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IL WELFARE STATE 26/11/2013 A cura di Dott.ssa MA Zadra 1 IL WELFARE STATE Dott.ssa Maria Angela Zadra 26/11/2013 A cura di Dott.ssa MA Zadra 2 Glossario essenziale MERCATO = complesso degli scambi di tutti i prodotti in un determinato Paese o in una determinata area PRIVATIZZAZIONE = trasferire ai privati un’impresa già pubblica BENESSERE = stato di soddisfazione interiore generato dal giusto equilibrio di fattori psico-fisici BISOGNO = necessità o desiderio diffuso che dà origine alla domanda di uno o più beni economici

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IL WELFARE STATE

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IL WELFARE STATE

Dott.ssa Maria Angela Zadra

26/11/2013 A cura di Dott.ssa MA Zadra 2

Glossario essenziale

� MERCATO = complesso degli scambi di tutti i prodotti in un determinato Paese o in una determinata area

� PRIVATIZZAZIONE = trasferire ai privati un’impresa giàpubblica

� BENESSERE = stato di soddisfazione interiore generato dal giusto equilibrio di fattori psico-fisici

� BISOGNO = necessità o desiderio diffuso che dà origine alla domanda di uno o più beni economici

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La nascita del welfare

� Welfare state = stato assistenziale – stato di benessere – stato dei servizi sociali

� Rappresenta un sistema politico-amministrativo che ha come compito quello di soddisfare i bisogni sociali fondamentali dei cittadini, in quanto riconosciuti come DIRITTI

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STORIA DEL WELFARE STATE

Una prima forma elementare di welfare venne introdotta nel 1601 in Inghilterra con la “poor law”, legge che prevedeva assistenza per i poveri, nel caso in cui le famiglie non fossero in grado di provvedervi. Tali leggi avevano certamente un contenuto filantropico, ma prendevano le mosse dal fatto che la riduzione della povertà avrebbe portato anche alla riduzione dei fenomeni negativi connessi, come la criminalità.

Una seconda fase si ha con la Rivoluzione industriale, quando nacquero le prime assicurazioni sociali che garantivano i lavoratori nei confronti degli incidenti sul lavoro, malattie, vecchiaia. In un primo momento erano su base volontaria, mentre più tardi divennero obbligatorie.

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STORIA DEL WELFARE STATE

Nel 1883 in Germania, ad opera di Otto von Bismarck, nasce l’assicurazione sociale, per favorire la riduzione della mortalità e degli infortuni sui luoghi di lavoro ed istituire una prima forma di previdenza sociale.Secondo alcuni studiosi furono gli industriali a spingere per i versamenti obbligatori, per non accollarsi più per intero i costi della sicurezza sociale dei lavoratori.

Nel 1942 in Inghilterra, grazie al Rapporto Beveridge, dell’omonimo economista, vennero introdotti per la prima volta i concetti di sanità pubblica e pensione sociale.

Nel 1948 la Svezia fu il primo Paese ad introdurre la pensione popolare, fondata sul diritto di nascita (come i diritti civili e politici).

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ITALIA 1862

Nel 1862 una legge indica tra le opere pie “gli istituti di carità e beneficenza e qualsiasi ente morale avente in tutto o in parte il fine di soccorrere le classi meno agiate, tanto in stato di sanità che di malattia, di prestare loro assistenza, educarle, istruirle e avviarle a qualche professione, arte o mestiere”. Questa legge aveva anche istituito dei controlli

pubblici sulle opere pie e fondato in ogni Comune una “congregazione di carità” con il compito di amministrare i beni destinati ai poveri da parte di elargizioni private.

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LA LEGGE CRISPI (1890)

� trasforma le opere pie in “istituzioni pubbliche di beneficenza” (IPB)

� la funzione dello Stato, di fatto, si limita ad un esercizio di polizia e di controllo

� emarginazione sociale e fisica degli indigenti

� delega alle iniziative caritative di tipo confessionale di una funzione stabile più ampia

� mantenimento della natura privatistica della gestione delle IPB i cui obiettivi erano più l’isolamento della persona in stato di bisogno, piuttosto che la sua emancipazione.

� Nel 1923 la denominazione di IPB venne modificata in IPAB, avente funzione di aiutare i poveri nelle forme previste dalla legge.

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La beneficenza prima della Costituzione

Prima dell’avvento del fascismo il quadro della “beneficenza legale” appare questo:

• prima di tutti intervengono le IPB che provvedono ai ricoveri, in base alle risorse disponibili;

• in subordine intervengono le “congregazioni di carità”presenti in ogni Comune;

• altrimenti interviene il Comune in cui la persona ha il “domicilio di soccorso” (ossia quello nel quale il bisognoso dimora da almeno 5 anni – nel 1954 sono ridotti a 2);

• se nemmeno il Comune può far fronte alle difficoltàinterviene lo Stato direttamente.

