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Luigi Pirandello (1897 – 1936) Vita, opere e poetica

Luigi Pirandello

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Luigi Pirandello (1897 – 1936) Vita, opere e poetica

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La vita Pirandello nasce il 28 giugno del 1897 ad Agrigento ( allora chiamata Girgenti e ribattezzata col nome

attuale sotto il fascismo), in una città di campagna chiamata Caos. Volendo sottolineare simbolicamente la sua città natale Pirandello dichiara: “Io dunque son figlio del Caos [...]” L’ambiente siciliano contribuisce a determinare la fisionomia psicologica ma anche quella sociale e politica dello scrittore, e a radicarlo in un tessuto folklorico, nutrito di suggestioni magico-popolari che non verrà mai dimenticato.

Viene educato nel culto dei valori risorgimentali. Nello stesso tempo proviene da una famiglia borghese la cui situazione economica e sociale, per quanto agiata, è alquanto precaria e segnata dall’instabilità (il padre dirigeva alcune miniere di zolfo )

La formazione: Nel 1886 si iscrive alla facoltà di lettere a Roma (ma inizia a Palermo). In seguito ad alcuni contrasti con il rettore si trasferisce a Bonn e conclude gli studi in Germania nel 1891 con una tesi sul dialetto di Girgenti. L'esperienza degli studi in Germania fu importante perché lo mise in contatto con gli autori romantici tedeschi e con il pensiero di Schopenhauer e Nietzsche. Comincia a coltivare interessi nel campo della psicologia e negli studi sulla personalità di Binet.

Nel 1892 si trasferisce a Roma, si sposa con una giovane siciliana benestante e pubblica nel 1901 L’esclusa, il suo primo romanzo. In questi anni Pirandello diviene insegnante di lingua italiana presso l’Istituto Superiore di Magistero, scrive novelle (fra cui il Turno -1902), collabora con riviste e quotidiani.

La crisi del 1903. Questa data segna una svolta tragica nella vita di Luigi: un allagamento della miniera di zolfo in cui il padre aveva investito tutto il suo patrimonio e la dote stessa della nuora provocò il dissesto economico della famiglia. Alla notizia del disastro la moglie ebbe una crisi che la sprofondò irreversibilmente nella follia.

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Privato della rendita paterna, e con tre figli sulle spalle, lo scrittore si impegna in diverse collaborazioni giornalistiche. Nasce anche da questa situazione la pubblicazione a puntate del romanzo il Fu Mattia Pascal sulla «Nuova Antologia» nel 1904.

Dopo questo romanzo la produzione letteraria di P. subisce una svolta e si dedica per alcuni anni ( 1904-1910) solamente alla narrativa. È questo il periodo dell’elaborazione della poetica dell’umorismo, esposta nel saggio L’umorismo del 1908. In questi anni pubblica i romanzi I vecchi e i giovani ( 1913), Suo marito ( 1911), Si gira…(1915) ( riedito nel 1925 con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore) e comincia la lunga elaborazione di Uno, nessuno e centomila. Produce, anche, tante novelle.

L’approdo al teatro. Nel 1910 P. rappresenta a Roma Lumie di Sicilia e La morsa, a cui seguono, tra il 1915 e il 1916, alcune commedie tra cui Pensaci Giacomino e Liolà. In questa fase P. si muove ancora all’interno del teatro verista, anche se già emerge il contrasto tra l’istintualità della vita e le «forme» che intrappolano l’individuo.

Tra il 1916 e il 1918 mette in scena una serie di drammi che modificavano profondamente il linguaggio del teatro del tempo: Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli e Il piacere dell’onestà nel 1917; Il giuoco delle parti nel 1918. Queste opere fanno parte della fase del teatro del grottesco, in cui schemi e situazioni del dramma borghese vengono portati alle estreme conseguenze per mostrare le contraddizioni e la falsità delle convenzioni sociali.

Nel contempo la situazione familiare si fa critica: i figli sono in guerra, e uno, Stefano, viene preso prigioniero dagli austriaci; la moglie si aggrava e nel 1919 viene fatta ricoverare.

