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1 PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE Felice Carugati e Patrizia Selleri Capitolo 1 La psicologia fra storia e cultura

Cap.1

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Slide relative alla lezione del 03/04/2012 (prof. Sorrenti)

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Page 1: Cap.1

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PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONEPSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE

Felice Carugati e Patrizia Selleri

Capitolo 1 La psicologia fra storia e cultura

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SCOPO della psicologia del XX sec.

Ricerca di leggi generali in grado di spiegare gli elementi costitutivi della vita

mentale degli individui

indipendentemente da

Contesto, Cultura, Storia

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Questa “conoscenza decontestualizzata” emerge nei diversi ambiti di ricerca:

- Psicologia Generale o scientifica

- Psicologia Sociale

- Psicologia dell’Educazione

Studio dell’individuo che apprende (“spugna”)

Attenzione ai meccanismi generali di apprendimento (acquisizione di informazioni)

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Compito della Compito della Psicologia dell’educazione:Psicologia dell’educazione:

Studiare le relazioni tra comportamenti dei soggetti e richieste educative e didattiche.

Approfondire le relazioni fra caratteristiche della condotta di un soggetto in un particolare momento dello sviluppo e obiettivi educativo-didattici della scuola.

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Rischi:

Trasferimento semplicistico di nozioni di Psicologia generale a situazioni di apprendimento.

Applicazione della Psicologia clinica nei confronti dei singoli alunni.

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Wundt già nel 1900 indica la necessità di studiare contemporaneamente due aspetti distinti della psicologia:

- studio delle funzioni psichiche elementari (sensazioni, percezioni)

Attraverso il metodo sperimentale (Introspezione)

Prima psicologia

- studio delle funzioni psichiche superiori (memoria volontaria, ragionamento,

linguaggio, apprendimento) e del ruolo che la cultura svolge nella costruzione di queste

abilità cognitive.

Seconda psicologia

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• Erodoto (“barbari”)• Ippocrate (differenze tra i popoli dovute a clima e

istituzioni sociali)• Darwin (vita quale prodotto dell’evoluzione)• Spencer (relazione tra idee e condizioni di

vita/esperienze)

L’evoluzione dell’uomo è concepita come uno sviluppo a ‘spirale’ che vede

l’interdipendenza fra condizioni biologiche di sviluppo individuale e condizioni sociali, culturali e storiche

I precursori delle tesi di Wundt:

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Che cos’è la cultura? …l’aria che respiriamo…

La nozione di cultura (Cole,1996) è legata alle attività quotidiane delle persone presenti in

un determinato contesto.

Ogni attività umana, finalizzata a uno scopo, è resa possibile attraverso l’uso di

strumenti materiali (martello, penna) e/o simbolici (il linguaggio).

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Questi strumenti sono chiamati ARTEFATTI CULTURALI e Cole ne evidenzia tre distinti livelli: I° - Utensili (martelli, penne, telefono, ma anche il

linguaggio e le forme di scrittura)

II° - Rappresentazioni di utensili e modelli di azione (regole d’uso, norme, modelli di funzionamento importanti da conservare e trasmettere)

III° - Sistemi di credenze (filosofie, ideologie, psicologie del senso comune, rappresentazioni sociali)

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I tre tipi di artefatticonsentono di descrivere una cultura

Sono strumenti che permettono ai membri di una

cultura, non solo di operare nel corso della vita

quotidiana, ma anche di dare significati a essa,

significati che sono almeno in parte condivisi e

possono quindi essere comunicati

e trasmessi alle generazioni successive.

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CULTURACULTURA

Insieme organizzato di artefatti MATERIALI e CONCETTUALI, così

come sono prodotti, rappresentati e dotati di significato nel corso delle

attività umane. MEDIATORI DI ATTIVITÀ E

INTERAZIONI SOCIALI

COMPLESSITÀ DELLA VITA UMANA E DELLA CULTURA

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Durkheim: simboli culturalmente condivisi come strumenti di mediazione del pensiero individualePiaget: importanza delle relazioni con adulti per lo sviluppo (es.: influenza nello sviluppo morale)Cattaneo: “psicologia delle menti associate” Judd: “capitale culturale” Mead: Mente, Sé e Società

Dopo Wundt altri studiosi hanno sostenuto la necessità di includere i prodotti culturali

nello studio dei fenomeni psicologici:

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La prospettiva storico-culturale russa

Leont’ev e LurijaCollaboratori di

Vygotskij

Vygotskij

Creano un approccio nuovo alla comprensione delle funzioni psichiche superiori (memoria, pensiero,

ragionamento, volontà)

L’attività umana e le funzioni psichiche superiori devono essere studiate attraverso il loro sviluppo storico e

individuale

Sono frutto delle influenze combinate dell’evoluzione biologica dell’uomo e dello sviluppo storico delle culture.

