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Pappalardo Tesis Yasuni

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Indice

Introduzione 3

1 Conservazione della natura, biodiversità, conflitti ambientali 5

1.1 La biodiversità tra impatti antropici e paradigmi scientifici 5

1.2 Modelli di conservazione della biodiversità: strategie, centri di biodiversità ed aree protette 15

1.3 Foreste umide tropicali 24

1.4 Biodiversità: un approccio ecosistemico 29

1.5 Territorio, conflitti ambientali ed aree protette 36

2 Inquadramento geografico, ecosistemico e territoriale 46

2.1 Ecuador: geografia, biodiversità ed ecosistemi 46

2.2 Ecuador: società, comunità indigene, territorio 53

2.2.1 Aree Protette e territori indigeni 59

2.3 Area di studio 60

2.3.1 Regione Amazzonica Ecuadoriana: ecosistemi 60

2.3.2 La Riserva della Biosfera Yasuní: biodiversità e gestione dell’area protetta 66

2.3.3 La produzione petrolifera: impatti socio-ambientali 72

2.3.5 Vie di comunicazione terrestri all’interno dell’area di studio 79

2.3.6 Uso del territorio 82

2.3.7 Attori e poste in gioco 85

2.3.8 Definizione area di studio tramite analisi G.I.S. 93

3 Materiali e metodi 97

3.1 Indagine bibliografica e workshops sul campo 97

3.2 Attività di campo 98

3.2.1 Raccolta punti GPS 99

3.2.2 Interviste e raccolta dati da informatori privilegiati 100

3.2.3 Problematiche di lavoro 103

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3.3 Sistemi Informativi Territoriali 105

3.3.1 Cartografia tematica 108

3.3.1 Immagini satellitari 111

4 Risultati 117

4.1 Introduzione 117

4.2 Area di studio 118

4.3 Input cartografici 121

4.4 Carta tematica degli ecosistemi della RAE: input cartografico 121

4.5 Sistemi idrografici della regione amazzonica ecuadoriana 124

4.6 Comunità indigene, colonos e centri urbani: input cartografico 128

4.7 Studio dei sistemi forestali amazzonici ed impatto antropico 131

4.8 Ground truth, punti GPS e grafo stradale 144

4.9 Via di comunicazione stradale Occidental Petroleum: analisi quantitativa 145

4.10 Via Auca e bacino idrografico Curaray: analisi quantitativa e pattern di territorializzazione 150

4.11 Riserva della Biosfera Yasuní (RBY) e produzione petrolifera: analisi geografica con approccio transcalare 160

4.12 Installazioni per l’estrazione petrolifera e Riserva della Biosfera Yasuní: carta di densità 165

4.13 Analisi comparativa ed overlay tra carta di densità

delle installazioni petrolifere e Zona intervenida 168

4.14 Risultati delle interviste ad informatori privilegiati 171

5 Discussione e conclusioni 173

Bibliografia 184

Allegati 194

Ringraziamenti 198

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Sic alid ex alio numquam desistet oriri Vitaque mancipio nulli datur, omnibus usu.

(Lucrezio, De rerum natura) Introduzione Il lavoro di questa tesi nasce dall’esigenza personale di affrontare il tema della

conservazione della natura nella sua complessità cercando di superare le barriere che

separano l’uomo dall’ambiente per entrare nel vivo del problema.

La ricerca è stata condotta in una delle venticinque regioni definite da Myers (2000) “centri di biodiversità” situata nella parte occidentale della foresta tropicale amazzonica in un’area caratterizzata da un’elevata diversità biologica e dalla presenza di popolazioni indigene: La Riserva della Biosfera Yasuní. La scelta di tale area è legata sia alla volontà di consolidare le conoscenze naturalistiche in una delle regioni più biologicamente sensibili del pianeta, sia al desiderio di entrare in contatto con le comunità indigene che vi abitano per comprendere le problematiche che attraversano questa porzione di foresta amazzonica. L’area di studio, oltre ad essere stata istituita come Parco Nazionale IUCN (cat. II, IUCN, 1982), è inserita come area protetta all’interno dei programmi per la conservazione e lo sviluppo sostenibile dell’UNESCO (MAB, 1989, Man and Biosphere Program), costituendo per la comunità internazionale uno dei modelli piu’ avanzati di compatibilità tra la tutela della biodiversità ad ogni livello organizzativo e attività umane sostenibili. Tuttavia, negli ultimi decenni, all’interno dell’area si sono sviluppate attività antropiche a carattere industriale legate prevalentemente alla produzione petrolifera ed all’estrazione di legname per l’esportazione, influenzando sia i programmi nazionali ed internazionali per la conservazione della biodiversità, che le attività tradizionali e la vita stessa delle popolazioni indigene (Narvaez, 2004). Le attività per l’estrazione e la produzione petrolifera sono divise in aree lottizzate che si sovrappongono geograficamente alla Riserva della Biosfera ed ai territori indigeni, producendo impatti sugli ecosistemi e sulle comunità locali che si manifestano nel cosiddetto conflitto ambientale (De Marchi, 2004). Cercando di mantenere un approccio ecosistemico sono state sviluppate sia attività di campo che analisi quantitave di natura geografica, per approfondire le problematiche

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socio-ambientali e verificare la compatibilità tra gli attuali modelli di conservazione e le attività industriali presenti nell’area. Lo scopo della tesi è stato quello di quantificare i cambiamenti della foresta umida tropicale per ciascuna formazione vegetale sostituita da attività antropiche, approfondire le dinamiche di interazione uomo-ambiente nell’area di studio e verificare la sostenibilità socio-ambientale tra i modelli di gestione delle aree protette e la produzione petrolifera. Dopo aver sviluppato attività di campo volte ad acquisire dati geografici, rilievi GPS ed informazioni raccolte tramite interviste non strutturate, sono state condotte, tramite l’uso di sistemi G.I.S. (Geographical Information Systems), analisi quantitative e qualitative sulle relazioni spaziali tra le attività antropiche, gli ecosistemi, la Riserva della Biosfera Yasuní ed i territori indigeni. In particolare le analisi quantitative hanno preso in esame l’impatto antropico sulla copertura vegetale, lo stato di avanzamento delle vie di comunicazione terrestri all’interno della foresta primaria, la densità delle installazioni petrolifere ed i pattern territoriali sviluppati dalle attività produttive per l’estrazione petrolifera lungo un’asse stradale e dalle comunità indigene Wuaorani e Quichua nell’area di influenza della Riserva della Biosfera Yasuní. L’esperienza sul campo e le analisi quantitative prodotte hanno permesso di comprendere come i diversi modi di percepire la natura e di tradurla in risorse da sfruttare possano portare a dimensioni di conflittualità ambientale tra i diversi attori in gioco nel territorio.

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1 Conservazione della natura, biodiversità, conflitti

ambientali

1.1 La biodiversità tra impatti antropici e paradigmi scientifici Affrontare oggi il tema della conservazione della natura e delle sue risorse, nella sua

complessità, si rivela quasi sempre impresa ardua e spinosa, soprattutto se le analisi

vengono spinte in profondità e se si tratta l’argomento insieme alle molteplici

implicazioni che esso comporta.

Quando si parla di conservazione, specialmente nell’ambito delle scienze naturali,

spesso ci si riferisce all’idea ampia di preservare la natura, nel senso di recuperare

specie botaniche o zoologiche dai processi di estinzione, oppure di proteggere un’area

d’interesse naturalistico per riportarla al suo stato originario. Ciò che principalmente

preoccupa gli addetti ai lavori della conservazione sono la frammentazione degli

habitat ed il cosiddetto effetto margine che, per le conseguenti minacce per le specie

ed le biocenosi, sono fenomeni sempre più studiati e rappresentati dai modelli della

biogeografia delle isole e vengono ricondotti, direttamente o indirettamente, ad

interventi antropici in termini di riduzione areale (Primack, 2004, pp. 132-139).

L’aumento dei tassi di riduzione della biodiversità e la degradazione degli habitat

sono indiscutibilmente riconosciuti come problemi attuali, legati prevalentemente alle

attività antropiche su scala locale e globale. Sovente però il dibattito interno alle

scienze naturali si torce intorno alla cosiddetta conservazione in situ o ex situ,

affrontando le problematiche all’interno del paradigma meramente conservazionista

legato alla perdita di una specie o alla perdita di un habitat. Anche se sono passati

oramai trent’anni dall’uscita del celebre libro di Myers (1979) dove l’immagine

dell’arca che affonda poneva per la prima volta al centro del dibattito i numeri e le

stime dei tassi d’estinzione, a volte sembra che l’approccio alla questione ambientale

in termini di riduzione di biodiversità debba essere confinato ai soli specialisti del

settore, preoccupati della potenziale estinzione di una specie per la perdita

dell’oggetto di ricerca o del valore naturalistico della stessa. Qui si annida inoltre il

problema sulle strategie della conservazione naturalistica intorno alla salvaguardia

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delle specie; deve essa attuarsi in situ o ex situ? Nonostante l’importanza che

rivestono i musei e gli orti botanici, specialmente in termini di didattica e di ricerca

specifica ex situ, le scienze naturali, da qualche decennio a questa parte, si sono

trovate un po’ in difficoltà rispetto alla conservazione della natura in termini organici

e complessivi. Questo accade non solo per la galoppante importanza e “quotazione”

che l’approccio genetico-biochimico della biologia molecolare sta avendo all’interno

delle scienze naturali, ma anche perché quest’ultima, da un po’ di tempo a questa

parte, è passata nello spettroscopio della “Scienza Contemporanea”, frantumandosi in

molte discipline specifiche, relative alla natura sensu lato, “molecolarizzandosi” e

privandosi di una visione olistica che forse oggi dovrebbe avere la conservazione

della natura all’interno della cosiddetta questione ambientale (Cini, 1994).

Anche dalle lontane Galapagos, studiando i meccanismi di speciazione dei celebri

fringuelli che hanno aperto la strada alla teoria di Darwin, Peter Grant, biologo

evoluzionista, si pone il quesito: “What does it mean to be naturalist at the end of the

XX Century?” (Cosa significa essere naturalista alla fine del XX secolo?) (1999).

Forse lo stesso Grant, citando Gentry (1989, p. 127), si accorge, dalla prospettiva

della biologia evoluzionistica, che “lo straordinario tasso di speciazione delle piante

nel bosco umido tropicale del’Ecuador, è accompagnato da un altrettanto

straordinario ed elevato tasso di estinzione di locali endemismi dovuto alla

deforestazione. Non è solo l’eredità biologica dell’umanità che si impoverisce, ma

anche la nostra stessa eredità intellettuale che viene erosa quando questi unici e attivi

laboratori di speciazione scompaiono dalla faccia della terra. Inoltre quelli di noi che

sono interessati ai processi evolutivi hanno un incentivo aggiunto per preservare il

nostro pianeta dalla distruzione delle restanti foreste tropicali. Abbiamo bisogno delle

foreste tropicali se vogliamo veramente capire i processi di speciazione ed evoluzione

che hanno fatto incrementare la diversità della vita sulla terra.” (Grant, 1999). In

questo caso, sicuramente sentita nel profondo da parte di chi studia i processi

evolutivi e la biologia delle popolazioni, la perdita di biodiversità rappresenta un serio

problema da affrontare e da far emergere dalla specificità delle discipline scientifiche

delle scienze naturali. A volte però la generica perdita di diversità biologica legata

all’impatto delle attività antropiche sull’ambiente si infrange su due immagini

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speculari ma asimmetriche: strumento per coloro che riconoscono il suo valore in

termini economici da un lato o giocattolo nel modo urbano e occidentale di guardare

alla complessità dei viventi dall’altro (De Marchi, 2002). Talora sono gli stessi

naturalisti e scienziati che proiettano sulla diversità biologica, in maniera

inconsapevolmente semplicistica e semplificata, questa seconda immagine.

Quest’ultimo approccio alla biodiversità ed alla sua degradazione può in qualche

modo ricollegarsi al paradigma che ha condizionato la scienza moderna, di

derivazione galileiana-newtoniana, che applica largamente il metodo riduzionistico,

isolando i singoli fenomeni ed interpretandoli come catene lineari causa-effetto

(Pignatti, Trezza, 2000 pp. 20-31). Si tratta dello stesso paradigma scientifico che ha

mantenuto separato l’uomo dall’ambiente e che ha considerato quest’ultimo come un

contenitore da cui è comodo sottrarre “risorse” e in cui scaricare rifiuti. Un paradigma

(o approccio) sistemico considera invece l’ambiente come un ecosistema: un sistema

auto-organizzante che accumula ordine sotto forma di materia organica (bio-massa) e

di specie viventi (biodiversità) (Pignatti, Trezza, 2000).

E’ infatti nella tipologia di relazioni che intercorrono tra comunità umane ed

ecosistemi che si traducono nelle varie forme d’uso delle risorse naturali che vanno

ricercati e riscoperti gli approcci per sviluppare modalità di conservazione della

natura organiche e complessive. Le relazioni tra comunità umane ed ecosistemi, che

insieme costituiscono un sistema bimodulare, sono di tipo verticale e senza dubbio

danno luogo a compromissioni di natura ambientale e diventano morfogenesi delle

reti trofiche (Vallega, 1995, pp. 71-77).

La biodiversità è invece da considerarsi quindi come diversità multiscalare

dell’organizzazione biologica (geni, popolazioni, specie ed ecosistemi) e può essere

considerata ad ogni scala geografica (locale, regionale e globale) e la sua

conservazione dovrebbe avere un approccio ecosistemico che si orienti all’interno di

questa concezione.

E’ dalla Convenzione sulla biodiversità di Rio de Janeiro all’interno dell’Earth

Summit (1992), che si delineano misure a carattere internazionale per la protezione

della diversità biologica ad ogni livello ed il suo uso sostenibile. E’ ormai acquisito

che le attività antropiche stanno fondamentalmente, e spesso in modo irreversibile,

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mutando la diversità della vita sul pianeta, e la maggior parte di questi cambiamenti si

traduce in perdita di biodiversità (M.A., 2005), che da allora diventa sempre più res

publica, anche se con differenti interpretazioni ed approcci spesso discordanti.

Semplicemente usando una chiave di lettura ecologica si ritiene che qualsiasi

intervento umano su un elemento del sistema vivente ai diversi livelli di

organizzazione, data la struttura interattiva di questo, è destinato ad influenzare gli

elementi connessi dello stesso sistema, in modo tanto più incisivo quanto più forte è

l’intervento e quanto più numerose e strette sono le connessioni al livello di

organizzazione gerarchica pertinente e, eventualmente con altri, con esso collegati

(Buiatti, 2000).

Rifacendosi ai lavori commissionati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)

ad oltre 1300 scienziati per lo stato globale degli ecosistemi, (Global Ecosystem

Assessments, 2005), è comunque utile rilevare, solamente in riferimento alla perdita

di biodiversità in termini di estinzioni biologiche, che i dati e le proiezioni future non

sono tra i più rassicuranti.

Tra il 10% ed il 50% dei taxa studiati (mammiferi, uccelli, anfibi, conifere e cicadi)

sono attualmente sotto minaccia di estinzione, basandosi sui criteria

dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN, 2001, in M.A., 2005).

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Fig. 1.1 Tassi di estinzione delle specie in tre intervalli temporali: passato lontano (documentazione fossile), passato recente (estinzioni registrate), futuro (basato su piu’ modelli). Fonte: Millennium Ecosystem Assessment, 2005 Premesso che la biodiversità ad ogni livello segue su scala planetaria un gradiente

latitudinale aumentando verso le fasce tropicali (Primack, 2004, pp. 38-40) e che di

conseguenza gli “ambienti” più ricchi si ritrovano nelle foreste pluviali, (WCMC,

1992) il cui bioma rappresenta più della metà delle specie esistenti al mondo con il

solo il 7% della superficie terrestre (Whitemore, 1990) costituendo la più grande

riserva della storia evolutiva del pianeta (M.A., p. 87), urge sottolineare come

attraverso lo studio di un ampio range di gruppi tassonomici la grandezza di

popolazione e la diversità biologica sono in declino (M.A., 2005).

Anche i centri di endemismo sono concentrati ai tropici; centri di endemismo relativi

ai taxa di uccelli, mammiferi ed anfibi tendono qui a sovrapporsi (IUCN 2004, Red

list od threatened Species. A Global Species Assments. IUCN, Gland, Switzerland).

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Anche in termini di produttività, la quantità netta di carbonio fissata dalle piante

(KgC/m2) con la fotosintesi, principale fonte di energia della biosfera (M.A., Forest

and Woodland Systems, 2005), e di biomassa le foreste tropicali esprimono elevati

livelli comparati con le foreste di conifere in zone temperate e boreali.

Fig. 1.2 Comparazione della diversità tra gli otto regni biogeografici: A) Ricchezza specifica; B) Endemismi (fonte: M.A., 2005)

Mentre nel passato le forti spinte di cambiamento e di modulazione della diversità

all’interno della biosfera sono state guidate da processi estrinseci alla vita stessa,

come i cambiamenti climatici, i movimenti tettonici, ed eventi extraterrestri nel caso

del Terziario, gli attuali trend di cambiamento sia sulla biodiversità che sui cicli

biogeochimici ed idrologici naturali (Primack, 2004) risultano da processi intrinseci

alla vita sulla Terra, e quasi esclusivamente legati alle attività antropiche: rapidi

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cambiamenti climatici, cambio d’uso dei suoli, sovrasfruttamento delle risorse,

introduzione di specie alloctone invasive, agenti patogeni e inquinanti. Tali processi,

che si legano tra loro in relazioni complesse e che spesso agiscono in maniera

sinergica, sono considerati come fattori antropogenici che danno impulso e guidano i

cambiamenti sopraccitati; tali processi sono conosciuti come anthropogenic direct

drivers (M..A., 2005 cap. 4. Biodiversity, p. 96). Tra i più importanti impatti diretti e

pervasivi sulla biodiversità ricordiamo: la distruzione degli habitat (M.A., cap. 4), il

sovrasfruttamento delle risorse naturali, (M.A., 2005 cap. 4), l’introduzione di specie

alloctone invasive (alien species) Primack, 2004), agenti patogeni (M.A., cap. 4

Biodiversity, 2005) ed inquinanti ed infine, ma non irrilevante, i cambiamenti

climatici (M.A., cap. 9, 2005 ).

L’evoluzione di nuove specie e l’estinzione di altre sono in sé un processo naturale.

La diversità biologica, in termini di specie, che è attualmente presente rappresenta

appena il 2% di quelle che sono vissute sulla terra (Primack, 2004). Attraverso i

tempi biologici di evoluzione, il cui ordine di grandezza è di milioni di anni, c’è

sempre stato un netto eccesso di speciazione nei confronti dell’estinzione che ha

portato alla enorme diversità biologica sperimentata oggi sulla terra. Ciò che è

importante rilevare è che i processi di cambiamento che determinano la

degradazione/perdita di habitat, la riduzione della biodiversità ad ogni livello, ed i

cambiamenti climatici, condizionati direttamente dai sopraccitati anthropogenic

direct drivers, si svolgono su una scala temporale differente.

E’ infatti all’interno della scala dei tempi storici, quella che racchiude l’evoluzione

culturale, tecnologica e socio-economica dell’Homo sapiens, che i processi di

trasformazione della biosfera, dell’idrosfera e della atmosfera (e inevitabilmente della

geosfera) acquistano un ritmo ed una velocità assai rilevante; sono state le grandi

innovazioni tecnologiche ed il loro uso dettato ed imposto dai sistemi politico-

economici a diventare determinanti spartiacque all’interno della scala dei tempi

storici (Rifkin, 2000).

I tempi storici dell’uomo hanno attraversato le prime rivoluzioni tecnologiche del

neolitico, in cui si sono sviluppate le prime attività agricole stazionarie, l’allevamento

e l’accumulo di proprietà, fino alla grande rivoluzione tecnologica-produttiva della

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dell’era industriale. I ritmi dei tempi storici e dei tempi biologici sono stati trasposti

su scale enormemente differenti: l’ordine di grandezza è di centinaia d’anni nel primo

caso, di milioni o miliardi nel secondo. Con i modelli di sviluppo e di produzione

dominanti e con l’attuale livello tecnologico impiegato, le capacità di modificare

ecosistemi, paesaggi e cicli biogeochimici sono notevolmente aumentate in funzione

del tempo e dello spazio. Il tempo sta quindi cambiando unità di misura nel rapporto

uomo-natura. La scala sottesa ai tempi storici dell’uomo è di tipo logaritmico,

aumenta in serie geometrica, con crescita esponenziale. La scala dell’evoluzione

biologica invece è la misura dei processi evolutivi ed è dell’ordine di grandezza di

milioni/miliardi di anni (Tiezzi, 2001). Quando si affrontano le problematiche relative

alla biodiversità, oltre alla sua dimensione multiscalare, il valore ecologico puramente

intrinseco si esprime anche attraverso la sua stessa storia, prodotto di una complessità

ed un’evoluzione incredibili di tre miliardi e mezzo di sperimentazioni di forme di

vita (Shiva, 2001).

Per meglio comprendere però da un’altra prospettiva, non escludente ma includente,

la questione della biodiversità è opportuno approcciarsi ad essa con gli strumenti

analitici propri della geografia della complessità (Turco, 1988).

Se da un lato anche il rapporto del Millenium Ecosystem Assessments ha preso in

esame e sviluppato numerose analisi quantitative degli impatti antropici sulla

biodiversità prevalentemente a livello di specie e/o habitat, l’insieme dei fattori che

determinano l’andamento dei processi causali sui sistemi ambientali è di più difficile

valutazione, specialmente se la scala è a livello di ecosistema o di meta-ecosistema.

(De Marchi, 2000).

Ecosistemi e società si evolvono nel tempo in relazioni reciproche che, interagendo

portano alla costruzione dei sistemi complessi territoriali. L’interazione nel tempo e

nello spazio tra società ed ambiente da luogo ad un sistema bi-modulare i cui

sottosistemi sono caratterizzati da una propria auto-organizzazione ed autonomia pur

mantenendo le capacità di interazione tra loro (Vallega, 1995).

I sistemi territoriali sono quindi prodotti dalle interazioni continue e reciproche tra

società umane ed ambiente e sono dipendenti da processi continui di produzione e

distruzione di biodiversità ad ogni livello organizzativo. L’ecosistema originario deve

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ridurre i livelli di complessità naturale per poter consentire alla società di “erogare”

servizi e beni utili (M.A, Ecosystem Services, 2005) in maniera costante e per poter

riprodurre le azioni nel tempo. Tali operazioni si traducono in semplificazioni

dell’ecosistema: modificazioni delle caratteristiche fisiche del paesaggio per

consentire spostamenti, conversione in allevamenti o attività pastorizia, coltivazioni

di solo alcune piante selezionate (monocolture), attività produttive, insediamenti (De

Marchi, 2000). Queste attività sono sempre state sviluppate nel corso della storia

dell’uomo, ma con modulazioni notevoli in intensità ed estensione, specialmente a

partire dal secolo scorso. E’ proprio all’interno di questi interventi antropici che

vanno cercati i meccanismi ed i processi delle interfacce società-natura, che

influiscono sulla biodiversità e che direttamente o indirettamente costituiscono

impatti sui sistemi ambientali.

I processi che esercitano in qualche modo influenza sulla biodiversità possono essere

individuati in meccanismi diretti ed indiretti che, per la loro genericità e

standardizzazione possono essere utilizzati in diversi contesti territoriali. (De Marchi,

2000).

Sono state individuate sei famiglie di meccanismi diretti che agiscono sulla

biodiversità e sei famiglie di meccanismi indiretti; Meccanismi diretti Meccanismi indiretti

Sfruttamento delle popolazioni naturali Cambiamenti dell’agricoltura, della selvicoltura, della pesca Introduzione di organismi e patologie alloctone Inquinamento del suolo, dell’acqua e dell’atmosfera Cambiamenti climatici globali

Organizzazione sociale Crescita della popolazione Modelli di consumo Commercio globale Sistemi economici e politiche incapaci di valutare il reale valore dell’ambiente e delle risorse naturali Modelli iniqui di proprietà e gestione dei flussi di benefici provenienti dall’uso e dalla conservazione delle risorse naturali

Tab. 1.1 De Marchi (2000)

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Come si evidenzia dalla tabella i meccanismi indiretti descrivono le attività socio-

economiche, frutto delle strategie utilizzate dalle società nel relazionarsi con

l’ambiente; i meccanismi indiretti agiscono sui meccanismi indiretti.

E’ implicito che i meccanismi utilizzati sono stati generalizzati e che le dinamiche

uomo-ambiente dipendono dal tipo di relazione tra società ed ambiente. Anche se

molto spesso viene enfatizzata la crescita demografica come problema principale nei

processi di perdita di biodiversità, è opportuno evidenziare che nell’insieme delle

cause i meccanismi legati al mercato globale, ai sistemi economici,

all’organizzazione sociale, alla ineguale distribuzione dei benefici delle risorse, ai

modelli di consumo, sono fortemente responsabili nel determinare l’intensità e

l’estensione dei processi che influiscono sulla perdita di biodiversità (De Marchi,

2000).

I meccanismi indiretti sono strettamente collegati con le dinamiche di cambio della

copertura ed uso del suolo (land cover/ land use). Questi due dinamiche appartengo a

due modi distinti di percepire e descrivere le dinamiche di cambiamento della

morfologia del suolo: land cover è spesso usato per lo stato fisico del suolo, spesso in

termini di copertura vegetale o in analisi geomorfologiche (solitamente impiegata

nell’ambito delle scienze naturali); land use invece rappresenta l’uso del suolo anche

in termini qualitativi (impiegata in geografia, antropologia, pianificazione territoriale,

economia). L’intreccio analitico dei due approcci, contemporaneamente consente una

rappresentazione più completa delle dinamiche che interfacciano sistema

sociale/sistema ambientale (De Marchi, 2000).

Quando si affrontano le problematiche relative alla biodiversità quindi è utile

effettuare le analisi all’interno di un modello concettuale ecosistemico che collega il

livelli della diversità dei viventi, le funzioni degli ecosistemi e le dinamiche land

use/land cover (De Marchi, 2000).

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1.2 Modelli di conservazione della biodiversità: strategie, centri di biodiversità ed aree protette.

La biologia della conservazione ha mantenuto per molto tempo un approccio di tipo

classico per salvaguardare la biodiversità, soprattutto a livello di specie e di

popolazione, esprimendo una prospettiva romantica e forse un po’ naive nel

preservare il maggior numero di specie nella maggior area possibile. Tale pensiero

però poco si concilia con l’uso delle risorse naturali, le popolazioni locali e con i

sistemi economici e produttivi odierni locali e globali.

A causa di tali evidenze gli stessi biologi della popolazione hanno convalidato il

concetto di Shaffer (1981) di minima popolazione vitale (MPV) definito come la “la

più piccola popolazione isolata avente il 99% di probabilità di persistere per 1000

anni nonostante gli effetti prevedibili di eventi demografici, ambientali e genetici

casuali e le catastrofi naturali”. Dopo aver definito il MPV, all’interno del quale

vengono condotte stime quantitative sul numero di specie indispensabile per non

evolvere in processi di estinzione (dimensione della popolazione, tipo di habitat,

cambiamenti ambientali), è stata introdotta “la minima area dinamica” (MAD), ossia

l’unità areale minima per garantire la minima popolazione vitale (Menges, 1991, in

Primack 2000). In questa definizione, oltre all’orientamento alla conservazione

impostato unicamente a livello di specie, traspare anche l’impronta concettuale di tipo

deterministico-riduzionista, che considera l’ambiente da proteggere come un sistema

isolato e descrive i fattori demografici ed ambientali determinabili in un meccanismo

lineare di probabilità (Cini, 1999).

Tali concetti e studi per preservare la biodiversità a livello di specie si esprimono in

strategie di conservazione del tipo in situ che permettono cioè di tutelare le specie e le

popolazioni all’interno del loro stesso habitat. Indubbiamente per gli obiettivi propri e

circoscritti della biologia della conservazione a livello di specie/popolazioni, è stata la

strategia più accolta, in quanto le specie sarebbero in grado in continuare i processi

evolutivi di adattamento all’interno del loro habitat selvatico.

L’altra strategia di conservazione contemplata e praticata dai biologi è la cosiddetta

conservazione ex situ, ossia portare le specie fuori dall’ecosistema nel quale vivevano

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e si erano evolute per coltivarle/allevarle in condizioni artificiali: zoo, acquari, orti

botanici, banche del seme sono gli esempi più noti. (inserire la validità come

strumenti didattici )Se da un lato, ai fini limitati della biologia della conservazione e,

nei casi estremi in cui le specie sono seriamente minacciate e versano in processi

irreversibili di estinzione, la conservazione ex situ è una strategia forse comprensibile,

dall’altro questa modalità è sovente al centro di critiche e dibattiti per le numerose

implicazioni di carattere socio-economico che essa comporta.

Risvolti delicati e complessi dal punto di vista socio-economico sono le banche del

germoplasma, dove vengono conservati e gestiti i patrimoni genetici di piante (non

solo minacciate), provenienti dalla biodiversità locale selvatica di ogni regione del

pianeta (specialmente dai PVS tropicali dove si concentra la maggior diversità

biologica) e dai cultivar selezionati dalle popolazioni rurali. Tale argomento che

implica doverose riflessioni sui diritti di proprietà, sull’accesso e sulla gestione delle

risorse fitogenetiche all’interno delle banche del germoplasma verrà approfondito nel

paragrafo successivo.

Rispetto alla conservazione ex situ è lo stesso Primack (1998) che, dalla sua

prospettiva di biologo della conservazione, riconosce seri limiti biologici, genetici ed

etologici intrinseci alla strategia appena menzionata: per non incorrere in derive

genetiche e fenomeni di inbreeding le specie ex situ dovrebbero essere assai

numerose (alcune centinaia); le specie conservate al di fuori dal loro ecosistema

possono costituire solo una parte del pool genico della popolazione poiché prelevate

solo in una certa area geografica; le popolazioni conservate negli zoo per molte

generazioni possono adattarsi geneticamente alle condizioni artificiali; le specie

zoologiche in cattività possono modificare la loro etologia e, qualora rilasciate in

natura, avere difficoltà nel procacciarsi cibo, poiché in cattività non è stato mai

appreso (Primack, 2004, pp. 246-260).

Su scala globale la World Conservation Monitoring Center (WCMC), Birdlife

International e la Conservation International hanno individuato le aree prioritarie per

conservazione della biodiversità a livello di specie e le maggiormente compromesse

sotto il profilo della degradazione degli habitat. Tali zone sono state chiamate centri

caldi per la biodiversità, ossia biodiversity hotspot (Myers et al., 2000).

Page 18: Pappalardo Tesis Yasuni

17

I principi fondamentali per stabilire i biodiversity hotspot sono legati a due criteri: il

tasso di endemismo e la perdita di habitat. Non avendo disponibilità di dati su un

ampio range tassonomico, per quanto riguarda il tasso di endemismo, sono state prese

in considerazione le piante vascolari, che devono rappresentare almeno lo 0,5% delle

specie finora note; per quanto concerne la perdita di habitat gli hotspots devono aver

perso almeno il 70% delle formazioni vegetali originarie (Myers et al., 2000).

Su scala globale quindi sono stati al momento rilevati venticinque hotspots che

soddisfano questi requisiti e che coprono l’1,4% della superficie delle terre emerse.

L’insieme dei venticinque hotspots costituisce il 44% delle piante vascolari sul totale

di quelle conosciute, il 28% delle specie di uccelli, il 30% delle specie di mammiferi,

il 38% delle specie di rettili il 54% delle specie di anfibi (Myers et al., 2000).

E’ importante segnalare come su venticinque hotspots 12 siano situati negli ambienti

di foresta umida tropicale, tra cui l’area del mediterraneo e le Ande tropicali per

l’elevato tasso di piante endemiche (13.000 specie pari al 4,3% e 20.000 specie, pari

al 6,7% della flora mondiale) sono state classificati come hyper-hotspots, ossia

hotspots speciali (Primack, 2004 p. 311).

All’interno della tassonomia conservazionista sono state classificate inoltre tre zone

di foresta umida tropicale che non avendo perso il 70% della vegetazione originale

non possono rientrare nella categoria biodiversity hotspots, pur contenendo oltre il

15% delle specie vegetali mondiali; tali zone vengono denominate major wilderness

areas, ossia grandi aree selvatiche incontaminate (Myers et al., 2000).

Un’altra interessante classificazione che le organizzazioni conservazioniste hanno

adottato è quella relativa ai Paesi dove è concentrata la maggior biodiversità a livello

di specie: i Paesi Megadiversi (Megadiversity Countries). Sono stati definiti 17 Paesi

Megadiversi di cui cinque all’interno della foresta pluviale del bacino amazzonico

(Primack, 2004, p. 313).

Le discriminanti per la definizione di questi centri di biodiversità sono rispetto alla

biodiversità a livello di specie e non di ecosistema. (Myers et al., 2000).

Page 19: Pappalardo Tesis Yasuni

18

Fig. 1.3 Distribuizione dei Centri di Biodiversità (Biodiversity Hotspots) su scala globale. Fonte: Conservation International (2004) Per valutare lo stato di conservazione l’IUCN, attraverso metodi quantitativi, ha

elaborato un sistema di classificazione in base allo stato di rischio a cui le specie sono

esposte e generando le note categorie in cui racchiuderle. Sulla base di queste

divisioni, attraverso il censimento delle specie minacciate, il WCMC ha

successivamente redatto a livello mondiale le note liste rosse e le liste blu, ripartite

per aree geografico-politiche e suddivise per gruppi tassonomici.

La minaccia di estinzione delle specie sollevata dall’IUCN e altre società scientifiche

nonchè l’emergere dei problemi ambientali legati alla riduzione di biodiversità

specifica hanno dato impulso, nella seconda metà del secolo scorso, alla proposta di

trattati ed accordi che sono stati sottoscritti a livello nazionale ed internazionale. A

livello internazionale la prima ad essere approvata è la Convenzione di Washington,

compilata nel 1973 dall’United Nation Environment Programme (UNEP), conosciuta

come CITES (Convention on International Trade in Endangered Species of Wild

Fauna and Flora), che regolamenta esclusivamente il commercio transnazionale di

specie animali e vegetali sotto minaccia d’estinzione, e la convenzione di Bonn

(1979), riguardante le specie migratrici appartenenti alla fauna selvatica.

Page 20: Pappalardo Tesis Yasuni

19

A livello comunitario, per citare qualche esempio rilevante, è stata sottoscritta la

Direttiva Uccelli 79/409/CEE e la Direttiva habitat 92/43/CEE.

Questo tipo di approccio alla conservazione, oltre che ad essere riduttivo e poco

efficace, rivela i suoi limiti e le sue contraddizioni proprio per la difficoltà nel

separare concettualmente le specie dagli ecosistemi (Pignatti, Trezza, 2000). Per

questo parte delle organizzazioni conservazioniste hanno ritenuto necessario spostare

l’attenzione sulla biodiversità nella sua dimensione multiscalare ed attuare strategie

per la conservazione a livello di comunità/ecosistemi (Reid, 1992 in Primack, 2000).

E’ attraverso un diverso approccio alla tutela della biodiversità che emergono nuovi

accordi internazionali per la conservazione, innalzando la protezione da livello di

specie ad habitat.

Il primo accordo sulla protezione degli habitat è la Convenzione di RAMSAR (1971)

che tutela le zone umide (wetlands), aree di notevole importanza ecologica per gli

uccelli migratori; nel 2002 la Convenzione di Ramsar veniva sottoscritta da 133 paesi

su 194.

Nel 1979 viene stipulata la Convenzione di Berna per la conservazione della Vita

Selvatica e dell’Ambiente Naturale in Europa, ratificata nel 2002 da 45 Paesi europei

ed africani, nonché dalla Comunità europea.

Nello stesso periodo UNESCO, IUCN e Consiglio Internazionale per i Monumenti e i

Siti, promuovono la Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Culturale e

Naturale mondiale, mettendo in relazione il patrimonio biologico ed ecologico a

quello culturale. Esempi nostrani di siti dichiarati “Patrimonio dell’Umanità” sono

l’Orto Botanico di Padova o l’arcipelago delle isole Eolie.

Gli strumenti impiegati per mettere in campo la conservazione, sia essa a livello di

specie o di habitat, si sono tradotte frequentemente nella delimitazione di parchi,

riserve ed aree naturali protette. Così dalla realizzazione delle prime riserve in Africa

agli inizi del XX secolo, create dai coloni inglesi per garantirsi la selvaggina nelle

battute di caccia, al boom nella seconda metà del secolo scorso, dei parchi nazionali,

pur con differenti propositi ed utilizzi, le aree naturali protette si sono rapidamente

diffuse su scala mondiale (Adams, Hutton, 2007, pp. 152-156).

Page 21: Pappalardo Tesis Yasuni

20

Il modello senz’altro più rappresentativo nell’ambito della conservazione, per tutto il

secolo scorso, è stato il primo parco nazionale ufficialmente istituito negli Stati Uniti

nel 1872: the Yellowstone National Park. Il modello di tale parco si muove

concettualmente intorno all’idea di delimitare un’area naturale “selvaggia” e

originaria (the pristine nature) che deve essere distinta e fisicamente separata

dall’ambiente esterno, comprese le attività umane. Da questo modello di

conservazione traspare il paradigma del pensiero scientifico illuminista, dalla cui

l’enfatizzazione della separazione tra uomo ed ambiente si sono sviluppati i concetti

di riserve, parchi ed aree protette. In questo modello concettuale l’idea suprema ed

estrema di parco naturale è quella della “protezione integrale”, evitando qualunque

interferenza o rumore di fondo di carattere antropico (Adams and Hutton, 2007).

A partire dall’istituzione ufficiale del primo parco nazionale si sono rapidamente

diffusi numerosi parchi nazionali su scala globale, facendo diventare il Yellowstone

National Park un typus ed un modello dominante per la creazione di aree naturali

protette ispirate alla pristine nature.

Proprio in seguito alla rapida ed enorme diffusione di parchi nazionali, riserve ed aree

protette worldwide ed al loro diverso utilizzo e finalità l’IUCN, tramite la

Commissione Internazionale sui Parchi Nazionali ed Aree Protette (CNPPA), ha

ritenuto opportuno riorganizzare e ridefinire il sistema di classificazione, pubblicando

nel 1978 il primo rapporto su “Categorie, Obiettivi e Criteri”.

Dopo una serie di revisioni ed aggiornamenti (Perth, 1990; Caracas 1992) l’IUCN ha

ritenuto opportuno far chiarezza ridefinendo ed aggiornando (standardizzando) le

categorie relative alle aree protette pubblicando le linee guida come orientamento per

le politiche internazionali e nazionali sull’istituzione di aree protette (IUCN, 1994).

Le categorie contenute nel sistema di classificazione corrente dell’IUCN si

sviluppano su una serie progressiva di aree protette (dalla categoria I alla VI) in base

al grado di protezione e di inclusività delle attività antropiche (IUCN, 1994). Mentre

le categorie I e II rispecchiano il classico modello di parco nazionale, (da strict

protected reserve/wilderness area a national park) le suddivisioni di ordine superiore

modulano progressivamente il flusso di prodotti e servizi di ecosistema, fino all’uso

Page 22: Pappalardo Tesis Yasuni

21

sostenibile degli ecosistemi naturali (dalla categoria III, monumenti naturali, alla

categoria VI, aree protette con gestione sostenibile delle risorse) (IUCN, 1994).

Le indicazioni contenute nelle linee guida dell’IUCN sull’istituzione e la

categorizzazione delle aree protette rimangono, tuttavia, dei semplici suggerimenti e

consigli rispetto alle politiche ambientali che vengono sviluppate da ciascun Paese in

base anche a questioni squisitamente politiche e socio-economiche. Basti pensare che,

secondo uno studio condotto dall’IUCN (1994), in Sudamerica l’84% delle aree

protette non corrisponde alle categorie sopraccitate.

E’ all’interno della categoria VI definita dal CNPPA dell’IUCN che sono state

inserite le Riserve del Programma per l’Uomo e la Biosfera dell’UNESCO (Man and

Biosphere Program, MAB). Tale programma è stato lanciato in via sperimentale agli

inizi del 1970 e si è rivelato, almeno sulla carta, uno dei più avanzati tra i modelli di

aree protette, delineando così un nuovo approccio alla conservazione della natura. Il

programma MAB infatti è “finalizzato ad integrare le attività umane, la protezione

dell’ambiente naturale, la ricerca scientifica e l’ecoturismo nella stessa area” (Batisse,

1997 in Primack, 2004), enfatizzando le relazioni reciproche tra uomo ed ambiente.

In questo modo i protocolli di ricerca MAB concettualizzano e traducono

nell’istituzione delle Riserve della Biosfera modelli di compatibilità tra protezione

degli ecosistemi minacciati e lo sviluppo sostenibile a beneficio delle popolazioni

locali, riconoscendo da un lato il ruolo dell’uomo nel modellare il paesaggio,

dall’altro l’esigenza di trovare le modalità con cui l’uomo possa usare le risorse

naturali in modo sostenibile senza degradare l’ambiente (Primack, 2004, pp. 397-

406).

Anche per quanto riguarda il modello concettuale di “area protetta” i piani MAB

esprimono elementi decisamente innovativi. La riserva non è concepita come una

“campana di vetro” che protegge gli ecosistemi isolandoli dall’ambiente circostante,

bensì come un sistema che interagisce con il mondo circostante integrando nella

gestione e nella pianificazione le esigenze e le culture delle popolazioni locali

(Campagna UNESCO, Parigi, 1981). L’area protetta passa quindi da sistema isolato a

sistema aperto, permettendo scambi di “materia ed energia” con l’ambiente esterno,

purché siano garantiti i meccanismi di sostenibilità ambientale e sociale.