Il grande successo. La stagione del grande successo teatrale comincia con Sei personaggi in cerca d’autore, nel 1921, che, dopo essere stata fischiata a Roma, s’impone cinque mesi dopo a Milano. L’opera si configura come esempio di «teatro nel teatro», o metateatro, ossia un dramma che riflette sui meccanismi e i limiti dell’arte teatrale. Il 24 febbraio del 1922, a Milano, ottiene il medesimo successo l’Enrico IV.

Nel 1922-23 P. avvia una riorganizzazione di tutta la sua precedente produzione novellistica, rivedendola e pubblicandola in un’opera che assume il titolO di Novelle per un anno. Continuano i volumi di Maschere nude in cui raccoglie la produzione teatrale.

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I rapporti col fascismo. Nel 1924, P, subito dopo il delitto Matteotti, si iscrive al partito fascista. Egli vede nel fascismo un movimento rivoluzionario che rappresenta la forza della vita capace di rompere le cristallizzazioni e convenzioni sociali ( ne da quindi un’interpretazione anarchica). D’altronde l’educazione patriottica l’induce a riconoscersi in un regime di tipo nazionalistico. Tuttavia, agli entusiasmi iniziali seguono ben presto delusioni e un progressivo distacco dal regime. Intanto l’appoggio di Mussolini gli consente d’avere i finanziamenti per creare e dirigere la compagnia del Teatro d’Arte di Roma. Prima attrice è la giovane Marta Abba, a cui P. si lega sentimentalmente.

Il surrealismo pirandelliano e i «miti». Nel 1925 esce Uno, nessuno e centomila. L’opera è caratterizzata da un atteggiamento di ottimistica fiducia nei confronti della natura, che segna un momento significativo di rinnovamento. Di qui in avanti compare in P. una tematica di tipo surrealista, rivolta a valutare positivamente l’elemento inconscio, ingenuo, e a privilegiare la vita vista come energia primitiva che lotta contro la «forma» ( ovvero le norme e le consuetudini), ma è anche il mondo dei miti contro la realtà delle convenzioni razionali. Questa nuova tendenza si rivela in alcune opere, definite dallo stesso Pirandello «miti», ( La nuova colonia, Lazzaro, I giganti della montagna) e nelle ultime novelle scritte dopo il 1931 ( La favola del figlio cambiato).

Continua la produzione del «teatro nel teatro» con Questa sera si recita a soggetto ( 1930).

Nel 1934 riceve il premio Nobel per la letteratura. Mentre segue la realizzazione di un film tratto dal Fu Mattia Pascal e sta

contemporaneamente lavorando alla conclusione dei Giganti si ammala di polmonite e muore a Roma nel 1936.

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Le sue ultime volontà confermano la personalità d'un uomo che aveva sempre sfuggito la teatralità: « I. Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. II. Morto, non mi si vesta. Mi s'avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. III. Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m'accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l'urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui ».

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Pirandello autore del Novecento perché:Pirandello è l’unico autore scrittore italiano del Novecento famoso in tutto il mondo. Con P. entrano nella letteratura italiana alcuni dei caratteri fondamentali della ricerca dell’avanguardia europea del primo Novecento: la crisi delle ideologie e dei valori culturali della tradizione ottocentesca e il conseguente relativismo, il gusto del paradosso, la tendenza alla scomposizione e alla deformazione grottesca ed espressionistica, la scelta della dissonanza, dell’ironia, dell’umorismo. P. approdando, fra il 1904 e il 1908 – fra Il Fu Mattia Pascal e il saggio L’umorismo – alla poetica dell’umorismo, egli collabora a gettare le basi di nuove strutture artistiche, aperte e inconcluse, che si pongono in contrasto con i valori dell’arte romantica e decadente. La poetica dell’umorismo da lui elaborata respinge non solo tutto ciò che «appare» armonico, autentico, ma anche l’estetismo decadente e il Simbolismo. Pirandello parte dalla stessa crisi filosofica e scientifica da cui nasceva il Decadentismo, ma per darle risposte diverse, che ne fanno il principale esponente delle moderne tendenze nel nostro paese. Egli esprime in forme paradossali il disagio della modernità. Con Svevo, Kafka e Joyce egli contribuisce a fondare in Europa un nuovo tipo di letteratura.

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Focus:Per capire il pensiero del nostro autore è importante far riferimento all’esperienza di Alfred Binet. Lo studioso di psicologia, nel libro Le alterazioni della personalità, uscito nel 1892, aveva indagato la compresenza di livelli diversi nella vita psichica, consci e inconsci, e dunque la pluralità dell’io, in cui possono convivere diverse personalità. Binet affermava: «La nostra personalità si modifica con il tempo: la personalità infatti non è una entità fissa, permanente e immutabile: è una sintesi di fenomeni che varia, coglie elementi che la compongono e che è in continua e incessante trasformazione. Nel corso di una esistenza anche normale si succedono numerose personalità distinte; ed è solo per artificio che noi le riuniamo in una sola, perché in realtà, a vent’anni di distanza, noi non abbiamo più lo stesso modo di sentire e di giudicare. Ciascuno di noi non è uno, ma contiene numerose persone che non hanno tutte lo stesso valore». ( Vedi le riflessioni di Vitangelo Moscarda in conclusione di Uno, nessuno e centomila)Ciò che di Binet suggestiona Pirandello è la possibilità di penetrare nei terrori bui della coscienza individuale, nella parte più profonda dell’animo, di svelare la natura dissociata della personalità umana. Quest’ultima viene rappresentata negli studi dello studioso francese come una sorte di «confederazione di anime» dominate da un io egemone, che tiene sotto controllo una vita psichica caotica e brulicante di fantasmi. Pirandello trova così conferma alle sue intuizioni sullo sdoppiamento della personalità. Si coglie già qui la propensione ai temi quali la scomposizione dell’io, il doppio e la maschera, che avranno un ruolo fondamentale nella definizione dei personaggi pirandelliani sia nella narrativa sia nel teatro, e che troveranno nel saggio sull’Umorismo del 1908 una loro chiara teorizzazione: «Ciascuno si racconcia la maschera come può – la maschera esteriore. Perché dentro c’è poi l’altra, che spesso non s’accorda con quella di fuori. E niente è vero! Vero il mare, sì, vera la montagna; vero il sasso; vero un filo d’erba; ma l’uomo? Sempre mascherato, senza volerlo, senza saperlo» ( dal saggio L’umorismo).

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Poetica Il vitalismo e il contrasto tra «vita» e «forma»Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica, affine a quella di varie filosofie contemporanee (Bergson, Freud, Nietzsche). La realtà tutta è «vita», «perpetuo movimento vitale», inteso come eterno divenire, «flusso continuo, incandescente, indistinto», come lo scorrere di un magma vulcanico. Quindi la vita è «un movimento profondo e autentico, forza profonda che, nella comunicazione tra gli uomini, viene quasi sempre bloccato, fissato e artificializzato da una «forma», che ne spegne la forza originale e porta con sé la morte (la «maschera» è una delle manifestazioni essenziali della «forma»).Il contrasto tra la forma e la vita è costitutivo dell’arte pirandelliana e della stessa poetica dell’umorismo che sottolinea in modo continuo i modi con i quali la forma reprime la vita e rivela gli autoinganni con il quale il soggetto si difende dalla forza sconvolgente dei bisogni vitali. L’uomo ha bisogno di credere che la vita abbia un senso e perciò organizza l’esistenza secondo convenzioni, riti, istituzioni che devono rafforzare in lui tale illusione. Gli autoinganni individuali e sociali costituiscono, quindi, la «forma» dell’esistenza: essa cristallizza e paralizza la «vita», ovvero la spinta delle pulsioni vitali. Solo saltuariamente la «vita» riesce a sopraffare la forma, nei momenti di sosta, di malattia, di notte ( si veda l’esempio di Il treno ha fischiato). Costretta all’interno dell’enorme trappola, rappresentata dalle convenzioni sociali, la persona si riduce a maschera, o meglio a un insieme di maschere, tutte diverse e tutte egualmente inconsistenti ( ruoli sociali=maschere)Evidenti sono i punti di contatto tra il concetto pirandelliano di vita con quello di durata del filosofo francese Henri Bergson che concepisce l’idea di un tempo fluido che nella coscienza interiore intreccia continuamente passato, presente e futuro, e ancora di più la teoria dello slancio vitale, che fa della realtà un’energia in movimento, una creazione continua.