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EvoluzioneEvoluzionebiologicabiologica

EvoluzioneEvoluzionestoricastorica

SviluppoSviluppoindividualeindividuale

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Binet e Simon (1905)e lo studio dell’intelligenza

Quale rapporto fra cultura e intelligenza?

Il prototipo “dell’intelligenza francese”

Interventi dell’UNESCO per i paesi in via di sviluppo

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Ricerche inter-culturali:Ricerche inter-culturali:

il caso della Tribù dei Kpelleil caso della Tribù dei Kpelle

Le differenze nelle abilità cognitive dipendono

dalle condizioni in cui specifici processi cognitivi

vengono attivati (presentazione del compito,

routine educativo-didattiche) piuttosto che da

differenze ‘biologiche’ fra gruppi di diversa cultura

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““La rivoluzione cognitiva”La rivoluzione cognitiva”

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Mente come elaboratore di informazioni

Riduzione della mente a macchina e dei processi psicologici a processi fisiologici

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CulturaCulturae artefattie artefatti

ScriptScript

SchemaSchema

Possibilità di incontro tra le due psicologiePossibilità di incontro tra le due psicologie

Insieme organizzato di conoscenze (contenuti, reti di relazione). Danno

senso all’esperienza e guidano le azioni.

Tipo specifico di schema legato ad un evento

(partecipanti, ruoli sociali, oggetti). Es.: cena al ristorante

Insiemi di schemi e di script che consentono di partecipare alla vita sociale e di attribuirne significato.

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Implicazioni della seconda psicologia dell’educazione:

la metafora della tela

Descrive il tipo di relazioni Descrive il tipo di relazioni

che si instaurano duranteche si instaurano durante

un’attività congiunta fra un’attività congiunta fra

due partner (intersoggettività, due partner (intersoggettività,

costruzione di un senso condiviso, costruzione di un senso condiviso,

pur mantenendo la propria individualità).pur mantenendo la propria individualità).

RAPPORTO TRA: RAPPORTO TRA:

EDUCAZIONE, SVILUPPO E APPRENDIMENTO EDUCAZIONE, SVILUPPO E APPRENDIMENTO

CULTURACULTURA

FUNZIONI FUNZIONI COGNITIVECOGNITIVE

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CULTURACULTURA 

“Complesso d’insieme, totalità che comprende la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società” (1871, Tylor).

L’Antropologia ci insegna che per “cultura” non si intende “istruzione”, “cultura colta” che elimina la barbarie, “erudizione”, bensì l’insieme complessivo delle idee, delle tecniche, dei comportamenti condivisi che l’uomo realizza al fine di interagire col proprio ambiente.

Ogni cultura è una “forma di vita” che filtra sempre la realtà, che costruisce un modello di essa in quanto in essa non c’è nulla da dare per scontato, tutto è in funzione del “mondo”, dello “spazio logico” in cui la cultura si trova; “l’appercezione della realtà non è mai diretta, è sempre mediata dalle immagini veicolate dalla cultura” (Wittgenstein).

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Studi psicologici trans-culturali: i comportamenti umani e lo sviluppo psicologico dell’individuo non sono definibili in modo slegato dal contesto in cui essi si manifestano e si esplicano.

In ogni setting ecologico, lo specifico sviluppo dei comportamenti umani produce diversi tipi di istituzioni, stili di vita, valori e credenze condivise, che influenzano il modo in cui i bambini vengono allevati e in cui la psiche si struttura e si sviluppa.

Si tratta di ciò che l’approccio dei sistemi dinamici definisce “insieme di transazioni tra organismo e ambiente”, cioè “cambiamenti progressivi nelle interazioni tra i comportamenti di una persona e gli eventi del suo ambiente” (Bijou e Baer, 1961).

