, inizia a notarsi una differenza tra la tensione calcolata dividendo per l’area

effettiva ridotta Aeff e quella calcolata dividendo per l’area iniziale A0. Il tratto crescente

termina quando la contrazione trasversale cessa di essere uniforme, ma si localizza in

una zona ristretta del provino (strizione);

la quarta zona presenta un andamento decrescente, descrive la riduzione del carico di

prova effettuata dell’operatore per seguire l’evoluzione delle deformazioni plastiche nel

provino che, a causa della strizione, non è più a sezione costante, ma presenta un tratto

a sezione variabile che tende a restringersi sempre di più, fino a quando si verifica la

rottura. In tutta questa zona la tensione effettiva aumenta, anche se il carico viene

gradualmente ridotto, perché prevale l’influenza della strizione, che fa diminuire l’area

della sezione trasversale, come già detto.

Il grafico è caratterizzato da molti parametri:

σinf: tensione inferiore di snervamento;

σsup: tensione superiore di snervamento;

σe: tensione di proporzionalità; per convenzione è definita come la tensione che allo

scarico permette di ottenere una deformazione residua εr= 0.002%;

α: angolo d’inclinazione del tratto elastico;

σmax: tensione massima raggiungibile dal materiale;

εy: deformazione di snervamento;

εu: deformazione ultima;

Aeff: area effettiva ridotta;

A0: area iniziale.

Bisogna considerare che le proporzioni nel grafico variano al variare del contenuto di carbonio

nell’acciaio.

Il tratto con σ=cost nel grafico è rappresentato esageratamente lungo per motivi grafici, nella

realtà tale tratto è irregolare.

2.1.1 CRITERI DI ROTTURA

Specializzando la grandezza G, responsabile della crisi, si ottengono diversi criteri di resistenza.

Per i materiali duttili, dove la crisi si manifesta attraverso uno scorrimento tra piani cristallini, si

assume che lo stato limite sia prodotto dal raggiungimento di valori di soglia della tensione

tangenziale massima τmax (criterio di Tresca) o della tensione tangenziale ottaedrica τott (criterio

di Von Mises). Di seguito si riportano i dattagli per i due criteri di rottura appena citati:

Criterio di Tresca (della tensione tangenziale massima):

È fondato sull’ipotesi che la crisi sia determinata in seguito al raggiungimento di un

valore soglia τ0max della tensione tangenziale massima τmax. Il materiale, quindi, è

elastico se e solo se:

τmax(σI, σII, σIII) ≤ τmax0

con:

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τmax =1

2max(|σI − σII|, |σII − σIII|, |σIII − σI|)

τmax0 =

1

2σ0: nel caso di stato limite elastico monoassiale (σ0,0,0)

La frontiera elastica è rappresentata nello spazio da un prisma esagonale retto di asse

(idrostatico) n. Il criterio della τmax tiene conto delle sole tensioni principali massima e

minima, non della tensione principale intermedia.

Figura 26: Frontiera elastica secondo il criterio di Tresca

Criterio di Von Mises (della tensione tangenziale ottaedrica):

È basato sull’ipotesi che la grandezza responsabile della crisi sia la tensione tangenziale

ottaedrica τott; la condizione di elasticità si scrive:

τott(σI, σII, σIII) ≤ τott0

con:

τott =1

3√(σI − σII)

2 + (σII − σIII)2 + (σIII − σI)

2

τott0 =

√2

3σ0: nel caso di stato limite elastico monoassiale (σ0,0,0)

La frontiera elastica consiste in un cilindro circolare retto di asse (idrostatico) n, la cui

sezione retta è un cerchio nel piano deviatorico.

Il criterio della tensione tangenziale ottaedrica, a differenza di quello della tensione

tangenziale massima, tiene conto, oltre che delle tensioni principali massima e minima,

anche di quella intermedia.

Figura 27: Frontiera elastica secondo il criterio di Von Mises

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Criteri di rottura nello spazio delle tensioni principali:

Figura 28: Frontiera elastica nello spazio delle tensioni, secondo il criterio di Tresca

Figura 29: Frontiera elastica nello spazio delle tensioni, secondo il criterio di Von Mises

INCRUDIMENTO

È il fenomeno per cui un materiale, se sottoposto ad azioni cicliche o monotone, cambia il suo

stato cristallino con ripercussione sul valore del suo limite elastico al ciclo successivo. Si

distinguono i seguenti tipi di incrudimento:

isotropo, statico: la superficie di snervamento cambia di dimensioni perché c’è

incrudimento non nullo, ma non cambiano né forma, né posizione, cioè per ogni

direzione del carico l’incrudimento è lo stesso;

isotropo, dinamico: una volta raggiunto il limite di incrudimento, la superficie di

snervamento al ciclo successivo sarà traslata ed cambiata in dimensioni senza cambiare

di forma;

non isotropo, statico: la superficie di snervamento cambia in forma e dimensioni, ma

non cambia posizione in riferimento al suo baricentro;

non isotropo, dinamico: la superficie di snervamento cambia in forma, dimensioni e

posizione.

In questo corso si tratteranno stati mono assiali perché:

più semplici da trattare;

i dati sperimentali di cui si dispone per l’acciaio sono più affidabili, sia in termini di

quantità che di precisione.

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2.1.2 LEGAMI COSTITUTIVI DI CALCOLO SEMPLIFICATI

Si esaminano vari tipi di legami:

legame rigido-plastico: è il legame semplificato più semplice, escluso il legame elastico,

che si può utilizzare per rappresentare il legame elasto-plastico; si trascurano la fase

elastica e la fase di incrudimento. I parametri necessari sono due:

Figura 30: Legame rigido-plastico

Tale legame costitutivo è analogo a quello che definisce il comportamento di un blocco

ad attrito che viene tirato; il blocco, con un suo peso Q, resta fermo finché la forza F

applicata non supera la forza di attrito statico; una volta messo in movimento, il blocco

continua a muoversi indefinitamente se la forza applicata resta costante. Il legame viene

descritto da due parametri: un limite per cui il blocco comincia a scorrere ed un limite di

deformazione fisso che definisce la rottura;

legame elasto-plastico perfetto: si considera anche la fase elastica, quindi si avrà un

parametro in più da gestire. I parametri necessari sono tre:

Figura 31: Legame elasto-plastico perfetto

Tale legame costitutivo è analogo a quello che definisce il comportamento di un blocco

ad attrito collegato ad una molla di rigidezza k che viene tirato; all’aumentare della forza

F, inizialmente, si allunga la molla senza che il blocco si muova; quando la forza di

richiamo della molla supera la forza di attrito statico del blocco, questo inizia a scorrere;

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legame elasto-plastico incrudente: in questo caso si considera anche la fase incrudente. I

parametri necessari sono quattro:

Figura 32: Legame elasto-plastico incrudente

Tale legame costitutivo è analogo a quello che definisce il comportamento di un blocco

ad attrito, collegato a due molle di rigidezze k1 e k2, tirato da una forza F; all’aumentare

della forza, inizialmente, si allunga solo la molla con rigidezza k1 senza che il blocco si

muova; quando la forza di richiamo della molla 1 supera la forza di attrito statico del

blocco, si attiva anche la molla di rigidezza k2. Tale legame, come anche quelli

precedenti, deve essere tarato: per esempio per tarare la pendenza del ramo di

snervamento si fa riferimento ad una retta che interseca la curva dello stato

monoassiale dell’acciaio con una pendenza tale che le aree delimitate della retta stessa

e dal diagramma, A+ e A-, siano equivalenti. Valori del modulo elastico del ramo

incrudente possono essere:

E′ = (0.005 ÷ 0.05) ∙ E

Figura 33: Approssimazione del comportamento reale ad una bilatera

legame più complicato, in grado di rappresentare il ramo caratterizzato da forza

costante. I parametri necessari sono cinque:

Figura 34: Legame costitutivo complesso

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Tale legame costitutivo è analogo a quello che definisce il comportamento di un blocco

ad attrito, collegato ad una molla di rigidezza k1, e ad un gancio collegato a sua volta ad

un’altra molla di rigidezza k2, che viene tirato da una forza F;

legame più complesso, con molti parametri in più, quindi con più incertezze in serie:

Figura 35: Legame costitutivo complesso con maggiori incertezze

È molto importante tener presente che su ogni parametro che s’inserisce per descrivere il

legame costitutivo si avrà un’incertezza; i legami via via più complessi hanno livelli di incertezza

molto elevati dato che ogni incertezza è in serie con le altre.

Quando si studia un comportamento ciclico, le difficoltà aumentano molto. Nello studio del

comportamento ciclico di sezioni, dovuto a quello ciclico del materiale, ad esempio in analisi

sismiche, la complessità esplode: il ciclo di scarico e i cicli successivi comportano l’inserimento

di ulteriori incertezze.

Per ricerca si utilizza il modello isteretico non lineare proposto da Menegotto e Pinto nel 1973:

Figura 36: Modello costitutivo per l’acciaio (Menegotto-Pinto, 1973)

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Figura 37: Degrado di curvatura ciclica

La relazione sforzo-deformazione proposta da Menegotto e Pinto nel 1973 è stata adottata dagli autori per descrivere la risposta isteretica dell’acciaio per cemento armato. Il modello è computazionalmente efficiente ed è in grado di riprodurre i risultati sperimentali con precisione. La relazione è in forma di transizioni curve, ciascuna da un asintoto lineare con pendenza E0 (modulo di elasticità) ad un altro asintoto lineare con pendenza E1=bE0 (modulo di snervamento), dove il parametro b è il rapporto di incrudimento. La curvatura della curva di transizione tra i due asintoti è governata da un parametro di curvatura ciclica R, che consente la rappresentazione dell'effetto Bauschinger. La relazione monoassiale isteretica sforzo-deformazione (σ, ε) di Menegotto-Pinto ha la forma seguente:

σ∗ = bε∗ +(1 − b)ε∗

(1 + ε∗R)1 R⁄

con:

ε∗ =ε − εrε0 − εr

e

σ∗ =σ − σrσ0 − σr

La prima equazione rappresenta la transizione dall’asintoto elastico con pendenze E0 a quello di snervamento con pendenza E1. I parametri σr e εr sono la tensione e la deformazione nel punto in cui si attua lo scarico, punto dal quale si continua a procedere con pendenza pari ad E0. I parametri σ0 e ε0 sono la tensione e la deformazione nel punto di intersezione dei due asintoti. Il parametro b è invece il rapporto di incrudimento, cioè il rapporto tra le pendenze E0 ed E1, ed R è il parametro che influenza la curvatura della curva di transizione tra i due asintoti. Come indicato nella figura precedente, le coppie (εr , σr) e (ε0 , σ0) si aggiornano dopo ogni ciclo.

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2.2 PLASTICITÀ A LIVELLO DI ELEMENTO STRUTTURALE

In questo paragrafo verranno trattati i seguenti argomenti:

elemento strutturale inflesso;

concetto di cerniera plastica;

sezioni pressoinflesse;

2.2.1 ELEMENTO STRUTTURALE INFLESSO

La studio di un elemento tipo trave presuppone l’assunzione delle seguenti ipotesi:

elemento caratterizzato da una dimensione molto maggiore rispetto alle altre due;

teorema di De Saint Venant;

sezioni che ruotano restando piane.

0

My<M<Mp

Mp: non esiste un grafico coerente

con queste σ per le ε perché si

dovrebbero avere fibre

infinitamente estese (la sezione

dovrebbe essere ruotata di 90°). …

Per la trave inflessa si ipotizza un legame elasto-plastico perfetto. Si monitora la rotazione della

sezione attraverso la variazione del momento flettente M. Al variare di tale grandezza si

raggiungono due momenti significativi:

M=My: momento di prima plasticizzazione; è quello in corrispondenza del quale la fibra

più tesa raggiunge la tensione di snervamento σy;

M=Mu: momento ultimo al quale resiste la struttura, si raggiunge quando la ε raggiunge

la εu; dipende dalla duttilità del materiale.

Possono inoltre essere verificate le seguenti uguaglianze tra momenti:

Mu=My: ciò si verifica se tutte le fibre hanno raggiunto (εy ; σy);

Mu<My: se c’è qualche fibra che ancora non si è plasticizzata;

Mu>My: quando la fibra più tesa ha raggiunto la εu la fibra meno tesa ha superato (εy ;

σy).

La duttilità di materiale determina il limite che il momento può raggiungere.

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nel caso di materiale non incrudente: Mu può essere al massimo uguale ad Mp;

nel caso di materiale incrudente: Mu può essere maggiore di Mp; ci sono ulteriori risorse

da sfruttare in campo plastico.

TRAVE INFLESSA

Si consideri un concio di trave di lunghezza unitaria che venga inflesso; questo si disporrà

secondo un settore di circonferenza di raggio r:

Figura 38:

con:

r: distanza tra il centro di curvatura e l’asse neutro;

y: distanza tra l’asse neutro ed una generica fibra, positiva se dal lato delle fibre tese;

ϕ: angolo al centro del settore di circonferenza.

Si ritengono valide le ipotesi elencate all’inizio del paragrafo corrente.

Per similitudine tra gli spicchi si ha:

Oab ≅ Ocd

Oab: spicchio che descrive l’asse neutro;

Ocd: spicchio che descrive a fibra cd, tesa;

ab: fibra che descrive l’asse neutro di un concio di lunghezza unitaria che non si allunga

né si accorcia per definizione;

cd: fibra tesa presa in considerazione.

r: ab = (r + y): cd con {ab = l = 1

cd = l + Δl = 1 + ε(y)

con Δl = ε(y)∙l = ε(y), essendo l = 1.

r =r + y

1 + ε(y)

ε(y) =y

r

in cui: 1

r= χ

ε(y) = y χ

L’allungamento della fibra posta a distanza y dall’asse neutro è uguale alla curvatura χ che la

trave assume per la distanza dall’asse neutro y; ciò è valido in campo plastico e in campo elasto-

plastico.

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IN CAMPO ELASTICO

La formula trovata dipende solamente dalla geometria che si è ipotizzata per il sistema e

dall’ipotesi di sezioni che ruotano restando piane. Vale la seguente espressione:

σ(y) = E ∙ ε(y) = E ∙ y ∙ χ

Inoltre in campo elastico, nel caso di flessione semplice vale la formula monomia:

σ(y) =M

J∙ y

con M: momento agente e J: momento di inerzia della sezione. Combinando le due espressioni

precedenti si ottiene:

χ =M

EJ

La fibra più tesa, o compressa, sarà quella che si trova a distanza h

2 dall’asse di mezzeria che, nel

caso di sezione simmetrica e flessione semplice coincide con l’asse neutro. Si può scrivere:

σmax =Mh

2∙J=

M

We essendo: We =

2J

h

se ε=εy ⟹ My = σy ∙ We

La curvatura limite che assume la trave quando è al limite del campo elastico (per ε=εy) è:

χy = My

EJ= σyWe

EJ= σy

E∙2J

hJ= 2

εy

h

In generale:

ε(y) = y χ

In campo elastico:

{

χ =

M

EJ∶ curvatura della generica sezione

My = σy ∙ We ∶ limite elastico di tensioni

χy = 2 ∙εy

h∶ limite elastico deformativo

IN CAMPO ELASTO-PLASTICO

In questa situazione si ha la seguente configurazione per le tensioni σ:

Figura 39: Tensioni e deformazioni per la sezione

2∝ χ(> χy)

Il nucleo elastico rappresenta una zona attorno all’asse neutro che non è plasticizzata, per tale

zona si possono, quindi, utilizzare le espressioni trovate nel paragrafo precedente relativo al

campo elastico:

χ =εy

ye con ye =

he

2= semi-altezza del nucleo elastico

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A questo punto si può scrivere: χy

χ=

2ye

h con χ = χel−pl = 𝑓(χy, ye)

per ye → 0 ⟹ χel−pl → +∞.

Per analogia con l’espressione del momento My trovata in campo elastico: My = σy ∙We, si

trova il modulo plastico di sezione z dall’espressione seguente:

Mp = σy ∙ z

Figura 40: Scomposizione del grafico delle tensioni σ

Nella figura precedente si è scomposto il grafico generico delle tensioni σ in campo elasto-

plastico come somma del grafico delle σ nel nucleo elastico e del grafico che si avrebbe a

completa plasticizzazione della sezione, meno il grafico di tensioni plastiche nel nucleo elastico:

M = σyWe′ + σy z − σy z

con:

We′: modulo elastico del nucleo elastico;

𝑧: modulo plastico della sezione;

𝑧′: modulo plastico del nucleo elastico;

Si adimensionalizza l’espressione precedente, dividendo ambo i membri per My:

M

My=σyWe

My+σy z

My−σy z

My

M

My=MP

My(σyWe

MP+ 1 −

σy z′

MP)

M

My=MP

My(We′

z+ 1 −

z′

z)

M

My=MP

My(1 −

z′ −We′

z)

Dato che χy

χ=

2ye

h:

M

My=MP

My ϕ (

χy

χ)

con:

β= M

My: modulo di sezione;

ϕ(χy

χ): dipende dalla forma della sezione; è una relazione funzionale che lega il

momento M alla curvatura χ.

