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Dai longobardi ai largabandi Quattro anni di dibattiti politici ed eventi pratici nel mondo digitale: TLC, ICT, TV, stampa, social e tablet
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Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Giuseppe Mele
Dai Longobardi ai Bandalarghi
Digital Renzakt Agenda
Manuale per buddies, bandìti, bandisti e bànditi
sul perché e come l’Italia resti , a prescindere,
digitalmente divisa
Roma 2014
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Digitale ................................................................................................................................3 2014 Sindacato del terziario, sindacato digitale .....................................................................3 2014 Bradbury......................................................................................................................6 2014 Infoproviding unge le ruote di Internet .......................................................................12 2014 Privet, ecco il tuo antivirus. Te lo regala Putin. ...........................................................16 2014 Cultura e Digitale .......................................................................................................28 2014 Prato Il miglior comune digitale è di destra.................................................................29 2014 Agenda Digitale tre domande .....................................................................................32 2014 Fiera Smau, Satira (per) Marino automatizzata usabile ...............................................36 2014 I sindacati su Internet, Telecom e Agenda...................................................................39 2014 Consultazioni on line, interattive come il marmo ........................................................43 2013 Agcom, via il guru. Perchè non sostituirlo con un networker? .....................................48 2013 Siae al voto ................................................................................................................50 2013 La coalizione europea recluta farfalle .........................................................................56 2013 Travetelecom e pagliuzza cinese.................................................................................60 2013 Alleanza digitale ........................................................................................................64 2013 Lavoratori digitali ......................................................................................................68 2013 Agcom, via il guru. Perchè non sostituirlo con un networker? .....................................71 2013 Unico EuroTlc e Napodigitali .................................................................................73 2013 C’è Silvio e Silvio ......................................................................................................79 2013 Tutti gli uomini del telelavoro ....................................................................................83 2013 Tlc sotto custodia partitica..........................................................................................87 2013 Digital Compakt.........................................................................................................92 Antefatti della cronaca dell'assemblea Telecom 1 ................................................................97 2013 Assemblea Telecom 2 ..............................................................................................102 2013 Twittercronaca dell’Assemblea ................................................................................106 2012 Parisi ci riprova ........................................................................................................111 2012 E-alamein.................................................................................................................114 SMAU e FORUMPA........................................................................................................118 13 gennaioI 2010 I blogger, più vecchi che mai.................................................................124 2 febbraio 2010 Gentiloni dà ragione a Cicchitto: il si al broadband è un no a Telefonica ..124 2010 6 agosto Questa volta meglio Telecom che Fiat, anche per PIRANI, segrettario UIL.128 Parisi, il pacificatore tlc ....................................................................................................131 2012 Web o Press .............................................................................................................135 2012 IT, cause & casualità Il blog di Antonio Romano......................................................138 1 ottobre 2007 Intervista a Antonio Romano /ICT European Forum ..................................141 ICT, L’Europa e la necessità di un regolatorio unico .........................................................145 2012 Scorpora et impera ...................................................................................................147
Stampa ........................................................................................................................150 2014 Ordine dei Giornalisti, irriformabile ma deformabile ................................................150 2014 Forbice ex cattedra scorrettamente loquente .............................................................155 2013 Mi manda Ciccone ...................................................................................................158 2013 Il voto vecchio dei giornalisti ...................................................................................164 2012 Resamanifesta ..........................................................................................................168 2011 Gadmentana .............................................................................................................172
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Digitale
2014 Sindacato del terziario, sindacato digitale
Il professor Paolo Feltrin dell’università di Trieste (ma come tende a
esplicitare, veneto) da anni si occupa del settore economico terziario. Ha
studiato la realtà specifica trevigiana, quella del nordest e poi nazionale,
coinvolgendo la ricerca triestina che tra Consorzio, In Nova, e
NovaImprese, accanto allo sviluppo di Finest è esempio mirabile di lavoro
comune tra lavoro e analisi. Alla convention UilTucs, al teatro Brancaccio
di Roma, sulla sua piattaforma analitica si è sviluppata la vision
collaborativa ed avanzata del sindacato Uil del commercio e servizi.
Potrebbe meravigliare perché Feltrin, in modo tranchant, non esita con
identica voce, davanti all’accademia, ai datori ed al sindacato a presentare
una realtà secca. A partire dall’importanza, che in ogni discorso, oggi
hanno i dati (senza cadere nella polemica tra fautori du open data e big
data) che sono, come sempre, a rischio di deformazione a vantaggio di
analisi e interpretazioni premasticate ed indirizzate ideologicamente. Dati
che pretendono una retorica concisa, stretta, quasi slogan elementare.
Tutt’oggi per qualcuno sembra non passato il tempo dell’abilità dialettica
nel secolo scorso quando l’oratore capace parlava mezzora senza un punto.
I dati giudicano e mostrano dove le tendenze portano nel bene e nel male. I
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
dati dicono che il terziario pesa il 70-80% economico a seconda dei paesi e
delle regioni europee. Il suo ruolo centrale nella vita economica e sociale
cresce di pari passo con il mercato unico globalizzato. Dato fondamentale
italiano, ed ancora più tedesco, è l’evoluzione del terziario in connessione
al manifatturiero. Se nell’impostazione anglosassone, dominante sui
mercati il terziario sostituisce la produzione metalmeccanica ed elettronica
che semplicemente si sposta in altre zone, tipicamente asiatiche, in una
sorta di gigantesca delocalizzazione, in quella italiana terziario e
produzione industriale si intrecciano e per certe parti si fondono, così che lo
sviluppo del primo traina anche il secondo. L’Europa che punta
all’obiettivo manifatturiero del 20% del Pil per il 2020, lo dovrebbe trovare
seguendo l’esempio italiano premiando il restante 80 del terziario. La voce
del lavoro non può privilegiare la discussione dettata dai ritmi della
fabbrica produttiva, ma deve, per contarsi e contare, privilegiare l’intera
filiera di cui il terziario assume il ruolo più importante, quello di
interlocutore finale, sia del cliente che del mercato internazionale. Il
terziario pretende una nuova contrattazione, non interna agli storici soggetti
di lavoro e capitale, ma tra il loro insieme ell’esterno, definibile come
consumatore globale, in senso lato. L’incapacità italiana di arrivare a
questo risultato è il dato terribile del posizionamento del Belpaese, leader
induscusso mondiale per cultura umana e materiale, al solo quinto posto tra
le località percettive di turismo. Turismo, che come noto, viene conteggiato
come export e che resta per il terziario al 15%, rispetto ad un peso globale
di Pil del 72%. Contrattare e bene con il consumatore; rappresentare
l’insieme della filiera produttiva e di servizi, senza cadere nelle
disquisizioni (distretto industriale o rete d’imprese? Grandi o piccolo-
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Giuseppe Mele 2014
medio imprese?) e trovare l’unione in un terziario, tanto grande, quanto
diviso nelle attività. Non è terziario solo il commercio o l’insieme del
business turistico, lo è anche la Pubblica Amministrazione; lo è la banca, lo
sono i servizi tradizionali e innovativi alle imprese ed alle persone, lo è la
comunicazione. La difficoltà dell’uso di parole diverse, mantenute in vita a
scopo divisivo, mantiene in piedi muri tra cose identiche. Un tempo il
terziario avanzato comprendeva le imprese di servizio ad elevato fattore
tecnologico e ricerca, quelle dell'elaborazione dati (informatica ) e della
loro trasmissione ( telematica ). Lo si intendeva come il quarto settore,
caratterizzato dall’ avanzato know-how tecnoscientifico, separandolo dagli
stessi servizi del terziario, oltre che da industria ed agricoltura. Le cose
sono cambiate. Il terziario avanzato oggi è l’economia digitale che a grandi
passi, sta inglobando in sé, larga parte dei servizi pubblici e privati.
tradizionali e innovativi alle imprese ed alle persone Pur restando limitata
l’area produttiva dei sistemi digitali ( 2 milioni di lavoratori in Europa),
gran parte degli addetti ai servizi ( il 70% degli occupati italiani e l’80%
degli occupati al nord), oggi, all’interno di quei sistemi, elaborano e
trasmettono dati. Si lamenta giustamente la debolezza politica del lavoro
del terziario che non riesce a far sentire la propria voce, tra frammentazione
pulviscolare delle imprese e diversità delle tipologie di lavoro La realtà
presentata dalla ricerca, evidenzia l’integrazione servizi- industria, che è
naturale innovazione e facilita l’ingresso delle professionalità; la domanda
di internazionalizzazione come sviluppo della distribuzione organizzata e
non della burocrazia, la politica del turismo e del patrimonio culturale
come una cosa sola, la domanda di formazione continua come
ristrutturazione universitaria a favore del lavoro, nuovi welfare e
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
occupabilità a misura degli equilibri demografici della società più anziana.
distinguendo tra i naturali poteri centrali e territoriali, che non può ignorare.
C’è un richiamo alla capacità privata delle parti sociali di regolare e
regolarsi, dal credito alla concorrenza, dalla produttività al costo del lavoro
ed al modello a due livelli contrattuale, che si traduce in censura le cattive
scelte della politica ed arriva proprio quando la politica sembra voler
passare, di nuovo, sopra sindati e datori. Feltrin e Uiltucs ci dicono che
l’industria tende a far parte del terziario. Il passo successivo è vedere
l’identità tra terziario e digitale, dai sistemi di vendita e pagamento globali,
alla logistica, vigilanza e scurezza del lavoro nelle smart cities, alla fusione
di servizi virtuali e materiali del turismo, alla convergenza strumenti e
contenuti editoriali e artigianali, alla ricerca di snellezza nell’offerta di
servizi per le necessità personali, oggi sottoposte al pesante slalom tra
burocrazia e lavoro dequalificato. E’ il comune piano digitale che può
mettere a fattore comune questo peso reale, sottovalutato nella retorica dei
dati usati dalla politica e dagli attori più forti. Di tutti i sindacati, la Uil è
quello che meno ha inseguito soluzioni e conflitti facili attenendosi al
contesto reale, non a quello immaginato, presunto, condannato o sperato.
L’importanza della rappresentanza del terziario presentata dalla UilTcs ne è
un esempio. Solo, però, l’intero campo delle filiere servizi può rivendicare
un ruolo nell’unico mercato digitale, che è al tempo stesso avversario,
cliente e contraentee. Il richiamo nelle tesi confederali ad un’agenda
digitale Uil chiama il sindacato al suo ruolo nel mondo del terziario e
terziario avanzato, oggi entrambi digitali.
2014 Bradbury
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Le cronache marziane trattano di un via vai tra la Terra e Marte, dei
tentativi dei terrestri di giungere nel pianeta rosso e di quelli, avvolgenti e
depistanti, dei marziani per respingerli. I marziani fermano anche con gli
stratagemmi più strani, quali pistole che sparano api, manicomi e parenti
serpenti, le prime tre spedizioni terrestri. Alla quarta soccombono ed al
contatto con gli umani muoiono tutti di morbillo. Le ondate, come di
locuste, dei coloni si seguono una all’altra, di donne, preti peregrini, vecchi
turisti, fino alla partenza di tutti i negri dalla Terra ed all’arrivo dei censori
legislatori che erano stati causa delle partenze, finchè gli invasori si fanno
90mila e cambiano i nomi di tutte le cose. La presenza marziana sussiste
però, nella rivolta del singolo terrestre a loro difesa, nella vita passata su un
altro piano-spazio temporale, nel canto trasparente e inafferabile, nella
danza di sfere, nel volteggiare delle scaglie nere dei corpi bruciati marziani.
Scoppia la guerra sulla Terra. L’evento, inspiegabilmente invece di
trattenerli, riporta i coloni terrestri indietro, finchè a rimanere restano in
pochi: un truce e materialista venditore di hotdog cui viene lasciata
l’eredità dell’inutile latifondo marziano, famiglie di robot, una coppia che
non si sopporta e case in costante manutenzione domotica grazie a
ingranaggi metà automatici metà animali. Alla fine le cronache, nel loro
gioco girevole, riportano le cose al punto di partenza. Nell’immanente
selfdestruction della Terra, un’ultima famiglia si rifugia su Marte dove
scopre, a sé ed agli altri, la propria reale identità marziana, di pelle d’ambra
e di occhi dorati, fari luccicanti che riescono a vedere l’agitarsi scomparso
delle antiche acque nei letti di fiumi e mari disseccati. E’ una favola
fortemente impregnata dei miti degli anni in cui venne scritta. La Guerra,
nello sforzo ciclopico dei contendenti, mentre le vite comuni venivano
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Giuseppe Mele 2014
straziate a milioni, aveva fatto raggiungere livelli sconosciuti alla scienza
ed alle conseguenti applicazioni tecnologiche. Il mondo, che sei anni prima,
si gingillava ancora con parate di cavalleria e feluche, era pronto per robot,
automazioni, messaggi via radio, decrittazioni enigmistiche, missili, funghi
atomici, veicoli giganteschi, aerei e spaziali. I popoli, trasformati
nell’incrocio tra derive ipernazionaliste e incontro forzato bellico, non
erano più i soliti baroni e contadini dei secoli passati, ma figure simboliche
letterarioideologiche: i comunisti russi rossi, gli ebrei ricchi e scheletriti;
tedeschi ed altri eredi del sacro romano impero germanico avevano perso il
loro nome in favore di quello omnicomprensivo di fascisti. Gli stessi
americani, tra cui l’autore, si vedevano diversi e irroconoscibili tra loro: i
contadini del mid West, la New York etnica e intellettuale, le razze non
mescolabili bianca e nera. Poi l’effetto magico dello scentismo e del
sociologismo spinto all’eccesso piano piano sfumò fino all’apogeo ed alla
fine della guerra fredda, tra navi missilistiche e giganteschi ponti aerei.