Individui: attori sociali, definiti sia nello spazio sociale nel quale sono inseriti, sia dalla coscienza di agire su questo spazio. Ciò ci induce a considerare la cultura non come una forza causale, esterna ai processi e ai membri che la compongono, ma come sistema di significati che si struttura all’interno di processi dinamici, non di strutture statiche e invarianti.

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Non ci sono culture “alte o basse”, bensì cultura come modo di vivere. Ogni gruppo umano è inevitabilmente produttore di significati e quindi di cultura.

Nessuno ha il patrimonio esclusivo della ragione, nessuno può avere tutto il torto; la ragione ha la sua base nella comunità. Il pensare è un con-crescere, fondato sull’accettazione reciproca. Perciò dobbiamo accettare di mettere in discussione la nostra stessa tradizione europea occidentale: considerarla semplicemente come una delle molteplici tradizioni culturali e morali significative presenti sul pianeta terra.

Relatività delle culture scoprendo somiglianze e individuando differenze soltanto al fine di pervenire

ad un’interazione reciproca.

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Ancora oggi, il nostro “etnocentrismo cognitivo” riserva a un africano (tanto per citare un appartenente ad una cultura considerata “inferiore” dall’occidentale) ben pochi spazi a livello di sviluppo di una “pre-intelligenza” che non potrebbe mai raggiungere le nostre prestazioni.

Eppure, la scienza ha ormai ampiamente dimostrato che gli individui possono intendersi tra loro e comunicare perché esiste una sorta di DNA cognitivo che li accomuna, che tutti ci serviamo delle stesse strategie cognitive per organizzare la nostra vita materiale e per “farci un’idea” di dove siamo; e la storia dell’alfabetizzazione testimonia che un processo di apprendimento della lettura e della scrittura, quale che sia la lingua storico - naturale su cui si basa, poggia su attività operatorie della mente che dimostrano quanto le elaborazioni cognitive siano simili, per lo meno quelle che vengono definite, piagetianamente, “processi sottostanti”.

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Tuttavia, ristabilito un felice rapporto con i parametri dell’uguaglianza tra le facoltà cognitive umane, è necessario enfatizzare quanto sia grande la distanza tra quelle che definiamo “declinazioni culturali” delle operazioni cognitive.

Le “forme mentis” hanno, infatti, una loro storia, una genesi, una crescita all’interno di pratiche educative specifiche, locali, familiari, tribali. Alla base dei nostri costumi, comportamenti, stili di vita, ci sono (e differiscono in rapporto alla ripetitività mediante la quale si consolidano culturalmente) “modi di pensare”.

Queste variazioni o differenze cognitive determinano una importante differenza Queste variazioni o differenze cognitive determinano una importante differenza tra gli uomini: quella connessa ai processi di apprendimento originari.tra gli uomini: quella connessa ai processi di apprendimento originari.

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Se, infatti, un bambino occidentale impara a sintetizzare i dati dell’esperienza sensibile organizzandoli in concetti o astrazioni giocando al nido con altri bambini, un bambino africano acquisirà la stessa modalità cognitiva, servendosi di altri giochi o mezzi, in un contesto educazionale di villaggio.

Ciò che renderà differenti i loro atti cognitivi, sintetizzatori, saranno proprio i luoghi all’interno dei quali essi si educano alla padronanza di questa fondamentale capacità.

Nel primo caso, il luogo indirizzerà il piccolo, gradatamente, verso quell’ottimizzazione operatoria che gli faciliterà, integrata ad altri atti cognitivi e ad altri contesti, l’apprendimento del leggere e dello scrivere; nel secondo, l’attività di sintesi verrà orientata all’acquisizione di altri compiti.

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La “ripulsa del forestiero” è un tratto che si ritrova La “ripulsa del forestiero” è un tratto che si ritrova nelle diverse società...nelle diverse società...

Nell’isola di Nanumea, nel Pacifico meridionale, gli stranieri non dovevano avere rapporti con la gente del paese finché non fossero stati condotti a ciascuno dei quattro templi dell’isola e non fossero state fatte delle preghiere perché il dio volesse sviare ogni malattia o tradimento che i forestieri avessero portato con loro.