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La curvatura ultima risulta essere:

χu =2εuh

CASO PARTICOLARE: SEZIONE RETTANGOLARE

Nel caso di sezione rettangolare si ha:

We =(b∙h3

12)

(h

2)=

b∙h2

6=

2∙b∙ye2

3

Mp = (σy ∙ b ∙h

2) h

2= σy∙b ∙

h2

4= σy ∙ z

La z’ risulterà pari a:

z′ =b ∙ (2 ∙ ye)

2

4= b ∙ ye

2

Di conseguenza si ottiene:

{

My = σy ∙ We =σy ∙ b ∙ h

2

6

Mp = σy ∙ z =σy ∙ b ∙ h

2

4

Da cui: Mp

My= β =

3

2

M

My=MP

My(1 −

z′ −We′

z)

M

My=3

2(1 −

bye2 −

bh2

6bh2

4

)

M

My=3

2[1 −

(bye2 −

2bye2

3 )

bh2

4

]

M

My=3

2(1 −

ye2

3h2

4

) =3

2[1 −

4

3(yeh)2

] =3

2[1 −

1

3(χy

χ)2

]

M

My=3

Il diagramma momento-curvatura adimensionalizzato rispetto ai valori limite χy ed My, nel

tratto a comportamento elastico, fino al valore (1; 1), risulta essere una retta (χ è

proporzionale ad M). In campo elasto-plastico si riportano le curve relative alle sezioni a doppio

T, rettangolare e romboidale fino ai valori (χu/χy; Mp/My=β ). χu=f(εu) rappresenta la curvatura

ultima di sezione che definisce dove questa si rompe e, essendo dipendente dalla deformazione

ultima εu, risulta maggiore dove tale deformazione è più grande. Il momento ultimo Mu dipende

dalla duttilità di materiale, da dove si trova χu; ciò vuol dire che, come detto in precedenza, Mu

potrebbe anche essere minore di Mp. Per le sezioni a doppio T, β = Mp/My è più basso che per

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sezioni rettangolari perché più è alto il modulo elastico e più vuol dire che per passare del

momento di snervamento a quello ultimo si devono essere plasticizzate più fibre: più materiale

c’è addensato intorno all’asse neutro e più differenza ci sarà tra i due momenti suddetti. Per

quanto appena esposto, quindi, risulta evidente che il valore di β per la sezione romboidale sarà

il maggiore tra le sezioni rappresentate nel grafico seguente.

Figura 41: Diagramma momento curvatura per sezioni a doppio T, rettangolari e romboidali

Da quanto appena esposto si può dedurre che il diagramma momento-curvatura è influenzato

dal modulo plastico di sezione β, quindi dalla forma della sezione stessa, ossia dalla quantità di

materiale addensato all’asse neutro, e dalla duttilità di materiale che definisce la χu.

2.2.2 CONCETTO DI CERNIERA PLASTICA

Si consideri la trave riportata in figura, caricata da una forza P:

Figura 42: Schema statico della trave e diagramma del momento flettente

All’aumentare di P si arriverà in un punto in cui, se si ha duttilità di materiale sufficiente, si

avrà Mp e, ad una certa distanza, si avrà My. In una zona intermedia tra le due, si avrà

invece My ≤ M ≤ Mp. Si vuole determinare quanto è lunga la zona centrale ΔL in cui le fibre

sono tutte plasticizzate.

MP : L

2= My ∶ (

L

2−ΔL

2)

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β =MP

My=

L

L − ΔL

ΔL =L(β − 1)

β

β =MP

My≥ 1; β = 1 se la sezione non ha duttilità.

Per travi a doppio T: β = 1.14 ⇒ ΔL = 0.123L ≅ 12%L

Si ipotizza che la zona plasticizzata sia tutta concentrata in un punto, si studia il comportamento

della trave come comportamento delle zone elastiche più comportamento della zona

plasticizzata collassata in un punto. Tale zona è comunemente detta cerniera plastica. Il

diagramma momento-curvatura serve per monitorare e descrivere il comportamento delle

cerniere plastiche. Ogni sezione della trave avrà un momento, avrà, quindi, una certa curvatura

da cui si può trovare la rotazione della sezione.

Il diagramma momento-curvatura deve essere semplificato, in modo tale da trasformare le

parti curve del diagramma stesso in tratti lineari, come si può vedere nella figura seguente:

Figura 43: Approssimazione del diagramma momento-curvatura con una bilatera

Per trovare il grafico momento-curvatura di una sezione:

si fissa il valore χ = χ*;

da tale valore χ* si determina il diagramma delle deformazioni ε;

tramite il legame costitutivo si determina il diagramma delle tensioni σ;

dalle tensioni si ricava il momento M*;

se si hanno a disposizione abbastanza punti (χ*; M*) per descrivere la curva si può

procedere al tracciamento del diagramma.

Se si dovesse tracciare il diagramma momento-curvatura di una sezione qualunque, di cui si

conosce la posizione dell’asse neutro, per calcolare il momento M dal diagramma delle tensioni

σ si procede con un’integrazione del prodotto delle tensioni stesse per lo spessore b(y) della

sezione alla distanza y dall’asse neutro: 𝑀 = ∫ 𝜎(𝑦)ℎ

0𝑏(𝑦)𝑑𝑦

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2.2.3 SEZIONI PRESSOINFLESSE

In generale le superfici limite elastico e plastico si possono rappresentare anche in termini di

caratteristiche della sollecitazione, andando ad individuare di volta in volta dei punti

rappresentativi della situazione in esame che potranno ricadere all’interno dell’una o dell’altra

superficie, oppure trovarsi al di fuori di entrambe, in una zona non ammissibile.

IN CAMPO PLASTICO: CASO DI SEZIONE RETTANGOLARE

Se si considera una sezione pressoinflessa e si aumentano il carico P ed il momento M dal limite

del regime elastico al limite di quello plastico, in generale, si osserverà uno spostamento

dell’asse neutro dovuto al fatto che c’è uno squilibrio a livello di tensioni che deve essere

bilanciato proprio da tale spostamento. Lo studio di questa evoluzione della posizione dell’asse

neutro nel tempo è molto complicato per cui solitamente per descrivere il comportamento di

una sezione pressoinflessa si impone un valore del carico P e si fa variare solamente il momento

M. La pressoflessione può essere studiata considerando la seguente figura in cui il diagramma

delle tensioni è stato scomposto in tensioni di trazione e di compressione:

yp è la distanza dell’asse neutro reale, in situazione di plasticizzazione completa, dall’asse di

mezzeria. Si ha:

P = 2 ∙ b ∙ σy ∙ yP

M = z ∙ σy − z ∙ yP ∙ σy = σy ∙b

4(h2 − 4 ∙ yP

2)

{

Py = σy ∙ b ∙ h ∶ solo tazione o compressione

My = σy ∙bh2

4∶ flessione semplice

{

P

Py=2 ∙ b ∙ σy ∙ yP

σy ∙ b ∙ h

M

My=σy ∙

b4 ∙ (h

2 − 4 ∙ yP2)

σy ∙bh2

4

= 1 −4 ∙ yP

2

h2= 1 − (

2 ∙ yPh

)2

Nella situazione limite del campo plastico si ha:

{

P

Py=2 ∙ yPh

M

My= 1 − (

P

Py)

2

In cui la seconda espressione rappresenta una parabola con concavità verso il basso nel piano

(P/Py; M/My), di seguito riportata:

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Figura 44: Superficie del campo plastico

IN CAMPO ELASTICO

Si scompone il diagramma delle tensioni nel modo seguente:

{M = σ′ ∙ We = σ′ ∙

bh2

6

P = (σy − σ′) ∙ bh

σy: σ′ = (

h

2+ y0):

h

2

con y0: distanza dell’asse neutro dall’asse di mezzeria;

σy = σ′ (1 +

2y0h)

My = σy ∙bh2

6=bh2

6∙ (1 +

2y0h) ∙ σ′

Py = b ∙ h ∙ σy = b ∙ h ∙ (1 +2y0h) ∙ σ′

{

P

Py=

(σy − σ′) ∙ bh

bh ∙ (1 +2y0h) ∙ σ′

= 1 −1

1 +2y0h

M

My=

σ′ ∙bh2

6bh2

6 ∙ (1 +2y0h) ∙ σ′

=1

1 +2y0h

P

Py= 1 −

M

My

M ∙ β

Mp= 1 −

P

Py

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Da cui si ottiene il dominio in campo elastico:

M

Mp=1

β(1 −

P

Py)

che rappresenta una retta nel piano (P/Py; M/Mp), con coefficiente angolare pari a –(1/β):

Figura 45: Domini plastico ed elastico per la sezione rettangolare in pressoflessione

Si può ragionare in modo analogo con il diagramma delle deformazioni ε:

in questo caso non importa in che campo ci si trova (elastico o plastico). Si scompone tale

diagramma in due diagrammi delle deformazioni, uno a flessione semplice ed uno a

compressione. Immaginando di tenere 𝜒=𝜒*=costante, si fa aumentare il momento M in modo

da portare la sezione a collasso per flessione:

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{εy′ = εy − εPεu′ = εu − εP

; {χy′ =

2εy′

h

χu′ =

2εu′

h

{

χy′ =

2(εy − εP)

h= χy −

2εPh= χy −

2P

EAh

χu′ =

2(εu − εP)

h= χu −

2εPh= χu −

2P

EAh

{

χy

χy=

2(εy − εP)h

2εyh

= 1 −εPεy= 1 −

P

Py

χu′

χy=

2(εu − εP)h

2εyh

=χuχy−P

Py

Figura 46: Andamento della curvatura al crescere del carico (valori adimensionalizzati ai valori di snervamento)

2.3 PLASTICITÀ A LIVELLO DI SISTEMA STRUTTURALE

Il sistema strutturale è un insieme di elementi strutturali connessi tra loro per perseguire uno

scopo finale che se soggetti ad una distribuzione di carichi reagiscono sia in maniera singola che

con mutua interazione.

2.3.1 COMPORTAMENTO ELASTO-PLASTICO

I fattori che influenzano il comportamento elasto-plastico sono vari, tra questi:

iperstaticità;

distribuzione dei carichi;

distribuzione delle rigidezze;

distribuzione delle energie immesse;

tipo di collasso.

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Si definisce duttilità di struttura il rapporto tra due grandezze che esprimono uno spostamento

significativo per individuare il comportamento strutturale: 𝜇 =𝛿𝑢𝐵

𝛿𝑦𝐵 : rapporto che un certo

parametro di spostamento assume sotto carico ultimo e allo snervamento. La duttilità di

struttura va definita in modo diverso a seconda del tipo di struttura e del carico. Si può

definire anche una duttilità di elemento: 𝜇′ =𝜒𝑢𝐴

𝜒𝑦𝐴.

2.3.1.1 IPERSTATICITÀ

Ha un ruolo importante nella determinazione della resistenza della struttura e nella

determinazione delle sovraresistenza strutturali per l’entrata in campo plastico. Si consideri la

trave appoggiata rappresentata nella figura seguente, soggetta a un carico P incrementato da

un moltiplicatore λ. Nella struttura si forma una cerniera plastica quando il momento in B, MB,

diventa uguale al momento plastico Mp.

Figura 47: Schema statico della trave analizzata e diagramma del momento flettente

MB = MP ⇒λPL

4= MP ⇒ λ =

4MP

PL

Per MB=Mp si forma una cerniera plastica nel centro; la struttura diventa un cinematismo: non

resiste a flessione. Alla struttura isostatica di partenza (iperstatica di grado 0), è bastata la

formazione di una cerniera plastica per diventare un cinematismo, quindi giungere al collasso.

2.3.1.2 DISTRIBUZIONE DEI CARICHI

Si consideri la trave doppiamente incastrata riportata nella figura seguente, soggetta ad un

carico concentrato F, via via crescente:

Figura 48: Schema statico della trave analizzata e diagramma del momento flettente

A seconda della distribuzione dei carichi, una stessa struttura ha diverse risorse plastiche; in campo elasto-plastico non vale la sovrapposizione degli effetti.

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MA = MB = MC =1

8FL2 = MP ⇒ F =

8MP

L2

Se la sezione è costante, si formano tre cerniere plastiche nello stesso momento; si ha il passaggio da sistema iperstatico a labile.

La risorsa plastica, per passare da My a Mp:

My = σyWe Fy =8My

L2

Mp = σyz Fu =8MP

L2

100Fu − Fy

Fy= 100(

MP

My− 1) = 100(β − 1)

2.3.1.3 DISTRIBUZIONE DELLE RIGIDEZZE

Con l’entrata in campo plastico cambia il bilancio della rigidezza all’interno del sistema: la parte

di sistema che rimane rigida, in seguito alla rottura di un elemento strutturale, assorbe tutto

l’incremento di forza successivo.

Nel diagramma momento-curvatura si può classificare la zona di transizione tra il Py e il P*, ossia

tra il carico che produce il momento di snervamento My e quello che produce il momento

plastico Mp, come una zona di graduale abbattimento della rigidezza, dovuto al graduale

ingresso in campo plastico.

2.3.1.4 DISTRIBUZIONE DELLE ENERGIE IMMESSE

Si consideri la trave doppiamente incastrata riportata nella figura seguente, soggetta ad un

carico uniformemente distribuito P, via via crescente:

Figura 49: Schema statico della trave analizzata e diagramma del momento flettente

MA = MC =1

12PL2

MB =1

24PL2

All’aumentare del carico P, si giungerà ad un valore del carico, detto P*, per il quale si

formeranno due cerniere plastiche contemporaneamente, in A e in C (hanno momento

massimo). Tale valore di è:

P∗:MA = MC = Mp ⟹ P∗ =12MP

L2

Da questo momento in poi si deve studiare la deformazione aggiuntiva di una trave che adesso

è appoggiata-appoggiata con agli estremi dei momenti Mp, soggetta ad un carico

uniformemente distribuito ΔP, che produrrà un ΔMB:

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ΔMB =1

8ΔPL2

Si avrà formazione di una terza cerniera plastica in B quando:

MB∗ + ΔMB = Mp

1

24P∗l2 +

1

8ΔPL2 = Mp

ΔP =4Mp

L2

Pu = P∗ + ΔP =

12MP

L2+4Mp

L2=16MP

L2

OSSERVAZIONI

100pu−p

p∗= 100 (

4

3− 1) = 33%: l’entrata in campo plastico ha dato una risorsa

resistiva aggiuntiva del 33%;

in campo elastico: 0 < P < P∗: l’andamento del momento flettente varia in modo tale

che, al crescere del carico, i valori del momento aumentano sia agli estremi che in

mezzeria, rimanendo fissi i punti di nullo del momento stesso;

in campo elasto-plasticoP∗ < P < Pu: l’andamento del momento flettente varia in modo

tale che, al crescere del carico oltre il valore per il quale si entra in campo plastico, i

valori del momento aumentano esclusivamente in mezzeria: nell’entrata in campo

plastico l’ulteriore somministrazione di energia al sistema si ripartisce tutta al centro;

le cerniere devono essere ben poste, ad esempio non devono essere allineate, i centri di

rotazione non devono coincidere.

2.3.1.5 TIPI DI COLLASSO

Se il sistema è iperstatico di grado n, allora si avrà collasso globale quando si formeranno n+1

cerniere plastiche ben poste. In generale, si possono distinguere due tipi di collasso:

globale: l’intera struttura collassa;

locale: collassa solamente un elemento strutturale, o un insieme di elementi strutturali,

senza portare al collasso l’intera struttura.

Ad esempio se si considera una struttura iperstatica di grado n=3, dovranno formarsi n+1=4

cerniere plastiche per giungere al collasso globale, cioè che coinvolge tutta la struttura.

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2.3.2 STUDIO DELLA CAPACITÀ PORTANTE

SISTEMI DI TRAVI IN CAMPO ELASTO-PLASTICO

Si assumono le seguenti ipotesi:

i carichi aumentano proporzionalmente: si riduce la ricerca del carico di collasso alla

ricerca di un moltiplicatore λ;

modello di plasticità:

diffusa;

concentrata.

I parametri noti sono i seguenti:

caratteristiche della struttura:

geometria;

vincoli;

rigidezze;

distribuzione dei carichi;

legame costitutivo dei materiali.

L’obiettivo primario è di determinare il moltiplicatore di collasso: λu, mentre gli obiettivi

secondari sono di determinare il moltiplicatore di prima plasticizzazione: λy e lo stato

deformativo.

Il metodo di calcolo può essere:

analisi incrementale;

analisi limite;

soluzioni analitiche in forma chiusa.

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2.3.3 METODO ELASTO-PLASTICO INCREMENTALE

Configurazione di partenza

λi = λ0

i = 1

Incremento di carico

Δλi = λi - λi-1

Analisi elastica incrementale

K∙Δqi = F∙Δλi

Incremento dello stato tensionale-deformativo del

sistema

Δσi, Δεi (relativo)

Somma dell'incremento di stato tensionale-deformativo

al passo con i con quelli precedenti

σi = Δσ𝑗𝑖𝑗=1

Stato tensionale-deformativo

del sistema

σi, εi (assoluto)

C'è qualche sezione al

limite di plasticità?

C'è qualche sezione oltre il

limite di plasticità?

No

Aggiornamento dello schema statico

Il sistema è un meccanismo?

No

STOP

i = i+1

No

i = i+1 i = i

Diminuzione

valore di λi

(ad esempio:

λi’ = λi-1+

𝜆𝑖−𝜆𝑖−1

2

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È il procedimento che segue il calcolatore: esegue la cosiddetta analisi di push-over,

scomponendo un problema elasto-plastico in una successione di problemi elastici incrementali,

attraverso un’approssimazione che trascura le risorse plastiche nei vari passaggi.

Presa una configurazione iniziale al passo i=1, si incrementa la forza di Δλ, trovando lo stato

iniziale deformativo del sistema. Sommando tale stato a quello iniziale di partenza si ottiene un

valore che permette di valutare se lo stato tensionale corrispondente è uno stato assoluto o

uno stato limite: se ci si trova in uno stato tensionale limite si inserisce una nuova cerniera

plastica nel sistema, cambiando lo schema statico, altrimenti si aumenta il carico senza

modificare lo schema iniziale.

Attraverso tale procedimento si possono calcolare anche gli stati incrementali deformativi del

sistema (obiettivo secondario); ciò si può fare perché si sta esaminando una serie di problemi

elastici.

2.3.4 METODO DELL’ANALISI LIMITE

Con l’analisi limite si riesce a determinare il moltiplicatore ultimo λu. Un problema che si

presenta è che non si conosce la forma della superficie limite in termini di azioni. Le superfici

limite sono convesse: dato uno stato ammissibile, il moltiplicatore ultimo dei carichi λu sarà

maggiore di zero.

I teoremi dell’analisi limite sono i seguenti:

teorema statico: dato uno stato staticamente ammissibile, il λu è il massimo tra i λ che

definiscono stati staticamente ammissibili;

teorema cinematico: λu è il minimo tra i λ che producono meccanismi di collasso

cinematicamente ammissibili con i vincoli esterni;

teorema di unicità: il λu è l’unico associato a uno stato staticamente ammissibile e ad uno

cinematicamente compatibile.

Le ipotesi di base dell’analisi limite sono di seguito riportate:

le sezioni ruotano restando piane;

piccoli spostamenti, per avere semplici geometrie di collasso;

il legame costitutivo è quello elasto-plastico perfetto: permette di trascurare la

differenza tra σy e σp;

μ0, μ = ∞ ⟹ εu

εy= 0, altrimenti la prima cerniera plastica si potrebbe rompere;

i carichi sono proporzionali.

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Si consideri il seguente esempio:

Figura 50: Sistema reale, sistema S’ e sistema S’’

APPLICAZIONE DEL TEOREMA STATICO

SISTEMA S’:

R1′ = R2

′ = P MA′ = P ∙ a

MB′ = R1

′ ∙ (a + b) − P ∙ b = P ∙ a

SISTEMA S’’:

R1′′ =

X

L MA

′′ = R1′′ a =

X

La

R2′′ = −

X

L MB

′′ = R1′′ ∙ (a + b) =

X

L∙ (a + b)

MC′′ = R1

′′ (a + b + a) =X

LL = X

{

MA = MA

′ −MA′′ = (P −

X

L) a

MB = MB′ −MB

′′ = P a −X

L(a + b)

MC = MC′′ = X

Condizioni di collasso:

{

1) MA = MP 2)MB = MP

3)MC = MP

La condizione 1) non è ammissibile perché almeno due dei momenti sono uguali ad MP. Se si

verificano contemporaneamente le condizioni 1) e 2) si ha collasso locale; se, invece, si

verificano nello stesso momento 1) e 3), oppure 2) e 3) il collasso è globale.

CASO (a): CONDIZIONI 1)+3):

{(Pcr

(a)−X

L) a = MP

X = MP ⇒ Pcr

(a)=

MPL+MPa

aL

CASO (b): CONDIZIONI 2)+3):

{Pcr(b)a −

X

L(a + b) = MP

X = MP ⇒ Pcr

(b)=

MPL+MP(a+b)

aL

a a b

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Pcr(b)> Pcr

(a)→ Pcr

(b) non è staticamente ammissibile in quanto se MB=MC=MP, in A si dovrebbe

avere MA>MP, ma ciò non è possibile ⇒ Pcr = Pcr(a)

Per applicare il teorema statico il ragionamento è stato il seguente:

si risolve la statica del problema;

si impongono le condizioni limite sulle quantità statiche trovate;

si calcola il Pcr corrispondente;

si seleziona il Pcr massimo.

APPLICAZIONE DEL TEOREMA CINEMATICO

Per applicare il teorema cinematico si segue la schematizzazione qui riportata:

cerniere plastiche:

carichi concentrati;

vincoli;

irregolarità strutturali;

cerniere plastiche a flessione (caso dell’esercizio trattato);

deformate plastiche trascurabili: sono rappresentate con linee rettilinee che uniscono le

cerniere plastiche.

a) individuazione dei possibili meccanismi cinematicamente compatibili con i vincoli; si

scartano i meccanismi locali:

a1) a2)

b) calcolo energetico per individuare Pcrmin:

a1)

δB =δAa

a + b

θA =δAa+

δAa + b

Lest(1)

= Lint(1)

Pcr(1)δA + Pcr

(1)δB = MPθA +MPθC

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a2)

δA′ =

δB′a

a + b

θB′ =δB′

a+

δB′

a + b

Lest(2)

= Lint(2)

Pcr(2)δB′ + Pcr

(2)δA′ = MPθB′ + MPθC′

Lint(2)> Lint

(1) perché {

θC′ > θCθB′ = θA

Lest(2)

> Lest(1)

: l’unico motivo affinché ciò si verifichi è che Pcr(2)> Pcr

(1)

Per il teorema cinematico: Pcr = Pcr(1)

Pcr(1)δA + Pcr

(1)δB = MPθA +MPθC

Pcr(1) (δA +

δAa

a + b) = MP (

δAa+

δAa + b

) +MP

δAa + b

Pcr(1)(1 +

a

a + b) = MP (

1

a+

2

a + b)

Pcr(1)=MP [

3a + ba(a + b)

]

(2a + ba + b

)= MP

3a + b

a(2a + b)

si pone L = 2a + b:

Pcr(1) = MP

a + L

aL=MPa + MPL

aL

Con il teorema cinematico si è trovato lo stesso Pcr trovato con il teorema statico:

PcrTC = Pcr

TS =MPa + MPL

aL

Per applicare il teorema cinematico il ragionamento è stato il seguente:

si individuano dei meccanismi compatibili;

si scrive l’equazione: Lest = Lint;

si individua il Pcrmin;

si calcola il Pcr.

Per il teorema dell’unicità, l’unica soluzione è PcrTC = Pcr

TS. Nei casi in cui PcrTC ≠ Pcr

TS, la

soluzione si trova all’interno dell’intervallo individuato da questi due valori.

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Tabella 3: Ipotesi dell’analisi incrementale e dell’analisi limite:

ANALISI INCREMENTALE ANALISI LIMITE

IPOTESI BASE i carichi aumentano

proporzionalmente piccoli spostamenti;

IPOTESI COMUNI materiale elasto-plastico perfetto; duttilità illimitata (μ = ∞); plasticità concentrata.

L’analisi incrementale è molto più potente dell’analisi limite

Tabella 4: Vantaggi e svantaggi di analisi incrementale ed analisi limite:

ANALISI INCREMENTALE ANALISI LIMITE

VANTAGGI

applicabile con equazioni costitutive complesse;

applicabile con instabilità; molti codici di calcolo; si trovano le deformazioni.

semplice (a mano); di facile interpretazione.

SVANTAGGI

complicata; soggetta ad errore

numerico (che potrebbe accumularsi);

i risultati possono non essere semplici.

non si trovano le deformazioni;

non è soggetta ad ‘elasticità’ delle ipotesi.

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3 CRISI DEGLI ELEMENTI STRUTTURALI

Nello schema seguente si può notare che la crisi degli elementi strutturali può essere dovuta a

cause diverse:

Inoltre esistono molti tipi di problemi strutturali. Una possibile classificazione di tali problemi

può essere quella qui riportata:

Riuscire a ricondursi ad un problema lineare è molto importante perché, come visto nei

paragrafi precedenti, in quel caso valgono il principio di sovrapposizione degli effetti, il principio

di unicità di Kirchhoff e si possono utilizzare equazioni risolutive semplici.

Crisi elementi strutturali

Raggiungimento della massima resistenza

Livello di sforzo accettabile

Instabilità

Fatica

Pro

ble

mi s

tru

ttu

rali

Lineari

Linearità del materiale

Piccoli spostamenti

Vincoli bilateri

Forze non posizionali

Non lineari

Materiale

Geometria

Contatto

Azioni

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3.1 INSTABILITÀ DELLE STRUTTURE

Il modo di deformarsi di un elemento strutturale al crescere del carico diventa instabile per un

certo valore del carico stesso. Per lo studio dell’instabilità si rimuove l’ipotesi di piccoli

spostamenti: si dovrà studiare un problema non lineare per geometria, usando quindi una

teoria del secondo ordine, come quella che studia l’equilibrio in configurazione deformata. Si

consideri una trave deformata sotto carico uniforme P:

Per un concio infinitesimo di trave:

in configurazione indeformata l’equilibrio è il seguente:

{

dN

dx= 0

dT

dx= −p

dM

dx− T = 0

in configurazione deformata l’equilibrio è, invece:

{

dN

dx= 0

dT

dx= −p

dM

dxdx − (N +

dN

dxdx) dv = 0

con dv: quantità di cui si alza la fibra dell’asse neutro opposta al polo di rotazione.

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In questo caso c’è accoppiamento tra il momento flettente e lo sforzo assiale che dipende dalla

deformata (che ha importanza per le azioni prodotte).

3.1.1 TEORIA DI LYAPUNOV

È la teoria più generale che inquadra il problema dell’instabilità. Si definisce una serie di

parametri lagrangiani generici, dipendenti dal tempo, che definiscono il sistema a n gradi di

libertà. Dato uno stato del sistema all’istante t, il vettore dei parametri lagrangiani è:

c(t) = [q1(t), q2(t), … , qn(t)]

È dato uno stato di moto, definito dai parametri lagrangiani all’istante t e dalle loro derivate

temporali prime:

M(t) = [q1(t), q2(t), … , qn(t); q1(t) , q2(t) , … , qn(t) ]

Si definisce la distanza tra due stati di moto come:

|MI −MII| = [(q1I − q1

II)2+⋯+ (qn

I − qnII)

2; (q1

I − q1II )

2+⋯+ (qn

I − qnII )

2]

con l’origine dello spazio degli stati di moto pari a:

M0 = [0,… ,0; 0, … ,0]

Preso uno stato di moto c0 del sistema S ed uno o più disturbi iniziali (all’istante t=0),

opportunamente piccoli:

M∗(0) = [q1∗(0), q2

∗(0),… , qn∗(0); q1

∗(0) , q2∗(0) , … , qn

∗(0) ]

lo stato c0 è stabile se il conseguente moto rimane limitato:

∀|M∗(0) − M0| < ε piccolo ⇒ ∀t |M(t) − M0| < δ infinito

Ciò afferma che l’instabilità è un fenomeno dinamico. Preso un sistema dinamico sottoposto a

perturbazione, il moto può essere:

stabile: nel caso in cui il moto abbia coefficiente di smorzamento superiore o inferiore a

quello critico oppure il moto sia privo di smorzamento o con coefficiente di

smorzamento tale che la forzante produca un atto di moto costante;

instabile: come, ad esempio, il fenomeno del flutter, ossia un fenomeno non lineare da

studiare con un approccio dinamico.

Esistono fenomeni talmente lenti per cui il fenomeno dinamico può essere ricondotto ad un

fenomeno statico; è il caso della colonna in instabilità per carico euleriano: in fase precritica il

problema deve essere lineare.

Un esempio di instabilità non euleriana è l’arco a tre cerniere compresso: l’instabilità è a scatto

(instabilità snap through) per cui l’arco comincia ad abbassarsi fino ad arrivare ad un valore del

carico detto critico per cui l’arco scatta e si dispone con le aste rivolte verso il basso. C’è un

regime di deformazione non graduale che vede un vuoto di posizioni di equilibrio dovuto

all’instabilità dell’arco. Tale problema non può essere studiato con approccio lineare.

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Classificazione dei sistemi intesi come sistemi strutturali più carichi ad essi applicati:

Per i sistemi conservativi si può definire un’energia potenziale fittizia Ep che definisce l’energia

del sistema nel suo stato attuale. La differenza di energia potenziale, in questo caso, si calcola

semplicemente come differenza tra le energie nei due stati considerati.

Per sistemi conservativi l’instabilità può essere trattata con l’approccio energetico valutando se

una posizione è di equilibrio grazie allo studio del segno della derivata prima, e studiando la

stabilità dell’equilibrio grazie allo studio del segno della derivata seconda:

{

minimi di Ep (

dEp

dq= 0)

segno di Ep (d2Ep

dq2= {

> 0= 0< 0

)

Inoltre, se in fase pre-critica il sistema era lineare, se cioè: 𝑑𝐸𝑝

𝑑𝑞= 0 e se

𝑑2𝐸𝑝

𝑑𝑞2= 0 (l’equilibrio

è indifferente), allora si può utilizzare l’approccio statico per studiare l’instabilità; la seconda

condizione equivale a perdita di equilibrio statico per perdita di rigidezza.

Sist

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stru

ttu

ra e

car

ich

i)

Conservativi

Struttura

Elastica

Dissipazioni contenute (~nulle)

Carichi non posizionali

Non conservativi

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Distinzione tra sistemi conservativi e non conservativi ad esempi nei vari casi:

3.1.2 PROBLEMI EULERIANI

La categoria dei problemi d’instabilità detti Euleriani è costituita da sistemi conservativi che si

comportano linearmente in fase pre-critica: sono caratterizzati da una configurazione

fondamentale (o banale) di equilibrio, che non è necessariamente indeformata, ma è

comunque legata linearmente al carico. In tal caso l’instabilità si manifesta per biforcazione,

quando un modo deformativo, non direttamente attivato dai carichi, ha perso completamente

di rigidezza. Il primo punto di biforcazione identifica il carico critico Pcrit: sotto carichi superiori

la configurazione fondamentale è di equilibrio instabile e, difatto, non può sussistere; d’altra

parte, una struttura reale inevitabilmente sede di imperfezioni, non riesce neppure ad

avvicinare Pcrit mantenendosi in configurazioni prossime a quella fondamentale.

In virtù della linearità pre-critica, i punti di biforcazione possono essere identificati operando al

secondo ordine, e le equazioni che governano il sistema sono quindi lineari. In particolare la

ricerca del carico critico, e della corrispondente deformata critica, si riconduce alla risoluzione

di un problema lineare agli autovalori. Il carico critico euleriano non è di per sé un’indicazione

attendibile dell’effettiva capacità portante della struttura, e il risultato deve essere integrato da

informazioni sul comportamento post-critico; se la struttura giunge al collasso in configurazioni

non troppo lontane da quella fondamentale, è peraltro sufficiente considerare l’andamento

Sist

emi (

stru

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ra e

car

ich

i)

Conservativo

Comportamento pre-critico lineare

Problemi Euleriani

(colonna compressa)

Comportamento pre-critico non lineare

Problemi non Euleriani

(instabilità a scatto dell'arco a tre cerniere)

Non conservativo

Azioni non conservative

Sistemi con possibile equilibrio statico

(flutter)

Sistemi puramente dinamici

(instabilità per vibrazioni spurie)

Materiale strutturale in campo plastico

Plasticizzazioni omogenee

Plasticizzazioni locali

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iniziale dei percorsi diramati, che la teoria asintotica rappresenta con precisione adeguata

elaborando i risultati dell’analisi lineare.

Sono problemi che possono essere studiati con l’approccio statico; l’instabilità avviene per

biforcazione dell’equilibrio: fino a che non si arriva in fase critica, l’equilibrio è univoco per il

teorema di unicità di Kirkhhoff, poi si biforca. Valgono le ipotesi di piccoli spostamenti e di

linearità in fase pre-critica: si riconduce lo studio a un problema agli autovalori.

Si consideri l’esempio di trave inflessa e compressa, con elasticità non continua sulla trave ma

concentrata alla base grazie ad una molla k.

Per l’ipotesi di piccoli spostamenti: sin θ ≅ θ . L’equilibrio in configurazione

deformata è:

k θ = PLθ + M

(k − PL) θ = M

k∗ θ = M

con k*: rigidezza fittizia. Per k* nullo, qualsiasi valore di θ è possibile per

l’equlibrio.

k − PcritL = 0

Pcrit =k

L

La deformata aumenta linearmente con il carico, da un lato o dall’altro

dell’asse delle ascisse a seconda dell’inclinazione θ dell’asta; da Pcrit in poi

può assumere qualsiasi valore.

Se si rimuove l’ipotesi di piccoli spostamenti: sin 𝜃 ≠ 𝜃

Nel caso in cui M=0:

𝑘 𝜃 = 𝑃𝐿 sin 𝜃 𝑃𝐿

𝑘=

𝜃

sin 𝜃

C’è una piccola deformazione iniziale dovuta alle imperfezioni che porta ad

avere una direzione preferenziale per l’instabilità.

L’equilibrio è descritto da una curva, come si può osservare nel paragrafo

relativo all’esercizio sul comportamento critico e post-critico di un’asta.

APPROCCIO ENERGETICO

Dato il sistema S nello stato c0 nullo, il vettore spostamento, nello spazio delle variabili

lagrangiane q è:

𝜇 = [

𝑞1…𝑞𝑛]

con distanza tra c e c0(nullo):

d(c − c0) = (q12 +⋯+ qn

2)2

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e analogamente, per due stati non nulli:

𝑑(𝑐𝐼 − 𝑐𝐼𝐼) = (𝑞1𝐼𝐼 − 𝑞1

𝐼)2 +⋯+ (𝑞𝑛𝐼𝐼 − 𝑞𝑛

𝐼 )2

Sia E (q1,…,qn) una funzione continua e differenziabile rappresentante l’incremento di energia

potenziale associata al vettore di spostamento; c* è di equilibrio se la variazione dell’energia

potenziale è nulla:

E(u∗) = (∂E

∂qi)c∗= 0 (con i = 1,… , n)

cioè se tutte le derivate prime di E rispetto alle variabili lagrangiane del sistema sono nulle:

grad(E)c∗ = 0

A seconda del segno della derivata seconda, la posizione è di equilibrio si dice:

stabile;

instabile;

indifferente.

Per individuarla si utilizza il secondo teorema di Lagrange per il quale:

(∂2E

∂qi ∂qj)c∗

= {> 0= 0< 0

Per definizione E è differenziabile se può essere scritta in serie di Taylor:

E(u∗) = E1(u∗) + E2(u

∗) + ⋯+En(u∗)

Em(u∗) = (

∂mE

∂ξq1 ∂ηq2…∂

ζqn)1

m!q1q2…qn con ξ + η + ζ = m

Se la posizione è di equilibrio: tutte le derivate prime sono nulle. Si deve studiare il segno della

derivata seconda della variazione di E. Si arresta lo sviluppo al secondo ordine (teoria del

secondo ordine):

E(u∗) = E2(u∗)

E2(u∗) =

1

2!u∗T (

∂2E

∂qi ∂qj)u∗

u∗

Lo studio del segno di E dipende dallo studio del segno dell’espressione precedente in u*. Si

deve studiare il segno di E2(u*): si tratta di studiare un problema agli autovalori. La posizione di

equilibrio sarà stabile se inserendo una perturbazione rispetto a quella posizione la risposta

sarà limitata.

Dato uno stato cI, prossimo a c*, con moto uI, per andare da c* a cI:

[E2(u∗)]uI −ωuI > 0 equilibrio stabile

con ω: valore minimo assunto da E2(u*) nell’intorno di c*.

[E2(u∗)]uI = 0 ω = 0 equilibrio critico (indifferente)

Nell’intorno di c*, E2(u*) non subisce variazione. Ammette soluzione diversa da quella banale

solo se det[E2(u∗)] = 0, la soluzione verrà trovata studiando il determinante.

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APPROCCIO STATICO

CASO DI ASTA PERFETTA:

nell’ipotesi di piccoli spostamenti:

kθθ − λLθ = 0

(kθ − λL)θ = 0

λcr =kθL

nel caso di grandi spostamenti:

kθθ − λL sinθ = 0

(kθ −λL sinθ

θ)θ = 0

λcr =kθθ

L sinθ

CASO DI ASTA IMPERFETTA:

nell’ipotesi di piccoli spostamenti:

kθ(θ − θ0) − λLθ = 0

(kθ − λL)θ = kθ ∙ θ

λcrL

kθ= 1 −

θ0θ

nel caso di grandi spostamenti:

kθ(θ − θ0) − λL sin θ = 0

kθ(1 −λL sinθ

kθθ)θ = kθ ∙ θ0

λcrL

kθ= (

1 − θ0θ

) ∙θ

sinθ

Con l’approccio statico si scrive l’equilibrio in configurazione deformata ottenendo

un’equazione in cui il carico moltiplica lo spostamento; c’è un membro aggiuntivo alla rigidezza

k* che diviene:

k∗ = kθ − λL

con λL= KG: fattore dipendente dalla geomatria che aumenta con il carico fino a che:

kθ − λL = 0

si deve trovare il valore di λ che annulli la k*.

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ESERCIZIO: CASO DI ASTA IMPERFETTA NELL’IPOTESI DI GRANDI SPOSTAMENTI; APPROCCIO ENERGETICO

EPTOT = EPe + EPc =1

2kθ(θ − θ0)

2 − λL[(1 − cosθ) − (1 − cosθ0)] =

=1

2kθ(θ − θ0)

2 − λL[− cos θ + cos θ0]

Nel caso monodimensionale le derivate seconde sono nulle: ∂EPTOT∂θ

=dEPTOTdθ

= 0

interessa studiare l’equilibrio critico (indifferente).

kθ(θ − θ0) − λL sin θ = 0

kθθ − kθθ0 − λL sin θ = 0

λcrL

kθ= (

θ−θ0sin θ

)

Si considerano due aste caricate di punta collegate da due molle rotazionali con rigidezza k.

L’energia potenziale totale del sistema è:

EPTOT = EPe + EPc =1

2kθ1

2 +1

2kθ2

2 − λL[1 − cos θ1 + 1 − cos(θ1 + θ2)]

Lo spostamento orizzontale dell’asta 1 vale: d1 = L − L cos θ1; lo spostamento orizzontale

dell’asta 2 vale: d2 = L − L cos(θ1 + θ2). Lo spostamento orizzontale totale sarà: d = d1 + d2.

Per lo sviluppo in serie di Taylor con punto iniziale θ0=0:

cos θ = cos(θ0 = 0) +∑∂k cos θ

∂θk|θ=0 ∙

1

k!∙ θk

k=1

arrestando lo sviluppo in serie al secondo ordine si ottiene:

cos θ =1 −1

2∙ 𝜃2 +⋯

Per cui:

EPTOT(2) =

1

2kθ1

2 +1

2kθ2

2 − λL [1

2∙ 𝜃1

2 +1

2(𝜃1 + 𝜃2)

2] =

EPTOT(2) =

1

2kθ1

2 +1

2kθ2

2 − λL(𝜃12 +

𝜃12

2+ 𝜃1𝜃2)

{

∂EPTOT

∂θ1

(2)

= kθ1 − λL(2θ1 + θ2) = 0

∂EPTOT∂θ2

(2)

= kθ2 − λL(θ1 + θ2) = 0

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[θ1 θ2] {[k 00 k

] − [2λL λLλL 2λL

]} = [00]

Per studiare l’equilibrio si ricerca la condizione di equilibrio indifferente. Si risolve il problema

agli autovalori, trovando i valori del carico che annullano il determinante:

det [k − 2λL −λL−λL k − 2λL

] = 0

{

λ1 =

3k

2L+√5k

2L≅ 2.618

k

L

λ2 =3k

2L−√5k

2L≅ 0.382

k

L

Il valore di λcr è il minore tra i due:

λcr = λ2 ≅ 0.382k

L

Si sostituisce tale valore nel sistema di equazioni di partenza per trovare i valori di θ1 e θ2:

θ2 = −(√5 − 3

√5 − 1)θ1 ≅ 0.618 θ1

È da notare che se il valore inferiore di λ non può verificarsi per qualche motivo, allora si

verificherà l’altro:

Ragionando in questo senso si può volontariamente impedire che il λ inferiore si verifichi per

far aumentare il valore del carico critico.

3.1.3 PROBLEMI NON EULERIANI

Pur se comprende molte situazioni di notevole rilevanza ingegneristica, la categoria dei problemi Euleriani non esaurisce tutti i casi di interesse. Determinate strutture non possono essere considerate come conservative al loro limite di stabilità, o perché hanno precedentemente esaurito le risorse elastiche del materiale di cui sono costituite, o perché, in una transizione tra due configurazioni congruenti, il lavoro dei carichi cui sono soggette dipende dal percorso e non può pensarsi percorso a spese di un potenziale. Sistemi anche conservativi possono rispondere sin dall’inizio del processo di carico non linearmente, violando l’ipotesi essenziale perché un problema possa essere riguardato come Euleriano. In tutti questi casi l’instabilità presenta aspetti diversi che nei problemi Euleriani. È in particolare necessario

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distinguere i due fenomeni definiti come instabilità statica e dinamica, che non sempre si manifestano contemporaneamente. In sistemi soggetti a forze non conservative può accadere che l’unica configurazione di equilibrio sia quella fondamentale: essa può divenire instabile, nel senso che la risposta dinamica del sistema perturbato è sproporzionata all’entità della perturbazione. In strutture elasto-plastiche il limite di stabilità corrisponde di regola a una biforcazione e, avvicinando il relativo livello di carico, una struttura reale si atteggia in configurazioni lontane da quella fondamentale, che peraltro può mantenersi stabile sotto carichi anche superiori. Strutture non lineari in fase pre-critica possono inoltre raggiungere la situazione di crisi in corrispondenza di un punto di massimo nel diagramma rappresentativo della loro risposta, senza che esistano configurazioni di equilibrio adiacenti.

3.2 INSTABILITÀ DI PIASTRE E LASTRE

La distinzione tra piastre e lastre dipende esclusivamente dalla direzione di applicazione delle

forze sull’elemento: nel caso di piastre le forze sono applicate ortogonalmente al piano medio

dell’elemento, nel caso di lastre sono invece applicate ‘parallelamente’ al piano medio. È molto

importante studiare in dettaglio i pannelli reali che potrebbero andare incontro all’instabilità, si

pensi all’ala o all’anima della trave, ad esempio. Tali fenomeni sono di tipo locale: l’elemento

bidimensionale, a seconda del tipo di carico agente e dei vincoli considerati, può instabilizzarsi

in molti modi. La differenza con l’elemento monodimensionale di colonna di Eulero è che in

quel caso si tiene conto dell’instabilità di elemento, dell’intera colonna.

ANALISI DI INSTABILITÀ E ANALISI NON LINEARE

Si esamineranno diversi casi che differiscono tra loro per il tipo di carico applicato:

compressione;

azioni di momento flettente;

taglio;

taglio e compressione;

taglio e momento flettente;

analisi non lineari tenendo conto che il materiale sia elastico;

analisi non lineari tenendo conto che il materiale abbia comportamento elasto-plastico.

L’instabilità delle piastre può essere studiata attraverso:

metodo analitico: grazie alla risoluzione dell’equilibrio. Per le piastre questo metodo

può, però, essere molto difficile perché le equazioni sono equazioni differenziali parziali

del quarto ordine;

metodo energetico: consente di arrivare a soluzioni approssimate grazie ad

un’uguaglianza dei lavori.

Le ipotesi geometriche sotto cui si può valutare il carico critico sono le seguenti:

assenza di imperfezioni;

piastra sottile;

materiale elastico;

carichi applicati sul piano medio.

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Il valore critico delle forze che agiscono sulla piastra dipende dal rapporto lunghezza/larghezza,

dallo spessore, dalle proprietà del materiale e dalle condizioni di vincolo.

AZIONI DI COMPRESSIONE

Si esamina il caso di lastra semplicemente appoggiata su quattro lati, il carico è uniformemente

distribuito su due soli lati. Dati:

a e b: dimensioni della piastra,

m ed n: numero delle semionde, rispettivamente, parallele e ortogonali alla direzione

del carico,

la lastra si instabilizzerà con la formazione di un’unica semionda in direzione ortogonale alla

direzione del carico (n=1), mentre può formare differenti semionde nella direzione di

compressione (non si conosce a priori il valore di m per cui il carico critico è minore). Si può

affermare che le lastre, rispetto a un elemento monodimensionale, si comportano meglio

nei riguardi dell’instabilità. Si nota che se a (direzione in cui si applica il carico)è minore di b,

il minimo valore del carico critico si verifica per m=1, se invece a è maggiore di b allora a

priori non si conosce il valore di m, per cui si utilizzano degli abachi per trovare il valore del

carico critico minimo. In questi abachi si entra con il valore del rapporto a/b in ascissa, in

ordinata si entra con il valore di un parametro k. In tali abachi sono riportate una serie di

curve al variare di m.

Per ogni caso di vincolo differente da quello ora trattato si possono utilizzare altri abachi: per

ogni tipo di vincolo si avrà un diverso rapporto a/b che fa instaurare l’instabilità.

AZIONI DI MOMENTO FLETTENTE

Sono applicate azioni assiali di compressione e di trazione, quindi rispetto al caso precedente, la

situazione dovrebbe essere meno grave. A seconda della situazione si possono utilizzare altri

abachi, sempre con lo stesso ragionamento seguito nel paragrafo precedente.

AZIONI DI TAGLIO

In generale in un elemento soggetto a taglio si può instaurare instabilità lungo la diagonale

principale di compressione.

AZIONI DI TAGLIO E COMPRESSIONE

È una delle combinazioni di azioni più pericolose. C’è un’interazione negativa tra le due

sollecitazioni: la presenza di sollecitazioni di compressione fa diminuire molto il carico critico

del pannello soggetto anche a taglio.

AZIONI DI TAGLIO E MOMENTO FLETTENTE

Un piccolo valore di taglio non influenza molto il pannello soggetto a momento flettente:

l’interazione tra le due sollecitazione è meno forte rispetto al caso precedente.

ANALISI NON LINEARE DI PIASTRE O LASTRE

Con la teoria di Timoshenko e con l’analisi di buckling si può valutare solamente il valore del

carico critico, ma non si riesce a valutare il comportamento post-critico né a valutare la

presenza di imperfezioni. Per fare ciò si ricorre ad un’analisi non lineare incrementale.

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Si esegue tale analisi a controllo di spostamenti perché a priori non si conosce il

comportamento post-critico, quindi non avrebbe senso condurre un’analisi a controllo di forze.

Si nota che le piastre arrivano alla crisi per valori del carico maggiori del carico critico.

Per i gusci il discorso è molto diverso: tali elementi, infatti, arrivano alla crisi prima di

raggiungere il carico critico.

Le piastre soggette ad azione di compressione, appoggiate sui quattro lati, sono caratterizzate

da una distribuzione delle tensioni non uniforme: si ha uno stato tensionale maggiore in

corrispondenza degli appoggi, essendo tali zone sono più rigide; la distribuzione del carico

dipenderà dai vincoli scelti. Ci si può ricondurre allo studio di una piastra di dimensioni

equivalenti all’interno della quale l’andamento delle tensioni σ può essere considerato

uniforme. Un’altra considerazione da fare è che la forza di compressione ultima è n volte

maggiore del carico critico. Come scritto in precedenza, per le piastre in materiale elastico

lineare il comportamento post-critico è positivo (ciò è dovuto alla ‘bidimensionalità’

dell’elemento per cui le strisce tra loro ortogonali che compongono la piastra stessa si

‘sostengono’ a vicenda): in generale al raggiungimento del carico critico la piastra non si

instabilizza, ma si instabilizzerà per un valore di carico pari a 4 o 5 volte il valore del carico

critico. Se si tiene conto dell’accoppiamento tra snervamento ed instabilità il discorso sarà più

complicato, in quanto il valore del carico critico tenderà a ridursi notevolmente a causa della

suddetta interazione.

3.3 INSTABILITÀ DI GUSCI

In questo caso il comportamento che interessa in termini di instabilità è fuori piano: il carico

agisce in direzione ortogonale all’elemento, il materiale è elastico lineare, non ci sono

imperfezioni. Il guscio si instabilizza fuori dal piano. Si osserva che la configurazione più stabile

per i gusci si ottiene per rapporti h/l pari a 0.3÷0.4: un guscio molto ribassato ha un carico

critico molto basso (se caricato fuori piano), e anche un guscio molto arcuato non è un

elemento stabile.

Se si esegue l’analisi non lineare per un guscio con h=0.4l, sia a controllo di spostamenti che a

controllo di forza, si osserva che il guscio presenta un’instabilità detta snap through o a scatto

(tipica dell’arco a tre cerniere): è un tipo d’instabilità non euleriana perché è caratterizzata da

una non linearità in fase pre-critica; nel caso del guscio caricato fuori piano da un carico rivolto

verso il basso, si ha uno sbandamento laterale seguito da un ribaltamento. Dopo il

ribaltamento, l’elemento reale è collassato, mentre in termini analitici si può pensare che

questo sia diventato ‘stabile’. L’elemento ha completamente cambiato configurazione: in

termini monodimensionali, si passa da un arco che lavora a compressione ad una fune che

lavora a trazione.

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4 COSTRUZIONI METALLICHE IN ZONA SISMICA

Quando si progetta in zona sismica, la prima cosa da fare è scegliere il tipo di analisi da

eseguire:

lineare;

non lineare.

Si devono, inoltre, modellare le azioni:

modellazione statica;

modellazione dinamica.

Le combinazioni possibili sono quattro; un esempio di analisi non lineare statica è l’analisi di

push-over, mentre un esempio di analisi lineare dinamica è l’analisi con spettro di risposta o

con accelerogrammi secondo quanto riportato al paragrafo 3.2.3.1 delle NTC 2008. La

normativa permette di scomporre il moto sismico per componenti, questa è una grande

approssimazione; la maggior parte delle scelte progettuali si basano su sismi monodirezionali.