L’autore, l’americano Ray Bradbuy negli ultimi anni criticò l’approccio
attuale alla tecnologia, in particolare il fanatismo giovanile per i marchi più
trendy sia di tablet che di social network. Ora che tutti gli umani potrebbero
essere marziani, sembrava dire, appaiono come cortigiani ammirati di
oggetti di cui non comprendono l’afflatto tecnomagico, ma solo il richiamo
da belletto di moda. Oggi le cronache marziane assumono un altro senso.
Sono il futuro incombente, di cui non si conosce il momento ma di cui è
noto già lo schema. Non è più valida la minaccia bellica, che quando uscì il
racconto, specchiava la forza degli Usa, allora unica potenza atomica. La
distruzione della Terra, dei suoi schemi politici, sociali ed economici, sta
ineluttabilmente nella compenetrazione di Marte che ormai le è già entrato
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Giuseppe Mele 2014
dentro. Il potere tecnologico, nitido nella sua linearità formale, svuota ogni
altro potere e detta anche le modalità della comunicazione degli istinti.
Fino all’ultimo i terrestri, immutabili a se stessi, non compredono,
reagiscono, minacciano e piangono. Nella progessiva disuguaglianza e
immortalità promesse dalla tecnologia, un giorno si accorgeranno di non
essere più se stessi, forse marziani, forse robot, forse l’uno e l’altro.
Bradbury è scomparso nel 2012 nella stima e apprezzamento della migliore
cerchia intellettuale. 7 romanzi, 600 novelle, 8 milioni di copie pubblicate,
tradotte in 36 lingue, frutto di un’istruzione fondata sulla frequentazione di
biblioteche non tolgono l’impressione di una sorta di furba pigrizia
dell’autore. I suoi scritti erano brevi, poi ricomposti nell’unità romanzesca
in un collagene connettivo che lasciava i simgoli oggetti letterari fruibili
anche isoltamente. Cambiò il modo di pensare della gente non solo per i
contenuti ma anche per questa scrittura a oggetti, quasi come un software,
webclip series, o script pubblicitari il che ne fa il primo autore digitale. Non
ha avuto però grandi onori, folle alle esequie, ore di dibattiti in Tv, premi
d’eccellenza. Al contrario ad esempio delle Doris Lessing, cantrice scettica
dell’esperienza femminile, premio Nobel per la letteratura nel 2007 o della
canadese Alice Munro, Nobel 2013, non ne ha mai vinto uno. Con la
Munro ha potuto convididere solo le onorificenze del regno dell’isola
letteraria di Redonda che ha fatto lei duchessa dell'Ontario nel 2005 e lui
duca di Diente nel 2006. Le onorificenze del cofondatore della fantascienza
fanno sorridere: il premio World Fantasy Life, il Grand Master Award,
l’Horror Writers Association Life ed il Grandmaster dell’Horror. Almeno i
francesi l’hanno fatto nel 2007 Commendatore. E quelli del Pulitzer, non
potendolo premiare come giornalista, lo omaggiarono come innarrivabile
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
scrittore di fantasy. Difficile che a Bradbury sia veramente importato.
Leggerissimo e concretissimo, lo scrittore dell’Illinois aveva un timbro di
soave superficialità volteriana che intrigava, disturbava, attirava e faceva
pensare senza clamori, senza urli, senza comizi, senza ulcere ma con
sottilità come avrebbero detto King ed i nipoti di Tolkien. E a proposito,
nel ’61 il comitato svedese Nobel ritenne Tolkien " di seconda categoria";
poi con i premi a Fo, Arafat e Obama decise del tutto di trasformarsi in
istituzione satirica. Ray ne avrebbe riso soavemente a lungo. Il suo viso era
l’altra faccia dell’espressione nevrotica di Allen, la sua ironia soffice
quanto psichiatrica era quella del secondo. Messe radici in California,
Bradbury, senza isterie, visse nel mercato della domanda e dell’offerta e da
lavoratore, si comportò anche editorialmente, divenendo cinesceneggiatore
proprio come si sarebbe proposto come menestrello alla corte di re Artù.
L’uomo della fuga verso Marte aveva grande attenzione per la terra dove
poggiava saldamente i piedi, per il pubblico i cui gusti vellicava, senza farsi
trascinare dalla sua dittatura; mentre considerava filosofia e politica come
una trombonata di mode, che come le gonne un anno vanno corte, un anno
vanno lunghe, così senza una ragione. Al contrario di altri autori dello
stesso filone, mantenne un serafico distacco dall’elettricità nervosa dei suoi
messaggi. Potè a lungo troneggiare sulla fama giunta presto, grazie alle
Martian Chronicles del 1950, all’Illustrated Man del ’51, a “Fahrenheit 451
( da cui il film di Truffaut del ’66) e The Golden Apples of the Sun del ’53.
Poiché non fu uno scrittore maledetto dalla vita breve, come il suo erede
Philip Dick, sparito a 54 anni, non ebbe la fama popolare che si sarebbe
meritato. Dalla tecnologia, d’altronde, ci si attende la medesima
trasmissione del melodramma della nevrosi rosa dalla sua stessa immagine;
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
si pretende che vi compaiano stupefacenti chimici giusto per il senso della
contemporaneità. Per guardare gli schermi tridimensionali, invece, bisogna
togliersi i G-glasses ed inforcare gli occhi marziani del 92enne Ray, un
autore digitale, che poteva prescindere dal supporto infomatico.
Tè Tè
Olimpia humanum est, Telco diabolicum
Telecom, si ha controllo di fatto anche se un soggetto (Telefonica) pur disponendo meno del 30% dei voti, controlli ripetutamente l'assemblea di una società quotata (Telecom Italia). Telco (Telefonica) dovrebbe consolidare i conti di Telecom? Ne verrebbe fuori un debito stratosferico, 100 miliardi, somma di due aziende indebitate-. Tutti vogliono lo scorporo della rete, ma non Telefonica. L'Europa lo vuole L'Agcom lo vuole di autorità Telecom lo vuole con l'entrata di nuovi soci privati stranieri. CDP di Bassanini\Gamberale lo vuole Il governo lo vuole, una parte è contraria all’entrata CDP Stride l’assenza di collegamento tra crisi Telecom e lo stop effettivo di Agenda digitale e; il calo dei fatturati dei contenuti (digitali e non) di stampa, Tv, show, IT, pubblicità, l’impasse europea di fronte agli aggressivi competitor Usa.
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
2014 Infoproviding unge le ruote di Internet
Le ruote dell’economia Internet devono essere oliate per correre più
velocemente. In altre parole l’economia digitale incontra troppe resistenze,
freni e ritardi per esplodere del tutto, resistenze che si trovano nelle
infrastrutture nell’industria, nelle persone e nell’informazione. Si tratta del
titolo e dell’idea portante del rapporto Boston Consulting Group del
gennaio scorso. Nata 50 anni fa BCG è uno dei colossi dell’infoproviding
mondiale (fatturato €2,7 miliardi, seguita da Idg a 2,5 e da McKinsey e
Bain & Company. Una digressione necessaria sull’infoproviding,
letteralmente fornitura di informazioni. In Europa, a parte l’UK, solo la
Commissione sostiene il business delle indagini, consultazioni, statistiche e
sondaggi applicati all’economia. L’Europa conosce la propaganda e non
riesce a dare peso politico alla pubblicità, equiparata ntellettualmente
all’enigmistica. L’infoproviding –si è sviluppato all’incrocio degli studi
statistici informatici con quelli finanziario-borsistici. Si è sviluppato nella
consulenza d’impresa soprattutto lato investimenti ed acquisti ma da anni è
divenuto la fonte primaria di ogni analisi economica e sociale e quindi
politologica. Gli studi delle Università e delle organizzazioni istituzionali
nazionali e internazionali sono un costo. L’infoproviding è invece un
profitto che non appare tale. Commissionato da enti pubblici e privati, si
propone come un punto di vista terzo, con un apprezzabile gusto di
sensibilità democratica, attenta alle opinioni di tutti, esperti e non, capace
di recepire punti di vista anche alternativi e libertari. Espressione naturale
del pensiero delle università Usa e delle grandi scelte occidentali,
l’apparente neutrale infoproviding ha sostenuto il liberoscambismo e la
politica Corretta; al tempo stesso imponendo i suoi modelli, schemi e dati.
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Il dibattito nazionale, spesso, senza neanche accorgersene, si basa e fa
riferimento ai dati ed agli slogan ripresi, paro paro, dall’infoproviding.
Ovviamente c’è chi contesta, a livello accademico e professionale, questo o
quel dato: basti pensare al flop subito dal rapporto sulla pirateria del
software, rivelatosi un boomerang per la committenza dell’industria IT. La
singola contestazione non fa però presa sull’incessante marea di rapporti e
dati, tutta proiettata nella stessa direzione, che si fonda sulla credibilità
offertale dalle agenzie di rating. L’infoproviding fornisce il quadro delle
valutazioni che le rating agencies poi convertiranno in giudizi di valore, sui
quali i grandi fondi obbligazionari adegueranno i propri investimenti, con
conseguenze immediate per mercati, i profitti, i salari di ogni paese. Nel
contesto globale della digitalizzazione e soprattutto dei flussi finanziari
digitalizzati, l’infoproviding ha dunque un ruolo principe, di deus ex
machina. I paesi europei, tra cui l’Italia, si affannano attorno alle loro
regole interne di rapporto tra debito, produzione, investimenti esterni, ma
guardano troppo in basso. Alzassero lo sguardo, vedrebbero che il flusso
degli Ide, del debito, della produzione sono fortemente influenzati dagli
indicatori, dalle agenzie e soprattutto dall’infoproviding, Cercherebbero
allora di costruirsene uno proprio. Dovrebbe avere, però, un valore, uno
sguardo , una prospettiva globale; e l’Europa non ce l’ha. Ogni paese
costruisce un proprio infoproviding che guardando al proprio ombellico,
diventa per forza di cose, parte della grande narrazione globale. Non a caso
da anni la politica sociologica ha adottato questo termine, accostandolo al
primigenio “percezione”. Senza punti fermi, convinzioni chiare, la
politologia fa riferimento alle percezioni della gente e narra di una sua
interpretazione degli eventi. L’infoproving non è narrazione, non è
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percezione; è statistica, dati, numeri nei quali vengono tradotti anche i gusti
e le opinioni dei manager, dei responsabili, degli attori sociali. E’
l’approccio serio e reale contro il quale la fantasia romanzata della politica
appare l’opera di un dilettante. Non è un caso se all’inizio del 2014, il BCG
avverte necessità di chiedere una spinta sull’economia Internet,
letteralmente una oliata delle sue ruote. L’avvertimento è ancora più solido
se si guarda al committente, l’Icaan, Internet Corporation for assigned
Name and Numbers. L’Icaan, con il nuovo protocollo di comunicazione
Ip6, ha aumentato esponenzialmente la possibile presenza di utenti, enti,
imprese ma soprattutto servizi automatizzati sul web, creando anche 700
nuovi suffissi di dominio di primo livello (es..shop, .photo, .auto), destinati
a crescere ulteriormente; è sempre di più il governo della Rete mondiale in
mano Usa, dopo il fallimento dell’Itu, agenzia Onu telecomunicazioni di
riprendere un ruolo istituzionale. L’avvertimento Bgc c’è stato anche al
forum economico di Davos: nei primi 20 paesi l’economia digitale varrà
€3200 miliardi (1300 nel 2010), di cui 730 in e-commerce per il 45% della
popolazione mondiale, con un miliardo di nuovi utenti. Allo stesso palco
l’Ilo, altra agenzia Onu parlava della crescita della dissocupazione
mondiale e metteva in dubbio la panacea della formazione digitale (“Global
employment, risk of jobless recovery”). L’avvertimento arriva mentre
l’Europa, appreso di essere spiata oltreoceano, pensa ad una rete sicura, a
frenare sulla rete unica, sulla sua neutralità, cioè sull’attuale assenza
“doganale” virtuale di controlli sui contenuti. Arriva mentre si discute
l’accordo di libero scambio Usa-Ue (TTIP), cioè del 50% del Pil mondiale,
del quasi 60% dell’economia digitale e del 30% degli scambi mondiali.