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IL PERIODO FASCISTA

Il periodo fascista, pur mettendo in atto tutta una serie di interventi massivi, non rompe con la tradizione assistenziale confessionale e con la stipula del Concordato pattuisce una gestione mediata dell’assistenza con la Chiesa.

Cresce in questo periodo la funzione di controllo sociale svolta dallo Stato, anche attraverso la costituzione di enti autarchici assistenziali e previdenziali e di organismi locali di assistenza.

Con la costituzione di enti nazionali si crea un sistema di assistenza “specifica”, riservata, cioè, a diverse categorie ed in particolare:

• All’infanzia ed alla gioventù (ONMI e ONB);• A settori della popolazione sociale ai margini (invalidi,

orfani, anziani) per i quali lo strumento principale di intervento è l’internamento coatto in istituzioni assistenziali.

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Nel 1937 gli ECA (Enti Comunali di Assistenza) sostituiscono le congregazioni di carità ed hanno lo scopo di soccorrere i poveri del Comune, gli orfani, i minori abbandonati, i ciechi, ma anchequello di offrire al regime una vera e propria schedatura degli strati meno abbienti della popolazione attraverso gli “elenchi dei poveri” di ogni Comune.

Dal 1890 agli albori dello Stato repubblicano il sistema assistenziale era così caratterizzato da:

• Verticismo

• Burocratismo (prevale la logica di funzionalità dell’ente)

• Categorizzazione dei soggetti assistiti

• Discrezionalità nell’erogazione delle prestazioni

• Custodialismo per la tutela dell’ordine pubblico

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LA COSTITUZIONE

� Art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

� Art. 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

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� Art. 38: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata èlibera”.

� Art. 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi ed i controlli opportuni perché l’attivitàeconomica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

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� Nasce così un sistema sociale fondato su principi di uguaglianza e di tutela esercitata direttamente dallo Stato (MODELLO ISTITUZIONALE).

� Fino agli anni ’60 questo modello non ebbe un’applicazione concreta, tant’è che l’istituzione della scuola media obbligatoria risale al 1962 e la pensione sociale al 1969.

� Gli anni ’70 hanno rappresentato un periodo di grande fermento in campo sociale, anche grazie alla nascita di nuovi movimenti studenteschi, femminili, di lavoratori.

� Con l’avvio dell’attività legislativa delle Regioni a statuto ordinario e con il progressivo decentramento delle funzioni socio-assistenziali iniziò un lento processo di cambiamento sociale, che ha consentito di garantire una sempre maggior uguaglianza nell’erogazione delle prestazioni.

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DAL WELFARE STATE AL WELFARE MIX

� Nel tempo tuttavia, si è constatato come mediante il solo intervento dello Stato e del libero mercato non fosse possibile soddisfare completamente le aspettative ed i bisogni dei cittadini, introducendo così la possibilità di nuovi ambiti d’azione possibile e di un ruolo più attivo da parte anche dei soggetti del cosiddetto Terzo settore (es. cooperative sociali, privato sociale, volontariato,…) e del Quarto settore (es. associazioni di famiglie, utenti, gruppi di auto-mutuo-aiuto,…)

� In questa nuova logica particolare rilievo assumono i “network” sociali ed in particolare lo stesso individuo, utente dei servizi sociali, la sua famiglia ed il mondo dell’associazionismo e del volontariato

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DAL WELFARE STATE AL WELFARE MIX

� Per quanto riguarda la Provincia Autonoma di Trento, l’art. 3 della Legge provinciale 27 Luglio 2007, n. 13 “Politiche sociali nella provincia di Trento”, parlando dei soggetti attivi del sistema provinciale delle politiche sociali, promuove proprio l’autonoma iniziativa dl singolo e delle aggregazioni alle quali aderisce, allo scopo di favorire la più ampia partecipazione dei cittadini alla costituzione del sistema integrato dei servizi sociali e la crescita della cultura della solidarietà.

� Tra i soggetti attivi vi sono dunque i cittadini (singoli o associati in organizzazione), le famiglie, le Aziende pubbliche di servizi alla persona (APSP), il terzo settore (cooperative sociali, organizzazioni divolontariato, associazioni di promozione sociale, enti di patronato, …) e le organizzazioni sindacali.

� In base alla legge provinciale vigente i soggetti privati aventi scopo di lucro partecipano al sistema delle politiche sociali, contribuendo a realizzare il “distretto dell’economia solidale”, un circuito economico a base locale, capace di valorizzare le risorse territoriali secondo criteri di equità sociale e sostenibilità socio-economica e ambientale, per la creazione di filiere di finanziamento, produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi.