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INDICE
INTRODUZIONE.................................................................................................................. 4
1- L’INCONTRO TRA SCUOLA E MEDIA...................................................................... 7
1.1 - LA NUOVA SCUOLA E IL NUOVO STUDIO ........................................................9
1.2 - IL SUCCESSO DEI VIDEOGAMES........................................................................12
2 - STRUMENTI DELL’EDUCAZIONE.......................................................................... 15
2.1 - L’IPERTESTO........................................................................................................... 15
2.2 - NUOVI ORIZZONTI ................................................................................................17
2.3 - TESTI CARTACEI E TESTI ELETTRONICI..........................................................19
2.4 - TECNOLOGIE DIDATTICHE E SVILUPPO COGNITIVO..................................20
2.5 - ALLA RICERCA DELL’INTERDISCIPLINARIETÀ............................................24
3 - PSICOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO................................................................ 28
3.1 - CAMBIAMENTI EPISTEMOLOGICI.................................................................... 29
.......................................................................................................................................... 29
3.2 - IL COMPORTAMENTISMO ...................................................................................33 3.2.1 - IL NEO-COMPORTAMENTISMO............................................................................. 36
3.3 - IL COGNITIVISMO..................................................................................................383.3.1 - INDIRIZZI E PROTAGONISTI..................................................................................... 41
3.3.2 - PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA......................................................................... 45
3.4 - IL COSTRUTTIVISMO............................................................................................ 463.4.1 - DAI SIMBOLI COGNITIVI AI SIMBOLI IPERTESTUALI ....................................... 48
3.4.2 - IL COSTRUTTIVISMO SOCIALE................................................................................50
4 - TEORIE E PRATICHE DIDATTICHE .....................................................................57
4.1 - L’APPROCCIO SOCIO-TECNOLOGICO .............................................................. 58
4.2 - L’APPROCCIO PSICO-PEDAGOGICO ................................................................. 61.................................................................................................................................................... 61
4.3 - L’APPROCCIO PSICO-TECNOLOGICO................................................................66 ................................................................................................................................................... 66
4.4 - L’APPROCCIO TECNO-ANTROPOLOGICO........................................................ 69
2
Indice
................................................................................................................................................... 69
5 - APPRENDERE… CON EMOZIONE.......................................................................... 71
5.1 - NEUROSTORIA DELLE EMOZIONI..................................................................... 72
5.2 - INTELLIGENZA E APPRENDIMENTO EMOTIVO..............................................76
5.3 - LA FONTE DEL PROBLEMA................................................................................. 80
6 - CONCLUSIONI..............................................................................................................82
NOTE................................................................................................................................. 86
BIBLIOGRAFIA................................................................................................................ 90
3
Introduzione
INTRODUZIONE
Si potrebbe pensare che un lavoro sull’impiego delle tecnologie nella didattica, sia
suggerito dall’esigenza di rispondere ad un quesito particolarmente noto a chi le
propone: è possibile imparare da questi strumenti?
Pur essendo lecito, questo tipo di interrogativo sembrerebbe avere però una risposta
piuttosto ovvia; se così non fosse infatti, non si spiegherebbe allora nemmeno come
sia possibile imparare a mandare una e-mail, memorizzare le parole di una canzone
che sentiamo alla radio, cucinare un piatto che abbiamo visto preparare alla tv.
L’essere umano è potenzialmente in grado di apprendere da qualsiasi cosa, anche da
strumenti che non sono stati progettati per questo fine. Per questo varrebbe la pena
almeno riformulare la domanda con: quali sono i mezzi e le condizioni da cui si
impara meglio?
In realtà, sembra che non sia nemmeno questa la domanda principale da cui si
muove uno studio del genere, quanto piuttosto il perché mai una scuola dovrebbe
aver bisogno di adottare questi strumenti per insegnare e non continuare invece nel
modo di sempre.
I motivi, come tenterò di mettere in luce nel primo capitolo (L’incontro tra scuola e
media), sono molteplici. Innanzi tutto una delle cause va ricercata nel fatto che la
nostra società comunica anche, e moltissimo, attraverso di esse, e quindi tanto
varrebbe educarne all’uso; poi, perché consentono una ristrutturazione dei metodi
di insegnamento (la lezione frontale, infatti, sembra che stia cedendo il passo a
quella strategica); in ultimo, e non certo per importanza, perché piacciono ai
giovani.
Non solo questo. Sembra infatti, come vedremo nel secondo capitolo (Strumenti
dell’educazione), che la multimedialità possegga le risorse necessarie per facilitare
alcuni processi cognitivi connessi all’apprendimento stesso, in quanto coinvolgono
tutte le dimensioni attraverso le quali avviene il processo di acquisizione delle
informazioni. Verrà mostrato inoltre come sia necessaria, al fine di un buon esito
nello studio, il senso di coerenza interna tra le varie discipline, contro l’attuale
4
Introduzione
tendenza alla frammentazione tra le stesse o ai tentativi di raccordo disciplinare
azzardati e incompatibili.
In questo senso l’ipertestualità potrebbe rappresentare un tentativo di soluzione a
queste criticità, le quali hanno un certo peso proprio a causa della natura stessa del
pensiero: esso viene infatti stimolato dalle indagini critiche, da un suo ruolo attivo,
da riflessioni, che in questo caso non possono che comprendere tutti gli aspetti che
costituiscono una cultura, tutti i messaggi che mandano a quella attuale.
Da un punto di vista psicologico, questi principi saranno sviluppati nel terzo
capitolo (Psicologia dell’apprendimento). Qui verranno presi in esame i principali
cambiamenti epistemologici dell’epoca moderna (ancora quasi del tutto ignorati
dalla nostra società), e alcune delle più importanti teorie psicologiche che si sono
accostate agli elementi che rendono possibile l’apprendimento e alla conseguente
progettazione di particolari strumenti didattici (1).
Lo stesso verrà fatto nel quarto capitolo (Teorie e pratiche didattiche), con una
maggiore attenzione a come i principi teorici di riferimento siano stati tradotti in
impianti strumentali e ambienti tecnologici.
Vedremo come lo sviluppo cognitivo avvenga attraverso canali complessi,
oltretutto affatto slegati dal contesto in cui si trovano.
Il quinto capitolo (Apprendere… con emozione), è invece un esame dei principali e
recenti studi nell’ambito delle scienze cognitive, i quali propongono un riesame
nella concezione dell’apprendimento in termini (anche) emotivi; esso infatti, come
verrà mostrato, non avviene a prescindere dall’affettività, né dalle attribuzioni
cognitive cui essa porta.
La mente dunque, per imparare, ha bisogno di coerenza, significati e, soprattutto, di
avere delle buone domande da porsi, sempre che si non voglia permanere in una
visione in cui, in chissà quale modo, la conoscenza risieda al di fuori e
indipendentemente da noi.
La tecnologia ipertestuale, attraverso l’utilizzo di un sistema non lineare di
trasmissione, ha molto da offrire in questo senso: essa possiede la potenzialità di
dare coesione ai micromondi scolastici; quando ben pensato, di gettare nuova luce
sui fattori che da sempre, nelle varie epoche, hanno mosso l’essere umano, in ogni
5
Introduzione
campo; di rendere attuali temi che hanno segnato l’evoluzione (o l’involuzione) di
ogni società.
Diceva Confucio:
Imparare senza pensare è fatica perduta; pensare senza imparare è pericoloso.
Vediamo allora se possono esserci delle strade per non cadere nelle trappole di un
sapere scontato, sempre uguale e, a volte, dannoso.
6
L’incontro tra scuola e media
1- L’INCONTRO TRA SCUOLA E MEDIA
Risulta essere di dominio comune che una delle principali tendenze della nostra
società, al momento attuale, sia quella di tendere alla sempre maggiore
distribuzione e creazione di informazioni. Si tratta della circolazione di quello noto
come il know how. Il computer, e anche questa non è una novità per nessuno, è da
diversi anni il mezzo principe attraverso il quale queste informazioni si muovono, si
incontrano, si sviluppano.
Nel mondo moderno, la risorsa che maggiormente consente ad una società di essere
competitiva, è direttamente proporzionale a tale circolazione di informazioni, oltre
che naturalmente alla disponibilità che viene offerta agli individui che ne fanno
parte di utilizzarla e svilupparla.
E’ per questo motivo che per i giovani possedere i nuovi linguaggi informatici, e
imparare a sapersi muovere in essi, è diventato ormai non meno importante che
saper leggere e scrivere.
Antonio Calvani definisce alfabetizzazione “l’abilità di agire all’interno di un
determinato sistema simbolico o di astrarre informazioni da messaggi codificati”
(1): traspare allora chiaramente come, con l’aumentare della complessità, la cultura
si arricchisca di nuove forme comunicative, proponendole per un’alfabetizzazione
di massa, in quanto ci sono infatti tanti tipi di alfabetizzazioni quante sono le abilità
che ogni sistema sociale promuove e intende sviluppare.
Tra le alfabetizzazioni proponibili nella nostra società, stando alle evidenze, quella
informatica può essere ormai considerata come una di quelle dei più alti livelli.
Contrariamente a qualche anno fa, grazie all’enorme diffusione che ha avuto il
computer, appare oggi di grande interesse educativo la produzione di ambienti
simbolici misti in cui si realizzano nuove sinergie tra immagini e linguaggio, tra
canale visivo e fonetico.
7
L’incontro tra scuola e media
Certo in Italia il livello non è ancora ottimale. Questo non tanto perché
l’informatica sia molto meno conosciuta, quanto perché ancora si fatica ad
utilizzarla bene in campo educativo.
Negli Stati Uniti gli studenti hanno alle spalle un tipo di formazione interamente
segnata dall'uso di strumenti elettronici. La forma e il passaggio verso una fase
creativa di elaborazione del sapere diventa qui un elemento determinante, per cui,
come riferisce Massimo Riva: “la multimedialità e la scrittura elettronica, in forma
allargata, diventano parte costitutiva dei processi di apprendimento, del modo di
esprimersi degli studenti, del loro modo di assimilare cultura, del loro modo di
restituirla all'ambiente che li circonda e di interagire con esso” (2).
In qualsiasi modo lo si voglia considerare, un mezzo informatico si rivolge, e nello
stesso tempo svolge le sue funzioni, parallelamente a due mondi: quello
ESTERNO della cultura e degli apparati convenzionali di organizzazione delle
conoscenze, e quello PERSONALE e SOGGETTIVO dell’elaborazione cognitiva
interiore. La specificità di ognuno di questi mezzi consiste nel modo in cui esso
permette che avvenga il dialogo e la reciproca azione tra queste due realtà.
Va da sé che assuma un’importanza centrale sia il contesto di applicazione dello
strumento, sia l’impianto psicologico e materiale che ne affianca l’impiego.
Il problema è che, al momento attuale e nella pratica, trattare i mezzi mediatici
nell’educazione, comporta una disposizione a tollerare l’ansia da un problema che
si presenta ambiguo e complesso. Pur se presenti sulla scena da molto tempo infatti,
non si può certo dire di essere di fronte ad un ambito ben definito, dove gli
strumenti hanno una loro precisa funzione e collocazione (mentale, naturalmente).
Come ogni contesto in cui regna la confusione, anche in questo caso le resistenze e
il carico emotivo associato alla richiesta culturale di utilizzare i media, rischia di
disperderne le risorse e di schiacciarle sotto pressioni che sono estranee al più
complesso ambiente-scuola. Anche per questo motivo non è semplice stabilire
quanto gli effetti dell’utilizzo dell’informatica siano da attribuire all’alone emotivo
che la avvolge (misto di fascino e irritazione), e quanto producano invece concreti e
stabili benefici sul processo di apprendimento.
8
L’incontro tra scuola e media
1.1 - LA NUOVA SCUOLA E IL NUOVO STUDIO
Come naturale, l’avvento delle nuove tecnologie sta dunque conseguendo un
duplice effetto: se da una parte esse introducono strumentazioni oggettivamente
nuove, dall’altra orientano a modificare le stesse tecniche tradizionali. La
diffusione dei computer e dei programmi di studio ipertestuali, con la riflessione sui
processi cognitivi che la accompagna, spinge ad esempio ad interrogarsi sull’uso
degli strumenti tradizionali per l’apprendimento, come il libro.
La realtà del multimedia cambia il modo in cui ci si rivolge alla conoscenza, di fatto
cambia quindi il modo di fare educazione. Spontaneamente ci si domanda quali
siano, a questo punto, le risorse che ha da offrire.
La questione ben si inserisce nel tema, sempre più presente in questi anni, circa
l’educazione allo studio.
Il mito secondo il quale per studiare occorra sempre fatica e una volontà che
pochissimi possono dimostrare di avere, e che mai possa essere qualcosa di naturale
o addirittura piacevole, porta spesso i giovani ad allontanarsene progressivamente.
Atteggiamento più che mai naturale e sano, a meno che il desiderio di allinearsi ad
una società che impone un sapere di cui importa poco personalmente, non sia stato
abbastanza grande da costituire una spinta a continuare.
La causa principale di questo stato di cose (e le teorie psicologiche in tal senso si
sprecano), è stato il progressivo diffondersi di un metodo educativo in cui chi
insegna impartisce informazioni a discenti che pensano a tutt’altro. Questo perché
le informazioni non interessano, sono loro estranee, non coinvolgono e devono
essere fagocitate in modo passivo.
L’apprendimento inoltre non è limitato alle nozioni accumulate in classe, e viene ad
essere arricchito (e a volte praticamente sostituito) con lo studio individuale per
mezzo dei libri.
Ma anche in questo caso vengono riscontrati notevoli problemi, e il manuale, pur
offrendo una certa autosufficienza nella gestione dell’informazione, non riscuote un
particolare successo.
9
L’incontro tra scuola e media
Ma recentemente qualcosa è cambiato. Fin dagli anni ‘60 il computer si è inserito
nelle scuole grazie alla più generale tendenza delle informazioni ad assumere
caratteri policentrici. Esso ha incorporato i mezzi audiovisivi (il primo passo delle
tecnologie didattiche) come proprie periferiche, divenendo così strumento
"multimediale" per eccellenza.
Il settore della telematica ha arricchito lo spazio delle applicazioni didattiche
rendendo il computer oltre che ambiente di apprendimento (attraverso l’uso di
software ad hoc o di tipo generale), anche strumento di comunicazione
interpersonale e di accesso ad informazione remota.
Inserendosi all’interno della diade tradizionale insegnante-discente, ed estendendo
le risorse dell’informazione, il computer limita in un certo senso il controllo che
l’educatore esercita sull’allievo.
Anche grazie all’impiego di questi mezzi, l’insegnamento viene progressivamente a
trasformarsi da una trasmissione da chi sa a chi non sa (con dosi più o meno
massicce di autoritarismo), a una funzione di TUTORAGGIO che ha la funzione di
suggerire certi approcci piuttosto che altri, che “accompagna” invece di imporre.
In tale contesto ha quindi maggior valore la capacità di immaginare strategie
efficaci piuttosto che il possesso nozionale dei contenuti: il percorso tende sempre
più verso paradigmi “dialogici” rispetto a quelli tradizionali basati sulla dipendenza
gerarchica.
Anche Luciano Galliani, del gruppo di ricerca sulle Tecnologie Educative
dell’Università di Padova, intravede le linee future della didattica in questa
prospettiva (3). Egli afferma infatti che i sistemi formativi e gli ambienti didattici
saranno con il tempo sempre più caratterizzati da un rapporto di comunicazione
educativa incentrato sulla trilateralità insegnante-macchina-allievi, e quindi su una
qualità simbolica dell’interazione. Questa verrà arricchita da linguaggi analogico-
digitali, in scambio continuo, e da supporti multimediali audio-video-matici, senza
naturalmente dimenticare la pregnanza della qualità comunicativa.
Appare sempre più evidente quindi come il nuovo ruolo degli educatori dovrà
connotarsi più chiaramente intorno ad alcuni aspetti fondamentali, come ad esempio
10
L’incontro tra scuola e media
il modo di favorire le motivazioni, lo scambio, l’autonomia e la sicurezza
nell’accesso ed elaborazione delle informazioni.
Si fa strada l’idea della costruzione della LEZIONE STRATEGICA, orientata cioè
a fornire, a seconda delle circostanze, specifici tipi di sollecitazioni e apporti solo
parzialmente contenutistici quanto piuttosto principalmente procedurali.
Parallelamente a questo, giunge ad essere necessario affiancarsi nella formazione
nuove strategie di studio, che dovrebbero offrire la possibilità ai discenti di poter
usufruire di un nuovo modo di apprendere. Un modo a volte diverso dalla lettura
sequenziale, che conferisca maggior autonomia nel processo di acquisizione delle
informazioni.
La raffigurazione triangolare della comunicazione mediatizzata non ha quindi
l’obiettivo di decentralizzare l’insegnante all’interno del processo educativo. Ciò
che dovrebbe avvenire è una rimessa in discussione della sua funzione, che
permane chiaramente fondamentale.
La differenza rispetto alla sua immagine e funzione standard, risiede nel fatto che
ora la sua centralità non si sostiene più sulla quantità dello scambio relazionale, ma
si fonda sulla selezione qualitativa dello scambio comunicativo, secondo criteri
metodologico-didattici (azioni razionalmente destinate ad uno scopo) e psico-
pedagocici (azioni destinate al benessere e allo sviluppo dell’empowerment).
D’altronde le condizioni fisio-sensoriali, cinesiche, prossemiche e le tecniche di
interattività in ambiente formativo tecnologico, favoriscono spontaneamente
nell’allievo l’espressione di sé, il coinvolgimento, l’esperienza diretta, l’autonomia,
il “piacere funzionale”. Lo attesta l’enorme diffusione che hanno avuto i giochi
elettronici.
11
L’incontro tra scuola e media
1.2 - IL SUCCESSO DEI VIDEOGAMES
I videogames sono il primo esempio di tecnologia informatica applicata alla
produzione di giocattoli, e in molti casi rappresentano la prima occasione di
incontro dei bambini con il mondo dei computer.
Spesso, quando si parla di questi strumenti, le opinioni contrastano per via di fattori
che riguardano propriamente le conseguenze cui porta lo spendere tanto tempo di
fronte ad uno schermo: si sottrae tempo allo studio, alle interazioni sociali, a
divertimenti più “sani”, e via dicendo.
Inoltre, non è certo una questione irrilevante il fatto che molti giochi abbiano un
contenuto violento e siano portatori di messaggi negativi e distruttivi, fatto per il
quale possiamo prendercela comunque più con i produttori, che con gli stessi
ragazzi.
Eppure l’attrazione che esercitano sui giovani è significativa, e nonostante le
critiche, si sono rivelati validi strumenti di accrescimento di abilità e conoscenze
importanti al fine di un buon sviluppo.
I videogiochi insegnano ai bambini quello che il pc sta iniziando ad insegnare agli
adulti, e cioè che alcune forme di apprendimento sono rapide, coinvolgenti e
gratificanti. Non c’è da stupirsi che la scuola, al loro confronto, appaia a molti
giovani “lenta, noiosa e decisamente avulsa dalla realtà” (4).
Secondo Malone (5), il successo dei videogiochi sarebbe dovuto ad alcuni dei loro
“ingredienti” principali, particolarmente efficaci al fine del mantenimento
dell’attenzione e della motivazione.
Tra questi viene sottolineato il fatto che essi propongono una SFIDA, che mette alla
prova il ragazzo che vi si confronta, senza il pericolo di sottoporsi ad un giudizio
negativo tutte le volte che non riesce a vincere (“game over”. E si ricomincia
daccapo senza dover rendere conto a nessuno dello sbaglio).
Generano poi CURIOSITÀ, per il fatto che non si possono conoscere le mosse
dell’avversario (il gioco stesso), stimolando continuamente il desiderio di sapere
“cosa può accadere dopo”.
12
L’incontro tra scuola e media
Assicurano al giocatore un certo grado di CONTROLLO: delle mosse da fare, degli
strumenti di cui avvalersi, e anche di decidere quando e per quanto tempo giocare .
Stimolano infine la FANTASIA e assicurano un FEEDBACK continuo dei risultati
ottenuti, il che permette al ragazzo di poter valutare e scegliere continuamente il
comportamento e la strategia più adeguata al fine del prosieguo del gioco.
Anche Patricia Greenfield (6) si è occupata del ruolo dei videogiochi nello sviluppo
dell’intelligenza, e del perché del loro indubbio successo.
Il suo punto di partenza è che essi abbiano una serie di conseguenze positive sul
piano cognitivo, oltre che a rappresentare uno mezzo atto a favorire la
coordinazione sensomotoria. Prima di tutto, secondo l’autrice, incoraggiano lo
sviluppo di ABILITÀ COMPLESSE e di ATTENZIONE VISIVA: chi gioca deve
abituarsi a gestire parallelamente le informazioni tenendo presente più dati che
mutano in continuazione. Inoltre stimolano le CAPACITÀ INDUTTIVE, poiché
spesso il giocatore deve agire senza poter prevederne le conseguenze: le regole del
gioco devono essere dunque trovate secondo un approccio caratteristico anche della
ricerca scientifica.
Recentemente alcuni studiosi hanno utilizzato il videogame addirittura in senso
terapeutico. È il caso di Mark Baldwin, un professore del dipartimento di
psicologia della McGill University di Montreal, in Canada, convinto che alcuni
giochi possano essere impiegati per curare disturbi legati all’autostima.
Baldwin e la sua equipe hanno creato e testato alcuni giochi per computer
specificatamente concepiti per aiutare le persone a piacersi e quindi ad accettarsi di
più. Il loro fine non pretende certo di curare ogni forma di depressione con questi
videogame, però con gli esperimenti che hanno compiuto, pubblicati da importanti
riviste di settore tipo il Journal of Social and Clinical Psychology e lo
Psychological Science, sono riusciti a provare che l'autostima dei partecipanti
aumenta davvero col tempo passato a giocare, il tutto grazie agli indubbi vantaggi
che offre lo strumento informatico (7).
L’ingrediente fondamentale anche qui risiede nell’intervento attivo che essi
richiedono. Il protagonista non è qualcosa di esterno, ma è chi utilizza lo
strumento: questo crea attenzione, motivazione, interesse.
13
L’incontro tra scuola e media
Vale la pena soffermarsi su questo punto, anche al fine di mostrare l’efficacia di un
ipertesto in ambito educativo. I testi elettronici infatti, quando ben costruiti e non
confusivi, hanno la grossa qualità di indurre il discente alla SCELTA, proprio come
permettono i videogames. Si tratta della possibilità di approfondire l’argomento di
maggior interesse, di decidere il percorso da seguire o su cosa soffermarsi, di
stabilire autonomamente i passi da compiere.
Il tutto per mezzo di uno strumento controllabile, il pc, che per via di questa
caratteristica offre la possibilità di mettere al centro del processo conoscitivo,
ancora una volta, chi è chiamato ad apprendere.
C’è dunque ragione di credere che, qualora le attività di studio diventassero più
piacevoli dal punto di vista visivo e si centrassero su quelle caratteristiche che
rendono i videogame così “irresistibili”, l’apprendimento ne risulterebbe
migliorato. Anche perché è assolutamente falsa l’idea che essi piacciano perché
sono “facili”, ma è vero proprio il contrario (basta mettere davanti a un gioco
elettronico qualsiasi adulto per averne la prova!).
14
Strumenti dell’educazione
2 - STRUMENTI DELL’EDUCAZIONE
2.1 - L’IPERTESTO
Nel panorama attuale della scuola italiana stiamo dunque assistendo ad una
progressiva diffusione di programmi al computer chiamati SISTEMI
IPERMEDIALI.
Generalmente con questa espressione si intende un programma che permette di
navigare all’interno di archivi multimediali (formati da testi scritti e parlati, grafi,
immagine statiche e cinetiche, suoni) con collegamenti multipli tra le informazioni
(caratteristica conosciuta come STRUTTURA RETICOLARE), in cui il fruitore
può muoversi costruendo di volta in volta itinerari di suo esclusivo interesse, senza
i vincoli di una struttura sequenziale lineare.
L’ipertesto è dunque un testo composto essenzialmente da BLOCCHI DI TESTO
collegati elettronicamente tra loro. Il termine IPERMEDIA estende semplicemente
l’idea di testo perché include informazioni espresse per via visiva, sonora, animata
o con altre forme di dati (8).
I frammenti testuali di cui è composto un ipertesto sono spesso chiamate LESSIE, o
unità di lettura. Le lessie sono collegate tra loro, attraverso una serie di percorsi, da
link che, nei casi più semplici, permettono di passare da una porzione di lessia ad
un’altra, o da una intera ad un’altra.
Il lettore, in questo modo, “sfoglia” l’ipertesto potendo scegliere fra vari percorsi
disponibili, a seconda dei suoi interessi e curiosità, o dello scopo della sua lettura.
Generalmente la maggior parte dei teorici dell’ipertestualità presuppone una serie
di ulteriori caratteristiche di questo strumento elettronico, che certo possono non
esserne caratteristiche imprescindibili, ma che comunque nella maggior parte dei
casi ne costituiscono le potenzialità.
Si parla di:
1. Un requisito di almeno PARZIALE INDIPENDENZA fra i blocchi costitutivi
dell’ipertesto;
15
Strumenti dell’educazione
2. L’ASSENZA DI UN PERCORSO PRIVILEGIATO all’interno dell’ipertesto,
idea che nella sua versione più radicale implica l’assenza di un punto di ingresso e
di un punto di uscita definiti (la lettura di un ipertesto può in questo caso iniziare da
uno qualunque dei suoi blocchi costitutivi);
3. L’idea che un ipertesto debba avere una STRUTTURA DEBOLE, svincolando
il lettore da gerarchie predefinite;
4. L’idea che di conseguenza l’ipertesto realizzi una liberazione del lettore, al quale
viene affidata una FUNZIONE ATTIVA e non passiva nella scelta dei propri
percorsi di lettura.
Un ambiente multimediale è caratterizzato, per definizione, dalla compresenza dalla
compresenza di più mezzi e sistemi simbolici.
Affinché si possa parlare di “qualità educativa”, districandosi tra la pluralità di
mezzi e di sistemi disponibili, occorre accertarsi innanzi tutti che il passaggio e
l’integrazione tra di essi siano possibili e immediati, così come deve esserlo la
possibilità di adattare mezzi e codici in funzione delle necessità, inclinazioni e
motivazioni di chi fruisce del mezzo.
La possibilità di poter usufruire di più sistemi simbolici (testo, video, audio e
animazioni), tutti coordinati da un computer, offre condizioni radicalmente diverse
e nuove non solo per la possibilità di interagire rapidamente con grosse quantità di
informazioni, ma anche per la possibilità di lavorare con codici simbolici più adatti
al livello posseduto e per la possibilità di operare interventi sui vari tipi di materiale
esistente.
Possono essere distinte infatti otto maggiori categorie di sistemi simbolici
disponibili in ambito mediatico (9):
- PITTORICA, che si caratterizza per l’uso di mezzi raffigurativi, in cui possono
prevalere aspetti realistici, astratti o decorativi.
- SEMASIOGRAFICA, che include tutti quei messaggi che assumono il
carattere di avviso o avvertenza, normalmente riscontrabili come “segnali”.
- GLOTTOGRAFICA, che si riferisce a tutte le forme di scrittura ai quali
corrispondono enunciati orali.
16
Strumenti dell’educazione
- NUMERICA e MUSICALE, che sono le più diffuse ed evolute unità elementari
dei sistemi simbolici.
- LINEARE, che è una raffigurazione grafica che rappresenta la collocazione di
elementi in una sequenza ordinata.
- QUANTITATIVA e SPAZIALE, che includono i “grafici” che esprimono con
un’immagine la relazione tra due o più variabili numeriche e la simbologia
elementare di raffigurazione dello spazio in forma bi o tridimensionale.
L’utilizzo di tecnologie multimediali hanno da offrire dunque un’acquisizione
conoscitiva su più livelli.
Il primo è indubbiamente quello QUANTITATIVO: le possibilità di inserimento ed
esplorazione delle informazioni è pressoché illimitata.
Un altro è quello QUANTITATIVO, dipendente dal fatto che il tipo di
visualizzazione dei dati, gerarchica o reticolare che sia, può far emergere aspetti più
rilevanti, concetti più significativi e di maggior interesse personale rispetto allo
sfogliamento di pagine cartacee.
Servirsi in maniera sistematica di tale approccio alle informazioni, può favorire un
modo di pensare analitico e deduttivo, specie se vengono fatte le scelte più
appropriate al contesto e ai discenti.
2.2 - NUOVI ORIZZONTI
Certo la scelta del “mezzo giusto al momento e alla persona giusta”, al fine
dell’educazione, non è cosa semplice. Prontuari o ricette più o meno casuali non
sarebbero certo d’aiuto, o comunque non tanto quanto l’adozione di criteri
tassonomici razionali, flessibili e verificabili.
Favorire lo sviluppo di tecniche di studio significa, in ultima analisi, rendere
l’allievo capace di saper scegliere una strategia di lettura o consultazione tra le
diverse possibili. Aiutarlo cioè a rafforzare in lui la CAPACITÀ
METACOGNITIVA, ovvero la consapevolezza e il controllo che si possono
accompagnare al percorso di apprendimento.17
Strumenti dell’educazione
L’inserimento del computer in questo ambito può dar luogo a riflessioni in una
prospettiva storica o più strettamente tecnica o cognitiva.
Nella prima il computer, con le sue nuove possibilità di gestione dello studio, va
visto come un ulteriore elemento atto a favorire il crollo del modello educativo
tradizionale basato sulla trasmissione gerarchica del sapere.
Per quanto concerne la seconda prospettiva invece, le direzioni principali a cui si
volge un’educazione allo studio con il computer, sono principalmente tre.
Innanzi tutto esso può favorire, rispetto al libro stampato, un nuovo tipo di
ORGANIZZAZIONE DELLE CONOSCENZE. Esse possono essere rapportate
e associate in modo completamente “altro” rispetto al testo lineare.
In secondo luogo esistono le operazioni di RITROVAMENTO e di ANALISI
DEI DATI che possono essere ripetute ed estese ai vari contesti di appartenenza. In
questi casi si “entra” nel testo evidenziando velocemente gli elementi oggetto di
ricerca, la cui identificazione attraverso sfogliamento manuale delle pagine
potrebbe essere assai lenta e faticosa.
In ultimo ci sono possibilità connesse alla MANIPOLAZIONE DEL TESTO che
possono essere applicate agli ambienti di studio, facilitare la presa di appunti, il
trasferimento di citazioni nel proprio elaborato ed in generale avvicinare
l’elaborazione personale allo studio.
A ben vedere ciò che il computer ha, e che lo contraddistingue da tutti gli altri
strumenti telematici, è il motivo del suo successo: l’ INTERATTIVITÀ.
Con un pc infatti non si subiscono le informazioni, ma si partecipa a costruirle. Ben
diversa è la situazione di fronte ad una televisione o ad una radio: qui l’utente non
può che subire una sequenza prestabilita, senza alcuna possibilità di scelta o
cambiamento (la libertà, in questo caso, si può esprimere solo cambiando i canali o
spegnendo l’apparecchio).
Inoltre, non è da dimenticare il fatto che esso permette una partecipazione
sinestesica che amplia lo spettro percettivo (visivo, sonoro e tattile), implicato nella
fruizione di un’interazione corporea necessaria nell’uso del computer e delle sue
periferiche attive di input.
18
Strumenti dell’educazione
Essendo diversa la situazione con il pc, e permettendo questo di avere un carattere
più attivo e costruttivo, ci troviamo di fronte a un mezzo esente dai possibili rischi
di passività, diminuzione della capacità di lettura e irritabilità.
La possibilità di intervenire, e quindi di “fare”, è molto più congeniale per i
bambini piuttosto che assumere una posizione di passività. Inoltre la presenza di
rimandi, ovvero di feedback rispetto al loro operato, immediati e impersonali,
consente al bambino di sbagliare senza intaccare il suo senso di sicurezza e
autostima.
2.3 - TESTI CARTACEI E TESTI ELETTRONICI
Sembra quasi, a voler affrontare con un certo ottimismo il tema della
multimedialità, di diventare sostenitori di un’epoca in cui la cultura tecnologica
soppianterà per sempre la sua trasmissione espressiva, orale e cartacea.
La questione si fa particolarmente controversa quando l’organizzazione sociale, in
base alle sua finalità politiche, economiche e via dicendo, spinge ed incentiva
un’innesco tecnologico sempre diverso, imponendo una relazione dinamica tra
cambiamento e sviluppo delle sue forme istituzionali, produttive e riproduttive.
A volte, una visione “apocalittica” del fenomeno, per dirla come Galliani, spinge a
dimenticare che “non vi sarebbe stato alcun futuro economico se ogni Bibbia di
Lutero avesse continuato a richiedere la pelle di trecento pecore” (10).
Il fatto è che, come ci ricorda invece il fronte degli “integrati” rispetto all’emergere
della tecnologia informatica, la comparsa di un nuovo mezzo non ha mai
determinato la scomparsa di un altro precedente. Semmai la riqualificazione delle
sue finalità e delle sue applicazioni tecniche (11) .
La pedagogia spesso continua a volersi pensare come un libro, e cioè secondo una
forma che privilegia l’articolazione lineare della conoscenza, la sua divisione in
blocchi autonomi e così via. Ma è un dato di fatto che l’immagine tecnologica stia
costringendo il testo stampato a ridefinirsi.
19
Strumenti dell’educazione
La cultura del libro e i nuovi media vengono spesso rappresentati come due
schieramenti contrapposti e schierati in battaglia, più che come forme di produzione
culturale e di gestione dell'informazione tra le quali stabilire collegamenti e
individuare possibili sintesi.
Ma non è necessario pensare ad una sostituzione completa dei libri scritti i con testi
ipertestuali. Una strategia alternativa è non solo possibile ma anche immediata e
didatticamente efficace: si potrebbe ad esempio partire dal testo e accompagnare la
sua tradizionale lettura con una serie di operazioni di approfondimento, di ricerca
ed integrazione che utilizzino il computer come ambiente di lavoro.
Se il testo è il nostro punto di partenza, anche l’eventuale integrazione nel lavoro
didattico di un’immagine, di un brano filmato (incluso un ipotetico sceneggiato
televisivo), o materiali di altro genere, non avrà la funzione di sostituire la lettura
del testo, ma di integrarla. Partire dal testo vuol dire, in questi casi, partire dalla
scrittura lineare, dal libro a stampa, per arrivare poi, eventualmente, a trasformarlo
in testo elettronico.
In questa accezione, la sintesi fra cultura del libro e nuovi media sembra
assolutamente naturale, il rapporto fra libro e computer, fra testo lineare e ipertesto,
sembra prospettare alleanze più che conflitti.
Inoltre la forma ipertestuale non è un’invenzione dell’informatica; le note a piè di
pagina, le glosse, i meccanismi di rimando incrociato all’interno di un’enciclopedia
non sono che alcuni esempi di strutture ipertestuali già presenti nella tradizione
gutenberghiana, ma che indubbiamente raggiunge la sua piena maturità solo
attraverso il computer e la costruzione di strutture ipertestuali (o ipermediali)
complesse, che consentono di navigare con facilità al loro interno.
2.4 - TECNOLOGIE DIDATTICHE E SVILUPPO COGNITIVO
Il già citato Antonio CALVANI mette in luce cinque grosse dimensioni soggette
all’influenza dei software sulla cognizione (12). Ne vediamo di seguito uno schema
ispirato alla sua teorizzazione. 20
Strumenti dell’educazione
Le abilità sotto l’influenza dei software secondo Calvani.
Per quanto riguarda la dimensione MANIPOLATIVA-SPAZIALE, si tratta di
quella funzione attivata per via della richiesta costante, nell’uso di un computer,
della messa in atto di abilità manipolative e percettive, di lettura visiva e di
organizzazione spaziale. Quest’ultimo aspetto è particolarmente evidente nei
videogames, e sottolineato per la sua importanza da diversi studiosi del settore.
Quella EURISTICA si riferisce alla dimensione della sfida, del problem solving.
Un segnale di errore o un’azione che produce un effetto inaspettato, spinge alla
tensione e alla ricerca di una rettifica. Come detto sopra, il vantaggio dell’uso del
21
Strumenti dell’educazione
pc consiste nel fatto che, essendo uno strumento impersonale, chi lo usa si misura
con le sue abilità senza il pericolo di incorrere nel giudizio. In questo modo i
ragazzi avranno una maggiore motivazione, e meno resistenze, alla ricerca di
soluzioni.
Quella ESPLORATIVA emerge in rapporto agli ambienti che stimolano ad
esplorare, a tentare una strada tra tutte le piste disponibili. Un esempio sono quegli
ipertesti scolastici che permettono di approfondire temi di maggior interesse
“spaziando” attraverso diversi percorsi. Meglio ancora quando viene offerta la
possibilità di non “perdersi” nei vari link (13).
Quella SOCIALIZZANTE si manifesta quando l’attività al computer è condivisa,
favorendo dunque l’interazione sociale. Gli alunni sono infatti indotti a collaborare
tra loro più attivamente davanti a un monitor che davanti ad un foglio di carta, e
questo a causa dei punti precedentemente elencati.
Per quanto concerne la dimensione COGNITIVA-METACOGNITIVA, Calvani
si riferisce a diverse sottocategorie di funzioni. Come nello schema, troviamo:
_FAMILIARIZZAZIONE SIMBOLICA. Si intende qui la considerazione di attività
cognitive strettamente connesse alla familiarizzazione con i sistemi simbolici di ambienti
informatici già strutturati. Normalmente si potrebbe ritenere che tale abilità rimarrebbe
strettamente legata e funzionale solo nell’apprendimento del software in questione, solo
nell’ambito di quel contesto informatico. In realtà, grazie ai meccanismi di trasferimento
e internalizzazione delle abilità, è ragionevole ritenere che la manipolazione di entità
simboliche sia una più generale competenza acquisita che si può estendere in ogni
ambiente e che promuove un pensiero di tipo associativo.
_SVILUPPO DI SPECIFICHE ABILITÀ PERCETTIVO-SPAZIALI. Sono le abilità
che si sviluppano per lo più grazie alle azioni richieste da un videogame: di tipo
motorio, di controllo dello spazio e dello sviluppo di un pensiero di tipo induttivo.
_TOOLS COGNITIVI. Sono gli strumenti cognitivi, per lo più grafo-spaziali, che si
svilupperebbero a partire dall’uso di strumenti computazionali, per via22
Strumenti dell’educazione
dell’internalizzazione delle abilità. Si suppone che una ricca manipolazione delle
strumentazioni possa sollecitare modi di pensiero simili a queste, in qualche modo.
_ATTIVITÀ COGNITIVE CONNESSE ALLA PROGRAMMAZIONE. Riguardano il
fatto che l’utilità della programmazione risiede nella possibilità di costruire in modo
autonomo le proprie strutture intellettuali. Può essere intesa come un’attività cognitiva di
tipo problem-solving, che richiede processi di pianificazione, suddivisione del problema
in sotto-problemi, di organizzazione in sequenze logiche e temporali.
_COMPONENTI METACOGNITIVE. L’autore si riferisce qui alla dimensione del
controllo e della consapevolezza che l’individuo può avere circa i propri processi
cognitivi, i loro esiti e le possibili strategie alternative. Un software spinge infatti a
rendere esplicite le proprie intenzioni e ad osservarne le conseguenze, aspetto
caratteristico della ricerca scientifica. Qui infatti, allo stesso modo, si è incentivati a
tentare soluzioni provvisorie e a correggerle cercandone formulazioni più adeguate; si
fanno continui interventi di rettifica sfruttando il feedback fornito; si procede per gradi
nella comprensione, e un’acquisizione superiore, comporta la ristrutturazione della
precedente.
_TRASFERIMENTO METAFORICO. Riguarda le suggestioni che l’immagine del
computer può esercitare sulla percezione della realtà e delle forme della conoscenza.
23
Strumenti dell’educazione
2.5 - ALLA RICERCA DELL’INTERDISCIPLINARIETÀ
Accanto all’esigenza di trovare un raccordo e un impiego nuovo e utile alle
tecnologie didattiche, si fa strada la necessità di trovare una coerenza interna alla
scuola stessa, tra i vari ambiti disciplinari, che sempre più spesso si presentano
come universi paralleli, piuttosto che come parti specializzate del più vasto sistema
culturale.
Non è inoltre una novità che da molto tempo la scuola tenda a presentarsi all’alunno
come un mondo “altro” dal suo e ad inserirlo, con il pretesto di farne un individuo
di cultura, in un universo rarefatto di parole, principi, idee per lui estranee, prive di
valore, utilità e significato.
Nei migliori dei casi, quando viene presa in considerazione l’idea che sarebbe bene
occuparsi anche del “pianeta giovani”, e quindi delle reali esperienze degli
adolescenti e preadolescenti, lo si fa su basi descrittive che snaturano i fatti reali o i
fenomeni esaminati, magari facendo riferimento a qualche teoria psicologica
d’avanguardia o a modelli evoluzionistici che mal si incastrano con i programmi
ministeriali. Accade allora che il tentativo di inserire le problematiche di vita
quotidiana all’interno del “sistema scuola” ne distrugga e ne svuoti il significato
individuale e culturale, alimentando il malcontento dei giovani rispetto all’ambito
educativo e lo sconcerto degli insegnanti di fronte alla mancanza di risorse
nell’avvicinarsi ad essi.
In molti ritengono che affinché la scuola svolga il suo ruolo di istituzione realmente
culturale ed educativa, il puro “vivere” debba essere organizzato e spiegato,
inglobato in un processo di indagine critica, cioè attraverso un processo mediante il
quale le conoscenze vengano razionalmente ed emozionalmente giustificate,
confutate e smentite (14).
In questo modo di fare scuola, i vissuti risultano autentiche occasioni di processi
scolastici, e i significati e valori di questi possono venire scoperti e riscoperti dagli
24
Strumenti dell’educazione
studenti proprio mediante l’applicazione di capacità logico-razionali. Senza che
quindi l’aula si trasformi in un centro di consulenza o in un gruppo di self-help.
Normalmente però le discipline stesse sono considerate gli obiettivi culturali, fini a
se stessi, della scuola: ne consegue che agli alunni è dato il compito di apprendere
porzioni sempre più ampie e complesse, per la maggior parte delle volte slegate tra
di loro, di sistemi che altri hanno pensato e costruito, in un contesto in cui il loro
ruolo, e il loro vissuto, ha un valore pari a zero.
Ma la realtà, stando agli studi e soprattutto all’esperienza, è che ciascun alunno è in
grado, quando ben guidato da persone e strumenti, di pensare, costruire, ricordare
ed utilizzare la propria “scienza”, i propri paradigmi e sistemi di riferimento. E al
contempo, di trasportare quanto appreso sul “vissuto”, su quel piano culturale ed
educativo di pregnanza fondamentale per lo sviluppo.
Scrive Alfredo GIUNTI in Ricerca e lavoro interdisciplinare: “tutti sappiamo che
non sono i fatti ad avere significato, ma che, se mai, qualche significato viene
attribuito ai fatti per mezzo della riflessione critica. Ebbene, lo strumento
fondamentale e il prodotto di questa riflessione è proprio la scienza. Il problema
non si risolve negando valore alla scienza stessa, e decretandone perciò
l’ostracismo dalla scuola, ma cercando di individuarne una diversa introduzione nel
processo scolastico, una diversa modalità di impiego” (15).
Detto questo, riamane da trovare un modo affinché le discipline di studio non
rimangano irrevocabili e insostituibili paradigmi culturali, sempre uguali, privi di
significati da trasportare sul piano di vita reale, ma strumenti di COSTRUZIONE,
ANALISI e UNIFICAZIONE DEL PENSIERO APPLICATO, in modo tale da
spingere e alimentare le capacità logiche e creative dell’individuo nel suo incontro
con la realtà.
In questo senso, in accordo con Giunti, non si dovrebbe tanto parlare di
“apprendimento” della storia, della geografia o della letteratura, ma di educazione
al pensiero storico, geografico o letterario. La differenza è fondamentale: educare
a pensare storicamente significa analizzare la realtà da un punto di vista storico, con
i mezzi che la scienza mette a disposizione al fine di essere utilizzati nelle diverse
situazioni psicologiche e mentali. E questo per ogni disciplina di studio.25
Strumenti dell’educazione
In tal senso, le differenti materie verrebbero rappresentate come diversi settori del
sapere basate su fondamentali e universali principi logici, costruite quindi su
categorie di pensiero comuni a tutti gli uomini. In accordo con Agazzi: “In realtà,
perché c’è la matematica? La matematica non è qualcosa di esterno che sia data al
nostro spirito: esiste la matematica perché c’è una categoria matematica dello
spirito umano che ha posto, con certi punti di vista, quei determinati rapporti che
noi chiamiamo matematici. Perché esiste la fisica? Perché c’è una categoria degli
interessi del nostro spirito volta a conoscere i fenomeni così come essi accadono e
come effettualmente si verificano nella realtà. Perché esiste la storia? Perché il
nostro spirito ha un bisogno, una categoria che lo porta a porsi domande di questo
genere: gli uomini sono una mandria o sono una persona storica che si mantiene e
opera attraverso i secoli?” (16).
Il discorso è meno filosofico, e decisamente più pratico, di quanto possa sembrare.
Il pensiero umano funziona grazie a categorie concettuali, attraverso le quali
risponde a delle domande e crea nuovi significati. In questo senso le discipline di
studio possono essere viste come le categorie di un unico, grande strumento
attraverso il quale imparare a pensare: la scuola.
Ne deduciamo quindi che solo la collaborazione e l’incontro tra le varie discipline,
pur nel rispetto delle specialità e peculiarità di ognuna, possa consentire di tradurre
i fatti in enunciati, e di elaborare questi ultimi in sistemi specializzati di concetti e
teorie capaci di descrivere e spiegare univocamente insiemi di fenomeni da diverse
prospettive e punti di vista.
Solo per mezzo di un’organizzazione olistica si può recuperare un significato
globale, complessivo di tutto il settore di realtà indagato. Solo attraverso un
modello interdisciplinare del sapere umano si recupereranno non tanto gli schemi
settoriali, quanto le dinamiche, le interazioni, le sollecitazioni che consentono di
individuare l’universo come sintesi necessaria di altri problemi (17).
L’adozione di un modello interdisciplinare nell’ambito scolastico, comporta
solitamente riferimenti che avvengono per giustapposizioni, richiami estrinseci e
accostamenti più o meno accidentali. Rilevare in un centro di interesse un26
Strumenti dell’educazione
argomento di studio, o la semplice presenza di elementi altri da quelli originari
(accostati magari per giustificarne una coesistenza provvisoria), significherebbe
frantumare le discipline e rischiare di spezzare l’unità logica e la sostanza
concettuale che è il modo di essere naturale delle varie scienze.
Ben diverso è il raggiungimento di una MENTALITÀ INTERDISCIPLINARE, e
cioè la scoperta dell’esigenza di affrontare il reale da punti di vista complessivi,
originata dalla consapevolezza del limite posto dai punti di vista settoriali e dalla
possibilità degli errori interpretativi che possono derivarne.
Come accennato sopra, tali schemi possono essere a ragione considerati come
diversi modi di pensare e vedere le cose, ricondotti quindi alle categorie logiche e
alle strategie comuni del pensiero stesso. Le diverse “voci” implicate, in ciascuno di
noi, nell’interpretazione della realtà.
In tale molteplicità di fenomeni è possibile individuare un principio di fondo
unitario, dato dai dinamismi, dalle interazioni e dalle reciproche sollecitazioni che
si verificano tra i fenomeni stessi.
L’interdisciplinarietà è una risposta all’esigenza interiore di unificazione del
sapere. I primi incontri con la realtà, specie nell’età dello sviluppo, sono infatti di
tipo complessivo e globale, intuitivo ed affettivo, non analitico e settoriale: le
esigenze e le capacità di unificare i significati dell’esperienza sulla base di
categorie logiche, sono connaturate al pensiero umano.
In tal senso, un processo di interazione fra le varie discipline può essere promossa
allo scopo di spiegare integralmente un problema.
27
Psicologia dell’apprendimento
3 - PSICOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO
Ogni concezione didattica, così come forse ogni aspetto che concorre a costruire
una cultura, si richiama, anche in forma implicita, a particolari teorie della
conoscenza ed a più assunzioni valoriali generali. Nello specifico, il modo di fare
educazione riflette al contempo la situazione storica della società in cui si trova
inserito, il punto in cui è giunta la ricerca, le più generali concezioni dell’essere
umano e delle sue funzioni, dei crismi sui quali poggia la collettività e, in ultima
analisi, gli elementi individuati come strumenti attraverso i quali una mente cresce,
apprende e cambia.
Dietro le pratiche didattiche, anche a quelle apparentemente più “ingenue”, è
presente un tessuto nascosto di assunzioni ed una dinamica, talvolta anche
conflittuale, di atteggiamenti ed orientamenti teorici, di influenze scientifiche e
sociali.
Uno dei livelli più rilevanti in questa analisi, riguarda quello che concerne le teorie
della conoscenza assunte: a seconda che essa sia considerata prevalentemente come
“trasmissione” o come “elaborazione di informazione”, o ancora come “costruzione
attiva di significati”, le cose cambiano notevolmente. Ha un carattere
prevalentemente individuale o negoziale, astratto o concreto-contestualizzato,
indivisibile o scomponibile, univoco o multidimensionale? Cosa ci dice la scienza
in proposito, cosa la pratica e l’esperienza?
Un modello è una cornice di riferimento, una struttura o un sistema che è stato
sviluppato in un campo e poi applicato; su questo molto offre la psicologia (quando
non “troppo”): essa, quando utilizzata in modo critico e adeguato alla realtà sulla
quale intende soffermarsi, permette di usufruire di metodi di investigazione che, per
loro natura, portano allo studio del cambiamento evolutivo. Ci sono quattro
questioni cruciali a questo proposito, alle quali si tenta di avvicinarsi (18):
1- Qual’è la natura di base dell’uomo?
2- Lo sviluppo avviene in termini qualitativi o quantitativi?
3- In che modo i fattori genetici e ambientali contribuiscono allo sviluppo?
28
Psicologia dell’apprendimento
4- Che cosa, infine, si sviluppa?
La didattica, come progettazione ed implementazione, si trova così all'interno di un
complesso gioco e intreccio di sollecitazioni, di provenienze teoriche dirette o
indirette, come ad esempio quelle mediate dalle pratiche tecnologiche e strumentali
che contraddistinguono il contesto di appartenenza. Ma non solo: si trova a tentare
di rispondere, con la pratica, con le domande poste dai modelli di riferimento.
Di seguito allora, saranno avanzate alcune considerazioni sulla dialettica tra i
mutamenti nelle concezioni della conoscenza, la progettualità didattica e la
tecnologie, considerazioni che possono permettere di comprendere un pò più a
fondo il come e il perché di alcuni cambiamenti significativi nella ricerca educativa
degli ultimi decenni. E forse, anche a scorgere, per induzione, la strada che al
momento attuale si sta prendendo.
3.1 - CAMBIAMENTI EPISTEMOLOGICI
Negli ultimi anni le tecnologie didattiche hanno dunque subito importanti
rivoluzioni. Progressivamente si è passati dall’elaborazione e dall’uso (di matrice
comportamentista, squisitamente statunitense) di software centrati
sull’insegnamento, rivolti allo sviluppo principale di abilità di basso livello in
situazioni ben strutturate, all’allestimento di ambienti tecnologici poco strutturati,
centrati sull’apprendimento, gestiti attivamente dagli studenti, con il sostegno sul
piano tecnologico, metodologico e contenutistico degli insegnanti o degli esperti
esterni alla scuola.
Sono questi gli ambienti che mirano allo sviluppo di abilità di alto livello, ambienti
che mirano alla risoluzione dei problemi, all’incoraggiamento al confronto e alla
discussione, che individuano questioni variamente approfondibili.
Grazie all’aumento considerevole nell’allestimento e nell’offerta di ambienti
supportati da strumenti telematici di comunicazione e ricerca, viene ora incentivato
l’apprendimento di tipo cooperativo e collaborativo.
29
Psicologia dell’apprendimento
L’utenza non può che essere molto cambiata. Se precedentemente esisteva un
utente isolato, passivo e poco motivato, recettore di informazioni o esecutore di
funzioni in modo meccanico e ripetitivo, dall’altro troviamo utenti attivi, partecipi,
costruttori di conoscenza condivisa attraverso la pratica della discussione e del
confronto.
Questo cambiamento nella modalità di apprendere è stato sorretto dall’offerta e
dall’uso di strumenti tecnologici che l’hanno certamente agevolato e sostenuto. Ma
tale trasformazione ha radici culturali profonde, dovuta ad una più generale svolta
nella considerazione della conoscenza.
A livello epistemologico, il cambiamento che ha investito la cultura del XX secolo
è stato caratterizzato dal passaggio da una visione del mondo e della realtà di tipo
deterministico ad uno basato sulla COMPLESSITÀ e, per quanto ancora poco preso
in simpatia, OLISTICO.
Nella storia della società occidentale, ci sono state essenzialmente due concezioni
della realtà che hanno avuto una importanza cruciale nella psicologia: la concezione
MECCANICISTICA e quella ORGANISMICA.
La prima, inaugurata dalla filosofia cartesiana e dalle scoperte di Galileo e Newton,
ha promosso una visione del mondo intesa come una macchina che, come tale, si
pensava fosse composta di parti separate che operano nel tempo e nello spazio.
Come in un grosso orologio, va da sé che, conoscendo nel dettaglio queste parti,
insieme alle forze e alle relazioni che operano su di esse, è possibile in linea di
principio prevederne esattamente l’andamento, in quanto le reazioni a catena sono
concepite come essenzialmente determinate dalle variabili in gioco. Lo stesso per il
comportamento e le caratteristiche dell’essere umano.
In un Universo così concepito, lo sviluppo non può che essere ridotto a cause
esterne e ad eventi che agiscono su una mente passiva simile ad una macchina
composta di parti interdipendenti. Il focus di tale paradigma quindi sarà puntato
sullo studio approfondito delle cause antecedenti e delle variabili in gioco, al fine di
poter controllare e predire il comportamento, che sia dell’universo fisico o di quello
mentale.
30
Psicologia dell’apprendimento
Le cose sembravano andare dal verso giusto (almeno in qualche campo), non fosse
stato per alcune scoperte che ne rivoluzionarono scomodamente tutti i postulati.
La rivoluzione scientifica inaugurata dalla teoria della relatività di Einstein, ad
esempio, da sola ha minato fortemente tutto ciò che fino ad allora era stato
considerato assoluto ed immutabile. Lo spazio e il tempo, che fino a poco tempo
prima erano stati concepiti come costanti e universali, hanno svelato invece la loro
identità relativa al sistema di riferimento dal quale li si considera. Lo stesso è
accaduto nel caso della massa: tutto quanto si percepisce come fondamentalmente
“solido”, non è in realtà affatto diverso dall’energia, ma solo una sua forma
“compressa”, per così dire.
La meccanica quantistica, elaborata poco dopo, ha rappresentato un altro colpo
letale al determinismo e al riduzionismo. Essa ha reso problematica la distinzione
tra caratteristiche “oggettive” e “soggettive” delle più piccole unità particellari. A
seconda di come viene osservato un fotone, infatti, si scorgerà la sua natura
corpuscolare o quella ondulatoria, senza poter stabilire quale sia il suo stato
“oggettivo”, per il semplice fatto che non possiede alcuno stato che appartenga a
questo canone.
Semplificando, si può dire che lo studio dei quanti, restituì un ruolo di primo piano
alla MENTE CHE OSSERVA, proprio perché sarà sempre e solo l’osservatore a
“decidere”, con il suo metro di osservazione, le proprietà del mondo subatomico. Il
crollo definitivo del determinismo che ne conseguì, rese necessaria una revisione
dell’immagine del mondo e della scienza classica, insieme al dualismo cartesiano
dettato nel XVII secolo, che si rivelarono essere non certo scorretti, ma
semplicemente utili “approssimazioni” relative al sistema di riferimento in cui ci si
pone (19).
Anche l’ambito della psicologia ha risentito di questo passaggio. Il percorso è
maturato in varie tappe, e riflette anche in questo caso trasformazioni globali sulla
concezione dell’essere umano, dell’intelligenza e del ruolo della mente nella
costituzione della realtà, dell’apprendimento e del cambiamento.
31
Psicologia dell’apprendimento
La concezione organismica che sembra esserne una conseguenza, sposta
l’attenzione all’INTERO piuttosto che alle sue parti, sulle relazioni fra le varie
componenti dell’atto mentale e su come esso dia significato all’esperienza.
La mente, nello specifico, non può essere studiata nelle sue funzioni separate: come
il nervo ottico non rende conto, da solo, alla vista, lo stesso vale per gli altri sistemi
percettivi e per le funzioni cognitive più alte (20). Questo modo di vedere le cose,
porta a considerare non tanto le cause antecedenti quanto le proprietà intrinseche e i
fini.
L’uomo, per sua natura intrinseca, viene riconosciuto come un’unità attiva e in
continuo mutamento. Egli (e questo è un punto fondamentale, come vedremo)
COSTRUISCE la realtà e la sua conoscenza, e le teorie e le ricerche, in questo
senso, hanno compiuto una grossa inversione di tendenza.
Lo spostamento degli interessi da un uomo-macchina ad un uomo costruttore-attivo
della realtà, è stato un atteggiamento che ha trovato un terreno assai propizio anche
nella delusione conseguente ai fallimenti di chi ha tentato di realizzare società o
imprese secondo modelli ispirati troppo esclusivamente a un metodo di pensiero di
tipo scientifico o tecnologico; oppure che ha confidato in modo troppo ingenuo
sulla possibilità di risolvere i problemi umani sulla base di approcci e metodologie
di natura esclusivamente scientifica e tecnologica.
Si intensificano adesso le critiche nei confronti dell'uso dei metodi matematici e
fisici classici nelle scienze sociali e diventa forte la spinta al superamento degli
steccati arte-scienza, così come forte è la tendenza verso modelli sistemici,
complessi e rispettosi della specificità di ogni sistema di riferimento. Chiaramente,
in un mondo indeterminato e relativo, per sua natura, cambiano anche scopi, metri
di giudizio e criteri di valore (21).
Cosa acquisisce senso allora in ambito educativo? Il paradigma meccanicistico ha
proposto una visione dell’essere umano come creatura competitiva che lotta per il
successo. C’è ragione di credere che quello moderno, in linea con i più recenti passi
in avanti scientifici, sia volto verso qualcosa che ricorda molto la filosofia di Jean-
Jacques Rousseau: l’autorealizzazione.
32
Psicologia dell’apprendimento
Vediamo allora come si sono susseguite le principali tappe psicologiche verso
questo nuovo paradigma, e l’influenza che hanno avuto nel modo di concepire, e di
fare, educazione.
3.2 - IL COMPORTAMENTISMO
La prima di queste tappe, chiamata “la prima rivoluzione americana”, risiede
nell’approccio comportamentista.
Esso nacque ufficialmente nel 1913 ad opera di John WATSON, il quale presentò
ad una riunione dell’American Psychological Association il primo manifesto della
psicologia comportamentista: Psychology as the bheaviorist views it. Cardine del manifesto, era la critica polemica contro i tentativi della psicologia di
allora di esaminare la struttura della mente e la natura della coscienza tramite
l’introspezione, ovvero la verbalizzazione dei propri pensieri e delle proprie
sensazioni. In questa dichiarazione Watson asseriva inoltre che il fine della
psicologia doveva essere quello di predire e controllare il comportamento
manifesto, attraverso i ben noti concetti di RINFORZO/PUNIZIONE.
Certamente l’idea era elettrizzante: se cambiando gli stimoli si può agire sul
comportamento e controllarlo, le possibilità di controllo e manipolazione della
società sarebbero praticamente senza limiti (ecco il perché del successo di questi
studi in ambito pubblicitario!), così come le possibilità di agire sugli altri,
influenzarne il comportamento o modificarne lo sviluppo.
L’apprendimento, secondo la teoria del condizionamento classico (elaborata e
sperimentata dal fisiologo russo Ivan PAVLOV), sarebbe un’azione
dell’organismo in risposta ad uno stimolo. Secondo i principi del condizionamento operante invece (sviluppo del precedente
ad opera dello statunitense Bhurrus SKINNER), si tratterebbe di un’operazione
che l’organismo opera sull’ambiente in vista di uno scopo (22).
Gli studi sull’apprendimento condotti sui bambini non variavano di molto rispetto a
quelli condotti con gli animali, tranne appunto per l’oggetto di osservazione. Essi
33
Psicologia dell’apprendimento
erano sottoposti a condizionamento classico o operante, era chiesto loro di risolvere
problemi di apprendimento discriminativo, o vagare per labirinti in cerca di rinforzi
(piccoli premi, come giochi o dolcetti).
Quando vennero utilizzati compiti leggermente più complessi, i bambini
cominciarono ad essere considerati “ratti con un linguaggio”, grazie al fatto che
riuscivano a definire gli attributi degli oggetti e ad utilizzare tali definizioni al fine
dell’ottenimento del risultato.
Il problema era che non veniva prodotto, in quel modo, alcun cambiamento
significativo. La risposta data era corretta solo in quella particolare situazione, ed
emergeva come associazione temporanea di due elementi già presenti nel repertorio
cognitivo: di fatto, non avveniva alcuna genuina e sostanziale modifica del
repertorio stesso, perchè una volta fuori dal labirinto, i bambini non erano
migliorati nella capacità di orientarsi nello spazio, ma solo all’interno di quello
spazio.
In effetti, ciò che i comportamentisti chiamano “apprendimento”, non contempla
un’attività che vede il discente come soggetto: il ruolo di primo piano spetta invece
all’insegnamento di per se stesso, in cui il discente è in realtà oggetto di un’attività
esercitata dallo sperimentatore (o dall’insegnante, se in ambito didattico) (23).
Anche l’acquisizione del linguaggio era ricondotta alla formazione di associazioni
tra oggetto ed etichette verbali (24). Questo condusse alcuni teorici, come Skinner,
ad approfondiere i problemi e a progettare dispositivi meccanici in sostituzione
dell’insegnante (teaching machines), dando così inizio ad un vasto progetto di
ISTRUZIONE PROGRAMMATA, la cui ombra ancora incombe ogni qual volta
si sente parlare di tecnologie didattiche.
Per Skinner bisognava pensare infatti a processi di insegnamento che, attraverso
stimoli opportuni, producessero comportamenti desiderati, che dovevano poi essere
opportunamente rinforzati.
Le domande che doveva porsi chi andava a sviluppare un sistema didattico erano
quindi relative a quale comportamento dovesse essere costruito, di quali rinforzi si
disponeva, quali reazioni potevano essere utilizzate allorché ci si accingesse a
34
Psicologia dell’apprendimento
svolgere un programma di approssimazione progressiva, che portasse al
comportamento finale.
Secondo Skinner infatti il processo di insegnamento "deve essere diviso in un
grandissimo numero di fasi molto brevi e il rafforzamento deve intervenire nella
realizzazione di ciascuna di esse ... Riducendo quanto più è possibile l'ampiezza di
ogni fase successiva, la frequenza del rafforzamento può essere portata al
massimo, mentre le eventuali conseguenze negative derivanti dagli errori vengono
ridotte al minimo".
La risposta ad alcune di queste domande ha portato quindi allo sviluppo di
metodiche che hanno largamente influenzato il settore delle tecnologie didattiche.
Ad esempio il modo di definire gli obiettivi didattici proposto da MAGER, la
tassonomia degli obiettivi di BLOOM, le gerarchie di apprendimento di GAGNÉ,
sono tutti risultati di programmi di ricerca volti a dare risposte ad alcune di tali
questioni.
Questo paradigma ha inoltre stimolato, agli inizi degli anni '60 negli Stati Uniti, la
nascita del CAI (Computer Aided Instruction), anche se in realtà i figli diretti delle
idee di Skinner sono principalmente l'istruzione programmata lineare e i congegni
ideati per supportarla; solo lavori successivi hanno portato a proposte, come
l'istruzione programmata ramificata, in cui il computer appariva come un supporto
naturale nel metodo.
Questo modo di considerare l’insegnamento, e in generale il processo di
apprendimento e la mente umana, fu messo molto in discussione a partire dagli
anni Cinquanta.
In parte lo scontento proveniva dal fatto che centinaia di studi sull’apprendimento
verbale, non avevano reso spiegazioni abbastanza soddisfacenti circa la memoria o
la molteplicità e la complessità dei meccanismi di apprendimento.
35
Psicologia dell’apprendimento
Cominciava allora a sorgere il sospetto che i bambini fossero diversi dai ratti, e che
l’apprendimento potesse essere considerato un CAMBIAMENTO DELLA
CONOSCENZA, piuttosto che un cambiamento della probabilità di risposta. Il
primo passo avanti verso questo cambiamento fu compiuto dalla prima
ridefinizione della corrente: il neo-comportamentismo.
3.2.1 - IL NEO-COMPORTAMENTISMO
Al variare dei modelli di riferimento dominanti nella sfera psicologica, anche il
comportamentismo spostò il focus della sua attenzione, con il risultato di
modificare in gran parte gli aspetti più radicali della posizione di Watson.
Insistendo comunque verso quello che è stato il suo punto di forza,
l’apprendimento, vennero messe a punto diverse metodologie sperimentali in cui le
variabili della ricerca venivano sistematicamente quantificate.
Edward TOLMAN introdusse ad esempio una concezione finalistica del
comportamento, per cui ogni sequenza di movimenti è sempre rivolta verso un
preciso obiettivo (25).
Quello che riuscì a dimostrare, grazie ai ben conosciuti esperimenti sui topi, è che
l’apprendimento non avviene tanto per una ricompensa, come sostenevano i
sostenitori del comportamentismo classico, ma tramite la ripetizione sistematica di
un compito, mediante la quale si viene a creare nell’animale una “mappa cognitiva”
dell’ambiente. Questa mappa, nel caso degli esperimenti di Tolman,
corrispondevano a degli schemi di percorso del labirinto, i quali venivano poi
prontamente utilizzati dagli animali all’”occorrenza”, vale a dire in presenza di
rinforzi.
In pratica, venne osservato che gli animali potevano apprendere anche in assenza di
un rinforzo immediato, e che l’assenza di prestazioni che poteva essere manifestata
dagli stessi di fronte ad un compito, non significava che nulla fosse accaduto in
termini di apprendimento (che in realtà era dunque presente in forma latente), così
come l’apprendimento non corrisponde sempre alla prestazione.
36
Psicologia dell’apprendimento
La semplice connessione stimolo-risposta non era dunque un prerequisito
dell’apprendimento; lo erano invece le variabili intervenienti poste tra lo stimolo e
la risposta.
Queste variabili furono in principio classificate da Tolman distinguendo tra:
•VARIABILI DI NECESSITÀ, relative ai bisogni primari e alla necessità di fuga in caso
di pericolo;•VARIABILI COGNITIVE, relative agli schemi, alle mappe che guidano il
comportamento.
Trasportando il tutto sul piano didattico, ne consegue che la concezione
dell’insegnamento fondata su questa teoria, non può che essere fortemente
individualizzata, basata comunque sul rinforzo (FEEDBACK) al fine della messa in
atto dell’apprendimento latente, e sul CONTROLLO ESTERNO DELLO
STIMOLO, per forza di natura prettamente informativa.
La misurazione delle prestazioni, in tale ottica, sarà conforme a ciò che rende
concreto un esperimento, ovvero fondata su un concetto di “oggettività” che nulla
ha a che fare con la presa in considerazione della complessità, della specificità e
delle risorse individuali del discente.
Prove strutturate e items standardizzati, sono rivolti al raggiungimento, da parte di
tutti, di competenze e abilità preselezionate dal sistema scolastico e messe a punto
dal docente. Discipline dai contenuti scomposti in sequenze, più autonome
possibili, devono descrivere con precisione la successione delle azioni didattiche, i
metodi, i mezzi, gli strumenti e le modalità di verifica al loro interno.
Il processo di progettazione risulta in tal modo sequenziale e oggettivo, di tipo top-
down, e procede in modo sistematico, ordinato e pianificato, in quanto il suo
sviluppo è guidato dagli obiettivi.
Il dominio della conoscenza ne risulta dunque frazionato in parti indipendenti, la
procedura di insegnamento-apprendimento in trasmissione-ricezione di
informazioni, il tutto coronato da una verifica oggettiva, quantitativa e sommativa
dei dati acquisiti.
37
Psicologia dell’apprendimento
Quale spazio, a questo punto, per la crescita, il cambiamento, l’acquisizione di
competenze in linea con gli interessi e le abilità individuali?
Che ne è della concezione di una cultura nella sua accezione più vasta, unica grande
e complessa risorsa dell’umanità?
3.3 - IL COGNITIVISMO
In reazione al comportamentismo e all’oscurantismo da esso gettato sullo studio
della mente, nacque dunque una nuova corrente (la “seconda rivoluzione
americana”), che al contrario adottò proprio la mente e il suo funzionamento come
oggetto primo di indagine.
Il cognitivismo non può dirsi una vera e propria scuola psicologica, ma un
orientamento che rivisitò, e ancora rivisita, le varie scuole. Esso si oppose in
particolare alla considerazione della mente in termini di stimolo-risposta, come
abbiamo visto sopra, per sostituirla con l’ipotesi che l’organismo, lungi dall’essere
un recettore passivo, funzioni in modo attivo e selettivo nei confronti delle
stimolazioni ambientali, seguendo un preciso progetto comportamentale.
Si può dire che il cognitivismo nacque ufficialmente nel 1956, quando al MIT
(Massachusetts Institute of Technology) di Boston furono, presentati, in un
simposio sulle teorie dell’informazione, alcuni interventi innovativi per la ricerca
psicologica.
Furono lette infatti comunicazioni destinate a mutare l’assetto di indagine di quel
periodo, vale a dire quella di George Miller sulla memoria a breve termine, quelle
di Allen Newell ed Herbert Simon sul modello di risoluzione generale dei problemi
e quella di Noam Chomsky, con la sua nuova teoria del linguaggio, che vedremo
più avanti.
L’orientamento che da qui prese vita, per la prima volta, ebbe un’impostazione del
tutto interdisciplinare: in esso confluirono infatti i contributi di discipline molto
diverse tra loro, ma legate da un comune filo conduttore. E’ il caso, oltre che della
38
Psicologia dell’apprendimento
psicologia sperimentale, della linguistica, della teoria dell’informazione e della
cibernetica, delle neuroscienze e della filosofia della mente.
Tra gli aspetti caratteristici del cognitivismo, che la distinguono dal
comportamentismo, ne vanno evidenziati innanzi tutto tre:
1- l’oggetto di studio, vale a dire i PROCESSI COGNITIVI quali la percezione,
l’attenzione, la memoria, il linguaggio, il pensiero, la creatività.
2- L’accentuazione del CARATTERE FINALIZZATO DEI PROCESSI
MENTALI, caratteristica che rappresenta un’autentica svolta nella
rappresentazione del comportamento: da epifenomeno di un arco riflesso, esso
venne considerato il risultato di un processo di elaborazione dei dati percepiti,
attuato al fine dello svolgimento secondo un “piano” utile alla risoluzione di un
problema.
3- La concezione della mente come ELABORATORE DI INFORMAZIONI, con
un’organizzazione prefissata di tipo sequenziale e una capacità limitata di
elaborazione lungo i propri canali di trasmissione.
Uno dei primi centri di interesse divenne dunque come le informazioni passano
attraverso il sistema cognitivo, come vengono utilizzate per la risoluzione dei
problemi e come vengono immagazzinate in memoria. Si postulava infatti che,
quella fino a poco tempo prima era stata considerata una “scatola nera”, fosse in
qualche modo simile al funzionamento di un computer, che acquisisce i dati,
compie elaborazioni su di essi, li trasforma e li archivia.
Anche in questo caso può essere osservata la corrispondenza tra la nascita di un
orientamento generale di studi e lo Zeitgeist, lo spirito del tempo. Quello del primo
cognitivismo, fu infatti il periodo in cui esplose la produzione e l’uso degli
elaboratori elettronici, prima negli Stati Uniti e poi in tutto il resto del mondo. Non
è un caso infatti che l’essere umano venga considerato alla stregua di ciò che, in
una società, viene ad occupare un ruolo centrale: computer digitali, robot e altri
sistemi suggerirono allora agli psicologi che anche gli uomini potrebbero essere
considerati dei sistemi di elaborazione di simboli.39
Psicologia dell’apprendimento
Nell’utilizzo della metafora computazionale per descrivere la mente umana, ci sono
state naturalmente posizioni diverse.
Ad un estremo infatti troviamo l’approccio HARD CORE, approccio nato dalla
simulazione dei processi mentali con il computer, il cui fine è stato quello di
modellare, o imitare, il pensiero umano. La mente, in questo caso, viene considerata
ed esaminata alla stregua di un processore, e nel farlo, naturalmente, il linguaggio
utilizzato è strettamente informatico.
La mente, come un calcolatore, elabora i dati in entrata (input), e per spiegare
l’organizzazione e l’interrelazione strutturale dei costituenti cognitivi che lo
permettono, vennero utilizzati i primi “diagrammi di flusso”, formati da unità aventi
ognuna compiti definiti (percezione, attenzione, memoria etc.), e da vie di
comunicazione tra di essi.
40
Psicologia dell’apprendimento
Esempio di diagramma di flusso elaborato da Atkinson e Shiffrin del SISTEMA DI MEMORIA.L’informazione in entrata (input), si suppone circoli attraverso diversi sistemi e magazzinimnestici, prima di generare l’informazione in uscita (output). Tratto da Miller, 1995.
All’altro estremo troviamo invece un approccio SOFT CORE, molto più diffuso del
primo, in cui il computer è stato utilizzato come una vaga metafora che ha aiutato i
ricercatori a riflettere sui processi usati dal soggetto per rappresentarsi,
immagazzinare e risolvere problemi relativi a parole, figure, oggetti o eventi.
Il linguaggio, in questo caso, è informale, vale a dire che pur parlando di
“informazione”, “capacità” o “output”, non traduce i processi cognitivi in un
linguaggio formale di un programma elettronico.
Alla coordinazione elementare stimolo-risposta, il cognitivismo sostituisce una
nuova unità globale chiamata TOTE, acronimo per test-operate test-exit, o piano di
comportamento, secondo cui il soggetto interagisce con l’ambiente non limitandosi
a ricevere passivamente le sollecitazioni ma verificando, ad intervalli di 500
millisecondi, come dimostrato da Craik (26), la congruenza tra il proprio piano
comportamentale e le condizioni ambientali.
Ne consegue che uno degli apporti maggiormente significativi del cognitivismo alla
conoscenza di come avvenga l’apprendimento, riguarda l’importanza delle
PRECONOSCENZE, ovvero di quanto si trova già inserito nel piano cognitivo
dell’individuo.
3.3.1 - INDIRIZZI E PROTAGONISTI
La prospettiva cognitivista ha preso molteplici direzioni parallele, a seconda della
tendenza adottata da chi ne ha contrassegnato lo sviluppo.
Uno dei primi iniziatori di questo nuovo ordine di idee, nel campo della
LINGUISTICA in particolare, è stato Noam CHOMSKY.
I suoi studi sul linguaggio rappresentarono una critica alla teoria
comportamentistica di Skinner, semplicistica secondo Chomsky, perché nel campo
di indagine su come viene acquisito il linguaggio, permetteva di spiegare solo
41
Psicologia dell’apprendimento
l’apprendimento di alcune parole e frasi, senza tenere conto del fatto che un
parlante è sia capace di produrre un numero infinito di frasi, senza averle apprese
precedentemente, sia di riconoscere se una frase ascoltata sia grammaticalmente
corretta (27).
Il linguaggio, osservò, consiste di un insieme complesso di regole astratte piuttosto
che di una semplice serie di associazioni condizionate; la sua essenza, cioè le regole
sottostanti che generano le frasi, non è osservabile, e deve essere inferita dalle
relazioni che esistono tra l’input e l’output linguistico.
In pratica, ciò che permette all’essere umano di parlare, è qualcosa di
INTRINSECAMENTE SOGGETTIVO al sistema cognitivo del parlante:
l’acquisizione di una lingua può essere spiegata solo postulando l’esistenza di una
facoltà mentale altamente specializzata ed innata, e non può essere quindi ridotta al
mero possesso di un’abilità pratica.
Come si noterà, c’è una differenza significativa nel considerare che il bambino
impara a parlare perché questo è connaturato alla sua mente, e non perché sta
producendo qualsiasi comportamento di risposta a degli stimoli.
George MILLER si è occupato invece di MEMORIA, altro elemento che fino ad
allora non era stato considerato in termini psicologici.
In The magical number seven del 1956, Miller dimostrò che il numero di elementi
memorizzabili è limitato, e per la precisione, che lo span di memoria è di circa sette
elementi (28). E’ possibile, inoltre, andare oltre i limiti della memoria a breve
termine, solo raggruppando gli elementi in insiemi, gruppi che saranno
naturalmente minori o uguali a sette. Questi poi, se opportunamente elaborati,
saranno immagazzinati nel magazzino a lungo termine.
Questo “numero magico” è relativamente stabile nel corso della vita di ogni
individuo. Che cosa dunque si sviluppa? Nient’altro che la capacità di formare
raggruppamenti, elemento allora molto significativo per chi si occupa di didattica:
ciò che si ricorda non possono essere informazioni sparse qua e là, ma GRUPPI DI
INFORMAZIONE, che rimandano a specifici significati. La mente funziona
dunque per associazioni, e non per “fagocitosi” di informazioni scoordinate tra loro:
il pensiero può essere definito come un sistema di elaborazione reticolare, in cui gli
42
Psicologia dell’apprendimento
elementi devono dunque essere collegati tra loro, questo nella memoria quanto nel
ragionamento, nella risoluzione dei problemi o nello sviluppo ideativo.
L’utilizzo dell’INTROSPEZIONE nell’indagine dei fenomeni mentali si diffuse
nuovamente. Fu questo infatti l’approccio di NEWELL e SIMON per lo studio
delle strategie di risoluzione dei problemi, i quali si basarono infatti sui “resoconti
verbali” che i soggetti fornivano relativamente ai loro processi mentali. I resoconti
servivano, successivamente, all’elaborazione di parallelismi e alla ricerca di
analogie con i sistemi di intelligenza artificiali (29).
Furono elaborate delle tecniche per determinare la relazione tra ciò che un soggetto
pensa sui propri processi cognitivi e la prestazione effettiva. Questi strumenti
permisero di aprire un nuovo filone di ricerche intorno alla METACOGNIZIONE,
vale a dire il complesso di idee e credenze che ogni individuo sviluppa nel corso
della propria vita intorno ai processi cognitivi.
Gli studi sul pensiero di Jerome BRUNER, che vedremo anche più avanti, si
concentrarono invece sulla FORMAZIONE DEI CONCETTI: la sua indagine non
si concentrò tanto sulle risposte finali fornite, ma sulle regole applicate e sulle
strategie seguite da ciascun soggetto per arrivare alla soluzione (30).
Dapprima Bruner condusse i suoi esperimenti in laboratorio, usando materiale
artificiale; in seguito invece, si dedicò allo studio dello sviluppo del pensiero in
situazioni concrete, e in particolar modo durante il processo educativo (in questo
fortemente influenzato dalla teoria di Vygotskij).
Ciò che ne ricavò fu la constatazione che il comportamento intelligente si esplica in
una sequenza di risposte, o STRATEGIE, che hanno lo scopo adattivo di
CONTROLLARE L’AMBIENTE. La struttura di queste strategie però, non ha una
fissità innata (come per Skinner), ma si forma nel processo adattivo stesso:
l’organismo, in pratica, va sempre al di là dell’informazione in entrata, la seleziona
già a livello percettivo, e il tutto in funzione delle strategie di risposta che già
possiede.
43
Psicologia dell’apprendimento
Tutto questo è possibile grazie alla nostra capacità di pensiero astratto, che ci
permette, a differenza di tutti gli altri organismi, di complesse attività di
generalizzazione.
Chi è chiamato ad apprendere, dunque, non può che farlo attraverso i
SIGNIFICATI che vengono dati alle informazioni (31); per questo, secondo
Bruner, ciò che realmente importa nella didattica è favorire la COMPRENSIONE
DELL’IMPOSTAZIONE LOGICA delle diverse discipline (32).
Le teorie cognitive presto divennero un modello di riferimento anche nella terapia
dei disturbi di personalità.
Un primo approccio di rilievo è stato quello elaborato da George KELLY. La sua
teoria dei COSTRUTTI PERSONALI afferma che la personalità sia
un’organizzazione integrata fondata su schemi o costrutti attraverso i quali
l’individuo conosce, interpreta e modifica se stesso nella relazione con l’ambiente
(33).
La nascita del rifiuto, da parte di Kelly, di una visione oggettiva della realtà, e la
convinzione che ogni fenomeno acquista significato in relazione al modo in cui
viene interpretato, si deve alla sua esperienza nell’ambito della didattica. Egli
osservò infatti che nel giudizio degli insegnanti sui loro allievi, era sempre presente
un’elaborazione soggettiva dei fatti, che pertanto è sempre parziale e
approssimativa, proprio come accade nella fisica subatomica, a ben vedere.
Non è un caso infatti che Kelly spesso usasse la metafora dello scienziato nel
considerare l’essere umano: egli interpreta continuamente il mondo, se stesso, gli
episodi quotidiani, sviluppando un sistema di COSTRUTTI, di schemi intepretativi
che orientano l’azione. La questione interessante è che allora, solo per mezzo
dell’azione e dell’analisi dei suoi esiti, si possano modificare tali costrutti.
Il comportamento è una sorta di esperimento: quando non dà risultati soddisfacenti,
che possono essere di benessere personale, di relazione con gli altri e così via, ciò
che andrà modificato saranno gli schemi soggiacenti al comportamento e
all’interpretazione della realtà, null’altro.
44
Psicologia dell’apprendimento
Ecco perché, come accennato sopra, il cognitivismo ha messo in luce che
l’apprendimento scaturisce dal mettere in rapporto gli elementi che sopraggiungono
dall’esterno con le preconoscenze possedute dal soggetto. In particolare, nella
didattica, diventa importante il concetto di ANTICIPATORE, concetto che si
riferisce ad ogni tipo di schema, sintesi, quesito che offre in forma comprensibile
un “assaggio” di quelli che saranno i punti essenziali da acquisire, mobilitando allo
stesso tempo nell’allievo le preconoscenze che potranno servire per la
comprensione.
3.3.2 - PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA
Come visto sopra, il cognitivismo ha preso diramazioni molto eterogenee, pur
avendo comunque tutte lo stesso centro di interesse.
L’influenza dell’approccio dell’elaborazione delle informazioni, ha avuto un
notevole successo in vari campi di studio, dalla robotica alla teoria
dell’apprendimento sociale. I suoi punti di forza, rispetto al paradigma precedente,
che lo hanno permesso, sono stati principalmente tre:
A. L’ABILITÀ DI ESPRIMERE LA COMPLESSITÀ DEL
PENSIERO, permettendo di prendere in considerazione una varietà di processi
cognitivi che vanno dal semplice ritrovamento di uno stimolo allo sviluppo di
regole complesse.
B. La SPECIFICITA’ RELATIVA ALLA PERFORMANCE, vale a dire
l’importanza data rispetto a come vengono usate le abilità cognitive in una data
situazione. L’attenzione, la memoria, le strategie, i processi di rappresentazione
sono infatti intimamente connesse con i compiti.
C. Il RIGORE METODOLOGICO, nonostante ci si occupi di un campo di
studio che, per sua natura, è poco oggettivabile (non per niente la mente era stata
chiamata “scatola nera” fino a poco tempo prima).
Per quanto concerne invece i punti di debolezza della prospettiva, punti che i
successivi sviluppi della teoria hanno cercato di colmare, troviamo principalmente:
45
Psicologia dell’apprendimento
A. L’INSUFFICIENZA DEL MODELLO COMPUTAZIONALE
nell’analogia con il pensiero umano. I diagrammi di flusso infatti, e le simulazioni,
paiono differire per aspetti importanti dal modo in cui la gente pensa. Pensiamo ad
esempio alla concezione della memoria in termini di “magazzino spaziale”, il che
implicherebbe che l’essere umano cercherebbe in uno spazio fisico nella propria
mente gli elementi memorizzati. Non è così che accade, e a dimostrarlo sono stati
studi neuropsicologici, a partire da quelli di Lashley (34) diretti alla ricerca di tali
magazzini. Ricerca che, naturalmente, non è andata a buon fine.
B. PROBLEMI RELATIVI ALLA SPIEGAZIONE DELLO
SVILUPPO. La teoria dell’elaborazione dell’informazione non si è occupata di
“cosa si sviluppa” nell’età evolutiva, ed infatti ha mostrato una relativa
trascuratezza nei confronti dell’essere umano preverbale e cognitivamente
immaturo.
Un’ulteriore grande lacuna è rappresentata dalla mancanza di approfondimento dei
legami esistenti fra cognizione ed emozioni, tra motivazione e sviluppo sociale.
C. Poco approfondimento c’è stato anche circa il CONTESTO IN CUI SI
VERIFICA IL COMPORTAMENTO. Molte delle teorie infatti, si sono
concentrate a studiare quali meccanismi di elaborazione sono messi in gioco in una
data situazione o durante lo svolgimento di un compito, ma non sull’AZIONE
RECIPROCA fra esigenze o possibilità presenti in una situazione più complessa e i
bisogni, scopi e abilità di una persona.
3.4 - IL COSTRUTTIVISMO
Chiediti non che cosa ci sia dentro la tua testa, ma dentro cosa sia la tua testa.
W. Mace
La grande differenza tra la corrente comportamentista e quella del costruttivismo
inaugurato da Jean PIAGET, è il superamento del riduzionismo, vale a dire la
riconduzione delle manifestazioni psichiche a condizioni neurofisiologiche.
46
Psicologia dell’apprendimento
Per la prima infatti, la conoscenza è derivata dalla struttura della realtà, che esiste
indipendentemente dal soggetto, attraverso processi di rappresentazione della
mente; per quella costruttivista invece, di cui Piaget è stato appunto uno dei primi
esponenti, la mente è costruttrice di significati, e la realtà non sarà altro che il
prodotto stesso di chi apprende. La sua EPISTEMOLOGIA GENETICA infatti non
è altro che uno studio delle corrispondenze tra gli stadi di sviluppo dei processi
cognitivi e lo sviluppo storico del pensiero.
Per Piaget l’epistemologia riguarda “il problema della relazione fra soggetto agente
e pensante e gli oggetti della sua esperienza” (35). L’epistemologia è infatti il ramo
della filosofia che si occupa dello studio della conoscenza; genetico è invece un
termine da lui utilizzato per indicare non tanto quanto è innato, quanto ciò che si
sviluppa.
Anche qui la costruzione e ricostruzione dei concetti base e delle forme logiche di
pensiero che costituiscono l’intelligenza, è ritenuta avvenire tramite l'interazione
con l'ambiente, ma in questo caso la concezione dell'ambiente è molto diversa da
quella di Skinner, tutt’altro da qualcosa che "accade" a chi ci è immerso e apprende
in esso, o da uno stimolo che produce una risposta.
La sua asserzione, semplice ma rivoluzionaria, è che la conoscenza sia un processo,
piuttosto che uno stato; un evento di relazione tra conoscente e conosciuto.
L’uomo cognitivo seleziona e interpreta in maniera attiva le informazioni del suo
ambiente, non è più considerato come mero recettore passivo di conoscenze (36): è
un costruttore attivo del processo che cambia con lo sviluppo del suo sistema
cognitivo.
Secondo Piaget, questo sviluppo avverrebbe attraverso una serie di stadi, ovvero un
periodo di tempo in cui il pensiero e il comportamento del bambino riflettono un
tipo particolare di struttura mentale. La successione avverrebbe invariabilmente da
un periodo “sensomotorio” fino a quello delle “operazioni formali”, tappa più alta
dello sviluppo che verrebbe raggiunta verso i 15 anni di età.
Qui di seguito vedremo inoltre che, la teoria, per come è impostata, ben si presta
allo studio di come la mente apprenda dagli strumenti informatici.
47
Psicologia dell’apprendimento
3.4.1 - DAI SIMBOLI COGNITIVI AI SIMBOLI IPERTESTUALI
Uno dei punti su cui gli studi sulle tecnologie didattiche insistono molto, è che la
loro efficacia in termini di apprendimento, risieda nel loro necessario ricorso ai
simboli.
Una caratteristica importante che differenzia un testo multimediale da un testo
stampato, è che infatti nei primi le informazioni possono (e di fatto sono)
condensate e collegate attraverso un numero maggiore di SISTEMI SIMBOLICI.
Un simbolo, per definizione, racchiude dei significati, e costituisce quindi un mezzo
per indicare qualcosa oltre a se stesso che attiva un pensiero di tipo
ASSOCIATIVO, una naturale funzione della mente umana. In questo senso, i
simboli possono agire sulla mente favorendo il radicarsi di nuovi atteggiamenti ed
abitudini cognitive.
Pensare per “simboli” è una delle prime abilità apprese al fine della conoscenza e
della manipolazione delle informazioni, e a metterlo in evidenza è stato per primo
proprio Piaget. Questo è uno dei motivi del perché l’epistemologia genetica sia
molto considerata in tale ambito.
Secondo la sua teoria degli stadi cognitivi, il sesto stadio di sviluppo all’interno del
PERIODO SENSOMOTORIO (dai 18 ai 24 mesi circa), e che lui stesso chiama
di “invenzione di mezzi nuovi mediante combinazioni mentali”, inaugura proprio
un momento in cui la precedente esplorazione esterna del mondo permette al
bambino di accedere all’esplorazione mentale interna.
In questa fase (da non considerarsi in termini temporali rigidi), il bambino comincia
infatti ad usare SIMBOLI MENTALI per rappresentarsi oggetti ed eventi:
manipolando in pratica le immagini mentali che corrispondono, o stanno al posto di
eventi esterni, impara a pensare per associazioni simbolo-oggetto o evento,
rendendo più agile e creativa la funzione mentale (37).
Piaget mette sullo stesso piano attività per immagini e attività linguistica: entrambe
deriverebbero dalla più generale “funzione semiotica”, che origina dalla prima
azione sensomotoria. La capacità di produrre immagini interne deriverebbe dunque
48
Psicologia dell’apprendimento
da un’azione interiorizzata, elemento peculiare del pensiero, di cui immagini
interiori e linguaggio sono due diverse manifestazioni.
Un conseguimento importante di questo stadio consiste nel fatto che è proprio tale
rappresentazione dell’evento a renderne possibile la rievocazione in un secondo
momento. Le strutture cognitive diventano più organizzate e, con lo sviluppo,
imparerà ad applicare gli schemi e i simboli acquisiti per risolvere situazioni nuove.
Successivamente, durante quello che chiama PERIODO PREOPERAZIONALE
(dai due ai sette anni circa), l’uso dei simboli diverrà ancora più importante e
diversificato, e si esprimerà maggiormente grazie ai comportamenti di imitazione
(spesso i simboli compaiono infatti nei giochi in cui oggetti e persone vengono ad
assumere funzioni “al posto di..”).
Il pensiero per rappresentazioni offre fin dalle prime fasi dello sviluppo notevoli
vantaggi rispetto al pensiero sensomotorio: è più veloce e mobile, può al contempo
avere a che fare con passato, presente e futuro, ricollegarne le parti e costruire
nuove idee, con nuovi significati.
Il pensiero privo di un sistema simbolico è paragonato dallo stesso Piaget ad un
film a rallentatore, in cui “i quadri successivi non si fondono e impediscono perciò
la continuità della visione indispensabile ad una comprensione d’insieme” (38).
Anche gli studi di Albert BANDURA sullo sviluppo cognitivo, che hanno offerto
nuovi punti di vista nella comprensione di come avvengano i cambiamenti evolutivi
che rendono possibile l’apprendimento, vertono in maniera centrale sulla abilità di
utilizzare dei simboli.
Egli mostra come l’abilità crescente di tradurre le osservazioni in simboli e a
ricollegarle, rende il suo apprendimento osservativo molto più flessibile e duraturo.
I simboli infatti possono essere rievocati e conservati in memoria in maniera molto
più efficiente di qualsiasi altro tipo di informazione, e inoltre permettono il
modellamento dei comportamenti attraverso il solo ascolto (o lettura) della sua
descrizione, senza dover provare a riprodurlo.
Se per MODELLAMENTO intendiamo quel tipo di interazione in cui chi apprende
viene aiutato dall’esterno ad un’autoregolazione cognitiva interna, la quale
diventerà parte del proprio repertorio personale, ne consegue dunque che tale
49
Psicologia dell’apprendimento
operazione possa avvenire per simboli, oltre che attraverso i comportamenti, e che
anche l’effetto dei rinforzi siano influenzati dalla capacità simbolica di chi osserva
(39).
3.4.2 - IL COSTRUTTIVISMO SOCIALE
Il costruttivismo sociale sottolinea la natura collaborativa e cooperativa
dell’approccio costruttivista, colmando in questo senso una delle lacune della
prospettiva cognivista.
Il suo contributo nella pratica didattica è stato soprattutto quello di aver dato luce a
quelle note come COMMUNITIES OF LEARNERS, o COLs. Queste comunità di
apprendimento prospettano un modello di formazione più simile a quello della vita
quotidiana che non a quello scolastico tradizionale, formazione che peraltro è
strettamente simile a quello utilizzato nella ricerca scientifica (40).
Esse contemplano innanzi tutto una grande eterogeneità dei componenti (tra pari,
insegnanti, tecnici, esperti), una condivisione sociale dei compiti e un uso
contestualizzato degli strumenti. Sono organizzate attorno ad ambiti specifici di
conoscenza, coinvolgendo in pratiche di costruzione e interpretazione del
significato, evitando di decontestualizzare l’uso dei simboli.
Tale prospettiva viene a coniugarsi con quella coniugata da Lev VYGOTSKIJ nel
concetto di ZONA DI SVILUPPO PROSSIMALE, ovvero l’insieme delle
potenzialità cognitive che chi apprende riesce ad attivare solo con il sostegno di un
adulto o con un pari più capace, attraverso la mediazione degli scambi comunicativi
(41).
E’ nel momento in cui si agisce socialmente con il linguaggio che egli si appropria
di nuovi strumenti cognitivi che gli serviranno ad alimentare un “agire linguistico
interiore”, il quale gli permetterà di risolvere in maniera autonoma problemi
analoghi a quelli affrontati con altri.
In una COL dunque, secondo le ricerche:
1. Viene sottolineata la natura attiva dell’apprendimento e il ruolo strategico della
metacognizione;
50
Psicologia dell’apprendimento
2. C’è una molteplicità di “zone di sviluppo prossimale”, che arricchisce
l’interiorità del singolo, come tutta la comunità, di esperti, ruoli e risorse;
3. Emerge una forte base dialogica;
4. Attraverso l’accesso indifferenziato alle pratiche (operative, discorsive,
tecnologiche) si realizza la legittimazione delle differenze;
5. L’apprendimento è contestualizzato e situato, nulla viene praticato senza uno
scopo consapevole, dichiarato, condiviso, in cui teoria e pratica sono sempre viste
in azione.
Si può osservare come costruttivismo e costruttivismo sociale realizzino un modello
di progettazione didattica ben diversa da quella di stampo riduttivista. Essa è infatti
più legata ad una progettazione per PROGETTI DIDATTICI che per Unità
Didattiche, ovvero è maggiormente incentrata sugli allievi, sui loro bisogni e sulle
loro risorse, valorizzandole; è quindi pensata più come strumento di garanzia del
diritto alla diversità piuttosto che all’uguaglianza, è più adatta ad affrontare
tematiche interdisciplinari, utilizza il metodo della ricerca e dell’esplorazione.
I suoi elementi caratterizzanti sono la collaborazione e la cooperazione, realizzata
attraverso la negoziazione, la condivisione dei significati, e la comune produzione
di artefatti culturali. In tale contesto diventano naturalmente primari gli obiettivi di
sviluppo alle abilità metacognitive.
In una progettazione per Progetti Didattici il processo di apprendimento non è
lineare, ma iterativo e ricorsivo. La pianificazione è organica, evolutiva, riflessiva e
collaborativa, in cui gli allievi sono co-protagonisti del processo, gli obiettivi
emergono dallo sviluppo dei processi di apprendimento e viene enfatizzato
l’apprendimento in contesti significativi.
Data l’importanza dell’ambiente nel processo di apprendimento, viene favorito
l’insegnamento ancorato a problemi realistici e complessi, l’apprendistato
cognitivo e la flessibilità cognitiva (ovvero un approccio multidimensionale della
conoscenza realizzato anche attraverso la tecnologia ipermediale).
Numerosi sono gli autori che, alla luce da quanto descritto dai teorici costruttivisti,
hanno tentato di delineare alcuni principi guida per l’allestimento di tali ambienti.
51
Psicologia dell’apprendimento
CUNNIGHAM, ad esempio, individua gli obiettivi educativi che dovrebbero
guidarne la progettazione:
1. FAVORIRE L’ESPERIENZA ATTRAVERSO IL PROCESSO DI COSTRUZIONE
DELLA CONOSCENZA, che aumenta negli studenti la responsabilità nella scelta
degli argomenti di indagine, dei metodi e delle strategie con cui apprendere e
risolvere problemi, attribuendo all’insegnante il ruolo di facilitatore.2. PROMUOVERE ESPERIENZE DI COMPRENSIONE E VERIFICA MEDIANTE
MOLTEPLICI PROSPETTIVE, attraverso la ricerca di modalità differenziate di
risolvere lo stesso problema.
3. INSERIRE L’APPRENDIMENTO IN CONTESTI REALISTICI E RILEVANTI, per
permettere di accrescere la capacità di trasferire l’apprendimento scolastico a
contesti di vita reale;
4. INCORAGGIARE IL POSSESSO E L’ESPRESSIONE NEI PROCESSI DI
APPRENDIMENTO, lasciando gli studenti partecipi nella definizione delle finalità e
degli obiettivi d’apprendimento nell’identificazione di questioni e direzioni da
prendere, e attribuendo all’insegnante il ruolo di determinare cosa sarà appreso e
quello di offrire consulenza per il raggiungimento di obiettivi autodefiniti (questo è
il concetto di apprendimento centrato sullo studente).
5. INSERIRE L’APPRENDIMENTO IN UN’ESPERIENZA SOCIALE, con pari,
insegnanti ed altri adulti, in quanto naturale contesto dello sviluppo cognitivo.6. PROMUOVERE L’AUTOCONSAPEVOLEZZA DEL PROCESSO DI
COSTRUZIONE DELLA CONOSCENZA, cioè conoscere come noi conosciamo
attraverso attività riflessive, metacognitive e di automonitoraggio sui processi nel
loro svolgersi.
Per gli osservatori esterni, e spesso anche per gli stessi partecipanti, questo modo di
lavorare e apprendere può apparire caotico, ma questo è un rischio (se non
caratteristica necessaria) connaturato alla scelta di coinvolgere gli studenti nelle
attività da svolgere o nel controllo del ritmo e dell’orientamento da tenere. Certo
l’ambiente di apprendimento non sarà mai determinato, e l’insegnante sarà lasciato
52
Psicologia dell’apprendimento
ad un livello di incertezza e indeterminazione che in qualche modo dovrà saper
trasformare in risorsa.
Ma come in ogni processo che porta ad un reale cambiamento, si tratta solo di
predisporsi in un’ottica in cui, comunque, si è convinti che ne valga la pena.
Per quanto concerne gli strumenti adottati in questo nuovo modo di intendere
l’istruzione, va citato il contributo pratico e teorico di Seymour PAPERT.
Abbiamo visto che, mentre l'approccio comportamentista considera lo studente
come un sistema modellabile tramite opportuni stimoli e rinforzi, il costruttivismo
sottende un modello di studente che costruisce da solo le proprie strutture
intellettuali tramite l'interazione con l'ambiente.
Questa idea di studente ricercatore e inventore, fornì una giustificazione pedagogica
anche a quelle esperienze che si andavano sviluppando indipendentemente in
Europa, soprattutto in Gran Bretagna, e che nascevano nell'ambito di dipartimenti
di fisica e matematica, dove esisteva disponibilità di strumenti di calcolo. Là,
cominciarono a essere sviluppati ambienti software, che, simulando un fenomeno
fisico, permettevano allo studente di interagire e acquisire familiarità con il modello
teorico inglobato dall'ambiente stesso.
Fu proprio in questo periodo, vale a dire intorno alla metà degli anni ’60, che Papert
con un gruppo di colleghi e studenti presso il Laboratorio di Intelligenza Artificiale
del MIT, cominciò a sviluppare il LOGO, un ambiente di programmazione
sviluppato ad hoc per i bambini.
Papert si pone esplicitamente nell'ambito del paradigma pedagogico elaborato da
Piaget; la contrapposizione di fondo tra l'approccio LOGO e il CAI è infatti anche
la contrapposizione di fondo tra il comportamentismo e il costruttivismo.
L'idea di Logo è che i ragazzi dovrebbero avere delle responsabilità. Il discente
infatti è chiamato a programmare il computer, in modo tale da imparare attraverso
l'insegnamento e l'azione; è idea di Papert infatti che si debba programmare il
computer, e sapere come si programma, se ne vuole veramente apprezzare la
potenza (42).
53
Psicologia dell’apprendimento
Dando ai ragazzi il senso del potere delle idee, della capacità di realizzare progetti
molto più difficili di prima e di come funzioni questo amplificatore dell’intelletto,
si fa per i ragazzi, secondo Papert, la cosa più importante per il loro sviluppo:
quello della presa di coscienza di sé, di ciò che si può fare, di ciò che si può
intraprendere nella vita. Per dirla con le sue parole infatti: “persone creative faranno
sempre cose che ci sorprenderanno. Il nostro grande ruolo è - se vogliamo pensare
al futuro - far sì che l'umanità abbia la libertà e la fiducia di esplorare in nuove
direzioni” (43).
54
Psicologia dell’apprendimento
Grafici riassuntivi delle due differenti prospettive di insegnamento offerte da varie correntipsicologiche. Ispirato a Calvani, http://www.scform.unifi.it/lte/doc/Costruttivimo%20e%20progettazione.doc .
56
Teorie e pratiche didattiche
4 - TEORIE E PRATICHE DIDATTICHE
Nel corso degli anni, con l’evolversi dell’impiego della multimedialità e della
telematica, sono state elaborate diverse teorie e filoni di pensiero che ne
giustificano e ne sostengono l’impiego anche in ambito didattico.
Tali teorie possono essere divise in vari approcci, con le conseguenti varie
applicazioni, che raccolgono gli studi dei loro esponenti. A tal proposito, sono state
individuate diverse linee guida specificatamente a sostegno dell’uso della
tecnologia nei processi di apprendimento e insegnamento (44), a ben vedere affatto
slegate dalle correnti psicologiche precedentemente esaminate.
Tali approcci suggeriscono inoltre verso quali sistemi tecnologici varrebbe la pena
soffermarsi, come questi dovrebbero essere strutturati al fine di un’influenza
positiva e costruttiva sull’universo cognitivo di chi li utilizza.
Il tentativo è dunque quello di offrire alcune risposte agli interrogativi che
l’opinione pubblica si pone nei confronti dell’immissione nelle scuole di queste
novità, vale a dire se, in effetti, il rendimento degli allievi migliora rispetto ai
metodi tradizionali.
Cosa accade, in definitiva, quando si introducono i media nell’apprendimento?
Sotto quali condizioni esso può modificarsi? E la modifica, è positiva?
Chi si occupa della ricerca sulle tecnologie didattiche, si volge generalmente verso
modelli e teorie che tentino di affrontare razionalmente il problema, che si
avvalgano di valutazioni critiche e di analisi storiche.
Quelle che seguono sono dunque alcune di queste linee di analisi che, come
vedremo, affrontano il problema da diverse prospettive e tracciano differenti
sentieri tematici.
57
Teorie e pratiche didattiche
4.1 - L’APPROCCIO SOCIO-TECNOLOGICO
L’approccio socio-tecnologico è uno dei più antichi circa lo studio delle tecnologie
e delle trasformazioni da esse apportate alla civiltà nel corso della loro evoluzione
storica.
Il suo esponente principale è stato Marshall McLUHAN, ricercatore canadese, il
quale giunse a spiegare storicamente le forme della vita sociale e la loro evoluzione
attraverso l’analisi dei cambiamenti subiti dai sistemi di trasmissione e diffusione
della cultura, intesi quindi come capaci di plasmarla.
McLuhan ritiene che gli effetti psicologici, sociali e culturali apportati dall’uso
degli strumenti tecnologici, rappresentino il vero e proprio MESSAGGIO DEL
MEZZO (45), estensioni quindi di facoltà psichiche e fisiche.
Per l’autore, come la ruota può essere considerata ad esempio estensione del piede e
gli abiti estensioni della pelle, il libro può esserlo dell’occhio. In tale teorizzazione,
l’estensione di un senso o di una funzione, andando a creare una sua specie di
“appendice”, concorrerebbe anche al suo potenziamento, modificando a sua volta il
suo modo di agire, di pensare, di percepire.
I mezzi multimediali, come abbiamo visto precedentemente, ricchi di elementi che
coinvolgono molti “canali” sensoriali, consentirebbero lo sviluppo e l’espansione
dei sensi, agendo proprio sul sistema nervoso centrale.
Azione delle Tecnologie Didattiche sull’apprendimento secondo McLuhan.
A sostegno di questa ipotesi, McLuhan ricorda che nelle civiltà arcaiche, come in
quelle odierne prealfabetiche, dove prevaleva l’espressione orale e la ricezione
58
Teorie e pratiche didattiche
uditiva sugli altri sensi, il pensiero restava legato all’azione: esso veniva cioè
utilizzato per fini pratici, concreti.
L’invenzione dell’alfabeto, passando dalle prime espressioni pittoriche ed
ideografiche scritte, portò invece al potenziamento del senso legato alla vista,
specie dopo l’invenzione del mezzo a stampa. La possibilità di diffusione su larga
scala di testi scritti, trasformò la cultura in un bene di consumo individuale.
Il risultato, secondo l’autore, è stato nello specifico lo sviluppo di un tipo di
pensiero fatto ad immagine e somiglianza del mezzo che ha contribuito alla sua
crescita: razionale e lineare, sequenziale, distaccato dall’azione e quindi astratto.
Identificato nell’individualismo, nel centralismo e nel nazionalismo.
La diffusione dei media elettronici, come telefono, radio, cinema, televisione fino al
computer, hanno concorso allo sviluppo dei sensi da molto tempo poco valorizzati.
La loro azione agisce direttamente sul sistema nervoso, in quanto coinvolgono
direttamente le facoltà connesse con i sensi implicati.
La “profezia” dell’autore vuole che il pensiero torni, nell’epoca moderna, a
coniugarsi con l’azione, e che la società torni a vivere un nuovo “tribalismo”,
questa volta senza frontiere nella sua trasmissione perché fondato su una
dimensione universale.
Per quanto concerne l’ambito educativo, McLuhan contrappone ai metodi della
civiltà fondata sul senso della vista, quella gutenberghiana, fondata sulla
meccanizzazione, frammentazione e specializzazione, quelli dell’integrazione
tecnologica. In essa l’impegno globale degli individui, coinvolti sul fronte di tutte le
modalità sensoriali, implicherebbe il riconoscimento delle proprie specializzazioni
(ovvero quale sia il proprio canale privilegiato) e si sostituirebbe al conformismo
competitivo della precedente.
A ben vedere, questo è proprio ciò che accade con l’uso di tecnologie didattiche
multimediali, le quali offrono a chi è chiamato ad apprendere la possibilità di
immergersi in ambienti di conoscenza che implicano il riconoscimento,
l’esplorazione e la produzione attiva e cooperativa di artefatti materiali e cognitivi.
La crisi culturale viene così ad essere identificata nel dislivello temporale fra
cultura e media, situazione che viene a crearsi quando le vecchie modalità di azione59
Teorie e pratiche didattiche
e trasmissione non riescono ad adeguarsi alle nuove tecnologie e ai mutamenti
sensoriali, cognitivi e sociali da esse generate. Questo in generale come nel caso
particolare dell’insegnamento didattico.
L’autore, come si noterà, ha elaborato una teorizzazione particolarmente adeguata
all’utilizzo delle tecnologie ipermediali e ipertestuali nelle scuole. Esse permettono
infatti di adattare il messaggio allo stile cognitivo dell’utente, fornendogli il
massimo “carico cognitivo” e partecipativo, dovendo egli costruirsi, passo dopo
passo, il proprio personale percorso.
La sua profezia si è dunque adempiuta: nella cultura dei media elettronici, stiamo
per arrivare al ricongiungimento di pensiero e azione, alla rivalutazione della
dimensione uditiva, tattile e visiva, e a un contemporaneo distacco del pensiero
razionale e astratto su quello intuitivo, analogico, ramificato, multiprospettico,
concreto.
Allievo e continuatore del pensiero di McLuhan, DE KERCKHOVE riprende e
sviluppa l’idea che le tecnologie operano profonde modificazioni nel modo di
pensare e nella struttura del cervello. Questo infatti, considerato alla stregue di un
ecosistema biologico in continuo dialogo con tecnologia e cultura, verrebbe ad
acquisire la massima estensione delle proprie strutture (chiamate brainframes)
attraverso la tecnologia.
Essendo continuamente “creati e ricreati dalle nostre invenzioni” (46), egli propone
la creazione di un nuovo indirizzo di studio, che chiama PSICO-TECNOLOGIA,
ovvero l’analisi di come la tecnologia emuli, estenda ed amplifichi le funzioni
sensoriali, motorie, psicologiche o cognitive della mente.
Il fatto che le nostre funzioni cerebrali siano “programmabili”, al di là di ogni
implicazione “apocalittica” della questione, invita ad una migliore conoscenza di sé
e della propria identità: della progressiva perdita dei confini psicologici tra Io e
ambiente, del flusso incrociato all’interno e all’esterno del proprio corpo, di un
maggior contatto con sé stessi e di una rinnovata sensibilità psico-fisica.
L’essere umano moderno, in questa accezione, è “capace di essere veloce, flessibile
e informato al contempo, altamente percettivo, con una radicata coscienza etica
60
Teorie e pratiche didattiche
acquisita anche grazie all’acquisizione di una conoscenza tecnologica, ambientale e
interculturale, che pensa su scala globale ma che agisce su scala locale” (47).
Le nuove tecnologie, come forse ogni cosa, non sono strumenti cognitivamente
neutri. Esse sono portatrici di metodi, pratiche e prospettive di pensiero. Possono
attivare nuove pratiche sociali e individuali, mediare un nuovo tipo di
apprendimento, comunicazione, lavoro e cambiamento.
4.2 - L’APPROCCIO PSICO-PEDAGOGICO
Jerome BRUNER, è stato uno dei pochi ricercatori e studiosi della scienza
cognitiva che ha saputo sviluppare in ambito educativo riflessioni sempre attente a
cogliere le emergenze culturali del momento, le tendenze e le possibilità di
sviluppo.
Anche in questo caso, secondo la sua teoria, i media svolgono un ruolo rilevante
nello sviluppo cognitivo, in quanto l’intelligenza viene considerata in parte come il
prodotto degli utensili determinati in una data cultura (48).
In particolare, gli “strumenti”, per così dire, che non solo caratterizzano ma che
hanno consentito all’essere umano di evolversi, sono stati:
1. L’ACQUISIZIONE DELL’ABILITÀ E DELL’USO DI STRUMENTI;
2. IL LINGUAGGIO;
3. LA COSTITUZIONE DI UN’ORGANIZZAZIONE SOCIALE;
4. L’AUMENTO DEL PERIODO DI FANCIULLEZZA RISPETTO AGLI ALTRI
ANIMALI SUPERIORI;
5. IL BISOGNO DI SPIEGAZIONE.
Dal punto di vista filogenetico quindi, tali strumenti hanno concorso alla crescita
cognitiva dell’uomo grazie all’impiego, nel loro uso:
•dell’AZIONE (dagli strumenti propriamente manuali a quelli più “astratti”);
•dei SENSI (dai segnali di fumo, che riguardano la vista, alla radio, che implica l’udito);
•del PENSIERO (dal linguaggio alla teorizzazione scientifica).
61
Teorie e pratiche didattiche
Tali capacità strumentali emergono nel bambino come modi di rappresentazione
della realtà. Il suo sviluppo cognitivo avviene infatti attraverso una sua
rappresentazione (49):
- MOTORIA, o endoattiva, in cui il bambino impiega schemi d’azione imposti
dall’abitudine o da un comportamento di tipo esplorativo, che si associano a
particolari atti eseguiti sotto il controllo diretto degli stimoli ambientali.
- ICONICA, o per immagini, che porta al progressivo distacco degli schemi
mentali dagli atti e dalla possibilità di raffigurazione del mondo attraverso
immagini e schemi spaziali relativamente indipendenti dall’azione stessa. Essendo
un livello maggiormente astratto rispetto al precedente, consente organizzazioni più
flessibili.
- SIMBOLICA, o verbale, che permette di superare il limite del precedente in
quanto ancora legato alle fattezze sensoriali dell’oggetto in causa. Prevalentemente
grazie al linguaggio, che ne rappresenta il suo esempio più versatile, i problemi e i
concetti possono così essere affrontati con un’ancora maggiore livello astrattivo.
Tali modalità di organizzazione cognitiva naturalmente coesistono nell’individuo,
pur emergendo gradualmente e in fasi diverse dello sviluppo. È intuibile come nel
bambino, come nell’adulto, queste abilità possono essere potenziate mediante
l’utilizzo di strumenti adeguati.
Inoltre l’autore dà molta importanza al CONTESTO di appartenenza: è impossibile
quindi studiare i processi cognitivi senza guardare all’ambiente culturale in cui
questi sono immersi.
Azione delle Tecnologie Didattiche sull’apprendimento secondo Bruner.
62
Teorie e pratiche didattiche
La mente non esiste a prescindere da ciò che le sta intorno. Non esiste infatti una
realtà originaria ed esterna a chi ne fa esperienza: continuamente essa è costruita e
ricostruita sulla stregua di una realtà “precedente” assunta come piano prospettico
(50).
Nel 1990 Bruner ridefinì la sua psicologia culturale come psicologia che si occupa
dell’AZIONE NELLE SITUAZIONI, intendendo con questo il fatto che siano la
cultura e i suoi strumenti le vere cause dell’agire dell’uomo. Inoltre la conoscenza
non è da intendersi, in tale accezione, come qualcosa che esiste solo nella nostra
mente: essa risiede e si sviluppa sui nostri appunti, sui dati caricati in un pc, sulle
conversazioni con gli amici, su qualcosa che ha colpito la nostra attenzione e così
via all’infinito (51).
In questo senso, l’utilizzo di strumenti multimediali e non lineari della cultura,
insieme ad un contesto di inserimento reticolare che ne incentivi il confronto e lo
scambio, si rivela particolarmente in armonia con le teorizzazioni dell’autore.
Insieme a David OLSON, suo allievo e poi collega, Bruner descrive come lo
sviluppo cognitivo avvenga prevalentemente grazie all’interazione con il mondo
attraverso tre canali: quello dell’ESPERIENZA DIRETTA, dell’OSSERVAZIONE
e dell’USO DI SISTEMI SIMBOLICI. Tutti e tre sono presenti nei contesti per così
dire “naturali”, e quindi nell’esperienza quotidiana, ma gli stessi possono anche
essere presenti (perché programmati) in contesti didattici, ed eventualmente
sostenuti da tecnologie multimediali o di altro genere (52).
Lo schema di come questo avvenga infatti, ben si presta per la realizzazione di
attività e strumenti educativi che perseguano il fine dell’acquisizione delle
informazioni ma soprattutto dell’apprendimento a “pensare”.
63
Teorie e pratiche didattiche
Parallelismo tra i canali attraverso cui si ricavano le informazioni e le tecnologie deputate apermetterne e facilitarne l’acquisizione. Il fine di entrambi è rivolto all’accrescimento diconoscenze e abilità. Tratto da Olson e Bruner, 1974.
In seguito Olson portò avanti gli studi secondo i quali i media e le tecnologie
educative hanno un ruolo funzionale nello sviluppo cognitivo, e per questo
prospettò l’esigenza di una comunicazione didattica “multimediale”.
Confrontando i processi attivati da media diversi e gli effetti raggiunti attraverso la
loro pratica, egli convenne nell’affermare che i mezzi di comunicazione e di
istruzione non siano vie opzionali per raggiungere scopi altrimenti perseguibili con
altri mezzi, ma vie ottimali per il raggiungimento di scopi diversi (53). Per Olson
infatti esistono tante intelligenze quanti sono i linguaggi con cui si può
rappresentare la propria esperienza.
Emergono dunque diversi temi dalla sua ricerca, tutti strettamente collegati. Innanzi
tutto l’importanza attribuita all’attività esecutiva (la dimensione legata la “fare”), e
di conseguenza la diretta continuità tra processi cognitivi e percettivi; l’importanza64
Teorie e pratiche didattiche
della specificazione di un mezzo, inizialmente strumento di attività esecutiva
culturalmente determinato, e poi mezzo di espressione e comunicazione. In ultimo
la necessità di un insegnamento-apprendimento multimediale.
Un altro autore che sostiene la tesi dell’esistenza di “intelligenze multiple”,
collegandole inoltre all’uso di diversi sistemi simbolici proposti in specifici contesti
culturali, è Howard GARDNER, psicologo cognitivista statunitense.
Egli concepisce infatti l’intelligenza come un potenziale, una realtà poliedrica
composta da varie competenze umane, che chiama FORMAE MENTIS. Tali
competenze sono da lui intese come relativamente indipendenti tra loro, forgiate e
combinate in modi adattivi diversi da individui e culture (54).
Le intelligenze da lui individuate sono sette:
•Linguistica;
•Musicale;
•Logico-matematica;
•Spaziale;
•Corporeo-cinestesica;
•Intrapersonale;
•Interpersonale.
Riferendosi all’uso delle intelligenze in contesti educativi, Gardner sottolinea il
fatto che le abilità implicate in un’intelligenza possono essere usate sia come mezzo
per apprendere, sia come materiale di apprendimento.
È importante identificare quello che l’autore chiama il profilo cognitivo del
soggetto, i suoi punti di forza e debolezza per intervenire scegliendo di puntare
sulle doti maggiormente spiccate e potenziare quelle meno, il tutto conformemente
alle risorse disponibili, agli obiettivi della società e degli individui coinvolti.
In questo senso l’introduzione dei nuovi strumenti multimediali è auspicabile per lo
sviluppo multidimensionale delle potenzialità umane, creando uomini a più
“dimensioni”.
65
Teorie e pratiche didattiche
Azione delle Tecnologie Didattiche sull’apprendimento secondo Gardner.
4.3 - L’APPROCCIO PSICO-TECNOLOGICO Tale approccio è nato negli Stati Uniti da numerosi gruppi di ricerca che hanno
utilizzato le tecnologie informatiche al fine di sollecitare gli studenti a ricercare
collaborativamente, attraverso discussioni di gruppo, la soluzione di questioni
ricavate dall’utilizzo di particolari videodischi.
Tale strumentazione è stata implementata, sperimentata e diffusa facendo perno sul
concetto di apprendimento “ancorato”: i videodischi progettati, infatti, mettono in
rilievo alcuni dei problemi più reali e complessi dei nostri tempi, ai quali il
protagonista del gioco si trova a rispondere (55).
La teoria della FLESSIBILITÀ COGNITIVA elaborata da Rand SPIRO e dai suoi
colleghi dell’Università dell’Illinois, può essere considerata un altro esempio di
reazione alla tendenza, nell’insegnamento, di sovrasemplificare i concetti complessi
attraverso un uso riduttivo e improprio dell’analogia (56).
La teoria è rivolta, dicono gli autori, allo sviluppo di una conoscenza autentica e
profonda della complessità, la quale non può essere raggiunta che attraverso la
decostruzione della conoscenza.
La flessibilità cognitiva non è nient’altro che la capacità di “ristrutturare”
spontaneamente le proprie conoscenze in molti modi, al fine di adattarle alle
situazioni e alle esigenze di risposta che si incontrano nella vita.
Tale flessibilità presuppone allora l’utilizzo di strumenti e rappresentazioni della
conoscenza che permettano di attingere ad un “serbatoio” di spiegazioni, mansioni
ed analogie multiple, valevoli quindi in diversi contesti, per affrontare diversi66
Teorie e pratiche didattiche
problemi; va da sé che questo modo di pensare presupponga un’attività di
assemblaggio degli schemi cognitivi, piuttosto che un loro recupero passivo, privo,
se vogliamo, di creatività.
Come si vede, l’accento sulla multivalenza dei significati rende più facile
un’interpretazione dei concetti aperta. Per dare pienamente ragione della
complessità e variabilità concettuale di un dominio di conoscenza, la presentazione
del sapere in ambito didattico, dovrebbe dunque avvenire attraverso una
molteplicità tematica che eviti la sua compartimentazione e che permetta, allo
stesso tempo, la combinazione dei temi di analisi e l’assemblaggio dei vari schemi
cognitivi.
Le strade multidimensionali per l’apprendimento, offerte ad esempio dalle
TECNOLOGIE IPERTESTUALI, permettono di accedere alla conoscenza
attraverso varie vie che sono indirizzate verso un suo successivo recupero dalla
memoria. Tale recupero rappresenterà uno strumento in più, successivamente, in
vista della comprensione di nuovi casi.
La teoria della flessibilità cognitiva vorrebbe dunque offrire dei principi per
affrontare gli aspetti mal strutturati della conoscenza nella sua acquisizione
avanzata. La sua applicazione all’istruzione, genererebbe quella che dagli autori
viene chiamata “teoria dell’accesso random”, accesso quindi diretto e non
sequenziale, basato su rappresentazioni multidimesionali della conoscenza.
Viene data enfasi alla presentazione ripetuta dello stesso materiale, in sequenze
presentate da differenti prospettive concettuali. Tale metodo dovrebbe permettere
all’insegnante di progettare ambienti di apprendimento che consentano
un’esplorazione non lineare della conoscenza e il potenziamento della flessibilità.
67
Teorie e pratiche didattiche
Azione delle Tecnologie Didattiche sull’apprendimento secondo Spiro.
A tale scopo Don NIX ha creato un sistema di sviluppo di ambienti multimediali di
istruzione (che ha chiamato HANDY) che permette la generazione automatica di
sequenze di casi e l’identificazione automatica delle connessioni ipertestuali, che
non vengono definite a priori ma generate durante l’esplorazione dell’ambiente. La
crescita esponenziale dei links che ne consegue, evita la necessità di predefinirli ed
il conseguente confuso labirinto di connessioni.
Tali ambienti di apprendimento non lineari e multidimensionali, derivati
dall’applicazione dei principi esplicitati dalla teoria della flessibilità cognitiva
(CFT, Cognitive Flexibility Theory), sono stati recentemente ridefiniti dagli autori
con il nome di CFHs, o Cognitive Flexibility Hypertexts.
Il corollario tecnologico-didattico della teoria della CFT, ha trovato una fonte di
ispirazione dichiarata nel pragmatismo di WITTGENSTEIN. L’autore ha messo più
volte in risalto il fatto che, come la comprensione profonda di un esteso paese non
possa essere raggiunta tramite un solo viaggio, allo stesso modo una vasta regione
di pensiero deve essere percorsa in lungo e in largo, in tutte le direzioni, per
permettere di padroneggiare la sua complessità ed evitare di attenuare la pienezza
del suo dominio. Questo significa che gli stessi posti in un paese, come i casi, i
concetti in un dominio di conoscenza, dovrebbero essere rivisitati da differenti
direzioni (tematiche), secondo differenti prospettive.
68
Teorie e pratiche didattiche
4.4 - L’APPROCCIO TECNO-ANTROPOLOGICO
Recentemente lo studioso francese Pierre LÈVY ha pubblicato alcune sue
riflessioni in linea con una visione costruttivista della conoscenza, che a ben vedere
possono andare a costituire una sorta di “antropologia del cyberspazio”.
Lèvy tratta infatti del rapporto tra tecnologie e cognizione collocandosi nell’ambito
dell’antropologia cognitiva, e si riferisce alle tecnologie collettive della percezione,
del pensiero e della comunicazione che rendono possibile la memorizzazione e
facilitano la comunicazione.
Conformemente alla sua prospettiva costruttivista, lo studioso ritiene che ogni
tecnica finalizzata all’apprendimento, non sia di per se stessa “nè buona, né neutra,
né necessaria, né invincibile” (57), ma che si definisca in relazione alle sue
modalità d’uso sociale, e di applicazione delle sue possibilità intrinseche.
Ogni tecnica, potenzialmente, rappresenta un fattore forte di trasformazione delle
possibilità di produzione cognitiva, in cui la persona che vi partecipa non la
recepisce passivamente, ma la rimette in gioco, la rimodella.
L’atto della comunicazione quindi diventa un “gioco” con cui, attraverso messaggi,
si precisa, si aggiusta, si trasforma il contesto condiviso dai partecipanti, che viene
continuamente rinegoziato e ricostruito.
Sia gli attori della comunicazione sia gli elementi del messaggio costruiscono
universi dinamici di senso, che Lèvy chiama “mondi di significato degli ipertesti”:
questo perché la struttura ipertestuale può spiegare sia la comunicazione sia i
“processi sociotecnici”, ovvero tutti gli aspetti della realtà in cui entrino in gioco
dei significati.
La tecnologia ipertestuale infatti non rimane confinata all’individuo, ma viene
estesa oggi a quelli che vengono chiamati apparati cognitivi dell’intelligenza,
contribuendo a strutturare gli “spazi cognitivi” degli individui e delle
organizzazioni: questi nuovi sistemi infatti, spostano il focus dell’attenzione
dall’oggetto (il computer, o il programma) al progetto (l’ambiente cognitivo, la rete
di interventi che lo costituiscono).
69
Teorie e pratiche didattiche
Lèvy afferma che l’ipertesto rappresenti lo strumento principe al fine del sostegno
alla collaborazione, in quanto “aiuta al ragionamento, alla argomentazione, alla
discussione, alla concezione, alla organizzazione, alla pianificazione”,
trasformando le organizzazioni in reti di conversazione.
Ogni persona, ogni volta che attribuisce un senso ad un messaggio, costruisce in un
certo senso un suo ipertesto. Importante sarà allora il filo conduttore, la rete di
conversazione in cui il messaggio sarà catturato. La costituzione di un senso
comune si materializzerà allora nell’elaborazione collettiva di un ipertesto.
L’intelligenza collettiva, oggi rappresentata dal World Wide Web, ha un’interfaccia
ipertestuale. Essa è distribuita ovunque, continuamente aggiornata, e porta ad una
mobilitazione effettiva delle competenze. Si è ben lungi dal pensare, in questo
senso, di fondere le intelligenze individuali in un magma indistinto: l’intelligenza
collettiva infatti è intesa come un processo di crescita, di differenziazione e di
mutuo rilancio delle specificità.
Quest’ultima precisazione di Lèvy è particolarmente importante in quanto pone in
rilievo il riconoscimento della diversità delle qualità umane (58). Quel che conta,
infatti, è l’appartenenza ad una comunità di pratiche non per omologarsi ad essa, ma
per valorizzare la personale identità attraverso il confronto e l’armonizzazione con
quella dei suoi singoli attori, della comunità nel suo complesso, e con quelle di
eventuali “comunità virtuali” alle quali ciascuno di noi potrebbe appartenere
nell’universo del cyberspazio.
Azione delle Tecnologie Didattiche secondo Lèvy.
70
Apprendere… con emozione
5 - APPRENDERE… CON EMOZIONE
L’accelerazione tecnologica dell’ultimo mezzo secolo ha dunque comportato
un’incursione massiva delle tecnologie digitali nell’ambiente di apprendimento,
promettendo grandi cambiamenti alla pratica della didattica.
Il campo dell’intelligenza artificiale, con l’enfasi sulla conoscenza intesa come
rappresentazione, sul modellamento dei processi logici e di altri tipi di importanti
attività cognitive, ha comportato l’adozione di un’analoga concezione
dell’apprendimento umano e ha facilitato lo sviluppo di teorie dove il pensiero
poteva essere considerato alla stregua di un processore di informazioni.
Tutto questo ha portato a degli indubbi benefici nel campo sia della ricerca
computazionale che in quella cognitiva, ma nello stesso tempo ha avuto come
conseguenza il neglect, nel processo di elaborazione delle informazioni, verso le
emozioni e, in generale, verso il ruolo che gioca l’affettività sull’apprendimento.
Nella pratica, al contrario, molti insegnanti sanno del ruolo fondamentale di queste
dimensioni nella crescita e nello sviluppo in aula, sanno che hanno un’importante
influenza sulla motivazione, l’attenzione e l’impegno, ma spesso, accanto al rapido
progredire delle tecnologie elettroniche e dei programmi multimediali di studio,
assistono come testimoni alla progressiva tendenza a dimenticarsene.
Eppure, e questo è un dato di fatto, la svolta cognitivista degli ultimi anni tende
proprio a implementare le emozioni nella comprensione dei fattori cognitivi. In
particolare, gli sviluppi nelle neuroscienze, in psicologia e nelle scienze cognitive,
hanno messo in luce come, effettivamente, l’affettività sia un fattore complesso
intimamente legato al pensiero e che genera importanti funzioni nel guidare il
comportamento razionale, la memoria, le decisioni, la creatività e molto altro.
Queste scoperte hanno contribuito a portare avanti la comprensione che il cervello
umano non sia un sistema di elaborazione di informazioni puramente cognitivo, ma
un sistema in cui le funzioni affettive e cognitive sono intrinsecamente integrate
l’una con l’altra.
Di conseguenza, si prospetta un serio riesame della concezione dell’apprendimento,
specie di quello fondato sull’uso di tecnologie elettroniche, che sembrano essere71
Apprendere… con emozione
dirette solo alla metà cognitiva della “mela cerebrale” (la svolta di paradigma
sembra essere giunta in tempo, visto che si cominciava a pensare all’impiego di
insegnanti artificiali!).
Gli ultimi vent’anni, specie all’estero, in cui la ricerca innanzi tutto viene fatta, e
poi presa in considerazione, hanno visto un forte sviluppo dell’enfasi sulla
RELAZIONE di chi apprende sul processo e sul contenuto dell’apprendimento.
Quello che sembra prospettare il futuro è dunque una rivisitazione del ruolo di
emozioni e cognizione tanto nella teoria quanto nella pratica, alla ricerca di un
nuovo equilibrio nella scienza dell’apprendimento come nell’impiego della
tecnologia.
Di seguito verranno messe in luce alcune delle varie prospettive e aree che rendono
questo cambiamento piuttosto urgente, e il perché esse mirino alla costruzione di
una SCIENZA DELL’APPRENDIMENTO EMOTIVO.
5.1 - NEUROSTORIA DELLE EMOZIONI
Uno dei primi tentativi di spiegare le emozioni in termini neurofisiologici risale al
1884, quando William JAMES con l’articolo: “What is an Emotion?” spiegò
come, secondo lui, emerga l’evento emotivo.
La sua tesi, in particolar modo rispetto alla PAURA, voleva che i cambiamenti
fisici seguissero direttamente la percezione del fatto eccitante, e che l’emozione
emergesse dunque come sentimento di questi cambiamenti.
La tendenza è quella di credere che si pianga perché si è tristi. Per James invece è
vero il contrario: grazie alla sua particolare “sigla” fisiologica, alla vista di qualcosa
che ci spaventa ad esempio, non si trema perché si ha paura, ma si ha paura perché
si trema. Allo stesso modo, siamo tristi perché piangiamo (59).
Anche secondo STANLEY, SCHACHTER e SINGER, in accordo con la teoria di
James, la genesi dell’emozione non può essere specifica, ma si trova ad essere
strettamente dipendente dalla retroazione fisica. Secondo il loro modello però, le
risposte fisiche dell’emozione informano il cervello dell’esistenza di uno stato di
72
Apprendere… con emozione
maggiore eccitazione, i sentimenti emotivi vengono poi etichettati dalla spiegazione
che si dà a certi stati fisici emotivamente ambigui, e trasformati quindi in
attribuzioni cognitive (60).
Come per Cartesio, Aristotele e Spinoza, ne conseguirebbe dunque che le emozioni
emergerebbero come risultati dell’interpretazione cognitiva. Quello che manca al
modello, è che però non sia chiaro cosa provochi questi risultati.
Secondo Magda ARNOLD, la risposta ha a che fare con la comparsa di alcune
valutazioni cognitive, valutazioni che sono qui intese come una sorta di “bilanci
mentali” dei vantaggi o dei danni potenziali di una situazione.
L’emozione, secondo l’autrice, emergerebbe allora come la tendenza che si prova
ad andare verso ciò che viene ritenuto vantaggioso, o lontano da ciò che viene
ritenuto dannoso. Perché si produca una risposta emotiva, il cervello deve dunque
valutarne prima l’importanza; tali valutazioni portano poi a certe tendenze
all’azione che, a loro volta, provocherebbero i sentimenti coscienti (61).
Molti altri furono i neuroscienziati interessati allo studio della fisiologia delle
emozioni, specie durante la prima metà del XXo secolo. Poi venne il buio nella
successiva metà, causato essenzialmente dal fatto che la ricerca sulle emozioni
divenne vittima della rivoluzione cognitivista degli anni ’50, la cui tendenza, come
abbiamo visto, è stata proprio quella di tagliare fuori tutto ciò che non potesse avere
a che fare con operazioni affini a quelle dei processori elettronici.
Recentemente però la tendenza è cambiata, e l’interesse per il cervello emotivo è
tornato in auge, specie, come dicevamo, per gettare luce sulla relazione tra
emozioni e cognizione.
Il neurobiologo Joseph LE DOUX, negli anni ‘90, riprese l’indagine sulle
emozioni a tutto campo, tanto da essere considerato l’iniziatore di una vera e
propria emotive revolution. Il suo modello, interamente fondato su studi
neurofisiologici, apre molte porte in tutti i campi di indagine e di lavoro che
abbiano a che fare con la mente, in quanto afferma che ciò che scatena le emozioni
possa mutare attraverso l’ESPERIENZA.
73
Apprendere… con emozione
Egli sviluppa l'ipotesi che l'interazione ippocampo-amigdala, strutture del sistema
limbico, ovvero la parte più arcaica e profonda del nostro cervello da cui dipende la
possibilità di provare emozioni, sia la questione critica per comprendere ad esempio
il processo della memoria emotiva.
Sezione mediale di un cervello. La parte centrale mette in luce il sistema limbico, in cuisono evidenziate le strutture in questione.
Uno degli esempi di Le Doux è che, se durante una camminata in un bosco
scorgiamo qualcosa di sottile e flessuoso simile a un serpente, si attiva un
particolare circuito cerebrale che ci permetterà di agire di conseguenza. Lo stimolo
poco definito, infatti, raggiungerebbe immediatamente, attraverso una via bassa,
l'amigdala, la quale attiverebbe subito, attraverso la via ipotalamica e del sistema
nervoso autonomo, le reazioni somatiche immediate di allarme. Intanto, attraverso
una via alta, lo stimolo verrebbe elaborato più in dettaglio grazie all’azione della
corteccia prefrontale, la zona del cervello più recente ed evoluta negli esseri umani
che permette l’attività cognitiva. La stessa informazione giungerebbe in un secondo
momento nuovamente all'amigdala, meglio definito, permettendo di valutare più
accuratamente se si tratta proprio di un serpente (e non di un innocuo ramoscello), e
se quindi dobbiamo reagire con la fuga o possiamo proseguire tranquillamente.
74
Apprendere… con emozione
Questo significa che l'amigdala dà corso comunque e subito alle reazioni somatiche
al potenziale pericolo (per cui ci spaventeremo), per discriminare poi più in
dettaglio lo stimolo percettivo, che potrebbe anche rivelarsi un falso allarme (62).
La maggiore velocità del primo circuito ha un immediato valore di sopravivenza,
ma sarà dal concorso di entrambi i processi esemplificati che dipenderà un
apprendimento emotivo.
Circuito dello stimolo emotivo a livello limbico e corticale secondo il modello di LeDoux.
Considerato questo punto di vista nella ricerca sulle emozioni, ne consegue che un
grande contributo può essere dato dalla conoscenza di esse a tutti i campi che
riguardano l’apprendimento.
La mente non è o emotiva o cognitiva, a seconda del momento, ma è sempre
entrambi gli aspetti. L’inclusione del lavoro sulle emozioni all’interno della cornice
cognitiva, comporta il superamento dello sterile approccio verso la mente come
mero dispositivo meccanico, restituendo l’importanza alle motivazioni, alla paura,
alla gioia, ai desideri in tutti i processi mentali.
75
Apprendere… con emozione
5.2 - INTELLIGENZA E APPRENDIMENTO EMOTIVO
Le nostre emozioni non possono dunque considerarsi come reazioni totalmente
slegate dalla cognizione e dall’ambiente. I due aspetti, che noi consideriamo scissi a
causa della limitatezza della nostra percezione, sono in costante comunicazione:
l’evento di partenza non può scatenare alcuna tempesta emotiva senza “ascoltare” la
retroazione del nostro sistema di attribuzioni rispetto all’evento stesso.
Questa è la spiegazione del perché non tutto quello che spaventa una persona,
spaventa anche noi: il sistema di attribuzione è diverso, perché diverse sono state le
esperienze che hanno portato all’uno o all’altro comportamento. Le emozioni
prendono vita infatti dalla memoria e dalle reazioni passate, dalla storia individuale
di ognuno e da quanto è stato appreso dalle circostanze.
Martin SELIGMAN, per spiegare come non sia in definitiva ciò che accade, ma
ciò che pensiamo dell’accaduto che conta, parla di STILE DI SPIEGAZIONE.
I nostri pensieri, afferma Seligman, sono la nostra realtà: il nostro stile di
spiegazione del mondo che ci circonda diventa, con l’infanzia, parte integrante
delle “lenti” attraverso le quali guardiamo le cose, lenti che, se non cambiate,
rimangono sempre le stesse per tutta la vita.
Le attribuzioni possono essere globali o specifiche, permanenti o momentanee,
rivolte all’interno o all’esterno.
Poniamo che un bambino si trovi di fronte ad un compito, di qualsiasi genere, che
non riesce a comprendere. Se egli attribuisce la sua difficoltà al fatto di non essere
in grado di capirlo, sta dando un giudizio globale interno riguardo alle sue abilità;
presumibilmente, come risultato, inizierà a credere che la sua carenza di
intelligenza si rifletterà sul suo tentativo di comprensione di ogni compito, su come
verrà valutato e su tutto ciò che gli presenta la vita, giungendo ad un giudizio
permanente di se stesso.
Diverso sarebbe se, invece, il bambino sapesse attribuire la sua difficoltà al fatto
che il compito abbia una reale difficoltà per lui, in quel momento. La sua visione
dell’evento si tramuterebbe allora in un giudizio legato ad una situazione specifica e76
Apprendere… con emozione
temporanea, che, in quanto tale, può essere controllato e cambiato, ad esempio
facendo delle correzioni nel metodo di studio o appellandosi ad altre fonti per
cercare chiarimenti efficaci.
Uno stile di spiegazione globale, che mette in discussione tutta la propria persona,
porta, al presentarsi di eventi negativi, allo sviluppo di un pessimismo sempre
maggiore ed invalidante, ad uno stato d’animo che non può, in alcun modo, portare
ad essere aperti verso l’apprendimento e la conoscenza di nuove cose.
Ma uno stile (e questa è la buona notizia!) non è, per definizione, una caratteristica
intrinseca ed immutabile del proprio essere: cambiando uno stile, cambiano di
conseguenza le attribuzioni che diamo a noi stessi e a tutto ciò che ci accade e ci
circonda.
Avendo anche constato che le emozioni siano in diretto collegamento con i nostri
pensieri, possiamo ragionevolmente supporre che, al mutare dei nostri pensieri,
muterà anche il modo in cui ci sentiamo e ci comportiamo.
Ciò a cui, in definitiva, stanno giungendo le ricerche, è l’evidenza che uno stato
d’animo positivo non solo fa stare meglio, ma induce un differente modo di
pensare, caratterizzato in particolar modo da una tendenza ad una migliore
CREATIVITÀ e FLESSIBILITÀ nella risoluzione dei problemi, oltre ad una
maggior EFFICACIA nel prendere le decisioni.
Questi effetti sono stati riscontrati in gruppi di differenti età e professioni (63).
Naturalmente, l’influenza sul modo di pensare non viene esercitata solo da uno
stato d’animo positivo: stati emotivi come rabbia, paura, tristezza, modificano la
circolazione cerebrale, e provvedono a dare una possibile spiegazione di come
l’affettività influenza l’attività cerebrale. Questo è stato ampiamente dimostrato da
Antonio DAMASIO, neurofisiologo che forse più di chiunque altro ha messo in
luce come le emozioni non siano affatto slegate da tutte le altre funzioni
dell’organismo.
Damasio ha mostrato come le emozioni positive sarebbero svuotate di contenuto
senza le sensazioni provenienti dal corpo: in presenza di un evento emozionante,
alcuni “marcatori somatici”, così li chiama, informano la mente della presenza di
un’emozione e aiutano a decidere quale comportamento mettere in atto; ne77
Apprendere… con emozione
consegue che, ad esempio, le sensazioni fisiche sgradevoli associate alla paura ci
aiutano ad evitare molto rapidamente le situazioni di pericolo (64) .
Nel caso delle emozioni positive, il sistema dopaminico che è responsabile e che
media gli effetti positivi affettivi, agisce anche sulla cognizione, oltre al fatto che
sembri avere un effetto anche sull’incremento delle motivazioni (65).
Tra gli insegnanti e i ricercatori educativi, c’è un largo consenso sul fatto l’interesse
e la partecipazione attiva giochino un ruolo importante nell’apprendimento;
l’accettazione di questo principio si basa spesso su una sua visione intuitiva, anche
se molto in proposito è stato detto dai teorici costruttivisti. Ma imparare significa
anche apprendere dalle emozioni, apprendimento che non solo consente la
memorizzazione e il ricordo di nozioni, ma l’utilizzo di esse nella vita, nei progetti
e nella costruzione della propria personalità.
Non si impara a prescindere dalle emozioni. Certo è che, per imparare da esse,
bisogna conoscerle.
Daniel GOLEMAN distingue tra INTELLIGENZA EMOTIVA e QUOZIENTE
INTELLETTIVO, distinzione che aiuta a capire perché persone con un alto QI non
sempre sanno come gestire le molteplici situazioni che si presentano loro, non
sempre hanno buone relazioni interpersonali, e non sempre sono persone
soddisfatte e felici.
L’Intelligenza Emotiva secondo Goleman.
78
Apprendere… con emozione
Goleman individua cinque qualità che contraddistinguono questo particolare tipo di
intelligenza:
1- CONOSCERE LE PROPRIE EMOZIONI. Saper identificare e denominare i propri
sentimenti, valutarne l’intensità, essere autoconsapevoli del rapporto tra pensieri,
sentimenti e reazioni.
2- CONTROLLARE I SENTIMENTI. Saper “colloquiare con se stessi”, capire cosa si
nasconde dietro ad un sentimento e trovare i modi per controllare le paure e le ansie,
la rabbia e la tristezza.
3- ESSERE MOTIVATI NEL RAGGIUNGIMENTO DI OBIETTIVI. Saper
affermare a se stessi e all’ambiente i propri interessi, i propri scopi, e lavorare per
poterli realizzare.
4- RICONOSCERE LE EMOZIONI NEGLI ALTRI. Saper essere empatici, riuscire
ad assumere il punto di vista delle persone, e rendersi conto che ognuno ha “lenti”
diverse dalle proprie.
5- SAPER MANTENERE RELAZIONI. Vale a dire saper collaborare, risolvere i
conflitti e negoziare compromessi.
Molto dipende da come impara a lavorare la zona frontale della nostra corteccia.
Essa ospita infatti i centri operativi del cervello per facoltà come la pianificazione,
la risoluzione dei problemi, il controllo.
È stato dimostrato che, nel corso di tempo dai primi 70 ai primi 100 millesimi di
secondo, le persone reagiscono in modo molto simile agli stimoli, in quanto in
questa fase arriva al cervello la semplice informazione sensoriale, scevra dunque di
connotazioni emotive di ogni genere.
Il vero e proprio comportamento con la conseguente emozione che lo accompagna
comincia ad emergere dopo circa 100 millesimi di secondo, quando dunque
l’informazione giunge al lobo frontale e viene elaborata.
Tale passaggio modula l’attività dell’amigdala, e per questo, secondo molte
prospettive cognitiviste, uno dei modi per pensare a degli antidoti contro le
emozioni distruttive consiste nel facilitare l’attivazione del lobo frontale.
79
Apprendere… con emozione
La scuola è forse l’unica istituzione che può fornire un’educazione universale ad
uno stato di salute emotiva. Le capacità sociali ed emotive non sono affatto slegate
da quelle cognitive: “finchè non si è calmi non è possibile pensare”, afferma Mark
Greenberg, della ricerca al Collaborative for Academic, Social and Emotional
Learning (66).
Quando ci si allena, meglio quando in un contesto di gruppo, ad usare “la testa”
(letteralmente), il processo di fronteggiamento dei pensieri diventa molto più
naturale, e la porte verso la curiosità e la disponibilità ad apprendere, verso la
creatività e l’esplorazione, cominciano ad aprirsi.
5.3 - LA FONTE DEL PROBLEMA
La tendenza generale di fronte ai problemi, sia essa degli adulti che di ragazzi o
bambini, è nella stragrande maggioranza dei casi sempre la stessa: quella di credere
che la causa di esso si trovi all’esterno di sé, e che il malessere che esso induce, sia
qualcosa che certamente appartiene al mondo al di fuori di noi.
Il Dalai Lama, da sempre sensibile alla ricerca e ai risvolti culturali della scienza,
ha tracciato alcuni importati parallelismi tra i principi del buddismo tibetano, di cui
è il massimo esponente, e le scoperte e le teorie di alcuni dei più importanti
scienziati dei nostri tempi. Tra questi, in ambito psicologico, il già citato Goleman,
il ricercatore e neuroscienziato Richard Davidson, Paul Eckman, lo studioso per
eccellenza delle espressioni emotive, Owen Flanagan, filosofo della mente, il
biologo Francisco Varela e molti altri.
I punti di incontro sono sorprendenti, ma uno sembra essere particolarmente
indicativo, e riguarda proprio ciò che, sia per la filosofia e la pratica buddista, sia
secondo le ricerche e gli studi di questi scienziati, è ritenuta essere la causa
dell’infelicità dell’essere umano. Si tratta della individuazione delle cause del
disagio e della sofferenza fuori di sé, all’attribuzione della responsabilità di essi a
qualcosa che non ci appartiene.
80
Apprendere… con emozione
Certo, accettare il rischio di volgersi all’interno non è semplice, ma questo, e
nessun altro, è il messaggio che porta tutta la scienza moderna, il cambiamento
paradigmatico invocato dalle nuove ricerche sulla mente e sulla coscienza, la
psicologia nelle sue varie accezioni, e ora anche le neuroscienze.
Il Dalai Lama invita dunque a chiedersi: “che impatto hanno le nostre emozioni
[…] sulla società considerata nella sua totalità? Che ruolo svolgono rispetto ai
problemi che la società sta attualmente vivendo?” (67).
Nel momento in cui ci si rendesse conto della loro azione, emergerebbero nuove
domande. Sappiamo ad esempio che la mente è plastica, in continuo cambiamento,
e allora: “le emozioni distruttive alle quali siamo soggetti, sono malleabili? E’
possibile diminuirle?”.
Se si arriva ad ipotizzare di non essere completamente programmati per ripetere le
stesse cose (e la scienza ha delle buone notizie in proposito), che esiste la
possibilità di trasformarci, ci si può chiedere allora come muoversi in questo senso.
I bambini, ad esempio, non ricevono quasi mai lezioni formative per il carattere,
momenti in cui sperimentino come si possa riconoscere la vita emotiva dentro di sé,
e mutarla, quando non fa stare bene.
E allora, un’ultima domanda. Cosa si può fare? Come si può includere tutto questo
nell’educazione didattica, senza togliere tempo ai programmi stabiliti e senza
sacrificare i contenuti?
81
Conclusioni
6 - CONCLUSIONI
Come ho tentato di mettere in luce, dopo le rivoluzioni scientifiche e culturali
nell’ambito del sapere, dalla fisica alla psicologia, dalle neuroscienze alla chimica,
si sono profondamente modificate, e sono oggetto di acceso dibattito e studio, le
concezioni sulla natura della mente umana.
Appare chiaro che questi cambiamenti abbiano consentito il passaggio da una
considerazione della mente in termini meccanici, il cui comportamento poteva
essere modificato grazie a semplici programmi di condizionamento, ad una mente
che per funzionare, per svilupparsi e per creare al meglio, deve poter essere
immersa in un contesto di significati, deve potersi esprimere attivamente e, in
ultimo, imparare a non prescindere dalle emozioni ma ad utilizzarle adeguatamente
e in maniera efficace.
Il più volte citato Bruner, adotta un approccio di tipo culturalista nel riferirsi alla
mente. Esso prende ispirazione da un dato evolutivo, vale a dire quello per cui la
mente umana non potrebbe esistere in assenza di significati condivisi, in assenza di
un contesto sociale e culturale che la contenga (68).
“Fare significato”, implica situare ogni cosa con la quale si viene in contatto, a
partire da quelle che sembrerebbero semplici nozioni, in situazioni diverse e in
occasioni concrete. Partendo da una visione costruttivista della mente, allora,
l’educazione viene mirata all’aiuto dei giovani nell’uso degli strumenti, nella
ricerca di significati e nella costruzione della realtà, in maniera tale da riuscire ad
adattarsi meglio al mondo e dare il loro contributo.
Per fare questo, una collocazione culturale dei significati garantisce la negoziabilità
e, di conseguenza, la comunicabilità; ne deriva il fatto che conoscere e comunicare
siano due facce della stessa medaglia, per loro stessa natura quindi, profondamente
interdipendenti.
Nella società contemporanea, più che in qualsiasi altra epoca storica conosciuta, i
limiti della comunicazione non sono più così netti. Il web offre opportunità di
interazione e scambio senza precedenti, le tecnologie moderne hanno il merito di
82
Conclusioni
permettere, come abbiamo visto, di comunicare su più livelli, di agire su più canali,
rendendo l’oggetto della comunicazione più ricco e completo.
Nel dire che la mente, quando posta in certe condizioni, apprenda meglio e più
facilmente grazie all’impiego della multimedialità, non significa affatto riformulare
in forma computabile le teorie classiche dell’insegnamento e dell’apprendimento.
Certo, componendo e facendo opportune associazioni tra sistemi concepiti
comunque come separati, si guadagna in chiarezza. Ma spesso la qualità e la forza
degli interventi rimangono le stesse.
L’approccio culturalista all’educazione, associato anche all’uso di questi strumenti,
porta innanzi tutto a farsi alcune domande piuttosto interessanti, come ad esempio
quale sia, in effetti, la funzione che svolge l’educazione nella cultura, e che ruolo
essa abbia nella vita di quanti operano al suo interno. Fondamentalmente quindi: “a
che cosa serve?”.
Questo punto di partenza è particolarmente in armonia con quanto è stato
sviluppato fino ad ora, in quanto:
- Comprende, nella sua sfera d’azione, l’assunto secondo il quale ognuno
costruisce la propria realtà;
- Non esclude il mondo esterno il alcun modo, non concepisce la mente in senso
isolato e scisso dal contesto in cui si trova;
- Sostiene che l’unico modo per conoscere avvenga attraverso le proprietà della
mente e attraverso i sistemi simbolici su cui la mente fa affidamento;
- Riserva un ruolo di primo piano all’emozione e al sentimento, dimensioni
connaturate nella ricerca di significati e nel dare interpretazioni della realtà.
Il senso dell’impiego delle tecnologie educative, risiede essenzialmente nella
possibilità di allargare l’oggetto della conoscenza, sia nel mondo personale
dell’individuo (grazie alle sue forme di linguaggio multicodice, all’opportunità di
avere un ruolo attivo nel loro utilizzo, e così via), sia ad un livello interpersonale
più ampio, fino a costituire vere e proprie “comunità di conoscenza”.
Nel parlare di conoscenza, è quasi d’obbligo mettere in evidenza la sua distinzione
con l’informazione (69).
83
Conclusioni
L’informazione è innanzi tutto discreta, lineare e ordinata. La conoscenza invece, è
strutturata in reti, connessioni, ha bisogno di essere costruita e ricostruita come
reticolo di significati.
L’informazione inoltre, non ha bisogno di essere contestualizzata, e ben si sposa
con la tradizione pedagogica occidentale che sa rinunciare volentieri
all’intersoggettività, pur di non intaccare il senso di (illusoria) chiarezza connessa
all’insegnamento stesso.
Il fatto è che, stando al buon senso e all’esperienza, solo una piccolissima parte del
processo educativo avviene con la trasmissione del sapere da docenti onniscienti
ad allievi che ignorano del tutto l’argomento in questione, per di più di temi a sé
stanti, privati di ogni legame tra loro e concepiti come micromondi paralleli.
Il senso di padronanza, di giudizio costruttivo e di fiducia in se stessi, non sono
però competenze che si sviluppano in un regime di “trasmissione” a senso unico,
ma sono abilità che si originano solo ed esclusivamente nella condivisione dei
ruoli e nella ricerca di coerenza e fili conduttori tra le varie discipline.
Certo si deve rinunciare a qualcosa, come alla chiarezza che offre una visione
monoculare dei fatti, ad esempio. Ma se si riuscisse, si sarebbe sorpresi di scoprire
che siano proprio l’ambiguità, la conflittualità e l’incertezza a facilitare la
costruzione di conoscenza, dimensioni che semmai impediscono solamente la
trasmissione di semplici informazioni.
La creazione di conoscenza attraverso l’impiego delle tecnologie, non è un
processo meccanico riconducibile al trasferimento di dati tramite un processore,
ma è un processo creativo, interattivo, che comporta necessariamente un’attività di
ristrutturazione interna degli schemi e dei significati già posseduti dalle persone
coinvolte, quasi mai condotta in maniera lineare e sequenziale.
Un ruolo cruciale anche in questo caso, rimane la collaborazione che, in presenza
o in rete, va comunque costruita.
Scrive Bruner: “ci portiamo dietro abitudini di pensiero e gusti nati per impulso di
un certo insegnante in un’aula scolastica ormai quasi dimenticata. Ne ricordo uno
che ci diede il gusto, come classe, di trovare interpretazioni “meno ovvie” degli
84
Conclusioni
eventi storici. Imparammo ad azzardare senza imbarazzo le idee più pazzesche.
Quell’insegnante ci aiutò a inventare una tradizione.”
Per poter fare dei passi in avanti nel difficile mestiere dell’educazione, sembra
dunque che sia necessario reinventare continuamente quel tipo di tradizione, cosa
possibile solo se si insegna ai bambini e ai ragazzi a trattare le idee con rispetto,
con un atteggiamento pragmatico e attivo, fare in modo che siano impegnati a
giustificare la risoluzione di un problema in maniera critica. Ma, soprattutto,
incentivare alla elaborazione di una loro risoluzione, di una loro idea, e questo è
tanto più semplice quanto più il focus dell’attenzione è centrato su temi e strumenti
che si avvicinino al loro mondo.
In questo senso, l’accoglimento del nuovo e degli strumenti che offre una società,
può essere vantaggioso. Ma ancora di più lo sarebbe se in esse, allora, chi è
chiamato ad utilizzarle, riuscisse a vedere se stesso.
85
Note
NOTE
INTRODUZIONE
(1) Sono stati scelti a questo scopo, per la necessità di affrontare l’argomento in sintesi, gli
approcci che maggiormente si sono accostati ad esso da un punto di vista cognitivo, sia perché
più idonei con la traccia in questione, sia per riuscire a svilupparne i punti essenziali verso una
prospettiva costruttivista.
1 – L’INCONTRO TRA SCUOLA E MEDIA
(1) Calvani, 1990.
(2) Riva, intervista su http://www.w3.org/TR/REC_html40 .
(3) Galliani, in Galliani, Luchi, Varisco, 2001.
(4) Papert, 1994.
(5) In Mason e Varisco, 1990. Citato da Calvani, 1990.
(6) Greenfield, 1985.
(7) Questi giochi si trovano on-line sul sito www.selfesteemgames.mcgill.ca.
2 – STRUMENTI DELL’EDUCAZIONE
(8) Landow, 1998.
(9) La tassonomia è di Fry, ripresa da Calvani, 1990.
(10)Galliani, in Galliani, Luchi, Varisco, 2001.
(11)Nel 1938 un articolo del New York Times prevedeva che la matita sarebbe scomparsa, sostituita
dalla macchina da scrivere elettrica!
(12)Calvani, 1990.
(13)Ottimi, a questo proposito, sono i programmi che consentono di visualizzare la struttura globale
ad ogni passaggio, consentendo un feedback continuo della posizione in cui ci si trova.
(14)Giunti, 1978.
(15)Ibidem.
86
Note
(16)Agazzi, 1972.
(17)Giunti, 1978.
3 – PSICOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO
(18)Miller, 1994.
(19)Per un approfondimento sul tema, si veda Salese su
http://www.sicap.it/merciai/psicosomatica/students/salese.htm .
(20)Pribram, 1991.
(21)Capra, 1984.
(22)Skinner, 1980.
(23)Papert, 1994.
(24)Skinner, 1957.
(25)Tolman, 1948.
(26)Craik, Lockhart, 1972.
(27)Chomsky, 1980.
(28)Miller, 1956.
(29)Newell, Simon, 1961.
(30)Bruner et al., 1968.
(31)Bruner, 1992.
(32)Bruner, 1974.
(33)Kelly, 1955.
(34)Lashley, 1979.
(35)Piaget, 1952.
(36)Miller, 1994.
(37)Piaget, 1972.
(38)Piaget, 1952. Il corsivo è mio.
(39)Bandura, 1965.
(40)Varisco, in Galliani, Luchi, Varisco, 2001.
(41)Vygotskij, 1973.
(42)Papert, 1994.
87
Note
(43)Intervista su MediaMente, "Come sarà la scuola del prossimo millennio", su
http://www.mediamente.rai.it/mmold/home/bibliote/intervis/p/papert02.htm .
4 – TEORIE E PRATICHE DIDATTICHE
(44)Varisco, in Galliani, Luchi, Varisco (2001).
(45)McLuhan, Fiore, 1968.
(46) De Kerckhove, 1993.
(47)Varisco, in Galliani, Luchi, Varisco, 2001.
(48)Bruner, 1974.
(49)Bruner, Oliver, Greenfield et al.,1968.
(50)Bruner, 1988.
(51)Bruner, 1992.
(52)Olson, Bruner, 1974.
(53)Olson, 1979.
(54)Gardner, 1987.
(55)È il caso del videodisco The adventures of Jasper Woodbury, creato dal The cognition and
Technological group dell’ Università di Vanderbilt.
(56)Spiro et al., 1995.
(57)Lèvy, 1992.
(58)Lèvy, 1996.
5 – APPRENDERE... CON EMOZIONE
(59)James, 1884.
(60)Schachter, Singer, 1962.
(61)Arnold, 1960.
(62)LeDoux, 1998.
(63)Isen, 2000.
(64)Damasio, 1994.
(65)Estrada, Isen, Young, 1994.
(66)In Goleman e Dalai Lama, 2003.
(67)Ibidem.
88
Bibliografia
BIBLIOGRAFIA
Agazzi, A., Interdisciplinarietà e educazione, Scuola e Didattica, n. 6, La Scuola, Brescia,1972.
Andrè, C., Lelord, F., La forza delle emozioni, Milano, Corbaccio, 2002.
Argyle, M., Il corpo e il suo linguaggio - Studi sulla comunicazione non verbale, Bologna,Zanichelli, 1992.
Arnold, M., Emotion and Personality, New York, Columbia University Press, 1960
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Per informazioni o approfondimenti:
Per la progettazione e la stesura di questo lavoro, desidero ringraziare per la stima e la fiducia la Prof.ssaMarina Spadaro e la Sig.ra Anita Eritreo; per il ricco materiale fornitomi, la Dott.ssa Alda Cosola; per ipreziosi consigli, Alessia Salese; per la revisione e l’incoraggiamento, il Dott. Giampiero Berardo e l’Ing.Paolo Fasce. Un ringraziamento di cuore al Dott. Luca Bertolotti, instancabile motore di entusiasmo, pazienza e sostegno.
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