Anche qui gli “studi indipendenti” del londinese Centre for Economic
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Giuseppe Mele 2014
Policy Research (Cepr) tanto per cambiare, promettono nuova crescita
(€540 a famiglia l’anno) nuovi prodotti e servizi, prezzi bassi, introiti
fiscali, nuovo lavoro per €90 miliardi agli americani, 120 agli europei e 100
al resto del mondo, oltre a migliori salute, sicurezza, ambiente e diritti dei
lavoratori. Dietro al network del CEPR (750 ricercatori di 237 università)
ci sono sponsor tutte le banche mondiali pubbliche e private, dalla Bce in
giù, a parte, per pruderie, la Fed. L’Europa si è accorta che avere un lavoro
non esime dalla povertà, e non solo in Italia, Portogallo, Spagna, ma anche
in Danimarca (rapporto su I rischi della povertà lavorativa). Lo richiama
Cacace dall’Isril denunciando una verità, non smentibile
dall’infoproviding: “Nei paesi industriali la crescita è strutturalmente bassa,
inferiore al 2% e l’elettronica distrugge più posti di lavoro di quanti ne
crea”. Si potrebbe emendare sostituemdo il più vasto digitale
all’elettronica, riprendendo le parole dell’Economist “Le innovazioni
tecnologiche non favoriscono più l’occupazione”. Non per questo il trend
digitale può fermarsi. L’infoproviding non ha torto evidenziandone i
miglioramenti nell’organizzazione economica e sociale. Pecca solo per
l’omessa verità. Il digitale ha bisogno di meno lavoratori rispetto ai clienti
necessari e quindi implica la necessità di nuove politiche del lavoro e degli
esteri perché come è evidente, indebolisce i relativi poteri nazionali. A
proposito il digitale si identifica nella politica industriale Usa, he spesso fa
bene agli altri ma non sempre. L’avvertimento Bcg è quindi americano ed
invita l’Europa a seguirla. E’ lo stesso tema dei colloqui TTIP, partiti nel
2013, destinati a durare tutto il 2014, dove l’Europa fin dal IV° round di
marzo, si farà assistere da 14 esperti volontari di cui 2 inglesi, 2 francesi, 2
tedeschi, 2 danesi, 2 belga, un olandese, un boemo, un finlandese ed una
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Giuseppe Mele 2014
spagnola. Neanche un italiano. 2 i rappresentanti sindacali ( inglese e
tedesco), 4 i datoriali (spagnola, tedesco, ceco e finlandese). La
maggioranza degli altri, ma soprattutto delle altre è in mano a associazioni
improbabili, fumose, non rappresentative, i cui portavoce rendono benbe
l’idea dei freak al potere del beat fattosi byte. Sono gli entusiasti
dell’infoproviding i cui estensori oltreoceano, a loro differenza, sono duri
lavoratori dell’edutainment (formazione per via pubblicitaria). I sindacati
europeo e americano (Ces e Afl) sono contrari all’accordo Usa-Ue, ma non
hanno ben argomentato la posizione. I sindacati dovrebbero prendere
cognizione delle cose, senza farsi innoluddisti; dovrebbero conquistarsi un
proprio infoproviding, magari a spese di quello istituzionale (pagato con le
tasse) e dovrebbero denunciare il middleware delle organizzazioni non
rappresentative, animate da belle cause e rappresentante da belle persone,
che stanno sostituendo loro ed i partiti negli spazi democratici. Magari
accellelare i tempi lenti della loro riflessione che rischia di essere bruciata
non solo dalla potenza ma soprattutto dai tempi velocissimi degli attori del
digitale.
2014 Privet, ecco il tuo antivirus. Te lo regala Putin.
Parte sbagliata, parte giusta (You were wrong, you were right) rigt to be
wrong
Secondo Washington, il presidente russo Putin è dalla parte sbagliata della
storia. La privacy informatica di Obama, invece sostiene che Putin è dalla
parte giusta, dato che computer e cellulari di Mr.President, sono protetti
dall’antivirus di Evgenij Kasperskij, amico ed ex collega Kgb del
presidente russo. Anche l’Interpol e la Ferrari si sono affidati alle cure di
Evgenij, già premiato nel 2010 come miglior amministratore delegato al
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
mondo ed eroe tecnologico nel 2012; in breve Mr Bezapasnosti, (alla
lettera senza pericolo), tradotto in sicurezza, quella presente nella B di Kgb
o dell’agenzia erede Fsb. Le due teste dell’aquila russa guardano a tutte le
sicurezze, quella materiale e militare delle occupazioni di Georgia o
Crimea, ed a quella virtuale e cibernetica. Appunto, la parte sbagliata e
quella giusta della storia, il passato ed il futuro, mondi paralleli e
intersecanti, dove i russi navigano a meraviglia tra internet e cyberware,
antichi muri e nuovi firewall.
Russi ultimi del web. Sembra ieri quando l’informatica russa era
considerata il punto debole del sistema sovietico, troppo sbilanciato
sull’hardware. A quell’epoca, 1987, Evgenij si
laureava alla Facoltà di Matematica della Scuola
Superiore del KGB (dal 1992 Institute of
Cryptography, Telecommunications and
Computer Science, Accademia dell'FSB).
Cominciava un decennio duramente segnato
dall’opinione pubblica mondiale, quando ogni
cosa russa non poteva che essere ridicola o
criminale e inutilmente l’accademico nostalgico
Alferov ricordava di essere anche lui un padre di
Internet. Il punto più basso fu toccato quando
Telecom Italia, allora Stet, già presente
stabilmente sul mercato, si comprò addirittura la rete telefonica del paese
(Sviazinvest, da cui dipendeva Rostelecom). Per metterci una pezza la
nuova nomenklatura parlò di traduzione erronea del contratto. L’evil
empire, l’impero del male era divenuta una evil gang.
Renzaurazione
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Evil gang Se gang doveva essere, che gang sia. Si è diffusa nel tempo la
leggenda degli hacker russi, forti di una altissima tradizione in logica,
scacchi, fisica, matematica e di grandi competenze tecniche diffuse.
Capacità corrobate da un altissimo patriottismo mischiato
contradditoriamente a cinismo, mercenarismo e gusto per abbattere le
regole del politicamente corretto, cioè dell’ideologia Internet, vale a dire
dell’ideologia americana. La leggenda si nutre del sospetto dell’alleanza, se
non del controllo da parte delle autorità russe sugli hacker, in quella sorta
di naturale dirigismo organico senza distinzioni tra privato e pubblico, tra
legge e azione tanto diffuso nelle nuove grandi economie. Chi ha ucciso
Eston Rabbit? Se l’Estonia del 2007, uno dei Paesi più informatizzati del
mondo, al top del summit Nato, veniva messo in ginocchio per giorni dal
blocco dei siti web di governo, banche e media, chi poteva essere stato se
non gli hacker russi? Chi aveva accecato le comunicazioni del ministero
degi esteri della Gruzia, per 3 giorni, mentre le truppe russe si schieravano
ai confini dell'Ossezia? Chi nel 2008 aveva mandato in tilt il sistema di
sicurezza del Pentagono? A marzo di quest’anno si è chiuso dopo 3 anni,
nel Wisconsin, Usa, il processo al re dello spam, Oleg Nikolayenko che dal
sobborgo moscovita di Vidnoye era riuscito a infettare mezzo milione di
computer trasformandoli in zombie, riceventi e mittenti ca. 10 miliardi di e-
mail spazzatura al giorno. A processo sono finiti anche 6 estoni russi,
accusati dall’Fbi di $ 14 milioni di cybertruffe.Leggende La leggenda a 20
anni dalla caduta del comunismo ha raggiunto il suo risultato: la Russia ha
scalato tutta la classifica del software fino alla serie A. I suoi 160 milioni di
utenti di socialnetwork non nascondono che l’economia digitale di Mosca
vale solo l’1% del mercato globale, doppiata anche dall’Italia; e che i
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cybercriminali in patria e russofoni, dal’estero, realizzano 4 volte ($4,5
miliardi) il fatturato legale. L’infoproviding russo Group Ib attestò nello
studio "Mercato russo dei crimini digitali" che il paese ne fosse la prima
vittima (36% di quota
mondiale). Dati non
inventati come quelli
sui livelli di
corruzione italiana,
ma risultati da
processi e rapporti di
polizia. Putin non si preoccupa troppo. L’economia russa è la meno digitale
tra i big. C’è chi parla di Russia, paradiso del web, con computer diffusi,
wi-fi gratuiti in ogni dove, boom di connessioni, social network, Città tutte
cablate in fibra, chi dallo Stato, chi dal Comune, chi dalle Ferrovie.
Nell’Urss costavano meno i libri del cibo. In Putinlandia costa meno il web
del formaggio. Russia 1% del digitale mondiale, 36% dell’hackeraggio
Comunque l’economia digitale EuroUsa detiene metà del mercato, con
Cina e India arriva al 75%. La criminalità digitale anglofona (40%)
corrisponde al suo mercato; ugualmente quella cinese al 18%. Quella
russofona, forte del 30% ha un eccesso, per così dire di competenze e per
forza di cose, è a disposiziome di tutti, pronta ad offrire quello che i
brezneviani chiamavano “aiuto fraterno. Quella dell’hacker russo
imbattibile è puro mito. Difficile però che s ritrovi coinvolto negli scontri
tra partiti\aziende, avvenuti per la gestione della sicurezza di palazzo Chigi,
passata dagli specialisti di Selex-Finmeccanica a Telecom Italia, non per
questione di competenza. Con il retropensierio che l’operatività richiesta
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non sia di difesa dall’esterno ma di controllo interno. A trasformare la
leggenda russa in realtà, ci hanno pensato Barack. Pentagono, Casa Bianca,
Cia e Fbi, affidando a 100 hacker giovani russi, asiatici, donne, il controllo
elettronico d’accesso alla rete idel governo e dell'amministrazione sotto il
controllo del Dipartimento alla Difesa. Non tanto convinti dai miti, ma dal
mercato. Russia sul mercato del web In Italia si oscilla tra l’idea che il
web sia solo America o solo Grillo e Teatro Valle Occupato. Il web ed il
digitale sono l’ideologia americana, ma da un certo tempo non sono più
solo economia americana. C’è stato un tempo, pochi anni, in cui un cattivo
monopolista univa tutti gli oppositori, fautori dell’Internet libero. Giovani
programmatori e bocconiani dell’antitrust europeo odiavano Microsoft, il
suo monopolio sulle finestre sul mondo Internet e dei server aziendali. Era
un continuo urlo contro l’evidente conflitto d’interessi e la minaccia alla
libertà di navigazione.
Allora la sicurezza dei
personal computer e delle
banche dati era in mano a
pochi marchi californiani,
Mcafee 1,6 mld e
Symantech (programma Norton), colossi da $1,6 e 6,19 di miliardi. Oggi,
Microsoft è molto rientrata nelle retrovie, Mcafee è stata comprata da Intel,
quella dei chip dentro la macchina. Symantech è stata acquistata da
Verisign, quella della firma digitale. E la sicurezza del mio, tuo, suo,
computer o cellulare è finita in mano ad un russo, gioviale, sorridente,
appena appena tarchiato, paradossalmente appassionato nei suoi viaggi,
dell’angolo della terra più disgraziato del territorio terreste simbolo delle
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disgrazie, la Kamchatka, penisola nordica della Siberia. Proprio quella del
Risiko. Il software che venne dal freddo Il signor Evgenij Valentinovic
Kasperskij infatti è un siberiano, originario della sua capitale scientifica
Novosibirsk. La sua azienda, tutta familiare, divisa con la prima delle tre
mogli ha fatto tutta la gavetta imponendosi sul mercato rionale, poi su
quello regionale e nazionale, su quello non occidentale per poi approdare
anche agli Usa e di rimbalzo in Europa. L'antivirus russo di Kaspersky ha
già invaso il 40% del mercato europeo, il 27% dell’estEuropa, Medio
Oriente e Africa, l 21% delle due Americhe ed un pezzetto di Cina (300
milioni di utenti ). In Italia, alle prime comparsate, si facevano grasse
risate. Come no, l’antivirus degli hacker cantinari. Poi, vedendolo scalare il
mercato Usa, hanno cambiato idea. I figli degli uomini Telecom che
dovevano comprarsi la telefonia russa, sono oggi, per contrappasso uomini
Kaspersky in Italia. Uno dei migliori risultati raggiunti in Occidente
assieme a quella Vimpelcom, operatore mobile, che si è comprata Wind,
l’ex mobile Enel. Se Vimpelcom nacque
in Usa, (in casa si chiama Sovintel) anche
Kaspersky Lab nacque fuori, in Uk. Tra
2009 e 2010 ha distribuito 20 milioni di
euro di dividendi (57% detenuto da
Kasperskij, 20% l’ex moglie)«Il nostro è
un lavoro senza fine. Non puoi distrarti un
solo secondo se vuoi conquistare il
mondo. Kaspersky primo, o quasi Sia
chiaro, Kaspersky vende per $628 milioni (3,3% del mercato complessivo)
ed è al livello di . Websense, Sophos, CA ed Eset. Anche se proprietà Intel,
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una McAfee fa $1,68 miliardi (+ 37%). Symantec, 3,75 miliardi (+2,6%),
Trend Micro, forte in Giappone, 1,17 miliardi (-2,7%). Quello che conta,
però, è che il mercato della sicurezza informatica cresce ed è ai
$20miliardi. Cresce negli Usa all’8 ed in Eurasia al 22%.%. Poi,
Symantech faceva 6 miliardi ora sta alla metà. Ha perso 7 punti di mercato,
McAfee 3. Sono tutte aziende nate negli ’80. Evgeni ha cominciato nel ’97
ed i suoi 3 punti li ha guadagnati. I sospetti sono venuti meno. Se il
prodotto è buono, si compra, anche se marcato Kgb school.E’ in ascesa. Per
questo lo chiamiano dovunque come un guru, secondo il principio Gartner
che dove i malware si sono sviluppati maggiorment, là cresce il mercato
dei prodotti di sicurezza. Tanto più che il biondo Valentinovic, con i suoi
800 milioni di patrimonio, non è un vero miliardario russo. Solo un tecno
filosofo, che difende la libertà del web, anche dall’America stessa. Cosa è
la sicurezza informatica Kaspersky è venuto anche a Roma, ospite di
Assintel e Confcommercio per una lectio magistralis affollatissima.