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Critica sociale e crisi dell’identitàAgli occhi di Pirandello tutta la vita si risolve in una sorta di «enorme pupazzata», in una grottesca recita all’interno della quale ognuno è costretto a impersonare molti ruoli diversi. In questo modo l’identità individuale si frantuma scomponendosi in un serie di maschere. L’io si disgrega, si smarrisce, si perde, la sua essenza si sfalda, nel naufragio di tutte le certezze. Ma, crisi di cosa? … dell'idea di una realtà oggettiva, organica, definita, ordinata, univocamente interpretabile … dell’idea di un soggetto forte, unitario, coerente, punto di riferimento sicuro di ogni rapporto con la realtà ( crisi delle idee positiviste). Opposizione fra maschera e maschera nudaGran parte dell’opera pirandelliana ruota intorno al contrasto fra «vita» e «forma» che pone l’individuo in una situazione paradossale e drammatica. Da un lato ogni uomo soffre oppresso dalle tante maschere che la società impone. Al contempo l’individuo sente la necessità d’assumere una forma, per vivere e credersi «uno». Anche nel romanzo Il fu Mattia Pascal è presente il medesimo dilemma. La paradossale vicenda di Pascal dimostra che non è possibile vivere né all’interno delle norme sociali né fuori di esse. La possibile soluzione viene ricercata nelle novelle e nelle pere teatrali, nell’immaginazione e nell’evasione fantastica, nella follia, reale o simulata( es: Enrico IV). Il personaggio, non più persona, non più coerente, non più unitario, può scegliere se adeguarsi, nell’incoscienza, all’ipocrisia della forma, o se vivere consapevolmente e amaramente le contraddizioni e l’insensatezza della vita. Nel primo caso è solo una maschera, nel secondo diventa maschera nuda dolorosamente consapevole degli autoinganni propri e altrui ma impotente a risolvere la contraddizione che pure individua. Le maschere nude «hanno capito il giuoco» e osservano la propria esistenza con distaccata ironia, come «forestieri della vita» ( questo è un atteggiamento propriamente umoristico).

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Il relativismo conoscitivo

Nel pensiero di Pirandello trova espressione un atteggiamento ( tipicamente novecentesco) di totale relativismo conoscitivo. Se la vita quotidiana è una sorta di recita in cui le identità individuali sono labili e sfuggenti. Ciò significa che anche la realtà nel suo complesso resta inconoscibile e inafferrabile, e, di conseguenza anche, incomunicabile. Non vi può essere reale comunicazione fra gli uomini impossibilitati come sono a rendere forma ciò che è vita, ciò che ognuno di noi pensa ed è.Entra in crisi il concetto stesso di verità che sul piano artistico si traduce nella poetica pirandelliana dell’umorismo. Esistono tante verità soggettive, tutte ugualmente valide e, al tempo stesso, tutte egualmente imperfette ( vedi es: Cosi è (se vi pare) ).

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L’umorismo

L’umorismo è l’arte del tempo moderno in cui le categorie fisse di bene e male, di vero e di falso, sono entrate in crisi e in cui non esistono più parametri certi di verità. In virtù di ciò l’umorismo non propone eroi o valori, ma un atteggiamento fortemente critico, mettendo in rilievo le contraddizioni e le miserie della vita, irridendo e compatendo al contempo.

Il testo teorico più significativo per comprendere la poetica di Pirandello è il saggio L’umorismo. È nelle pagine di quest’opera che lo scrittore «mette a punto la tematica dell’inconoscibilità e molteplicità dell’io. Solo la riflessione umoristica può offrire lo scandaglio adeguato a una realtà di forme fittizie per le quali necessiti l’arma della scomposizione, l’unica in grado di partorire quel sentimento del contrario ( e non semplice avvertimento, grado del comico) e semplificato dal famoso aneddoto della vecchia signora» imbelletata.