Tra gli Ot Danom del Borneo è uso che gli stranieri, quando entrano nel territorio, debbano pagare agli indigeni una certa somma che viene spesa per sacrificare bufali o maiali agli spiriti della terra e dell’acqua, onde conciliarli alla presenza degli stranieri e indurli a non ritirare la loro benevolenza della gente del paese.

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Sempre nel Borneo, alcuni uomini avevano paura di guardare un viaggiatore europeo per timore che li facesse ammalare e avvertivano le mogli e i figli di tenersi lontano da lui. Quelli che non potevano frenare la loro curiosità uccidevano dei polli e si imbrattavano del loro sangue per pacificare gli spiriti maligni; “gli spiriti maligni che accompagnano da lontano i viaggiatori sono più temuti di quelli del vicinato”....

E’ probabile, inoltre, che lo scopo di alcune cerimonie che si osservano qualche volta nel ricevere i forestieri sia dovuto piuttosto a questo timore della loro influenza che non al desiderio di fargli onore e qualche volta il terrore dei forestieri e della loro magia è troppo grande per permettere che siano ricevuti nel villaggio.

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Da queste radici si sviluppano i movimenti etnici ai quali oggi assistiamo e il cui quadro di riferimento contiene

spesso un razzismo, a volte implicito, nei confronti degli altri che agisce come

collante per l’identità del gruppo etnico che si autorappresenta come comunità del “noi” rispetto ai

“loro”

variamente rappresentati.L’altro viene quindi assunto sotto le differenti categorie

di ciascun popolo ed etnia e, in base ad esse, denominato, interpretato, valutato.

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Dallo stereotipo (opinione esagerata in associazione ad una categoria di pensiero) al pregiudizio: giudizio immotivato che si colora emotivamente di benevolenza o malevolenza; un giudizio previo, senza un’informazione sufficiente riguardo un gruppo sociale, che possiede tre componenti, quella cognitiva (fornisce informazioni su quel gruppo), quella affettiva (contrassegna gli affetti positivi o negativi nei riguardi del gruppo) e quella comportamentale (predispone ad agire a favore o contro).

I pregiudizi sono alimentati e giustificati dall’etnocentrismo culturale e dagli elementi mediatori

giuridico – politici (es.: programmi scolastici).

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Approccio della “social cognition”Approccio della “social cognition”

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Uomo = attore della vita quotidiana, ossia un uomo che nella prima interazione con le

realtà socio-culturali co-costruisce sia la dimensione

sociale sia se stesso in un campo sociale già dato.

Effetti dei fattori sociali sui processi cognitivi.

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Approccio della “social cognition”Approccio della “social cognition”

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“rappresentazioni sociali”:strutture cognitive unificanti, per consenso o dissenso,

più soggetti o gruppi umani, di fondamentale importanza nella formazione degli atteggiamenti.

Una forma di conoscenza sociale, una cornice al cui interno si delineano i profili delle relazioni umane,

permettendo che la comunicazione sia una condivisione di senso tra più soggetti.

I conflitti nascerebbero quindi da distorsioni (biases), ossia da giudizi tendenziosi che non si generano nell’individuo isolatamente dal contesto sociale in cui egli vive, ma riflettono la distribuzione degli stimoli dell’ambiente sociale.

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Approccio della “social cognition”Approccio della “social cognition”

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“attribuzione di responsabilità”:si basano, secondo Tajfel, su tre processi: la categorizzazione

(permette di stabilire delle classi ideali specificate secondo determinate caratteristiche, all’interno delle quali vengono collocati i soggetti verso i quali si opera un giudizio), l’assimilazione (processo

attraverso il quale gli individui adattano l’acquisizione di nuove conoscenze all’interno della propria rete cognitiva) e la ricerca di coerenza (bisogno di non entrare in contraddizione con quanto

appartiene alle convinzioni sedimentate nel tempo con l’esperienza).

Quando un procedimento di spiegazione è eccessivamente semplificatorio, al punto da portare all’eliminazione dell’esame critico dei dati dell’esperienza e offrire un costante punto di riferimento per trovare risposte a questioni sociali più o meno complesse, si costituisce uno stereotipo.

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Gli stereotipi sono credenze condivise, attribuzione di tratti di personalità e di comportamenti considerati caratteristici dei membri di gruppi umani di ampie dimensioni, che portano a trascurare le specificità individuali dei soggetti ad essi appartenenti.