Page 23: Pappalardo Tesis Yasuni

22

Per strutturare questo modello di area protetta l’UNESCO ha stabilito dei criteri al

fine di effettuare zonazioni (zoning) a diversi gradi di influenza antropica (vedi fig.

5): un nucleo centrale (core area) a protezione integrale a causa dell’elevato grado di

sensibilità e di minaccia dell’ecosistema; una zona di rispetto (buffer zone) all’interno

della quale sono consentite attività tradizionali (orti tradizionali, raccolta di prodotti

forestali come frutti o piante medicinali) e attività di ricerca; un’area più esterna,

(transition area) all’interno della quale sono concesse alcune forme di sviluppo

sostenibile come progetti di agroecologia a piccola scala, uso di risorse a basso

impatto ambientale ed attività di ricerca sperimentale. Questa zonazione consente da

un lato di preservare alcuni paesaggi modellati dall’uomo e l’integrità degli

ecosistemi, dall’altro le zone cuscinetto possono aiutare ed facilitare la dispersione

degli animali ed il flusso genico tra il nucleo centrale e sistemi più esterni (Primack,

2004, p. 345).

Fig. 1.4 Modello di zonazione delle Riserve della Biosfera (da MAB France, modificato.) Così come le categorie delle aree protette (IUCN, 1994) le Riserve della Biosfera

sottostanno a giurisdizione e sovranità nazionale e sono state inserite all’interno della

Rete Mondiale delle Riserve della Biosfera (World Network of Biosphere Reserve);

Page 24: Pappalardo Tesis Yasuni

23

da quando è stato lanciato il Programma MAB a livello mondiale sono state istituite

531 Riserve della Biosfera in 105 paesi (UNESCO, MAB, 2008).

E’ opportuno inoltre sottolineare come questo modello avanzato di area protetta,

nonostante le indicazioni dell’UNESCO e le numerose realizzazioni a livello

mondiale, rimanga spesso un progetto virtuale che si scontra con le dinamiche

territoriali, con lo stato giuridico e con le condizioni polico-economiche dei Paesi nel

quale è realizzato. All’interno della Riserva della Biosfera Yasuní (UNESCO, 1989)

presa in esame come caso di studio, non si presenta alcuna caratterista dei Programmi

MAB (David Romo, 2006, comunicazione personale) e non esiste nessuna zonazione

al suo interno. L’unica zonazione presente è quella effettuata dal Ministero

dell’Energia che ha suddiviso la riserva in 12 aree per le attività estrattive legate

produzione petrolifera (vedi elaborazione GIS, fig. 2.6, pag 81).

Fig. 1.5 Distribuzione delle Riserve della Biosfera su scala planetaria. Fonte: UNESCO – MAB 1.3 Foreste umide tropicali Come si è accennato nel paragrafo precedente il gradiente di biodiversità è

latitudinale ed aumenta dai poli alle zone temperate fino ai tropici, per raggiungere

l'apice nella fascia equatoriale dove si concentra la massima diversità biologica.

Page 25: Pappalardo Tesis Yasuni

24

E’ alle basse latitudini che si sono sviluppate le foreste tropicali (Tropical Moist

Rainforest) che da un lato sono refugia estremamente importanti per la biodiversità

terrestre dall’altro una tra le componenti fondamentali nei sistemi biogeochimici della

terra. Esse inoltre con le loro risorse naturali (fondamentalmente biodiversità e

prodotti forestali), provvedono al sostentamento ed alla riproduzione sociale di molte

popolazioni locali, tra le quali considerevoli quote di popolazioni indigene.

L’IUCN ha stimato che il 12,5% delle specie vegetali mondiali, il 44% degli uccelli,

il 57% degli anfibi, l’87% dei rettili ed il 75% dei mammiferi sono seriamente

minacciati dalla crescente degradazione degli ecosistemi forestali tropicali (IUCN

1996, 1997).

Myers definisce la regione biogeografica della foresta umida tropicale come “foreste

sempreverdi, o parzialmente sempreverdi, in aree che ricevono non meno di 100 mm

di precipitazione mensile con un regime pluviometrico uniforme nel corso dell’anno

ed una temperatura annuale media di 24° Celsius; le formazioni vegetali si estendono

solitamente in aree al di sotto dei 1400 metri di quota ed, in esempi di foresta matura,

è possibile distinguere diversi livelli di stratificazione” (Myers, 1980 in Perry, 1982).

Attualmente i processi di deforestazione e la degradazione delle foreste coinvolgono

l’8.5% dei rimanenti sistemi forestali naturali su scala globale, di cui circa la metà

sono in Sudamerica (M.A., p. 75).

Nel corso dei tempi storici le foreste, globalmente, hanno subito una imponente

riduzione e degradazione: negli ultimi tre secoli si sono ridotte approssimativamente

del 40% di cui 3/4 durante gli ultimi duecento anni (M.A., Drivers of Ecosystem

Change, 2005 p. 597).

L’insieme delle attività antropiche infatti sta determinando processi di alterazione

della superficie terrestre ad un tasso ed una scala che non hanno precedenti nella

storia dell’uomo, concorrendo in magnitudo solamente con le transizioni dei periodi

glaciali/interglaciali (NAS in Gutman et al., 2004); a tal proposito è molto

significativo il termine coniato da alcuni scienziati per definire l’attuale Era

geologica: l’Antropocene (Crutzen, 2005).

E’ da tenere presente inoltre che i sistemi forestali, globalmente, giocano un ruolo

fondamentale nel ciclo del carbonio e conseguentemente nell’accelerazione e

Page 26: Pappalardo Tesis Yasuni

25

decelerazione dei cambiamenti climatici; secondo il terzo rapporto dell’International

Panel Climate Change (IPCC, in M.A., 2005) le proiezioni rispetto al riscaldamento

globale (global warming) prevedono un innalzamento della temperatura tra i 1.4°-

5.8° Celsius 2100, variazione molto più alta rispetto all’intervallo temporale 1990-

2001 (IPCC., 2001 in M.A., 2005).

Anche se va rilevato che in Europa e negli Stati Uniti il trend di disboscamento è

stato invertito in parte grazie alla consapevolezza ed alle politiche ambientali di

riforestazione, non si può dire lo stesso per quanto riguarda le foreste naturali

tropicali. Il disboscamento di foreste primarie ai tropici continua con un tasso annuale

di dieci milioni di ettari: un’area paragonabile alla Grecia, oppure tre volte il Belgio

(M.A., 2005, p. 587).

E’ infatti ampiamente confermato che da nessuna parte come ai tropici i processi di

deforestazione legati al cambiamento d’uso del suolo ed alla copertura vegetale hanno

dirette implicazioni nel bilancio globale del budget di carbonio sulla base di modelli

(Houghton et al., 2000 in M.A. 2005) e misure atmosferiche (Ciais et al., 1995, 1995,

in M.A. 2005).

Le attività legate al cambio di copertura vegetale ed uso del suolo (land cover e land

use) sono tra i principali processi antropogenici che, degradando e sostituendo le

formazioni vegetali originarie, determinano un elevato impatto ambientale nella

foresta amazzonica, la cui conversione in terreni agricoli ed aree urbanizzate crea un

disturbo ecologico a scala regionale e sovra regionale, anche a notevole distanza dalle

aree colpite (Walker, Solecki, 1999, in M.A., 2005).

Pertanto la deforestazione tropicale è collegata ad attività antropiche come

l’espansione della “frontiera” agricola che, richiedendo il cambio d’uso del suolo,

conduce alla sostituzione della copertura forestale. A quest’ultima sono da aggiungere

le attività estrattive quali lo sfruttamento del legname e l’estensione delle

infrastrutture produttive e di comunicazione terrestre (Gomez-Pompa, 1991, in M.A.,

2005) che sempre più stanno coinvolgendo le foreste primarie tropicali. Le

infrastrutture di comunicazione stradali che si propagano all’interno della foresta

tropicale costituiscono il primo input di deforestazione, contemporaneamente,

utilizzando l’asse stradale principale si attivano processi disboscamento ortogonale

Page 27: Pappalardo Tesis Yasuni

26

dando luogo ad un doppio pettine. Lungo queste strade comincia la pratica

“modernizzante” della foresta tropicale, portandosi dietro, a seconda dei casi, le

attività produttive (De Marchi, 2004). Come verranno prese successivamente in

esame all’interno del caso di studio nel cap. 6, queste pratiche di costruzione del

territorio lungo un’asse stradale portante rispecchiano le cosiddette logiche di terra

(Bertoncin, 2004) e determinano un processo di territorializzazione per sostituzione

della foresta primaria lasciando spazio ad attività prevalentemente agricole ed

estrattive. I processi di colonizzazione agricolo-estrattiva lungo via principale

all’interno della foresta determinano l’apertura di processi ortogonali all’asse

portante, dando come risultante un pattern a “spina di pesce”.

Contrariamente al detto ecologico che “la diversità promuove stabilità” appare ormai

confermato che i sistemi forestali ad elevata complessità, come le foreste tropicali,

sono dinamicamente fragili e che può essere assai difficile rigenerarsi anche un

piccolo disturbo (May, 1975, in Perry, 1982).

Dal punto di vista ecologico e della sostenibilità è fondamentale mettere in luce che le

specie arboree tropicali sembrano essere adattate alla riproduzione solamente sotto le

condizioni dello stato primario. Queste caratteristiche e la bassa densità delle

differenti specie per ettaro hanno portato alcuni ricercatori a concludere che le foreste

tropicali sono essenzialmente risorse non rinnovabili (Gomez-Pompa, 1991).

Rispetto anche al caso di studio ed alle analisi sviluppate successivamente in questa

tesi è importante sottolineare come processi di cambiamento land use/land cover

presenti all’interno del bacino amazzonico abbiano un ruolo significante anche su

scala globale, andando ad influenzare l’idrologia, il clima ed i cicli biogeochimici

globali (Crutzen et al., in M.A., 2005).

Anche se la deforestazione delle foreste tropicali è legata genericamente alle attività

di cambio d’uso del suolo e di copertura vegetale è importante distinguere tra attività

locali di coltivazione transitorie (shifting cultivation), tra cui la pratica slash-and-

burn (taglia e brucia), e attività legate ai sistemi economici e produttivi globali. Tra

questi le attività con ruolo importante nella deforestazione tropicale, presenti anche

nell’area di studio successivamente presa in analisi, sono l’estrazione di legname ad

uso industriale (spesso da esportare a basso costo nei paesi occidentali ), la creazione

Page 28: Pappalardo Tesis Yasuni

27

di piantagioni industriali e monocolture intensive (piantagioni di palma da cocco,

palma africana, cacao, albero della gomma, tek, etc.), grandi aree per gli allevamenti

bovini ed estrazione mineraria e petrolifera (Primack, 2004, pp. 122-123).

L’intensità e l’estensione areale delle attività estrattive ed agro-industriali sopracitate

sono direttamente collegate alle dinamiche economiche e produttive su scala locale

ma soprattutto globale.

E’ fondamentale ricordare inoltre che i sistemi forestali, specialmente nei Paesi in Via

di Sviluppo (PVS) delle zone tropicali, garantiscono con le loro risorse la

sopravvivenza di molte popolazioni a tal punto che solamente la raccolta di prodotti

forestali contribuisce al 50% del consumo alimentare (Cavedish, 2000, in Primack,

2004). E quindi opportuno evidenziare come i popoli indigeni che vivono all’interno

delle foreste tropicali abbiano ereditato un elevato patrimonio culturale di conoscenze

di natura ambientale e che la loro stessa sopravvivenza si basi sulla gestione di

numerose risorse biologiche utilizzate nell’ambito alimentare, medico e religioso.

Una forte degradazione dell’ecosistema forestale o una sua riduzione areale laddove

si sovrappongono territori indigeni hanno importanti ricadute sulla loro stessa vita e

riproduzione sociale. Tale impatto quindi, oltre ad essere di natura ambientale, ha

delle serie implicazioni sulle popolazioni locali che, utilizzando sistemi e conoscenze

tradizionali, hanno sviluppato un pacchetto di strategie diversificate, spesso

sostenibili, per sopravvivere (Shiva, 2001).

Page 29: Pappalardo Tesis Yasuni

28

Fig. 1.6 Pattern di deforestazione. Nelle due immagini superiori il modello a spina di pesce, nelle inferiori la sua evoluzione. Amazzonia peruviana. Fonte: Google Earth.

Page 30: Pappalardo Tesis Yasuni

29

Fig. 1.7 Distribuzione dei sistemi forestali originali e rimanenti. (fonte: UNEP, 2004) 1.4 Biodiversità: un approccio ecosistemico Il superamento del modello conservazionista classico e del suo approccio alla

biodiversità unicamente livello di specie comincerà ad avviarsi nei lavori sulla

“questione ambientale” all’interno del Summit della Terra di Rio de Janeiro

(UNCED, 1992). E’ qui infatti che, con la stesura della Convenzione sulla

Biodiversità (CBD), la diversità biologica comincia ad assumere importanza nella sua

multiscalarità (dai geni ai metaecosistemi) e nella sua complessità. Oltre alla

protezione della biodiversità a tutti i livelli, tra gli obiettivi principali della

Convenzione vengono inseriti anche “l’uso durevole dei suoi componenti e la

ripartizione giusta ed equa dei benefici derivanti dall’utilizzazione delle risorse

genetiche […]” (CBD, 1992). Sono proprio questi due obiettivi che, introducendo per

la prima volta l’importanza del concetto di sostenibilità della gestione della diversità

biologica e dell’equa ripartizione dei benefici derivati dalle risorse genetiche delle

specie selvatiche e domestiche, aprono il dibattito sulla complicata questione dei

Page 31: Pappalardo Tesis Yasuni

30

diritti su tali risorse (De Marchi, 2002). Tale problema entra nel merito delle strategie

per la conservazione in situ ed ex situ.

La conservazione della diversità biologica ex situ, ad esempio, è uno degli aspetti più

controversi e dibattuti non solo in termini di tutela delle specie minacciate, ma anche

in termini di diritti di proprietà intellettuale. Il materiale genetico delle specie

vegetali, selvatiche o cultivar, viene conservato e gestito all’interno delle banche del

germoplasma sia per una “archiviazione” a scopi scientifici sia per incrementare la

variabilità genetica tramite incroci infraspecifici e l’impiego di tecnologie del DNA

ricombinante. Questi procedimenti sono indispensabili e assai preziosi per le industrie

farmaceutiche, agro-alimentari e biotecnologiche che operano sulla produzione e sul

mercato globale. I geni delle varietà locali o delle specie selvatiche forniscono

sostanzialmente il materiale genetico e chimico di base per tali industrie. Nel passato

le banche del germoplasma, coordinate dall’ente internazionale per l’agricoltura (il

Consultive Group in International Agricolture Research CGIAR) e localizzate

prevalentemente nei PVS, raccoglievano gratuitamente semi e tessuti vegetali e li

consegnavano ai centri di ricerca ed alle industrie. I benefici e gli enormi profitti

originati dalla commercializzazione dei prodotti derivati dalle risorse biologiche non

venivano ripartiti od indirizzati localmente.

Non è cosa di poco conto rilevare che circa il 96% della variabilità genetica

necessaria a soddisfare la produzione farmaceutica, agricola e biotecnologica su scala

globale provenga direttamente dai PVS delle fasce tropicali, laddove si concentra la

maggior parte della diversità biologica (Primack, 2004, pp. 246-262).

La Convenzione sulla Biodiversità discussa a Rio de Janeiro ha pertanto innescato un

acceso dibattito, specialmente tra i Paesi industrializzati ed i PVS che possiedono le

risorse biogenetiche, facendo emergere enormi difficoltà sulle misure da prendere

rispetto alla proprietà intellettuale sulle risorse biologiche (De Marchi, 2002 p.3). La

CBD è stata attualmente ratificata, non con poche riserve e complicazioni, da 170

Paesi; il Congresso degli Stati Uniti ha notevolmente tardato a sottoscriverla a causa

dei limiti che venivano imposti alla crescente industria biotecnologica all’interno del

paese (Primack, 2004, p. 407).

Page 32: Pappalardo Tesis Yasuni

31

Nonostante la Convenzione sulla Diversità Biologica possa considerarsi uno

strumento per la tutela dei diritti sulle risorse biogenetiche le misure da adottare non

sono facilmente attuabili alle banche del germoplasma istituite perlopiù nei PVS.

Alcune ricerche infatti hanno dimostrato che circa il 65% del materiale genetico

raccolto nelle banche del seme e del germoplasma è privo delle certificazioni di base

sui dati e sulle loro caratteristiche (Croucible group, 1995 p. 29).

Un altro dei nodi che il CBD tramite l’organo decisionale (Conferenza delle Parti,

COP) e l’Organo Sussidiario di Consulenza Scientifica e Tecnologica (SBTT) sta

cercando di scogliere è quello relativo alla perdita di biodiversità intesa come

“riduzione qualitativa o quantitativa di componenti, a lungo termine o in maniera

permanente, ed il loro potenziale di fornire beni e servizi che possono essere misurati

a livello globale, regionale o nazionale” (COP VII/30, 2004).

E’ proprio il potenziale della biodiversità di fornire beni e servizi, ben sintetizzati

nell’insieme degli ecosystem services (Cap. Ecosystem Services, in MA 2005) che si

traduce nella capacità dell’ecosistema di soddisfare le esigenze delle società rurali e

delle comunità indigene dei PVS.

La stessa perdita di biodiversità, all’interno del rapporto Biodiversity across

Scenarios, viene considerata non solo come riduzione in servizi di ecosistema in

termini di misure di abbondanza di specie, ma anche come erosione delle risorse

genetiche da cui dipendono le stesse attività di sussistenza delle società rurali (M.A.,

2005, p. 403).

E’ stato stimato che la biodiversità locale riesce soddisfare i nove decimi del

fabbisogno di base per la sopravvivenza attraverso l’erogazione di ecosystem

services, di cui la metà non deriva direttamente da forme di agricoltura stabile o

itinerante, ma da biodiversità conservata in orti semiselvatici, lungo le zone ripariali

dei fiumi o all’interno della stessa foresta umida tropicale.

La biodiversità riesce quindi, localmente, a soddisfare le necessità basiche in termini

di cibo, medicine, piante aromatiche ed essere associata a valori culturali ed estetici

per le comunità rurali (Mooney, 1997). E’ con l’insieme delle conoscenze locali che

le società rurali e le comunità indigene riescono a gestire le risorse biologiche.

Page 33: Pappalardo Tesis Yasuni

32

L’insieme delle forme di gestione della biodiversità tramite modelli tradizionali che

integrano l’uso dei saperi locali e tecnologia a basso impatto ambientale garantiscono

alle società rurali di vivere al di sotto della capacità di carico degli ecosistemi locali, e

sono intrinsecamente ecologici (Shiva, 2001).

Questo insieme di strategie diversificate, sviluppate per garantire la produzione e

riproduzione sociale del territorio in ecosistemi locali a bassa capacità di carico come

quelli della foresta umida tropicale (De Marchi, 2004) configurano quelli che

Dasmann (1988) ha chiamato “Gente degli Ecosistemi”. Tale categoria viene

contrapposta a “Gente della Biosfera” che vive al di sopra delle capacità di carico

degli ecosistemi locali utilizzando “risorse provenienti da tutti gli ecosistemi della

terra attraverso elevati costi energetici e materiali” (De Marchi, 2004). Se da un lato

nella “Gente degli Ecosistemi” la produzione e riproduzione sociale del territorio è

basata su un controllo prevalentemente simbolico sulle risorse naturali, dall’altro

nella “Gente della Biosfera” viene usata una strategia complessiva basata sul

controllo materiale delle risorse, espansione dello spazio di raccolta ed alta possibilità

di sostituzione sia dei prodotti che dei luoghi (De Marchi, 2002, p. 3). E’ in questo

modo, ad esempio, che anche Paesi dichiarati “Megadiversi” come il Brasile

ottengono 2/3 delle calorie umane derivate da piante alimentari che provengono da

specie vegetali coltivate in altri continenti (Crucible group, 1995).

In questo contesto si inserisce il ruolo delle strategie della conservazione ex situ e

delle banche del germoplasma diventa ambiguo, in particolar modo per quelle

localizzate nei PVS.

Un caso significativo è quello del Centro per il Miglioramento del Mais e del

Frumento (International Maize and Wheat Improvement Centre, CIMMYT), situato

in Messico, che svolge attività di miglioramento della variabilità genetica di questi

cereali e la mette a disposizione delle industrie agroalimentari su scala globale. E’ in

questo modo che il 60% della varietà genetica del frumento per la produzione della

pasta italiana viene selezionata in Messico. E’ difficile quantificare globalmente quale

sia il contributo economico in germoplasma ed in conoscenze locali provenienti dai

contadini del Sud del Mondo per l’agricoltura dei Paesi industrializzati, ma alcuni

studi eseguiti proprio sul CIMMYT hanno stimato che l’ammontare complessivo solo

Page 34: Pappalardo Tesis Yasuni

33

per le industrie agricole di USA, Australia, Nuova Zelanda ed Italia è di circa 1,5

miliardi di dollari. Lo stesso meccanismo si riproduce nel caso dell’Istituto

Internazionale per la Ricerca sul Riso (International Rice Research Institute, IRRI),

situato a Manila, dal quale provengono le varietà di riso coltivate in Italia (Mooney,

1997, p. 53) e i cui benefici non tornano agli agricoltori filippini che hanno effettuato

il lavoro di selezione unendo i saperi locali alla diversità biologica vegetale (De

Marchi, 2002). Anche se i dati provengono da studi condotti in passato e non sono

aggiornati, esprimono comunque valori di tendenza e, su tali tematiche, va preso atto

che non è facile reperire lavori recenti e pubblici.

Lo stesso dispositivo, dalla scala locale a quella globale, coinvolge i processi per la

produzione di farmaci a livello industriale. Almeno 7000 principi attivi appartenenti

alla farmacopea occidentale (dall’aspirina alle pillole contraccettive) sono ottenuti da

processi di chimica di sintesi da materiale vegetale ed il loro valore complessivo è

stato stimato tra i 35.000 ed i 47.000 milioni di dollari (Croucible Group, 1995;

UNEP 1992).

La medicina tradizionale indigena, che coniuga i saperi locali con l’utilizzo delle

risorse biologiche nell’ambito della salute, contribuisce a quasi tre quarti della

produzione di farmaci a base vegetale disponibili oggi sul mercato (Rifkin, 1998).

Numerosi sono i casi documentati, tra cui si riportano: il caso della pianta chiamata

dagli indigeni della regione amazzonica ecuadoriana “Sangre de Drago” (Croton sp.,

Euphorbiaceae), utilizzata nella medicina tradizionale e passata attraverso il canale

“The healing forest” (una organizzazione no-profit per la conservazione della

biodiversità e dei saperi indigeni) alla compagnia statunitense Shaman

Pharmaceuticals“ e trasformata in “semilavorato industriale” per l’industria

farmaceutica (Mooney 1997, p. 152; De Marchi, 2002) che nonostante gli accordi di

“reciprocità” ha pagato con poche migliaia di dollari lo scambio; il caso del Barbasco

(Clibadium silvestre, Asteraceae), una pianta ben conosciuta dalle popolazioni

indigene amazzoniche ed usata nella medicina tradizionale ed in agricoltura, che

l’impresa Foundation for Etnobiology ha brevettato e venduto alle compagnie

farmaceutiche Zeneca e Glaxo; il caso dell’Ayahuasca (Banisteriopsis caapi,

Malpighiaceae) usata nella medicina tradizionale e nelle ritualità shamanico-indigene

Page 35: Pappalardo Tesis Yasuni

34

ecuadoriane, brevettata dall’International Plant Medicine Corporation (IPMC) e

utilizzata come farmaco sperimentale nelle terapie psichiatriche; il celeberrimo caso

del chinino, un principio attivo usato come farmaco nella prevenzione e nella cura

della malaria, derivato da piante arboree ed arbustive tropicali del genere Cinchona

(Raven, 1997, p. 574); il caso del curaro (chondrodendron tomentosum ) che, raccolto

lungo le sponde del fiume Curaray (Amazzonia ecuadoriana) ed usato dalle

popolazioni Wuaorani come veleno per stordire le prede, è diventato oggi un

importante anestetico chirurgico e distensivo muscolare.

Il ruolo quindi di biologi, antropologi, chimici e farmacisti, diventa talvolta delicato

ed esula dalle competenze disciplinari specifiche allorché i finanziamenti per la

ricerca provengono dalle grandi imprese che sponsorizzano spedizioni in tutto

l’emisfero meridionale, in cerca di caratteristiche genetiche che potrebbero avere un

valore commerciale. L’insieme delle attività che derivano da “bioprospezioni”

finalizzate a scopi commerciali è quello che Rifkin chiama “pirateria biologica”

(Rifkin, 1998).

Fig. 1.8 Preparazione dell’estratto di Ayauasca ( Banisteriopsi caapi), a cura di uno shamano Wuaorani, Ecuador.

Page 36: Pappalardo Tesis Yasuni

35

Il modo in cui i prodotti chimici del metabolismo secondario di molte specie vegetali

(un meraviglioso esempio di coevoluzione biochimica delle piante con i loro

predatori) si combina con le conoscenze locali delle popolazioni indigene trasforma la

risorsa biogenetica in “semilavorato industriale” (Raven, 1997, p.573; De Marchi,

2002).

Tuttavia è doveroso segnalare che esistono rari esempi di conservazione e gestione

partecipativa delle risorse biogenetiche ex situ, come la banca del seme indiana

Nadvanja, che sono istituite per il beneficio delle comunità locali e la conservazione

della biodiversità (Shiva, 2001, p. 56).

Sarà solo successivamente, nel quinto incontro a Montreal del SBTTA della CBD

(2000), che si assumerà formalmente l’approccio ecosistemico come metodologia

generale per la realizzazione della Convenzione sulla Diversità Biologica

riconoscendo che “le società umane, con la loro diversità culturale sono una

componente integrale del sistema” (SBSTTA, Montreal 2000).

Questo è stato un cambiamento di paradigma molto importante anche per la

conservazione della natura, determinando il passaggio dall’approccio alla biodiversità

a livello di specie all’approccio ecosistemico.

Tra i punti cardine emersi nell’incontro del SBTT di Montreal viebe ribadito che le

comunità locali sono responsabili della biodiversità nel loro intorno e devono essere

direttamente coinvolte nei processi decisionali riguardo l’uso delle risorse naturali e

devono prendere parte nella ripartizione dei benefici che ne conseguono.

Anche il concetto di sostenibilità è stato rivisitato articolandolo su tre livelli:

ambientale, economico e socio-culturale. Affinché la gestione di una risorsa naturale

sia durevole, la sostenibilità deve essere mantenuta in tutti e tre gli ambiti. E’

opportuno segnalare inoltre come, ai fini di una gestione sostenibile della

biodiversità, vadano tenute in considerazione tutte le informazioni rilevanti,

includendo le conoscenze scientifiche, le conoscenze indigene e tradizionali,

l’innovazione e le pratiche ( SBSTTA, Montreal, 2000, De Marchi, 2002)

Il tema della biodiversità e della sua conservazione quindi è difficilmente affrontabile

con un approccio a livello di specie o con atteggiamento riduzionistico, ma richiede

una visione sistemica del ruolo della diversità biologica anche per le sue dinamiche

Page 37: Pappalardo Tesis Yasuni

36

multiattoriali (De Marchi, 2002). La biodiversità infatti, oltre che ad inquadrarsi in

una dimensione multiscalare, è da collocarsi all’interno delle dinamiche multiattoriali,

dove soggetti portatori di interessi, con differenti logiche d’agire utilizzano strategie

diverse per effettuare un controllo, simbolico o materiale, sulla diversità biologica.

(Bertoncin 2004, De Marchi, 2002).

1.5 Territorio, conflitti ambientali ed aree protette Come già è stato accennato nel precedente paragrafo, all’interno del processo aperto a

Rio de Janeiro della CBD (1992) la visione meccanicistica della natura viene

superata: da semplice ambiente esterno, distaccato, giunge ad essere considerata un

sistema complesso che “comprende i processi essenziali, le funzioni e le interazioni

tra organismi e il loro ambiente e tra ecosistemi, includendo le società umane come

componente integrante degli ecosistemi” (SBSTTA, 2000). All’interno di questo

sistema complesso bimodulare è possibile riconoscere un modulo fisico, formato

dalle componenti biotiche ed abiotiche, ed un modulo umano, costituito dai sistemi

sociali e dalla loro organizzazione, che si interfacciano e si influenzano

reciprocamente, creando un sistema bimodulare società-natura (Vallega 1990; 1995).

Tale interfaccia società-ambiente configura le interazioni e le diverse forme di utilizzo

delle risorse, ben rappresentate degli ecosystem services, servizi indispensabili per la

riproduzione della vita delle comunità umane. Questo “punto di cerniera” tra modulo

fisico e modulo umano diventa lo spazio nel quale si strutturano i sistemi territoriali che,

dotati di propria auto-organizzazione ed autonomia, costituiscono un sistema interagente

(De Marchi, 2002). Il territorio quindi è considerato come sistema complesso che

interfaccia società e natura mantenendo le caratteristiche proprie di sistema: multi

stabilità, resilienza, emergenza, auto-organizzazione ed omeostasi (Turco, 1988; Faggi,

1991).

E’ nel quadro della geografia umana, spazio di saldatura tra le discipline delle scienze

naturali e delle scienze sociali, e nell’approccio ecosistemico che si trovano gli strumenti

Page 38: Pappalardo Tesis Yasuni

37

analitici utili ad affrontare, nella complessità, la diversità biologica, la sua conservazione

e la sua gestione.

Conservazione e gestione della biodiversità determinano l’inserimento di

quest’ultima in dinamiche di carattere territoriale facendola diventare “posta in

gioco” per soggetti che hanno interessi e valori diversi e che attuano strategie

differenti nel rapportarsi alle risorse naturali.

Le strategie adottate nel binomio conservazione-gestione della biodiversità, per le

differenti razionalità sociali connesse, possono comportare dinamiche conflittuali o

cooperative tra i vari soggetti chiamati in causa. La biodiversità, per il suo valore

multiscalare, da semplice bene naturalistico da tutelare e proteggere si può evolvere

in “posta in gioco” contesa tra diversi soggetti. Questo è reso evidente, ad esempio,

quando la si è paragonata a “semilavorato” per l’industria agro-alimentare e

biotecnologica, diventando materia vivente oggetto di controversie, da collocarsi più

in un’arena di contesa ambientale che in un ambito circoscritto alla conservazione. E’

in questo modo che le comunità e le società rurali indiane, per tutelare i propri diritti

sulla biodiversità, organizzando le proprie banche del germoplasma (Nadvanja,

Shiva, 2001) tramite processi partecipativi e comunitari, producono una progettualità

alternativa a quella di altri soggetti (le industrie farmaceutiche, agroalimentari e

biotecnologiche), che si rende visibile attraverso la conflittualità ambientale. In

questo caso la posta in gioco non è solamente la biodiversità a livello di specie o di

geni, ma la sua associazione alle conoscenze locali che derivano da un altro modo di

percepire e usare la diversità biologica. Senza infatti i saperi sviluppati dalle

popolazioni indigene nel loro modo di percepire e rappresentare la biodiversità e

costruire il territorio, le risorse genetiche sarebbero un insieme di codici e proteine

sintetizzate non facilmente utilizzabili dall’industria farmaceutica, biotecnologica ed

agroalimentare (De Marchi, 2002).

In entrambe le rappresentazioni la biodiversità diventa risorsa da sfruttare solo

quando alla materia vivente viene attribuito un significato e le vengono associate

proprietà e caratteristiche: se accanto ad una attribuzione di significato conoscitivo si

associa una progettualità si rende palese lo “scontro” tra due logiche differenti, ossia

il sapere tradizionale ed il sapere scientifico. Turco (1988) usa una chiave di lettura

Page 39: Pappalardo Tesis Yasuni

38

interessante e esemplificativa definendo “competenze” quelle del sistema tradizionale

e “conoscenze” quelle del sistema codificato dalla modernità . Le prime si originano

nella pratica, attraverso sperimentazioni, riscontri ed errori, le seconde attraverso

processi verificati tramite il metodo scientifico, che spesso si basano sull’acquisizione

delle competenze delle società rurali e dei saperi locali.

Le comunità indigene e le società rurali infatti mostrano quanto mai come esistano

percezioni diverse della natura e diversi modi di conoscerla e rappresentarla; se per

un verso la si può considerare come una sommatoria di componenti biotiche,

abiotiche e relazioni in uno spazio fisico dall’altro diventa una costruzione sociale

che l’uomo costruisce edifica in un processo di esplorazione e conoscenza; “l’uomo

non è spettatore, ma un attore, non sta fuori dal mondo, ma dentro. […] La natura

resta alla base di tutte le sue realizzazioni successive: è questo mondo

straordinariamente complesso che egli scruta e che plasma, per farne alfine il luogo

del suo abitare, una geografia, la sua dimora” (Faggi, Turco, 2001).

E’ quindi dallo status più o meno consapevole di uomo-abitante che l’attore sociale

diventa il fondamento di ogni processo di costruzione del territorio (Bertoncin, 2004)

e che, attraverso un valore che Hewitt chiama people’s geography si determinano i

possibili scenari di conflitto ambientale. Infatti, attraverso tendenze innate di

affettività dell’uomo verso il topos e il bios (alcuni autori la chiamano topofilia e

biofilia), la dimensione ambientale va oltre lo spazio geografico fisico-biologico,

portando all’espressione di una posizione di rifiuto delle trasformazioni delle qualità

naturali di un luogo, causate da un cambio d’uso delle risorse, dall’alterazione del

paesaggio o dall’occupazione di uno spazio (Faggi, Turco, 2001 pp. 12-18; Primack

2004, p.16).

Tale rifiuto, concretamente, si può manifestare contro la costruzione di

un’infrastruttura di trasporto, di un oleodotto, di un inceneritore o, paradossalmente,

nella realizzazione o gestione di un’area naturale protetta. In entrambi i casi vengono

sollevati i problemi di chi paga i costi e chi ne trae i benefici contrapponendo due o

più attori: un attore che trae i benefici della localizzazione, un altro che paga i costi

ambientali. In alcuni casi la dimensione può contrapporre una collettività più ampia,

Page 40: Pappalardo Tesis Yasuni

39

come uno stato, ad una più circoscritta, come una comunità locale. La localizzazione

porta benefici alla prima mentre fa pagare i costi ambientali alla seconda.

Il conflitto ambientale, genericamente, ha come posta in gioco la natura, sensu lato, e

vede in competizione soggetti (gruppi, stati, imprese, comitati) che con strategie ed

interessi diversi, devono soddisfare le proprie esigenze e necessità accedendo alle

risorse naturali (Faggi, Turco, 2001 p. 11-75).

Persino le strategie impiegate nella conservazione della natura attraverso l’istituzione

di parchi ed aree protette possono portare a dimensioni di conflittualità ambientale. Il

rifiuto si esplica non tanto per l’avversità ai programmi di conservazione, quanto per

l’esclusione delle comunità locali dai processi decisionali, di pianificazione e gestione

dell’area protetta. L’istituzione e la realizzazione di un’area protetta, solitamente,

passa attraverso l’individuazione del valore ambientale da proteggere (specie, habitat

o ecosistema), sua perimetrazione fisica, e l’attuazione attraverso i processi giuridico-

istituzionali del caso.

La problematicità spesso consiste nella mancanza di processi preliminari, ma

fondamentali, di partecipazione e condivisione, che permettano alle richieste tecnico-

scientifiche, giuridiche, politiche ed economiche di intrecciarsi con il consenso e

l’appoggio delle comunità locali (Faggi, Turco, pp. 13-14).

E’ utile ricordare come anche sulla base dei concetti di pristine nature o wilderness

area, dominanti del pensiero conservazionista del secolo scorso, sia stato adottato il

Yellostone National Park come modello di parco nazionale da esportare, con l’unico

obiettivo della conservazione e valorizzazione della “natura selvaggia” da preservare

ed escludendo di fatto le società rurali dalle modalità di gestione dell’area protetta se

non persino dallo stesso spazio fisico nel quale vivevano (Holmes, 2007).

Le società rurali, che spesso conoscono e vivono il loro status di uomo abitante

affermando i valori della people’s geography, vengono quindi escluse dalla gestione

ambientale dell’area protetta (talvolta anche manu militari o con dislocamenti forzati

dalle aree protette), vedendosi negato l’accesso alle indispensabili risorse naturali.

Questo processo di netta demarcazione e separazione degli spazi per la conservazione

delle wilderness areas e per le attività umane, conduce inevitabilmente al fatto che le

comunità non riescono ad accedere a quegli ecosystem services che per molto tempo

Page 41: Pappalardo Tesis Yasuni

40

hanno permesso loro di produrre e riprodurre loro stesse e il territorio con cui

interagivano. Le popolazioni indigene, in molti casi dei PVS, venivano attaccate

militarmente o giuridicamente per essere espulse dall’area come viene riportato nei

casi di studio di questo tipo in Africa: il Nechesar National Park e l’Omo National

Park (Etiopia, 2004) la cui realizzazione ha comportato l’allontanamento fisico di

500 persone e le ha costrette a re-insediarsi al di fuori di esso(Adams, Hutton, 2007).

Nello studio di caso preso in esame in questa tesi, l’istituzione nel 1979 del Parco

Naturale Yasuní (IUCN, 1982) e il successivo innalzamento a livello di Riserva della

Biosfera (1989) nella pianificazione e gestione dei programmi MAB (UNESCO,

MAB, 2004), hanno comportato la ridefinizione dei territori indigeni Wuaorani e

Quichua e la loro riubicazione delle comunità attraverso l’uso di elicotteri e

dislocamenti forzati. Tali dinamiche per la realizzazione della Riserva della Biosfera

Yasuní hanno innescato i primi segnali di rifiuto da parte degli attori locali indigeni

verso la perimetrazione dell’area protetta (Vallejo, 2003 p. 40).

In questi casi le aree naturali protette pongono importanti questioni da affrontare con

un approccio sistemico: quali siano le comunità da escludere, tramite quale autorità,

quali siano i benefici e verso chi siano indirizzati, e soprattutto a quali costi (Faggi,

Turco, 2001).

Le modalità di realizzazione delle aree protette, con le loro logiche territoriali e

multiattoriali, diventano percorsi che portano a possibili scenari di conflitto

ambientale. Tali conflitti, oltre a coinvolgere due o più attori territoriali ed avere una

o più “poste in gioco” legate alla natura, possono esprimersi in quelle che sono

chiamate arene di contesa ambientale.

Le arene di contesa sono degli spazi concettuali dove gli attori si esprimono e

difendono i propri interessi, determinando le occasioni del conflitto e le modalità

principali attraverso cui questo si sviluppa (Faggi, Turco, 2001).

La genesi dei conflitti ambientali passa spesso attraverso le arene di contesa

ambientale che sono in rapporto alle controversie ideologiche, scientifiche,

giuridiche, economiche, politiche.

Il conflitto ambientale sottende quindi un problema legato alla locazione fisica che

traduce una dinamica sociale generata da una geografia, ossia da una modalità di

Page 42: Pappalardo Tesis Yasuni

41

agire territoriale “che proietta sulla collettività, locale o più ampia, effetti più o meno

profondi o duraturi.” (Faggi, Turco, 2001).

A volte queste due tipologie di rifiuto alle trasformazioni territoriali, siano esse per la

costruzione di infrastrutture o per la realizzazione di aree protette, si combinano

dando luogo ad una vasta gamma di percorsi possibili e scenari di conflitto

ambientale.

I conflitti ambientali presi in esame si contestualizzano nella Regione Amazzonica

Ecuadoriana (RAE) e gravitano dentro ed intorno la Riserva della Biosfera Yasuní

istituita nel 1989 (UNESCO, MAB, 2004). L'Ecuador, dichiarato Paese Megadiverso

(WCMC, UNEP, 2004) e incluso nell’area definita biodiversity hotspot nelle Ande

tropicali (Primack, 2004), ha attualmente in corso ventidue conflitti ambientali

documentati (Centro di Documentazione dei Conflitti Ambientali, CDCA, 2009)

rivelandosi, per le poste messe in gioco, per gli attori e per il ruolo che ricopre a

livello internazionale nella conservazione della biodiversità, un paese ad alta criticità

ambientale e sociale (Fontaine, 2003). Le poste in gioco all’interno della RAE

possono essere per semplicità differenziate ma esse si intrecciano e si sovrappongono

nella complessità delle dinamiche territoriali, determinando una genesi del conflitto

ambientale articolata e complessa, con percorsi plurali e di diplomazia multipla (De

Marchi, p.108). Le poste in gioco dei conflitti ambientali sviluppati all’interno della

RAE sono messe in relazione alle seguenti risorse naturali: le risorse forestali, le

risorse genetiche, le risorse idriche, le risorse minerarie, e le risorse idrocarburiche

(Fontaine, 2004).