Moltissimi sono venuti con idee molto diverse su cosa sia questa benedetta
sicurezza. E se ne sono andati con la stessa confusione. Per esempio le
intercettazioni telefoniche fisse o mobili, che costituiscono un lauto
mercato di decine di milioni l’anno; il relativo circo con le trascrizioni che
finiscono in diretta via radio o su carta hanno poco a che vedere con la
sicurezza. I dati relativi erano protetti ma i custodi preposti, istituzioni e
media, hanno deciso di comportarsi come i loro avversari storici illegali. Se
ruba il padrone di casa ad un familiare, il ladro non c’entra. Le
intercettazioni no, lo spionaggio neanche Poi c’è l’intercettazione
globale, lo spionaggio a vasto raggio. Lo può fare solo chi ha la massa
critica sufficiente di reti, macchine e apparati per registrare miliardi di
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miliardi di dati. Gli Usa, benitenso, la Nato, altri paesi a livello regionale.
E’ spionaggio governativo, che secondo Kaspersky, non cambia i
comportamenti dei consumatori nei confronti di Internet: “Quanti di voi
non usano Google o la mail perché l’Nsa ci guarda?“, ha chiesto
provocatoriamente “Non hanno avuto nessun impatto, la gente continua ad
usare questi servizi”. Solo conseguenze repressive evidenti, dovute allo
spionaggio, implicano cambiamenti di comportamento e nel Nord del
mondo sono in gran parte desuete. Ecco, perché Wikileaks o le rivelazioni
di Edward Snowden non hanno cambiato un granchè. Si è detto che
Snowden, l’hacker, è venuto in Russia, paese degli hacker. Non è vero,
l’asil gli è stato offerto per un dispetto di rivalsa. Snowden un traditore A
Kasperskji, Snowden non piace. Lo considera un traditore. Lui o Putin mai
avrebbero fatto lo stesso. Potrà meravigliare, Kasperskji è un tifoso del
mercato unito, globalizzato; e come lui Putin. La lezione ell’isolazionismo
sovietico è stata ben assimilata. Per i due, poi stare in un mercato aperto,
non significa accettare le regole del banco. Cpncordando con i privati
padroni Usa di Internet, Kasperskji ci tiene che Stati e Rete restino distinti
ed indipendenti, che Internet non assuma mai frontiere geografiche. Se lo
spionaggio diventa troppo rilevante, la rete si ferma. Senza contare che
tutte le risorse economiche andrebbero in armamenti informatici. Italia
cyberaggressor Non ci sarebbe niente di peggio di una guerra informatica.
Riporterebbe all’età prescentifiica, senza macchine, flussi, energia. Un
panorama di fame, malattia, freddo. Verrebbe colpito chi è più digitalizzato
senza capire la provenienza degli attacchi. Oggi gli attacchi terroristici
informatici colpiscono soprattutto gli Usa, poi a distanza Europa, Corea,
Russia. Gran parte degli attacchi Usa o francesi sono interni o appaiono
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tali. L’Italia è un paese da cui figura l’avvio di molti attacchi. I
socialnetwork russi? Censurati L’Europa che impiega lo stesso numero
di spie del Mossad e spende quasi un miliardo in sicurezza comunitaria, ha
cominciato a pensare a reti sicure. Reti, dove i dati non vadano oltre un
ipotetico firewall continentale. Con il risultato che gli account Google, i cui
dati stanno in 30 mila server sparsi nel mondo, cadrebbero quasi tutti.
Sarebbe un ritorno al protezionismo intrabellico, con effetti pesanti di
ulteriori cali economici. Meglio sarebbe pensare a colossi Google europei
che per decollare necessiterebbero della massa critica non degli hacker, ma
degli utenti russi. Non è una prospettiva gradita all’economia digitale
guidata dagli Usa. Non è stato gradito ad esempio il fallimento di mercato
di Google in Putinlandia. La reazione si è fatta sentire e Vkontakte, il
facebook russo è stato interdetto agli occidentali per motivi di copyright. A
parte che funziona meglio Vkontakte di FB, anche qui la sicurezza non
c’entrava un fico secco. Invece Google non ha detto niente di Yandex e
MoiKrug, al contrario delle polemiche scoppiate in Cina.Ecco la sicurezza
Cosa sono allora gli attacchi alla sicurezza informatica? Sono le 500mila
infezioni via email di carattere bancario che cercano di farsi consegnare o
rubare dati identificativi dei conti, particolarmente intense in Brasile e
Giappone. Contando che già oggi ci sono un miliardi di aggressioni alle
applicazoni android usae sui cellulari, il passaggio massivo ai pagamenti
mobili con i cellulari moltiplicherà i due rischi oggi divisi. Il 13% degli
attacchi sono rivolti ai flussi finanziari o bancari, seguono quelli ai
software, al cloud ed ai data center delle istituzioni. Le reti di
telecomunicazione, per eccesso di difficoltà, ed i media per disinteresse,
sono i meno interessati da aggressioni (5%). Attacchi sono il
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
cybersionaggio industriale. Dopo che Maglan, Germani e esperti Selex
hanno mostrato l’attuale flotta aerea cinese, anche qui c’è da stare poco
allegri. Tutta copiata da modelli occidentali. In un modo o nell’altro le
progettazioni digitali, ad altissimo livello governativo si trafugano. E’
questione di tempo. I tentativi privati anche di grossi gruppi possono essere
rimtuzzati. Web profondo Il mercato poi indica con tanto di prezzo dove si
orienteranno gli attacchi del futuro: false identità, false identità Usa, false
identità Uk, false carte di credito, falsi dollari, falsi euro, false valute, falsi
paypal, falsi passaporti, false patenti Usa costano nell’ordine $1500,
$10mila, $4mila, $120, $600 (per 2500), 2500 ( per 6mila), la metà del
valore, $150, $5mila, $200. I prezzi variano e quelli russi sono i più
economici. Si tratta di attività spicciole e massive, disponibili da remoto
che si rivolgono ad una ampia comunità di criminali, ma anche di sbandati
e rifugiati. Una comunità che deve essere abituèe pena avere guai dal solo
contatto, esattamente come avviene nei rapporti reali con la malavita.
Attività svolte nel Web profondo, accessibile in modo crittografato o con
software ad hoc. Un web profondo, profondissimo, che Dostojevskij
avrebbe chiamato del sottosuolo. I cerchi danteschi di sicurezza
Kaspersky, parlando ai tedeschi del CeBIT o agli americani del Ces, ha
sempre avanzato un atteggiamento pragmatico. Può essere fatto ciò che è
possibile. Stuxnet (2010) e Duqu (2011) hanno dimostrato che anche
impianti industriali di dimensioni enormi sono a rischio. Ognuno è
connesso o va a diventarlo ma non è detto che ogni oggetto lo debba essere,
o non necessariamente al web globale. Poi, non si può costruire un modello
di sicurezza per il mondo dei contenuti creati dagli utenti, come siti, blog,
social. Il reato nel quale si impatta può essere perseguito, ma un sistema di
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prevenzione è
impossibile a
meno di non
sopprimere
l’espressione. Il
web profondo lo
colpisci quando
diventa fatto
materiale. Usciti
dallo spazio per così dire incolpevole, i ricercatori fronteggiano nel limbo
un codice dannoso, capace di malfunzionamenti oppure in un cerchio
successivo nel tempo di trasformare il computer o il cellulare di ciascuno di
noi in un ubbidiente zombie, guidato da terzi. Onu della cyber sicurezza
Nei cerchi intermedi, le società private di sicurezza informatica si
concentrano sulla prevenzione della perdita di dati, su strumenti per la
sicurezza Web ed e-mail, provisioning degli utenti, Web access
management, la gestione degli eventi ). Via via si arriva al settimo cerchio,
Renzaurazione
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al livello più istituzionale della sicurezza, necessario contro cyber-
spionaggio, cyber-sabotaggio e cyber-warfare, la militarizzazione di
Internet che potrebbe trasformare il mondo in un inferno. Kaspersky
auspica una sorta di Onu della cyber sicurezza(ICSO), che eviterebbe
guerre informatiche tra i paesi grazie ad una maggiore collaborazione ed
una regolamentazione adeguata. “Non eliminerebbe le cyber weapon, ma
migliorerebbe la situazione dei paesi più vulnerabili, che hanno un alto
tasso di utilizzo Internet”. Dopo aver enfatizzato Autonomy, cracker e
hacker ci si è resi conto che alcuni programmi malware sono stati creati da
paesi e non da organizzazioni criminali. I cerchi danteschi e di
Solgenytsin Forse perchè rivolto ad un pubblico italiano, Kasperskji ha
citato molte volte
Dante Alighieri,
paragonando i
suoi cerchi
infernali alle
odierne minacce
informatiche, a
tempo. ”Se oggi
Dante fosse vivo
sarebbe sconvolto
dal fatto che oggi
i sette cerchi non si riferiscono all’Inferno, bensì alle minacce
informatiche” Oppure ai cerchi russi del Gulag di Solgenytsin, che
materializzò l’inferno in terra. Kasperskji è troppo gioviale per rimestare
nel torbido delle tragedie nazionali. Gli unici cerchi cui pensa sono quelli
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
delle Olimpiadi della sicurezza che ha appena vinto. Proprio mentre Putin
pensa ai cerchi di Soci.
2014 Cultura e Digitale
La cultura ha da tempo confini imprecisi e labili. Se ne vuole salvare
l’indipendenza e la sincerità salvandola dall’egoismo dell’economia.
Contemporaneamente se ne rivendica una sorta di onnipresenza economica.
Si produce e si divulga cultura nei luoghi più diversi. Ovviamente, si dice-
lo si fa a scuola e nelle università, nei musei e nelle biblioteche. Poi si
aggiungono le industrie creative, e le cose si complicano. I laboratori di
design, di moda e di pubblicità si confondono con l’architettura e l’edilizia,
con l’industria tessile ed il commercio, con la ristorazione, l’agricoltura e la
grande distribuzione organizzata. L’arte si spezzetta tra l’organizzazione di
eventi, i corniciai, gli scenografi, i vetrinisti, i grandi spazi espositivi, le
migliaia di piccole gallerie e soprattutto le case d’asta., Tutti a navigare
nell’oceano, ultimamente ritiratosi parecchio, delle piccole imprese
dell’artigianato e nello spazio del turismo culturale. Ancora più complicato
e preoccupante si fa il discorso quando per cultura si intendono i media,
tradizionali e digitali. Subito viene citata “la Rai prima azienda culturale
del paese”. L’indipendenza culturale auspicata diviene un must
costituzionale perché, si sa, l’informazione è trasmissione di opinioni e
interessi, i quali creano le fazioni, cioè i partiti su cui si regge la
democrazia parlamentare. Come però garantire che l’economia rispetti
questo must? Come garantire la vilipesa filiera della carta , su cui si
stendono milioni di parole? Come garantire il rispetto delle regole di un
popolo sulle reti digitali mondiali che vorrebbero sostituirsi alla carta?.
Nelle serie analisi delle organizzazioni internazionali, come delle Camere
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
di Commercio, Confindustria e Pubblica amministrazione le categorie
statistiche volano, cambiano cifra e senso, diventano opera creativa. Tutti
vogliono valorizzare al massimo la cultura economicamente e umanamente.
Spesso mescolano le cose più diverse tra di loro. Così, come si vede dal
grafico, su modello del Comitato Commercio e Sviluppo UNCTAD
dell’Onu, si può arrivare a dare alla cultura un peso da 210 miliardi, più del
10% del prodotto nazionale. E’ improbabile però che un ristoratore possa
essere considerato un operatore culturale. Se il senso della cultura è
cambiato, allargandosi a tanti settori eterogenei, la responsabilità ( o colpa)
la si deve al digitale. Le tecnologie digitali sono lo strumento dell’intreccio
tra contenuti, commercio e utilizzo. Uniscono molte cose diverse fra loro:
l’eccellenza culturale e artistica, i comportamenti sociali, i costumi
tradizionali etnici e popolari, l’istruzione, la formazione, il lavoro ed i
mercati. La nostra cultura è un patrimonio enorme solo sulla carta,
contabilizzabile in realtà all’inezia di 10 miliardi. Senza giocare con le
statistiche, il digitale può moltiplicarne usi ed effetti, senza danneggiarla.
Non può restare prigioniera di 146 gestori analogici, come le 146
sovrintendenze. Né ostaggio delle reminiscenze, vecchie di due secoli,
barricadere comunarde dei professionisti dell’anticultura. Se il Teatro Valle
Occupato è stato premiato da un’Europa ipocrita, lo si deve ad un
quiproquo che l’ha confuso con un TVO (Technology Ventures Office).