I contenuti espressi negli stereotipi affondano le proprie radici nelle tradizioni culturali e vengono mantenuti grazie a specifiche funzioni tra cui l’esigenza di mantenere un alto livello di autostima e la necessità di semplificare i processi di comprensione della realtà.

Gli stereotipi possono quindi essere considerati parte di un processo adattivo che permette di ridurre le energie cognitive impiegate per spiegare i fenomeni sociali; poiché in tale processo risultano efficaci, essi si radicano nelle dinamiche culturali e valoriali dei gruppi dimostrandosi resistenti e persistenti nel tempo.

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Tali dimensioni sono tutte mediate culturalmente e si diffondono, attraverso la condivisione, tra i gruppi umani che danno forma ai significati utilizzati per la reciproca comprensione e condivisione di senso della realtà circostante. Non esiste infatti un terreno culturalmente neutro, la cultura è sempre il risultato di dinamiche relazionali tra individui, gruppi e storia.

Un grande territorio all’interno del quale si costituiscono i pregiudizi è quindi l’universo delle rappresentazioni sociali.

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SOCIOCENTRISMOl’incapacità di rendersi conto delle rappresentazioni da cui dipendono i propri stereotipi e di quanto essi

informino gli atteggiamenti, trasformandoli in pregiudizi dai quali, poi, derivano i comportamenti

sociali della discriminazione.

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Secondo l’approccio cognitivo, quindi, il pregiudizio potrebbe essere definito

come:“un atteggiamento ostile o prevenuto nei

confronti di una persona che appartiene ad un gruppo, semplicemente perché

appartiene a quel gruppo, supponendo, pertanto, che possiede quelle qualità

opinabili attribuite al gruppo” (Allport, 1963).

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Secondo Allport l’elemento centrale nella spiegazione del pregiudizio è il “processo di raggruppamento in categorie”: un modo di pensare naturale, dato che la mente umana (come ci insegna la psicologia), al fine di adattarsi alla complessità del mondo circostante, organizza le innumerevoli informazioni che le giungono servendosi delle categorie.

Ciò ha due effetti: saturazione emozionale riguardo il contenuto della categoria e omogeneizzazione del contenuto informativo di ogni elemento della stessa (lo stereotipo); vale a dire che ogni categoria porta con sé uno stereotipo ed un tipo di sentimento associato.

Ne consegue un’esagerazione sia delle similitudini intra-categoriali sia delle differenze inter-categoriali che daranno luogo a favoritismi nei confronti dei “propri” e discriminazione nei confronti degli “estranei”.

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Il raggruppamento in categorie dei tipi umani si realizza, infatti, in funzione delle appartenenze e del sistema di valori mantenuto dall’endo-gruppo il cui mantenimento, a sua volta, ha bisogno di assumere, praticare e condividere codici, credenze e “nemici”; si sviluppano, così stereotipi che vengono favoriti dal risalto percettivo che il gruppo fa di una determinata caratteristica dell’eso-gruppo.

Nel momento in cui si entra in contatto con una persona dell’altro gruppo, l’attenzione si concentrerà su quella caratteristica che la rende più evidente e, sulla base di essa, verrà “categorizzata” in un certo modo. Ecco che il raggruppamento in categorie, elemento centrale nella spiegazione del pregiudizio, conduce alla comparsa di deviazioni positive nei confronti dei più vicini (favoritismo intra-gruppale), attribuendo i loro comportamenti positivi a cause interne al soggetto e quelli negativi alla situazione, e di deviazioni dei tratti negativi (discriminazione eso-gruppale), operando delle attribuzioni in senso inverso.

Funzioni: preservare l’immagine positiva dell’endo-gruppo e mantenere i pregiudizi nei confronti dell’eso-gruppo.

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COMPONENTE COGNITIVA:

riflette lo stereotipo connesso a processi di

categorizzazione mirati alla semplificazione dei

complessi aspetti della realtà e alla generalizzazione degli aspetti semplificati a tutti i

componenti dell’ “out-group”.

COMPONENTE MOTIVAZIONALE:

atteggiamento da cui scaturiscono comportamenti

(se lo stereotipo di “nero” comprende la connotazione

di sporco o violento, si tenderà ad evitare anche la

prossimità fisica nei confronti di qualsiasi appartenente al

gruppo dei neri).

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““Destrutturazione del pensiero” e Destrutturazione del pensiero” e “Ristrutturazione cognitiva”“Ristrutturazione cognitiva”

Acquisire la capacità di analizzare e valutare il proprio pensiero, cioè di farsi critici di se stessi per poter destrutturare quanto vi è da modificare,

correggendo o eliminando, ed assumendo quanto vi è da acquisire perché ritenuto nuovo ed arricchente.

E’ prioritario il lavoro con l’infanzia e la gioventù data l’importanza che il processo di socializzazione ha nello sviluppo della personalità e nell’interiorizzazione dei valori, nell’apprendimento di stereotipi e pregiudizi. Numerose ricerche hanno, infatti, dimostrato la tendenza a formulare giudizi stereotipici nel comportamento sociale dei bambini.

Lo sviluppo estremamente precoce della capacità di categorizzazione sociale sembra avvenire in parallelo all’abilità di categorizzazione degli oggetti fisici (per poter mettere in atto tale processo di categorizzazione i bambini devono aver raggiunto la consapevolezza dell’esistenza delle categorie).

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Strategie di intervento preventivo a Strategie di intervento preventivo a scuolascuola

• De-categorizzazione: diminuzione dell’uso della categoria per identificare gli individui; consapevolezza che i membri dell’ “out-group” che via via si vengono a conoscere non sono i “prototipi” della categoria generale, ma solo degli “esemplari singoli”.

• Differenziazione e personalizzazione: riconoscimento che i componenti dell’ “out-group” sono diversi tra loro; che le differenze nei gruppi possono superare quelle tra gruppi; che l’omologazione dei “diversi” in un’unica categoria differenziata è scorretta e non realistica, ma che tutt’al più è possibile articolare diversi sotto-gruppi con caratteristiche simili.

• Flessibilità cognitiva: consente allo schema mentale di “assimilare” le informazioni esterne senza selezionarle o filtrarle in modo preconcetto e, a sua volta, di “accomodarsi”, cioè di modificarsi in base alle nuove informazioni rendendosi più articolato e adeguato alla realtà via via conosciuta nelle sue sfaccettature e nella sua complessità.

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• Migliore gestione delle componenti emozionali del rapporto con il “diverso”: sicurezza della propria identità, fiducia nella propria efficacia, senza bisogno di ricorrere alla rigida identificazione con l’ “in-group”.

• Sintesi, nell’identità sociale, delle dimensioni della conformità (sentirsi parte di un gruppo, identificarsi con esso come fonte di sicurezza) e della unicità (acquisire un’identità in quanto individuo, diverso dagli altri del gruppo).

Interazione cooperativa per sperimentare l’infondatezza dei pregiudizi Situazioni di incontro tra membri di altre etnie ma con uno status simile,

senza disparità di potere, prestigio, posizione sociale Fornire un nuovo quadro interpretativo nel quale inserire le nuove

informazioni positive che si vanno acquisendo attraverso il contatto diretto… senza questo supporto, nonostante il contatto, non vengono distrutti gli stereotipi divenuti ormai abituali e inconsci

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Supporto istituzionale e culturale che dia continuità alle esperienze di contatto in modo che non costituiscano un’eccezione ma la regola

Rispetto del bisogno di identità sociale e di appartenenza etnica o di genere…. NO “cecità al colore” o “melting pot”…

Confronti pluridimensionali che consentano di guardare ai tanti aspetti e alle tante differenze tra le culture, sottolineandone gli aspetti positivi

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La meta ultima è l’acquisizione di una identità sovraordinata, comune agli altri gruppi culturali e sociali, pur nel riconoscimento delle differenze che non vengono annullate ma utilizzate per costruire un senso di “in-group” più complesso e articolato.

Nella vera integrazione i sottogruppi non vengono eliminati o omologati, ma estesi ad includere una dimensione più ampia: senza la contrapposizione tra “noi-italiani” e “loro-stranieri” (e viceversa) ma con la costruzione di un “noi-italiani-e-stranieri”, con tante diversità all’interno ma con una proiezione verso la realizzazione di una società di cui tutti sono ugualmente “cittadini”.

Demetrio afferma che è il rifiuto di “mescolarsi” che genera il razzismo, la ricerca irrazionale di un’origine superiore per biologia umana.

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