Lo sviluppo delle attività petrolifere cominciato agli inizi del 1960 (Varea et al.,

1997) con la costruzione della prima via di comunicazione terrestre (la Shell road,

1962) che collegava la RAE alle Ande e il contemporaneo sviluppo della

colonizzazione agricola della RAE (legge di Riforma Agraria e Colonizzazione,

1967) promosso dallo stato ecuadoriano, hanno dato inizio a processi di

territorializzazione per sostituzione, basati principalmente su attività industriali

estrattive quali il legname ed il petrolio (Vallejo, 2003). L’espansione della frontiera

petrolifera nell’Amazzonia ecuadoriana ed il degrado ambientale da essa provocato,

documentato in numerosi studi nei PVS (Turco, 1997; OTCA, 2004; Narvaez 1996;

Page 43: Pappalardo Tesis Yasuni

42

De Marchi 2004), costituisce, con l’avanzamento delle grandi infrastrutture di

comunicazione, uno dei direct drivers nei processi di degradazione degli ecosistemi

forestali tropicali e nelle dinamiche di cambiamento in rapporto alle modalità land

use/land cover (Forest and Woodlands System, M.A. 2005, p. 607), alimentando

l’ampliamento e l’intensificazione delle attività agricole e dell’estrazione di legname

ad uso commerciale su piccola e grande scala (Narvaez, 2000). Gli indirect drivers

(Forest and Woodlands Systems, M.A. 2005, p. 609) nei processi di degradazione e

conversione delle formazioni forestali sono da riferirsi alle dinamiche dei sistemi

sociali e alle politiche agricole ed economiche che esercitano un elevato grado di

influenza sui direct drivers (si veda la tab. 1.0 pag. 9).

All’interno dello spazio amazzonico ecuadoriano concorrono quindi, in maniera

sinergica, diversi processi di territorializzazione condotti dai diversi attori

sintagmatici (Faggi, Turco, 2001), legati all’istituzione ed alla gestione della Riserva

della Biosfera Yasuní, all’espansione della frontiera agricola ed all’insieme delle

attività industriali per la produzione petrolifera (Narvaez, 1998).

La conflittualità ambientale messa in relazione all’area protetta risale all’ istituzione

del Parco Yasuní nel 1979 (IUCN, 1982) la cui delimitazione si è sostanzialmente

basata sull’individuazione di ampie wilderness areas (con copertura vegetale

“intoccata”) tramite voli aerei e fotointerpretazione, utilizzando un approccio al

territorio letteralmente desde arriba.(dall’alto) (Moran, 2005).

In realtà tali ampie wilderness areas di “foresta vergine” erano utilizzate ed

attivamente modificate da diverse comunità umane che abitano la pianura

amazzonica, in particolare gli indigeni Wuaorani, Quechua, Shuar, Cofan e contadini

provenienti da altre aree (i colonos) (Vallejo, 2003).

Le pratiche di territorializzazione sviluppate dalle comunità locali amazzoniche sono

però morbide e prevalentemente simboliche, mediate dal corpus di conoscenze e

competenze sviluppate nel rapporto con l’ambiente naturale (De Marchi, 2004, p.

140). Le attività delle comunità indigene amazzoniche, consistendo in agricoltura

itinerante, caccia, pesca e raccolta, risultavano di poca incidenza sulle dinamiche land

use/ land cover (Brownrigg, 1997), pertanto non facilmente visibili o individuabili

tramite immagini satellitari e fotografie aeree (Vallejo, 2003). La perimetrazione del

Page 44: Pappalardo Tesis Yasuni

43

Parco Nazionale Yasuní (1979) e la successiva Riserva della Biosfera, processo

contemporaneo all’occupazione dello spazio amazzonico per lo sviluppo delle attività

agricole e petrolifere della RAE (Narvaez, 1996), ha contribuito alla rottura

dell’assetto territoriale e dell’integrità culturale delle popolazioni indigene portando,

nel 1989, alle prime condizioni conflittuali tra gli attori coinvolti nell’area: comunità

indigene, militari, compagnie petrolifere, missionari (Vallejo, 2003).

A seguito del boom delle attività petrolifere innescatosi con la scoperta di grandi

giacimenti a partire dal 1970 (Fontaine, 2006) e della crisi del modello agro-

esportatore ecuadoriano (Vallejo, 2003) si sviluppano sempre più le infrastrutture di

comunicazione terrestri e comincia a configurarsi il nuovo territorio amazzonico,

tramite processi di “modernizzazione” di quell’area geografica costituita al 96% da

foresta umida tropicale (Narvaez, 1996): installazioni ed industrie petrolifere,

oleodotti e polidotti, centri per il processamento del greggio (vedi fig. 4.12) ed attività

agricole commerciali e permanenti sviluppate su piccola e grande scala (Narvaez,

2000).

Il processo costruttivo di tale configurazione territoriale e l’occupazione dello spazio

geografico amazzonico, tramite l’assegnazione delle licenze d’uso del suolo per la

produzione petrolifera e la realizzazione del complesso infrastrutturale per

l’estrazione, trasporto e smaltimento del petrolio, ha avuto notevoli implicazioni sotto

il profilo ecologico e sociale che hanno fortemente contribuito allo sviluppo del

conflitto che, con periodi di latenza e di visibilità, è al giorno d’oggi ancora in

evoluzione (Narvaez 2000; Vallejo, 2003; Fontaine, 2004).

Gli impatti ambientali della produzione petrolifera nell’Amazzonia ecuadoriana sono

principalmente legati alle deforestazione di circa il 30% delle formazioni forestali

tropicali ed alla loro frammentazione (Gomez, 1991), all’inquinamento della rete

idrografica e delle falde acquifere (Narvaez, 1996, p. 12; International Water

Tribunal, 1994, in De Marchi, 2004), all’erosione del suolo ed alla perdita di

biodiversità (Haller et al., 2007; Narvaez 2000).

Inoltre la colonizzazione della regione amazzonica, ed il suo processo unilaterale di

integrazione fisica e territoriale alla modernità ecuadoriana ha comportato anche

impatti a livello sociale (Santos 1991, in Narvaez, 1996). L’espansione delle attività

Page 45: Pappalardo Tesis Yasuni

44

produttive agricole e petrolifere e la costruzione di grandi infrastrutture di

comunicazione hanno dato impulso alla canalizzazione dei flussi migratori all’interno

della RAE ed alle conseguenti nuove pratiche di territorializzazione nello spazio

amazzonico (Narvaez, 1996).

Se da un lato gli stessi impatti ambientali, soprattutto gli effetti sulle risorse idriche e

biologiche, hanno influenzato qualitativamente e quantitativamente gli ecosystem

services disponibili alle comunità locali, dall’altro il processo di territorializzazione

attraverso la rete viaria utilizzata per le attività produttive ha comportato una

sovrapposizione tra le logiche d’agire differenti: quella delle popolazioni indigene

influenzata dalle logiche d’acqua e adattata al denso reticolo idrografico dei bacini

fluviali amazzonici, l’altra dei nuovi attori che costruiscono il territorio lungo le

infrastrutture di comunicazione terrestri. (Bertocin, 2004). Quest’ultimo agire

territoriale determina lo sviluppo di processi di territorializzazione per sostituzione,

nei quali le formazioni forestali originarie vengono sostituite attraverso la

parcellizzazione per l'agricoltura estensiva (prevalentemente monocolture di palma

africana), nuove forme di agricoltura stabile e l’occupazione dello spazio fisico

impiegato per le installazioni dell’industria petrolifera (De Marchi, 2004).

Per la sua sovrapposizione geografica e territoriale ai processi appena descritti la

Riserva della Biosfera Yasuní è, sia direttamente che indirettamente, coinvolta nelle

dinamiche del conflitto ambientale, trasformandola da area protetta a livello

internazionale in una delle poste in gioco nella complessità del conflitto.

Page 46: Pappalardo Tesis Yasuni

45

Fig. 1.9 Dayuma, buffer zone della Riserva della Biosfera Yasuní. Importante fuoriuscita di petrolio causata dalla rottura di un oleodotto situato in prossimità del corpo d’acqua. (attività di campo del 12/04/2006;-coordinate geografiche 0.646° Sud e 76.855° Ovest; sistema di riferimento WGS84)

Page 47: Pappalardo Tesis Yasuni

46

2 Inquadramento geografico, ecosistemico e territoriale 2.1 Ecuador: geografia, biodiversità ed ecosistemi L’Ecuador è un piccolo stato del Sudamerica che si affaccia sull’oceano pacifico e la

cui superficie giace esattamente nell’intersezione tra l’equatore e la catena montuosa

delle Ande. I limiti politico-amministrativi sono compresi tra le coordinate

geografiche 1°21’06’’ Nord e 5°0’56’’ Sud e tra le longitudini 75°11’49’’ e 81°0'40’’

Est. La superficie attuale è di 256.370 Km2 per la regione continentale e di 371 km2

per la regione insulare che comprende l’arcipelago delle isole Galápagos, situate

nell’oceano pacifico a 965 Km dalla costa ecuadoriana (FAO, 2000; Istituto

Geografico Militar de Ecuador, 2006). A causa delle storiche dispute territoriali con

il confinante stato peruviano (dal 1941 al 1998), per il controllo dell’area amazzonica

e dei giacimenti petroliferi situati nel sottosuolo della regione, i limiti di stato sul

versante orientale sono stati ridefiniti nel 1998 con la cessione di 14.000 Km2 di

foresta umida tropicale al Perù, portando l’Ecuador all’attuale estensione geografica.

(MAE, 2008; Galeano, 1997).

Nonostante la sua posizione geografica lo collochi all’interno della fascia equatoriale

il clima dell’Ecuador varia enormemente da una regione all’altra a causa della

presenza della Cordigliera delle Ande e dell’influenza delle correnti oceaniche fredde

di Humboldt in estate e di quelle calde del Niño in inverno (McCoy, 2003, FAO,

2000).

I rilievi topografici dominanti sono costituiti dalla doppia catena montuosa delle

Ande, la Cordigliera Occidentale e la Cordigliera Orientale, che dividono l’Ecuador

continentale in tre regioni biogeografiche distinte, caratterizzate da sistemi ecologici e

sociali differenti (MAE, 2008, FAO, 2000):

- la regione pacifica, comunemente denominata La Costa

- la regione interandina compresa tra la cordigliera occidentale e quella orientale,

chiamata Sierra

- la regione amazzonica che, estendendosi per tutta l’area ad est della Cordigliera

della Ande, viene chiamata el Oriente.

Page 48: Pappalardo Tesis Yasuni

47

Fig. 2.1 Ecuador: Immagine satellitare. (Fonte: NASA, World Wind) e quadro d’insieme (elaborazione G.I.S.)

Fig. 2.2 Ecuador, le tre regioni biogeografiche: la Costa, la Sierra, l'Amazzonia. (Fonte: MAE, 2008)

Page 49: Pappalardo Tesis Yasuni

48

La Costa rappresenta la porzione compresa tra l’Oceano Pacifico e la Cordigliera

delle Ande occidentali fino a 1.300 metri s.l.m., con una superficie relativamente

pianeggiante, ad eccezione di piccole catene montuose regione presenta un clima

caldo umido con precipitazioni annuali che oscillano tra i 355 mm nella parte

meridionale a 6.000 mm nella parte settentrionale. La temperatura media varia tra i

23° ed i 25° Celsius (MAE, 2008, FAO, 2000).

La Sierra include le aree situate tra i 1300 metri s.l.m. e le cime, o il limite dei

ghiacciai (da 3000 ad oltre 4000 metri s.l.m.), sia della Cordigliera occidentale che di

quella orientale delle Ande che corrono tra loro parallele in direzione nord-sud. La

regione ricopre una superficie di 64.760 Km2 e la precipitazione annuale media è di

circa 1.500 mm con temperature medie che oscillano tra i 12° ed i 20° Celsius e

variano notevolmente in funzione del gradiente altitudinale (MAE, 2008, FAO,

2000).

La Regione Amazzonica Ecuadoriana (RAE), o semplicemente Oriente, corrisponde

a tutta l’area compresa tra i 1.300 metri s.l.m. della Cordigliera Orientale delle Ande

fino al limite di stato con il Perù, costituendo la parte occidentale del bacino del Rio

delle Amazzoni, di cui rappresenta il 2%. Con la sua estensione di 131.130 Km2

l’Oriente amazzonico rappresenta quasi il 50% dell’intera superficie nazionale ed è

costituito prevalentemente da un denso bosco umido tropicale. A sua volta all’interno

della RAE si possono distinguere due subregioni corrispondenti all’alto Oriente, tra i

1300 ed i 600 metri s.l.m., con temperature medie di 20°C e precipitazioni di circa

4500 mm/anno, ed il basso Oriente che, con temperature medie che superano i 24°C e

precipitazioni di circa 3200 mm/anno, si estende per tutta la pianura alluvionale. In

entrambe le subregioni il clima è considerato caldo umido tropicale (MAE, 2008;

FAO, 2000).

La Cordigliera andina presenta ventidue cime montuose con altitudini superiori ai

4.200 metri s.l.m., di cui molte sono costituite da vulcani attivi o dormienti. Nell’area

compresa tra la Cordigliera Occidentale e quella Centrale si trova la celebre “strada

dei vulcani”, chiamata in questo modo nel XIX secolo dal naturalista Alexander von

Humboldt, lungo la quale si individuano più di dieci edifici vulcanici, tra cui il

Page 50: Pappalardo Tesis Yasuni

49

Cotopaxi ed il Tungurauha (rispettivamente di 6.896 e 5.023 metri s.l.m.) considerati

tra i più attivi al mondo (McCoy, 2003).

Addizionalmente a questi tre sistemi biogeografici regionali si aggiunge la regione

insulare, ossia l’Arcipelago delle Galápagos, costituita da tredici isole maggiori e sei

isole minori. La regione è situata lungo la linea equatoriale e la genesi dell’arcipelago

è di origine vulcanica (MAE, 2008; FAO, 2000).

Tutti i maggiori fiumi del reticolo idrografico ecuadoriano hanno origine nella

regione della Sierra, organizzandosi in due sistemi idrografici che si orientano o sul

versante occidentale verso l’Oceano Pacifico, o sul versante orientale scorrendo nel

grande bacino idrografico del Rio delle Amazzoni.

I principali fiumi che scorrono dalle Ande verso l’Oceano Pacifico sono:

Guayas, Esmeraldas, Cañar, Macará, Chota. Quelli che drenano dai versanti delle

Ande orientale diventando affluenti del Rio delle Amazzoni sono:

Putumayo, Napo, Tigre, Pastaza, Santiago, Coca (MAE, 2008).

La diversità degli elementi geografici, la variabilità climatica e la storia geologica del

Paese hanno determinato l’esistenza di numerosi ecosistemi nei quali oggi si

concentra una tra le più elevate variabilità biologiche esistenti (ECOCIENCIA,

IUCN, 2001).

Dal punto di vista della biodiversità infatti l’Ecuador è stato inserito all’interno della

lista dei Megadiverse Countries (WCMC, UNEP, 2004), ossia tra i diciassette Paesi

con più alta diversità biologica, a tal punto da occupare il primo posto al mondo sia

nella relazione tra specie di vertebrati su 1000 Km2 di superficie sia per il numero di

endemismi di vertebrati sulla medesima unità areale (MAE, IUCN, 2001). Sempre

all’interno dello stesso documento (WCMC, UNEP, 2004) l’Ecuador si colloca tra i

primi Paesi per numero assoluto di specie di anfibi, uccelli e farfalle (ECOCIENCIA,

IUCN, 2001, p. 4).

Riguardo alle piante vascolari sono state identificate 25.000 specie, di cui il 75%

come piante autoctone e fra cui il 27.3% sono specie endemiche (ECOCIENCIA,

IUCN, 2001)

L’area compresa tra la Cordigliera occidentale e la pianura amazzonica rientra inoltre

tra i centri di biodiversità (biodiversity hotspots, vedi fig. 1.3) individuati da Myer

Page 51: Pappalardo Tesis Yasuni

50

(2000) presentando, come caratteristiche discriminanti per suo riconoscimento di

hotspots, lo 0.5% degli endemismi su scala globale e la perdita del 70% delle

formazioni vegetali originarie.

All’interno della regione continentale ecuadoriana si possono individuare sette biomi

terrestri contemplati nella classificazione IUCN: il bosco umido tropicale, il bosco

secco tropicale, la savana, il bosco montano, il paramo, la foresta di mangrovie e

matorrales xerofitico (ECOCIENCIA, IUCN, 2001).

I sistemi di classificazione relativi agli ecosistemi tropicali sono differenti e si basano

sulle relazioni tra formazioni vegetali e componenti biotiche, componenti abiotiche,

sistema climatico, fattori ambientali (temperatura, bilancio idrico), fattori edafici e

topografici, composizione tassonomica dominante. Il sistema di classificazione più

utilizzato nel passato per descrivere gli ecosistemi tropicali su scala nazionale è

quello proposto da Cañadas (1983) che si basava sul sistema bioclimatico di

Holdridge (1947, 1967), configurando la tassonomia ecosistemica sulla base delle

relazioni tra le formazioni vegetali e il sistema climatico. Usando tale sistema di

classificazione Cañadas ha categorizzato venticinque ecosistemi individuati su scala

nazionale (IUCN, ECOCIENCIA, 2001, p. 22). Recentemente sembra invece essere

sempre più adottata la proposta di classificazione di Sierra (1999) che, appoggiandosi

sul sistema bioclimatico di Holdridge, presenta una struttura a livelli gerarchici che

“basandosi su caratteristiche quantificabili a varie scale di dettaglio siano in grado di

descrivere la struttura, la fenologia, la composizione della vegetazione e la sua

organizzazione in classi relativamente omogenee e uniche” (Sierra, 1999). Il sistema

di classificazione di Sierra si basa quindi su tre livelli gerarchici, ciascuno dei quali

definisce progressivamente caratteri più ristretti delle unità di vegetazione (Sierra,

1999). In questo modo oltre ad un sistema di classificazione standardizzato e

riconosciuto dal Comitato Federale per i dati geografici degli Stati Uniti (FGDC

1997, in Sierra, 1999) è stato prodotto uno studio cartografico basato su immagini

satellitari per monitorare lo stato delle formazioni vegetali rimanenti in Ecuador

(ECOCIENCIA, IUCN, 2001; Sierra, 1999).

I sistemi forestali originari nelle tre regioni biogeografiche (Costa, Sierra e Oriente)

risultano essere infatti profondamente degradati, tantoché un documento del World

Page 52: Pappalardo Tesis Yasuni

51

Resource Institute (1989) ha stimato che nell’intero Paese ecuadoriano siano rimaste

circa il 26% delle foreste primarie. Anche se altre analisi quantitative condotte sulla

copertura forestale rimanente hanno prodotto valori dissimili, probabilmente a causa

della diversa scala di studio (il 42% di Estrella nel 1993 ed il 49% di Sierra nel 1999),

la deforestazione della foresta umida tropicale rimane oggi in Ecuador uno dei

problemi ambientali all’ordine del giorno (Rudel, 1996 in ECOCIENCIA, 2001).

Nel sistema di classificazione degli ecosistemi proposto da Sierra (1999) il primo

livello gerarchico è definito per le caratteristiche fisionomiche generali della

vegetazione, il secondo livello si riferisce a caratteristiche più dettagliate della

struttura e fenologia (determinati principalmente su criteri ambientali), il terzo livello

si riconduce invece alle variazioni altitudinali della vegetazione, le relazioni con le

componenti abiotiche del paesaggio e degli aspetti bioclimatici (Holdridge, 1967;

ECOCIENCIA, IUCN, 2001, p. 23). Sulla base di tale sistema di classificazione sono

stati ottenuti trentaquattro ecosistemi differenti presenti su scala nazionale

ecuadoriana, di cui le classi più rappresentative sono:

- Bosco sempreverde de tierras bajas de la amazonia; è l’ecosistema più esteso

nella regione amazzonica, coprendo oltre il 70% dell’area. Le formazioni

vegetali ricevono precipitazioni superiori ai 2000 mm/anno.

- Bosco sempreverde inondabile de tierras bajas; sono ecosistemi caratterizzati

da inondazioni legate ai ritmi di piena e di magra dei fiumi.

- Bosco de neblina montano; questo ecosistema si estende tra i 2000 ed i 3000

metri s.l.m. Le formazioni vegetali presenti in questo ecosistema ricevono

precipitazioni comprese tra i 500 ed i 2000 mm/anno ed hanno un regime

termico tra i 10°ed i 12°C.

- Matorral seco de tierras bajas; tale ecosistema si localizza nelle zone più

interne della regione continentale ecuadoriana, presentando formazioni

vegetali secche, spinose con piante arboree, disperse nell’area, che possono

raggiungere i sei metri d’altezza. Questo ecosistema si colloca al di sotto dei

100 metri s.l.m. ed ha precipitazioni medie al di sotto di 200 mm/anno.

- Bosco deciduo de tierras bajas; tale ecosistema è frequente nella Costa ed in

un intervallo altitudinale tra i 50 ed i 600 metri s.l.m. Le condizioni climatiche

Page 53: Pappalardo Tesis Yasuni

52

variano da un sito all’altro, purché le precipitazioni siano comprese tra i 50 ed

i 300 mm/anno.

- Matorral umido montano; questo ecosistema è tipico delle valli interandine

umide comprese tra i 2.000 ed i 3.000 metri s.l.m. Le formazioni vegetali

rappresentano oramai il 24% della copertura originaria poiché l’impatto

antropico, specialmente legato ad attività agricole e di pastorizia, è stato

rilevante.

- Paramo; questo ecosistema è caratterizzato dalla presenza di vegetazione

aperta, semiaperta, arbustiva ed occasionalmente boschiva. I paramos si

trovano generalmente tra i 3.400 ed i 4.500 metri s.l.m e conformano

tipicamente il paesaggio d’altura andino. Sono divisi in cinque tipologie

differenti: paramo erbaceo, paramo de frailejones, paramo de almohadillas,

paramo arbustivo e paramo secco. Tutte le tipologie di paramo sono legate

alle caratteristiche ecologiche comuni, come l’alta radiazione ultravioletta,

scarsità d’acqua, bassa pressione di ossigeno e basse temperature (Sierra

1999; ECOCIENCIA, IUCN, 2001).

Page 54: Pappalardo Tesis Yasuni

53

2.2 Ecuador: società, comunità indigene, territorio L’Ecuador è una repubblica democratica presidenziale fondata nel 1830 in seguito

alle guerre d’indipendenza ed al successivo distaccamento dalla Repubblica della

Gran Colombia istituita da Simon Bolivar (Chiaramonti, 1992). Attualmente

all’interno del Paese ecuadoriano, secondo l’ultimo censimento INEC (Istituto

Nazionale di Statistica) del 2001, risiedono 12.5 milioni di abitanti, con un tasso

di crescita del 2-3% all’anno, di cui circa il 60% vive in aree urbanizzate (INEC,

2001). A causa della forte crisi economica che ha coinvolto il Paese nell’ultimo

decennio del novecento, l’Ecuador ha adottato ufficialmente il dollaro

statunitense come moneta corrente abbandonando l’antica valuta ecuadoriana, il

Sucre, che aveva perso oltre il 40% del suo valore. E’ stimato che circa il 30%

della popolazione è economicamente attiva (INEC, 2001): la maggior parte è

costituita da emigranti in Paesi europei, principalmente la Spagna, che hanno

lasciato l’Ecuador nella grande ondata migratoria del 2000 (Fontaine, 2006).

L’economia nazionale fino al 1960-1970 si è basata principalmente su attività

commerciali estrattive ed agricole, come la gomma e le piantagioni di banane e

cacao, conferendo all’Ecuador un ruolo centrale nelle esportazioni di tali prodotti

(Haller, 2007) in Sudamerica. Sarà la convergenza tra la crisi del modello agro-

esportatore e la scoperta di consistenti giacimenti petroliferi nell’amazzonia

ecuadoriana a determinare un’inversione di tendenza nelle attività produttive ed

economiche del piccolo paese sudamericano. Nel 1973 l’Ecuador entra a far parte

dell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) implementando

enormemente le attività di prospezione ed estrazione di petrolio nell’Oriente. Gli

introiti delle esportazioni di greggio coprono oggi quasi il 55% del bilancio

economico nazionale (Fontaine, 2006; Haller et al., 2007).

Recentemente, in seguito all’imponente domanda del mercato globale, l’Ecuador

è diventato uno dei maggiori esportatori di gamberetti, i quali vengono prodotti in

allevamenti intensivi di specie alloctone (camaroneras) sulla costa del Pacifico,

all’interno degli ecosistemi a Mangrovie, protette dalla convenzione RAMSAR

Page 55: Pappalardo Tesis Yasuni

54

sulle zone umide. Attualmente la produzione di gamberetti a fini commerciali

rappresenta il 18,8% delle esportazioni ecuadoriane (Haller et al., p. 309).

Il sistema produttivo ecuadoriano si basa quindi su attività estrattive ed agro-

industriali, implicando un uso del suolo legato all’agricoltura intensiva e alla

gestione di risorse non rinnovabili come il petrolio e l’estrazione di numerosi

minerali (oro, stagno, zinco, piombo, rame, carbone, ferro) (FAO, 2000).

USO DELLA TERRA SUPERFICIE (ha) PERCENTUALE Boschi naturali 11.473.000 42% Agricoltura e caccia 7.721.000 28% Suoli urbani non produttivi 5.096.000 18% Terre ad uso potenziale forestale

2.578.000 9.53%

Allevamento di gamberi 93.000 0.34% Aree adibite a “saline” 19.000 0.07% TOTALE 27.058.000 100%

Tab. 2.1 Ecuador: uso della terra e superficie utilizzata in Ecuador; all’interno della categoria “Boschi naturali” rientrano anche le aree in concessione per la produzione petrolifera. (Fonte: FAO, 2000) La popolazione dell’Ecuador è formata per il 52% da gruppi indigeni, per il 40%

da meticci mentre il rimanente 8% è composto principalmente da gruppi etnici

afrodiscendenti e di origine spagnola (FAO, 2000). La popolazione indigena e

meticcia, nonostante le migrazioni verso le aree urbanizzate di tutto il Paese, vive

prevalentemente nelle zone rurali della Costa, della Sierra e della RAE

(ECOCIENCIA; 2001).

COSTA SIERRA ORIENTE Awà Otavalo Cofàn Chachi Cayambe Sionas e Socoyas Tsachila Cotopaxi Quichuas dell’Amazzonia Afroecuadoriani Salasaca Wuaorani Epera Chimborazo Shuar Saraguro Záparos Cañar Achuar

Tab. 2.2 Ecuador, gruppi indigeni divisi per comunità formalmente riconosciute dallo stato ecuadoriano (Fonte: FAO, 2000).

Page 56: Pappalardo Tesis Yasuni

55

La maggior parte delle popolazioni indigene ecuadoriane, nelle loro differenze e

peculiarità, condividono le stesse problematiche principalmente legate alla

questione territoriale, all’accesso alle risorse naturali ed ai diritti su tali risorse

(Brownrigg, 1996).

Trattare la questione della biodiversità in Ecuador significa anche affrontare la

tematica della diversità culturale. Le popolazioni indigene hanno infatti stabilito

relazioni ancestrali con gli ecosistemi presenti sul territorio ecuadoriano,

utilizzando gli ecosystem services derivati dalla biodiversità, e hanno sviluppato

conoscenze e competenze per gestirla senza comprometterla (ECOCIENCIA,

IUCN, 2001).

A maggior grado di biodiversità corrisponde un livello maggiore di complessità

degli ecosistemi e ne consegue una maggior difficoltà nel conoscerli, interpretarli

e gestirli (ECOCIENCIA, IUCN, 2001). Questa stessa complessità però ha dato

impulso ad un arricchimento delle conoscenze e delle competenze delle

popolazioni indigene, tramite modalità di adattamento specifiche, di risposta

creativa e differente in termini di tecnologie e di forme di organizzazione socio-

culturali delle comunità locali. Tali relazioni modificano le forme di adattamento

tra le comunità e la biodiversità. Anche se il sistema indigeno di uso del territorio

si fonda su principi e caratteristiche comuni a tutta la popolazione indigena, le

attività sono sviluppate e modulate in maniera differenziata per essere in grado di

utilizzare gli ecosystem services in base alla biodiversità specifica ed al potenziale

produttivo dei vari ambienti naturali nei quali vivono (Brownrigg, 1996).

La maggior parte dei gruppi indigeni e delle popolazioni locali utilizza

coltivazioni itineranti, più o meno intensamente, con la combinazione di attività

di caccia, raccolta e pesca. Riguardo alla biodiversità le conoscenze e competenze

locali sviluppate per soddisfare i propri bisogni sono molto elevate; è difficile

effettuare delle stime, ma si pensa che il numero di specie conosciute ed utilizzate

dalle comunità sia compreso tra le 300-600 specie. Solamente nell’ambito della

medicina tradizionale e nelle piante utilizzate per curare la malaria, in una

comunità dell’Amazzonia brasiliana, venivano segnalate un’ottantina di piante

(Paoletti, 2001). Anche se non esistono studi con dati completi sulla conoscenza

Page 57: Pappalardo Tesis Yasuni

56

della biodiversità nell’uso tradizionale, è significativo notare che alcune

popolazioni amazzoniche come gli Yanomami (Venezuela), con un livello alto di

integrità culturale e di adattamento all’ecosistema forestale, sappiano riconoscere

390 specie vegetali ed animali ad uso alimentare (Paoletti, 1999).

Le piante più importanti utilizzate dalle popolazioni indigene e dalle società rurali

ecuadoriane nella dieta alimentare, solo per citarne alcune, sono: yuca ( o

manioca, Manihot sculenta), patate dolci (Ipomoea batatas), platano e banane

(appartenenti alla famiglia delle Musaceae), taro potatoes (Colocasia esculenta),

chonta (Iriartea deltoidea) e chontaduro (Bactris gasipaes e alberi da frutta

(Moran, 2000).

Le modalità di organizzazione della produzione, lo sviluppo di tecnologie, la

formazione di sfere specifiche di conoscenze sommato al complesso sistema

simbolico che ha regolato l’impiego di risorse, hanno reso possibile per millenni

la gestione degli ecosistemi tropicali e allo stesso tempo la loro conservazione. A

testimoniare questa gestione sostenibile delle risorse naturali è il fatto che, al

momento, la maggior parte di foresta primaria rimasta in Ecuador si trova in aree

geografiche appartenenti al territorio indigeno, ossia l’Amazzonia ecuadoriana.

Le popolazioni indigene e le società rurali dell’Ecuador, nella loro eterogeneità

culturale, sono dislocate territorialmente e si plasmano prevalentemente

all’interno dei confini naturali delle regioni biogeogeografiche sopracitate.

Le comunità locali della Costa (Agua, Chachi, Tsachila, Afroecuadoriane, Epera)

si sono sviluppate ed adattate, ad esempio, in base agli ambienti naturali degli

ecosistemi del bosco sempreverde de tierras bajas e del bosco sempreverde

pedemontano della Cordigliera Occidentale delle Ande (vedi fig. 2.2 p. 47).

La comunità indigena più numerosa è quella Chachi, la cui popolazione è stimata

intorno alle otto mila persone e vivono nella parte nord-occidentale della Costa

Esmeraldas, un una regione biogeografica che è la continuazione del Chocò

(Colombia). Tale regione è il secondo biodiversity hotsposts riconosciuto in

Ecuador (Primack, 2004). Le pratiche tradizionali sono legate all’agricoltura

itinerante, alla pastorizia e taglio selettivo di piante arboree. La dieta alimentare si

basa sul platano e sulla yuca; commercializzano cacao e caffè, così come canoe di

Page 58: Pappalardo Tesis Yasuni

57

legno e artigianato costruito con fibre vegetali. Il contesto ambientale di questa

popolazione indigena è stato fortemente condizionato dalla penetrazione delle

imprese di legname e dalla colonizzazione agraria. Gli ecosystem services derivati

dalla biodiversità delle formazioni boschive e dai fiumi sono fortemente diminuiti

a causa delle pervasive attività estrattive, minando profondamente la base

alimentare e proteica di questa popolazione. Molte comunità soffrono di malattie

tropicali come l’oncocercosi e la malaria (ECOCIENCIA, 2001).

Le stesse problematiche coinvolgono le comunità indigene Tsachila che abitano ai

limiti della provincia di Pichincha nella costa. Qui l’avanzata della colonizzazione

agricola e delle imprese agro-industriali ha prodotto la perdita quasi totale del loro

territorio ancestrale. Le attività tradizionali sono oggigiorno estremamente ridotte

e la loro vita è immersa nel commercio di bestiame, frutta tropicale e l’esercizio

della medicina tradizionale per fini commerciali. I pochi elementi culturali che

riescono a mantenere coesione etnica sono soprattutto legati alla lingua, il

“tsafiqui” (ECOCIENCIA, 2001).

Un’altra popolazione indigena della Costa che merita di essere menzionata è

quella degli Awà. Queste popolazioni vivono nella parte nordoccidentale della

regione, tra Esmeraldas e Carchi e il loro territorio si estende fino in Colombia.

Sono approssimativamente intorno alle cinquemila unità e vivono tra gli

ecosistemi del bosco sempreverde basso montano (da 1300 a 1800 metri s.l.m) e

del bosco montano de neblina (da 1800 a 3000 metri s.l.m.). La loro strategia

adattiva ha fatto sì che si spingessero in zone isolate lungo le fasce pedemontane

ed i Paramos delle Ande Occidentali, dedicandosi a forme di agricoltura

itineranti, caccia e raccolta di frutti. La costruzione di nuove strade nei loro

territori, le attività intensive per l’estrazione di legname dalle formazioni boschive

e le pratiche agricole monocolturali stanno minacciando gli ecosistemi nei quali

abitano e quindi anche la loro stessa esistenza e cultura.

Le popolazioni cosiddette afroecuadoriane, o afrodiscendenti, sono cominciate ad

arrivare in Ecuador durante il periodo della “tratta degli schiavi” dall’Africa e si

sono insediate nelle zone litoranee della provincia di Esmeraldas, nella valle del

rio Chota e nella zona nord della Sierra. Secondo alcuni le popolazioni

Page 59: Pappalardo Tesis Yasuni

58

afrodiscendenti, organizzate in comunità locali, sono circa 500.000 ed hanno, in

maniera eterogenea, sviluppato meccanismi di recupero e di valorizzazione del

loro patrimonio culturale africano.

Le comunità indigene della Sierra sono società multietniche che hanno adottato il

Quichua, di origine pre-incaica, come lingua comune. Queste popolazioni abitano

prevalentemente la parte settentrionale della Cordigliera delle Ande adattandosi

agli ecosistemi d’altura (tra i 1.300 ed i 4.300 metri s.l.m). Tale adattamento ha

permesso loro di sviluppare un’insieme di pratiche e competenze definite di

“microverticalità”, che facilitano nell’integrazione con il pronunciato gradiente

topografico dei versanti andini. In questo modo hanno sviluppato un’insieme di

strategie tali da consentire l’agricoltura tradizionale in terrazzamenti, su diversi

livelli climatici o la pratica della policoltura nel medesimo ecosistema. Anche se

non tutta la popolazione della Sierra è contadina, la maggior parte delle società

multietniche Quichua basano il loro sostentamento su attività legate

all’agricoltura e all’artigianato, per i quali l’accesso alla terra è elemento

essenziale per la sopravvivenza.

Riguardo al sistema agricolo ed ai suoi modelli di produzione è importante

rilevare che, nonostante le numerose riforme agrarie attuate, l’accesso alle terre e

la loro distribuzione siano oggi problematiche importanti per la sopravvivenza e

l’integrità delle comunità indigene. Il 2,2% della popolazione possiede più del

50% delle terre e che un terzo coltiva meno del 10% della superficie utilizzabile

(Haller et al., 2007).

Le popolazioni indigene e le comunità locali nel corso della storia sono state

sottomesse e sfruttate in diversi gradi e forme di intervento (socio-culturali,

tecnologiche, economiche e di conoscenza) che ne hanno modificato

l’organizzazione sociale, le “cosmovisioni”, le pratiche culturali e le modalità di

uso e di gestione delle risorse naturali, provocando ripercussioni sugli ecosistemi.

A livello internazionale è la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD),

ratificata dall’Ecuador nel 1993, che ha permesso per la prima volta il

riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali sulla

biodiversità e le risorse naturali. E’ il Trattato 169 dell’ILO sulle popolazioni

Page 60: Pappalardo Tesis Yasuni

59

indigene e tribali (International Labour Organization, Ginevra 1989) a sancire a

livello internazionale i loro diritti, anche se sarà solamente nel 2005 che il

governo ecuadoriano adotterà ufficialmente l’approccio ecosistemico per la

conservazione della biodiversità (Ministerio de Relaxiones Esteriores, de

Comercio y Integracion, MRECI, 2005).

Riguardo alle popolazioni locali (indigene e colonos) dell’Oriente amazzonico

verrà dedicato un approfondimento nell’inquadramento territoriale dell’area di

studio, dove verranno affrontate le problematiche relative alla Regione

Amazzonica Ecuadoriana.

2.2.1 Aree Protette e territori indigeni Uno dei problemi sentiti da parte delle comunità locali indigene è la sovrapposizione

delle Aree Protette inserite nello SNAP ai territori indigeni. Delle ventitre aree

protette nella regione continentale dieci sono state realizzate nell’Oriente

amazzonico. Secondo stime della CONFENAIE (Confederazione Nazionale

Popolazioni Indigene) i territori indigeni situati all’interno tali aree o nelle zone

d’influenza adiacenti ad essi rappresentano circa il 20% dei territori indigeni

rivendicati nella RAE (vedi tab. 2.3, p. 60). La maggioranza di tali aree protette si

localizza nella zona nordorientale della RAE, laddove si sono concentrate le aree

concesse per attività industriali per la produzione petrolifera (Ecociencia, 2001).

L’istituzione e la realizzazione di tali Aree Protette ha determinato una serie di

conflitti tra i quali merita di essere trattato a parte quello rispetto alla proprietà legale

delle terre. Secondo la legge forestale vigente in Ecuador (art. 71 e art. 73) infatti

l’istituzione delle Aree Protette in territorio indigeno comporta l’acquisizione dei

diritti di proprietà sulla terra ed impone la restrizione alla popolazione dell’uso e della

gestione delle risorse naturali (FAO, 2000).

Come spesso accade la realizzazione di tali aree predisposte per la conservazione

della biodiversità non ha previsto né attuato il coinvolgimento delle comunità locali

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60

né in fase di realizzazione né in quella gestionale, escludendo di fatto le popolazioni

indigene dai processi decisionali e di pianificazione.

Area Protetta (SNAP)

Superficie (ha)

Comunità indigene che vivono all’interno dell’Area Protetta

Popolazioni indigene che vivono nella zona d’influenza dell’Area Protetta

P.N. El Condor 2.440 Shuar Shuar P.N. Llanganates 219.707 Assenti Quichua P.N. Podocarpus 146.280 Assenti Shuar P.N. Sangay 517.765 Assenti Shuar e Quichua P.N. Sumaco 205.249 Quichua Quichua P.N. Yasuni 982.000 Quichua, Wuaorani,

Shuar Quichua, Wuaorani, Shuar

Riserva Biologica Limoncocha

4.613 Quichua Quichua

Riserva faunistica Cuyabeno

603.380 Cofàn, Secoya, Siona, Quichua

Quichua

Riseva ecologica Antisana

120.000 Quichua Quichua

Riserva Ecologica Cayambe-Coca

403.103 6 gruppi indigeni 3 gruppi indigeni

Tab. 2.3 Relazioni tra popolazioni indigene ed Aree Protette appartenenti allo SNAP. (Fonte: Kingman e Ruiz in ECOCIENCIA, 2001) 2.3 Area di studio 2.3.1 Regione Amazzonica Ecuadoriana: ecosistemi. L’area di studio si inserisce nella Regiòn Amazònica Ecuadoriana (RAE) (el Oriente)

che, con il 45% del territorio nazionale, ricopre all’area geografica che si colloca a

partire dai 1.300 metri s.l.m. della fascia orientale della Cordigliera delle Ande per

arrivare fino ai limiti di stato ad Est, ossia al confine con Perù e Colombia.

All’interno della RAE si trovano circa la metà delle formazioni boschive

dell’Ecuador, tra le quali la dominante è la foresta umida tropicale (MTF), e si

concentra circa il 40% della biodiversità del Paese (MAE, 2001). Il clima della RAE si caratterizza in base a due regimi pluviometrici: il primo segue l’asse nord-sud seguendo un’altimetria simile con precipitazioni medie

comprese tra i 4.000 mm ed i 2.000 mm annuali, diminuendo secondo il gradiente

Page 62: Pappalardo Tesis Yasuni

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latitudinale; il secondo regime pluviometrico segue l’asse est-ovest ed ha

precipitazioni comprese tra i 2.500 mm ed i 3.500 mm annui aumentando d’intensità

lungo la fascia pedemontana orientale delle Ande (ECORAE, 2002).

A causa della diversità degli habitat, del clima e degli ecosistemi, la regione

amazzonica ecuadoriana (RAE) presenta un’elevata diversità biologica in ogni suo

livello organizzativo. Il contributo in termini di biodiversità e di tasso di endemismo

della RAE porta l’Ecuador ad essere riconosciuto come Paese Megadiverso

(ECORAE, 2002)

Per avere un’idea ci si può riferire al bacino idrografico del Rio Napo, dove sono

state classificate 470 specie di pesci, numero che supera i registri di qualunque altro

sistema idrografico del mondo (IUCN, ECOCIENCIA, 2000).

A seguire una breve descrizione degli ecosistemi presenti nella RAE (vedi

elaborazione G.I.S, carta degli ecosistemi, fig. 4.2, pag 123)

Bosco sempreverde de tierras bajas de la Amazonia

Questo ecosistema costituisce l’estensione più ampia della RAE e dell’intera Amazon

basin. Si estende su un’area di 1.492.858 ha e ricopre il 43% della RAE (ECORAE,

2002). Include vegetazione su colline medianamente diseccate (ossia con incisioni di

origine fluviale) e boschi su terreni piani e ben drenati, non inondabili e in terreni

piani poco drenati. Sono formazioni boschive differenti, altamente eterogenee, con

elevati indici di biodiversità (Sierra, 1999). Tali formazioni hanno una volta forestale

che può raggiungere i 30 metri di altezza e piante arboree emergenti che superano i

40 metri, chiamati “alberi di tierra firme”. La tierra firme si distribuisce su terreni

relativamente piani di origine alluvionale o colluviale. Gran parte della vegetazione

naturale è stata tagliata, lasciando poche aree dove è presente l’ecosistema originario;

è stato stimato che la biodiversità sui terreni piani ha il 40% in meno di specie che

crescono in terreni collinari (ECORAE, 2002).

Il suolo è fertile e, in alcuni casi, con drenaggio scarso. Il clima della tierra firme è da

umido a molto umido tropicale (Holdrige, 1967); la temperatura oscilla tra i 23 ed i

26 gradi Celsius e le precipitazioni annuali medie sono superiori a 3000 mm. La flora

caratteristica è la seguente (Sierra, 1999): Iriartea deltoidea, Oenocarpus bataua

(Aracaceae); Virola duckei e Otoba glycycarpa (Myristicaceae); Parkia multijuga

Page 63: Pappalardo Tesis Yasuni

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(Mimosaceae); Eschweilera coriaceae (Lecythidaceae); Pourouma minor e P. bicolor

(Cecropiaceae).

Bosco inondabile de tierras bajas por agua blancas

Si estende su un’area di 129.288 ha costituendo il 3,78% della RAE. Si tratta di

formazioni vegetali che sono ubicate nei terrazzi contigui ai grandi fiumi di acqua

blancas y claras, ossia con una grande quantità di sedimenti in sospensione. E’ più

comunemente chiamata Varzea. La vegetazione arriva fino a 35 metri di altezza e,

lungo le sponde dei grandi fiumi soggetti costantemente a piene, si formano strati

orizzontali di vegetazione in differenti stadi di successione (ECORAE, 2002).

Dall’esterno è visibile e caratteristico uno strato erbaceo-arbustivo ove predominano

Gynerium sagitatum, Tesaria integrifolia e Calliandra angustifolia; un secondo strato

costituito da Cecropia sp. organizzate a macchia densa lungo le zone ripariali del

fiume, tra i 300 ed i 450 metri s.l.m; un terzo strato di bosco più stabile è costituito

principalmente da Ficus insípida e Calycophyllum spruceanum (Sierra, 1999). Il

suolo è fertile ed in alcuni casi mal drenato, formato da superfici di spianamento. Il

clima è umido e molto umido tropicale con precipitazioni medie annuali di 3.000 mm

e la temperatura varia tra i 23 ed i 26 gradi Celsius (Holdrige, 1967). Questo

ecosistema si caratterizza per comunità vegetali di specie pioniere e colonizzatrici

legate ad un flusso stagionale di inondazione. La vegetazione è quindi esposta a

processi morfodinamici fluviali che originano sedimentazione progressiva. Si trovano

specie tra le quali: Amaranthus gracilis, Ageratum conyzoides, Tessaria integrifolia,

Cassia reticulata, Cecropia membranacea, Cyperus ligularis, Fimbristylis

dichotoma, F. littoralis, Kyllinga pumila, Torolinium odoratum, Alchornea

castaneifolia (Sierra, 1999).

Bosco de tierras bajas de palmas y aguas negras

La sua area è di 306.623 ha e rappresenta l’8,97% della RAE. Questo ecosistema è

comunemente noto come moretal o aguajal (Sierra, 1999). Occupa grandi estensioni

piane, mal drenate, e pertanto fangose o inondabili per la maggior parte dell’anno. Le

formazioni arboree raggiungono i 30 metri di altezza con sottobosco relativamente

denso. Buona parte dell’area è inondabile da fiumi di acque “nere”, ossia con molto

materiale organico in sospensione. Altri autori chiamano questo ecosistema igapò

Page 64: Pappalardo Tesis Yasuni

63

(Pourrut et al., 1995). Il suolo è fertile ed in alcuni casi mal drenato, formato da

superfici di spianamento. Il clima è umido o molto umido tropicale con precipitazioni

medie annue di 3.000 mm (Sierra, 1999). Le formazioni arboree appaiono

marcatamente idromorfiche caratterizzate da Mauritia flexuosa associata ad

Astrocaryum sp, con una volta forestale tra i 25 ed i 30 metri (Sierra, 1999).

Occupano i terrazzi fluviali umidi e con scarso drenaggio (ECORAE, 2002).

Zona Intervenida

Nella letteratura ecuadoriana il termine zona intervenida si riferisce ad un ambiente

dove la perdita di habitat un ecosistema dove l’impatto antropico ha determinato la

sostituzione della copertura vegetale. L’ecosistema è fortemente degradato ed i

processi antropici tendono alla modernizzazione ed all’urbanizzazione dello spazio

amazzonico. Più comunemente nella letteratura ecuadoriana tale situazione

ecosistemica viene definita zona intervenida, ossia un’area con elevato intervento

antropico che ha modificato la struttura ecosistemica (ECORAE, 2002). La zona

intervenida ricopre all’interno della RAE una superficie di 555.043 ha che

corrisponde al 16,25% dell’area. A causa della perdita di habitat tali aree non hanno

nessun valore ecologico e “si raccomanda di recuperare la loro attitudine naturale”

(ECORAE 2002).

Gelidofita

Si estende per un’area di 2.601 ha che rappresenta lo 0,08% della RAE e si trova

sopra i 4.700 metri s.l.m. Il paesaggio è dominato prevalentemente da muschi e

licheni. Le piante fanerogame sono praticamente assenti o crescono nel sottosuolo. La

temperatura media annua è prossima allo zero Celsius (ECORAE, 2002)

Páramo de almohadillas

Si localizza tra i 4.000 e 4.500 metri s.l.m. All’interno dell’Oriente copre circa

104.335 ha e rappresenta circa il 3% della regione amazzonica (ECORAE 20002).

Le formazioni vegetali sono in prevalenza arbusti, piante a rosetta e de almohadilla (a

cuscino), tipiche del paramo andino (Sierra, 1999). Le forme arboree sono assai

ridotte in dimensioni ed appartengono al genere Polylepis ed Escallonia. I suoli sono

poveri e fortemente erosi ed il clima di questi ecosistemi è caratteristico del paramo

Page 65: Pappalardo Tesis Yasuni

64

piovoso e del paramo molto piovoso. Le precipitazioni annuali medie sono tra i 1000

ed i 1500 mm. La temperatura fluttua tra i 4 ed i 9 gradi Celsius (Holdrige, 1967).

Páramo herbáceo

Questo ecosistema ricopre 54.345 ha, equivalente a 1,59% della RAE. La maggior

parte del paramo erbaceo si sviluppa tra i 3.400 e 4.000 metri s.l.m. Il suo limite

inferiore è sovente delimitato dalla Ceja Andina arbustiva laddove esiste l’ecosistema

originario, altrimenti la demarcazione coincide con aree deforestate sostituite con

campi coltivati. Questa tipologia di paramo è dominata da piante erbacee del genere

Calamagrostis e Festuca. Il suolo è a bassa fertilità, il substrato instabile e

impermeabile. La piovosità media annuale è tra 1 000 a 1 500 mm (Holdrige, 1967).

Paramo de frailejones

Questo ecosistema è caratterizzato da molte specie del genere Espeletia (Asteraceae)

e si colloca tra i 3.500 ed i 3.700 metri s.l.m nella cordigliera orientale dell’Ecuador.

Le specie piu’ rappresentative sono Azorella spp (Apiaceae); Espeletia pycnophylla

ssp angelensis; Espeletia pycnophylla ssp llanganatensis; Pentacalia andicola;

Pentacalia spp; Diplostephium floribundum; Baccharis teindalensis; Werneria

crassa (Asteraceae) (ECORAE, 2002).

Bosco di Neblina delle Ande orientali

Si ubica tra i 2.000 ed i 2.900 metri s.l.m. Gli alberi sono ricoperti da abbondante

muschio e sono numerose le epifite, specialmente le orchidee, felci e appartenenti alla

famiglia delle Bromeliaceae, che qui esprimono la loro massima biodiversità insieme

con le Bambusoideae (ECORAE, 2002). Questo ecosistema si estende su un’area di

109540 ha che equivale al 3,21% della RAE. Il clima è da temperato molto piovoso a

paramo molto piovoso. La temperatura fluttua tra i 12 e i 18 gradi Celsius, e le

precipitazioni annuali medie arrivano a 3.000 mm (Holdrige, 1967).

Bosco sempreverde alto montano delle Ande orientali.

Ricopre un’area di 182.177 ha che rappresenta il 5.33% della regione amazzonica

ecuadoriana. Si estende dai 2900 a 3.600 metri s.l.m..ed include la vegetazione di

transizione tra il bosco alto montano ed il paramo (Sierra, 1999). Il suolo è a bassa

fertilità ed il suo clima è compreso tra il piovoso-temperato al paramo molto piovoso.

Page 66: Pappalardo Tesis Yasuni

65

La temperatura oscilla tra i 12 ed i 18 gradi Celsius. La precipitazione annuale media

è di 1500 mm (Holdrige, 1967).

Bosco sempreverde basso montano della Cordigliera amazzonica

Si estende su un’area di 126.285 ha che rappresenta il 3,7% della RAE. La volta

forestale raggiunge i 20-30 metri di altezza il bosco è sempreverde e molto denso con

tre strati difficilmente separabili (ECORAE, 2002); Cedrela odorata risulta essere tra

le piante arboree emergenti. Si colloca tra i 1.300 e 1.700 metri s.l.m. ed il suo clima

è classificato come molto umido temperato e piovoso temperato con temperature tra i

12 ed i 18 gradi Celsius; le precipitazioni annuali medie oscillano tra i 1.500 ed i

2.000 mm (Holdrige, 1967).

Praterie della tierras bajas della Amazzonia

Consiste in formazioni vegetali galleggianti situate ai bordi delle lagune della pianura

amazzonica tra i 100 ed i 200 metri s.l.m.. Le associazioni erbacee sono dense e

possono raggiungere anche i due metri di altezza. La maggior parte delle specie sono

piante acquatiche delle famiglie delle Araceae, Marantaceae, Thyphaceae (Sierra,

1999). Il clima è analogo a quello della tierra firme.

Matorral alto montano della Cordigliera amazzonica.

Si estende su un’area di 2.335 ha e rappresenta appena lo 0,07% della RAE. La

vegetazione è tipo macchia e non superiore agli 8 metri di altezza e sono molto

abbondanti muschi e licheni; il tasso di endemismo è molto elevato (Sierra, 1999); il

suolo è a bassa fertilità ed il clima oscilla tra il temperato molto piovoso a temperato

umido (Holdrige, 1967). In questo ecosistema si trovano molte specie ancora

sconosciute delle famiglie Myrtaceae, Humiriaceae e Lauraceae. Il suolo è a bassa

fertilità. La temperatura oscilla tra i 12 ed i 18 gradi Celsius e le precipitazioni

annuali medie sono di 1.500 mm (ECORAE, 2002).

Bosco sempreverde pedemontano dell’Amazzonia

Ricopre un’area di 138.058 ha che equivale al 4,04% della RAE. Tra i 600 ed i 1300

metri si sviluppa una fascia ecotonica tra le specie amazzoniche ed andine (ECORAE,

2002). La volta forestale di queste formazioni vegetali supera i 30 metri di altezza. Le

piante arboree emergenti appartengono al genere Dacryode (Sierra, 1999). Il carattere

di ecotono è dato dalla presenza di alcuni generi tipici delle Cordigliera andina come

Page 67: Pappalardo Tesis Yasuni

66

Saurauia, Hedyosmum, Brunellia e Weinmannia (Ibid., 1999). La diversità biologica

relativa agli uccelli è decisamente alta: 465 specie che costituiscono più del 30% del

totale ecuadoriano (ECORAE, 2002). Il suolo ha una bassa fertilità ed il clima fluttua

tra il molto umido subtropicale e piovoso tropicale con una temperatura tra i 18 ed i

24 gradi e precipitazioni annuali al di sopra dei 2.000 mm (Holdrige, 1967).

Bosco sempreverde basso montano delle Ande orientali

L’area è di 67.406 ha ed equivale all’1,97% della RAE estendendosi in un intervallo

altimetrico tra i 1.300 ed i 2.000 metri s.l.m. Le piante rampicanti sono meno

presenti, mentre felci, orchidee ed i muschi diventano più abbondanti (ECORAE,

2002). Il suolo presenta una bassa fertilità ed il clima è temperato molto piovoso o

temperato umido; la temperatura oscilla tra i 12 e 18 gradi Celsius, con una

precipitazione annuale media di 1.500mm (Holdrige, 1967).

Le tipologie di ecosistemi appena discusse verranno riprese nel capitolo 4 dove sono

state sviluppate le analisi quantitative con il software G.I.S. prendendo in esame gli

ambienti naturali modificati dalle attività antropiche.

2.3.2 La Riserva della Biosfera Yasuní: biodiversità e gestione dell’area protetta Per soddisfare le condizioni della conservazione in situ e l’uso sostenibile degli

ecosistemi naturali e della biodiversità il governo ecuadoriano ha istituito il Sistema

Nazionale delle Aree Protette (SNAP) attraverso il decreto esecutivo numero 74,

approvato il 24 agosto 1981 (Ecociencia, IUCN, 2001) (vedi elaborazione G.I.S. fig.

2.6 p. 81 ).

Il Parco Nazionale Yasuní, grazie al supporto della Food and Agricolture

Organization (FAO) e della United Nation Environment Programme (UNEP), è stato

istituito nel 1979, appartiene al sistema SNAP ed insieme al territorio indigeno

Wuaorani costituisce la Riserva della Biosfera Yasuní (RBY) che, per la eccezionale

diversità biologica e per il patrimonio culturale delle popolazioni indigene, è definita

Page 68: Pappalardo Tesis Yasuni

67

e riconosciuta nel 1989 all’interno del programma Man and Biosphere dell’UNESCO

(Villaverde et al., 2005, p. 82).

La RBY è situata a nordest dello stato ecuadoriano, tra i fiumi Rio Napo e Rio

Curaray, e copre approssimativamente 16800 km2 di cui circa 9800 km2 sono definiti

come Parco Nazionale e 7000 km2 come riserva indigena Wuaorani (Villaverde et

al., 2005, p. 34) (vedi elaborazione G.I.S. fig. 4.1 pag. 120).

Inoltre Tramite il Decreto Esecutivo n° 552 del 1999 è stata creata, al fine di dare

un’alta priorità di conservazione e tutela, un’area a “Riserva Integrale” di 7580 km2,

denominata Zona Intangible, la quale definisce un limite all’interno del quale vivono

in isolamento volontario gruppi indigeni “non contattati” Tagaeri-Taromenane (vedi

elaborazione G.I.S. fig. 4.1 pag. 120), appartenenti all’etnia Wuaorani, che si

mantengono al di fuori dell’influenza del mondo culturale ed economico occidentale.

All’interno di quest’area infatti è formalmente interdetta qualunque forma di attività

estrattiva (Oilwatch, 2005).

Il Parco Nazionale Yasuní (PNY), preso in esame dalla Commission on National

Park and Protected Areas (CNPPA), rientra ufficialmente nella lista dei Parchi

Nazionali ed aree protette IUCN e, in quanto tale, nel 1979 è stato inserito nella

categoria II (IUCN, 1982, p. 196) designato legalmente come strict protected area

(Naughton-Treves et al., 2006).

Le formazioni vegetali presenti nella RBY appartengono al bioma del bosco umido

tropicale (tropical moist forest, Holdridge 1967) di cui oltre l’80% dell’area è

dominata dall’ecosistema tierras bajas de la Amazonia comunemente chiamato tierra

firme, e da terre inondabili por aguas blancas (Varzea) e por aguas negras (Igapò)

(secondo il sistema di classificazione di Sierra, 1999) (vedi elaborazione G.I.S., fig.

4.2 pag. 123).

La R.B.Y. è collocata nella regione inserita tra i venticinque centri di biodiversità

(biodiversity hotspots), denominata da Myers Tropical Andes (2000) ed è considerata

una delle aree geografiche con i più alti livelli di biodiversità dove si concentra il

maggior numero di specie endemiche (Villaverde et al., 2005; ECOCIENCIA, IUCN,

2001; Scientists concerned YNP, 2004). In particolare sono stati riscontrati alti livelli

Page 69: Pappalardo Tesis Yasuni

68

di biodiversità per piante arboree, epifite, anfibi, rettili, pesci d’acqua dolce, uccelli,

chirotteri ed insetti (ECOCIENCIA, IUCN, 2001).

Su scala globale la parte occidentale dell’Amazon Basin è una delle 20 aree mondiali

che contiene più di 3000 specie di piante vascolari su 10.000 Km2 di superficie

(Gomez et al., 1991; Scientists concerned YNP, 2004).

L’eccezionale biodiversità e tasso di endemismi presenti all’interno della RBY sono

probabilmente da ricondursi alla teoria dei “rifugi forestali” del Pleistocene (the

Pleistocene Refugia Hypotesis) la quale ritiene che, all’interno di aree tropicali e sub-

tropicali, le specie abbiano potuto sopravvivere ai drastici cambi climatici del

Quaternario isolandosi e continuando i processi di speciazione (Mayr et O’Hara,

1985).

Complessivamente in tutta l’area della RBY sono state descritte e identificate 1813

specie di piante arboree di cui 300 completamente nuove a cui tutt’oggi deve essere

ancora attribuito un nome scientifico (Ecociencia, 2001).

Secondo gli studi condotti dalla Stazione Scientifica di Ricerca Yasuní (Università

Cattolica di Quito, PUCE) sulla composizione e dinamica forestale, all’interno di un

plot di 25 ha di area sono state censite 1.104 specie di piante arboree ed arbustive.

Tale valore di diversità biologica è comparabile solamente con quelli del Lambir Hill

National Park (Malaysia) dove sono state registrate 1.182 specie in un plot di 52 ha.

(Pitman, 2002; vedi allegato pag. 195 ). Inoltre, solamente riferendosi ad un plot di un

ettaro prossimo alla Stazione per Ricerca sulla Biodiversità Tiputinì (TBS) nella

RBY, sono state registrate 644 specie di piante arboree. Nella RBY la diversità

specifica si estende anche ad altri taxa vegetali, tra cui 313 specie di epifite (Kreft et

al., 2004), 500 specie di liane (Valencia et al., 2002).

Con 567 specie registrate la RBY è ugualmente tra i siti con più alta diversità nel

taxon uccelli, di cui l’area protetta ha un ruolo chiave nella conservazione poiché essa

contiene il 44% delle 1300 specie di uccelli documentate in Amazzonia, la regione

con il più alto numero di uccelli del mondo (Haffer, 1990 in Scientists concerned

YNP, 2004).

Anche rispetto ai mammiferi la RBY presenta valori di diversità elevati. Essa ospita

come minimo 173 specie di mammiferi che rappresentano circa il 40% delle specie

Page 70: Pappalardo Tesis Yasuni

69

presenti nell’Amazon Basin, tale valore è assai indicativo se si pensa che la RAE

costituisce solamente il 2% di superficie del bacino amazzonico. Nella Riserva della

Biosfera in oggetto, tra l’altro si trovano 10 specie di primati non umani tra cui

Alouatta senicolus, Lagothrix lagotricha, e la nota spider monkey, ossia Ateles

belzebuth (Di Fiore, 2001).

Lo stesso dicasi per i chirotteri: 81 specie documentate che rappresenta circa il 10%

delle 986 specie note al mondo (Scientists concerned YNP, 2004). All’interno della

RBY è stata registrata inoltre la presenza di 105 specie di anfibi e di 83 specie di

rettili, rappresentando, in termini di erpetofauna, la maggior diversità di tutto il

continente sudamericano (ECOCIENCIA, IUCN, 2001). Rispetto ciò è rilevante far

presente che la zona di Santa Cecilia, a nord della RBY, aveva il primato di diversità

in erpetofauna con la presenza di 177 specie, il cui habitat però è stato fortemente

degradato dai processi di colonizzazione attivatisi lungo le vie di comunicazione

dell’industria petrolifera (Read, 1996 in Scientists Concerned YNP, 2004).

Anche se non esistono stime precise nella letteratura scientifica esistente, alcuni

autori, tra cui Erwin, ritengono che in un ettaro di foresta umida della RBY possano

esserci più di 100 mila specie di insetti ed un numero come 6x1012 individui: la più

alta biodiversità in termini di insetti al momento nota. Moltissime di queste specie

sono completamente nuove alla scienza e molti sono i generi che si stanno oggi

scoprendo (Erwin in Scientists concerned YNP, 2004).

Per la quantità di specie ad alta priorità di conservazione il World Conservation

Monitoring Center, utilizzando le categorie IUCN, ha pubblicato nella Lista Rossa

mondiale numerose specie minacciate d’estinzione presenti all’interno della RBY.

Tra i Gravemente minacciati (Critically endangered) a livello globale si segnala la

lontra gigante (Pteuronura brasiliensis), il tricheco di Manatee (Trichecus inunguis)

che vivono negli ambienti acquatici dei fiumi Yasuní e Pastaza (Carrera, 2006).

Anche la CITES ha inserito all’interno delle Appendici I e II numerose specie

minacciate, tra cui solo per menzionarne qualcuna, il delfino rosa di fiume (Inea

geoffrensis), il puma (Puma concolor) ed il tapiro amazzonico (Tapirus terrestris).

Per visualizzare in dettaglio, in base ai dati disponibili, l’elenco delle specie a rischio

Page 71: Pappalardo Tesis Yasuni

70

ed il loro grado di minaccia tra i mammiferi, anfibi ed uccelli, in relazione alle

categorie IUCN ed alle Appendici I e II cella CITES (vedi tab. 2 in allegati p. 195).

Esiste dunque un contesto legislativo articolato in diversi gradi di protezione che

regolamenta i programmi per la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse

naturali di tale area protetta. All’interno dello Stato ecuadoriano l’area geografica

corrispondente allo Yasuni, assimilabile alla categora National Park IUCN, è

regolamentata dall’Istituto Ecuatoriano Forestales y de Areas Naturales y Vida

Silvestre (INEFAN) che si interlaccia con il Ministero dell’Ambiente e

dell’Agricoltura; la riserva indigena che include il territorio indigeno Wuaorani è

stata istituita per decreto legge ma non appartiene al Sistema Nazionale Aree Protette

(SNAP); la cosiddetta zona intangibile, ad alta priorità di conservazione, ma collocata

al di fuori del Sistema Nazionale delle Aree Protette.

A livello internazionale l’insieme del territorio indigeno Wuaorani e il Parco

Nazionale Yasuni vanno a costiture la Riserva della Biosfera del programma MAB.

Nonostante l’elevato, seppur contraddittorio, complesso sistema di protezione dovuto

alle peculiari caratteristiche dell’area di studio ed alla legislazione ecuadoriana,

questa zona, situata nella parte occidentale dell’Amazzonia è stata condizionata dagli

enormi giacimenti petroliferi che ha nel sottosuolo determinando la suddivisione del

territorio in aree geometriche per la produzione petrolifera e sovrapponendo le aree

ad altissima biodiversità con le aree per la produzione petrolifera. (vedi fig. 2.3 p. 71)

Page 72: Pappalardo Tesis Yasuni

71

Fig. 2.3 Biodiversità per numero di specie di mammiferi, uccelli ed anfibi nei continenti americani. Sovrapposizione tra biodiversità, aree protette e concessioni petrolifere nell’Amazzonia occidentale. (fonte: Ploseone, elaborazione di Finer, 2008)

Page 73: Pappalardo Tesis Yasuni

72

2.3.3 La produzione petrolifera: impatti socio-ambientali. Il petrolio nel suo intero ciclo di produzione è uno dei processi principali che

configura il territorio amazzonico e, in particolare, per la sua intensità e densità,

l’area di studio presa in esame (vedi fig. 4.2 p. 123). L’area di studio si colloca

all’interno della più grande riserva petrolifera del territorio ecuadoriano, che coincide

geograficamente con la Regione Amazzonica Ecuadoriana (RAE) (Narvaez, 2001) e

che oggi rappresenta uno degli spazi dove le arene di contesa ambientale trovano

espressione (Ortiz, 1999).

La cosiddetta colonizzazione petrolifera della RAE è un processo multifattoriale che

è accompagnato da attività parallele che esercitano influenze dirette ed indirette nel

territorio amazzonico ecuadoriano (Fontaine 2003, 2006; Narvaez 1996).

E’ infatti tramite le prime attività esplorative (peraltro di scarso successo) che la

compagnia petrolifera Shell nel 1937 costruisce la prima via di comunicazione

terrestre che unisce l’Oriente alle Sierra (Haller et al., 2007). Le attività produttive

però hanno cominciato ad avere carattere industriale ed economico a partire dagli

inizi del 1970, quando la compagnia statunitense Texaco ha cominciato a dislocare

nella RAE le prime installazioni per l’estrazione e la produzione di petrolio

(Kimerling, 1991).

E’ in questo periodo che l’Ecuador intraprende la sua corsa per l’esplorazione e lo

sfruttamento dei grandi giacimenti di combustibili fossili che si trovano nel

sottosuolo dell’amazzonia ecuadoriana, realizzando l’insieme delle infrastrutture per

poter facilitare, sostenere ed implementare l’industria petrolifera (Fontaine, 2003).

Nel 1971 infatti, dopo aver rilevato la presenza di enormi reservoir petrolifere, lo

stato ecuadoriano costruisce la seconda via di comunicazione terrestre tra Lago Agrio

e Quito e, con l’aiuto economico e tecnico di numerose compagnie petrolifere

internazionali costruisce parallelamente l’oleodotto SOTE (Sistema de Oleoductos

Tran Ecuatorianos) che permette il trasporto del petrolio greggio dalle piattaforme

d’estrazione e separazione (cracking) alle raffinerie situate sul litorale Pacifico

(Haller, 2007). L’oleodotto SOTE affonda le sue radici nel sottosuolo dell’Oriente

amazzonico e corre i suoi 500 Km di lunghezza elevandosi sulle Ande per trasportare

Page 74: Pappalardo Tesis Yasuni

73

il petrolio greggio fino al porto di Balao, nella provincia di Esmeraldas (Ortiz et al.,

1995) (vedi elaborazione G.I.S., fig. 4.21 p. 161).

La capacità di trasporto del SOTE è stata implementata di tre volte per far fronte a

quello che l’Ecuador ha conosciuto come boom petrolero tra il 1970 ed il 2000,

trasportando da 250.000 barili di greggio al giorno nel primo periodo fino ad arrivare

a 400.000 barili/giorno nel 2005 (Fontaine, 2006).

Fig. 2.4 Oleodotto SOTE, passo andino di Papallacta Nel 1972 lo stato ecuadoriano è entrato nell’OPEC (Organization of Petroleum

Exporting Countries) per uscirne nel 1992 a causa della sovraproduzione e per aver

ecceduto le quote di mercato (Narvaez, 2000).

Con la continua e crescente domanda da parte dei mercati e l’avanzata della frontiera

petrolifera nell’estremo Oriente, l’Ecuador ha ulteriormente implementato il

complesso infrastrutturale per il trasporto del greggio costruendo, tramite un

consorzio di compagnie transnazionali tra cui anche l’ENI-AGIP, l’Oleducto de

Crudo Pesados (OCP, Oleodotto di Greggio Pesante), che dal territorio indigeno

Page 75: Pappalardo Tesis Yasuni

74

Wuaorani all’interno della RBY si allaccia nella località andina di Baeza all’oledotto

principale SOTE (Arco Oriente, 1999).

Attualmente la produzione di petrolio supera i 400.000 barili al giorno che vanno a

coprire quasi il 50% del PIB (Prodotto Interno Lordo) ed il 40% delle esportazioni

dello stato ecuadoriano (Fontaine, 2004).

Per consentire le fasi di esplorazione e di sfruttamento dei giacimenti petroliferi lo

stato ecuadoriano, attraverso il Ministero dell’Energia, ha stabilito criteri e modalità

per il diritto di accesso al sottosuolo amazzonico (Narvaez, 1998).

In questo modo, nonostante le numerose aree protette gestite e tutelate all’interno

dello SNAP (Sistema Nazionale per le Aree Protette, di competenza del Ministero

dell’Ambiente) ed i territori indigeni tutelati dalla Costituzione ecuadoriana, l’Oriente

amazzonico è stato suddiviso in numerosi lotti petroliferi (Oilwatch, 2005).

Le concessioni petrolifere (Oil Blocks) per l’esplorazione e la produzione petrolifera

ricoprono oggi circa 7 milioni di ettari del suolo nazionale (vedi elaborazione G.I.S.,

fig. 4.21, pag. 168) e, nel corso degli anni sono state assegnate a diverse compagnie

petrolifere, spesso transnazionali, che hanno notevolmente influenzato il territorio

nella sua complessità, coinvolgendo Parchi Nazionali, Riserve della Biosfera,

comunità locali (indigene e contadine) e territori indigeni legalmente assegnati dallo

stato.

Circa il 60% della Regione Amazzonica Ecuadoriana è suddivisa in lotti petroliferi

che si sovrappongono geograficamente al Sistema delle Aree Protette (vedi

elaborazione G.I.S, fig. 4.22 pag. 162), di cui la categoria Parques Nacionales è

riconosciuta dallo stato ecuadoriano e descritta nelle linee guida dell’IUCN tra i

modelli di conservazione e protezione dell’IUCN dei Parchi Nazionali (vedi

documento 1 in allegati p. 194).

Allo stato attuale, per garantire le attività esplorative ed estrattive, dodici Oil Blocks

si trovano all’interno della Riserva della Biosfera Yasuní, inclusa la buffer zone (vedi

elaborazione G.I.S., fig. 4.23 pag. 163).

Gli impatti diretti ed indiretti della colonizzazione petrolifera dell’Amazzonia

ecuadoriana sono molteplici e coinvolgono sia la sfera ambientale che quella sociale,

Page 76: Pappalardo Tesis Yasuni

75

coinvolgendo attori interni come le comunità locali (indigene e contadine) e lo stato

ecuadoriano ed attori esterni come le compagnie petrolifere.

Gli impatti delle attività petrolifere cominciano dalla indispensabile fase esplorativa

sul campo, tramite la cosiddetta prospezione sismica (seismic prospection) (Ortiz,

1995; Fontaine 2003, 2006; Haller et al., 2007). Per sviluppare tali attività viene

spianata una porzione di foresta per costruire la base logistica, il primo eliporto, da

cui tramite metodi geofisici a riflessione partono le prime linee, di 3 o 5 metri di

ampiezza, per costruire un graticolato di centinaia di km2 dove vengono posizionati

centinaia di geofoni. Dopo aver scavato fosse profonde 10-20 metri ed aver provocato

esplosioni di cariche di dinamite di 20 libbre ciascuna, si procede alle valutazioni

geosismiche (Pieri, 1988; Kimmerling, 1996; workshops Quito 2006a; 2006b, 2006c,

2008a interviste semistrutturate). Le esplosioni producono onde d’urto che vengono

riflesse e rifratte in maniera diversa e cambiano la loro velocità a seconda della

densità, consistenza e forma delle rocce nel sottosuolo; in questo modo è possibile

individuare pieghe anticlinali, diapiri ed elementi di discontinuità stratigrafica (Pieri,

1988).

La seconda fase è quella esplorativa vera e propria che, tramite la perforazione di

pozzi denominati wildcats, (i pozzi pionieri), consente di individuare e delimitare i

campi petroliferi in base ai risultati prodotti da tali piattaforme d’estrazione che

“sondano” il sottosuolo per individuare i reservoir (Pipkin, 2007). Questa fase è

indispensabile e delicata poiché solo attraverso valutazioni qualitative e quantitative

dei dati provenienti dai wildcats le compagnie petrolifere decidono se procedere alla

fase estrattiva e produttiva. Le probabilità che i pozzi pionieri abbiano successo è

molto bassa. E’ stato calcolato che vi è solamente una possibilità su 50 che un pozzo

wildcat dia esito positivo. La probabilità migliora se si considerano tutti i pozzi

trivellati, inclusi quelli relativi ai campi petroliferi conosciuti. Tra il 1970 ed il 2003,

un pozzo su quattro è stato perforato con successo (Pipkin, 2007). Delle centinaia di

pozzi presenti nella RAE buona parte sono wildcats (vedi elaborazione G.I.S., fig

4.22 pag. 162)

I reflui industriali vengono prodotti a partire da questo stadio del ciclo di produzione

e per pratica diffusa vengono dispersi fosse o vasche non impermeabilizzate, o

Page 77: Pappalardo Tesis Yasuni

76

semplicemente rilasciati nell’ambiente, senza nessun trattamento, come si vede nella

fig. 2.4 all’interno dell’area di studio (Haller et al. 2007, Narvaez 1996, 2000;

Oilwatch 2005; 2006a, 2006b, 2008, interviste semistrutturate sul campo).

Fig. 2.4 Vasca di raccolta reflui dell'industria petrolifera, San Carlos L’impatto ambientale dell’industria petrolifera più rilevante è quello sui corpi

d’acqua (Narvaez 2000; Fontaine 2006; workshop Quito, 2006; interviste

semistrutturate sul campo 2006b, 2006d).

Il petrolio estratto in Ecuador viene chiamato crudo poiché è una miscela di acqua di

strato, gas di origine organica (dal CH4 al C4H10), di origine inorganica (H2S, CO2) e

sedimenti sciolti (prevalentemente sabbie e gesso). La composizione dell’acqua di

strato presente nell’acquifero circostante il giacimento ha una composizione variabile,

dipendendo dal tipo di rocce e dalle condizioni di temperatura e pressione che hanno

determinato la formazione del reservoir) (Narvaez, 2000). Se le rocce sono calcaree

ci si aspetta grandi quantità di calcio, magnesio, potassio ed altri elementi metallici in

minor proporzione; se le rocce sono silicee saranno predominanti i silicati di sodio,

potassio, calcio, magnesio (Fontaine 2006).

Page 78: Pappalardo Tesis Yasuni

77

Essendo l’acqua un importante solvente e provenendo da considerevoli profondità nel

sottosuolo (3000-5000 metri) contiene inoltre metalli pesanti (come V, Ni, Al, Pb),

composti organici a basso peso molecolare, differenti sali inorganici ed alcuni gas

come anidride carbonica, ossigeno e azoto (Narvaez, 2000).

Fig. 2.5 Fossa per lo smaltimento dei reflui industriali. Dayuma, 2008 Se le rocce trappola contengono elementi radioattivi, le stesse acque di strato possono

contenerle. Sono presenti inoltre varie impurità in sospensione, la cui concentrazione

può rendere l’acqua inutilizzabile anche a fini industriali (Narvaez, 2000).

L’acqua petrolifera che fuoriesce dai pozzi d’estrazione inoltre contiene diversi

additivi chimici utilizzati dall’industria per agevolare ed ottimizzare le quantità di

greggio da sfruttare (Narvaez, 2000) che viene veicolata attraverso polidotti verso i

centri di processamento (Central Processing Facilities, vedi fig. 3.4 pag. 116).

L’acqua che deriva complessivamente dalla produzione petrolifera viene chiamata

nella letteratura scientifica ecuadoriana agua de formacion e rappresenta il principale

elemento diretto di contaminazione ambientale nella Regione Amazzonica

Ecuadoriana (Haller et al., 2007).

Page 79: Pappalardo Tesis Yasuni

78

L’agua de formacion viene estratta in proporzioni diverse variando a seconda del sito

di produzione petrolifera, ma rappresenta sempre la parte preponderante del fluido

estratto dal sottosuolo (Narvaez, 2000); in alcuni casi su 10 barili estratti 8 sono

costituiti da agua de formacion (Guerrero, 2008, comunicazione personale intervista

semistrutturata).

La produzione petrolifera nella RAE è associata a 217.741 barili di agua de

formacion al giorno (Narvaez, 2000) di cui, per le poche informazioni documentate,

solamente la compagnia nazionale Petroecuador riversa 31.000 barili diari

nell’ambiente (Narvaez, 1996, 2000).

E’ infatti lo smaltimento delle acque reflue non trattate dell’industria petrolifera che

costituisce l’impatto ambientale e sociale più rilevante il quale può determinare, nella

sua complessità, la dimensione del conflitto ambientale.

Anche se non sono state condotte molte indagini sull’inquinamento dei sistemi

acquatici a causa delle difficoltà operative in loco, la letteratura esistente presenta dei

dati interessanti.

E’ infatti la CORDAVI nel 1991 (Corporacion por la Defensa de la Vida) che

attraverso gli studi condotti sulle qualità delle acque dei bacini fluviali della zona di

Coca e Lago Agrio, farà emergere la dimensione del conflitto ambientale amazzonico

nell’arena di contesa giudiziaria, portando i risultati delle analisi all’International

Water Tribunal di Amsterdam (IWT) (De Marchi, 2004).

Tali studi si sono focalizzati principalmente sugli impatti dell’industria petrolifera sui

corsi d’acqua e sulle falde freatiche, facendo emergere elevati livelli d’inquinamento.

I dati provenienti dall’esame di campioni d’acqua prelevati all’interno dei campi

petroliferi hanno rivelato alte concentrazioni di sali e di idrocarburi policiclici

aromatici esprimendo valori rispettivamente di 31 g/l e di 1000 ppm. A causa

dell’elevata densità di drenaggio dei bacini fluviali della RAE sono stati esaminati

inoltre campioni d’acqua provenienti da siti in prossimità dei campi petroliferi e a

notevole distanza rivelando concentrazioni di idrocarburi da 10,196 a 0.23 mg/l nei

luoghi più lontani (Varea, 1997, pp. 331-333). Il limite individuato della presenza di

idrocarburi per la stabilità degli ecosistemi acquatici è di 0.004 mg/l (Narvaez, 2000).

Page 80: Pappalardo Tesis Yasuni

79

In un altro studio condotto nell’area di studio tra i corsi d’acqua del Rio Napo e Rio

Coca, dove le comunità locali bevono, pescano e si bagnano, attraverso l’analisi di

campioni d’acqua si sono riscontrate concentrazioni di idrocarburi da 100 a 10.000

volte superiori ai limiti consentiti dall’Agenzia per la Protezione Ambientale

statunitense (EPA) (CDES, 1994; Hurtig et al., 1998).

A seconda dello stadio del ciclo di produzione petrolifero vengono generati materiali

reflui differenti dal punto di vista qualitativo e quantitativo.

Ogni pozzo esplorativo perforato produce mediamente 4000 m3 di reflui industriali

non trattati che vengono deposti in fosse scavate nella terra chiamate in gergo

piscinas (vedi fig 2.4 p. 76)

Solamente all’interno dei Centri per il Processamento del petrolio greggio (CPF)

vengono prodotti più di 16 milioni di litri di fluidi reflui ogni giorno, smaltiti

direttamente nell’ambiente (Hurtig et al., 1998, p. 25-30).

Nonostante non esistano ricerche specifiche condotte su vasta scala, gli impatti

ambientali diretti sulla biodiversità appaiono rilevanti. In accordo con gli studi

condotti dalla CORDAVI all’interno delle formazioni boschive tropicali (TMF)

direttamente a contatto con l’industria petrolifera (piattaforme di produzione, CPF,

oleodotti) la perdita di flora è stata stimata intorno al 60% delle famiglie, al 71% dei

generi ed al 70% delle specie (Varea, 1997, p. 332).

2.3.5 Vie di comunicazione terrestri all’interno dell’area di studio

All’interno del territorio amazzonico ecuadoriano i processi per lo sviluppo della

produzione petrolifera determinano impatti a catena per effetto di altre attività come

l’agricoltura intensiva (ad esempio la Palma africana), il taglio legale ed illegale di

legname pregiato della foresta tropicale, la colonizzazione agraria campesina

(Narvaez, 2000).

Page 81: Pappalardo Tesis Yasuni

80

Le infrastrutture stradali costruite per l’esplorazione e la produzione petrolifera

rappresentano il principale fattore di migrazione e d’espansione dell’agricoltura non

tradizionale all’interno dell’area di studio (Walsh et al., 2002).

Solamente tra il 1985 ed il 1996 le compagnie petrolifere e lo stato ecuadoriano

hanno implementato la rete viaria della RAE del 400% portando da 1830 a 7250 Km

l’estensione dei tracciati stradali all’interno della foresta umida tropicale (Scientists

concerned YNP, 2004).

Recenti studi hanno stimato che per ogni chilometro di strada costruita all’interno

della foresta umida tropicale vengono deforestati 120 ettari, convertendo l’uso del

suolo in attività agricole permanenti.

Le strade di maggior importanza dal punto di vista strutturale, di colonizzazione

agricola e di impatto ambientale che coinvolgono la RBY sono la Via Auca e la Via

Maxus.

La Via Auca, finanziata e costruita dalla compagnia petrolifera Texaco rappresenta,

storicamente, la prima grande “arteria” infrastrutturale di comunicazione terrestre per

garantire l’esplorazione e lo sfruttamento petrolifero all’interno della RAE (Haller,

2007). Le prime attività per la costruzione dell’asse stradale all’interno della foresta

umida tropicale risalgono al 1972 (Kimerling 1996) e nel corso di trent’anni è

diventata sia la dorsale portante per l’industria petrolifera sia la via principale della

colonizzazione agricola delle popolazioni locali (vedi elaborazione G.I.S., fig. 3.1 p.

112).

E’ infatti attraverso la Via Auca e la sua fitta rete di senderos e caminos aperti nella

foresta primaria che gruppi indigeni e colonos si spostano per insediarsi nelle

cosiddette linee di colonizzazione all’interno della foresta primaria (Walsh et al.,

2002).

Riguardo a tali processi di colonizzazione petrolifera e successivamente agricola è

utile considerare che la RAE ha perso durante questa fase di “modernizzazione” il

7,2% di foresta primaria con un tasso di deforestazione che è aumentato dal 6.8% del

1986 al 13.5% del 2001. La stessa Via Auca gioca un ruolo chiave in tali processi e

rappresenta attualmente l’avamposto tra i 14 maggiori fronti di deforestazione a

livello mondiale (Myers, 1993).