2014 Prato Il miglior comune digitale è di destra
Nel 2013 Prato è divenuta la sede operativa delle Major Cities of Europe,
vale a dire della rete degli amministratori informatici (CIO) e IT manager
delle città europee impegnati nell’innovazione tecnologica per le pubbliche
amministrazioni locali. La Manchester toscana è arrivata a questo risultato
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attraverso un lungo impegno, cominciato nell’adesione alla rete nel ’98,
segnato nel 2011 dalla nomina a vicepresidente dell’associazione del suo
rappresentante, Boscolo, nello stesso anno dalla partecipazione al progetto
europeo iSAC, dal’avvio del Prato Free WiFi comunale (gestito da
Telecom Italia e la pratese Estracom dal parco di Galceti e Cascine di
Tavola alla piazze del Comune, Duomo, San Domenico, Carceri, San
Marco, San Francesco e Mercatale, costo 25mila l’anno) e nel 2012
dall’organizzazione della conferenza annuale della rete delle città europee
al teatro Politeama con 250 partecipanti (Roma, Birmingham, Zurigo,
Barcellona, Brema, Vienna, Helsinki, Saarbruecken, Issy le Moulineaux,
Venezia, Imola, Tel Aviv e Boston) ed aziende espositrici (IBM,
Engineering, Dedagroup Sinergis). A Prato i servizi locali telematici, in
particolare di sanità non solo amministrativa, ma anche di telemedicina,
come il sistema di pagamenti sono divenuti una realtà avanzata di
applicazione della cittadinanza digitale. Basti pensare che, ad un qualunque
supermercato è possibile con apposita carta, conoscere quanto si deve alle
varie amministrazionei pubbliche e pagare anche una quota a scalare del
debito. Il Comune di Prato si è fatto centro dei dati e dei pagamenti non
solo per sé ma per tutta una serie di altri comuni ed enti toscani. La lotta
politica si è spostata addirittura sulla sovvrabbondanza di servizi. La
provincia, a maggioranza Pd, ha aderito, per 18mila all'anno, al Free Italia
Wifi, di Provincia di Roma, Comune di Venezia e Regione Sardegna. In
realtà gestore, database, server (forse gli stessi tecnici) della connessione
senza fili di Comune e Provincia combaciano. Ovviamente non si parlano
secondo l’usuale schema adottato dalle amministrazioni di sinistra nei
confronti di quelle di segno politico opposto. L’avvio del progetto iSAC
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(Unique European citizens’attention service), poi, ha permesso una stretta
sinergia con il progetto Linea Amica PA, permettendo ai pratesi di usare i
Data online con maggiore facilità grazie a strumenti di ricerca web a
linguaggio naturale. Il passaggio di sede delle Major Cities of Europe dalla
tedesca Bremerhaven (Brema) a Prato, ha accellerato per parte italiana la
collaborazione tra Comune di Prato, il suo sistema informativo,
l’Ancinnovazione ed il Pin, polo universitario pratese. Il sindaco ha
commentato “ Da 3° città dell'Italia centrale e 2° della Toscana, Prato ha
avuto il coraggio di interpretare un ruolo nel campo dell'innovazione
tecnologica, intrapreso da alcuni anni, rimasto in passato a lungo sotto
traccia". L'assessore responsabile di questo successo "Un risultato
importante che rafforza il compito della città di costruire relazioni e
partnership nel campo della progettazione Europea “ A parlare sono il
sindaco Roberto Cenni e l’assessore Anna Lisa Nocentini. Il primo è il
famoso ex imprenditore Sasch che nel 2009 ha strappato il comune a 63
anni di dominio ininterrotto di Pci ed eredi. La seconda è l’ex segretaria
della Uil di Prato, invisa a sinistra come a destra, “rea- come scriveva
Calamai su Pratoreporter- di non essere esponente di alcun partito” o forse
di essere troppo vicina a Alberto Magnolfi, socialista dal ’75 al ’92, poi
dopo le tempeste giudiziarie, dal 2005 leader della minoranza locale di
Pdl\Fi, poi passato al Ncd di Alfano). Chi avrebbe detto che la giunta
“anticinese”, la seconda amministrazione italiana di destra per popolazione
(dopo Verona), si sarebbe dimostrata tanto digitale? Tanto più che non
erano mancati i tentativi nel passato. L’innovazione tecnologica era stata
per 17 anni nelle mani di Beatrice Magnolfi, assessore prima socialista poi
Ds, dall’87 al 2004. Sorta di Lanzilotta-Pollastrini pratese, la Magnolfi
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raggiunse l’acme nel governo Prodi 2006, da sottosegretaria al digitale,
quando riuscì a regalare 30 milioni a Microsoft per l’open source. Fu anche
fino al 2009 ministro per la semplificazione Pa nel governo ombra
Veltroni. Il suo blog non dà segni di vita dal 2011. Bisogna precisare per i
non toscani che i due Magnolfi citati, anche se per decenni militarono
congiuntamente nel medesimo partito, rappresentano due anime una contro
l’altra armata, una sempre schierata a sinistra, l’altra a destra (prima
pentapartito, poi berlusconismo). Dopo la vittoria di Cenni, il personale
politico Pd, in carriera da decenni nelle file Pci, ma anche Dc, tremò per la
prossima rottamazione. Uno di loro, consigliere Dc a metà’80, poi
vicesindaco pratese Ds fino al 2004, giornalista tra un mandato e l’altro, si
sentiva ormai perso. «Il futuro? Vedremo. Non è mai, almeno per me, una
scelta individuale». Chi l’avrebbe detto che ora Giacomelli è
sottosegretario alle Telecomunicazioni, nel governo Renzi? Dovrà
accendere un cero alla Provvidenza. Oppure ringraziare l’eccellenza della
“barbara” giunta destra in carica, capitanata da un imprenditore sotto
inchiesta e privato dei suoi beni (tanto per cambiare) e sostenuta da tre liste
socialiste di destra (quelle che per tanta vulgata neppure avrebbero diritto
politico di esistere). Tanto che il Psi pratese, in controtendenza con quello
fiorentino e nazionale di Nencini, ha chiuso con la fiducia incondizionata al
Pd che “ha maltrattato Prato e la Toscana”. Anche sul digitale.
2014 Agenda Digitale tre domande
Di Wired Italia non ci si può fidare,è noto. E’ legata a Wikipedia Italia, la
cui obiettività nella narrazione storica e sociale è in linea con la solita
manipolazione intellettuale. Ogni tanto parte una campagna contro ipotetici
attacchi di regime politici alla rete. Ci trovi eretici, dissidenti, selvaggi,
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
freak invecchiati e lustrati nelle ottime carriere aziendali, in genere
provenienti dalle stesse famiglie dell’editoria classica. Un Elkan qui, un ex
Espresso , un Sole in corso. Riotta e Severgnini in età discola. Siamo nel
mondo Condè, Vanity Fair e GQ che almeno quando dicono lusso,
intendono lusso. La Novella 3000 Internet potrebbe, in versione digitale e
non, restare una patinata accattivante, trendy, responsabile discoteca da
lettura, neanche bisognosa di vendere in edicola. Invece no, vuole segnare
la politica digitale. Di solito fa come il fatto; non dà notizie ma tesi di
partito. Con il vantaggio, che trattando di innovazione digitale, in pochi se
ne accorgono ed ancor meno se ne vogliono rendere conto. Poi, a onor del
vero, ha un capitolo dedicato alle bufale. L’ultima partorita racconta della
nascita di un intergruppo di deputati trasversali filo Internet che dovrebbero
riprendere il filo dei ritardi accumulati nell’innovazione tecnologica.
L’iniziativa, viene riportato,è di Stefano Quintarelli (Scelta Civica) che
solo poche settimane volle dimostrare tutte le sue conoscenze tecniche
polemizzando pesantemente con Gambardella di Etno ma soprattutto con
Ciccarella, già patron rete inernazionale Telecom. A Quintarelli si
sarebbero aggiunti Coppola e Bonaccorsi (Pd), Tinagli (Scelta Civica),
Malan e Palmieri(FI), ma anche Boccadutri (Sel) vedrebbe di buon occhio
l’iniziativa. In poche ore, si sarebbero poi aggiunti Galli, Bossio, Gadda,
Locatelli, Digiorgi, Carrozza (Pd), Bergamini, Piccoli, Galan e Liuzzi (FI),
Lucidi, Crimi, e Airola (M5S), Vargiu (SC), Alfreider (Misto) fino al peso
da novanta di Rughetti (Pd), appena nominato sottosegretario alla
semplificazione PA. La notizia è stata subito ripresa dalle altre testate web
e no. Ora si noti che già nel 2010 esisteva un Intergruppo parlamentare 2.0,
capitanato da Vita (Pd) assieme ai colleghi Adamo, Amati Carra Concia De
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Biasi Di Giovan Paolo Gozi Graziano Lumia Ferranti Pinotti (Pd)
Barbareschi Murgia Cassinelli Bergamini Lorenzin (Pdl) con alcuni nomi
sopra riportati come ed altri per un numero complessivo di ben 36.
Addirittura l’iniziativa a supporto della cultura digitale e del programma
Horizon lanciata dall’Istituto Sturzo aveva creato nel novembre 2013 un
intergruppo da 60 deputati Gli intergruppi non sono dunque una novità.
Quello di Quintarelli sarebbe motivato dagli scandalosi ritardi ormai
accumulati dall’Agenda Digitale. Il dossier del Mintrasporti del 4 marzo
riporta che solo 4 provvedimenti su 47 erano stati adottati a maggio 2013;
ora su 55 ne sono stati adottati 17 mentre 21 risultano ormai scaduti. Niente
di nuovo sotto il sole: la media sarebbe comunque migliorata dall’8% al
30%. Già all’alba della sua nascita l’Agenzia digitale sembrava operare in
ritardo; né si ricorda un tempo in cui si sia detto che l’innovazione italiana
andava a passo di carica. Tanto movimento ha ben altre giustificazioni. Con
le nomine di sottosegretario di Righetti, Giacomelli e Lotti alle Tlc,
Semplificazione ed Editoria, si sono frustrate le ambizioni di Quintarelli e
Coppola, se non anche quelle del collaboratore di Romani(FI), Sambuco,
capo dell’ex dipartmento Tlc del Mise, che chiedeva a gran voce un
ministero per il digitale. Purtroppo si sono anche di nuovo divise le
competenze e non a caso. Monti creò l’Agenzia come un’arma che avrebbe
dovuto strappare soldi e competenze all’anarchia che regna nel settore dove
tutti gestiscono un pezzetto a tenuta stagna, Letta che voleva mediare
l’indebolì creando un artificioso conflitto tra due manager Ict privati, già
poco abituati a confrontarsi con la gestione del personale pubblico. A Renzi
non sembrava interessare nessuna delle due opzioni; né sembra
intenzionato a riparare i guasti che nel settore negli anni hanno fatto i suoi,
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
sia come postDc che come postPci. Cercherà di puntare a qualche specifica
soluzione informatica utile e facile per i cittadini. E che, se sarà utile e
facile, sarà un danno per qualche settore professionale, sottraendo danari ad
un commercialista qua ad un Caf là. Quello che spaventa di più il
sottobosco associativo, partecipazionista e categoriale, di casa e dintorni
Pd, è di non riuscire ad agguantare nessuno dei finanziamenti ventilati
attorno all’Agenzia. Così il primo incontro, raccontato da Wired, di questo
nuovo sottogruppo, si sarebbe tenuto proprio il giorno prima della
manifestazione fiume organizzata da Di Corinto (Sel) in occasione della
ennesima celebrazione
delle gestae democatiche
degli hacker. Durante il
simposio, la lamentela
stata corale, tornando sui
soliti digital divide,
mancate neutralità e
privacy, attentati alla
democrazia, competenze
e legiferazione digitale
di massa. I 23 vorrebbero rendere il loro gruppo una nuova Commissione
parlamentare. Sicuramente sarebbe ora che il tema delle telecomunicazioni
venisse scorporato dalla Commissione trasporti, reti e infrastrutture per
confluire nella comunicazione materiale e immateriale. Questo è il 1° punto
di un messaggio aperto a Bergamini, Malan e Palmieri. Il 2° chiede loro di
non aderire ai club filodigitale. Fresca è la memoria del fango sulle
iniziative di Stanca, sul Cad di Brunetta, sul digitale Tv, sui tentativi di
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
convergenza Tv-Internet di Tronchetti, sulla sana gestione Rai di Cattaneo;
sui Pascale e Scaglia, processati a quando era in forse il controllo
sull’informatica, Telecom e dintorni. Ora Pd e famigli sono nei guai: hanno
diviso Internet (perchè doveva essere di sinitra) dalla Tv ( che è di destra
perché ce l’ha Berlusca); confuso comunicazione digitale e comizi
analogici che hanno inaridito la Tv pubblica; battuto sull’Ict per donne,
detenuti ed immigrati mentre chiudono l’eccellenza della Micron, le ultime
tv della Mivar, i call center di Teleperfomance. Ora che hanno scoperto
L’Internet, inglese, impresa di 20 anni fa, non vi ci mischiate. Anche
perché quello stesso slogan è ormai desueto. E 3° punto, non andate
sempre, di rimessa, ed in ordine sparso, senza una proposta vostra e
complessiva, in sintonia con il trend mondiale e con le necessità di lavoro e
produzione.
