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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
dell’Università Kore di Enna
www.koreuropa.eu
Perché Strasburgo ci “bacchetta” sempre
Salvatore Curreri Professore associato di Diritto costituzionale nell’Università “Kore” di Enna
PAROLE CHIAVE: Corte europea dei diritti dell’uomo, Cognome materno, Cusan
La sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo (7.1.2014, Cusan e Fazzo c.
Italia ric. 77/07) ha sancito il diritto dei genitori di attribuire al figlio, al momento della
nascita, il solo cognome della madre, si presta a due considerazioni correlate: l’una legata al
merito; l’altra, più generale, sull’inerzia legislativa in materia di diritti civili.
Sotto il primo profilo, non v’è dubbio che quella del cognome dei figli è una delle
questioni cruciali per la realizzazione di quella eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, su
cui l’art. 29.2 Cost. vuole che il matrimonio sia ordinato.
Oggi, all’atto della nascita i figli assumono il cognome del solo padre: sia quando
legittimi (secondo una certa dottrina e giurisprudenza per consuetudine; secondo talaltra per
norma implicita desumibile dagli artt. 143-bis, 236, 237.2, 262 e 299.3 c.c. e 33-34 d.p.r.
396/2000); sia quando naturali (art. 262 c.c.) o adottivi (art. 299.3 c.c.).
Il cognome della madre può essere aggiunto al proprio solo in ipotesi eccezionali (art.
98.2 d.p.r. cit.): lo straniero che, acquisendo la cittadinanza italiana, vuole mantenere il
doppio cognome, se così è tradizione dello Stato da cui proviene (Cass., I civ. 17462/2013);
l’italiano cui all’estero, all’atto della nascita, è stato imposto un cognome diverso da quello
paterno e che vuole registrarsi in Italia (circ. min. interno 397/2008).
L’unica ipotesi di attribuzione del solo cognome materno è, quindi, quella del figlio
naturale non riconosciuto dal padre.
Tale sistema di attribuzione del cognome, dapprima giustificato dalla Corte
costituzionale perché radicato nel costume sociale (ord. 176/1988 e 586/1988), a distanza di
quasi vent’anni (sent. 61/2006) è stato ritenuto “retaggio di una concezione patriarcale della
famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una
tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore
costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”. Per la Corte, inoltre, esso si pone in
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contrasto con l’obbligo che il nostro paese ha assunto di assicurare “gli stessi diritti personali
al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome” (art. 16.1.G) della Convenzione sulla
eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York
il 18.12.1979, ratificata e resa esecutiva con l. 132/1985) (61/2006, 2.2), nonché con le
raccomandazioni del Consiglio d’Europa (1271/1995 e 1362/1998) e la giurisprudenza della
Corte EDU (16.2.2005 Unal Teseli c. Turchia; 24.10.1994 Stjerna c. Finlandia; 24.1.1994
Burghartz c. Svizzera).
Ciò nonostante, in tale occasione la Corte costituzionale non ha censurato la disciplina
vigente; una eventuale sentenza manipolativa, infatti, avrebbe esorbitato dai propri poteri e
invaso quelli riservati al legislatore, cui solo spettava scegliere tra le diverse soluzioni
possibili (i coniugi scelgono liberamente o possono solo derogare ad un obbligo di legge?).
Quid iuris se sono in disaccordo? Il cognome della madre è alternativo o
complementare a quello del padre? La scelta dei coniugi vale per tutti i figli o va fatta per
ognuno di essi? .Essa, pertanto, ha preferito demandare “ad un futuro intervento del
legislatore la successiva regolamentazione organica della materia” in modo da renderla più
conforme con l’eguaglianza dei coniugi (3; v. anche 145/2007 sull’analoga questione
dell’attribuzione del cognome paterno ai figli naturali).
Tale monito è rimasto però inascoltato, nonostante l’approvazione della l. 219/2012 in
tema di filiazione avrebbe potuto costituire un’utile occasione. Anche stavolta è dovuta,
quindi, intervenire la Corte europea dei diritti dell’uomo. Per i giudici di Strasburgo, pur
restando legittima la disciplina che attribuisce ai figli il cognome del padre, la mancata
previsione di un’eccezione che conferisca ai coniugi il diritto di attribuire al figlio al momento
della nascita il solo cognome della madre viola gli artt. 8 (Diritto al rispetto della vita privata
e familiare) e 14 (Divieto di discriminazione in tal caso fondata sul sesso dei genitori) CEDU.
L’Italia dovrà quindi adottare in tempi rapidi le necessarie riforme legislative o di altra natura
che pongano rimedio a tali violazioni.
Invero, alcuni passi avanti erano stati già fatti sul versante del diritto di cambiare
cognome per assumere quello della madre. Già oggi, infatti, ogni cittadino può chiedere sia di
aggiungere al proprio un altro cognome, sia di cambiarlo, e non solo - come un tempo –
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perché ridicolo o vergognoso o perché ne rivela l’origine naturale (art. 89.1 d.p.r. cit. come
sostituito dall’art. 2.1 d.p.r. 54/2012), ma anche per ragioni diverse, incluse quelle affettive o
di gratitudine (financo in assenza di vincolo di parentela: TAR Liguria, 57/2012) La richiesta
va inoltrata non più al Ministro dell’Interno (art. 84 d.p.r. cit. abrogato) ma al Prefetto, al fine
di accelerare i tempi di esame del numero sempre più crescente d’istanze presentate negli
ultimi anni, a dimostrazione della rilevanza sociale del fenomeno.
Si tratta, quindi, di completare l’opera, intervenendo anche sul versante dell’attribuzione
del cognome da parte dei genitori. Ma qui – e veniamo al secondo profilo – non può non
stigmatizzarsi il colpevole ritardo del Parlamento nell’esaminare tale riforma.
Nonostante siano trascorsi più di sette anni (!) dal monito della Corte costituzionale, il
Parlamento non ha trovato mai il tempo per occuparsi di un tema, tra l’altro a costo zero, su
cui, come detto, la sensibilità sociale è ormai radicalmente mutata.
Perso nell’esame di progetti di legge imposti dal Governo e spesso arenatisi nei
polverosi archivi delle commissioni (quanto tempo sprecato nell’esaminare il progetto di
legge che avrebbe dovuto paradossalmente accelerare la procedura di revisione
costituzionale!), il Parlamento dovrebbe riscoprire proprio in questi grandi temi civili il senso
della proprio ruolo di rappresentanza politica del paese. Essi, invece, anche quando emergono
agli onori delle cronache, sono spesso strumentalizzati a fini politici, o addirittura barattati (è
cronaca di questi giorni) contro l’impegno del Governo a nuove elezioni. Sul tema del
cognome dei figli, come in altre materie (la procreazione medicalmente assistita, il
sovraffollamento carcerario, le unioni omosessuali, la presenza di simboli religiosi nei luoghi
pubblici, i delicati temi legati al “fine vita”, ecc.) diventa allora inevitabile l’opera di
supplenza dei tanto disprezzati giudici.
Non lamentiamoci, allora, delle continue bacchettate che ci arrivano da Strasburgo: ce
le meritiamo tutte.