Page 82: Pappalardo Tesis Yasuni

81

Gli impatti ambientali delle infrastrutture di comunicazione terrestre sugli ecosistemi

della foresta umida tropicale sono ampiamente documentati nella letteratura

scientifica e si articolano nella perdita di habitat legato alla deforestazione ed ai

processi di territorializzazione per sostituzione della copertura vegetale, alla

diffusione di agenti inquinanti (spesso per la costruzione di strade nella RAE vengono

utilizzati scarti della produzione petrolifera), l’effetto margine, frammentazione di

popolazioni ed altri elementi legati ad effetti visivi, acustici, e meccanici che possono

influenzare il comportamento degli animali e la loro distribuzione (Scientists

concerned, 2004).

Fig. 2.6 Elaborazione GIS: Ecuador, Sistema Aree Protette e concessioni petrolifere

Page 83: Pappalardo Tesis Yasuni

82

2.3.6 Uso del territorio Nell’area interessata dallo studio di caso si intersecano logiche di uso e

organizzazione del territorio discordanti se a volte non contrapposte. Molte di queste

derivano dalla stessa storia di colonizzazione dell’Oriente e dai processi di

integrazione dello spazio amazzonico ad opera dello Stato ecuadoriano (Narvaez,

1999).

Lo stesso termine “oriente” con il quale viene definita è evocativo e lo colloca in uno

spazio simbolico dell’immaginario nazionale.

Con le spedizioni esplorative dei conquistadores spagnoli come Francisco de

Orellana (il primo uomo bianco che ha navigato il Rio Napo e che battezzò il Rio

delle Amazzoni) crolla rapidamente il mito di El Dorado e si esauriscono le

spedizioni dei “cacciatori” di oro e di diamanti. L’Amazzonia ecuadoriana diventa,

per tutto il 1700 ed il 1800, per l’immaginario collettivo delle popolazioni urbane e

per le politiche dello stato ecuadoriano, una periferia lontana e inaccessibile

(Narvaez, 2000).

La Regione Amazzonica Ecuadoriana, per le sue barriere naturali costituite

dall’imponente catena montuosa delle Ande, era considerata fino alla metà del

novecento una zona remota e inospitale, una foresta umida fitta e densa non

facilmente penetrabile abitata da temibili gruppi indigeni, gli Aucas, ossia i

“selvaggi” (Cabodevilla, 1999).

Il processo di integrazione della regione amazzonica alle logiche modernizzanti dello

Stato ecuadoriano è cominciato verso la metà del 1900 attraverso l’espansione dei

mercati mondiali che ha dato il via alla ricerca di nuove materie prime e di risorse

energetiche da sfruttare, con la necessità, allo stesso tempo, di diminuire la pressione

demografica nell’area andina (la Sierra), attraverso l’assegnazione di lotti agricoli, le

fincas di 50 ha di terra, agli abitanti delle Ande perché andassero a colonizzare l’area

amazzonica.

E’ così che, attraverso la legge di Riforma Agraria e di Colonizzazione (Ley de

Reforma Agraria y Colonizacion), lo stato ecuadoriano avvia di fatto l’integrazione

della RAE (Region Amazzonica Ecuadoriana) incentivando le migrazioni

Page 84: Pappalardo Tesis Yasuni

83

nell’Oriente attraverso l’assegnazione di parcelle di terreno ad uso agrario (Vallejo,

2003). L’appropriazione dei terreni dell’Oriente amazzonico era libera, ma i titoli di

proprietà venivano assicurati alla condizione di deforestare almeno la metà dei 50

ettari occupati dai contadini che migravano nella RAE. Questi nuovi attori che si

inseriscono nelle dinamiche territoriali migrando all’interno dello spazio amazzonico

sono definiti colonos, e possono essere sia gruppi indigeni che meticci (Tapia, 2004).

In questo modo venivano attivati i processi d’espansione della frontiera agricola in

Amazzonia.

A partire dalla scoperta dei primi reservoir petroliferi all’interno della RAE, tra il

1920 ed il 1940 ad opera della compagnia Shell Oil, ma soprattutto nel 1972 tramite

la compagnia Texaco insieme al Consorzio Ecuadoriano per l’Estrazione Petrolifera

(CEPE) si attivano i processi di integrazione dell’Oriente intrecciandosi con la

necessità di mettere a produzione i giacimenti di combustibili fossili presenti nel

sottosuolo amazzonico (Narvaez, 2000; De Marchi, 2004).

Seguendo il processo di espansione della frontiera agricola e petrolifera è possibile

osservare le dinamiche degli attori locali. Le popolazioni indigene, l’attore interno per

eccellenza del sistema territoriale amazzonico, vengono in contatto nel corso della

storia con missionari, esploratori, colonos dalla Sierra e dalla Costa (Tapia, 2004;

Narvaez, 1996). Il sistema di organizzazione territoriale delle popolazioni indigene si

fondava, sostanzialmente, sulla continuità dei territori ancestrali. Questo significa che

una popolazione indigena occupava un’estensione molto ampia di territorio

amazzonico che risultava quindi a bassa densità demografica, organizzandosi in

comunità distribuite in ogni parte dei territori ancestrali. Lo spazio amazzonico

diventa territorio comunitario, di norma sufficiente per il sostentamento e la

riproduzione sociale delle popolazioni indigene, attraverso un controllo simbolico

delle risorse naturali attuate attraverso pratiche tradizionali di agricoltura, caccia,

pesca e raccolta (De Marchi, 2004).

Nei periodi in cui le risorse interne al territorio comunitario diventavano insufficienti,

gli appartenenti alla comunità potevano spostarsi nei territori contigui, ad uso comune

tra le diverse comunità della stessa popolazione indigena. La logica secondo la quale

le comunità si insediavano in un territorio seguiva le vie d’acqua, organizzandosi in

Page 85: Pappalardo Tesis Yasuni

84

un sistema territoriale plasmato dai bacini idrografici amazzonici ed utilizzando i

corsi d’acqua in ampio spettro di ordini gerarchici (Brownrigg, 1996; Marchetti 2000;

Bertoncin, 2004).

Nel corso della storia, con l’ingresso nel territorio amazzonico di attori esterni, si

sono viste contrapposte sempre due logiche: quella degli attori esterni che cercavano

di accentrare le comunità indigene intorno ai pueblos (villaggi di colonizzazione nella

selva, di norma lungo i fiumi principali), e quella della maggior parte delle

popolazioni indigene che tentavano di fuggire a questa logica allontanandosi ancora

di più verso l’interno, verso le aree meno accessibili, seguendo corsi fluviali minori

(Tapia, 2004).

Tra gli attori esterni i colonos sono quelli che, pur determinanti nella trasformazione

del territorio amazzonico, si sono integrati in questo processo, venendo nel tempo a

condividere con le popolazioni indigene stili di vita e usi del territorio (Moran, 2000).

Una differenza determinante tra logiche indigene e logiche esterne si è verificata nel

momento in cui ha avuto luogo la lottizzazione delle concessioni petrolifere (Oil

Blocks) e la titolazione dei terreni ad uso agricolo nel territorio amazzonico:

parcellizzazione contro continuità territoriale.

Logiche di sfruttamento produttivo contro logiche di sostentamento. L’Oriente

diventa quindi lo spazio fisico che contiene le risorse naturali da sfruttare da parte

delle compagnie statali o da appaltare a compagnie private nazionali e straniere, per

l’estrazione prevalentemente di combustibili fossili, legname ed altri prodotti

forestali. I processi di colonizzazione amazzonica vengono portati avanti attraverso la

progressiva costruzione di infrastrutture di comunicazione terrestre, attuata dalle

compagnie petrolifere. La prima strada che collega l’Amazzonia ecuadoriana alla

Sierra risale al 1937, costruita dalla compagnia Shell Oil, e dà il via alla prima

riorganizzazione territoriale dei colonos nello spazio amazzonico ecuadoriano.

E’ attraverso la costruzione di vie di comunicazione stradali pavimentate che ha

luogo la riorganizzazione territoriale della RAE, determinando processi di

territorializzazione per sostituzione della copertura vegetale (vedi elaborazione GIS.,

fig. 3.1 pag 112) (De Marchi, 2004).

Page 86: Pappalardo Tesis Yasuni

85

Le logiche modernizzanti assunte come regola territoriale dall’attore statale e da attori

esterni come le compagnie petrolifere si sviluppano proprio a partire dalle principali

dorsali di comunicazione terrestre, e si intrecciano con i processi di colonizzazione

agricola di cui i colonos sono attori protagonisti.

2.3.7 Attori e poste in gioco

Allo stato attuale, all’interno dell’area di studio, è presente una dinamica attoriale

complessa che non sempre consente di distinguere nettamente gli attori territoriali in

gioco. Si tenterà comunque di interpretare e di categorizzare gli attori presenti

nell’area di studio in base agli interessi di cui sono portatori ed alle dinamiche che

configurano il conflitto ambientale. Pertanto è operazione utile dividerli in attori

“interni” ed “attori esterni” (Bertoncin, 2004).

I principali attori interni si possono distinguere all’interno delle popolazioni locali

(indigeni e colonos) e le amministrazioni locali. Lo Stato ecuadoriano in Amazzonia

si comporta invece come attore esterno, ed è a sua volta differenziato in istituzioni

ministeriali come il MAE (Ministero dell’Ambiente che gestisce il Parco Nazionale

ed il territorio indigeno), il Ministero dell’Energia (che si occupa della

regolamentazione delle attività petrolifere), le Forze Armate (che tramite il Ministero

della Difesa hanno influenze sulla compagnia petrolifera nazionale alla compagnia

petrolifera statale Petroecuador) ed infine l’ECORAE (Ente per l’Eco-sviluppo della

Regione Amazzonica Ecuadoriana) (Narvaez, 2004). Le diverse istituzioni attraverso

le quali si articola l’azione dello Stato sono portatrici di interessi diversi e

contrastanti. Se da un lato il MAE e l’ECORAE dovrebbero garantire la

conservazione della biodiversità e l’uso sostenibile delle risorse naturali all’interno

delle aree protette, dall’altro lato Petroecuador ed il Ministero dell’Energia giocano

un ruolo egemone nella gestione delle riserve di combustibili fossili all’interno della

RAE. In questa seconda faccia dell’attore statale si inserisce l’Esercito ecuadoriano

che, all’interno del territorio amazzonico, gioca un ruolo non indifferente sia nel

Page 87: Pappalardo Tesis Yasuni

86

controllo dei limiti di stato con il Peru’ sia nella salvaguardia delle politiche

petrolifere nell’Amazzonia ecuadoriana. (Ortiz, 1999).

Anche gli altri attori interni, le comunità indigene e i colonos, presentano logiche

contraddittorie che portano a dinamiche territoriali alquanto differenti: una minoranza

delle comunità indigene e dei colonos diventa talvolta parte integrante delle logiche

degli attori esterni, come le compagnie petrolifere transnazionali (Fontaine, 2003).

Tra gli attori interni si possono ricordare le amministrazioni pubbliche locali, spesso

in conflitto con lo Stato.

La maggioranza delle comunità indigene e dei colonos presenti nell’area di studio è

invece un attore antagonista alle logiche di sfruttamento produttivo delle risorse

energetiche, di quelle agricole e forestali.

Le comunità indigene e i colonos presenti nell’area di studio e direttamente o

indirettamente azioni coinvolte nell’area di influenza della Riserva della Biosfera

sono le seguenti:

- le popolazioni indigene Wuaorani

- le popolazioni indigene Quichua

- le popolazioni indigene Shuar

- i contadini colonos

Lo spazio geografico corrispondente alla Riserva della Biosfera è

approssimativamente riconducibile è quello che è stato il territorio indigeno

ancestrale degli Wuaorani (Cabodevilla, 1999).

Questo gruppo etnico storicamente ha sempre vissuto in isolamento anche rispetto

alle altre popolazioni indigene. Solamente nel XIX secolo, quando è cominciata la

ricerca nell’Amazzonia di piante come il caucciù, è entrato in contatto con altre

culture. Per le loro attività tradizionali gli Wuaorani necessitano di un territorio molto

esteso. Le attività sedentarie sono temporanee e praticate attraverso piccole

coltivazioni di yuca manioca (Mahinot sp.) e platano (banana, Musa sp.)

Successivamente migrano in un altro punto della foresta tropicale per non esaurire la

scarsa fertilità del suolo amazzonico. Prima di migrare in altre zone sono soliti

bruciare le proprie case e le piccole colture affinché, come dice un indigeno

Wuaorani “i nutrienti ritornino nel suolo”. Da quando ha preso piede la

Page 88: Pappalardo Tesis Yasuni

87

colonizzazione dell’Amazzonia ecuadoriana, il territorio indigeno Wuaorani ha subito

notevoli cambiamenti e riduzione areale a causa specialmente delle attività di

esplorazione e sfruttamento petrolifero e di imprese di legname. Il ruolo della

realizzazione del Parco Nazionale Yasuní e dell’istituzione della RBY nella

ridefinizione del territorio indigeno Wuaorani non è stato indifferente, provocando

nel 1989 dislocamenti via elicottero di numerose famiglie indigene (Vallejo, 2003).

Inoltre la costruzione della Via Auca e l’espansione della frontiera petrolifera ed

agricola in quella zona hanno determinato un cambiamento culturale e geografico

rilevante nella popolazione Wuaorani (Toledo, 2001).

Le comunità indigene Quichua costituiscono il gruppo etnico più numeroso presente

nell’area di influenza della Riserva della Biosfera. È un attore che si è inserito nei

processi di colonizzazione agricola all’interno dell’area di studio insediandosi o lungo

le zone ripariali del basso Rio Napo o, utilizzando l’asse stradale portante della Via

Auca, sovrapponendosi ai territori indigeni Wuaorani. In entrambi i casi vive in

piccoli insediamenti nelle zone periferiche della RBY.

Le popolazioni indigene Shuar, per la dinamica territoriale legata all’espansione

agricola e petrolifera, giocano un ruolo di colonos. Infatti hanno abbandonato, tra il

1960 ed il 1970, i loro territori ancestrali nella fascia pedemontana per andare a

colonizzare l’area orientale della RBY, nella zona della via Auca. La maggior parte

delle comunità Shuar tuttavia non possiede titoli di proprietà sulle terre occupate. Gli

Shuar, nonostante non abbiano mantenuto legami geografici con la loro terra

d’origine, mantengono l’approccio indigeno nella gestione delle risorse naturali,

sviluppando prevalentemente attività tradizionali legate a piccole colture itineranti,

alla caccia, alla pesca ed alla raccolta (Haller et al., 2007).

I colonos rappresentano gli attori interni “migranti” per antonomasia. La maggior

parte di loro sono contadini che sono stati trainati dalle politiche agrarie ed

economiche dello Stato ecuadoriano arrivando in Amazzonia solamente nel decennio

successivo alla riforma agraria. A ciascun colono venivano assegnati 50 ha di foresta

primaria di cui la metà doveva essere disboscata per legge (Narvaez, 1996). A partire

dalla prima “linea di colonizzazione agricola” parallela all’asse stradale principale, si

è successivamente creata una dinamica incontrollabile di occupazione di porzioni di

Page 89: Pappalardo Tesis Yasuni

88

foresta che venivano disboscaste per il mercato del legname. Le politiche agrarie

promosse dal governo ecuadoriano hanno anche innescato dinamiche di compra-

vendita puramente speculativa delle terre titolate, andando a determinare la creazione

su piccola e grande scala di cooperative agricole di colonos organizzate in gradi e

livelli differenti (Accion Ecologica, 2006).

Le principali attività dei colonos sono legate a diverse forme di agricoltura

permanente, principalmente legate alla produzione commerciale di caffè, che

rappresenta circa il 70% degli introiti economici famigliari.

Tra gli attori esterni antagonisti a quelli sopradescritti si ritrovano lo Stato e le

strutture conservazioniste presenti all’interno della RBY.

L’Esercito ecuadoriano è direttamente collegato alla compagnia nazionale petrolifera

Petroecuador e spesso collabora con le altre compagnie transazionali che hanno

attività estrattive nella RAE (Narvaez, 1996).

La presenza delle Forze Armate ecuadoriane dentro la RBY e nel suo intorno è

permanente attraverso il controllo delle vie d’accesso all’area. Giocano inoltre un

ruolo fondamentale nelle dinamiche del conflitto legato al Petrolio, intervenendo in

difesa delle compagnie petrolifere (Haller et al., 2007; 2006, comunicazione

personale; Guerrero, 2006 intervista semistrutturata).

Tra gli attori interni, presenti nell’a area di studio, si collocano le organizzazioni per

la conservazione e la ricerca scientifica: la Stazione Scientifica Yasunì (Università

Cattolica di Quito, PUCE) e la Stazione di Biodiversità Tiputinì (Università San

Francisco di Quito). La prima si trova sulle rive del fiume Tiputini lungo la via

petrolifera Maxus, ed utilizza come struttura base di ricerca una vecchia piattaforma

d’estrazione concessagli dalla compagnia Maxus (Riveira, 2006, intervista

semistrutturata). Attraverso un decreto amministrativo dell’INEFAN (Istituto

Nacional Ecuatoriano Forestal y de Area Naturales) viene concesso alla PUCE la

gestione amministrativa e tecnico-scientifica della stazione di ricerca che è stata

finanziata nel primo periodo dalla compagnia Maxus e successivamente dalla Repsol,

nuova concessionaria del Oil Block n° 16 (Oilwatch, 2005).

L’Università Cattolica per sviluppare le sue attività di ricerca e di conservazione

riceve mediamente dalla compagnia Repsol YPF tra i 40 ed i 60 milioni di dollari

Page 90: Pappalardo Tesis Yasuni

89

all’anno che sono da considerarsi un finanziamento vincolante (Romo, 2006,

intervista semistrutturata). In questo senso la PUCE è responsabile delle strategie per

la conservazione della biodiversità all’interno della RBY ma, in qualche modo, si

comporta come attore interno sinergico all’attore esterno rappresentato oggi dalla

compagnia ispanico-argentina Repsol YPF, titolare della concessione petrolifera

numero 16 (Oilwatch, 2005). La Stazione di biodiversità Tiputinì si trova anch’essa

all’interno dell’Oil Block n° 16 gestito dalla Repsol e svolge attività di ricerca,

educazione e conservazione. La dirigenza politica della Stazione Tiputinì non trova

che ci siano incompatibilità tra le attività per la produzione petrolifera e la

conservazione della biodiversità all’interno della RBY (Romo, 2006, intervista

semistrutturata).

Gli attori esterni presenti nell’area di studio sono prevalentemente compagnie

petrolifere multinazionali che hanno individuato nel sottosuolo della RBY

un’opportunità di sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Nel corso degli ultimi

vent’anni si sono alternate diverse compagnie petrolifere in base alle politiche ed agli

accordi inter-governativi dello stato ecuadoriano (Fontaine, 2006). Tra quelle presenti

oggigiorno, all’interno dell’area di studio, è opportuno ricordare gli operatori

all’interno delle seguenti concessioni petrolifere:

- Oil Block n° 16, gestito dal 1993 dalla compagnia Repsol YPF subentrata alla

Maxus che ha avuto problemi d’immagine per una gestione dell’area interna alla

RBY poco rispettosa dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni Wuaorani. (Riveira,

2006, intervista semistrutturata). All’interno di questa concessione petrolifera è stata

costruita, dall’omonima compagnia, la strada Via Maxus che penetra per 180 Km la

foresta umida tropicale all’interno della RBY. Esercito ecuadoriano e guardie private

della Repsol YPF controllano rigidamente l’accesso alla strada e quindi anche alla

RBY interdicendo l’accesso a personae non gratae come ambientalisti o

organizzazioni conservazioniste non affini alla produzione petrolifera (Proano, 2006,

intervista semistrutturata, 2006 osservazione diretta).

- Oil Block n° 15, gestito fino al 2006 dalla compagnia statunitense Occidental

Petroleum (OXY). La OXY Petroleum è stata responsabile della costruzione

non autorizzata della strada petrolifera che si spinge all’interno della buffer

Page 91: Pappalardo Tesis Yasuni

90

zone della RBY (vedi elaborazione G.I.S. fig. 4.12) (ENS, 2005). Per aver

subappaltato la gestione della concessione a terzi è stata nel 2006 espulsa

dall’Ecuador (Fontaine 2006, El Comercio, 2006).

- Oil Block n° 10, gestito dalla compagnia italiana ENI-AGIP che è presente

con attività di estrazione e produzione petrolifera dal 1987 con la

compartecipazione del consorzio statunitense ARCO . Dal 1999 comincia le

operazioni di esplorazione e sfruttamento dei giacimenti petroliferi con il

100% del possesso della concessione. Avendo rilevato nello stesso anno

notevoli quantità di petrolio da mettere in produzione, la compagnia italiana

ha contribuito fortemente alla costruzione del nuovo oleodotto chiamato OCP

(Oleoducto de Crudo Pesado). Il lotto petrolifero dell’ENI-AGIP è situato per

la maggior parte all’interno del territorio indigeno Wuaorani nella Riserva

della Biosfera Yasuní (Accion Ecologica, 2006; Oilwatch, 2006).

- Oil Block n° 31 Petrobras, inserita per quasi la sua totalità all’interno del

Parco Naturale Yasuní e del territorio indigeno Wuaorani. Il limite

meridionale di questa concessione si sovrappone con la Zona Intangible,

riserva “integrale” ad alta priorità di conservazione, dove vivono in

isolamento i gruppi etnici Tagaeri-Tanomenane. La costruzione della terza

strada petrolifera all’interno della RBY ha sollevato numerosi scienziati che

hanno chiesto l’immediata interruzione dei lavori (Scientists concerned YNP,

2004).

- Oil Block n° 14 e 17, gestito dall’impresa canadense Encana subentrata alla

compagni francese ELF. Per poter consentire le attività di produzione ELF ha

implementato la rete stradale della Via Auca e della Via Maxus, sviluppando

ramificazioni fino all’interno della sua concessione. Dopo una fase che vedeva

la compagnia Vintage Oil come operatore temporanea della concessione, i

diritti di esplorazione e produzione passano all’impresa Encana che ha

effettuato l’esplorazione con metodi geosismici su 170.000 ha di cui la metà

dentro la RBY (OilWatch, 2005).

- Oil Block ITT (Ishpingo-Taboncocha-Tiputini). Tale lotto petrolifero è di

proprietà della compagnia nazionale Petroecuador e si ipotizza sia la più

Page 92: Pappalardo Tesis Yasuni

91

grande riserva petrolifera dell’Ecuador con 800.000 milioni di barili di

petrolio nel sottosuolo. Al momento sono stati perforati quattro pozzi per la

produzione e si sta progettando la costruzione di un oleodotto che trasporti il

greggio dal fiume Tiputinì alla stazione petrolifera di Shushufindi. Nel 2007 il

governo ecuadoriano, guidato da Correa, ha lanciato una campagna

internazionale chiamata ITT-Yasunì che proponeva di non sfruttare gli enormi

giacimenti petroliferi presenti nel sottosuolo. La proposta prevedeva che i

governi del Nord del mondo comprassero i bond emessi dallo stato versando

la metà dei soldi del greggio non estratto. La campagna oggigiorno non ha

avuto buon esito (Proano, 2008, intervista semistrutturata; Ordonez, 2008,

intervista semistrutturata).

All’interno dell’area di studio, lungo i limiti meridionali della buffer zone della

RBY, ci sono altre aree delimitate per lo sfruttamento dei giacimenti che, essendo

ancora in fase esplorativa, sono prive delle infrastrutture necessarie alla

produzione (vedi fig. 4.1 p. 120) (ECORAE, 2002).

Gli attori esterni sopraccitati e l’attore statale rappresentato da Petroecuador sono

portatori di interessi esclusivamente legati allo sfruttamento delle risorse non

rinnovabili presenti all’interno dell’area di studio e giocano un ruolo

fondamentale nei processi di territorializzazione nell’Oriente amazzonico

ecuadoriano.

Gli attori interni, prevalentemente le comunità locali indigeno-campesine, si

contrappongono alle logiche eterocentrate degli attori esterni ma si organizzano

nel territorio secondo dinamiche complesse e a volte contraddittorie. Alcuni attori

esterni infatti, come la Repsol YPF e l’ENI-AGIP, tramite l’organizzazione di

progetti “comunitari” e l’impiego della cosiddetta “tecnologia a basso impatto

ambientale”, hanno costruito altre forme di rapporto con alcune parti degli attori

interni antagonisti, tra cui le comunità indigene Wuaorani dell’Oilblocks n°16 e

n°10, rendendo ancor più complessa la dinamica attoriale.

Anche se non è cosa semplice identificare e definire le poste in gioco all’interno

dell’area di studio, perlomeno per quanto riguarda gli attori esterni e l’attore

statale causa gli interessi di cui sono portatori, è possibile rintracciarne una, legata

Page 93: Pappalardo Tesis Yasuni

92

ai copiosi giacimenti di combustibili fossili presenti nel sottosuolo della regione

amazzonica ecuadoriana (Fontaine 2006). Tale posta in gioco però non coincide

con quella degli attori interni, indigeni e colonos, i quali contrappongono le loro

logiche d’agire per conseguire rivendicazioni di carattere territoriale.

Le arene di contesa ambientale derivate dallo sviluppo del conflitto all’interno

dell’area di studio sono molteplici ed intrecciate tra loro, dislocandosi tra il piano

giudiziario, quello della mobilitazione, e quello delle controversie scientifiche

sugli impatti socio-ambientali della produzione petrolifera (Faggi, Turco, 2001).

Gli attori interni, indigeni e colonos, in relazione sinergica con ONG

ambientaliste come Accion Ecologica, hanno spesso portato la visibilità del

conflitto a livello nazionale ed internazionale, come i numerosi ricorsi al

Tribunale delle Garanzie Costituzionali (CGT) ed all’International Water

Tribunal di Amsterdam (IWT) (Fontaine, 2006; De Marchi, 2004).

A livello nazionale ed internazionale l’istituzione e la realizzazione del Parco

Nazionale e della Riserva indigena Wuaorani (che sul piano internazionale

assume valore legale di Riserva della Biosfera) hanno contribuito da un lato a

portare l’attenzione sulla conservazione della biodiversità e del patrimonio

culturale delle popolazioni indigene, dall’altro, insieme alla compartecipazione

gestionale di alcune organizzazioni conservazioniste come Fundacion Natura,

Wildlife Conservation Society (WCS) giocano un ruolo assai contraddittorio nella

riduzione degli impatti ambientali e sociali della produzione petrolifera

(Kimerling 1996; Oilwatch, 2005; Riveira, 2006, intervista semistrutturata;

Proano, 2006, intervista semistrutturata, Martinez, 2006, intervista

semistrutturata)

La dimensione e l’evoluzione del conflitto ambientale che ne consegue sarà

affrontata nel caso di studio tramite l’incrocio degli interessi in gioco e delle

strategie dispiegate per conseguirli, utilizzando come metodo la sovrapposizione

cartografica tra la geografia fisica e quella degli attori presenti sul territorio.

Page 94: Pappalardo Tesis Yasuni

93

2.3.8 Definizione area di studio tramite analisi G.I.S. L’area di studio comprende il Parco Naturale Yasuní, il territorio indigeno Wuaorani,

una buffer zone di 10 km dalla Riserva della Biosfera Yasuní, i bacini idrografici dei

fiumi Rio Napo e Rio Curaray nonché le principali vie di comunicazioni stradali, città

ed insediamenti antropici.

Attraverso un’analisi critica e l’elaborazione cartografica del materiale acquisito,

attraverso l’uso di software G.I.S. e l’esperienza diretta sul campo, si è convenuto

stabilire i limiti dell’area di studio per l’analisi territoriale, sulla base di tre processi

importanti che configurano e modificano il territorio dell’Oriente amazzonico

ecuadoriano:

- i limiti naturali definiti dai bacini idrografici

- la Riserva della Biosfera Yasuní, inclusiva del Parco Naturale e territorio

indigeno Wuaorani

- le aree delle concessioni per la l’estrazione e la produzione petrolifera

Il fitto reticolo idrografico dei rios amazzonici che si snodano all’interno della Moist

Tropical Forest (MTF) è uno dei fattori dominanti sia nei processi geomorfologici e

pedogenetici che nei processi di territorializzazione delle comunità indigeno-

campesine e di altri attori presenti nell’area (De Marchi, 2004).

Per questo motivo la scelta dei limiti dell’area di studio è stata operata anche sulla

base dei bacini idrografici tra i quali il Rio Napo ed il Rio Curaray come limiti

naturali e barriere semipermeabili della Riserva della Biosfera Yasuní e come

elemento strutturante del contesto amazzonico dell’area in questione.

Per il suo fitto reticolo idrografico e per il ruolo che esso gioca nelle poste in gioco

dei conflitti ambientali dell’Amazon Basin l’acqua è elemento strutturante l’ambiente

e, nella sua relazione con la componente biotica dei produttori primari, caratterizza

nel suo complesso il sistema ambientale amazzonico più di quanto possa farlo una

singola specie o la foresta (M. De Marchi, 2004).

Il Rio Napo, con i suoi 1400 km di lunghezza, è uno degli affluenti più lunghi e con

maggior portata del Rio delle Amazzoni e, ad eccezione della suo tratto andino di

circa 250 km dove scorre su alveo roccioso e a ciottoli, si snoda nell’ampia pianura

Page 95: Pappalardo Tesis Yasuni

94

alluvionale chiamata Varzea presentandosi, con un’ampiezza media di 1-3 km e

dando luogo ad oltre 120 isole fluviali (Gonzalez et al., p. 13).

Oltre ai bacini idrografici del Rio Napo e del Rio Curaray ed i limiti della RBY come

processi determinanti il territorio amazzonico ecuadoriano sono state prese in

considerazione le aree di concessione petrolifere che si intersecano geograficamente

con i suddetti limiti. Infatti nell’Oriente ecuadoriano (in Ecuador l’area geografica ad

Est della Cordigliera delle Ande è comunemente denominata come Oriente, e

coincide approssimativamente con lo spazio amazzonico includendo le province di

Sucumbíos, Orellana, Napo, Pastaza, Morona Santiago e Zamora-Chinchipe) ricopre

una superficie di oltre 135 000 km2 al di sotto dei quali si trovano i maggiori

giacimenti di petrolio.

Le aree di licenza per l’estrazione e produzione petrolifera sono passate da circa 300

mila ha inizialmente dati in concessione alla compagnia Texaco (1972), a 3,2 milioni

ha complessivi, ripartiti tra 12 macroimprese nazionali e transnazionali, suddividendo

geometricamente l’Amazzonia ecuadoriana in 16 oil blocks da 200 mila ha ciascuno

(Narvaez, 2000). Allo stato attuale dei 135.000 km2 di Amazzonia ecuadoriana circa

il 65% è stato suddiviso in aree di concessione per la produzione petrolifera (Fontaine

2004).

La definizione dell’area di studio si basa quindi sull’analisi geografica dei sopracitati

tre processi di trasformazione del territorio amazzonico. Attraverso l’esaminazione

della cartografia tematica con software G.I.S. si è proceduto a compiere operazioni di

intersezione geometrica tra le aree dei bacini idrografici, della RBY e delle

concessioni petrolifere, ottenendo la delimitazione dell’area di studio.

Oltre a compiere operazioni di intersezione geometrica per definire i limiti dell’area

si è ritenuto opportuno creare una buffer zone di 10 km intorno al perimetro della

RBY. E’ utile ricordare come, nonostante la RBY sia stata inserita nei programmi

MAB dell’UNESCO, non siano mai state attuate sulla carta o sul campo operazioni di

zoning sulla base dei criteri delle Riserve della Biosfera; all’interno della RBY viene

quindi totalmente a mancare una zonazione in differenti gradi di influenza antropica

(core area, buffer zone, transition zone) capace di conservare l’integrità degli

ecosistemi da un lato e di consentire attività tradizionali e forme di sviluppo

Page 96: Pappalardo Tesis Yasuni

95

sostenibile dall’altro. Infatti con i programmi MAB l’UNESCO configura un nuovo

paradigma della conservazione della natura dove le aree protette non sono riserve di

ecosistemi isolate dall’ambiente circostante, bensì sistemi aperti che interagiscono

con il mondo esterno integrando nella pianificazione territoriale esigenze, culture e

modelli di gestione delle risorse tradizionali delle popolazioni locali (Primack, 2007).

Sotto il profilo ecologico le zone cuscinetto possono essere utili a facilitare e favorire

la dispersione delle specie e del flusso genico tra le aree centrali a protezione

integrale (core area), le zone di transizione e l’ambiente circostante la Riserva della

Biosfera (Primack, 2007, pp. 345-347).

Non essendoci alcuna forma di zoning ufficiale all’interno della RBY è stato scelto di

creare un buffer areale intorno al perimetro della Riserva della Biosfera di 10 km e di

assegnarli il valore concettuale di buffer zone, o zona de amortiguamento, come

riconosciuto nel progetto di Legge Speciale art. 46 per la conservazione e l’uso

sostenibile della biodiversità in Ecuador che la definisce come “aree pubbliche,

private o comunali adiacenti alle Areas Protegidas (AP) che contribuiscono alla

conservazione ed all’integrità delle stesse” (Moscoso, 2003, p. 80).

Tale zona de amortiguamento, o zona cuscinetto, è già stata elaborata e considerata

come zona d’influenza per la RBY rispetto ad attività antropogeniche che possono

costituire minaccia per la conservazione della biodiversità. In una ricerca con

approccio conservazionista elaborata con G.I.S. sull’abbondanza relativa di

mammiferi di media e piccola taglia (> 1 Kg) in rapporto ai gradi di influenza,

distribuzione ed intensità delle attività antropogeniche sulla RBY sono stati assegnati

diversi valori lineari per il buffer: 3 km per strade e aree deforestate, 10 km per gli

insediamenti urbani, 5 km per accampamenti di caccia illegale, 1 km per i pozzi

petroliferi e 2 km per il taglio selettivo di alberi (Rios et al., 2006). Considerando la

RBY come un sistema aperto e complesso e dopo aver preso in esame i sopracitati

tematismi cartografici, si sono evidenziati molteplici gradi di accessibilità dipendenti

dalle reti di comunicazione (stradali, idriche o senderos nella selva), dai centri urbani

e pueblos, dalle infrastrutture petrolifere e dalla dinamica dei sistemi sociali, pertanto

si è convenuto stabilire in almeno 10 km il buffer d’influenza intorno alla RBY. Dieci

Page 97: Pappalardo Tesis Yasuni

96

Km sono inoltre una distanza 10 km sono una distanza facilmente perricorribile a

piedi attraverso la creazione di caminos e senderos (Moran, 2000).

Nell’elaborazione con G.I.S. per la produzione dell’output cartografico dell’area di

studio si sono inseriti inoltre alcuni elementi determinanti i sistemi socio-ambientali

dello spazio amazzonico ecuadoriano tra cui: le città principali, insediamenti

comunitari indigeni e colonos, le principali vie di comunicazione, le concessioni

petrolifere, i limiti provinciali amministrativi. Si veda analisi G.I.S. dell’area di studio

nella (fig. 4.1 p. 120).

Le informazioni geografiche utilizzate per l’elaborazione dell’area di studio sono

state ricompilate in base alla necessità di inquadrare il contesto amazzonico

ecuadoriano per l’analisi del territorio, mettendo a fuoco sia le aree protette e le

risorse naturali, sia gli attori ed i processi di territorializzazione.

Page 98: Pappalardo Tesis Yasuni

97

3 Materiali e Metodi 3.1 Indagine bibliografica e workshops sul campo Prima di procedere all’inquadramento sistemico, all’analisi geografica e quantitativa

all’interno dell’area di studio si è proceduto a un’indagine bibliografica

multidisciplinare e allo studio di numerosi testi scientifici esistenti (bibliografia

scientifica e di settore, tesi di dottorato, letteratura grigia, fonti secondarie) prodotti

nell’ambito di ricerca sia sudamericano che nordeuropeo e nordamericano. Oltre ad

essere stata condotta in rete, l’indagine bibliografica è stata principalmente sviluppata

ed elaborata sul campo, a Quito, all’interno delle biblioteche e degli archivi

dell’Università Cattolica, dell’Università San Francisco, della Facultad

Latinoamericana Ciencias Sociales (FLACSO) sezione studi socio-ambientali, del

dipartimento per la protezione ambientale della Provincia di Orellana, nonché presso

Organizzazioni Non Governative (ONG) per la conservazione della natura

(ECOCIENCIA, SIMBIOE, WALSH) ambientaliste (Acciòn Ecologica, rete indigena

Angel Shingre, Land is life). Per l’analisi geografica dell’area di studio e le attività di

campo si è mantenuto un approccio ecosistemico, pertanto l’indagine bibliografica è

stata condotta prendendo in esame testi, ricerche e studi di caso sviluppati nell’ambito

dell’ecologia del paesaggio, biologia della conservazione, geografia fisica, geografia

umana e sociale, geologia del petrolio, agro-ecologia, antropologia, etnobiologia,

diritto ambientale, economia e politica.

Durante il periodo di ricerca in Ecuador si è preso parte e si sono acquisiti i lavori dei

seguenti workshops, indispensabili ai fini dell’analisi geografica:

- “Wuaorani nel vortice della conservazione del Parco Naturale Yasuni”, prof.

Ivan Narvaez, Istituto FLACSO, Quito. Data: 20/04/2006:

- “Riserva della Biosfera Yasuni tra governance ambientale e governance

energetica”, prof. Ivan Narvaez, Istituto FLACSO, Quito. Data: 20/06/2006

- “Petrolio e sviluppo sostenibile nell’Amazzonia ecuadoriana”, prof. G.

Fontaine, Istituto FLACSO, Quito. Data: 26/07/2006

- “Amazzonia ecuadoriana: popolazioni indigene tra aree protette e produzione

petrolifera.”, Università Politecnica Salesiana, Quito. Data: 30/06/2006

Page 99: Pappalardo Tesis Yasuni

98

3.2 Attività di campo Durante il periodo di permanenza in Ecuador (aprile-settembre 2006, gennaio 2008;

vedi tabella 4.1) sono state condotte diverse attività di campo volte da un lato a

raccogliere dati utili all’analisi geografica quantitativa e a consolidare le conoscenze

sull’Amazzonia, dall’altro ad approfondire ed investigare le cosiddette arene di

contesa ambientale (Faggi, Turco 2001, p. 25). Per questo la parte dell’analisi relativa

ai conflitti ambientali è stata sviluppata attraverso il metodo dell’intervista e

dell’osservazione partecipante sul campo, raccogliendo informazioni dirette dagli

attori sintagmatici, ossia gli stakeholders organizzati con programmi per la difesa dei

loro interessi (Faggi, Turco, 2001 p. 58) e recandosi all’interno dell’area di studio per

acquisire esperienza sugli impatti socio-ambientali della produzione petrolifera

nell’Amazzonia ecuadoriana. Pertanto si è ritenuto di notevole importanza per la

ricerca visitare, all’interno dell’area di studio, le cosiddette vie del petrolio (Via

Auca, La Joya de los Sachas e la zona di Lago Agrio, vedi Fig. 3.1 p. 112), siti per

l’estrazione petrolifera, centri per il processamento del petrolio greggio, ma anche le

comunità locali ed il territorio indigeno. Le visite in loco, le interviste e l’esperienza

diretta sono stati procedimenti fondamentali per raccogliere informazioni di prima

mano sui probabili impatti dell’industria petrolifera sia sull’ambiente che sulle

comunità locali. Le attività di campo sono state organizzate con l’aiuto del

dipartimento per la protezione ambientale della Provincia di Orellana, di

Organizzazioni Non Governative ambientaliste come Acción Ecologica,

dell’Osservatorio per i diritti umani ed ambientali della città di Puerto Francisco di

Orellana (El Coca) e della rete indigena Angel Shingre (El Coca).

Page 100: Pappalardo Tesis Yasuni

99

3.2.1 Raccolta punti GPS Tramite la tecnologia Global Positioning System (GPS) sono stati effettuati rilievi sul

campo all’interno dell’area di studio. Le vie di comunicazione stradale sono correlate

con il cambio di copertura vegetale e con la deforestazione della foresta amazzonica

(Laurance et al., 2002) ed avendo considerevoli impatti sia dal punto di vista

ecologico come la frammentazione degli habitat (Primack 2003, p. 133) che dal punto

di vista socio-ambientale (Fontaine, 2006) si è ritenuto opportuno percorrere la

principale via petrolifera, la cosiddetta Via Auca, per raccogliere dati topografici con

il GPS. La via Auca inoltre corre parallela alla Riserva della Biosfera Yasuní (RBY)

ad una distanza media di 10-20 km ed alcune strade secondarie vi entrano all’interno.

Dalla strada principale si propagano i processi di spostamento ed insediamento

antropico all’interno della foresta primaria, dando luogo alle cosiddette linee di

prima, seconda e terza colonizzazione. La strada, solo parzialmente pavimentata e per

la maggior parte fortemente dissestata, è stata percorsa per tutta la sua longitudine

fino all’interno del territorio indigeno Wuaorani (80 km a sud della città di el Coca) e

lungo le sue ramificazioni laterali. I dati raccolti (trackpoint) con il dispositivo GPS

sono stati convertiti con l’apposito software in formato .gpx ed in seguito esportati in

shape files per l’elaborazione con software G.I.S.

Si è ritenuto opportuno percorrere ed effettuare la raccolta di punti GPS lungo la

strada Via Auca. per ottenere un grafo stradale aggiornato dello stato di avanzamento

della più importante rete viaria petrolifera dell’Amazzonia ecuadoriana. Inoltre il

lavoro di rilievo sul campo è stato utile sia per verificare l’accuratezza dei dati

acquisiti, sia per riportare, tramite l’osservazione partecipante, il modello di

territorializzazione secondo le logiche di terra (Bertoncin, 2005).