Allora, possiamo affermare che il sentimento del contrario è lucida coscienza della contraddizione che nasce tra la vita e la forma, tra il voler aderire alla libertà del vissuto e le costrizioni dei ruoli che vuoi la società, vuoi i doveri e i sensi di colpa c'impongono. « ... la tristizia degli uomini si deve spesso alla tristezza della vita, ai mali di cui essa è piena e che non tutti sanno o possono sopportare; induce a riflettere che la vita, non avendo fatalmente per la ragione umana un fine chiaro e determinato, bisogna che, per non brancolar nel vuoto, ne abbia uno particolare, fittizio, illusorio, per ciascun uomo, o basso o alto » (L'umorismo).

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Queste finzioni nelle quali l'uomo crede di realizzarsi pienamente sono poste in crisi dall'intervento della riflessione che le smaschera e le scopre giustapposte quali sono veramente. Il comico, ch'è l'avvertimento del contrario, si trasforma così in umorismo, che altro non è se non la «drammatizzazione del comico». (Testo di riferimento a p. 290)

Troviamo così nel saggio L’umorismo la sistemazione del pensiero pirandelliano e i due elementi portanti della sua opera: il desiderio profondo della vita, e la coscienza del vivere. La profonda, ma al temo stesso contrastata, adesione alle illusioni ed alle fittizie messe in scena dell'esistenza e la persuasione cosciente, consapevole del sentirsi vivere.Nel testo sono quindi in un certo senso presenti tutte quelle tensioni vitali, quei dissidi interiori che possiamo ritrovare nell'affollata umanità, nei personaggi che popolano l’intera opera pirandelliana.

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Novelle per un anno

La raccolta presenta una struttura enigmatica: le novelle non sono disposte in ordine cronologico e neppure sono raggruppate in modo tematico.

L’ordine scelto da Pirandello appare vuoto: chiude una molteplicità di frammenti la cui legge, in assenza di un ordine superiore interpretativo, non può che essere quella del caos e del caso.

L’opera è un’allegoria della dissoluzione e della varietà della vita, del suo carattere frantumato e insensato, in cui domina il flusso distruttivo del tempo

Infatti, il titolo pone in rilievo il tema del tempo, vissuto come dissipazione, vortice e caos.

Caratteri stilistici costanti: linguaggio volutamente basso e quotidiano; il relativismo conoscitivo e la ricerca di una verità; il contrasto tra forma e vita; l’alienazione; la differenza fra l’essere e l’apparire.

Novella di riferimento: Il treno ha fischiato ( pubblicata per la prima volta nel 1914) il cui protagonista è Belluca.

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Il Fu Mattia PascalRomanzo allegorico della fine dell’identità e della morte della «persona»

Il Fu Mattia Pascal venne pubblicato a puntate sulla rivista «Nuova Antologia» fra l’aprile e il giugno del 1904 e poi, in volume, nello stesso anno. Fu ripubblicato nel 1921 con l’aggiunta di un’Avvertenza sugli scrupoli della fantasia, testo che ricollegava il romanzo al saggio L’umorismo.Il romanzo consta di tre parti.La storia comincia dalla fine. Negli ultimi due capitoli si narra la trasformazione del protagonista nel «fu» Mattia Pascal che, ormai estraneo alla vita, racconta in prima persona la sua storia. Prima di narrarla fa però due premesse teoriche che costituiscono i primi due capitoli del romanzo. La seconda parte è, in sostanza un romanzo nel romanzo: protagonista è il giovane Pascal e le vicende che lo portano al matrimonio. Questa parte termine con la vincita a Montecarlo e la decisione di cambiare identità approfittando di una falsa notizia sulla sua morte per suicidio.La terza parte è quasi un romanzo di formazione o, meglio, un romanzo di formazione alla rovescia visto che il progetto di Meis/Pascal fallisce. Pascal cerca di costruirsi un nuovo io. A Roma sperimenta, tuttavia, l’impossibilità di vivere una vita normale privo com’è di uno stato civile ( ad es. non può sposare Adriana). A questo punto Meis/Pascal decide di fingere il suo suicidio nel Tevere. Si rientra dunque nel primo romanzo, quello in cui il protagonista è il «fu». Tornato nel proprio paese il protagonista scopre che la moglie si è risposata. Rinuncia al suo ruolo di marito legittimo e decide di restare nel suo paese «come fuori dalla vita», bibliotecario di una biblioteca che nessuno frequenta, in una condizione di estraneità e distacco da ogni frustrante meccanismo o trappola sociale.