A seconda dell’analisi scelta, si provvederà alla modellazione della struttura; ad esempio si può

fare un’analisi statica lineare equivalente: il sisma è caratterizzato solo dall’accelerazione

massima attesa in superficie nel sito della struttura. Se le armoniche del segnale vicine al primo

modo di vibrare della struttura hanno grande energia si possono trascurare le altre. Per

ottenere i massimi spostamenti della struttura sotto sisma si possono applicare delle forze

statiche che ricalcano le deformate del primo modo di vibrare. Le forze che eccitano la struttura

sotto sisma sono forze di inerzia: data un’accelerazione alla base, la struttura comincia a vibrare

perché è dotata di massa. L’intensità di tali forze d’inerzia deve essere proporzionale

all’accelerazione del sisma alla base e alla massa della struttura. Di tutte le accelerazioni

registrate nell’accelerogramma, si dovrà considerare la massima; come massa si considererà,

per ogni piano, la massa dell’intero piano. L’energia dell’armonica corrispondente al primo

modo di vibrare è quella che solitamente si chiama pseudo-accelerazione spettrale. Per ogni

periodo di vibrare si ha un’energia nello spettro di risposta. Il set di forze statiche triangolare da

considerare è tale da far sì che le forze siano proporzionali alla massa del piano ed alla pseudo-

accelerazione spettrale in corrispondenza del periodo del primo modo di vibrare.

Per fare un’analisi non lineare si dovrà lavorare nel dominio del tempo perché l’analisi nel

dominio delle frequenze è un’analisi in cui la risposta è ricavata come sovrapposizione lineare di

risposte modali, per cui risulterà essere un’analisi lineare per definizione.

Per valutare l’intensità dell’azione sismica:

si definisce la vita nominale della costruzione secondo quanto riportato nelle NTC 2008,

distinguendo tra tre classi di importanza della struttura che potrà definirsi ordinaria,

soggetta ad affollamento o strategica;

si sceglie il sito dell’opera;

si sceglie lo stato limite da analizzare: stato limite di collasso, di salvaguardia della vita,

di operatività;

si individua la categoria di sottosuolo;

si individua la categoria topografica.

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Una volta definita l’intensità dell’azione sismica, si possono seguire due filosofie di progetto

alternative:

tradizionale, agli stati limite: il problema non lineare di natura (a causa delle dissipazioni

di energia) viene ricondotto ad un problema lineare equivalente;

performance based design: filosofia di progetto innovativa che si basa su criteri più

rigorosi per selezionare il sistema strutturale più adeguato, affinché per specifici livelli di

intensità del sisma il danno possa essere contenuto entro limiti prefissati. A differenza

dei metodi tradizionali di progettazione, nella progettazione prestazionale

(Performance-Based Design – PBD) ci si basa solo sul soddisfacimento di criteri generali

di prestazione. Il progettista ha totale libertà nel selezionare il sistema strutturale più

adeguato, affinché per specificati livelli di intensità del sisma il danno possa essere

contenuto entro limiti prefissati.

Nell’approccio tradizionale la struttura può avere un comportamento dissipativo o non

dissipativo. Per struttura con comportamento dissipativo si intende una struttura concepita in

modo tale da avere elementi strutturali, o parti di elementi strutturali, in grado di dissipare

parte dell’energia sismica, mediante cicli di deformazione anelastica. Sotto l’azione del sisma vi

saranno, dunque, degli elementi progettati per fornire un comportamento plastico ed altri

progettati per un comportamento di tipo elastico.

I punti critici di questo discorso sono i seguenti: progettare la struttura al fine di ottenere il comportamento dissipativo voluto; valutare il fattore di struttura q, rappresentativo della duttilità globale della struttura; ottimizzare lo sfruttamento delle risorse plastiche, ad esempio grazie alla gerarchia delle

resistenze.

Nel caso di comportamento strutturale dissipativo le strutture devono essere progettate in

maniera tale che le zone dissipative si sviluppino ove la plasticizzazione, o l’instabilità locale o

altri fenomeni di degrado dovuti al comportamento isteretico non influenzino la stabilità

globale della struttura. Si deve garantire la duttilità richiesta.

Secondo un approccio progettuale multilivello si può anche eseguire un’analisi lineare

considerando l’azione abbattuta, invece di fare un’analisi non lineare sotto l’azione reale. La

non linearità che produce plasticizzazione e quindi dissipazione si può pensare come un

abbattimento dell’azione applicata. Se l’azione viene ridotta allora cambierà lo spettro di

risposta sismica. Perché questo abbattimento si verifichi realmente, la struttura deve essere

duttile per cui prima del collasso la maggior parte degli elementi strutturali deve aver raggiunto

la plasticizzazione. Per ottenere il massimo livello di dissipazione di energia nella struttura sotto

sisma deve verificarsi che:

nei telai: prima della plasticizzazione delle colonne devono plasticizzarsi tutte le travi;

nei sistemi pendolari: prima della plasticizzazione delle colonne devono plasticizzarsi

tutti i controventi ed eventualmente tutte le travi.

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Questo ragionamento implica che a livello di elementi strutturali si possa eseguire la seguente

classificazione:

elementi dissipativi, che devono avere l’elevata duttilità richiesta: ad esempio le travi e i

controventi;

elementi non dissipativi: ad esempio le colonne.

Anche i materiali strutturali devono avere una duttilità elevata, quindi deve essere εu≫εy e, in

particolare: fufy= 1.20 e εu ≥ 20%

con: fu: tensione ultima; fy: tensione di snervamento.

La resistenza del materiale, per le zone dissipative, deve essere amplificata con un coefficiente

di sovraresistenza γov, dato dal rapporto tra il valore di resistenza medio fym e quello

caratteristico fyk al fine di considerare l’aleatorietà di fy.

Le tipologie strutturali possono essere così classificate:

strutture intelaiate: sono composte da telai che resistono alle forze orizzontali con un comportamento prevalentemente a flessione. In queste strutture le zone dissipative sono prevalentemente collocate alle estremità delle travi, in prossimità dei collegamenti trave-colonna, dove possono formarsi le cerniere plastiche e la dissipazione avviene per flessione o presso-flessione degli elementi;

strutture con controventi concentrici: sono elementi nei quali le forze orizzontali sono

assorbite principalmente da membrature soggette a forze assiali. In queste strutture le

zone dissipative sono principalmente collocate nelle diagonali tese. Possono rientrare in

questa tipologia solo quei controventi in cui lo snervamento delle diagonali tese precede

il raggiungimento della resistenza delle aste strettamente necessarie ad equilibrare i

carichi esterni. Le strutture con controventi concentrici si possono distinguere in:

controventi con diagonale tesa attiva: la resistenza alle forze orizzontali e la

capacità dissipativa sono affidate alle aste diagonali soggette a trazione;

controventi a V: la resistenza alle forze orizzontali è affidata sia alle aste

diagonali tese che a quelle compresse;

controventi a K: il punto di intersezione delle aste diagonali giace su una

colonna. Questa categoria non può essere considerata dissipativa poiché il

meccanismo di collasso coinvolge la colonna.

strutture con controventi eccentrici: sono elementi nei quali le forze orizzontali sono

assorbite principalmente da membrature caricate assialmente, ma la presenza di

eccentricità permette la dissipazione di energia nei traversi per mezzo del

comportamento ciclico a flessione e/o a taglio. Tali controventi si possono classificare

come dissipativi quando la plasticizzazione dei traversi, dovuta alla flessione e/o al

taglio, precede il raggiungimento della resistenza ultima delle altre parti strutturali;

strutture a mensola o a pendolo inverso: sono costituite da membrature pressoinflesse

in cui le zone dissipative sono collocate alla base;

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strutture intelaiate con controventi concentrici: le forze orizzontali sono assorbite sia dai

telai che dai controventi agenti nello stesso piano;

strutture intelaiate con tamponature: sono costituite da tamponature in muratura o in

calcestruzzo non collegate, ma in contatto con le strutture intelaiate.

Tabella 5: Vantaggi e svantaggi delle tipologie strutturali:

TIPOLOGIE STRUTTURALI VANTAGGI SVANTAGGI

STRUTTURA INTELAIATA assenza di controventi; ci sono molte zone

dissipative.

collegamenti costosi; difficoltà per la

gerarchia delle resistenze.

STRUTTURA CON

CONTROVENTI CONCENTRICI

spostamenti laterali contenuti;

elementi dedicati alla dissipazione.

vincoli architettonici.

Il fattore di struttura q dipende dalla tipologia strutturale, dal suo grado d’iperstaticità, dai

criteri di progettazione adottati e considera la non linearità del materiale:

q = q0 ∙ KR

con:

q0: valore massimo del fattore di struttura che dipende dal livello di duttilità attesa, dalla

tipologia strutturale e dal rapporto αu/α1 tra il valore dell’azione sismica per cui si

verifica la formazione di un numero di cerniere plastiche tali da rendere la struttura

labile e quello per il quale il primo elemento strutturale raggiunge la plasticizzazione a

flessione;

KR: fattore riduttivo che dipende dalle caratteristiche di regolarità in altezza della

costruzione e che vale 1 per costruzioni regolari in altezza e 0.8 per costruzioni non

regolari in altezza.

La normativa permette di scegliere se progettare in classe di duttilità bassa o alta e in base alla

tipologia di struttura da realizzare si avranno diversi valori del coefficiente di struttura q da

utilizzare. Per progettare in classe di duttilità alta si dovrà utilizzare un fattore che è il rapporto

αu/α1:

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con: α1: moltiplicatore che causa la prima plasticizzazione, definita con lo spostamento δ1; αu: moltiplicatore che causa il collasso, definito con lo spostamento δu; αe: moltiplicatore che provoca uno spostamento δue= δu nel sistema elastico

equivalente;

ρ1=αu/α1: coefficiente di ridistribuzione plastica, funzione del grado di iperstaticità

strutturale; esprime la capacità della struttura di sopportare forze orizzontali superiori a

quelle che producono la formazione della prima cerniera plastica;

qu=αe/α1: uguale al rapporto μ=δu/δy.

Nel grafico precedente è rappresentata una curva di push-over della struttura; per calcolare il

rapporto αu/α1 si traccia la tangente al tratto elastico e si applica la regola dell’uguale

spostamento dell’oscillatore elastico e plastico secondo la quale presi due sistemi ad un grado

di libertà, sottoposti alle stesse forze, essi daranno un uguale spostamento massimo, anche se

uno rimane in campo elastico e l’altro è in campo plastico.

L’analisi di push-over può quindi essere utilizzata per ottimizzare le risorse plastiche della

struttura: si possono cambiare le caratteristiche degli elementi per aumentare le risorse

plastiche in fase di progettazione.

Secondo l’Ordinanza 3274 si esegue una classificazione delle membrature in categorie di

duttilità sulla base della valutazione di un parametro di snellezza s, funzione di:

snellezza delle diverse parti che compongono la sezione;

proprietà del materiale;

distribuzione del momento flettente lungo l’asse della membratura.

Il parametro s è definito come il rapporto tra la tensione fc corrispondente alla capacità

portante ultima della sezione e la tensione di snervamento del materiale fy:

s =fcfy

Si distinguono le seguenti tre classi di sezioni:

duttili: s>1.2;

plastiche: 1<s<1.2;

snelle: s<1.

Nel caso di membrature tese, il parametro di snellezza si determina con:

s = min(fcfy; 1.25)

Poiché fu/fy deve essere > 1.2, come visto sopra, allora s>1.2 , dunque le membrature tese sono

sempre classificate come duttili.

La normativa NTC 2008, al paragrafo 7.5.3.1, afferma che si deve garantire una duttilità locale

sufficiente degli elementi che dissipano energia in compressione e/o flessione limitando il

rapporto lunghezza/spessore (b/t) secondo le classi di sezioni trasversali specificate nel

paragrafo 4.2.2.1 delle stesse norme. Le classi di sezioni si basano sul parametro di snellezza:

λ =b

t√fy

E

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La classificazione delle sezioni resistenti secondo la normativa italiana è riportata al paragrafo

2.4 della presente relazione. È da notare che in questo caso le classi sono quattro e non tre

come quelle dell’Ordinanza 3274.

4.1 STRATEGIE DI PROGETTAZIONE ANTISISMICA

Gli elementi, o parte di essi, destinati alla dissipazione devono essere scelti e progettati in

modo da favorire una particolare tipologia di collasso globale, mentre quelli non destinati alla

dissipazione devono essere progettati in modo da fornire un’adeguata sovraresistenza secondo

la cosiddetta teoria delle gerarchia delle resistenze (Capacity design).

Se si hanno due elementi in serie, uno duttile e uno fragile, si dovrà progettare l’elemento

fragile in maniera tale che esso posse sopportare una forza che è pari a quella dell’elemento

duttile, maggiorata di un certo coefficiente α, quindi la resistenza minima dell’elemento fragile

deve essere maggiore della resistenza dell’elemento duttile amplificata con α. Viceversa, se si

hanno due elementi in parallelo, uno duttile e uno fragile, si dovrà progettare l’elemento

duttile per una frazione della forza cui resiste l’elemento fragile: la resistenza massima

dell’elemento duttile deve essere minore della resistenza dell’elemento fragile ridotta con α.

Con significato analogo a α, nelle NTC 2008 viene introdotto il fattore Ω. Nelle strutture

intelaiate tale coefficiente è di fondamentale importanza poiché garantisce delle

sovraresistenza per i vari elementi strutturali.

4.2 SISTEMI DISSIPATIVI ORDINARI

Le travi, come riportato nel paragrafo 7.5.4.1 delle NTC 2008, sono elementi strutturali in cui è

attesa la formazione di cerniere plastiche perciò devono essere rispettate tutte le condizioni

sulle caratteristiche della sollecitazione: momento flettente, taglio e sforzo assiale di progetto

devono esser pari alle sollecitazioni dovute alle azioni agenti sulla struttura in assenza di sisma

più le sollecitazioni dovute alle azioni sismiche sulla struttura amplificate del coefficiente di

sovraresistenza γRd e del coefficiente Ω.

Le colonne devono essere verificate in compressione considerando la più sfavorevole

combinazione delle sollecitazioni assiali e flessionali. Come scritto in precedenza, si vuole che la

plasticizzazione di questi elementi non avvenga prima di quella di tutti gli altri componenti

strutturali perciò, anche nel calcolo delle sollecitazioni di progetto delle colonne, si dovranno

adottare i coefficienti amplificativi utilizzati per le travi.

L’importanza di queste amplificazioni delle sollecitazioni di progetto è

che in questo modo si cerca di porre rimedio al problema legato alle

difformità tra l’edificio in fase di progetto e quello reale.

Anche per i nodi strutturali si deve tener conto delle amplificazioni

suddette. I collegamenti devono essere resistenti: non possono

plasticizzarsi, essendo le zone più critiche dell’intera struttura. Per

questo motivo si possono realizzare dei particolari collegamenti detti

dog-bone (o post-Northridge) section che spostano la sezione debole

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dal nodo alla trave permettendo, grazie all’indebolimento di una zona ristretta della trave

stessa, la formazione della cerniera plastica in corrispondenza di tale zona.

È di fondamentale importanza l’omogeneità della dissipazione.

Nel caso di strutture con controventi concentrici non deve esserci nessun diagonale che abbia

un coefficiente Ω maggiore del 25% rispetto ai coefficienti degli altri diagonali, per rendere il

più omogeneo possibile il comportamento dei controventi in relazione alla plasticizzazione.

Nel caso di strutture con controventi eccentrici saranno presenti i cosiddetti link, elementi a cui

è affidato il compito di dissipare l’energia sismica attraverso deformazioni cicliche taglianti e/o

flessionali. In fase di progettazione, in base alla lunghezza del link, si dovranno effettuare

verifiche diverse.

Un link può infatti essere classificato, in base alla lunghezza e dell’elemento di connessione,

come:

corto: la plasticizzazione avviene per taglio: 𝑒 ≤ 0.8 ∙ (1 + 𝛼)𝑀𝑙,𝑅𝑑

𝑉𝑙,𝑅𝑑 ;

intermedio: la plasticizzazione è un effetto combinato di taglio e flessione:

0.8 ∙ (1 + 𝛼)𝑀𝑙,𝑅𝑑

𝑉𝑙,𝑅𝑑≤ 𝑒 ≤ 1.5 ∙ (1 + 𝛼)

𝑀𝑙,𝑅𝑑

𝑉𝑙,𝑅𝑑 ;

lungo: la plasticizzazione avviene per flessione: 𝑒 ≥ 1.5 ∙ (1 + 𝛼)𝑀𝑙,𝑅𝑑

𝑉𝑙,𝑅𝑑 .

In cui α è il rapporto tra il minore e il maggiore dei momenti flettenti attesi alle due estremità

dell’elemento di connessione.

4.3 METODO DI ANALISI N2

È un metodo di analisi che mette il push-over al centro dell’attività di progetto in zona sismica.

Come primo passo si valuta l’azione sismica per il sito di interesse: lo spettro in accelerazione,

per ogni periodo, fornisce la pseudo-accelerazione spettrale, mentre lo spettro in spostamento

fornisce lo spostamento massimo a cui sarà soggetto un oscillatore elementare per un certo

periodo:

Figura 51: Spettri di risposta elastici in accelerazione e spostamento

Successivamente si rappresenta l’azione sismica nel piano (pseudo-accelerazioni ; pseudo-

spostamenti) spettrali per ogni periodo:

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In questo piano i periodi sono rappresentati dalle rette radiali uscenti dall’origine degli assi.

Considerando un comportamento non lineare del sistema, si deve passare ad uno spettro di

domanda ridotto rispetto a quello elastico originario, uno spettro di risposta anelastico, grazie

al fattore Rμ di riduzione delle forze.

Si esegue l’analisi di push-over per ottenere la curva di capacità del sistema reale ad n gradi di

libertà; successivamente si determina la bilineare equivalente alla curva in modo da

determinare le caratteristiche del sistema ad un grado di libertà. Per determinare la bilatera, il

tratto elastico si definisce imponendo il passaggio per un punto di coordinate fisse, mentre

quello plastico è individuato dalla forza di plasticizzazione, uguagliando le aree sottese dalla

bilineare e dalla curva di capacità.

Sovrapposte la curva di capacità bilineare e lo spettro di domanda anelastico data dal sisma, si

definisce il cosiddetto punto di performance, cioè il punto di intersezione tra tali curve, che

individua lo spostamento massimo a cui sarà sottoposta la struttura sotto il sisma in esame.

Applicando tale spostamento massimo alla struttura si valuta se il drift che ne deriva è

accettabile secondo la normativa.

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5 ESERCITAZIONI DEL CORSO

5.1 ESERCIZIO 1: SISTEMA RETICOLARE A TRE ASTE

Ipotizzando un legame costitutivo di tipo elastico perfettamente plastico, trovare il carico ultimo

della struttura in figura analiticamente e confrontarlo con quello ottenuto tramite un’analisi

statica non lineare del tipo incrementale ottenuto con il codice di calcolo.

Si svolga anche lo studio della fase di scarico e, se possibile, di una fase di ri-carico in modo da

evidenziare il comportamento ciclico.

Nello studio utilizzare cerniere plastiche assiali oppure plasticità diffusa.

Caratteristiche del materiale E = 210000 N/mm2 fy = 240 N/mm2 εu = 5 %

Caratteristiche geometriche L1 = 5.00 m L2=L3=7.07 m Sezione circolare con diametro d = 0.10 m

SOLUZIONE ANALITICA IN FORMA CHIUSA

La struttura in esame è una struttura reticolare piana dotata di tre aste e quattro cerniere. Il sistema è una volta iperstatico in quanto è caratterizzato da:

tre aste: 9 gradi di libertà; tre cerniere esterne: 6 gradi di libertà; una cerniera interna: 4 gradi di libertà;

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Figura 52: Numerazione di aste e nodi

Lo scopo è determinare il valore della forza P, applicata al nodo 4, che produce il collasso della struttura. All’aumentare del carico P, cresce lo sforzo assiale che si genera nelle tre aste. Si definiscono:

X: sforzo assiale nell’asta 1; Y: sforzo assiale nelle aste 2 e 3.

La struttura al crescere della forza P attraversa tre divere fasi: fase elastica: tutte le aste sono in regime elastico; prima fase plastica: l’asta 1 entra in regime plastico; seconda fase plastica: anche le aste 2 e 3 entrano in regime plastico.

In aggiunta a queste tre fasi si considera la successiva fase di scarico ricavando le deformazioni

residue.

Si osserva che per raggiungere la seconda fase plastica c’è necessità di duttilità dell’asta 1 in quanto se questa si dovesse rompere, lo sforzo P si dovrebbe redistribuire tra le sole aste 1 e 3. Superata questa fase il carico P, che rimane costante, genera spostamenti sino al raggiungimento del collasso degli elementi strutturali per raggiungimento della deformazione ultima.

FASE ELASTICA

Il problema si analizza definendo un completo modello meccanico del sistema, applicando il metodo degli spostamenti. Si definiscono:

la relazione di congruenza; la relazione di equilibrio; il legame costitutivo.

La congruenza consiste nel definire congruentemente le deformazioni ε delle aste a seguito dello spostamento δ con cui si misurano gli effetti della forza P. Si definisce δi l’allungamento della generica asta, con i che varia tra 1 e 3 a seconda dell’elemento preso in considerazione:

δi = Li ∙ εi = Li ∙σiE= Li ∙

X

EA

da cui:

δ1 = L1 ∙X

EA

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δ2 = δ3 = L2 ∙Y

EA

L’allungamento δi può esser espresso in termini di δ con semplici valutazioni geometriche:

δ2 = δ3 = δ cosπ

4 ; con δ1 = δ

essendo valida la teoria del I ordine; si sta ipotizzando che l’angolo di 45°, formato dall’asta 1

con le altre due aste, non cambi quando le aste si spostano.

Si ricavano le espressioni dello sforzo assiale X e Y:

ε2 =ΔL2L2

=Y

EA

Y

EA=δ cos

π4

L cosπ4⁄

Y =EA

L∙ cos2 (

π

4) ∙ δ

Y = 1

2

EA

Imponendo la congruenza si ottiene che: X = 2Y

Imponendo l’equilibrio nel nodo 4:

X + 2Y cosπ

4= P

{X = 2Y

X + 2Y cosπ

4= P

da cui deriva che:

Y =P

2 (1 + cosπ4)

per cui si ottiene:

{X =

2P

2+√2

Y =P

2+√2

Limite del campo elastico: Xel =2P

2+√2= σyA

Pel =2+√2

2σyA : in termini di tensioni

δel =LXelEA

=Lσy

E

Il limite del campo elastico si ha quando si plasticizza l’asta 1.

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Segue la rappresentazione grafica della situazione della fase elastica:

In fase elastica l’asta 1 è sollecitata con uno sforzo assiale pari al doppio di quello che ricevono le aste 2 e 3. Conseguentemente sarà l’asta 1 a raggiungere per prima la plasticizzazione.

PRIMA FASE PLASTICA

La fase elastica ha termine non appena un’asta raggiunge le condizioni di plasticizzazione. L’asta 1 raggiunge la condizione di plasticizzazione quando X=Py, ossia:

X =2P

2 + √2= Py = σyA = 1884 kN

Il carico che produce la plasticizzazione dell’asta 1 è:

Pel =2 + √2

2σyA = 3216.2 𝑘𝑁

Tale carico produce uno spostamento pari a:

δel = δ1 =L1σy

E= 5.7 mm

Le aste 2 e 3 sono ancora in campo elastico quindi:

{X = Xel = σyA

2Y cosπ

4= P − Xel

: X non può più aumentare in quanto già plasticizzato

da cui:

Y =P − σyA

√2= 942 𝑘𝑁

Lo spostamento delle aste 2 e 3 risulta quindi:

δ2 = δ3 =L2Y

EA= 4 mm con L2 = 7.07 m

Le deformazioni nelle aste sono le seguenti:

ε1 =δ1L1= → ε1 = εy = 0.11%

ε2 = ε3 =δ2L2= 0.06% → ε2 = ε3 < εy

Limite del campo elasto-plastico:

Y = Yel = σyA = 1884 kN

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σyA =Pu − σyA

√2

Pu = σyA(1 + √2) = 4548.4 kN

{

ε2 =

ΔL2L2

=Y

EA

Y

EA=δ cos

π4

L cosπ4

per P=Pu:

δu =σyA

EA

L

cos2 (π4)

δu =2σyL

E= 11.4 mm

Si sono plasticizzate tutte le aste: il sistema è diventato un meccanismo.

SOVRARESISTENZA PLASTICA

L’incremento di resistenza dovuto all’ingresso nel campo elasto-plastico è:

PuPel

=σyA(1 + √2)

2 + √22 σyA

=(1 + √2)

1 +1

√2

= √2 = 1.41 → +40%

La capacità deformativa aggiuntiva per l’entrata in campo elasto-plastico è pari a:

μ =δuδel

=2σyL

E

E

σyL= 2 → +100%

Con queste considerazioni si evidenzia come, considerando la fase elasto-plastica della struttura, si abbia un incremento del 40% in termini di resistenza ed un incremento del 100% in termini di capacità deformativa.

Dal grafico precedente non è possibile evincere le caratteristiche di duttilità. Si può notare che

nel passaggio dal campo elastico a quello plastico c’è una variazione della pendenza dei tratti

rettilinei: tale variazione è dovuta al fatto che quando l’asta 1 si è completamente plasticizzata,

gli altri due elementi prenderanno più forza rispetto a quella che portavano prima di questa

plasticizzazione. La rigidezza del sistema risulterà quindi cambiata.

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SCARICO A P=PU

In questa fase si fa tendere la forza P a 0: si scarica un attimo prima che la struttura diventi un

meccanismo. Scaricando, le aste 2 e 3 possono recuperare tutta la deformazione; ciò non vale

per l’asta 1 che si era già plasticizzata nella fase precedente e che, quindi, resterà allungata

presentando una deformazione residua. Per rimanere allungate le aste 2 e 3 devono essere

tese, perché si trovano in campo elastico. Per equilibrio del nodo l’asta 1 dovrà essere

compressa.

Caso: ΔP = −Pu = −Aσy(1 + √2) ≡ si scarica tutto fino a portare a zero la forza Pu.

Valgono le relazioni del campo elastico:

{

ΔX =2ΔP

2 + √2= −2664.4 kN

ΔY =ΔP

2 + √2= −1332.2 kN

All’inizio dello scarico:

{Xres = Xel − ΔXYres = Yel − ΔY

{

Xres = Aσy −

2ΔP

2 + √2= Aσy −

2[Aσy(1 + √2)]

2 + √2= Aσy [1 −

2(1 + √2)

2 + √2]

Yres = Aσy −ΔP

2 + √2= Aσy −

Aσy(1 + √2)

2 + √2= Aσy (1 −

1 + √2

2 + √2)

{

Xres = −

√2Aσy

2 + √2= 780.4 𝑘𝑁

Yres =Aσy

2 + √2= 551.8 kN

La deformazione anelastica genera, in condizione di riposo, delle tensioni all’interno della struttura. Le aste 2 e 3 rimangono tese per rispettare la congruenza:

εr2 =YresEA

= 0.33% ⟹ δr2 = εr2L2 = 2.3 mm

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L’asta 1 rimane compressa fino alla fine della fase di scarico, perché aveva già raggiunto il campo plastico prima dell’inizio di questa fase. Alla fine della fase di scarico la deformazione residua è:

δr1 =δr2

cos𝜋4

= 3.3 mm ⟹ εr1 =δr1L1

= 0.07%

SOLUZIONE AL CALCOLATORE

FASE DI CARICO

Le analisi effettuate sono tutte di tipo statico non lineare. La non linearità di materiale è stata considerata definendo le cerniere plastiche all’interno del modello. Queste permettono di concentrare la plasticità di un elemento, o di una sua parte, in un punto.

Figura 53: Analisi non lineare statica “Push-over”

Figura 54: Applicazione del carico per l’analisi non lineare statica

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Figura 55: Impostazione del salvataggio di un numero di stati pari a 50

Le cerniere usate sono di tipo assiale con un legame costitutivo di mezzo rigido perfettamente

plastico:

Figura 56: Definizione della cerniera plastica assiale “HingeP”

Figura 57: Proprietà della cerniera plastica HingeP

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Sono state effettuate due analisi: la prima consiste in un analisi di Pushover, a controllo di spostamenti in cui si è cercato

di evidenziare il comportamento a rottura di tutti gli elementi in modo da avere tutte le fasi che il modello attraversa;

una volta trovato il carico a rottura dalla curva di Pushover della prima analisi, si è implementata un’analisi incrementale Full Load applicando proprio il carico Pcr, in modo da scaricare l’intera struttura.

Un’analisi incrementale a controllo degli spostamenti è una analisi in cui la fine di ogni step di calcolo è definita dalla definizione di un moltiplicatore di carico (forza P in questo caso) per generare un determinato spostamento nodale.

Per ottenere la curva di Pushover come primo tentativo si è implementata un’analisi monitorando uno spostamento pari a 1 m. Una volta ottenuto l’andamento della curva, si focalizza l’attenzione sul ramo di formazione delle diverse cerniere riducendo lo spostamento da monitorare. Per quanto riguarda la scelta degli step di analisi si è preferito infittire il passo in maniera tale da cogliere più precisamente il valore del moltiplicatore critico cercato. La curva di Pushover elaborata dal Sap2000 è la seguente:

Figura 58: Curva di push-over, monitorando δ=0.02 m

Da cui:

Pu = 4512.5 kN

δu = 11.3 mm

FASE DI SCARICO

La fase di scarico è stata analizzata realizzando un modello di partenza che presenti le non linearità presenti alla fine della fase di carico, e applicando a questo un carico contrario in modo da azzerare l’azione esterna sulla struttura. Le analisi sono sempre non lineari, con metodo incrementale, ma di tipo Full Load.

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5.2 ESERCIZIO 2: TELAIO PIANO

Ipotizzando un legame costitutivo di tipo elasto-plastico perfetto, valutare analiticamente (anche analisi limite) e confrontare con il risultato ottenuto da opportuna analisi con il codice di calcolo, il moltiplicatore ultimo dei carichi.

Valutare con codice di calcolo (Opzionale: e in maniera analitica), la curva di push-over del telaio riportato.

Nello studio utilizzare cerniere plastiche flessionali oppure plasticità diffusa.

Implementare infine cerniere plastiche a pressoflessione.

Figura 59: Schema a telaio da studiare

Figura 60: Caratteristiche della sezione e del materiale

Caratteristiche del materiale E = 210000 N/mm2 fyk = 235 N/mm2 εu = 5 %

Caratteristiche geometriche L = 5.00 m H = 0.20 m B = 0.10 m

L’obiettivo dell’esercitazione consiste nella determinazione del moltiplicatore ultimo dei carichi per un telaio piano. Sono stati utilizzati due metodi diversi: analisi incrementale, in modo da poter confrontare risultati ottenuti dal software di calcolo, SAP2000, con la soluzione analitica, ed analisi limite.

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METODO DELL’ANALISI LIMITE

L’analisi limite di una struttura permette di determinare quale moltiplicatore di una determinata distribuzione dei carichi produce il collasso della struttura.

Le ipotesi fondamentali sono le seguenti: gli elementi considerati hanno una dimensione prevalente sulle altre due (travi, pilastri); conservazione delle sezioni piane; spostamenti piccoli rispetto alle dimensioni dell'elemento: gli effetti del 2º ordine sono

trascurabili; ogni sezione della struttura possiede un momento flettente massimo, il momento

plastico Mp; nelle vicinanze delle sezioni in cui M=Mp si formano delle zone a forte curvatura, le cerniere plastiche, che si possono supporre concentrate in tali sezioni;

la rotazione nelle cerniere plastiche, una volta raggiunto il momento plastico Mp, non ha limiti;

si escludono fenomeni di instabilità.

In una struttura n-volte iperstatica, aumentando i carichi applicati, si ha che le sezioni maggiormente sollecitate raggiungono il momento plastico Mp. Tali sezioni, interamente plasticizzate, possono solo ruotare mantenendo il momento costante, pari a Mp. Quando si saranno formate n+1 cerniere plastiche la struttura non sarà più in grado di sopportare alcun incremento di carico: si sarà generato un meccanismo di collasso. Non sempre, però, il carico di collasso viene raggiunto con un meccanismo di collasso completo (n+1 cerniere plastiche), può infatti accadere che solo una parte della struttura collassi, dando luogo al cosiddetto collasso locale.

I metodi generali di ricerca del carico limite sono basati sui due teoremi fondamentali: il teorema statico: il moltiplicatore dei carichi λ- associato ad una qualsiasi distribuzione

di momenti staticamente ammissibili è sempre inferiore, o al più uguale al carico di collasso λp. Questo è il maggiore fra tutti i moltiplicatori staticamente ammissibili λ-, per cui tale teorema si definisce anche teorema del limite inferiore, ovvero: λ- ≤ λp

il teorema cinematico: assegnato un arbitrario meccanismo di collasso cinematicamente ammissibile, se il lavoro esterno dei carichi moltiplicati per λ+ risulta uguale al lavoro compiuto nelle cerniere plastiche, allora il moltiplicatore λ+ è sempre maggiore, o al più uguale, all'effettivo moltiplicatore critico λp. In altri termini, il moltiplicatore critico λp è il più piccolo fra tutti i moltiplicatori cinematicamente ammissibili λ+, per cui tale teorema si definisce anche teorema del limite superiore, ovvero: λ+ ≥ λp.

APPLICAZIONE DEL TEOREMA CINEMATICO Il telaio in esame è dotato di tre gradi di iperstaticità. Conseguentemente il collasso avviene per la formazione di 3+1 cerniere plastiche. Sono stati individuati sei meccanismi di collasso globale(3+3 per simmetria) e due meccanismi di collasso locale, conseguenti alla formazione di 4 cerniere plastiche. Le combinazioni di possibile collasso sono molte. Grazie all’esperienza, però, si restringe il numero di tali combinazioni, salvo poi verificare, tramite il teorema dell’unicità, che la soluzione trovata sia effettivamente quella corretta.

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Si scrivono le equazioni ricavate dai cinematismi di rottura globali:

1) λHθL = 4MPθ

2) λHθL + λVθL = 6MPθ

3) λHθL − λVθL = 6MPθ

4) −λHθL = 4MPθ

5) −λHθL − λVθL = 6MPθ

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6) −λHθL + λVθL = 6MPθ

Si scrivono le equazioni ricavate da due cinematismi di rottura locali:

7) λVθL = 4MPθ

8) −λVθL = 4MPθ

Dato che H=0.8V e L=5.00 m, si ha che:

1) λ(0.8V)θL = 4MPθ ⇒ λ1 =4MP

(0.8V)L= 5

MP

VL

2) λ(0.8V)θL + λVθL = 6MPθ ⇒ λ2 =6MP

(0.8V)L+VL= 3.33

MP

VL

3) λ(0.8V)θL − λVθL = 6MPθ ⇒ λ3 =6MP

(0.8V)L−VL= −30

MP

VL

4) −λ(0.8V)θL = 4MPθ ⇒ λ4 = −4MP

(0.8V)L= −λ1 = −5

MP

VL

5) −λ(0.8V)θL − λVθL = 6MPθ ⇒ λ5 = −6MP

(0.8V)L+VL= −λ2 = −3.33

MP

VL

6) −λ(0.8V)θL + λVθL = 6MPθ ⇒ λ6 = −6MP

(0.8V)L−VL= −λ3 = 30

MP

VL

7) λVθL = 4MPθ ⇒ λ7 =4MP

VL

8) −λVθL = 4MPθ ⇒ λ8 = −4MP

VL

Per il teorema cinematico il moltiplicatore critico è il minimo tra i moltiplicatori cinematicamente ammissibili, quindi risulta:

λcr = λ2 = 3.33MP

VL

MP = σy ∙ Wpl = 235 ∙ 220600 = 58.84 kNm

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λcr = 3.3358.84

5= 34.53 kN

Si può dimostrare che l’unico moltiplicatore staticamente ammissibile è λ2. Se il moltiplicatore cinematicamente sufficiente è anche staticamente ammissibile è proprio il meccanismo di collasso.

H ∙ λcr = 0.8 ∙ V ∙ λcr = 27.62 kN V ∙ λcr = 34.53 kN

Le condizioni di ammissibilità statica (M<Mp) sono rispettate.

Nel caso dei telai si riesce a determinare la superficie limite una volta determinati i cinematismi di rottura, scrivendo l’uguaglianza dei lavori: Lint = Lest e rappresentando tutto nel piano delle sollecitazioni. Si riscrivono le equazioni determinate con i cinematismi:

1) HθL = 4MPθ 2) HθL + VθL = 6MPθ 3) HθL − VθL = 6MPθ 4) −HθL = 4MPθ 5) −HθL − VθL = 6MPθ 6) −HθL + VθL = 6MPθ 7) VθL = 4MPθ 8) −VθL = 4MPθ

Esplicitando H e V si ottiene: 1) H =

4MP

L= c1

2) H = −4MP

L= −c1

3) H = −6MP

L+ V = −c2 + V

4) H =6MP

L− V = c2 − V

5) H = −6MP

L− V = −c2 − V

6) H =6MP

L+ V = c2 + V

7) V =4MP

L= c1

8) V = −4MP

L= −c1

Dato che: Mp = 58.84 kNm

Allora:

c1 =4MP

L= 47.07 kN

c2 =6MP

L= 70.61 kN

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Si rappresentano queste rette nel piano H-V.

Figura 61: Superficie limite nello spazio dei carichi

Il dominio limite dei carichi è dunque, nel caso in esame, rappresentato dall’ottagono in figura e tutti i punti interni ad esso rappresentano stati di carico ammissibili che la struttura è in grado di sostenere. È da notare che nel caso in esame la superficie limite è simmetrica rispetto agli assi H e V; ciò è dovuto al fatto che il telaio è costituito interamente di acciaio (materiale isotropo), ha sezione omogenea e al fatto che si escludono fenomeni di instabilità. Il dominio limite nello spazio dei carichi rappresenta la generalizzazione in termini di carichi della condizione di snervamento che viene assegnata in termini di sollecitazioni. Si può dimostrare che il dominio limite risulta sempre una figura convessa, chiusa e limitata.

SOLUZIONE AL CALCOLATORE

Il modello è costituito da elementi frame assegnando la sezione e il materiale indicati nei dati dell’esercitazione. Sono stati applicati un carico verticale nella mezzeria della trave (1 kN) e un carico orizzontale nel nodo 2 (0.8 kN).

Figura 62: Applicazione delle forze H e V sul telaio in esame

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Figura 63: Sezione delle travi costituenti il telaio

Sono state assegnate sia alla trave sia alle colonne le cerniere flessionali definendo il legame M-χ corrispondente. Per questa analisi è stato scelto un legame elasto-plastico perfetto. Alla trave si assegnano una cerniera all’inizio, una alla fine e una in mezzeria. Alle colonne si assegnano una cerniera al piede e una in testa:

Figura 64: Definizione delle due cerniere plastiche

Figura 65: Cerniere plastiche Mchi e Mchi_b

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Figura 66: Assegnazione delle cerniere plastiche agli elementi del telaio

Figura 67: Cerniere plastiche implementate nel modello SAP2000

Come caso di carico si definisce un’analisi di push-over a controllo di spostamento.

Figura 68: Definizione del carici H+V per l’analisi non lineare statica di push-over

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Figura 69: Load Application: Displacements Control

Figura 70: Numero degli step da eseguire

Dato che si è interessati a valutare il cambio di pendenza della curva, sintomo della formazione delle diverse cerniere plastiche è inutile spingere l’analisi fino ad uno spostamento eccessivo. Si esegue l’analisi monitorando uno spostamento di 50 cm del nodo 4. Si può visualizzare di seguito la curva di push-over:

Figura 71: Curva di push-over

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CONFRONTO TRA SOLUZIONE ANALITICA ED INCREMENTALE

Si effettua un confronto tra la soluzione ottenuta mediante il codice di calcolo SAP2000 e quella ricavata analiticamente utilizzando l’analisi limite ed in particolare il teorema cinematico. Il moltiplicatore iniziale del carico utilizzato dal programma è pari a:

𝜆1 = √𝐻12 + 𝑉1

2

in quanto si sta facendo una combinazione lineare dei carichi applicati.

In ragione di questo, semplicemente dividendo il valore ultimo delle “Base Reaction” (esportate dal SAP2000) per quello iniziale (44.233/1.2806=35.54) si ottiene il moltiplicatore ultimo.

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5.3 ESERCIZIO 3: TRAVE DOPPIAMENTE INCASTRATA CON CARICO RIPARTITO

Trovare numericamente ed analiticamente la risposta in campo elasto-plastico di una trave doppiamente incastrata soggetta a carico distribuito.

Studiare numericamente la sensibilità della soluzione alla variazione del parametro “lunghezza di cerniera plastica”.

Come materiale strutturale si utilizzi quello dell’esercizio 1.

Caratteristiche del materiale E = 210000 N/mm2 fyk = 235 N/mm2 εu = 5 %

Caratteristiche geometriche L = 4.00 m H = 0.20 m B = 0.10 m

Lo scopo dell’esecrazione è la determinazione della riposta strutturale in campo elasto-plastico considerando l’influenza nella soluzione della lunghezza delle cerniere plastiche implementate nel modello. La cerniera plastica definisce la lunghezza dell’elemento frame in cui si considereranno gli effetti plastici. Nel caso analizzato le zone maggiormente sollecitate a momento flettente sono le zone di incastro e quella di mezzeria:

Figura 72: Diagramma del momento flettente

Nel modello dovranno introdursi cerniere che possano cogliere, con la loro lunghezza, le zone che subiscono il raggiungimento della completa plasticizzazione prima dell’innescarsi di un possibile cinematismo di collasso. Le cerniere plastiche adottate sono tutte a deformazione controllata, mediante la definizione del legame costitutivo momento-curvatura. Tale diagramma è definito a partire dalla conoscenza del momento ultimo della sezione e della curvatura ultima:

Mp = Wpl ∙ σyd = 220600 ∙240

1.05= 50.42 kNm

χu =2εuh= 0.5

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SOLUZIONE ANALITICA IN FORMA CHIUSA

La struttura in esame è una trave doppiamente incastrata soggetta a un carico uniformemente distribuito. Analiticamente è possibile valutare le porzioni di trave che entrano in campo plastico all’aumentare del carico uniformemente distribuito. Lo schema di analisi iniziale è una trave doppiamente appoggiata. Aumentando il carico agente si raggiunge il momento massimo esplicabile delle sezioni di estremità, cioè tali sezioni raggiungono la completa plasticizzazione. Per questo motivo la schematizzazione dei vincoli cambia e la trave può esser considerata appoggiata-appoggiata. Aumentando ulteriormente il carico si ha la formazione della terza cerniera in mezzeria che produrrà labilità nel sistema. In particolare, le prime due cerniere plastiche si formano quando il momento in estremità è pari a quello di plasticizzazione:

MA = MB =1

12PL2 = Mp

da cui si ricava il carico che porta alla formazione delle prime due cerniere plastiche che produce l’entrata in campo plastico della struttura:

Py =12MP

L2= 37.81 kN/m

Dato che in mezzeria ancora non si è formata la cerniera plastica, la sollecitazione esterna può ancora crescere: una volta che si sarà formata la terza cerniera plastica, il sistema sarà diventato un meccanismo e la struttura collasserà. Il collasso avverrà quando il Δp sarà tale che:

MC = Mp

Una volta che si sono formate le due cerniere plastiche nelle sezioni estreme A e B, lo schema statico, come detto, cambia: da trave doppiamente incastrata a trave appoggiata, quindi il momento in mezzeria sarà quello precedente, quando P=Py, più un incremento di momento secondo lo schema di trave appoggiata:

MC = MC(P = Py) +ΔP(L)2

8= Mp

Dalla precedente relazione si ottiene che l’incremento di carico per portare al collasso la struttura è:

ΔP =4MP

L2= 12.61 kN/m

Il carico necessario per il collasso quindi vale: Pu = Py + ΔP = 50.42 kN/m

Si può anche calcolare il valore dell’abbassamento in mezzeria:

fy =PyL

4

384 EJ= 6.1 mm

La freccia totale sarà somma di quella in campo elastico e di quella dopo la formazione delle due cerniere plastiche, quindi secondo lo schema di trave alloggiata.

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fu = fy +5ΔPL4

384 EJ= 16.3 mm

Per calcolare la lunghezza di cerniera plastica si imposta il passaggio della parabola che rappresenta l’andamento del momento flettente per tre punti: (0,Mp), (2,-Mp), (4,Mp); la parabola risultante avrà equazione:

y =MP

2x2 − 2MPx + MP

Si può dunque eguagliare questa parabola a My e a - My in modo da determinare le ascisse dove il momento è proprio pari a quello di snervamento: in questo modo si ottengono le lunghezze esatte delle cerniere plastiche. Per: y = My si ottengono x1 = 3.938 m e x2 = 0.062 m

Per: y = − My si ottengono x3 = 2.496 m e x4 = 1.504 m

Le lunghezze delle cerniere plastiche sono allora: LA = LB = 0.062 m

LC = 2.496 − 1.504 = 0.992 m

Volendo esprimere queste grandezze in modo relativo rispetto alla lunghezza totale dell’asta si ha:

LAL=LBL= 15.5%

LCL= 24.8%

SOLUZIONE AL CALCOLATORE

Si esegue la stessa analisi mediante il software di calcolo SAP2000 facendo variare la lunghezza della cerniera plastica. Dapprima si verificano i risultati di freccia e carico ottenuti dalla soluzione analitica.

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I valori ottenuti sono:

ANALISI AL VARIARE DELLA LUNGHEZZA DELLA CERNIERA PLASTICA

Si rappresentano ora le stesse curve di push-over al variare della lunghezza della cerniera plastica, che si modifica, nel programma di calcolo utilizzato, attraverso la seguente schermata:

Figura 73: Proprietà della cerniera plastica

0 0 0

1 -0.14 3.019

2 -0.28 6.038

3 -0.42 9.057

4 -0.56 12.076

5 -0.7 15.095

6 -0.84 18.114

7 -0.98 21.133

… … …

35 -4.9 105.663

36 -5.04 108.682

37 -5.18 111.701

38 -5.32 114.72

39 -5.46 117.739

40 -5.6 120.758

41 -5.74 123.777

42 -5.88 126.796

43 -6.02 129.814

44 -6.16 132.833

45 -6.3 135.852

… … …

Step f(mm)

Base

reaction

(kN)

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La lunghezza della cerniera plastica è un parametro che influisce soltanto sulla duttilità e non sul carico ultimo, che risulta essere lo stesso per tutti i modelli. Questo perché lo spostamento ultimo varia da modello a modello in quanto la lunghezza della cerniera plastica definisce la misura della rotazione plastica in ogni passo dell’analisi. Conseguentemente, all’aumentare della lunghezza della cerniera, definita la curvatura al passo di analisi dal legame costitutivo della cerniera, si ha una rotazione maggiore della stessa e quindi, in questo caso, spostamenti maggiori nel punto di mezzeria. La lunghezza della cerniera plastica (lc) va ad influire nella rotazione in quanto:

θ = ∫ 𝜒𝑑𝑥𝑙𝑐

0

APPROFONDIMENTO: CERNIERA PLASTICA CON LEGAME COSTITUTIVO DI MEZZO PLASTICO

INCRUDENTE

Per considerare la plasticità si è fatto uso di un modello a plasticità concentrata, ossia, nelle sezioni più esposte a sollecitazioni elevate, si sono disposte delle cerniere plastiche. Il legame costitutivo implementato per queste cerniere è funzionale alla modellazione della plasticità. Il legame inserito è il più semplice a cui fare riferimento: mezzo rigido plastico perfetto. L’innesco della cerniera è quindi generato dal raggiungimento del momento plastico Mp della sezione.

Questo modello non coglie la non linearità in termini di rigidezza flessionale che invece si avverte a partire dal momento elastico My. Per una generica sezione, il diagramma momento-curvatura ha un andamento come quello del diagramma che segue:

Come già detto, il valore di β dipende unicamente dalla sezione della trave e caratterizza la quantità di risorse plastiche della sezione disponibili a seguito della plasticizzazione della prima fibra. I valori per tipologia di sezione sono i seguenti:

sezioni a doppio T : 1,14;

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sezioni rettangolari: 1,50; sezioni romboidali: 2,00.

Nel caso dell’esercizio in considerazione (sezione a doppio T: IPE 200) si ha a:

Mp = Wpl ∙ σyd = 220600 ∙240

1.05= 50.42 kNm

χu =2εuh= 0.5

My = We ∙ σyd = 194000 ∙240

1.05= 44.34 kNm

χy =2εeh= 0.01

β =Mp

My= 1.137

Se si considera quindi un legame costitutivo, per la sezione, di tipo bilineare che considera sia il campo elastico sia il campo plastico si ha un digramma momento-curvatura di questo tipo:

Questo legame costitutivo presenta incrudimento, ossia, anche a seguito della mobilitazione di tutta la componente elastica della sezione, si ha comunque un valore di rigidezza flessionale non nullo sino alla soglia ultima. L’incrudimento presente è dovuto unicamente dalla geometria della sezione e non al materiale, per il quale si è fatta l’ipotesi di mezzo elasto-plastico perfetto. Per definizione di cerniera plastica, il legame costitutivo implementato nel modello presenta unicamente la componente plastica del diagramma sopra riportato. L’innesco delle cerniere si ha una volta raggiunto il valore di My e solo successivamente il programma considera la rigidezza plastica della sezione e la conseguente rotazione plastica.

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I due modelli implementati hanno la stessa duttilità e all’incirca lo stesso carico limite: ovviamente l’entrata in campo plastico per il modello con l’incrudimento avviene prima perché nel legame M-χ c’è un ramo di incrudimento (hardening) grazie al quale il carico esterno può continuare a crescere.

Questo modello è sicuramente più realistico rispetto a quello senza incruimento perché l’entrata in campo plastico della struttura si ha già quando nella sezione si plasticizzano le fibre esterne ed infatti My risulta essere il 12% inferiore a quello calcolato senza incrudimento: i carici ultimi, tuttavia risultano essere coincidenti.

La differenza di tale valore, seppur piccola, è dovuta al diverso comportamento strutturale che i modelli hanno. Senza considerare l’incrudimento, si ha aumento elastico del momento agente sino al valore di momento plastico. Con un incrudimento lineare una non linearità entra nel calcolo e rende meno rigida la trave a partire da My.

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5.4 ESERCIZIO 4: STUDIO DEL COMPORTAMENTO CRITICO E POST-CRITICO

DI UN’ASTA VINCOLATA E CON RIGIDEZZA CONCENTRATA

Si analizzi il comportamento di un’asta soggetta a carico assiale, per tre condizioni differenti di vincolo, in modo tale da evidenziare un comportamento post-critico: stabile (caso a), instabile (caso b), e asimmetrico (caso c). Si svolga lo studio sia dal punto di vista analitico, sia con il calcolatore, paragonando tra loro i risultati. Per ognuno dei tre casi si considerano sia aste ideali che aste reali, affette cioè da imperfezioni di tipo geometrico, si considerino in particolare tre differenti rotazioni iniziali dell’asta: tali da produrre uno spostamento in cima pari a 0.1∙l, 0.2∙l e 0.3∙l. Si possono utilizzare i dati:

l = 1 m k = 1 kNm

5.4.1 STRUTTURA CON COMPORTAMENTO STABILE SIMMETRICO

SOLUZIONE ANALITICA

ASTA IDEALE

Vale l’ipotesi di piccoli spostamenti: sin θ ≅ θ . L’equilibrio in configurazione deformata

è:

k θ = PLθ + M

(k − PL) θ = M

k∗ θ = M

con k*: rigidezza fittizia. Per k* nullo, qualsiasi valore di θ è possibile per l’equlibrio.

k − PcritL = 0

Pcrit =k

L

La deformata aumenta linearmente con il carico, da un lato o dall’altro; da Pcrit in poi

può assumere qualsiasi valore.

Vale l’ipotesi di grandi spostamenti: se si rimuove l’ipotesi di piccoli spostamenti:

sin 𝜃 ≠ 𝜃. L’equilibrio è descritto da una curva:

k θ = PL sinθ

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PL

k=

θ

sin θ

Pcrit =k

L

θ

sinθ

Figura 74: Caso di asta ideale, priva di imperfezioni

Nel grafico: la retta rappresenta il Pcrit nel caso di asta ideale con l’ipotesi di piccoli spostamenti,

mentre la curva con l’ipotesi di grandi spostamenti.

ASTA REALE: AFFETTA DA IMPERFEZIONI DI TIPO GEOMETRICO

Vale l’ipotesi di piccoli spostamenti:

k(θ − θ0) − PLθ = 0

PL

k= 1 −

θ0θ

Pcrit =k

L

(θ − θ0)

θ

Figura 75: Trattazione secondo la teoria del secondo ordine, nell’ipotesi di piccoli spostamenti

Nell’ipotesi di grandi spostamenti:

k(θ − θ0) − PL sinθ = 0

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PL

k= (

1 − θ0θ

) ∙θ

sin θ

Pcrit =k

L

(θ − θ0)

sinθ

Figura 76: Trattazione completa, nell’ipotesi di grandi spostamenti

SOLUZIONE AL CALCOLATORE

Il modello è costituito da un frame a cui è stata assegnata una sezione IPE200.

Il primo modello è un’asta ideale, a cui è stata assegnata una molla rotazionale alla base della trave e un carico P=1 kN in testa. In seguito, a tale asta vengono applicati i diversi valori di imperfezione.

Il programma mette a disposizione diverse tipologie di analisi che possono essere utili per considerare l’equilibrio in configurazione deformata e il calcolo dei modi di buckling della struttura. Un’analisi di buckling permette di calcolare il moltiplicatore del carico che produce instabilità. Tale analisi è utile per visualizzare il carico critico, ma non per evidenziare il comportamento della struttura in fase post-critica.

ANALISI DI BUCKLING CON SAP2000

L’analisi di Buckling implementate nel SAP2000 fornisce i modi instabili della struttura mostrandone deformata e moltiplicatore critico. Naturalmente il primo ad instaurarsi è il modo a minore moltiplicatore. Per il modello senza imperfezioni:

Pcr = λ ∙ P0 = 1 kN

Per il modello con imperfezioni: Pcr(𝜃0 = 0.1002) = λ ∙ P0 ≅ 1 kN Pcr(𝜃0 = 0.2014) = λ ∙ P0 ≅ 1 kN Pcr(𝜃0 = 0.3047) = λ ∙ P0 ≅ 1 kN

ANALISI STATICA NON LINEARE Sono stati definiti tre diversi modelli con differenti valori dell’imperfezione geometrica (θ0 = 0.1002, θ0 = 0.2014, θ0 = 0.3047). Si definiscono due diversi casi di analisi statica non lineare:

piccoli spostamenti: analisi a carico completo tenendo conto degli effetti P-Δ grandi spostamenti: analisi a controllo di spostamento monitorando la rotazione della

cerniera alla base della trave e tenendo conto degli effetti P-Δ più grandi spostamenti.

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Si riportano i risultati ottenuti con l’analisi incrementale:

Figura 77: Soluzione ottenuta mediante SAP2000 con la teoria del

secondo ordine, nell’ipotesi di piccoli spostamenti

Figura 78: Soluzione ottenuta mediante SAP2000 con la trattazione completa, nell’analisi di grandi spostamenti

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Si confrontano i risultati ottenuti dalla soluzione analitica con quelli ottenuti con il calcolatore.

Figura 79: Confronto tra le soluzioni ottenute con il metodo analitico (curve tratteggiate) e mediante

SAP2000 con la teoria del secondo ordine, nell’ipotesi di piccoli spostamenti

Figura 80: Confronto tra le soluzioni ottenute con il metodo analitico (curve tratteggiate) e mediante

SAP2000 con la trattazione completa, nell’analisi di grandi spostamenti

I risultati evidenziano il comportamento post-critico della struttura se si considera, come opzione di calcolo, l’ipotesi di grandi spostamenti. I risultati mostrano un perfetto andamento con la soluzione analitica.

Il modello mostra un comportamento simmetrico nei confronti delle imperfezioni e la curva post-critica evidenzia come ci sia nella struttura una ripresa di rigidezza e fronte di spostamenti elevati.

5.4.2 STRUTTURA CON COMPORTAMENTO INSTABILE SIMMETRICO

SOLUZIONE ANALITICA

ASTA IDEALE

Vale l’ipotesi di piccoli spostamenti: sin θ ≅ θ.

Pcrit =k

L

Vale l’ipotesi di grandi spostamenti:

Pcrit = kL cos𝜃

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Figura 81: Caso di asta ideale, priva di imperfezioni

Nel grafico: la retta rappresenta il Pcrit nel caso di asta ideale con l’ipotesi di piccoli spostamenti,

mentre la curva con l’ipotesi di grandi spostamenti.

ASTA REALE: AFFETTA DA IMPERFEZIONI DI TIPO GEOMETRICO

Vale l’ipotesi di piccoli spostamenti:

Pcrit = k L (1 − θ0θ

)

Figura 82: Trattazione secondo la teoria del secondo ordine, nell’ipotesi di piccoli spostamenti

Nell’ipotesi di grandi spostamenti:

Pcrit =k

L

(θ − θ0)

sinθ

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Figura 83: Trattazione completa, nell’ipotesi di grandi spostamenti

SOLUZIONE AL CALCOLATORE

Il modello è costituito da un frame a cui è stata assegnata una sezione IPE200. L’asta è vincolata a terra da una cerniera e in testa da una molla estensionale di rigidezza k.

ANALISI DI BUCKLING CON SAP2000

Per il modello senza imperfezioni: Pcr = λ ∙ P0 = 1 kN

Per il modello con imperfezioni: Pcr(𝜃0 = 0.1002) = λ ∙ P0 ≅ 1 kN Pcr(𝜃0 = 0.2014) = λ ∙ P0 ≅ 1 kN Pcr(𝜃0 = 0.3047) = λ ∙ P0 ≅ 1 kN

ANALISI STATICA NON LINEARE Anche in questo caso sono stati definiti tre diversi modelli con differenti valori dell’imperfezione geometrica (θ0 = 0.1002, θ0 = 0.2014, θ0 = 0.3047).

Si riportano le curve di confronto tra la soluzione analitica e la soluzione con il calcolatore.

Figura 84: Confronto tra le soluzioni ottenute con il metodo analitico e mediante SAP2000 (curve tratteggiate) con la teoria del secondo ordine, nell’ipotesi di piccoli spostamenti

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Figura 85: Confronto tra le soluzioni ottenute con il metodo analitico e mediante SAP2000

(curve tratteggiate) con la trattazione completa, nell’analisi di grandi spostamenti

La struttura considerata, asta vincolata alla base con molla estensionale nel nodo non vincolato, subisce il fenomeno d’instabilità. Con l’ipotesi di piccoli spostamenti il valore del carico critico è di 1.45 , valore asintotico per strutture dotate di imperfezioni. Con ipotesi di grandi spostamenti si evidenzia il comportamento post-critico della struttura. Le curve mostrano concavità verso il basso. Questo è indice di un comportamento instabile che porta al collasso della struttura in quanto, raggiunto il carico critico, per aumentare lo spostamento dell’asta servono carichi sempre minori.

5.4.3 STRUTTURA CON COMPORTAMENTO ASIMMETRICO

SOLUZIONE ANALITICA

ASTA IDEALE

Vale l’ipotesi di piccoli spostamenti: sin θ ≅ θ.

Pcrit =k

2𝐿

Vale l’ipotesi di grandi spostamenti:

Pcrit =kL

tan𝜃𝐿 (1 −

1

√1 + sin𝜃)

Figura 86: Caso di asta ideale, priva di imperfezioni

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Nel grafico: la retta rappresenta il Pcrit nel caso di asta ideale con l’ipotesi di piccoli spostamenti,

e la curva nel caso di asta ideale con l’ipotesi di grandi spostamenti.

ASTA REALE: AFFETTA DA IMPERFEZIONI DI TIPO GEOMETRICO

Vale l’ipotesi di piccoli spostamenti:

Pcrit =k

L

1 − (1 −θ2)√1 + sin θ0

θ

Figura 87: Trattazione secondo la teoria del secondo ordine, nell’ipotesi di piccoli spostamenti

Vale l’ipotesi di grandi spostamenti:

Pcrit =k

L(1 −

sin θ0sin θ

) cosθ

Figura 88: Trattazione completa, nell’ipotesi di grandi spostamenti

SOLUZIONE AL CALCOLATORE

Il modello è costituito da un frame a cui è stata assegnata una sezione IPE200. La modellazione dell’asta dotata di molla è stata eseguita con una biella dotata di una rigidezza equivalente:

E =kL

A= (

√2

0.01) = 141.42 kN/m2

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ANALISI DI BUCKLING CON SAP2000

Per il modello senza imperfezioni: Pcr = λ ∙ P0 = 0.5 ∙ 1 = 0.5 kN

Per il modello con imperfezioni: Pcr(𝜃0 = 0.1002) = λ ∙ P0 = 0.41 ∙ 1 ≅ 0.5 kN Pcr(𝜃0 = 0.2014) = λ ∙ P0 = 0.33 ∙ 1 ≅ 0.5 kN Pcr(𝜃0 = 0.3047) = λ ∙ P0 = 0.26 ∙ 1 ≅ 0.5 kN

ANALISI STATICA NON LINEARE Anche in questo caso sono stati definiti tre diversi modelli con differenti valori dell’imperfezione geometrica (θ0 = 0.1002, θ0 = 0.2014, θ0 = 0.3047).

Si riportano le curve di confronto tra la soluzione analitica e la soluzione con il calcolatore.

Figura 89: Confronto tra le soluzioni ottenute con il metodo analitico e mediante SAP2000

(curve tratteggiate) con la teoria del secondo ordine, nell’ipotesi di piccoli spostamenti

Figura 90: Confronto tra le soluzioni ottenute con il metodo analitico e mediante SAP2000

(curve tratteggiate) con la trattazione completa, nell’ipotesi di grandi spostamenti

Lo studio dei fenomeni d’instabilità mediante il SAP2000 ha prodotto risultati diversi in funzione della tipologia di analisi eseguita. Tutte le analisi di tipo statico non lineare evidenziano il comportamento asimmetrico della struttura al raggiungimento del moltiplicatore critico in funzione del segno dell’imperfezione. Con un’analisi statica non lineare con effetti P-Δ e grandi spostamenti si sono ottenuti risultati abbastanza prossimi alla soluzione analitica. Con un’analisi statica non lineare con effetti P-Δ eseguita a controllo di forza solo nei primi step i risultati tendono ad essere prossimi alla soluzione analitica.

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5.5 ESERCIZIO 5: ANDAMENTO DELLA CURVA CARICO-SPOSTAMENTO

DI UN ARCO A TRE CERNIERE RIBASSATO

Individuare numericamente la curva carico-spostamento di un arco a tre cerniere con ribassamento H0/L0=0.1, evidenziando il diverso meccanismo di instabilità al variare della snellezza. In particolare si considerino due valori distinti di snellezza: λ1=50 (asta tozza) e λ2=75 (asta snella). Si fissi L0=4m.

Una caratteristica distintiva del sistema esaminato è di presentare percorsi di equilibrio pre-critici non banali prima di raggiungere la biforcazione. Al raggiungimento del carico critico si è in presenza del fenomeno dello snap-through: l’arco passa bruscamente dall’altro lato seguendo un percorso di equilibrio instabile.

Se tuttavia l’altezza h della sezione è sufficientemente grande rispetto alla lunghezza L, la forza assiale presente in ciascuno dei due elementi può raggiungere il rispettivo carico critico causando un fenomeno di instabilità locale nei singoli elementi che provoca una diramazione nel percorso di equilibrio, prima che l’intero sistema raggiunga il carico critico superiore.

In termini del tutto generali qualsiasi sistema strutturale che risulti compresso può manifestare fenomeni di instabilità; tali fenomeni avranno carattere globale o locale secondo quanta parte della struttura sia interessata.

L’instabilità è quindi, in generale, una condizione in cui si verifica la crisi di una parte strutturale soggetta a compressione, anche se il livello di sforzo si mantiene in ogni sezione al di sotto della capacità portante del materiale valutata tramite un calcolo a rottura.

SOLUZIONE ANALITICA IN FORMA CHIUSA

Prima di introdurre la soluzione analitica è necessario sottolineare che l’analisi che si sta effettuando è condotta su un sistema ad infiniti gradi di libertà, le deformazioni non sono concentrate solo nei vincoli. Lo sforzo normale all’interno della trave vale:

N = E ∙ A ∙ ε con ε =ΔL

L0=L0 − L

L0

per cui:

N = E ∙ A ∙L0 − L

L0

dove: H0 = 0.1 ∙ L0 = 0.1 ∙ 4 = 0.4 m

θ0 = tan−1 (

H0L0) = tan−1 (

0.4

4) = 0.0997 rad

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L =L0

cos θ0= 4.02 m

per cui:

ε =ΔL

L0=L0 − L

L0=L0 − L

L0= 0.005

Il problema è simmetrico, quindi lo sforzo normale è uguale per entrambe le aste.

Per scrivere l’equazione di equilibrio è necessario imporre l’equilibrio degli sforzi di trazione e compressione. Il carico P sarà equilibrato dallo sforzo normale delle due aste proiettate sulla verticale:

P = 2 ∙ N sin θ0 = 2 ∙ E ∙ A ∙ (L0 − L

L0) sin θ0

SOLUZIONE AL CALCOLATORE

Si ottiene la stessa soluzione di quella ottenuta analiticamente, implementando la struttura nel codice di calcolo SAP2000. Si effettua un’analisi non lineare a controllo di spostamento.

Se, in un problema di questo tipo, si utilizzasse una strategia in controllo di forza è evidente che arrivati nel punto limite L+ non si convergerebbe al ramo instabile del percorso, ma si transiterebbe dall’altra parte; questo comportamento è lo snap through. Per superare gli aspetti problematici di un tale comportamento si è usata la tecnica numerica del path following.

Nell’esercitazione è chiesto di rappresentare la curva del percorso di equilibrio per due sezioni con due snellezze differenti (λ1=50 e λ2=75) e di confrontare questa instabilità con quella locale del buckling. Si è scelto di utilizzare due profili commerciali, IPE120 e IPE200, che hanno snellezza molto simile a quella assegnata.

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Figura 91: Percorso di equilibrio: in rosso per la IPE200 ed in blu per la IPE140

CONFRONTO TRA LA SOLUZIONE ANALITICA ED QUELLA AL CALCOLATORE

Si riportano di seguito i percorsi di equilibrio per le due aste confrontando sia la soluzione analitica che quella ottenuta al calcolatore. Si sottolinea come, per effettuare questo confronto, si è dovuto utilizzare un diagramma che avesse in ascisse la rotazione delle aste, e non l’abbassamento del nodo di mezzeria, in quanto la soluzione analitica è stata determinata proprio in funzione di questo parametro. Dal codice di calcolo, è stato possibile rappresentare questo andamento grazie alla definizione della “Function”.

Una volta esportati i dati del programma SAP2000, si riesce a costruire, grazie ad un foglio di calcolo Excel, un grafico che confronti le due soluzioni.

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Figura 92: Percorso di equilibrio: in rosso per la IPE200 ed in blu per la IPE140

Nel grafico con i pallini si sono indicati i valori ottenuti con l’analisi al calcolatore.

Come atteso, si nota che la curva relativa alla IPE200 mostra valori più alti del carico P in quanto, essendo più rigida, è necessaria una forza maggiore per effettuare il percorso di equilibrio.

CONFRONTI TRA INSTABILITÀ GLOBALE E LOCALE

Come già accennato, nel caso di asta troppo snella, non si riesce ad arrivare all’instabilità globale della struttura, l’instabilità a scatto, in quanto il carico nelle singole aste supera il carico critico euleriano ed è la singola asta che va in instabikità. Può essere utile allora confrontare il valore dell’instabilità a scatto con quello dell’instabilità locale. L’instabilità locale è stata controllata direttamente con il programma di calcolo SAP2000 che, attraverso il “Load Case type: Buckling” risolve un problema agli autovalori determinando il carico critico euleriano della struttura.

L’IPE140, più snella, si instabilizza localmente, mentre l’IPE200, più tozza, si instabilizza globalmente a scatto: non considerare l’una o l’altra possibilità di instabilità avrebbe potuto causare il collasso della struttura per un carico molto più piccolo di quello atteso.