Page 101: Pappalardo Tesis Yasuni

100

3.2.2 Interviste e raccolta dati da informatori privilegiati Tramite il metodo dell’intervista si sono raccolte informazioni per quanto riguarda la

parte dell’analisi qualitativa relativa ai modelli di protezione e gestione della RBY ed

ai conflitti ambientali.

La ricerca qualitativa è stata condotta attraverso interviste semi-strutturate e non-

strutturate (P. Alasuutari, 1995) come strumento utile per esplorare le problematiche

ambientali e inquadrare le principali componenti della valutazione. Per la diversità

delle parti e dei soggetti interpellati si è convenuto utilizzare il metodo dell’intervista

semi strutturata che ha permesso di far emergere i diversi approcci alla conservazione

della biodiversità, alla difesa delle aree protette e all’uso delle risorse naturali.

Il metodo dell’intervista è stato strutturato non tanto in funzione di raccogliere dati su

base campionaria, bensì di procedere ad un’indagine qualitativa individuando soggetti

e parti coinvolti nelle dinamiche territoriali in grado di approfondire, nella

complessità e nel contesto naturale, le problematiche analizzate. Il metodo d’inchiesta

qualitativa inoltre ha permesso di effettuare una triangolazione di dati nell’ambito

degli impatti socio-ambientali della produzione petrolifera e dei differenti modelli di

gestione delle risorse naturali.

Le interviste sono state ripartite tra istituzioni, università e figure di competenza

(biologi, geografi ed antropologi) che si occupano della conservazione e della

protezione della RBY ed alcuni tra gli attori responsabili delle dinamiche territoriali

all’interno dell’area di studio. Il lavoro di inchiesta tramite intervista si è svolto

presso la città di Quito e sul campo in Amazzonia all’interno dell’area di studio. Sono

stati interpellati alcuni rappresentanti delle comunità locali, della stazione scientifica

di ricerca Tiputini dell’Università San Francisco, alcuni responsabili per la protezione

ambientale delle compagnie petrolifere ed esponenti di ONG ecuadoriane.

Page 102: Pappalardo Tesis Yasuni

101

Persona intervistata

Ruolo/Istituzione Note Temi trattati Data luogo

Prof. David Romo

Biologia della conservazione, Univ. S. Francisco, Quito; co-direttore della Stazione Scientifica di Ricerca“Tiputini”, Riserva della Biosfera Yasuni

Note stenografiche; intervista semi-strutturata

Conservazione della biodiversità; Riserve della Biosfera; Produzione petrolifera all’interno di aree protette

07/07/2006 Quito

Dott. Fabricio Guaman

Biologo presso la ONG Ecociencia

Formato audio; intervista semi-strutturata

Biodiversità; comunità indigene; petrolio e conflitti ambientali

20/05/2006 Quito

Sig. Manuel Morocho

Rappresentante organizzazione indigena CONAIE

Formato audio; intervista semistrutturata

Comunità indigena; petrolio; conflitti ambientali

07/04/2006 Puerto Murialdo, provincia di Orellana

Delfín Ordóñez

Direttore del dipartimento per la protezione ambientale, Provincia di Orellana

Note stenografiche, formato audio/video; intervista semi-strutturata

Gestione del Parco Nazionale Yasuni; processi partecipativi comunità locali; conflitti ambientali

05/04/2006 08/04/2006 12/01/2008

Città di El Coca, provincia di Orellana

Dott. Jose Proaño

Antropologo presso la ONG Acciòn Ecologica, responsabile delle relazioni con le comunità indigene nell’Amazzonia Ecuadoriana

Note stenografiche, formato audio Intervista aperta; intervista semi-strutturata

Comunità indigene della RBY; conflitti ambientali; produzione petrolifera

21/05/2006 06/04/2006 05/01/2008

Quito Città di El Coca Quito

Dott. Bepi Tonello

Direttore esecutivo Fondo Ecuatoriano Populorum Progresio (FEPP) -

Note stenografiche; intervista libera

Comunità indigene; programmi UNEP; programmi per la protezione ambientale

12/06/2006 Quito

Sig. Remigio Riveira

Responsabile per la protezione ambientale e le relazioni con gli Wuaorani per la compagnia petrolifera REPSOL YPF

Note stenografiche; intervista semi-strutturata

Impatto ambientale; conservazione della biodiversità; relazioni comunitarie

27/06/2006 Quito

Sig.ra Maria Espinoza

Responsabile osservatorio Diritti Umani

Formato audio; intervista semi-strutturata

Produzione petrolifera; comunità indigene; Diritti umani ed ambientali;

06/04/2006 Citta di El Coca, provincia di Orellana

Sig. John Guerrero

Vice sindaco del Municipio di Dayuma

Formato audio; intervista semi-strutturata

Comunità locali; impatti socio-ambientali della produzione petrolifera

14/01/2008 Comune di Dayuma, provincia di Orellana

Comunità di Garcia Moreno

Comunità locale coinvolta nel conflitto ambientale

Note stenografiche; formato audio/video Intervista non strutturata di gruppo

Comunità locali; Impatti socio-ambientali della produzione petrolifera;

10/01/2008 Comune di Garcia Moreno, provincia di Orellana

Tab. 3.1 Principali interviste raccolte sul campo da informatori privilegiati

Page 103: Pappalardo Tesis Yasuni

102

Persona intervistata

Ruolo/Istituzione Note Temi trattati Data luogo

Esperanza Martinez

Presidente della ONG Accion Ecologica

Note stenografiche; formato audio intervista semi-strutturata

Impatti socio-ambientali dell’industria petrolifera; dinamiche del conflitto ambientale.

20/05/2006 Quito

Dott. Melissa Moreano

Ricercatrice presso la Stazione Scientifica Yasuni, Università Cattolica di Quito

Note stenografiche, intervista semi-strutturata

Conservazione della biodiversità, popolazioni indigene, ricerca scientifica

22/05/2006 Quito

Dott. Diego Andrade

Geografo presso l’Università Cattolica

Note stenografiche, semi-strutturata

Sisitemi Territoriali Informativi ed aree protette in Ecuador

23/05/2006

Quito

Sig. Diocles Zambrano

Responsabile dell’Osservatorio per i diritti umani ed ambientali

Note stenografiche, formato audio/video Intervista aperta; intervista semi-strutturata

Comunità indigene; conflitti ambientali; produzione petrolifera

13/05/2006

05/01/2008

Città di El Coca

Sig. Jorge Claudio

Campesino colonos, arrestato a Dayuma in seguito al blocco della Via Auca

Note stenografiche; formato audio/video intervista libera

Conflitto ambientale a Dayuma, rapporto con le istituzioni

14/01/2008 Comune di Dayuma, provincia di Orellana

SIg. Diego Espinoza

Operaio della compagnia statale Petroecuador

Formato audio/video; intervista semi-strutturata

Bonifica degli ambienti forestali contaminati da idrocarburi.

14/1/2008 Comunità di San Carlos, provincia di Orellana

Dott.ssa Paula Maldonado

Geografa presso Ecociencia

Note Stenografiche; intervista semi-strutturata

G.I.S. Comunità indigene, conservazione

24/05/2006 Quito

Prof. Giovanni Onore

Docente di entomologia presso l’Università Cattolica di Quito

Note stenografiche; intervista semistrutturata

Conservazione della biodiversità; gestione dei parchi naturali

28/05/2006 Quito

Dott. Adolfo Maldonado

Medico specialista in medicina tropicale. ONG Accion Ecologica

Note stenografiche; intervista semistrutturata

Produzione petrolifera e salute umana in Amazzonia.

20/05/2006 Quito

Sig. Moy Enomenga

Rappresentante delle comunità Wuaorani

Formato audio; intervista semistrutturata

Riserva della Biosfera Yasuni; Comunità indigene; petrolio; impatti socio-ambientali

18/01/2008 Quito

Sig. Guadalupe LLori

Sindaco della città di Coca

Note stenografiche; formato audio Intervista non strutturata.

Processi di partecipazione comunitaria, gestione forestale, relazioni con lo Stato

14/5/2006 Città di El Coca

Tab. 3.1 Principali interviste raccolte sul campo da informatori privilegiati

Page 104: Pappalardo Tesis Yasuni

103

3.2.3. Problematiche di lavoro

Le attività di campo si sono sempre svolte con l’accompagnamento diretto delle

organizzazioni locali e nazionali sopra citate che hanno seguito gli spostamenti

all’interno dell’area e garantito l’accesso alle comunità locali indigeno-campesine.

Tuttavia, durante gli spostamenti e i rilievi sul campo, si sono riscontrate alcune

difficoltà che hanno limitato l’attività di ricerca. E’ da registrare infatti come le

problematiche direttamente connesse alla conflittualità ambientale, specialmente in

zone di produzione petrolifera, abbiano ridotto lo spettro di ricerca sul campo e

condizionato profondamente la mobilità all’interno del territorio. L’area di studio in

analisi, inclusa la RBY, comprende attualmente quindici concessioni petrolifere ed è

situata in piena amazzonia ecuadoriana. L’accessibilità sia alla RBY che alle

comunità locali al suo interno è possibile attraverso le vie fluviali oppure attraverso

l’unica via stradale pubblica costruita nel 1994 dalla compagnia petrolifera Maxus.

(Finer 2008). Nonostante all’interno del Parco Nazionale Yasuní vi siano le stazioni

scientifiche di ricerca dell’Università Cattolica e San Francisco di Quito, i permessi e

le visite vengono filtrate dalle compagnie petrolifere titolari delle licenze per lo

sfruttamento dei giacimenti. Le compagnie tendono a limitare, ed in alcuni casi ad

impedire, l’accesso al Parco per studi e ricerche indipendenti sugli impatti socio-

ambientali della produzione petrolifera. La compagnia REPSOL YPF, titolare della

concessione numero 16 (Oil Block 16), controlla direttamente l’accesso al Parco

Nazionale Yasuni tramite checkpoints e presidi militari all’inizio della Via Maxus,

impedendo di fatto il libero ingresso alla riserva della biosfera.

In particolare l’accesso al Parco Nazionale Yasuni è praticamente interdetto, o

fortemente limitato, a membri di ONG per il monitoraggio ambientale e per il rispetto

dei diritti umani (Accion Ecologica, Ecociencia, Amazon Watch) e a personalità o

gruppi che hanno una reputazione avversa allo sfruttamento petrolifero. La parziale

entrata di visitatori all’interno del parco denota che valutazioni di impatto ambientale

(VIA) e ricerche scientifiche indipendenti sono di fatto inesistenti e difficili da

sviluppare (International Commission 2004). In molti casi quindi l’avvicinamento

alle infrastrutture petrolifere, ai pozzi d’estrazione ed in particolare alle vasche di

Page 105: Pappalardo Tesis Yasuni

104

raccolta del petrolio fuoriuscito è stato difficoltoso e problematico. Va sottolineato

che l’accompagnamento delle organizzazioni locali all’interno dell’area di studio ha

permesso di visitare molti siti abusivi per lo smaltimento di liquami ed acque di

produzione nell’ambiente e di poter riportare, tramite l’osservazione diretta, interviste

e fotografie degli impatti socio-ambientali dello sfruttamento dei giacimenti

petroliferi nell’amazzonia ecuadoriana. Nonostante l’insieme delle problematiche e le

difficoltà di lavoro sul campo si è riusciti a procedere all’indagine qualitativa, a

raccogliere dati ed a inquadrare nel vivo le dinamiche, gli attori e le poste in gioco dei

conflitti ambientali. Pertanto le attività di campo sono state fondamentali ed hanno

assunto prezioso valore nell’elaborazione e nel processamento dei dati geografici.

Sito Ubicazione e lavoro sul

campo Inquadramento

territoriale Data

Oil Block: Petroecuador

Via Auca. Percorrimento della strada e raccolta punti GPS; visita alle infrastrutture petrolifere (pozzi, piattaforme, pompe, vasche di contenimento)

Principale via di comunicazione petrolifera in amazzonia; interseca la buffer zone della RBY ed entra nel territorio indigeno Wuaorani

10-20 aprile

2006

17-01-2008

Provincia Orellana

Comune di El Coca; visita ed interviste a persone di competenza presso: dipartimento per la protezione ambientale della provincia di Orellana; Proyecto Bosque; Osservatorio per i diritti umani e ambientali; sede della rete indigena Angel Shingre

La provincia copre la maggior parte della superficie della RBY. Il Proyecto Bosque è responsabile della gestione forestale e della partecipazione comunitaria; la rete Angel Shingre coinvolge ed organizza le comunità indigene presenti nel territorio.

5-20 aprile

2006

4-10 gennaio

2008

La Joya de los Sachas

Buffer zone della RBY. A nord della città di El Coca, zona con elevata densità di infrastrutture e pozzi petroliferi. Viaggio e visite nelle comunità locali. Osservazione diretta delle fuoriuscite di petrolio. Interviste ai rappresentanti delle comunità locali.

Zona ad alta criticità ambientale a causa del boom petrolifero degli anni ’80-’90. Impatto antropico elevato a causa della produzione petrolifera e monocolture di palma africana. Cambio quasi totale della copertura vegetale ed uso del suolo.

07-04-2006

Page 106: Pappalardo Tesis Yasuni

105

Comunità di Dayuma

Buffer Zone RBY. Km 26 della Via Auca. Visita alla comunità ed interviste. Visita ai pozzi ed ai luoghi contaminati da petrolio. Osservazione diretta.

Comunità al centro del conflitto ambientale. Comunità locale principalmente di colonos. Zona ad alta densità di pozzi e infrastrutture petrolifere. Numerose fuoriuscite di petrolio.

06-04-2006

14-01-2008

Comunità di Murialdo

Buffer Zone della RBY. Rio Napo. Visita alla comunità indigena. Interviste ed osservazione diretta.

Comunità indigena Kichua. Luogo di ritrovo ed organizzazione delle reti indigene.

11-04-2006

Comunità del Bajo Huino

Buffer zone della RBY. Rio Napo. Visita alla comunità indigena. Interviste ed osservazione diretta. Visita alla piattaforma petrolifera fluviale della compagnia Perenco

Comunità Kichua situata a 2-3 km dalle nuove installazioni petrolifere della compagnia Perenco lungo le rive del Rio Napo.

14-04-2006

Comunità di Garcia Moreno

Buffer Zone. Via Auca a 10 km dalla città di El Coca. Visita alla comunità. Interviste ed osservazione diretta.

Comunità di colonos. Zona ad alta densità di pozzi ed infrastrutture petrolifere. Diretto coinvolgimento nel conflitto ambientale.

10-01-2008

Tab. 3.2 Attività di campo e luoghi visitati all’interno dell’area di studio

3.3 Sistemi Informativi Territoriali Il principale strumento utilizzato per l’analisi spaziale, quantitativa e geografica

all’interno dell’area di studio è il Sistema Informativo Territoriale (S.I.T), meglio

conosciuto con l’acronimo inglese di Geographic Information System (G.I.S.).

Tale sistema è costituito da un potente insieme di strumenti che permettono di

immagazzinare, ricercare, trasformare e rappresentare dati spaziali del mondo reale al

fine di ottenere scopi specifici (Burrough, 1986 in Gomarasca, 2002). Per molteplici

problematiche di natura territoriale, dalla gestione delle aree protette alle analisi

socio-demografiche, i sistemi G.I.S. risultano essere oggigiorno un’insieme avanzato

di strumenti con elevate capacità di visualizzazione ed elaborazione di informazioni

georeferenziate, utili sia nella la ricerca scientifica che, a livello decisionale, nella

pianificazione del territorio. Le tecnologie G.I.S. hanno inoltre notevoli potenzialità

nell’analisi spaziale riuscendo a mettere in relazione gli attributi della base di dati con

Page 107: Pappalardo Tesis Yasuni

106

la componente geografica rappresentata graficamente, andando a raffigurare un

modello del mondo reale (Gomarasca, 2000).

Negli studi di natura ecosistemica va inoltre tenuto in considerazione come le

dinamiche dei sistemi vegetali, dei processi di erosione dei suoli, dell’idrologia

sotterranea e di superficie, ma anche di popolazione e di urbanizzazione siano

processi che mostrano la loro complessità in funzione del tempo e dello spazio,

pertanto difficilmente riconducibili a modelli estremamente semplificati o ridotti ad

una singola componente del sistema. Negli studi di tale natura è notevolmente

aumentato l’interesse verso i G.I.S. per simulare processi di dinamiche spaziali

(Gimblett, 2002).

Per la diversità tematica degli strati informativi e la possibilità di metterli in relazione

tra loro spazialmente e temporalmente i sistemi G.I.S si sono rivelati assai utili nel

descrivere i processi e le interazioni uomo-ambiente.

Un approccio molto interessante alla complessità ecosistemica è quello della

Geographical Information Science (GIScience). La GIScience, integrando la

componente della teoria scientifica e dei sistemi d’informazione, attraverso

tecnologie di remote sensing, di statistiche e di analisi spaziali, di modeling e

simulazione spaziale, di global positioning systems (GPS) e ovviamente di sistemi

G.I.S. prende in esame le interazioni non lineari uomo-ambiente, enfatizzando in

particolare le dinamiche land use/land cover (Walsh, 2002).

Tra le potenzialità della G.I.Science emerge quella di poter sviluppare analisi spaziali

del territorio nella sua complessità integrando,oltre alle componenti bio-fisiche, dati

di carattere antropologico, sociale, produttivo ed economico. In questo modo è

possibile configurare un’analisi sistemica in grado di poter descrivere un’area dal

punto di vista geografico anche in relazione alle dinamiche territoriali (Walsh, 2002).

Alcuni dati geografici acquisiti sul campo derivano da processi locali di Participatory

G.I.S. (PGIS); i dati acquisiti sono stati effettuati con rilievi GPS e sono relativi alla

titolazione delle terre ed alla loro assegnazione alle comunità locali amazzoniche. Il

PGIS è una delle pratiche emergenti nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) che si basa

sul coinvolgimento delle comunità locali attraverso processi partecipativi per

Page 108: Pappalardo Tesis Yasuni

107

costruire sistemi informativi territoriali in grado di soddisfare le esigenze delle stesse

(Rambaldi, 2006).

L’indagine cartografica condotta sul campo e l’accesso a banche dati (dati

georeferenziati) hanno consentito l’acquisizione delle informazioni territoriali di base

utili ai fini delle analisi.

In seguito all’acquisizione si è proceduto alla pre-elaborazione dei dati operando

conversioni tra proiezioni e sistemi di coordinate differenti, controlli di adiacenza,

correzioni geometriche e controllo degli errori.

La ricompilazione dei dati geografici è stata effettuata utilizzando il Database

Management System (DBMS) relazionale integrato nel software G.I.S. che ha

consentito di gestire operazioni di trasformazione, di ricerca, di manipolazione e di

produzione di nuovi dati di output.

Tutti i dati bio-fisici, ecologici, geografici, antropici, socio-economici acquisiti sul

campo sono stati ricompilati ed integrati nel DBMS, creando un data storage che è

geograficamente e temporalmente referenziato e tematicamente differenziato.

Per poter sviluppare le analisi spaziali e la produzione di nuovi output cartografici è

stato utilizzato il software ArcGis versione 9.0 (ESRI) con il quale sono stati svolti i

procedimenti di ricompilazione dei dati geografici acquisiti, di analisi spaziale, di

produzione di carte tematiche, tabelle e grafici.

Le principali funzioni e set di operatori utilizzati con il software ArcGis 9.0 per

l’analisi spaziale sono stati:

- Operazioni di georeferenziazione

- Funzioni di misura per il calcolo di aree, lunghezze, distanze.

- Set di operatori di “overlay mapping”, ossia di sovrapposizione cartografica:

intersect, clip, union, erase.

- Operazioni di buffering, ossia la creazione di aree di rispetto.

- Operazioni di conversione: rasterizzazione e vettorializzazione.

- Operazioni di density analysis, per il calcolo e la produzione di mappe di

densità.

Page 109: Pappalardo Tesis Yasuni

108

3.3.1 Cartografia tematica Per poter procedere allo studio geografico, all’interno della RAE, delle risorse

naturali, delle formazioni vegetali, degli ecosistemi, delle aree protette, delle

popolazioni indigene ma anche delle vie di comunicazione, delle infrastrutture

petrolifere e della parcellizzazione agraria è stato necessario svolgere un’accurata

indagine cartografica in loco presso gli istituti e le organizzazioni competenti.

Oltre all’acquisizione delle carte topografiche dell’amazzonia ecuadoriana in scala

1:250 000 e 1:50 000 presso l’Istituto Geografico Militare (IGM) di Quito è stata

svolta una raccolta di cartografia tematica in formato vettoriale (shape files) e raster e

di dati geografici relativi all’area di studio presso istituzioni, università e NGOs

ecuadoriane. Per poter sviluppare l’analisi spaziale e lo studio dei conflitti ambientali

e poterne tracciare traiettorie e scenari all’interno dell’area di studio sono state

raccolte e prese in esame numerose carte tematiche con dati georeferenziati inerenti ai

sistemi ecologici, sociali e produttivi, compilate sulle base delle componenti fisiche

(suoli, bacini idrografici, geomorfologia, clima), biotiche (ecosistemi, formazioni

vegetali, biodiversità, copertura vegetale), antropiche (insediamenti, comunità,

territori indigeni), economico-ecologiche (titolazione agraria, modelli di gestione ed

uso delle risorse, aree protette e parchi naturali, zonazioni economico-ecologiche) e

produttive (reti di comunicazione, infrastrutture economiche). Particolare attenzione è

stata dedicata alle carte tematiche relative alla produzione petrolifera ed alle

infrastrutture per comprendere le dinamiche territoriali che portano allo sviluppo di

conflitti ambientali.

Dopo aver acquisito in loco la cartografia tematica, attraverso l’utilizzo di software

GIS, si è proceduto alla presa in esame del materiale ed all’analisi critica dei dati

geografici, effettuando dei controlli incrociati con le diverse fonti acquisite per la

verifica di incongruenze o di gap nella base di dati geografica. Rispetto a questo, in

molti casi, sono stati utili i metadati inseriti nel materiale della cartografia tematica

acquisita che hanno dato informazione sull’origine dei dati geografici, sulla

metodologia, sulla scala, sul sistema di riferimento, proiezione e datum.

Page 110: Pappalardo Tesis Yasuni

109

La compilazione di cartografia tematica, derivata da fotografie aeree e remote sensing

ed elaborata con software G.I.S., è in Ecuador pratica assai diffusa, sia in ambiti di

ricerca istituzionali come Università e Ministeri, sia all’interno di NGOs e fondazioni

per la conservazione della natura e lo sviluppo sostenibile; l’elaborazione ed il

processamento di dati georeferenziati delle componenti biofisiche e di quelle socio-

economiche è sovente utilizzata infatti per pianificazioni territoriali, piani di gestione

di aree protette, zonazioni ecologiche-economiche, analisi land use/land cover nonché

valutazioni di impatto ambientale (VIA). Istituzioni

visitate Definizione Tematismi Ruolo

dell’organizzazione data

ECORAE Istituto per l’eco-sviluppo regionale amazzonico; presidenza della Repubblica

Componente fisica Componente biotica Zonazione ecologica - economica Infrastrutture varie

Promuovere lo sviluppo sostenibile nell’Amazzonia ecuadoriana e l’interculturalità

06/05/2006 15/06/2006

IGM Ecuador Istituto Geografico Militare

Carte topografiche 8/04/2006

Ministerio Energia y Minas

Ministero dell’Energia; catasto minierario e concessioni petrolifere

Aree di concessione; infrastrutture; pozzi e piattaforme;

Assegnazione delle licenze per lo sfruttamento petrolifero

03/06/2006

ECOCIENCIA Fondazione Ecuadoriana per gli studi ecologici

Formazioni vegetali Ecosistemi Biodiversità

Piano di gestione della Riserva della Biosfera Yasuni

09/04/2006

SIMBIOE Società per la ricerca ed il monitoraggio della biodiversità ecuadoriana

Aree protette Insediamenti urbani Biodiversità Ecosistemi

Collaborazione della gestione delle risorse forestali, Orellana.

04/04/2006

WALSH Environmental Scientists and Engineers

Comunità indigene Wuaorani. Comunità indigene Kichua e colonos.

VIA per le compagnie petrolifere Gestione aree protette

07/04/2006

Accion Ecologica NGOs Comunità indigene e colonos

Difesa dei diritti degli indigeni e delle aree protette

10/06/2006

Dipartimento Ambientale, Orellana

Provincia di Orellana

Zonificazione ecologica-economica Proprietà ed uso delle risorse

Protezione ambientale su scala provinciale. Gestione forestale e partecipazione comunitaria.

20/04/2006

13/01/2008

Tabella 3.3 – Istituzioni e organizzazioni visitate sul campo per l’acquisizione della cartografia tematica e base di dati georeferenziati

Page 111: Pappalardo Tesis Yasuni

110

In seguito alla raccolta dei materiali geografici si proceduto ad organizzare la

cartografia tematica acquisita in una base di dati divisa in 6 campi (fonte, nome della

carta, tematismo, categoria di primo livello, categoria di secondo livello, scala) e 250

records per poter compiere l’analisi comparata e svolgere la ricompilazione dei dati

geografici.

La raccolta, l’organizzazione in database e l’analisi comparata sono state operazioni

necessarie per ricompilare le carte ed i dati geografici al fine produrre una base

cartografica tematica che includesse la rete ed i bacini idrografici, gli ecosistemi, le

formazioni vegetali, la biodiversità e le specie più rappresentative, le comunità

indigeno-campesine, la titolazione delle terre, le vie di comunicazione, la produzione

petrolifera. Tematismo Fonte Scala Copertura Struttura

geometrica Utilizzo

Limiti amministrativi

ECORAE

1 : 100 000

Province: RAE

Poligono

Area di studio

Sistema Nazionale Aree Protette (SNAP)

SIMBIOE

1 : 250 000

Ecuador

Poligono

Carta SNAP Area di Studio Carta petrolio Carta comunità

Vie di comunicazione stradale

ECORAE 1 : 250 000 Province: Napo, Pastaza,

Orellana, Sucumbios

Polilinea

Area di studio Carta petrolio Carta comunità Carta titolazione terre

Sistemi forestali

ECOCIENCIA

1 : 250 000

Regione

Amazzonica Ecuadoriana

RAE

Poligono

Analisi quantitativa: erosione sistemi forestali per impatto antropico

Ecosistemi ECORAE 1 : 250 000 Province: Napo, Pastaza,

Orellana, Sucumbios

Poligono Carta ecosistemi Carta biodiversità

Bacini Idrografici ECORAE 1 : 250 000 RAE Poligono Area di studio Carta sistemi idrografici

Rete idrografica WALSH 1 : 250 000 RAE Polilinea Carta sistemi idrografici

Assegnazione delle terre

Dip. Geografia Dip. Geography, North Carolina

1 : 250 000 RAE Poligono Carta titolazione delle terre Analisi quantitativa

Comunità locali: indigeni e campesinos

RAE Punti Carta comunità indigene e campesinos

Licenze petrolifere

Min. Energia 1 : 250 000 Ecuador Poligono Carta petrolio

Pozzi petrolio Min. Energia 1 : 250 000 Ecuador Punti Carta petrolio Campi petrolio Min. Energia 1 : 250 000 RAE Poligono Carta Petrolio Tab. 3.4 Elenco carte utilizzate per l’analisi quantitativa e input cartografici

Page 112: Pappalardo Tesis Yasuni

111

3.3 Immagini satellitari Oltre alla cartografia tematica digitale si è provveduto ad acquisire diverse immagini

satellitari per compiere operazioni di buffering sulle aree deforestate, lo studio e

l’analisi quantitativa di una via di comunicazione stradale per la produzione

petrolifera all’interno della Riserva della Biosfera Yasuni, ma anche di controllo

geometrico in overlay sulle carte tematiche ricompilate e proiettate in altri sistemi di

riferimento.

Sono state utilizzate immagini Landsat 7 Enhanced Thematic Mapper Plus (ETM+)

che per la loro risoluzione geometrica (da 15 a 30 metri/pixel) e risoluzione spettrale

sono particolarmente adatte per il monitoraggio della deforestazione regionale.

In particolare sono state acquisite scene satellitari Landsat 7 ETM+ scaricate dal sito

Global Land Cover Facilities dell’Università di Maryland

(http://glcf.umiacs.umd.edu) per il controllo geometrico e quello delle conversioni in

differenti sistemi di coordinate geografiche, nonché per la definizione cartografica

dell’area di studio.

La Società per la ricerca ed il monitoraggio della biodiversità ecuadoriana

(SIMBIOE) ha provveduto a fornire immagini satellitari Landsat 5 TM del 1987 e

Landsat 7 ETM+ del 2002, dalla stessa utilizzate per un’analisi diacronica sul cambio

delle copertura vegetale nella zona della cosiddetta “Via Auca”, la principale via di

comunicazione per le attività petrolifere della RAE. L’analisi diacronica acquisita in

loco ha dato indicazioni sul trend di cambiamento della copertura vegetale dall’anno

1987 all’anno 2002 cosicchè la scena Landsat 7 ETM+ (path 9, row 60; anno 2002) è

stata utilizzata per costruire una area di rispetto (buffer) delle aree deforestate intorno

alla strada e per produrre analisi quantitative all’interno della zona in analisi.

Page 113: Pappalardo Tesis Yasuni

112

Fig. 3.1 Immagini Landsat ETM+ 2002 – Lago Agrio e Strada "Via Auca". Cambio della copertura e deforestazione del tipo “spina di pesce” (Elaborazione con G.I.S.)

Page 114: Pappalardo Tesis Yasuni

113

Sono state inoltre utilizzate scene satellitari disponibili sulla piattaforma Google

Earth. Tali immagini mostrano in dettaglio una strada recentemente aperta all’interno

della foresta primaria senza le autorizzazioni governative (ref) dalla compagnia

petrolifera statunitense Occidental-Petroleum per lo sfruttamento dei giacimenti

petroliferi nell’area contigua ed all’interno della buffer zone della RBY. Le scene

satellitari in questione sono state prodotte dalla Digital Globe Company e solo

recentemente sono state pubblicate e rese gratuitamente disponibili tramite la

piattaforma software Google Earth. Le immagini sopracitate sono scene satellitari

ortorettificate acquisite dal satellite commerciale QuickBird sul quale è installato un

sensore Multispectral con le seguenti bande spettrali (MS Channels): blue (450-

520nm), green (520-600nm), red (630-690nm), near-IR (760-900nm). Le immagini

utilizzate per l’analisi spaziale, acquisite dal satellite Quickbird il 18 maggio 2003,

sono due scene di 16,5 x 16,5 chilometri al suolo, con coordinate geografiche UTM

di 0.49225° Sud, 76.0639° Ovest e 0.6332° Sud, 76.0677° Ovest; coprono buona

parte della concessione petrolifera n. 15 (Oil Block 15) e alcune parti della RBY. Per

la loro elevata risoluzione geometrica (2,4 metri/pixel al suolo) le due scene satellitari

mostrano in maniera dettagliata sia l’intera rete stradale (che entra nella buffer zone

della RBY) sia l’insieme delle infrastrutture per l’estrazione ed il processamento del

petrolio greggio.

Page 115: Pappalardo Tesis Yasuni

114

Fig. 3.2 Strada OXY Petroleum e buffer zone della RBY, immagine georeferenziata. (fonte: MS Channels, Quickbird, 18/05/2003) Per poter sviluppare l’analisi quantitativa con le sopracitate scene satellitari è stato

necessario processare le immagini con i seguenti software:

- Google Earth PRO 4.2

- Photoshop CS2 (Adobe)

- Arcgis 9.0

Dopo essersi posizionati con lo strumento zoom di Google Earth a 237 metri dal

suolo sono stati salvati screenshots di tutto il tracciato stradale con risoluzione di

1400x1217 dpi (dot per inch) fino alle sue appendici terminali. Si sono ottenuti 60

screenshots che sono stati successivamente importati e processati con il programma

Photoshop CS2 per ricostruire le scene satellitari che coprono la strada petrolifera.

Con il file raster ottenuto si è in seguito passati alle operazioni di georeferenziazione

con il software ArcGis 9.0 per poter eseguire le operazioni di digitalizzazione ed

analisi quantitative. Per le operazioni di georeferenziazione sono stati individuati con

Page 116: Pappalardo Tesis Yasuni

115

Google Earth otto punti ben riconoscibili all’interno dell’area, quindi si è proceduto

all’inserimento manuale delle coordinate x ed y con ArcGis 9.0. Successivamente si è

proceduto ad un controllo degli errori di georeferenziazione tramite operazioni di

overlay con altre carte tematiche acquisite, rilevando uno scarto di 10 metri circa. Per

effettuare i processi di georeferenziazione e l’analisi spaziale dell’area si è mantenuto

il sistema di riferimento WGS84.

Fig. 3.3 Screenshot su piattaforme petrolifere contigue ad importante alveo fluviale tipo braided. Immagine georeferenziata. (fonte: MS Channels, Quickbird, 18/05/2003)

Page 117: Pappalardo Tesis Yasuni

116

Fig. 3.4 Screenshot del Centro di processamento del petrolio (CPF) della Occidental Petroleum lungo la buffer zone della RBY. (fonte: MS Channels, Quickbird, 18/05/2003)

Page 118: Pappalardo Tesis Yasuni

117

4 Risultati 4.1 Introduzione Dopo aver effettuato la definizione dell’area di studio nell’Amazzonia ecuadoriana si

è proceduto alle indagini quantitative utilizzando i software ArcGis 9.0 per le analisi

geografiche e spaziali e Microsoft Excel 9.0 come foglio di calcolo per compilare

tabelle e grafici. Utilizzando un approccio ecosistemico per l’indagine territoriale le

analisi quantitative si sono sviluppate approfondendo le problematiche ambientali

nell’area della Riserva della Biosfera Yasuní, con particolare riferimento all’impatto

delle attività antropiche sui sistemi forestali ed allo sviluppo dei conflitti legati all’uso

delle risorse naturali.

Se da un lato l’analisi quantitativa è stata orientata sul cambio di copertura vegetale

ed uso del suolo (land cover) dall’altro si sono presi in esame i processi di

territorializzazione (Faggi, Turco, 2001) legati allo sfruttamento dei giacimenti ed

alla produzione petrolifera nello spazio amazzonico, laddove coesistono comunità

locali (indigene e meticcie) ed aree protette istituite dall’UNESCO all’interno dei

programmi MAB (Villaverde et al., 2005).

In base alla disponibilità dei dati acquisiti, ossia immagini satellitari e carte

tematiche, ed al ruolo che le vie di comunicazione stradali hanno nel cambio di

copertura vegetale ed uso del suolo (Walsh, Kelley, 2002) si è convenuto strutturare

le analisi quantitative relative all’impatto antropico intorno ai principali accessi

all’interno della foresta primaria. Pertanto le analisi quantitative di tipo land

cover/land use in rapporto alle vie di comunicazione stradali sono state le seguenti:

- analisi diacronica della copertura forestale e studio del rapporto tra attività

antropiche e sistemi forestali

- ground truth (“verifica al suolo”) e costruzione del grafo stradale tramite i

punti GPS raccolti sul campo della principale rete viaria della RAE (Via

Auca)

- aree protette e produzione petrolifera: analisi geografica e quantitativa con

approccio transcalare.

Page 119: Pappalardo Tesis Yasuni

118

- digitalizzazione da immagini satellitari ed analisi quantitativa sulla strada

petrolifera costruita illegalmente dalla compagnia Occidental Petroleum

(Environment News Service, 16/02/2005).

- calcolo della densità delle installazioni per l’estrazione petrolifera a scala

macroregionale.

- analisi comparativa a scala macroregionale tra la carta di densità delle

installazioni petrolifere e la carta tematica delle aree con elevata degradazione

degli habitat.

- analisi quantitativa e comparativa dei modelli di territorializzazione

nell’intorno della rete stradale Via Auca ed il bacino idrografico Curaray

4.2 Area di studio L’elaborazione cartografica per la definizione dell’area di studio si è basata sui

seguenti tematismi:

- cartografia tematica dei sistemi amministrativi acquisiti in loco presso

l’Istituto per l’eco-sviluppo della Regione Amazzonica Ecuadoriana

(ECORAE); scala 1 : 250 000; datum Provisional South America 1956, Z18S.

- Cartografia tematica delle aree protette appartenenti allo SNAP, acquisite in

loco presso ECORAE; scala 1 : 250000; datum Provisional South America

1956, Z18S.

- Cartografica tematica del sistema di comunicazione stradale; scala 1 : 250

000, fonte Geography Department of Carolina; datum Provisional South

America 1956, Z17S.

- Cartografica tematica dei campi petroliferi, pozzi, polidotti, raffinerie, Central

Processing Facilities e infrastrutture petrolifere del Catasto petrolifero e della

direzione nazionale delle risorse minerarie (DINAGE); scala 1:250 000,

datum Provisional South America 1956, Z18S.

Page 120: Pappalardo Tesis Yasuni

119

- Cartografia tematica delle comunità indigene Wuaorani, Kichua e degli

insediamenti di contadini colonos, acquisiti a Quito presso la Fundación

Ecuatoriana de Estudios Ecológicos (ECOCIENCIA); scala 1:250 000, datum

Provisional South America 1956, Z18S.

- Cartografia tematica degli insediamenti urbani, acquisita presso la ONG

Sociedad para la Investigaciòn y Monitoreo de la diversidàd Biologica

Ecuatoriana (SIMBIOE); scala 1 250 000, datum Provisional South America

1956, Z18S (fonte: Odeplant)

- Immagini satellitari Landsat ETM del 30 agosto 2000; sistema di riferimento

WGS84, proiettata in PSAD1956, Z18S; (fonte: Global Land Cover

Facilities)

Page 121: Pappalardo Tesis Yasuni

120

Fig. 4.1 Elaborazione dell'area di studio: Riserva della Biosfera, comunità locali, limiti amministrativi, concessioni petrolifere, vie di comunicazione.

Page 122: Pappalardo Tesis Yasuni

121

4.3 Input cartografici Attraverso la ricompilazione dei dati geografici acquisiti sul campo sono stati prodotti

degli input cartografici, ossia delle carte tematiche elaborate ad hoc, indispensabili

per l’analisi quantitativa, per la discussione sulle dinamiche territoriali e sui conflitti

ambientali:

- carta tematica degli ecosistemi della regione amazzonica ecuadoriana (RAE).

- carta tematica del sistema idrografico della RAE.

- carta tematica della produzione petrolifera

- carta delle popolazioni locali (indigene e campesinos meticce).

4.4 Carta tematica degli ecosistemi della RAE: input cartografico. La carta tematica degli ecosistemi è stata prodotta ricompilando i dati geografici

acquisiti in loco presso l’Istituto per l’eco-sviluppo della regione amazzonica

(ECORAE). I dati geografici presentano gap informativi dovuti ai cambiamenti dei

limiti amministrativi della provincia di Napo ed Orellana, localizzati a cavallo delle

due province. E’ stata inoltre riscontrata, nella base di dati ECORAE, una

disomogeneità nella raccolta dei dati, nella loro compilazione e nella metodologia

utilizzata; anche i metadata si sono rivelati in gran parte carenti. Pertanto si è

proceduto alla ricompilazione cartografica ed all’integrazione dei dati mancanti

effettuando triangolazioni con i dati acquisiti in loco presso le ONG Ecociencia ed

Accion Ecologica.

Si è quindi ottenuta la carta tematica degli ecosistemi della RAE utilizzata come input

cartografico per le analisi quantitative relative allo studio di vegetazione, delle rete

viaria, delle aree protette e della produzione petrolifera. In particolare sono stati

“estratti” i dati relativi alle aree con perdita o elevata degradazione degli habitat e

sostituzione della copertura vegetale, operando successivamente intersezioni

geometriche per le analisi quantitative.

Page 123: Pappalardo Tesis Yasuni

122

A causa della diversità degli habitat, del clima e degli ecosistemi, la regione

amazzonica ecuadoriana (RAE) presenta un’elevata diversità biologica in ogni suo

livello organizzativo. Il contributo in termini di biodiversità e di tasso di endemismo

della RAE porta l’Ecuador ad essere riconosciuto come Paese Megadiverso

(Lindenmayer, Mark Burgman, 2005)

Ad esempio, nel bacino idrografico del Rio Napo sono state classificate 470 specie di

pesci, numero che supera i registri di qualunque altro sistema idrografico del mondo

(IUCN, ECOCIENCIA, 2000).

Page 124: Pappalardo Tesis Yasuni

123

Fig. 4.2 Carta tematica degli ecosistemi della regione amazzonica ecuadoriana (RAE); al centro, evidenziato con il colore bianco, è visibile il gap informativo.

Page 125: Pappalardo Tesis Yasuni

124

4.5 Sistemi idrografici della regione amazzonica ecuadoriana. La cartografia tematica relativa al reticolo idrografico ed al bacino della regione

amazzonica ecuadoriana (RAE) è stata ricompilata utilizzando principalmente i dati

ministeriali dell’Istituto ecuadoriano per l’eco-sviluppo della regione amazzonica

(ECORAE). A causa di gap negli strati informativi, in particolare nell’area della

Riserva della biosfera Yasuní (RBY), è stato necessario procedere ad integrazioni con

dati acquisiti presso la Fondazione ecuadoriana per gli studi ecologici

(ECOCIENCIA) e con la base di dati geografici della Corporazione per la ricerca ed

il monitoraggio della biodiversità ecuadoriana (SIMBIOE); è stata comunque

riscontrata anche in questo caso scarsa omogeneità sia nella raccolta dei dati

idrografici che nella metodologia della compilazione degli stessi. Nonostante i

procedimenti di integrazione cartografica la copertura dei dati relativi al reticolo

idrografico dell’area geografica nord-orientale della regione amazzonica è risultata

parziale.

