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Critica del giudizio Critica del giudizio

Critica Del Giudizio

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Sulla base dei manuali in adozione nel Liceo Vailati di Genzano di Roma, una sintesi dei temi affrontati nella terza critica kantiana

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Page 1: Critica Del Giudizio

Critica del giudizioCritica del giudizio

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La critica del giudizio (inteso come facoltà del giudicare) si articola in critica del giudizio estetico e critica del giudizio teleologico.

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Per prima cosa, Kant distingue tra giudizio riflettente e giudizio determinante.

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Il giudizio riflettente è quello in cui non può mai essere data una norma universale e risponde ad un’esigenza, propria della soggettività trascendentale, di ammettere un ordinamento intrinsecamente finalistico nel mondo della natura.

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Il giudizio determinante comporta la presenza di una regola universale predefinita in cui sussumere il particolare.

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Il giudizio riflettente risponde ad un’esigenza interna della facoltà del giudizio davanti alla natura specifica: tale principio è la finalità della natura. Questo giudizio è soggettivo e trascendentale, perché non si fonda in alcun concetto, ma è universale perché non è determinato da condizioni empiriche, bensì dipende dalle strutture a priori delle facoltà conoscitive.

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Il giudizio riflettente si distingue in giudizio estetico e giudizio teleologico: i due tipi di giudizio hanno in comune la caratteristica di fondarsi sulla finalità e di non essere conoscitivi. Se dico che una cosa è bella o che un organismo è finalisticamente organizzato non aggiungo nulla alla conoscenza oggettiva, ma nel primo caso esprimo una disposizione particolare, un bisogno, della mia soggettività di fronte all’oggetto, nel secondo caso un giudizio sul rapporto reciproco tra le parti costituenti l’oggetto (p.e. l’armonia).

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Il giudizio estetico è fondato sull’accordo spontaneo di intelletto ed immaginazione: il bello non è legato empiricamente ad un determinato oggetto, ma alla rappresentazione dell’oggetto nell’immaginazione, che appare spontaneamente conforme alle esigenze dell’intelletto.

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Il sentimento del bello è un piacere disinteressato, derivante dal libero gioco delle facoltà dell’animo e la facoltà di giudicare questo piacere è chiamata da Kant gusto.

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Sulla base di tali presupposti il bello si distingue dal:

piacevole (esperienza mutevole dei nostri organi di senso e stati d’animo)

vero (conoscenza)

buono (concezioni moralistiche e pedagogiche dell’estetica)

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Dal bello va distinto il sublime che non risiede nella natura, ma nell’animo umano. Il sublime è il senso di ciò che per grandezza o potenza provoca sgomento e ammirazione e, rendendo l’uomo consapevole della sua finitudine, attesta una facoltà dell’anima a superare ogni misura dei sensi.

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La bellezza non è una proprietà ontologica delle cose, ma il frutto dell’incontro tra l’uomo e le cose.

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Del bello va quindi detto che piace:

disinteressatamente

universalmente

senza scopo

necessariamente

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Per quanto concerne il giudizio teleologico, Kant sostiene essere quello che coglie la finalità della natura come qualcosa di oggettivo, ma con ciò non pretende di porsi quale conoscenza della natura, che ammette cause meccaniche ma non finali, quanto piuttosto di essere un principio regolativo generale che indica le condizioni sotto le quali un oggetto può giudicarsi secondo l’idea di fine.

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Per fondare il principio della finalità della natura occorre, secondo Kant, ammettere l’idea di un intelletto intuitivo, non condizionato dalla sensibilità, che muove dal tutto alle parti ma non viceversa.

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Nella Critica della Ragion Pura, con l’Io penso era stata determinata la condizione della pensabilità della natura in generale e quindi della fisica in generale, ma non erano stati individuati i principi che potessero spiegare la natura specifica con cui abbiamo concretamente e di continuo a che fare nell’esperienza.

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Le spiegazioni fornite dall’intelletto valgono per comprendere oggetti nell’ambito di leggi meccaniche, ma negli organismi ci troviamo davanti ad oggetti, che pur subordinati a leggi meccaniche e fisiche, hanno bisogno di leggi più complesse per essere spiegati.

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L’organismo, l’essere vivente comporta un rapporto reciproco fra il tutto e le parti, rapporto che non è la semplice somma come negli oggetti inanimati. La presenza di organismi nella natura comporta quindi la necessità di ammettere come principio della loro comprensione una finalità interna, anche se da questo principio non è possibile in alcun modo passare ad una conoscenza oggettiva.

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Pietro Volpones

2005