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I temi principali del romanzo sono i seguenti: La famiglia sentita come nido o come prigione: è nido la famiglia originaria; è una

prigione il rapporto con la moglie Romilda Il gioco d’azzardo: esemplifica l’importanza del caso nella vita di ognuno di noi, ciò

conferma l’idea della relatività della condizione umana secondo l’autore L’inettitudine: Pascal è un inetto, un velleitario che sogna un’evasione impossibile e

che alla fine si trasforma consapevolmente in antieroe, perché inadatto alla vita pratica dalla sua propensione a guardarsi vivere e dalla sua estraneità nei confronti della vita.

La modernità, la città, il progresso: l’ambiente più frequente è la città; viene visto in maniera critica e negativa il progresso delle macchine e della scienza.

Il doppio e la crisi dell’identità: Pascal ha un rapporto difficile con la propria anima e con il proprio corpo, ne è spia l’occhio strabico che si ritrova e guarda sempre altrove.

La perdita dell’identità è anche il tema centrale dell’opera; Pascal nel tentativo di liberarsi dalla trappola delle convenzioni sociali ne registra contemporaneamente il fallimento e l’i possibilità. Pascal si illude di poter fuggire al peso delle forme, perché Adraino Meis non gli da una vera libertà; al contrario, lo intrappola in una nuova forma, che però non ha alcuna consistenza agli occhi della società. La soluzione, quindi, è totalmente negativa: il protagonista deve ammettere che l’uomo non può più vivere né all’interno della forma, che lo opprime, né al di fuori di essa.

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Struttura e stileIl romanzo presenta notevoli novità strutturali e stilistiche. 1. È una narrazione retrospettiva in prima persona, che comincia a vicenda conclusa e in cui

l’inizio coincide con la fine. 2. Narrazione e metanarrazione, cioè racconto e riflessione teorica sul racconto, vi si

mescolano, ponendo così in discussione la "verità" della narrazione. L’opera stessa è scritta, dice Pascal, solo «per distrazione» dall'unica verità a cui egli è arrivato: che niente ha senso e che a questa legge non si sottrae nemmeno la scrittura, una mossa, questa, attraverso cui l'autore induce il lettore a diffidare della storia che racconta e ne sollecita lo spirito critico e collaborativo (anche Svevo ne compie una analoga all’inizio della Coscienza di Zeno, avvisando, attraverso la premessa del dottor S., che quanto sta per raccontare è solo un cumulo di «verità e bugie»). Mentre il narratore ottocentesco (si pensi a Manzoni o a Verga) intende persuadere il lettore di stare raccontando la verità, l’autore primonovecentesco non crede più ad alcuna verità, neppure alla propria, e invita il lettore alla diffidenza e alla sorveglianza critica.

3. Il fu Mattia Pascal è un romanzo-soliloquio, ovvero è segnato dal ricorso continuo alle esclamazioni, alle interrogazioni, alle domande retoriche, a espressioni come «dico io», «pensate voi», «ecco qua».

4. Lo stile è quello di un "recitativo" quasi teatrale, che anch'esso contribuisce a togliere fluidità e naturalezza alla narrazione, estraniandola. Anche la descrizione dei personaggi e degli ambienti è grottesca, deformante, violentemente espressionista.

5. Assumendo le forme di un soliloquio, il linguaggio di Pirandello, che potrebbe sembrare grigio e burocratico, acquista viceversa una notevole carica di espressività.

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Il Fu Mattia Pascal e la poetica dell’umorismo(Riferimenti ai testi «Maledetto Copernico» e «Lo strappo nel cielo di carta»)P. volle collegare esplicitamente il romanzo al libro L’umorismo, che infatti usci nel 1908 portando la dedica «Alla buon'anima di Mattia Pascal bibliotecario». I due capitoli iniziali di Premessa e l'intero capitolo XII, rappresentano dei contributi teorici alla poetica dell'umorismo.

Nella Premessa seconda il relativismo moderno e il conseguente umorismo sono fatti dipendere dalla scoperta di Copernico: la rivelazione che l'uomo non è più al centro del mondo ma costituisce un'entità minima e trascurabile di un universo infinito e inconoscibile rende assurde le sue pretese di conoscenza e di verità e "relative" tutte le sue certezze. Per questo i romanzi tradizionali di tipo naturalistico o decadente, vengono derisi da Pascal che considera ironicamente una serie di possibili esordi romanzeschi ricorrenti nella letteratura del tempo. Secondo Pirandello, che qui si esprime tramite Pascal, le strutture narrative di tali romanzi non possono rappresentare la reale condizione umana successiva alla scoperta di Copernico.

Nel capitolo XII si descrive, infatti, quanto succede in seguito allo strappo nel cielo di carta di un teatrino: l'eroe tradizionale, Oreste, esempio di coerenza e di sicurezza, si distrae di fronte all'imprevisto, all'«oltre» che gli si spalanca davanti, e perciò vede cadere ogni naturalezza e spontaneità del proprio agire: cessa di vivere e comincia a guardarsi vivere trasformandosi in una sorta di moderno Amleto e divenendo di fatto un antieroe, un inetto incapace di azione, dubitando delle precedenti certezze e, di conseguenza, di sé stesso.

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Analisi del brano «Lo strappo nel cielo di carta» Nelle parole che Anselmo Paleari pronuncia è contenuta gran parte dell’ideologia pirandelliana, quella che fa da supporto all’intera sua opera. Essa si esprime in una serie di metafore collegate fra loro.Intanto c’è l’idea del teatro come grande metafora della vita: nello spazio ristretto del palcoscenico vengono messi a nudo, mostrati i complessi meccanismi della vita degli uomini. Questa vita non consiste forse nel recitare una parte, rivestire un ruolo che si determina in base al rapporto che ogni personaggio ha con gli altri, con le strutture teatrali, con le idee che rappresenta, con le capacità e la convinzione con le quali riesce a sostenere la recita? Se il teatro è dunque la vita stessa, la differenza tra la tragedia antica e la moderna non riguarda soltanto lo sviluppo storico di una espressione artistica, ma la condizione umana nel suo complesso. Ecco perciò apparire e contrapporsi i due modelli: Oreste ed Amleto; essi sono due emblemi della situazione esistenziale, la testimonianza di una crisi e di una frattura. Paleari-Pirandello vuole stabilire la natura della crisi esistenziale dell’uomo contemporaneo: è lo “strappo nel cielo di carta” che blocca Oreste, perché gli mostra che dietro non c’è nulla. Infatti lo strappo vuole indicare che l’uomo moderno non può più avere punti di riferimento fissi, le sue certezze sono cadute, sono venuti meno i presupposti sui quali si reggevano gli ideali. Nella tragedia antica Oreste trova il coraggio di superare le difficoltà e di far tacere i propri sentimenti in nome di una lealtà verso i principi che reggono l’intera vita sociale.Amleto è nella stessa condizione di Oreste: deve vendicare sulla madre e sul suo amante la morte violenta del padre; ma, al contrario del protagonista della tragedia antica, egli è tormentato dal dubbio e nessuna cosa al mondo lo può aiutare a discernere fino in fondo il bene dal male, ciò che è dovere da ciò che è libera scelta. Il destino dell’uomo moderno sta, quindi, nell’insicurezza e nel dubbio, uniti alla consapevolezza che il caso governa il proprio agire.Nel passo c’è anche un altro particolare: la rappresentazione di cui Paleari parla ad Adriano Meis non verrà compiuta da attori, ma da “marionette”; l’uomo è ridotto ad un automa. L’opera di Pirandello ha, dunque, questo presupposto ideologico: in un mondo sostanzialmente privo di certezze, nel quale domina la coscienza della perdita irrimediabile degli ideali religiosi civili e culturali, l’individuo agisce alla ricerca di un equilibrio che non può essere che precario; basta un accidente qualsiasi perché lo “strappo nel cielo di carta” si manifesti in tutta la sua angosciosa tragicità.