L’elaborazione della carta dei sistemi idrografici è stata ritenuta indispensabile sia per

l’analisi dei differenti modelli di territorializzazione (Faggi, Turco, 2001) sia per

individuare possibili implicazioni di carattere ambientale nelle aree in cui l’elevata

densità di strutture per la produzione petrolifera ha determinato un importante

inquinamento delle acque superficiali e risorgive, come riportato dal Secondo

Tribunale Internazionale delle Acque di Amsterdam nel 1992 (Second International

Water Tribunal, 1994 in De Marchi, 2004).

Tramite l’osservazione diretta e le interviste raccolte sul campo è stata inoltre

riscontrata un’elevata presenza di vasche di raccolta, senza strutture

impermeabilizzate e a “cielo aperto” (vedi immagine satellitare e fotografia effettuata

sul campo, fig. 4.15 e 4.16 p.), di acque derivanti dalla produzione petrolifera in

prossimità di corsi d’acqua e risorgive, nonché di numerose fuoriuscite di petrolio

greggio e liquidi idrocarburici dai polidotti, direttamente riversati nell’ambiente.

All’interno della carta dei sistemi idrografici sono stati quindi ricompilati i dati

ministeriali ECORAE relativi all’inquinamento delle acque, che coinvolgono

principalmente il bacino del Rio Napo, Rio Aguarico, Conduè e Bonduè.

Page 126: Pappalardo Tesis Yasuni

125

Tab. 4.1 Fiumi della Provincia di Orellana con presenza di agenti contaminanti (fonte: ECORAE, 2002)

Tenendo in considerazione che la densità di drenaggio media dei fiumi dell’Amazon

Basin è di circa 0.2-03 Km/Km2 (Muller, Cochonneau et al., 2000), è stata ritenuta

operazione opportuna individuare un’area campione (laddove i dati del reticolo erano

completi) ed effettuare il calcolo dell’indice di densità di drenaggio per effettuare una

comparazione.

L’area campione è stata individuata in prossimità della riserva della biosfera Yasuní e

nell’area con elevata densità di strutture petrolifere, nella zona di El Coca. Su un’area

di 2137 Km2 sono stati rilevati 1192 Km di reticolo idrografico, pertanto la densità di

drenaggio è di 0.55 Km/Km2.

Come si può rilevare dalla cartografia ricompilata, all’interno dell’area della regione

amazzonica (RAE), il sistema si evolve in un reticolo idrografico fittissimo (Strahler,

1984) e presenta una tipologia di ramificazione di tipo dendritico.

Tutti i bacini idrografici all’interno della Regione amazzonica ecuadoriana (RAE)

appartengono al grande e complesso sistema idrografico di drenaggio del Rio delle

Amazzoni; essi sono distribuiti in 7 grandi sottobacini che si formano principalmente

nella fascia pedemontana della Cordigliera andina (Ministero dell’Ambiente, 2005) e

della Cordigliera amazzonica (detta anche terza cordigliera).

L’intero corso dei fiumi si sviluppa quindi dal complesso orografico andino

procedendo da ovest verso est.

L’area della regione amazzonica si divide, partendo dal limite con la Colombia, nei

seguenti bacini idrografici:

- Rio Putumayo

- Rio Napo

- Rio Tigre

Nome fiume Area Km2 Livello di contaminazione Rio Aguarico 150.483 Alto Rio Napo 107.000 Alto Rio Conduè 12.142 Alto Rio Duè 4.205 Alto

Page 127: Pappalardo Tesis Yasuni

126

- Rio Pastaza

- Rio Morona

- Rio Santiago

- Rio Mayo

Considerata l’elevata densità del reticolo idrografico è elemento interessante

riscontrare come le popolazioni locali, in particolar modo quelle indigene, tendono a

costruire il territorio proprio attraverso ed intorno ai corsi d’acqua, come sarà

discusso nel paragrafo sui modelli di territorializzazione.

Page 128: Pappalardo Tesis Yasuni

127

Fig. 4.3 Carta del sistema idrografico: idrografia, bacini, fiumi contaminati e l'area campione su cui si è calcolata la densità di drenaggio.

Page 129: Pappalardo Tesis Yasuni

128

4.6 Comunità indigene, colonos e centri urbani: input cartografico. All’interno dell’area di studio i sistemi sociali si sono organizzati lungo le vie di

comunicazione fluviali e terrestri. L’area fortemente urbanizzata è rappresentata dalla

zona compresa tra il Rio Napo ed il Rio Aguarico, all’interno della provincia di

Sucumbios, nell’Amazzonia ecuadoriana settentrionale prossima al confine con la

Colombia. Quest’area risulta, a partire dal secolo scorso, inserita all’interno dei

processi di urbanizzazione legati alla colonizzazione dello spazio amazzonico in

seguito alla riforma agraria ed al boom dell’industria petrolifera (Walsh et al., 2002).

Pertanto in quest’area i sistemi sociali si strutturano in uno spazio amazzonico sempre

più modernizzato da reti stradali, colture estensive ed complessi infrastrutturali

petroliferi. In quest’area si sono sviluppati centri urbani e altamente popolati come El

Coca, Lago Agrio, Shushufindi, Las Joya de los Sachas ed altri centri minori. La

cosiddetta Via Auca ha dato luogo allo sviluppo di centri urbani minori legati alle

attività petrolifere e agricole, con presenza di popolazioni con composizione etnica

mista (colonos-quichua) (Vallejo, 2002).

Le comunità indigene propriamente dette (Wuaorani e Quichua), presenti all’interno

dell’area di studio, sono localizzate prevalentemente nella parte meridionale della

stessa e si strutturano in villaggi ed insediamenti di piccole dimensioni lungo le vie

fluviali del bacino del Rio Napo e Rio Curaray.

All’interno dell’area di studio è presente inoltre il territorio indigeno Wuaorani i quali

hanno ricevuto, il 3 aprile 1990, il titolo legale dal governo ecuadoriano di Rodrigo

Borjia (Varea, 1997). Tale territorio indigeno costituisce la cosiddetta Riserva Etnica

Wuaorani ricoprendo 612.560 ha dello spazio amazzonico ecuadoriano. Il territorio

indigeno si plasma sul reticolo idrografico dei bacini idrografici dei seguenti fiumi:

Cononaco, Yasuni, Shiripuno, Tiguino, Cuchiyacu, Curaray, Nushino, Tzapino,

Tihueno e Manderoyaco. La Riserva Etnica Wuaorani è collocata all’interno del

bacino nord-occidentale del rio delle Amazzoni, al di sotto di 300 metri s.l.m., ed

include le province amministrative di Napo e Pastaza.

Page 130: Pappalardo Tesis Yasuni

129

Sistemi sociali

Territorio indigeno Wuaorani 7708.81 Km2

Comunità indigene Wuaorani 30

Comunità Quichua e colonos 46

Centri urbani 7

Tab. 4.2 Sistemi sociali: estensione del territorio indigeno, numero di comunità indigene e meticcie, centri urbani.

Page 131: Pappalardo Tesis Yasuni

130

Fig. 4.4 Organizzazione dei sistemi sociali nell'area di studio.

Page 132: Pappalardo Tesis Yasuni

131

4.7 Studio dei sistemi forestali amazzonici ed impatto antropico Per sviluppare questo studio sono state prese in esame le carte tematiche acquisite

sul campo relative ai sistemi forestali della Regione Amazzonica Ecuadoriana

(RAE). Dopo aver effettuato un’analisi comparativa e critica tra le carte tematiche

acquisite presso l’istituzione ministeriale ECORAE e quelle delle ONG non

governative (ECOCIENCIA, WALSH e SIMBIOE) che operano nel campo della

conservazione della biodiversità e gestione delle aree protette, è stata ricavata la

base di dati geografici su cui effettuare l’analisi quantitativa. A causa di gap

informativi dovuti ai cambiamenti dei limiti amministrativi tra le province di

Napo, Orellana e Pastaza non è stato possibile utilizzare la base di dati

ministeriali di ECORAE ed è stato necessario compiere un’integrazione sia a

livello cartografico che a livello di database. La base di dati geografici quindi è il

prodotto della ricompilazione delle carte tematiche sulla copertura vegetale

originaria e su quella rimanente acquisite dalla ONG ECOCIENCIA ed integrate

con i dati ministeriali di ECORAE.

La copertura vegetale originaria è intesa come quella precedente alla cosiddetta

colonizzazione agricola nella RAE (ECOCIENCIA, 2002), quindi precedente al

secolo scorso, mentre la copertura rimanente è stata digitalizzata nel 2002

(ECORAE, 2002). Pertanto il risultato dello studio risulta essere un’analisi

diacronica di tipo land cover all’interno di tale intervallo temporale.

Il sistema forestale dell’area di studio è definito da nove formazioni vegetali

tipiche degli ecosistemi tropicali amazzonici (Sierra, 1999) che si estendono dalla

pianura alluvionale del Rio Napo con il Bosco Sempreverde de Tierras Bajas

(l’ecosistema geograficamente predominante) alla fascia pedemontana e montana

del versante orientale della Cordigliera andina. Quest’ultime aree geografiche

sono coperte dalle tipiche formazioni vegetali d’altura, ossia dal Bosco

Sempreverde Pedemontano alle formazioni vegetali delle aree biogeografiche

altitudine, ossia i Paramos (Sierra, 1999).

Attraverso le funzioni di overlay di ArcGis, in particolare intersect e clip, sono

state eseguite adeguate intersezioni geometriche per procedere all’analisi spaziale;

Page 133: Pappalardo Tesis Yasuni

132

inoltre sono stati sovrapposti i layer del Parco Nazionale Yasuni, il territorio

indigeno Wuaorani e la buffer zone di 10 Km dalla RBY come componenti

fondamentali dello studio.

Dopo aver effettuato operazioni di clipping sull’area di studio precedentemente

definita si sono eseguite funzioni di misura per calcolare le aree di ciascuna

formazione vegetale.

Seguono le ricompilazioni ed elaborazioni cartografiche (output cartografici), le

tabelle ed i grafici.

Page 134: Pappalardo Tesis Yasuni

133

Fig. 4.5 Carta tematica della vegetazione originaria e rimanente

Page 135: Pappalardo Tesis Yasuni

134

Tabella 4.3 Copertura vegetale originaria: formazioni vegetali ed calcolo delle aree

SISTEMI FORESTALI – COPERTURA ORIGINARIA AREA Km2

Bosco Sempreverde de "Tierras Bajas" della Amazzonia 38641.15

Bosco de "Tierras Bajas de Palmas y Aguas Negras" 3500.45

Bosco Inondabile de "Tierras Bajas por Aguas Blancas" 2354.61

Bosco Sempreverde Pedemontano della Amazzonia 1531.77

Bosco Sempreverde basso montano Cordigliera Amazzonica 413.50

Bosco Sempreverde montano della Cordigliera Amazzonica 58.12

Prateria de "Tierras Bajas" della Amazzonia 42.00

"Matorral" alto montano umido della Cordigliera della Amazzonia 7.63

Paramo de Almohadillas 0.61

Totale superficie Km2 46549.88

Page 136: Pappalardo Tesis Yasuni

135

Fig. 4.6 Copertura vegetale originaria s

Page 137: Pappalardo Tesis Yasuni

136

Tab. 4.4 Copertura vegetale rimanente: formazioni vegetali e calcolo delle aree.

Fig. 4.6 Rappresentazione della copertura vegetale rimanente

SISTEMI FORESTALI - COPERTURA RIMANENTE AREA Km2

Bosco Sempreverde de "Tierras Bajas" della Amazzonia 33748.65

Zona intervenida1 5819.70

Bosco de "Tierras Bajas de Palmas y Aguas Negras" 3465.22

Bosco Inondabile de "Tierras Bajas por Aguas Blancas" 1897.89

Bosco Sempreverde Pedemontano della Amazzonia 1108.38

Bosco Sempreverde basso montano Cordigliera Amazzonica 405.02

Bosco Sempreverde montano della Cordigliera Amazzonica 58.12

Prateria de "Tierras Bajas" della Amazzonia 38.62

"Matorral" alto montano umido della Cordigliera della Amazzonia 7.63

Paramo de Almohadillas 0.61

Totale superficie Km2 46549.88

Page 138: Pappalardo Tesis Yasuni

137

1Zona Intervenida: termine spagnolo che si riferisce alle aree soggette ad un totale cambio di copertura vegetale ed uso del suolo con lo sviluppo di colture estensive, urbanizzazione ed industrializzazione; l’area, originariamente ricoperta da foresta primaria, risulta ecologicamente degradata (cfr. immagini Landsat ETM+, fig 3.1)

Page 139: Pappalardo Tesis Yasuni

138

Fig. 4.8 Carta tematica dell’impatto antropico su ciascuna formazione vegetale.

Page 140: Pappalardo Tesis Yasuni

139

I dati cartografici relativi a Zona intervenida sono stati geometricamente intersecati

con gli altri layer ottenendo le aree di impatto antropico su ciascuna formazione

vegetale. L’impatto antropico consiste nelle aree di copertura originaria persa.

EROSIONE SISTEMI VEGETALI PER IMPATTO ANTROPICO AREA Km2

Bosco Sempreverde de "Tierras Bajas" della Amazzonia 4892.5

Bosco Inondabile de "Tierras Bajas por Aguas Blancas" 456.7

Bosco Sempreverde Pedemontano della Amazzonia 423.4

Bosco de "Tierras Bajas de Palmas y Aguas Negras" 35.2

Bosco Sempreverde basso montano Cordigliera Amazzonica 8.5

Prateria de "Tierras Bajas" della Amazzonia 3.4

Tabella 4.5 Impatto antropico: perdita delle formazioni originarie e calcolo delle aree

Page 141: Pappalardo Tesis Yasuni

140

84.07%

7.85%

7.28%

0.61% 0.15%0.06%

EROSIONE SISTEMI VEGETALI PER IMPATTO ANTROPICO

Bosco Sempreverde de "Tierras Bajas" della Amazzonia

Bosco Inondabile de "Tierras Bajas por Aguas Blancas"

Bosco Sempreverde Pedemontano della Amazzonia

Bosco de "Tierras Bajas de Palmas y Aguas Negras"

Bosco Sempreverde basso montano Cordigliera Amazzonica

Prateria de "Tierras Bajas" della Amazzonia

Fig. 4.9 Impatto antropico sulle differenti formazioni vegetali.

Tabella 4.6 Comparazione tra le aree di copertura vegetale originaria e l’impatto antropico in termini di superficie su ciascuna formazione vegetale

EROSIONE SISTEMI VEGETALI PER IMPATTO ANTROPICO

copertura vegetale originaria

Copertura sostituita

Km2 Km2

Bosco Sempreverde de "Tierras Bajas" della

Amazzonia 35997.78 4892.50

Bosco Inondabile de "Tierras Bajas por Aguas

Blancas" 2277.22 456.71

Bosco Sempreverde Pedemontano della Amazzonia 1531.77 423.39

Bosco de "Tierras Bajas de Palmas y Aguas Negras" 3500.45 35.23

Bosco Sempreverde basso montano Cordigliera

Amazzonica 413.50 8.47

Prateria de "Tierras Bajas" della Amazzonia 42.00 3.37

Page 142: Pappalardo Tesis Yasuni

141

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

40000

Km2

BoscoSempreverdede "TierrasBajas" dellaAmazzonia

BoscoInondabile de

"Tierras Bajaspor AguasBlancas"

BoscoSempreverde

Pedemontanodella

Amazzonia

Bosco de"Tierras Bajas

de Palmas yAguas Negras"

BoscoSempreverde

bassomontano

Cordigliera Amazzonica

Prateria de"Tierras Bajas"

dellaAmazzonia

copertura vegetale originariacopertura vegetale sostituita

Fig. 4.10 Istogramma comparativo tra le formazioni vegetali originarie e le aree sostituite.

Page 143: Pappalardo Tesis Yasuni

142

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%Bos

co Sem

preve

rde de

"Tier

ras Baja

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zonia

Bosco

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mazzo

nia

copertura vegetalesostituitacopertura vegetaleoriginaria

Fig. 4.11 Istogramma comparativo in percentuale tra le formazioni vegetali originarie e le aree con sostituzione della copertura.

Page 144: Pappalardo Tesis Yasuni

143

4.8 Ground truth, punti GPS e grafo stradale Le attività di campo all’interno dell’area di studio includono il rilievo GPS del

tracciato stradale della cosiddetta via Auca. Tale strada è stata percorsa in tutta la sua

lunghezza e lungo le sue ramificazioni laterali cercando di giungere fino alle sue

appendici terminali; la rete viaria è stata percorsa su un mezzo a quattro ruote,

pertanto il rilievo GPS si è effettuato su strade pavimentate o in terra battuta. E’ stato

ritenuto opportuno rilevare dati GPS lungo la rete viaria sopraccitata per effettuare la

cosiddetta ground truth, ossia una verifica al suolo delle informazioni geografiche e

spaziali.

I dati GPS del tracciato (trackpoints) sono stati processati con il software ArcGis 9.0

al fine di elaborare il grafo stradale della via di comunicazione. Il grafo stradale

ottenuto dal processamento dei dati GPS raccolti sul campo è stato sottoposto

all’analisi comparata con i tracciati viari della medesima via di comunicazione,

acquisiti dall’ECORAE ed Ecociencia. Tale operazione si è svolta per quantificare il

grado di evoluzione e di avanzamento all’interno della foresta primaria della strada in

oggetto.

Page 145: Pappalardo Tesis Yasuni

144

Fig. 4.12 Evoluzione del grafo stradale della Via Auca dall’anno 2002 all’anno

2006

Page 146: Pappalardo Tesis Yasuni

145

4.9 Via di comunicazione stradale Occidental Petroleum: analisi

quantitativa Tramite la piattaforma Google Earth è stata individuata la rete viaria petrolifera

costruita illegalmente dalla Occidental Petreoleum (Environment News Service, 2005)

che dalle zone ripariali del fiume Rio Napo si dirama in direzione della Riserva della

Biosfera Yasuní entrando nella buffer zone (vedi fig. 6.11). Dopo aver individuato

un’area campione di 140 Km2 che include tutta la rete viaria strada sopracitata, di

coordinate geografiche UTM 0.49225°- 0.6332° Sud e 76.0677°-76.0639° Ovest,

l’immagine, acquisita dal satellite QuickBird MS Channels in data 18/05/2003, è stata

georeferenziata con ArcGis 9.0. Successivamente alla georeferenziazione

dell’immagine si è proceduto alla digitalizzazione ed all’analisi spaziale delle vie di

comunicazione e delle infrastrutture petrolifere. L’analisi spaziale è stata effettuata

tramite funzioni di misura dell’insieme infrastrutturale della Occidental Petroleum

(tracciato stradale e strutture petrolifere) e delle intersezioni geometriche con le

formazioni vegetali e la buffer zone della RBY. Tali operazioni hanno consentito di

sviluppare l’analisi quantitativa rispetto alle aree di superficie forestale persa, la

lunghezza complessiva delle vie di comunicazione terrestri, delle infrastrutture

petrolifere e delle vasche di raccolta delle acque di produzione petrolifera (Haller,

Blochlinger, John et al., 2007). Ciascuna operazione di misura è stata effettuata sia in

funzione di un’analisi quantitativa dell’infrastruttura petrolifera all’interno dell’area

campione sia per compiere intersezioni geometriche con l’area della buffer zone della

Riserva della Biosfera Yasuní.

Il tracciato stradale è stato “aperto” all’interno foresta amazzonica primaria

intersecando le seguenti formazioni vegetali: il bosco sempreverde di tierras bajas (o

tierra firme), il bosco inondabile por aguas blancas e il bosco de tierras bajas de

Palmas y aguas negras.

Page 147: Pappalardo Tesis Yasuni

146

Fig. 4.13 Infrastruttura per il processamento del petrolio greggio della Occidental Petroleum: Central Processing Facilitis (CPF). (fonte: Panoramio su piattaforma GoogleEarth)

Page 148: Pappalardo Tesis Yasuni

147

Fig. 4.14 Rete viaria della compagnia petrolifera Occidental Petroleum

L’analisi quantitativa ha prodotto i seguenti risultati: Area campione Buffer zone RBY Lunghezza tracciato stradale 36.9 Km 14.4 Km Larghezza media del tracciato stradale 23 metri 21 metri Larghezza minima 10 metri 13 metri Larghezza massima 38 metri 38 metri Superficie deforestata 162 ha 60 ha Superficie strutture petrolifere 110 ha 30 ha Totale infrastrutture petrolifere 44 6 Tab. 4.7 Operazioni di misura sul tracciato viario e intersezioni con la buffer zone

Page 149: Pappalardo Tesis Yasuni

148

Per larghezza del tracciato stradale si intende la parte pavimentata, le banchine e

l’area disboscata contigua alla strada.

La superficie deforestata è in riferimento all’area di foresta primaria che è stata

disboscata per consentire l’apertura della via e la costruzione del tracciato stradale.

Attraverso l’interpretazione delle immagini satellitari e l’osservazione diretta sul

campo è stato possibile inoltre individuare le vasche a “cielo aperto” di raccolta delle

acque di produzione dell’industria petrolifera (Vallejo, 2003) presenti all’interno

dell’area:

- 27 nell’area campione

- 6 all’interno della buffer zone della RBY

Fig 4.15 Immagine georeferenziata - satellite commerciale Quick Bird MS cannel 8/05/2003

Page 150: Pappalardo Tesis Yasuni

149

Fig. 4.16 Vasca di raccolta acqua di produzione petrolifera, 12 gennaio 2008, San Carlos (Prov. Orellana). Le vasche di raccolta contengono idrocarburi, alte concentrazioni di sali e metalli

pesanti (Hurtig, Sebastian, 2002). Le vasche di raccolta delle acqua di produzione

individuate all’interno dell’area campione hanno le seguenti coordinate geografiche

UTM: toxic pit SUD OVEST

1 0.52863° 76.0419° 2 0.517746° 76.0562° 3 0.506508° 76.0683° 4 0.498614° 76.0725 5 0.497968° 76.0726° 6 0.498059° 76.0728° 7 0.498087° 76.0729° 8 0.494628° 76.0764° 9 0.494779° 76.0759°

10 0.498308° 76.0751° 11 0.498374° 76.0754° 12 0.505384° 76.0849° 13 0.505999° 76.0852° 14 0.529202° 76.0779° 15 0.529751° 76.0793° 16 0.529121° 76.0792° 17 0.529124° 76.0793° 18 0.539529° 76.1006° 19 0.532183° 76.1241° 20 0.529062° 76.1286° 21 0.529044° 76.1288°

Page 151: Pappalardo Tesis Yasuni

150

22 0.529038° 76.1289° 23 0.529427° 76.1295° 24 0.55527° 76.0955° 25 0.555201° 76.0949° 26 0.583364° 76.0765° 27 0.589464° 76.0724°

Tab. 4.8 Localizzazione tramite coordinate geografiche delle vasche di raccolta (acque di produzione petrolifera); i valori sono espressi in millesimi di grado 4.10 Via Auca e bacino idrografico Curaray: analisi quantitativa e

pattern di territorializzazione. All’interno dell’area di studio sono individuabili alcuni modelli di territorializzazione

strettamente correlati alle diverse tipologie di attività antropiche presenti nel

territorio. Utilizzando l’immagine satellitare Landsat ETM+ del 2002 (vedi fig 3.1, p.

112)e la cartografia tematica ricompilata del sistema idrografico, della produzione

petrolifera e delle comunità locali, sono state focalizzate due aree territoriali: la zona

della Via Auca ed il bacino idrografico del Rio Curaray. Anche in questa sezione

sono state inserite le componenti portanti dell’analisi territoriale: la Riserva della

Biosfera Yasuní, le comunità locali, le vie di comunicazione (terrestre e fluviale) e la

produzione petrolifera (espressa in aree di concessione e numero di pozzi per

l’estrazione). In dettaglio per sviluppare l’analisi quantitativa e comparata tra i due

modelli territoriali sopraccitati sono state prese in esame le seguenti componenti:

- Parco nazionale Yasuní

- Territorio indigeno Wuaorani (Riseva indigena)

- Zona intangibile (riserva integrale)

- Vie di comunicazione: la Via Auca ed il reticolo idrografico del bacino Rio

Curaray

- Centri urbani, insediamenti e comunità locali

- Produzione petrolifera: numero e status dei pozzi per l’estrazione, le aree di

concessione per l’esplorazione e lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio.

Per poter ricavare il modello territoriale intorno alla via Auca in termini di estensione

geografica sono state prese in esame le immagini satellitari Landsat ETM+ (vedi fig.

3.1, p. 112) e l’analisi quantitativa dello studio di vegetazione sviluppato nel

Page 152: Pappalardo Tesis Yasuni

151

paragrafo 6.1. Tramite l’interpretazione delle immagini satellitari, lo studio di

vegetazione prodotto, ma anche l’osservazione diretta sul campo si è convenuto

stabilire in 22 km di distanza lineare la zona di rispetto intorno alla via Auca. Il buffer

di 22 Km lineari è la distanza che intercorre tra l’asse principale della via Auca e gli

importanti elementi di cambiamento della copertura vegetale dovuti ai processi di

insediamento con elevato impatto antropico, che si sviluppano all’interno della

foresta primaria de tierras bajas dell’Amazzonia.

Per quanto riguarda l’area completamente interna alla RBY, di cui fa parte la zona

intangible, le vie di comunicazione terrestri sono marginali o del tutto assenti, e per

inquadrare i sistemi di comunicazione presenti nel territorio è stato sufficiente

individuare la zona coincidente i limiti naturali del territorio, ossia il bacino

idrografico del fiume Curaray.

Page 153: Pappalardo Tesis Yasuni

152

Fig. 4.17 Modelli territoriali a confronto: bacino idrografico Curaray e Via Auca

Page 154: Pappalardo Tesis Yasuni

153

L’analisi quantitativa e comparativa tra le due aree geografiche configura due distinti

modelli territoriali (pattern territoriali) strutturati secondo le diverse razionalità

territorializzanti (Turco, 1988) delineando così una forte contrapposizione: logiche di

terra e logiche d’acqua (Bertoncin, 2004).

Da un lato si ritrovano le pratiche “modernizzanti” del territorio che si sviluppano a

partire da una via terrestre, l’asse stradale principale, intorno alla quale si articolano i

processi di territorializzazione, dall’altro le vie di comunicazione adattate al fitto

reticolo idrografico dei fiumi amazzonici. Dall’asse stradale principale si propagano

quindi i processi di colonizzazione agricola ortogonali secondo la tipica geometria a

spina di pesce, corrispondenti alle pratiche di territorializzazione per sostituzione (De

Marchi, 2004).

L’analisi comparativa tra i due pattern territoriali sopraccitati rivela la

contrapposizione tra logiche d’acqua e logiche di terra e diventa uno strumento utile

per codificare il conflitto ambientale (De Marchi, 2004.).

All’interno del bacino idrografico del fiume Curaray i sistemi sociali si organizzano e

si riproducono lungo le vie di comunicazione fluviale conformando i piccoli villaggi

delle comunità indigene Waorani e Quichua (vedi fig. 4.17 pag. 152). Nonostante la

bassa capacità di carico degli ecosistemi amazzonici l’enorme patrimonio di

conoscenze olistiche delle comunità indigeno-campesine riesce ad assicurare la

produzione/riproduzione sociale del territorio (Neves, 1995) e le attività praticate

nella gestione ambientale per rispondere ai bisogni alimentari e tecnologici si basano

su un pacchetto di strategie diversificate e scarsamente impattanti: agricolture

itineranti spesso basate sulla policoltura, pesca, caccia e raccolta (Ortiz, 1999). Per

questo le popolazioni locali indigene dell’Amazzonia hanno maturato un’elevata

conoscenza dei sistemi ambientali, dalla tassonomia botanico-zoologica alle

successioni ecologiche, sviluppando la costruzione di un territorio dove prevale il

controllo simbolico su quello materiale (De Marchi, 2004) e determinando

un’impronta più morbida sui sistemi forestali.

Ed è proprio intorno ai sistemi idrologici che le comunità indigeno-campesine

dell’Oriente amazzonico ecuadoriano costruiscono il territorio, attuando pratiche di

territorializzazione basate sulle mediazioni che pedologia e idrografia offrono nel

Page 155: Pappalardo Tesis Yasuni

154

rapporto uomo-spazio (Turco, 1988, pp. 59-71) e adattando al bacino fluviale il loro

sviluppo comunitario.

Nell’analisi comparativa sono stati ricompilati i dati relativi alla demografia per

effettuare operazioni di calcolo della densità media tra i due modelli territoriali. Per

ottenere infine l’output cartografico i geodata demografici sono stati elaborati per la

produzione della carta tematica che rappresenti la densità in abitanti per Km2. I dati

relativi alla densità di popolazione sono stati successivamente classificati in 7

categorie progressive.

Seguono gli output cartografici e i risultati delle analisi quantitative tra i due pattern

territoriali eseguite con il software ArcGis 9.0 ed il foglio di calcolo Excel 9.0.

All’interno delle due aree, attraverso operazioni di intersezione geometrica si è

condotta l’analisi quantitativa dei sistemi sociali: comunità indigene, meticcie e centri

urbani. Quest’ultimi si riferiscono ad insediamenti “urbanizzati” presenti all’interno

del territorio amazzonico.

Centri urbani Comunità Wuaorani Comunità Quichua

e colonos Territorio “Via Auca” 25 6 4 Territorio bacino Rio Curaray 12 13 22 Tabe. 4.9 Comunità locali presenti all'interno del buffer (22 Km) Via Auca e del bacino del Rio Curaray Il bacino idrografico del Rio Curaray ha un’estensione di 8024 Km2 mentre la zona di

rispetto lungo la Via Auca ricopre 4683 Km2.

La densità media di popolazione del bacino del Rio Curaray è di 2,28 abitanti per km2

mentre, quella relativa alla zona di rispetto lungo la Via Auca 10,72 abitanti per Km2

I dati geografici e numerici sulla demografia sono stati ricompilati dalle fonti

ministeriali dell’Istituto per l’ecosviluppo regionale amazzonico (ECORAE, 2002)

che, a causa di cambiamenti dei limiti amministrativi, presentano gap nella

sovrapposizione tra la Provincia Napo e Orellana.

In seguito si è proceduto all’analisi quantitativa delle infrastrutture petrolifere in

termini di concessioni (Oil Blocks) e pozzi installati per l’estrazione.

Numero pozzi petroliferi

Page 156: Pappalardo Tesis Yasuni

155

Territorio Via Auca 318 Territorio bacino idrografico Rio Curaray 34 Tabella 4.10 Installazioni per l'estrazione petrolifera: comparazione Via Auca e bacino del Rio Curaray La produzione petrolifera si articola in base alle concessioni d’area (oil blocks), agli

operatori assegnatari (ossia le compagnie petrolifere) e allo status d’operatività (in

fase d’esplorazione o in fase di produzione) (Narvaez, 2000)

Page 157: Pappalardo Tesis Yasuni

156

Fig. 4.18 Densità di popolazione tra il bacino idrografico Curaray e la via Auca

Page 158: Pappalardo Tesis Yasuni

157

Oil Block OPERATORE STATUS AREA KM2 DESCRIZIONE 00 Petroecuador produzione 2294.17 Petroecuador 00 07 Keer - McGee produzione 489.16 Keer - McGee 07 14 Vintage produzione 184.32 Vintage 14 15 Occidental produzione 51.27 Occidental 15 17 Vintage produzione 186.03 Vintage 17 21 Keer - McGee produzione 298.10 Keer - McGee 21 30 Senza operatore esplorazione 638.64 Senza operatore 30 C Petroecuador produzione 134.845 Petroecuador C D Petroecuador produzione 39.89 Petroecuador D E Petroecuador produzione 315.51 Petroecuador E

Tabella 4.11 Concessioni petrolifere presenti all'interno del buffer Via Auca

Fig. 4.19 Aree delle concessioni petrolifere - territorio Via Auca

Come evidenzia il grafico il 60% della superficie assegnata per la produzione

petrolifera è di proprietà della compagnia statale Petroecuador che è subentrata alla

Texaco espulsa dall’Ecuador in seguito ai processi internazionali IWT ed

all’esplosione del conflitto ambientale con la celebre class action Aguinda-Texaco

(De Marchi, 2004).

In seguito si riportano i dati relativi alla produzione petrolifera all’interno del bacino

idrografico del Rio Curaray

Page 159: Pappalardo Tesis Yasuni

158

Oil Blocks OPERATORE STATUS AREA Km2 DESCRIZIONE 10 Agip produzione 1389.00 Agip 10 21 Keer - McGee produzione 465.29 Keer - McGee 21 22 Senza operatore esplorazione 943.31 Senza operatore 22 30 Senza operatore esplorazione 1474.85 Senza operatore 30 32 Senza operatore esplorazione 94.00 Senza operatore 32 35 Senza operatore esplorazione 845.71 Senza operatore 35 37 Senza operatore esplorazione 655.19 Senza operatore 37 E Petroecuador produzione 25.41 Senza operatore E

Tabella 4.12 Concessioni petrolifere presenti all'interno del bacino idrografico Curaray

Fig. 4.20 Rappresentazione delle concessioni petrolifere all’interno del bacino idrografico Curaray

Come emerge dalla ricompilazione dei dati le attività petrolifere sono

prevalentemente in fase esplorativa e, nonostante siano definiti i cosiddetti oil blocks,

non ci sono le relative assegnazioni agli operatori.

Oltre all’analisi quantitativa e comparativa tra i due territori in questione si è

proceduto a operazioni di incrocio tra gli strati informativi relativi alle concessioni

petrolifere e la Riserva della Biosfera, per quantificare il grado di sovrapposizione

Page 160: Pappalardo Tesis Yasuni

159

geografica. Singolarmente ciascuna delle due aree sopra analizzate è stata

sovrapposta alla RBY e quantificata la superficie e lo stato di operatività delle

rispettive concessioni petrolifere.

OIL BLOCKS OPERATORE STATUS AREA KM2 DESCRIZIONE

00 Petroecuador produzione 819.67 Petroecuador 00 07 Keer - McGee produzione 79.17 Keer - McGee 07 14 Vintage produzione 184.32 Vintage 14 15 Occidental produzione 2.18 Occidental 15 17 Vintage produzione 186.03 Vintage 17 21 Keer - McGee produzione 298.10 Keer - McGee 21 30 Senza operatore esplorazione 638.64 Senza operatore 30 C Petroecuador produzione 128.59 Petroecuador C D Petroecuador produzione 39.89 Petroecuador D E Petroecuador produzione 315.51 Petroecuador E

Tabella 4.13 Sovrapposizione delle concessioni petrolifere del buffer Via Auca sulla RBY OIL BLOCKS OPERATORE STATUS AREA KM2 DESCRIZIONE 10 Agip produzione 1029.16 Agip 10 21 Keer - McGee produzione 465.29 Keer - McGee 21 22 Senza operatore esplorazione 612.33 senza operatore 22 30 Senza operatore esplorazione 1030.78 senza operatore 30 32 Senza operatore esplorazione 15.16 senza operatore 32 35 Senza operatore esplorazione 668.70 senza operatore 35 37 Senza operatore esplorazione 636.12 senza operatore 37 E Petroecuador produzione 25.41 senza operatore E Tabella 4.14 Sovrapposizione delle concessioni petrolifere del bacino Rio Curaray sulla RBY

Page 161: Pappalardo Tesis Yasuni

160

4.11 Riserva della Biosfera Yasuní (RBY) e produzione petrolifera: analisi geografica con approccio transcalare.

E' stato scelto di procedere all'analisi con un approccio territoriale transcalare a livello

macroregionale (P. Bonavero, 2005), considerando nell'insieme e nella complessità la

regione amazzonica ecuadoriana (l'Oriente) come spazio di frontiera agricola ed

estrattiva. L’analisi geografica ha preso in esame, a tre scale spaziali differenti, la

produzione petrolifera in riferimento alle aree protette e alla RBY: dal complesso

delle infrastrutture petrolifere e parchi naturali a scala nazionale (1:1000000), fino

all’area di studio (1:100000), utilizzando la regione amazzonica ecuadoriana (RAE)

come scala intermedia (1:250000).

All’interno del complesso infrastrutturale petrolifero si sono individuati i seguenti

elementi:

aree delle concessioni petrolifere (più comunemente Oil Blocks), strutture per

l’estrazione ed il pompaggio del greggio (oil wells, ossia pozzi petroliferi), oleodotti e

polidotti (pipe lines).

L’analisi quantitativa è stata sviluppata a tre scale differenti prendendo in esame le

aree delle concessioni petrolifere e le superfici del Sistema Nazionale Aree Protette

(SNAP). Oltre alle operazioni di calcolo areale, sono stati conteggiati i pozzi

petroliferi e svolte operazioni di misura su oleodotti e polidotti. Una volta effettuate

le sopracitate operazioni di misura sono state svolte funzioni di incrocio ed

intersezione geometrica con la Regione amazzonica ecuadoriana (RAE), l’area di

studio e la Riserva della Biosfera Yasuni, utilizzando come “comun denominatore” il

complesso infrastrutturale petrolifero.

Seguono gli output cartografici alle tre scale differenti ed i risultati delle analisi

quantitative.

Page 162: Pappalardo Tesis Yasuni

161

Fig 4.21 Sistema Nazionale Aree Protette (SNAP) ed infrastrutture petrolifere.

Page 163: Pappalardo Tesis Yasuni

162

Fig, 4.22 Regione Amazzonica Ecuadoriana (RAE), infrastrutture petrolifere e Riserva della Biosfera Yasuni.

Page 164: Pappalardo Tesis Yasuni

163

Fig. 4.23 Area di studio: Parco nazionale Yasuní, territorio indigeno Wuaorani ed infrastrutture per la produzione petrolifera.

Page 165: Pappalardo Tesis Yasuni

164

Scala nazionale

Regione amazzonica ecuadoriana (RAE)

Area di studio Riserva della Biosfera Yasunì

Concessioni petrolifere 75216 Km2 61543 Km2 38176 Km2 20246 Km2 Pozzi per l’estrazione 990 990 936 235 Polidotti (oil pipe lines) 2850 Km 1342 Km 1003 Km 315 Km Campi petroliferi Dato assente 916 Km2 916 Km2 421.8 Km2 Tab. 4.15 Analisi quantitativa alle differenti scale : produzione petrolifera Ecuador

Sup. totale: 283.560 km²

RAE Sup. totale: 105646 km²

Area di studio Sup. totale: 47740 km²

Riserva della Biosfera Yasunì Sup tot.25384 km²

Concessioni Petrolifere

26.52% 58.2% 79.9% 79.8%

Tab. 4.16 Concessioni petrolifere e percentuale di superficie coperta.

Regione amazzonica ecuadoriana (RAE) "el Oriente"

58%

42%

area concessionipetroliferearea senza concessioni

Fig. 4.24 Aree adibite alla produzione petrolifera: Regione amazzonica ecuadoriana (RAE) 105646 Km2; Oil Bloks 61543 Km2; Superficie senza concessioni: 44103 Km2

Page 166: Pappalardo Tesis Yasuni

165

Concessioni petrolifere (oil blocks ) e Riserva della Biosfera Yasuní.Area totale RBY: 25384 Km2

Area Oil blocks : 20246 Km2

80%

20%

Oil Blocks

superficie nonconcessionata

Fig. 425 Rapporto tra la superficie della RBY e le aree concessionate per la produzione petrolifera 4.12 Installazioni per l’estrazione petrolifera e Riserva della Biosfera

Yasuní: carta di densità.

Dopo aver esaminato gli output cartografici derivati dalla ricompilazione dei dati

geografici sulle installazioni per l’estrazione petrolifera ed aver rilevato l’elevata

concentrazione di pozzi all’interno dell’area di studio, in particolare in zone contigue

alla RBY, è stato ritenuto opportuno procedere ad un calcolo di densità e elaborare

una carta tematica che rappresenti tali valori. Utilizzando come input cartografico la

carta delle installazioni per l’estrazione petrolifera su scala macroregionale (vedi fig.

4.22 p. 162) sono state eseguite operazioni di overlay e funzioni density tramite il

software ArcGis 9.0 per processare i dati geografici.

Poiché l’area di studio è situata all’interno del bosco umido tropicale (bht)

amazzonico e la RBY è stata dichiarata riserva della biosfera per l’elevato indice di

biodiversità, è stato ritenuto opportuno individuare in 100 km2 la superficie per

effettuare il calcolo di densità, ossia una distanza di 5.643 metri (raggio del buffer

Page 167: Pappalardo Tesis Yasuni

166

puntuale) dalle installazioni petrolifere, impostando un output cell size di 800 metri

lineari.

Dopo aver convertito i dati vettoriali in dati raster si proceduto alla classificazione dei

valori, selezionando 5 classi per rappresentazione cartografica.

La carta di densità precedentemente elaborata ha espresso un’alta concentrazione di

installazioni per l’estrazione petrolifera all’interno dell’area di studio. In particolare la

densità dei pozzi aumenta nelle zone contigue alla RBY (specialmente nel quadrante

nord-ovest), è presente in ampie aree della buffer zone ed in numerosi casi è alta (da

31 a 50 pozzi) persino all’interno della riserva della biosfera (vedi elaborazione GIS,

fig. 4.26 p. 167).

In seguito riportiamo l’output cartografico della carta di densità.

Page 168: Pappalardo Tesis Yasuni

167

Fig. 4.26 Densità delle installazioni petrolifere per l'estrazione del petrolio greggio

Page 169: Pappalardo Tesis Yasuni

168

4.13 Analisi comparativa ed overlay tra carta di densità delle

installazioni petrolifere e Zona intervenida.

In base all’elaborazione delle carte ed all’analisi quantitativa dell’impatto delle

attività antropiche sulla copertura vegetale e sulle infrastrutture petrolifere

(concessioni, pozzi per l’estrazione, ed oleodotti) si è ritenuto opportuno verificare il

grado di sovrapposizione tra i sopraccitati tematismi.

Ipotizzando una relazione stretta, anche se non di linearità, tra la densità delle

installazioni per l’estrazione del greggio e la cosiddetta zona intervenida, è stato

ritenuto utile effettuare un’analisi comparativa tra le due carte tematiche

precedentemente elaborate.

Sono state ricompilate ed elaborate ad hoc le carte includendo i tematismi

sopraccitati ed aggiungendo su ciascuna il layer delle infrastrutture di comunicazione

terrestre.

Successivamente sono state effettuate funzioni di overlay tra le due carte per valutare

tramite il loro grado di sovrapponibilità le probabili relazioni territoriali.

Come si può constatare dall’output cartografico della fig.4.28 si presenta una evidente

sovrapposizione tra la copertura vegetale sostituita (fig. 4.27) e la densità dei pozzi

per l’estrazione petrolifera.

Allo stesso tempo il complesso infrastrutturale di comunicazione viaria della Regione

Amazzonica Ecuadoriana (RAE) funge da matrice tra i processi che portano ad

attività estrattive dei giacimenti petroliferi e la deforestazione presente nell’area.

Page 170: Pappalardo Tesis Yasuni

169

Figure 4.27 Carta di densità delle installazioni petrolifere e carta della zona intervenida su scala macroregionale. Analisi comparativa.

Page 171: Pappalardo Tesis Yasuni

170

Figure 4.28 Sovrapposizione della carta di densità delle installazioni per l'estrazione petrolifera e la carta della zona interveniva su scala macroregionale

Page 172: Pappalardo Tesis Yasuni

171

4.14 Risultati delle interviste ad informatori privilegiati Attraverso interviste semi-strutturate e non-strutturate è stata sviluppata la parte

dell’analisi relativa all’indagine qualitativa volta ad esplorare ed approfondire le

problematiche legate ai modelli di conservazione della biodiversità e di gestione della

Riserva della Biosfera Yasuní, alla produzione petrolifera ed ai conflitti ambientali.

L’indagine qualititativa tramite intervista è stata in particolare utile sia come

strumento di integrazione dei dati difficilmente reperibili in letteratura, sia per

raccogliere informazioni di prima mano dalle persone di competenza specifica e

direttamente coinvolte nei temi sopraccitati. Le interviste, sviluppate tra la città di

Quito e l’Oriente amazzonico, sono quindi state ripartite tra soggetti legati alla

gestione della RBY, alla produzione petrolifera ed a figure attive nelle dinamiche

attoriali del conflitto ambientale. In alcuni casi il ruolo degli informatori privilegiati

intervistati ha avuto un elevato grado di sovrapposizione tra le attività di

conservazione della biodiversità e le dinamiche del conflitto ambientale.

Tra gli informatori privilegiati intervistati, nel merito della conservazione e nei

modelli di gestione da attuare, sono emerse posizioni ed approcci differenti.

Il ruolo delle Stazioni di Biodiversità all’interno della RBY dell’Università Cattolica

e della San Francisco di Quito è stato fortemente criticato sia da ONG ambientaliste

come Accion Ecologica, sia da parte dell’Osservatorio sui Diritti Umani ed

Ambientali della Provincia di Orellana. Tale critica è stata sollevata in quanto i

progetti di conservazione sviluppati dalle Università sopraccitate non includono nelle

attività di gestione le comunità locali presenti nel territorio e tendono a far emergere

la problematica ambientale solamente in termini di protezione di specie minacciate e

di ricerca speculativa. Da parte di alcuni ricercatori delle stesse università è inoltre

emerso come ci sia una relazione sinergica, sia in termini economici che in termini

funzionali, con alcune compagnie petrolifere. L’Università San Francisco e

l’Università Cattolica, tramite quanto emerso dalle interviste con il vice-direttore

della Stazione di Biodiversità Tiputini (David Romo) e con il responsabile della

compagnia petrolifera Repsol YPF, ricevono finanziamenti ed agevolazioni logistiche

dalla medesima impresa transnazionale che li “ospita” all’interno della concessione

Page 173: Pappalardo Tesis Yasuni

172

petrolifera n°10. Entrambe le stazioni scientifiche di ricerca, sono situate infatti in

tale lotto petrolifero e, da quanto constatato sul campo e tramite differenti interviste

con altri attori interni, non ritengono incompatibili le attività di esplorazione e

produzione petrolifera con i progetti di conservazione all’interno della RBY.

Rispetto ai modelli di gestione della Riserva della Biosfera sono emerse posizioni ed

approcci contrastanti. Da un lato le ONG legate alle Organizzazioni indigene

rappresentate da Accion Ecologica e gli attori interni sensibili agli impatti socio-

ambientali dell’industria petrolifera, dall’altro organizzazioni e corporazioni

conservazioniste come WCS, Walsh e Fundacion Natura. Complessivamente non è

risultato chiaro il ruolo della RBY sia nella conservazione della biodiversità ad ogni

livello organizzativo, sia nella gestione sostenibile delle risorse naturali.

Dalle interviste con attori interni, come gli indigeni e i colonos delle comunità di

Dayuma e di Garcia Moreno, è stato possibile effettuare una triangolazione di dati

con le informazioni geografiche acquisite nella cartografia tematica relativa alle

installazioni petrolifere. Da quanto appreso tramite le interviste e le attività di campo

ci sono numerose incongruenze sulla dislocazione dei pozzi e sulle vasche di raccolta

dei reflui. Per quanto è stato possibile raccogliere in termini di dati e di verifiche

tramite osservazione diretta, risultano presenti nell’area di influenza della RBY,

numerosi pozzi e piscinas contenenti idrocarburi collocati all’interno dei territori

comunitari e che coinvolgono direttamente le aree degli orti tradizionali.

Dall’intervista con il rappresentate della Repsol è inoltre emerso che la compagnia

gioca un ruolo chiave gestendo direttamente i processi di partecipazione delle

comunità Wuaorani e innescando dinamiche di frammentazione interna. Questo è

stato reso possiibile sia coinvolgendo gli abitanti delle comunità nelle attività

lavorative dell’industria petrolifera, sia attraverso intrecci relazionali con ONG

conservazioniste come Fundacion Natura e la Wildlife Conservation Society.

I risultati e i dati acquisiti tramite le interviste semistrutturate verranno utilizzati per

sviluppare la discussione.

Page 174: Pappalardo Tesis Yasuni

173

5 Discussione e conclusioni La discussione delle analisi G.I.S. è articolata sia su ciascuno dei risultati ottenuti

dalle sette indagini quantitative sia ponendo in relazione le stesse rispetto alle

dinamiche territoriali che coinvolgono la RBY e la sua area geografica d’influenza

all’interno della Regione Amazzonica Ecuadoriana (R.A.E).

L’analisi G.I.S. ha preso in esame le relazioni spaziali tra le seguenti componenti

presenti all’interno dell’area di studio:

- la copertura forestale

- la Riserva della Biosfera Yasuní (inclusa la buffer zone)

- le infrastrutture di comunicazione terrestre

- le infrastrutture petrolifere (concessioni, pozzi per l’estrazione, oleodotti e

polidotti)

- gli insediamenti antropici (centri urbani, comunità indigene e colonos)

Tali componenti agiscono in maniera sinergica nella configurazione del territorio

amazzonico esercitando influenza diretta ed indiretta sia sulle dinamiche di

cambiamento sia della copertura vegetale che dell’uso del suolo.

L’analisi diacronica della copertura forestale è stata effettuata tra le formazioni

vegetali originarie antecedenti ai processi di colonizzazione della R.A.E (Narvaez,

2004) e la vegetazione rimanente elaborata dai dati geografici dell’Istituto per l’Eco-

sviluppo della Regione Amazzonica, (ECORAE, 2002). I risultati cartografici

mostrano come, all’interno dell’area di studio, le attività antropiche che hanno

determinato la sostituzione della copertura vegetale originaria si siano concentrate

prevalentemente nello spazio geografico corrispondente al bioma della foresta umida

tropicale (Tropical Moist Forest, TMF) ed, in maniera meno estesa, nella fascia

pedemontana della Cordigliera delle Ande Orientali (vedi fig. 4.5). All’interno

dell’area di studio le attività antropiche hanno modificato l’84% della formazione

vegetale tierra firme ed il 7.85% del bosco inondabile (vedi fig. 4.7), corrispondenti

complessivamente ad una riduzione areale di habitat rispettivamente di 4892 Km2

nella prima formazione e di 456 Km2 nella seconda (tab. 4.5 e 4.6). La riduzione

areale propria di tali formazioni vegetali è riconducibile principalmente alle attività

Page 175: Pappalardo Tesis Yasuni

174

produttive ed economiche che hanno dato impulso alla colonizzazione

dell’Amazzonia ecuadoriana a partire dal 1970 (Fontaine, 2006). La copertura

vegetale sostituita, ben espressa nella letteratura spagnola dal termine zona

intervenida per riferirsi agli habitat fortemente degradati dalle attività antropiche

(ECORAE, 2002), rappresenta una superficie di 5819 Km2, la cui area geografica è

interamente sovrapponibile alle aree dove le attività petrolifere sono nella fase

operativa (vedi fig. 4.5 p. 133 ed fig. 4.1 p. 120).

La sovrapposizione geografica della cosiddetta zona intervenida sulle aree della

produzione petrolifera mostra quindi come la relazione tra land cover e land use sia

molto stretta, rendendo evidente come la sostituzione della copertura vegetale sia da

relazionarsi al cambiamento d’uso del suolo, in questo caso principalmente riferito

alle attività petrolifere. Mettere in relazione land cover e land use è un’operazione

che permette di rappresentare in maniera più complessiva le dinamiche territoriali in

base alle interazioni uomo-ambiente (De Marchi, 2000).

Come è reso evidente dall’elaborazione G.I.S. della figura 4.7, la zona intervenida si

interseca con la buffer zone della RBY fino ad estendersi all’interno del territorio

indigeno Wuaorani dentro la RBY. Comparando l’immagine Landsat ETM+ del 2002

(fig. 3.1) con la carta della zona intervenida si evince come ci sia corrispondenza tra

il cambiamento di copertura vegetale e la rete stradale denominata “Via Auca”, ben

visibile nell’immagine satellitare sopraccitata.

La Via Auca, finanziata e costruita dalla compagnia petrolifera Texaco, rappresenta la

prima “arteria” infrastrutturale di comunicazione terrestre per l’esplorazione e lo

sfruttamento dei giacimenti petroliferi all’interno dell’Amazzonia ecuadoriana

(Haller, 2007). L’inizio dei lavori per la costruzione di questa strada risale al 1972

(Kimerling, 1996) alla quale successivamente sono state affiancate le infrastrutture

petrolifere di trasporto (oleodotti e polidotti) diventando nel corso degli ultimi

trent’anni sia la dorsale portante per il sistema economico-produttivo sia la principale

via per la colonizzazione agricola all’interno della foresta umida tropicale. E’ infatti

attraverso la Via Auca e la sua fitta rete di senderos e caminos che indigeni e colonos

si muovono per insediarsi all’interno della foresta primaria per intraprendere attività

di agricoltura stabile (Walsh, 2002).

Page 176: Pappalardo Tesis Yasuni

175

I risultati derivati dai rilievi GPS sul campo, condotti per effettuare la ground truth

dei dati precedentemente acquisiti, mostrano quale sia l’evoluzione del tracciato della

via Auca tra il 2002 ed il 2006 all’interno della foresta primaria, in zone contigue alla

RBY. Il grafo stradale elaborato in base ai dati GPS evidenzia come nell’intervallo

temporale di tre anni il tracciato della rete viaria sia aumentato di 80 km lineari,

specialmente nelle sue ramificazioni sul versante orientale, fino ad intersecarsi con la

buffer zone della RBY. I processi di deforestazione attivati dall’asse stradale

principale di tale via di comunicazione sono pertanto in rapida evoluzione e non

facilmente controllabili.

Come si può osservare dall’immagine satellitare Landsat ETM+ del 2002 (vedi fig.

3.1 p. 112) dalla strada principale dipartono vie secondarie perpendicolari all’asse

stradale che penetrano all’interno della foresta primaria, facilitando i processi di

deforestazione. Dalle vie secondarie perpendicolari all’asse stradale principale si

evolvono successivamente senderos e caminos paralleli, andando a costituire le

cosiddette “linee di colonizzazione” agricola (Zambrano, 2006, intervista

semistrutturata). Il pattern che si configura sulla copertura forestale è quello tipico

della deforestazione a “spina di pesce” che si evolve in funzione del tempo fino a

dissolversi in un'unica area deforestata (Rudel, 1996).

Considerando che l’area di studio è uno tra i 14 maggiori fronti di deforestazione al

mondo (Myers, 1993) e che per ogni chilometro lineare di strada costruita nella

foresta umida tropicale si perdono circa 120 ettari di bosco (Sierra 2003, in Scientists

concerned YNP, 2004) si ritiene che la Via Auca, per la sua posizione geografica e

per la rapida evoluzione del tracciato stradale, giochi un ruolo fondamentale nei

processi di disboscamento, costituendo uno dei fattori di pressione più importanti

sulla RBY.

Ritenendo quindi le vie di comunicazione terrestri come componenti fondamentali

che catalizzano i processi di deforestazione e di cambio d’uso del suolo, è stata

condotta l’analisi quantitativa su un’altra strada che dalle zone ripariali del fiume

Napo si addentra nella buffer zone della RBY (vedi fig. 4.14, p. 117).

Tale strada è stata costruita dalla compagnia statunitense Occidental Petroelum nel

2005 per poter consentire le attività di esplorazione e di produzione petrolifera

Page 177: Pappalardo Tesis Yasuni

176

all’interno dell’Oil Block n° 15. La costruzione e la realizzazione della Via Oxy è

avvenuta senza alcuna autorizzazione governativa e pertanto è da ritenersi

completamente illegale (ENS, 2005). Nell’analisi quantitativa risulta che la rete

stradale ha una lunghezza complessiva di 36 km, di cui 14.4 km che si sviluppano

dentro la buffer zone della RBY. La larghezza media del tracciato è di 23 metri

inclusa la banchina e l’area disboscata contigua alla strada. Tutte le strade presenti

all’interno della Regione Amazzonica Ecuadoriana sono state costruite da compagnie

petrolifere per realizzare l’infrastruttura di comunicazione e di trasporto per lo

sviluppo delle attività petrolifere, pertanto devono presentare una larghezza tale da

sopportare il traffico pesante (autoarticolati, autocisterne, ruspe e macchinari

industriali) e l’installazione dei polidotti (Narvaez 2000; Guerrero 2008, intervista

semistrutturata).

Dalle analisi quantitative condotte sulla strada sopramenzionata risulta che la

realizzazione del tracciato stradale e delle infrastrutture petrolifere ha comportato la

perdita netta di 162 ha di foresta primaria di cui 60 all’interno della buffer zone della

Riserva della Biosfera Yasuní. Tramite l’interpretazione delle immagini satellitari e la

verifica al suolo con le attività di campo sono state inoltre individuate le vasche di

raccolta dei reflui industriali della produzione petrolifera. I risultati dell’analisi hanno

portato all’individuazione di 27 vasche nell’area campione, di cui 6 scavate dentro la

buffer zone della RBY. I reflui derivati dalla produzione petrolifera contengono alte

concentrazioni di idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti ed un’alta

percentuale di sali (Narvaez, 2000). Le vasche di raccolta dei reflui industriali

solitamente non sono impermeabilizzate né ricoperte da alcuna struttura, pertanto

tramite le abbondanti precipitazioni e percolazione si disperdono nell’ambiente

(Haller et al., 2007; Guerrero, 2006, Zambrano, 2006, 2008, Guaman, 2006, interviste

semistrutturata). Sebbene non esistano studi comprovati né analisi specifiche

sull’influenza di tali vasche di raccolta presenti all’interno dell’ecosistema della

foresta umida tropicale, si ritiene che possano costituire un rilevante impatto

ambientale.

Page 178: Pappalardo Tesis Yasuni

177

Le infrastrutture di comunicazione prese in esame costituiscono due delle quattro

strade attualmente presenti nella foresta tropicale della RAE di cui la Via Auca

rappresenta il principale fronte di deforestazione (Gutman, 2004)

I risultati delle analisi quantitative sopraccitate danno indicazione anche sui possibili

impatti ambientali. I primi impatti, che agiscono in maniera diretta sugli ecosistemi

forestali dell’area di studio, sono costituiti dalla perdita di habitat legata alla

superficie deforestata per la costruzione medesima della strada e dalla possibile

contaminazione degli ambienti acquatici a causa dell’utilizzo di scarti grezzi derivati

dal ciclo produttivo del petrolio ed utilizzati per la realizzazione ed il mantenimento

stradale (Narvaez 2000; Oilwatch 2005). Anche se la riduzione areale non è di grande

entità la costruzione di strade ed oleodotti determina la frammentazione degli habitat

innescando una serie di eventi a catena nel complesso ecosistema tropicale che

possono minacciare le specie e le biocenosi. Questo può avvenire ad esempio

influenzando gli spostamenti degli individui, dividendo le popolazioni ed impedendo

il flusso genico tra le stesse (Gomez, 1991; Rudel 1996; Primack, 2004). Un altro tra

gli effetti della frammentazione consiste nel determinare una maggior vulnerabilità

delle biocenosi all’invasione di specie alloctone ed infestanti, così come è stato

osservato con le specie di liane infestanti della foresta amazzonica ecuadoriana. La

perdita d’areale diventa un corridoio solo per un determinato pool di specie di piante

che colonizzano i margini delle strade andando a modificare la composizione

specifica (Gomez, 1991, Rudel, 1996).

Gli impatti ambientali indiretti delle strade sugli ecosistemi sono invece

prevalentemente legati alle dinamiche territoriali che vengono provocate dalla

costruzione di un’infrastruttura di comunicazione terrestre all’interno della foresta

umida tropicale. Oltre alla perdita netta della copertura vegetale infatti si determinano

cambiamenti dell’uso del suolo e processi territoriali per sostituzione (De Marchi,

2004)

Le analisi quantitative successivamente sviluppate hanno preso in esame le relazioni

spaziali tra la produzione petrolifera e la Riserva della Biosfera Yasuní, effettuando

l’indagine su tre scale differenti: Ecuador, Regione Amazzonica Ecuadoriana

(R.A.E.) e area di studio (vedi analisi G.I.S. fig. 4.18, 4.19, 4.20 pp. 137-141).

Page 179: Pappalardo Tesis Yasuni

178

Le componenti della produzione petrolifera quantificate sono state le seguenti: aree

assegnate per l’esplorazione e lo sfruttamento dei giacimenti (Oil Blocks), pozzi

trivellati, campi petroliferi e polidotti.

I risultati evidenziano come sul territorio nazionale ci siano 752160 Km2 di aree

lottizzate per la produzione petrolifera di cui 61.543 Km2 giacciono all’interno della

R.A.E. rappresentando rispettivamente il 26% della superficie ecuadoriana ed il 58%

della Regione Amazzonica; tali percentuali raggiungono il 79.9% della superficie

dell’area di studio ed il 79.8% della Riserva della Biosfera Yasuní (vedi tab. 4.15,

4.16 pag. 164). Le infrastrutture di trasporto del petrolio greggio e dei reflui

consistono in oleodotti e polidotti che dai pozzi estrattivi dell’Oriente amazzonico

giungono sul litorale del Pacifico fino al porto di Balao, provincia di Esmeraldas, ove

sono situate gli stabilimenti industriali per la raffinazione petrolifera (Fontaine,

2003).

Di 2.850 Km complessivi di tali infrastrutture di trasporto, 1.342 Km sono nella

R.A.E., 1000 Km all’interno dell’area di studio e 315 Km all’interno della Riserva

della Biosfera Yasuní (vedi tab. 4.15, pag. 164). I dati disponibili per compiere

l’analisi quantitativa inoltre mostrano come di 916 Km2 di campi petroliferi circa la

metà siano situati all’interno della RBY. Il totale dei pozzi crivellati per

l’esplorazione, la produzione o la re-iniezione dei reflui petroliferi è di 990

nell’Oriente amazzonico, 936 nell’area di studio e 235 all’interno della RBY.

L’elevata quantità di trivellazioni nella regione amazzonica è dovuta al diffuso

utilizzo di pozzi del tipo wildcats, ossia i pozzi esplorativi che, se danno esito

qualitativo e quantitativo positivo, portano alla delimitazione di un campo petrolifero.

La necessità di condurre la prospezione direttamente sul campo tramite pozzi wildcats

è dovuta al fatto che le valutazioni per l’individuazione dei reservoir petroliferi sono

difficili da condurre tramite l’utilizzo di tecnologie di remote sensing, trovandosi

l’area al di sotto della fitta e stratificata copertura vegetale della foresta umida

tropicale, l’interpretazione di immagini satellitari e fotografie aeree risulta

difficoltosa (Jongsma, 2001). Pertanto la messa in produzione dei giacimenti quindi è

affidata prevalentemente alla prospezione geosismica (sismic prospection) ed alle

Page 180: Pappalardo Tesis Yasuni

179

trivellazioni dei pozzi wildcats, che presentano una possibilità su cinquanta di

successo (Pipkin, 2007, pp. 387-393; Narvaez, 2000; Fontaine, 2006).

Le analisi quantitative prodotte sulle relazioni spaziali tra la produzione petrolifera

effettuate sulle tre scale sopraccitate fanno risaltare un’elevata concentrazione delle

attività produttive di tale natura nella parte orientale del Paese ecuadoriano ed in

particolare nell’area geografica dove si colloca la Riserva della Biosfera Yasuní (vedi

analisi G.I.S., fig. 4.21, p. 161).

Si è ritenuto opportuno quindi effettuare un’analisi quantitativa su tutti i pozzi

trivellati all’interno dell’Amazzonia ecuadoriana, per ottenere una carta di densità di

tali installazioni (vedi analisi G.I.S., fig. 6.23). Come si può osservare dal risultato, la

densità maggiore di pozzi è presente nella parte nord-occidentale contigua alla RBY,

presentando valori estremamente elevati in alcune zone: da 31-51 fino a 100-184

installazioni su 100 Km2. Anche all’interno della Riserva della Biosfera tuttavia la

densità dei pozzi petroliferi è elevata, mostrando valori modulati tra i 10 ed i 100

pozzi su 100 km2 di area.

Le successive analisi quantitative effettuate tramite funzioni di overlay tra la carta di

densità dei pozzi e quella della copertura vegetale sostituita per attività antropiche

riportano le relazioni geografiche che intercorrono tra la produzione petrolifera e la

degradazione di habitat. Come si evince infatti dall’analisi G.I.S. (fig. 4.27 p. 169 e

4.28, p. 170) esistono relazioni spaziali dirette tra la densità dei pozzi e la cosiddetta

zona intervenida. Tali relazioni diventano ancor più strette con la sovrapposizione del

network stradale sviluppato all’interno dell’area della Regione Amazzonica

Ecuadoriana (analisi G.I.S., fig. 4.27, p. 1.69). In tale carta la sovrapposizione delle

infrastrutture stradali nella parte amazzonica ha una rilevante corrispondenza

geografica con la densità dei pozzi, mettendo in luce come le attività produttive legate

all’estrazione petrolifera siano supportate da un’efficiente rete stradale. La

combinazione tra queste due componenti determina l’insieme dei processi che

portano a dinamiche di cambiamento della copertura vegetale in rapporto all’uso del

suolo, in questo caso rappresentato, nella fase iniziale, dalle attività produttive di

sfruttamento dei combustibili fossili presenti nella Regione Amazzonica Ecuadoriana.

Page 181: Pappalardo Tesis Yasuni

180

Si ritiene inoltre opportuno evidenziare come, attraverso la lettura dei risultati sulla

densità dei pozzi, delle infrastrutture di comunicazione e di trasporto del petrolio

(oleodotti e polidotti) presenti all’interno dell’area d studio, tali attività siano in stato

avanzato di produttività specialmente nelle parte occidentale della RBY intersecando

la buffer zone lungo la Via Auca, e sviluppandosi all’interno del territorio indigeno

Wuaorani.

La dorsale portante dell’infrastruttura di trasporto del greggio, l’oleodotto SOTE, la

cui costruzione risale al 1971 e le cui condizioni sono alquanto precarie ha presentato

numerose rotture che hanno comportato consistenti fuoriuscite di petrolio (vedi

analisi G.I.S. fig. 6.19, pag. 139) (Narvaez, 2000; Oilwatch, 2005). Stime ufficiali

riportano che solamente lungo l’oleodotto principale SOTE si siano verificate,

nell’arco temporale di vent’anni, circa trenta importanti fuoriuscite di petrolio,

riversando 400.000 barili nell’ambiente circostante, di cui la maggior parte all’interno

dell’ecosistema della foresta umida tropicale (Bravo, Martinez, 1993). Le

infrastrutture di trasporto del petrolio si estendono per 2850 km lineari sull’interno

suolo ecuadoriano, di cui 1342 km coinvolgono la Regione Amazzonica Ecuadoriana

(vedi tab. 4.16, p. 164). Le rotture strutturali delle infrastrutture di trasporto

petrolifero riguardano tutta la rete presente sul territorio, inclusi gli oleodotti ed i

polidotti secondari e terziari che si snodano fino alle appendici terminali all’interno

dell’area di studio e della RBY (Narvaez, 2000). La documentazione di tali

fuoriuscite è lacunosa e spesso tende a minimizzare gli impatti sull’ambiente

(Oilwatch, 2005; Accion Ecologica, 2006). Per quanto è emerso dalle indagini

qualitative tramite interviste semistrutturate effettuate sul campo e l’osservazione

diretta è importante sottolineare come spesso le fuoriuscite e la dispersione di ingenti

quantità di petrolio dagli oleodotti siano segnalate alle autorità competenti dai

contadini e dagli indigeni che vivono sul posto (Ordonez 2006, 2008; Maldonado,

2006; Llori, 2006; Zambrano, 2006, 2008, Guerrero, 2008). Oltre a non essere spesso

documentate in relazioni ufficiali delle istituzioni competenti la bonifica ed il

recupero delle aree e dei terreni contaminati è spesso tardiva se non del tutto assente.

La fig. 4.16 a p. 149 mostra un importante sversamento di petrolio fuoriuscito da un

oleodotto secondario in località San Carlos, in prossimità della buffer zone della

Page 182: Pappalardo Tesis Yasuni

181

RBY, avvenuto nel 1992 per cui la compagnia titolare, la statunitense Texaco, non ha

provveduto ad effettuare operazioni di bonifica e di indennizzo dei danni ambientali

(Zambrano, 2008, intervista semistrutturata). Per quello che è stato possibile rilevare

dall’acquisizione dei dati ufficiali e dalle fonti secondarie gli sversamenti di petrolio

dalle infrastrutture di trasporto sono all’ordine del giorno ed avvengono sull’intera

rete nazionale. Per dare un’idea della portata e della frequenza di tali fenomeni si

riporta che lo scorso 25 febbraio a causa della rottura nella fascia pedemontana

dell’oleodotto OCP, considerato a basso impatto ambientale in quanto alcuni tratti

sono interrati, sono stati riversati 15.000 barili di petrolio nell’ambiente,

coinvolgendo il fittissimo reticolo idrografico del Rio Napo (El Comercio,

27/2/2009). Lo sversamento, oltre a costituire un impatto ambientale di notevole

portata, ha coinvolto 47 comunità indigene che vivono lungo le zone ripariali del Rio

Napo e del Rio Coca, determinando a valle dei fiumi la sospensione per una settimana

dell’erogazione idrica dell’acquedotto per i 70 mila abitanti della città di El Coca, (El

Comercio, 28/2/2009).

Figure 2 Fiume Rio Coca, importante sversamento di petrolio dall'oleodotto OCP. (fonte: El Comercio, 27/2/2009)

Le analisi quantitative prodotte condotte nello studio 4.10 aprono una finestra su

alcune dinamiche territoriali che si sono sviluppate all’interno dell’area di studio.

Page 183: Pappalardo Tesis Yasuni

182

Come è stato precedentemente discusso le infrastrutture di comunicazione terrestre,

finanziate e costruite da attori esterni al territorio amazzonico (lo Stato e le

compagnie petrolifere), costituiscono i principali direct drivers nelle dinamiche di

cambiamento della riduzione di habitat e della copertura vegetale. Oltre a ciò le vie

stradali costruite nella foresta primaria innescano processi di colonizzazione agraria,

supportati dallo Stato e da imprese agricole, che vedono protagonisti gli attori interni,

ossia indigeni e colonos, che migrano nelle nuove aree forestali accessibili per nuovi

insediamenti. E’ rispetto a queste due dinamiche che si sono configurati territori

differenti nell’area della RBY.

I risultati delle analisi quantitive condotte sulle vie di comunicazione terrestri e

fluviali mostrano modi diversi di costruire il territorio in base alle diverse logiche di

percepire la natura e le risorse. Le due aree prese in esame infatti rappresentano da un

lato un territorio costruito intorno ad un asse stradale principale che veicola attività

produttive e tende ad accentrare le comunità in centri urbani, dall’altro un territorio

configurato dai limiti naturali del bacino idrografico e plasmato sulle vie di

comunicazione fluviale.

Il pattern territoriale della Via Auca, definito dal buffer derivato dall’asse stradale

fino all’ultima linea di colonizzazione agricola all’interno della foresta primaria,

presenta una superficie areale di 4683 km2 all’interno della quale sono presenti 25

centri abitati, 6 comunità indigene Wuaorani e 4 comunità di Quichua e colonos. Il

territorio configurato invece sul bacino del Rio Curaray presenta 12 centri urbani, 13

comunità Wuaorani e 22 Comunità Quichua all’interno di un’area di 8.204 km2.

Come si evince dalla carta di densità demografica prodotta i valori ottenuti sono

estremamente diversi: tra i 12 ed i 44 abitanti per km2 nel territorio della Via Auca e

tra i 0.44 ed i 6 abitanti per km2 nel bacino del Rio Curaray.

I risultati ottenuti tra le due aree evidenziano due dinamiche territoriali

completamente differenti: da un lato la Via Auca, come modello di pratiche

territoriali “modernizzanti” veicolate da un asse stradale principale che struttura il

territorio sulla geografia della produzione petrolifera e dall’altro il bacino idrografico

del Rio Curaray come area naturale dove le popolazioni indigene Wuaorani e

Page 184: Pappalardo Tesis Yasuni

183

Quichua hanno costruito il territorio utilizzando il fitto reticolo idrografico del Rio

Curaray come principale via di comunicazione (vedi fig.4.17 p. 152).

I risultati delle analisi quantitative svolte sui due pattern territoriali danno indicazione

su come si organizzino nell’amazzonia ecuadoriana i sistemi sociali rispetto ai centri

abitati, alle vie di comunicazione, ed alle attività produttive presenti. Utilizzando la

sovrapposizione cartografica tra la geografia fisica costituita dai bacini idrografici e

dalla copertura forestale su quella degli attori territoriali si denotano anche modi

differenti di percepire la natura di trarne risorse. Lungo la Via Auca è prevalso un

territorio della “produzione estrattiva” disegnata dall’attore statale, nel quale sono

stati determinanti i processi di sostituzione, nell’area del bacino del Rio Curaray

invece logica sottesa è quella di un controllo simbolico delle risorse naturali.

Nel territorio della “Via Auca” il 100% della superficie è lottizzato per le attività

petrolifere, di cui il 60% è gestito dall’attore statale Petroecuador, il 17% dalla

compagnia, l’8% dalla Vintage e solamente il 14 percento è rappresentato da una

concessione senza operatore (vedi tab. 4.11 e fig. 6.16. p. 132).

All’interno del territorio del Rio Curaray invece il 68% delle concessioni sono

attualmente senza operatore, mentre il 23.57% è gestito dalla compagnia ENI-AGIP,

il 7.90% dalla Keer-McGee ed lo 0.43% da Petroecuador.

Questo può significare che allo stato attuale le attività produttive a carattere estrattivo

sono concentrate laddove è possibile strutturare un territorio secondo le logiche di

terra trovandosi in conflitto con quelle comunità locali che si contrappongono

seguendo logiche d’acqua.

In conclusione si ritiene che, nonostante la Riserva della Biosfera si basi su modelli

avanzati di protezione, non ci siano oggi, nella complessità del territorio amazzonico

ecuadoriano, le condizioni per poter attuare né strategie effettive di conservazione né

attività sostenibili per l’ambiente. Anche se, come dice Myers (2000), “l’integrità

della biodiversità della foresta umida tropicale dipende dalla sua effettiva

protezione”, a volte superare la barriera che separa uomo ed ambiente consentirebbe

di poter comprendere le dinamiche territoriali che portano al conflitto.

Page 185: Pappalardo Tesis Yasuni

184

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Allegati

Documento 1. Linee guida per la gestione delle aree protette Parchi Nazionali, II categoria: Protected area managed mainly for ecosystem protection and recreation; natural area of land and/or sea, designated to (a) protect the ecological integrity of one or more ecosystems for present and future generations, (b) exclude exploitation or occupation inimical to the purposes of designation of the area and (c) provide a foundation for spiritual, scientific, educational, recreational and visitor opportunities, all of which must be environmentally and culturally compatible.

Objectives of Management 1. to protect natural and scenic areas of national and international significance for spiritual, scientific, educational, recreational or tourist purposes; 2. to perpetuate, in as natural a state as possible, representative examples of physiographic regions, biotic communities, genetic resources, and species, to provide ecological stability and diversity; 3. to manage visitor use for inspirational, educational, cultural and recreational purposes at a level which will maintain the area in a natural or near natural state; 4. to eliminate and thereafter prevent exploitation or occupation inimical to the purposes of designation; 5. to maintain respect for the ecological, geomorphologic, sacred or aesthetic attributes which warranted designation; and 6. to take into account the needs of indigenous people, including subsistence resource use, in so far as these will not adversely affect the other objectives of management.

Guidance for Selection a) The area should contain a representative sample of major natural regions, features or scenery, where plant and animal species, habitats and geomorphological sites are of special spiritual, scientific, educational, recreational and tourist significance. b) The area should be large enough to contain one or more entire ecosystems not materially altered by current human occupation or exploitation. Organizational Responsibility Ownership and management should normally be by the highest competent authority of the nation having jurisdiction over it. However, they may also be vested in another level of government, council of indigenous people, foundation or other legally established body which has dedicated the area to long-term conservation.

Page 196: Pappalardo Tesis Yasuni

195

Fonte:United Nation Environmental Programme (UNEP) http://www.unep-wcmc.org, visitato il 08/12/2008

Tab.1 Plot di ricerca del Center for tropical Forest Science (CTFS) Sito Paese Specie arboree (totale) Area (ha) Yasuní National Park Ecuador 1,104 25 Lambir Hills National Park Malaysia 1,182 52 Pasoh Forest Reserve Malaysia 816 50 Khao Chong Wildlife Refuge Thailand 602 16 Korup National Park Cameroon 494 50 Okapi Faunal Reserve D. R. of Congo 446 40 Palanan Wilderness Area Philippines 335 16 Barro Colorado Island Panama 300 50 Huai Kha Khaeng W. Sanctuary

Thailand 251 50

La Planada Nature Reserve Colombia 228 25 Sinharaia World Heritage Site

Sri Lanka 204 25

Luquillo Experimental Forest Puerto Rico 138 16 Mudumalai Wildlife Sanctuary India 71 50 Fonte: CTFS, 2004, www.ctfs.si.edu. Tab.2 Riserva della Biosfera Yasuní: Specie minacciate secondo le categorie IUCN e le Appendici CITES Nome volgare

Spagnolo Nome comune

Inglese Genere e

Specie IUCN L.R.

Ecuador

IUCN L.R.

Mondiale

CITES

Nutria gigante, Lobo de río

Giant otter Pteronura brasiliensis

CR EN I

Manatí Amazónico, Vaca de agua Vaca del Amazonas

Amazonian manatee, Water cow

Trichechus inunguis

CR VU I

Delfín rosado, Delfín Amazónico, Bufeo de río

Amazon river dolphin, Pink river dolphin, Boto

Inia geoffrensis EN VU II

Delfín gris de río, Tucuxi

Gray river dolphin

Sotalia fluviatilis

EN DD I

Guanfando, Perro vinagre

Bush dog Speothos venaticus

VU VU I

Mono araña de vientre amarillo,

White-bellied spider monkey

Ateles belzebuth VU VU II

Page 197: Pappalardo Tesis Yasuni

196

Maquisapa Raposa de cola peluda

Bushy-tailed opossum

Glironia venusta

VU VU -

Tigrillo chico Oncilla, Little spotted cat

Leopardus tigrinus

VU NT I

Jaguar, Pantera, Tigre Americano

Jaguar Panthera onca VU NT I

Puma, León americano

Puma, Mountain lion

Puma concolor VU NT II

Chorongo, Mono lanudo común, Mono choro

Common woolly monkey

Lagothrix lagotricha

VU LC II

Nutria común, Nutria Neotropical, Perro de río, Lobo de agua

Neotropical river otter

Lontra longicaudis

VU DD I

Tapir Amazónico, Danta

Amazonian tapir

Tapirus terrestris

NT VU II

Raposa de agua, Zorra de agua, Comadreja de agua

Water opossum

Chironectes minimus

NT NT -

Raposa chica radiante, Zorra chica radiante

Little rufous mouse opossum

Marmosa lepida NT NT -

Gran falso vampiro

Great false vampire bat, Spectral vampire

Vampyrum spectrum

NT NT -

Tigrillo, Ocelote

Ocelot Leopardus pardalis

NT LC I

Tigrillo de cola larga, Burricón, Margay

Margay Leopardus wiedii

NT LC I

Chichico de manto dorado, Chichico amarillo

Golden-mantle tamarin

Saguinus tripartitus

NT LC II

Armadillo gigante, Armadillo trueno, Cutimbo

Giant armadillo

Priodontes maximus

DD EN I

Oso Giant anteater Myrmecophaga DD VU II

Page 198: Pappalardo Tesis Yasuni

197

hormiguero gigante, Oso banderón

tridactyla

Murciélago de ventosas de La Val

La Val’s sucker-footed bat

Thyroptera lavali

DD VU -

Raposa lanuda Amazónica, Zorra lanuda de oriente

Amazonian woolly opossum

Caluromys lanatus

DD NT -

Murciélago orejudo mayor

Great big-eared bat, Davies’ big-eared bat

Micronycteris daviesi

DD NT -

Parahuaco ecuatorial

Equatorial saki monkey

Pithecia aequatorialis

DD LC II

Codici: CR = gravemente minacciato; EN = minacciato; VU = vulnerabile; NT = quasi a rischio; LC = rischio minimo; DD = dati insufficienti Fonte: Liste Rosse Mondiali (IUCN, 2004; Liste Rosse dei Mammiferi dell’Ecuador, 2001, Ministero dell’Ambiente, IUCN) Tab. 3 Riserva della Biosfera Yasuní: specie di anfibi minacciati secondo le categorie IUCN e le Appendici CITES

Genere e specie CITES IUCN – L.R. Mondiali Atelopus spumarius Dati assenti VU Rhamphophryne festae Dati assenti NT Allobates femoralis Appendice II LC Allobates zaparo Appendice II LC Dendrobates duellmani Appendice II LC Dendrobates reticulates Appendice II LC Dendrobates ventrimaculatus Appendice II LC Epipedobates bilinguis Appendice II LC Epipedobates hahneli Appendice II LC Epipedobates parvulus Appendice II LC Codici: VU = vulnerabile; NT = quasi a rischio; LC = rischio minimo Fonte: IUCN, Conservation International, 2004; Global Amfibian Assessment, 2004

Page 199: Pappalardo Tesis Yasuni

198

Ringraziamenti Desidero ringraziare anzitutto la mia famiglia, mia madre e mio padre, per l’interminabile pazienza e per avermi regalato l’opportunità di accedere e terminare questo travagliato, contorto percorso di studi. Ringrazio la fortuna, per avermi fatto conoscere Valentina ed il suo sorriso che mi hanno accompagnato dall’inizio alla fine di questo sofferto lavoro. Non posso esimermi dal ringraziare ed abbracciare tutti quelli che ho conosciuto in Ecuador; per avermi fatto conoscere l’Amazzonia ed i suoi abitanti, e per avermi dato informazioni e passioni per costruire questo lavoro. Un grazie speciale a David, Diocles, Jose, Byron detto el Che, Delfin, Maria, John Guerrero, Diego Andrade, Edwin, Ivan Narvaez e a tutti gli altri che non posso qui menzionare. Un ringraziamento speciale a tutte le donne e gli uomini del colore della terra che ho conosciuto nell’amazzonia ecuadoriana. I loro occhi dal taglio indigeno mi hanno aperto il cammino e mi regalano tuttora il loro desiderio di dignità e libertà. Alla Comunità di Dayuma, colonos y Quichuas resistenti. Ringrazio l’emerito prof. Francesco Ferrarese, per avermi accompagnato nel mondo dei G.I.S., per la sua timida ma irriverente simpatia, soprattutto per avermi sopportato interminabili mesi in laboratorio. Adesso è finita. Forse. Ringrazio Chiara ed Andrea per l’enorme disponibilità e i preziosi consigli. Grazie ai miei compagni e alle mie compagne; quelli di ieri, quelli di oggi e di domani. Grazie, davvero, per avermi insegnato a camminare sognando, ad occhi aperti, un mondo migliore.