2014 Fiera Smau, Satira (per) Marino automatizzata usabile
Si è conclusa la V° edizione di Smau Roma e non si parla dell’affluenza
per non ingrigire gli animi. L’anno scorso stava a 5mila visitatori, meno del
10% dell’edizione principale milanese. Nel frattempo i call center come
Almaviva e Teleperfomance se ne sono andati, il distretto dell’Ict e
dell’audiovisivo romano agonizza, per non parlare di quello di Rieti. Per il
resto imperversano i Celli e gli Abete, le cui fortune personali sono andate
di pari passo in crescendo sul tramonto di pezzi di telefonia e di Cinecittà.
Il giorno d’apertura dello Smau combaciava con quello di una
manifestazione di lavoratori davanti al Mibac. Nelle stanze ministeriali si
mormorava: questi ingrati, dopo che abbiamo dato 11 milioni a La grande
bellezza. Lo Smau, già Salone del mobile aziendale e dell’office
automation, negli ultimi anni si è concentrato sulle attività delle piccole e
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
medie imprese, poiché i colossi del settore, tra processi e debiti, barcollano,
La versione capitolina, dai tempi di Smau Mediterraneo del 2000, ormai si
avvia a fondersi con Forum Pa (ex Fiera della casa) che può contare,
misteriosa passerella di carriere interne alla dirigenza pubblica, sulla
sponsorizzazione di tutti i Barca e le Barca del mondo e sui crediti
formativi distribuiti a piene mani. Lo Smau a Roma ci deve arrivare,
almeno per non perdere contatto con tutto il Sud e oltre. Il meccanismo dei
Venture Capital, investimenti privati sulle nuove società tecnologiche
startup dalla Treviso di H Farm di Donadon infatti finisce appunto a Roma
al LuissenLabs, al secondo piano della Stazione Termini, dove primeggiano
le assemblee di migliaia e migliaia di giovani programmatori gestite dalle
ragazze di CodeMotion. Nemmeno De Laurentis mette un euro su una start
up partenopea. Forse un giorno lo farà Maradona. Il Capo di gabinetto del
Miur ha parlato di storie fantastiche, ma non alludeva alle Codes, quanto
all’Agenzia Digitale che è già in fase di scomparsa. Lo Smau romano, per
dovere istitiuzionale si è concentrato sul cliente sicuro, la Pa.
L’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano ha fatturato il
pesante lavoro di trovare buoni progetti di eGovernment. Non c’è difficoltà
riusarli. Tutti i comuni replicano le stesse cose da anni, poi se le scambiano
tra grandi sorrisi, L’Anci è la giusta cornice per questa danza battezzata da
un uomo innovativo come Fassino che ultimamente ha deciso di lasciar
perdere Ancitel e affidare tutto alla toscana Ancinnovazione che è avanti
anni luce almeno rispetto al resto del centrosud. Via ai premi per Roma
Capitale, Asl Viterbo, Enea Smart Village, Ater, Regione Umbria, tra le più
matte risate. Il Comune di Roma, che sotto Marino non vede funzionare
nemmeno i tabelloni elettronici? Il comune di Roma sempre impegnato a
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
scannerizzare milioni di documenti ? Il comune di Roma che sotto
Alemanno si fregiava di Capitale digitale per la promessa di finanziamento
privato mai avvenuto per la banda larga? Il comune di Roma che da 20 anni
ha una fondazione digitale, dal costo di 2 milioni, di cui non sa cosa
farsene, se non alimentare a vita gli accucciati ultimi mohicani rutelliani ?
Uno dei software salva continuanente i file su tanti server distribuiti sul
pianeta; alla faccia dell fiducia per il lavoro dei consulenti che piano piano
stanno riducendo il numero dei data center capitolini come nazionali.
Quando avranno finito, la tecnologia sarà cambiata. Premiato anche il
Ministero degli esteri forse per l’ampia messaggistca elettronica di
consolazione delle mogli dei marò. Sembra che la Farnesina si stia facendo
un sistema di messaggistica proprio tra centro e sedi estere. Se si rivolgesse
direttamente all’Nsa Usa, risparmierebbe. con tutte le sedi estere. Non ci si
crede. Qualunque cosa sia il digitale di domani, a Roma ha solo nemici.
Nemici i burocrati che vedono la minaccia di open data e social network.
Nemici i lavoratori cui si chiede il doppio dell’impegno senza sold e sotto
una videosorveglianza sempre più stringente che è poi il dato tecnologico
pregnante delle Smart city. Ancora peggiore l’inimicizia della casta
datoriale e professionale degli informatici che disprezzano le società
giovanili dele apps su telefonini. La casta informatica, sempre la stessa da
30 anni vuole grandi soldi per grandi progetti presso la Pa. Ambedue le
parti sanno che si tratta di soluzioni destinate a non entrare in funzione o a
farlo per una quota mimima. Intanto però si lavora. Così il sistema pubblico
di connettività prosegue la sua vita, anche se ha funzioni paragonabili ad un
qualunque sistema di sharing docs e voip, offerti gratis sulla rete.
D’altronde se la Pa avesse veramente creato un solido Voip, gli operatori
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
telefonici avrebbero potuto chiudere. I romani passano quando va tutto
bene almeno 4 ore in auto, Se i 60 mila dipendenti pubblici e dintorni,
passassero al lavoro mobile, solo con la liberazione degl immnobili e delle
spese generali, Marino non dovrebbe chiudere nemmeno una Zetema, Lo
Smau queste cose le lascia alle assemblee di programmatori, i nativi digitali
che come scrivono gli accademici non capiscono niente di filosofia digitale.
2014 I sindacati su Internet, Telecom e Agenda
Il 26 marzo i sindacati hanno preso carta e penna; anzi vista l’occasione,
schermo e tastiera. Hanno scritto su digitale e nuove tecnologie al giovane
premier, fiduciosi di suscitare l’interesse di Renzi, che non solo comunica a
base di hashtag\twitter ma che è anche il primo premier ad aver portato un
tablet in Parlamento. Un anno fa, a giugno 2013 i segretari confederali di
settore avevano chiesto un incontro ufficiale al governo sull’Agenda
Digitale senza ricevere risposta. Adesso sono stati i segretari confederali a
scrivere assieme ai segretari delle categorie della comunicazione (SLC,
Fistel e Uilcom). La lettera è arrivata mentre si erano appena posate le
acque dopo un mese di grande nervosismo, in cui esperti, guru e politici,
delle varie tendenze, impegnati sul tema digitale, s’erano esibiti in una
poco ammirabile baruffa di sottogoverno. Mentre veniva formandosi il
nuovo esecutivo, gli stessi che lo volevano giovane e snello, reclamavano a
gran voce il ritorno del ministero ad hoc come ai tempi degli Stanca e degli
Osnaghi. Poi visto che non arrivava, le attenzioni si sono spostate su
eventuali incarichi di sottosegretariato. Appelli, polemiche tecniciste messe
in piazza, interpellanze sullo stato dei fondi strutturali destinati al digitale
sono stati fatti roteare come le ali di pavone durante le danze rituali. Gran
parte del trambusto proveniva, tranne poche eccezioni, proprio dal partito
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
di maggioranza, cui certo non mancavano le informazioni più aggiornate.
Ad esporre dubbi e lai pubblici erano suoi ben informati esponenti che
sicuramente su ogni timore, preoccupazione e stima avevano già in mano
non solo i termini della questione, ma anche le risposte già approntate dagli
uffici burocratici preposti. Alla fine il governo ha spacchettato le
competenze relative tra i tre sottosegretari Lotti, Giacomelli, Rughetti ad
editoria, comunicazioni e semplificazione Pa. Non ha toccato la distinzione
tra infrastrutture materiali e immateriali, mantenendole ancora unite nelle
relative commissioni, senza unire cultura, comunicazione e tlc. Ha trovato
già defunta la direzione Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo
Economico, annacquata per opera del precedente ministro Zanonato, tra
altre 15 direzioni, in quelle generale di comunicazione elettronica,
territoriale e nell’ Istituto superiore Tlc. Soprattutto non si è espresso né
sull’operato della squadra di Mister Digital Caio, né sulle intese, linee
guida e protocolli dell’Agenzia digitale affidata dopo un lungo iter
burocratico a Ragosa. Esasperati da tale silenzio, alla fine esperti, guru e
politici delle varie tendenze, hanno superato le naturali divergenze per
annunciare un comitato intergruppo, su cui è calato rapidamente il sipario
dato che il soggetto, non proprio nuovo, è il terzo di comitati simili sorti
negli ultimi 4 anni. Il prossimo passo toccherà al Comitato per la
comunicazione in tema di rinnovamento dell’immagine della Camera, che
l’11 aprile lancerà a Montecitorio, un possibile Code for Italy.
Paradossalmente il silenzio governativo sul digitale, l’assenza di nuove
nomine e l’annuncio di nuove iniziative fanno ben sperare. Palazzo Chigi
sembra rendersi conto che l’idea montiana di un’Agenzia capace di
strappare guida e poteri a potenti Ministeri, ad ancora più potenti territori e
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
ad inaccessibili Authority, fosse un sogno ad occhi aperti, ancora più
difficile delle stesse modifiche costituzionali. L’Agenzia, per poter
sopravvivere, ha rinunciato ad un ruolo attivo sulle questioni della rete
nazionale ed europea. I sindacati, con grande concretezza, al contrario
hanno chiesto al governo, un intervento complessivo sull’“Internet
Veloce”, cioè su un complesso di questioni (banda larga, digitalizzazione
della PA, e-commerce, distribuzione digitale per le PMI) che per loro
natura non possono essere affrontate separatamente. Hanno evidenziato che
lo sviluppo del digitale è per forza di cose sviluppo dei settori che ne
tengono i piedi i capisaldi; che è sviluppo dell’operatività del lavoro di quei
settori. Hanno chiaramente definito “colpa grave” non rimediare all’errore
principale del passato, quello di avere indebitato oltremisura l’operatore
principale Telecom, cui si deve porre rimedio con la “ricapitalizzazione
attraverso le garanzie di Cassa Depositi e Prestiti. Ipotesi che annullerebbe
entrambi le ipotesi di scorporo della rete Telecom, come di fusione di
quest’ultima con l’operatore spagnolo Telefonica. Sono apparsi banali nel
ricordare l’ovvio, vale a dire che solo risorse significative, e private,
possono sviluppare la larghissima banda, raccogliendo le risorse promesse
dai mercati finanziari ed avviare lo Stato digitale, dotando il pubblico
impiego degli opportuni strumenti di produttività e di incentivazione
economica. Non solo. I sindacati, infrangendo quello che è un tabù di
sinistra, tutto politico, hanno richiamato l’importanza dei contenuti nella
convergente evoluzione del settore televisivo (che) passerà attraverso la
banda larga e tramite l’altissima definizione della Tv “4K”. Con grande
onestà, Fugetta membro del team Caio, oggi ammette di avere sbagliato
con tanti altri esperti, nel 2006, pronunciandosi contro l’ipotesi di un nuovo
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
ministero Stanca“ perché “tutti devono fare innovazione”. Fu lo stesso
errore di considerare digitale ed informatica e telecomunicazioni, delle
commodity, replicabili da ciascuno secondo i propri gusti. Oggi scrive
Fuggetta, “...per l’innovazione gli ultimi 10 anni sono stati un disastro.
Incompetenti che hanno impazzato per ogni dove. Amministrazioni che
hanno proceduto in ordine sparso senza guida né regia. Chiacchiere a vuoto
su buzzword affascinanti quanto marginali come open source, open data,
startup”. Vengono mescolati digitale e questioni fuori tema, quali l’etica,
l’informazione, la formazione, gli standard delle competenze, il rapporto
tra PA e social network. Gli operatori privati hanno fatto da supplenti in
mancanza o in presenza di troppi decisori. Se Telecom continua la parabola
calante, è difficile raggiungere i 100 M per il 50% della popolazione entro
il 2020 e “l’Italia, avvertono i sindacati, rischia di non cogliere nessuno
degli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea.” Ci sono alcuni punti fermi,
inimmaginabili solo pochi anni fa. A scuola, Inglese, Impresa, Informatica
è ormai un must. Internet e Tv devono convergere. La riforma del titolo V è
considerato un grande errore, anche dal punto di vista della
digitalizzazione. Ugualmente le modalità della privatizzazione e lo
svilimento dell’Ict. Il grande spezzatino, pubblico-privato, centrale-
regionale, ha tolto risorse, voglia e energia ai lavoratori pubblici e privati,
prigionieri delle consulenze quanto lo sono i Ministeri delle società private
che hanno in pancia. Le norme su CAD, SPC, accessibilità, open source
sono punti fermi da aggiornare ai tempi. Difficile che un premier, tanti
meno un mnistro, possa districare un tale nodo gordiano, costruito per di
più negli anni dai suoi. Il rischio è che coltiverebbe difetti, tic e stane
mescolanze. Si può solo cominciare rimettendo in piedi, con le necessarie
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
risorse, la rete tlc ed i servizi convergenti, con l’idea che trascinino lo
sviluppo degli altri attori e dei contenuti industriali, pubblici, commerciali,
comunicativi, finanziari lasciandosi alle spalle le tante intermediazioni
inutili e controproducenti, pubbliche, private e partitiche.
2014 Consultazioni on line, interattive come il marmo
Le consultazioni pubbliche, nella loro universalità, trasparenza ed
interattività, sono un must dei nostri giorni. Stato, amministrazione e
politica le usano per stare al passo dell’era Internet. Nel tratteggiare le
linee guida per la PA sulle consultazioni pubbliche, il Formez ne ricorda le
caratteristiche: “uno strumento di miglioramento della qualità della
regolazione mediante cui i soggetti interessati opportunamente sollecitati
da un’Autorità pubblica hanno l’opportunità di intervenire nel processo di
elaborazione delle decisioni prima che queste siano formalmente assunte”.
Dal Trattato di Amsterdam (1997), che impose le consultazioni alla
Commissione UE prima di passare ad atti legislativi, al libro bianco sulla
governance (2001), alle raccomandazioni dell’OCSE del 1997, del 2005 e
del 2012, sono stati i trattati internazionali a sostenere i principi di open
government che vorrebbero la norma fondata su consultazione,
comunicazione, cooperazione e coordinamento tra i soggetti interessati. Il
governo di Internet è il massimo esempio dell’open government: poco
influenzato da partiti, elezioni, governi se non indirettamente tramite le
università e gestito nei fatti direttamente dalle multinazionali. Dopo lungo
invaghimento delle prospettive dell’apertura e della partecipazione non ai
dibattiti ma alla costruzione delle norme, molti progressisti che solo pochi
anni fa chiedevano il Nobel per la pace per Internet, ora sembrano
ricredersi e citano il Foa nel 1993: “La democrazia rappresentativa (ha i
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
proprii) limiti: i poteri invisibili, le oligarchie, gli interessi organizzati dei
corpi intermedi, il difetto di partecipazione, la disuguaglianza sociale che
distrugge l’uguaglianza dei diritti. Limiti pesanti che però possono essere
corretti dentro lo schema della democrazia.” Interessi organizzati dei corpi
intermedi più o meno invisibili, oligarchie, la buona volontà di investire
che anche non volendo detta l’aumento della disuguaglianza, cui non è
negata una partecipazione che comunque non pesa. Ecco gli stakeholders, i
cosidetti soggetti interessati. In effetti nell’era Internet il loro peso non
deriva dal numero delle persone coinvolte ma dalla quota economica
investita, che è poi fonte del fare e quindi di consenso, soprattutto da
quando la libertà economica impone a governi e politica di astenersi
dall’intervento economico diretto, causa di tanti debiti. Molti progressisti
dunque hanno compreso che consultazioni on line e open government
spingono da un lato per la democrazia diretta dall’altro per il
riconoscimento delle attività di lobbying; in ogni caso per la
disintermediazione dalle opinioni loro e della partitica. Così all’improvviso
Internet non piace più. In “Critica della democrazia digitale”, Chiusi cita i
limiti dimostrati nel mondo dai vari esperimenti di e-democracy. C’è come
la disillusione sulle aspettative della partecipazione e dell’alfabetizzazione
digitale che avrebbero dovuto fare gli estoni meno nazionalisti, gli svizzeri
filoimmigrati, i tedeschi meno egoisti, gli americani meno astensionisti.
Invece con più crowdsourcing, deliberazione online, partecipazione
elettronica e voto digitale le ultime elezioni amministrative Usa si sono
caratterizzate per astensionismo, la Svizzera ha chiuso le frontiere ed a
Berlino vola il partito Pirata. Inutile dire quanto sia grande il rammarico
per l’ascesa italiana del movimento 5 stelle, un non partito fondato su un
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Giuseppe Mele 2014
blog estremamente popolare e su incontri fissati sui meetup. La delusione
dei frequentatori delle kermesse blu di Repubblica di Perugia, di Wired,
dell’Espresso, del Corrierone, del Fatto, si confonde con quella di molti
progressisti, nuovi ed antichi, da sempre convinti che basti proporre le loro
ricette al popolo perché questo vi aderisca. Una delusione che nel tempo si
è trasformata nella cinica accademia che considera inevitabile ingannare
gli elettori, anche quando siano alfabeti e digitali. Anche in Europa
l’apertura con il tempo si è svuotata. I cittadini europei del nord vorrebbero
consultazioni più vincolanti anche al prezzo di dare maggior peso alle
lobby. L’uso massivo dell’istituto da parte delle autorità europee è rimasto;
a dicembre 2013 erano pianificate 60 consultazioni ed attualmente ce ne
sono 19 on line aperte o appena concluse (sull’Ecolabel, giutizia,
efficienza energetica, cloud, rete energetica. valute estere, politica,
esenzioni e aiuti della pesca, mercato interno, tessera professionale EPC,
trasporti ecologici, estrazione mineraria marina, tutela dei minori, tasse
transfrontalierie, imposte di successione, sanità mobile, investimenti nel
partenariato Usa-Ue, traffico aereo). La Commissione però da tempo
legifera alla luce dei rapporti preparati da una manciata di centri di ricerca
di infoproviding senza il minimo ascolto per i sempre meno numerosi
partecipanti alle queries. Le tre consultazioni on line italiane confermano la
tendenza. La 1° sulle riforme costituzionali è del tutto superata dagli
eventi; la 2° immagina che sia il parere dei cittadini e non la volontà di
imprese e banche straniere a decidere sugli Ide. Forse si tratta di abituare
gli italiani ad accettare nuove ristrettezze indotte dalle condizioni poste
dagli investitori internazionali; la 3° dal 15 aprile, a cura dell’Agenzia
Digitale, riguarda le competenze digitali la cui partecipazione coincide dal
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Giuseppe Mele 2014
22 aprile, con uno specifico contest di sfida tra le pratiche migliori, e poi
con il Forum PA 2014 per presentare le relative linee guida. L’ormai
chiusa, e datata al 12 novembre u.s., consultazione sulle riforme
costituzionali presentata dall’ex ministro Quagliariello è stata “la più
partecipata in Italia e in Europa”, grazie a 600 proposte, 45mila commenti,
200mila questionari. Parola di Palazzo Chigi. L’affermazione induce a
pensare che non sia questo il modo di ascoltare la pubblica opinione. Se il
massimo dell’ascolto possibile si ferma alle decine di migliaia di
commentatori, goccia nel mare delle decine di milioni di elettori ed
internauti, allora i più le ignorano. D’altro lato la cosa è corrisposta da
istituzioni e politica. Queste infatti hanno tranquillamente ignorato la più
ampia partecipazione on line mai ottenuta imboccando con il cosiddetto
patto del Nazareno, un’altra e diversa strada per le riforme in corso. Il
disinteresse è sottolineato poi dall’invito, assolutamente svuotato di senso
pratico, a proseguire la discussione pubblica in partnership con Italia
Camp. Una discussione solo apparentemente istituzionale, in realtà gestita
da un’ associazione ( ma anche fondazione ed impresa), i cui fondatori
sono l’INPS, Poste Italiane, RCS, Ferrovie, Sisal, Unipol e Wind; dai
privati totali (tra cui una società russa), ai semiprivati ed agli enti
previdenziali. Consultazioni pubbliche e gli anarchici Camp si tramutano
qui nello scambio fine a se stesso tra pubblicità istituzionale e commesse
pubbliche probono. Anche l’altro sondaggio (meglio chiamarlo così) in
corso, Destinazione Italia sull’attrazione degli investimenti esteri,
reindirizza ad una fondazione, l’Ahref, nata Kessler nel 2010 per volontà
della Provincia autonoma di Trento, presente anche tramite la spa
Informatica Trentina. Difficilmente l’idea si sarebbe concretizzata nella
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Giuseppe Mele 2014
nordica provincia senza i buoni auspici dell’ex capo Telecom, il
conterraneo Bernabè; non si tratta però di un’idea monoimpresa; infatti il
presidente è De Biase, voce della divulgazione Ict del Sole24ore, organo
confindustriale. La consultazione sull’ampio tema della cittadinanza
digitale, aperta dall’Agid di Monti e Letta, si avvia dunque a chiudersi
mestamente, rimpicciolita alle competenze con la riproposizione,
preanunciata ab initio, dell’impostazione europea già da un biennio
affidata e prodotta dalla società tedesca di infoproviding Empirica
(Kommunikations und Technologieforschung mbH) di Bonn, scelta dalla
commissaria Kroes. L’Assinform di Confindustria che ne è stata
divulgatrice ai tavoli di Agid, ha promosso il 15 aprile un accordo quadro
tra datori (Confindustria, Confcommercio, aziende regionali, artigiani e
Pmi) e Agid che è muta richiesta alla politica di un futuro economico per
un programma di alfabetizzazione. Da partecipa.gov.it per obbligo rituale
anche la nuova presidenza del consiglio italiana non smette di chiedere a
tutti un’opinione. Ai progressisti, delusi dal conservatorismo anche degli
utenti digitali. All’Agid delusa dalla mancanza di un proprio ruolo. Ai
datori, in attesa di un corrispettivo dopo tanto lavoro a centrocampo per le
istituzioni italiane ed europee. Alle burocrazie di formatori, che
ripropopongono il vizio del circolo virtuoso di domanda di servizi,
partecipazione, offerta pubblica e privata, sviluppo di professionalità
innovative, il tutto da tradursi in tavoli di studio, rapporti ed eventi. Un
circolo che produce tanto fumo inquinante senza arrosto da una vita. I
cittadini assistono alla replica del piglio moderno che giustificò nei ’90
l’introduzione stile Usa di Autorità e Agenzie, enti tra il ministero ed il
parastato, che dovevano, in discontinuità con il passato, separare la politica
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Giuseppe Mele 2014
dalle regolamentazioni, competenze e tecnicalità. Poi, questi doppioni
ministeriali si sono dimostrati utili solo a pagare di meno i loro dipendenti
trasferiti d’autorità. La diffusione massiva degli strumenti digitali avrebbe
dovuto far crescere esponenzialmente il coinvolgimento dei cittadini. La
consultazione pubblica per forza di cose avrebbe dovuto estendere lo
spazio della democrazia diretta accanto alla delega della rappresentanza
politica. I tanti, frammentati, localistici tentativi di democrazia digitale
cozzano con la necessità di vaste partecipazioni su big data. D’altro lato
l’assenza di un riconoscimento almeno parziale di cogenza alle loro
indicazioni, ha reso questi sondaggi a giochi senza peso buoni per la
sopravvivenza di un po’ di fauna parapolitica. Un altro autogol europeo
che è anche riuscito a ridurre la credibilità della rappresentanza
tradizionale, costretta a scimiottare, senza crederci, parole e modi dei nativi
digitali.
2013 Agcom, via il guru. Perchè non sostituirlo con un networker?
E’ dispiaciuto a tutti che per gravi motivi personali Decina abbia dovuto
abbandonare il suo posto all’Agcom. Se ne sono lamentati gli altri
commissari, Martusciello e Preto, in quota Pdl), Posteraro (in quota Udc), il
presidente Cardani.( in quota Monti ), il viceministro Catricalà, i principali
giornali. Onestamente augurando ogni bene al trentennale guru TLC , la
notizia sembra avere anche risvolti positivi. Decina ha sempre evidenziato
gli aspetti degenerativi dello sviluppo TLC, lo scarso spessore dei contenuti
web e dei social network, la colonizzazione culturale che ne sarebbe
derivata. Ultimamente ha previsto pericoli occupazionali a 5 cifre per il
mondo digitale italiano. Quando però si è trattato di consigliare la politica
che tanto si è adoperata per questi magri risultati, in un modo o nell’altro, il
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professore si è trovato dalla parte dei distruttori. Forse è stato male
interpretato, o non capito, ma non si ricordano sue prese di distanza chiare
e forti quanto quelle prese sul pubblico TLC, considerato un insieme di
scimmie stupide, degne eredi del povero pubblico televisivo
nazionalpopolare. Ecco perché ora, alle sue dimissioni, si potrebbe
auspicare una svolta, soprattutto quando si tratta per l’Agcom di decidere
su cose importanti quali il diritto d'autore online ed i contenuti dello spazio
pubblico telematico . Senza Décina solo Preto si sta occupando di
Infrastrutture e Reti, prima regno incontrastato del professore ( agli altri
due vanno Servizi e Prodotti). Secondo un rigido manuale Cencelli, Decina
era all’Agcom, in quota componente dalemiana Pd, cui ora toccherà
nominare un sostituto, anche se sarà l’assemblea di Montecitorio a
nominare il nuovo commissario, senza limiti temporali. Papabili al
momento, senza al momento notizie renziane, sono, per la sinistra Pd\Sel,
Vita e Zaccaria, epigoni del MimandaRai3, di Articolo21, dei contratti in
Rai al ribasso voluti solo per questioni politiche, per non firmare con l’ex
direttore Lei. Sono gli uomini della par condicio e dell’odio per i mass
media che non siano sotto controllo ideologico. La Uil ne sa bene qualcosa,
dal trattamento subito in Rai, alla Fiat ed all’Ilva. Poi, in un secondo piano,
più sornioni ci sono il giornalista Rognoni, ex parlamentare PD, ex CdA
Rai, ora Presidente di un improbabile Forum Riforma TV e Sassano,
anch’egli da tempo docente universitario TLC di lungo corso, esperto
sopratutto di spettro e frequenze. Si tratterebbe, malgrado la sbandierata
indipendenza, di una nomina Telecom Italia dove Sassano ricopre il ruolo
di presidente della vigilanza su Open Access. In alternativa Bersani
vorrebbe un dirigente statale in aspettativa, il responsabile Pd dei diritti dei
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Giuseppe Mele 2014
consumatori Lirosi, una specie di Barca minor. Sembra che il destino
dell’Italia digitale e dei suoi lavoratori debba essere sempre nelle mani di
avvocati, dirigenti statali, professori e di ex. Ex Cda di qua, ex deputati di
là. Non potrebbe essere la volta di una persona della produzione digitale e
del lavoro digitale? Gambardella dell’Etno che tanto si è fatto sentire in
Europa ha la sua occasione. Non potrebbe venire una proposta dal Cnel, da
Confindustria Digitale, dai sindacati? I grillini vogliono un nome indicato
dalla rete. Viene da pensare per esempio che provengono dal settore TLC
sia Zucco il leader del Tea Party che il sindaco di Verona Tosi. Non
sarebbe meglio un nome proveniente dai luoghi di lavoro? Che magari
capisca meno tante frigide teorie che in nome della corda neutralità
impongono l’impiccagione ai settori digitali nazionali ma affronti le cose
con praticità? L’ultimo atto Agcom con Decina ha diminuito i costi
dell’accesso della rete con effetti disastrosi per Telecom senza un effettivo
vantaggio occupazionale per i concorrenti, senza effettivi positivi sugli
investimenti e sul divide che ormai divide non Nord e Sud ma l’Italia dal
NordEuropa e l’Europa agli Usa. I centinaia di milioni persi di ricavi hanno
anticipato la pronosticata perdita di posti di lavoro. Se l’Agcom deve
regolare il mercato, e non deprimerlo, cambi passo e candidature. I
sindacati devono affrontare il problema delle Authority, così affrontando
nell’insieme la questione finora non vista dei networkers.
2013 Siae al voto
Il 1 marzo, subito dopo le elezioni politiche, si voterà di nuovo ancora
prima delle regionali. Si voterà il consiglio di sorveglianza della Siae,
società autori ed editori per i cui 85mila elettori (83mila autori e 3mila
editori) si battono ben 24 liste. Anche lo Stato siede nell'assemblea dei soci
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Giuseppe Mele 2014
con lo 0,47%, grazie al servizio pubblico RadioTv. L’attuale consiglio è
composto quasi solo da editori e autori del settore Musica con un solo
autore per conto delle altre categorie che hanno lamentato una situazione
discriminatoria. Le associazioni cineTV (100autori), dei dialoghisti
(Aidac), dei cineautori (Anac), dei registi di fiction TV (Art), dei film
d'animazione (Asifa), dei documentaristi (Doc.it), e dei cinescrittori (Sact)
hanno portato le loro doleances in Commissione VII della Camera aprendo
di fatto le ostilità. A parte il contrasto con i musicisti, il tema di fondo è
l’equo compenso, nuova tipologia di incasso Siae oltre il diritto d’autore. Il
famoso contributo di fotocopia digitale, imposto su CD-R, DVD-R, Hard
disk, pen drive e schede di memoria è stabilito dalla direttiva 2001/29 ma
inesistente in Uk e Irlanda. In Canada si paga al Copyright Board, negli
Usa alla RIAA, in Belgio all'Auvibel, in Svezia al Copyswede; è presente
in Germania, Olanda ma non in Francia dove rientra nel diritto d'autore.
Vale cifre diverse, per un DVD ca. €60cent. Riparazione preventiva e
presuntiva, è un prelievo molto discusso ma che le associazioni cineTv
difendono a spada tratta come unico strumento di rivalsa di fronte alla
massa di film trasmessi dalla Tv che depauperano ogni altra via
distributiva. Nato nelo ’99 in Italia un DM 2009 ha determinato l’equo
compenso a forfait. Di fronte alla richiesta di pagamento degli autori a
tariffa, Sky ha smesso di corrisponderlo. dal ‘10, chiedendone
incostituzionalità e citando la Siae. Prossima udenzia il 24 aprile. Per la
trattativa ‘09-‘11 con la Rai, dopo tanti incontri inutili, è stato attuato
l’articolo sull’arbitrato, previsto dalla norma che nel ’41 definì la Siae. L’
l’arbitro Siae Lacchini e Perrone si vedono da maggio ’12 e forse
chiuderanno a marzo. La Rai offre ca. €400mia annui, cioè €0,13\minuto
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Giuseppe Mele 2014
mentre gli autori chiedono cento volte tanto, € 10. Gli autori giustificano la
differenza impressionante, citando la tariffa Uk di €260\minuto, la francese
di€ 306 euro e l’italina di 212.. Accusano la Siae di distribuire
all'audiovisivo 40 milioni ( in Francia la Sacd ne raccoglie per gli autori
cineTv, 180); rinfacciano alle piattaforme digitali uno share dei filmati del
5,3% rispetto allo 0,48% del 2009; alla Rai di aver ridotto da 800 a 500h i
contenuti realizzati, con investimenti in audiovisivo ridotti a €120 milioni
in 3 anni. Sulla liberalizzazione deregolata digitale, l'indisponibilità dei
broadcaster, la crisi Rai si è poi posto il rifiuto in prima istanza della Siae
di affrontare il problema. Così le tariffe sono ferme dal 2004. Il tema è a
largo raggio. Cineanimatori e documentaristi denunciano il contratto SIAE-
TV che tutela solo i colleghi contrattualizzati, mentre le TV impongono la
dicitura di semplice filmato per non pagare. Il sottosegretario all'Editoria
Peluffo ha convocato per il 4 marzo la Commissione e.c. per i giornalisti,
ex lg. 233/12, per stabilire i diritti dei free lance di giornali ed agenzie; ed
escludere le testate che si comportano male dai contributi pubblici. Preso
l’avvio, la Siae ha avviato un arbitrato anche vs. i servizi innovativi e le
telco di Confindustria. Come le seconde accusano Google e gli OTT di
sfruttamento, così fa la Siae verso di loro. Tutte le istanze alla fine
dipendono dalla situazione diversa degliautori cineTv cui manca il diritto
esclusivo che invece hanno i musicisti. Qui si torna al conflitto interno. Il
settore Musica costituisce il 70% degli incassi Siae. Canzonette, ed anche
molto serie. Nel ‘92, «una sentenza del Consiglio di Stato cancellò la
distinzione fra soci e associati, (determinando) l'ingovernabilità, figlia delle
precedenti norme che hanno lasciato la Siae alla mercé di professionisti
dell'associazionismo”, denunciano gli editori musicali del Fem. La Lg. 2\08
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
ha infine riordinato l’Istituto fino ai commissari che hanno redatto uno
statuto nuovo. 17mila autori non incassano vuoi perché non pubblicano,
vuoi perché non vendono. Neanche mille autori superano i €20mila l’anno
e solo 1500 i €10mila. Se veramente la Siae deve essere governata da
organi sociali di autori ed editori, questi dovrebbero essere tali, non solo
appassionati di show e lettere. I cineautori contrattaccano: secondo i
100autori, “nel mondo della musica, in 70mila non portano fatturato ma
hanno il medesimo diritto di rappresentanza di chi lo fa. I cineproduttori
che non fatturano hanno un un peso negli organi largamente sproporzionato
al loro contributo”. Le elezioni chiudono il commissariamento biennale di
Gian Luigi Rondi, dopo quello di Mauro Masi (1999-2003). Il rosso di 18,6
milioni del ‘10, è passato all’attivo di 1 milione, ma c’è l’evasione del
diritto d’autore per 30 milioni (corollario dei 500 persi dal canne Rai) e
immobili da vendere. Ceduti gli immobili ad un Fondo Immobiliare,
incluso il più pregiato sul Canal Grande, cancellati fondo di solidarietà ed
assegno di professionalità, ridotti a 40 i dirigenti su 1200 dipendenti ,
stabililizzati 44 precari, molti temono una Siae delle major,
L’appuntamento ora è il 1° marzo, Palazzo dei Congressi, viale Pittura 5.
Verranno eletti 32 consiglieri, metà autori, metà editori, con presenza
obbligatoria di associati e di tutti i settori previsti con un premio di 2
consiglieri in più per i settori in attivo per un max teorico di 42 membri.
Rondi rigido regolerà il tempo degli interventi, poi potrà votare solo chi
sarà arrivato entro le 11. Soprattutto secondo il nuovo statuto si voterà per
capita e per fatturato. L’autore che abbia percepito 20mila, voterà per
20.001 punti, esemplifica l’ Uncla(Unione Compositori Librettisti Autori).
Ci sono 2 liste dei cineautori per una dei cineproduttori. 3 liste degli autori
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
teatrali (Dor- Drammatica Operette e Riviste) e due degli autori lirici
rispetto alle due e una dei rispettivi impresari. 6 liste per musicisti e
cantanti e 3 per gli editori. Due liste di scrittori e disegnatori (Olaf- Opere
letterarie e Arti figurative) per una dei loro editori. Sfilano i figli di
Modugno, Rossellini, Izzo. Il Purgatori di 100autori oltre a scrivere è
apparso in Boris ed in Fascisti su Marte come camerata Fecchia. C’è il
Presidente Anica Tozzi, la Bibi film di Barbagallo vicina al Sacher di
Moretti, la Medolago Albani Presidente IsICult che fa ricerche educative
per la Rai. C’è l’ideatore del Festival Inventa un Film a Latina. C’è l’Unsa
della Uil, l’unica che somma scrittori ed artisti anche se questi ultimi per il
diritto d’autore devono rivolgersi all’Imaie e non alla Siae. Le elezioni
Siae saranno 10 distinte, una per autori ed una per editori delle rispettive 5
sezioni. Il ventaglio di opere dell’ingegno divise tra Musica, Lirica,
Cinema, Opere letterarie e Arti figurative (Olaf), Drammatica Operette e
Riviste (Dor), emana un qual certo odore d’Ottocento. Non a caso a
fondare a Milano la Siae nel 1882, furono Verga, Carducci, Verdi, e Boito.
Operette, lirica, le riviste delle donnine di Macario, le arti figurative liberty
sono sempre lì. Chissà dove si collocano item più recenti come istallazioni,
multimediale, perfomance, videoart, contaminazioni di transarte, tutte le
correnti del rock e postrock. Fra l’altro il Pubblico Registro del software
istituito dal Dl.518/92 e da una direttiva europea del ’91, tutela anche il
software, per il quale però non è stato considerato utile creare un settore.
Resta una precisa distinzione tra autore ed editore che esclude l’interprete.
Anche qui, sembra ignorato il personaggio nuovo della contemporaneità
che produce anche se recita o scrive; il giornalista che intervista e riprende
o il pittore che scolpisce se stesso disegnante, modello di convergenza
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
professionale parallelo alle tante convergenze tecnologiche. E’ un voto
singolare, in primis di stampo parasindacale, con la partecipazione in
sordina dei sindacati ed in secondo luogo, bilaterale, per organi finali dove
siederanno capitale e lavoro insieme. Una copartecipazione resa possibile
dalla magia della particolarità della specificità del lavoro intellettuale; e
soprattutto dal quiproquo istituzionale che ha posto quella che è
un’associazione tra individui e categorie in un ruolo da agente fiscale. A
lungo il bollino Siae ed i suoi agenti sono stati l’incubo di ogni momento,
più o meno privato, più o meno collettivo, di ogni manifestazione culturale
o festaiola. Insieme onlus ante litteam, istituto parapubblico e monopolista,
funzionava per forza d’inerzia, incassando senza fatica sulla diffusione
musicale delle radio e discoteche, senza migliorie nei servizi. Non è più
così. La Siae non ha più il monopolio, anzi si dibatte tra l’avanzare degli
striscianti copyright e creative commons. Le sue stesse ragion d’essere,
vecchie e nuove, cioè la protezione economica del diritto d’autore e
dell’equo consumo sono sottoposti a pesanti interrogativi dalle
trasformazioni del modo di produrre e di consumare. Solo i costi da
parapubblico solo quelli di sempre. Mentre si urla che la cultura è di tutti
anche di chi non ci mette un soldo, il rischio è che cadano le major, grandi
in Italia, piccole nel mondo. In Germania la norma equipara violazione del
diritto d'autore al furto, con 5 cinque anni di reclusione. In Francia la
violazione del diritto d’autore su Internet costa una multa di €30; 3 anni di
carcere per chi crea reti di condivisione P2p ma soprattutto l’esilio da
Internet, il giudizio della Haute Autorité pour la Diffusion des Oeuvres et la
Protection des Droits sur Internet (HadopiI). In Italia la normaticva è
confusa: nel 2008 vennero esentati filmati e immagini sul web da ogni
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
costo; tanti sono però i controllori che l’immancabile Giulietti, tanto per
cambiare, invoca in schiera: Siae, Agcom ed Antitrust. Più che la cura,
forse sono il problema.
2013 La coalizione europea recluta farfalle
Ne Il lavoro in Europa, edito a giugno 2012 dall’Etui, l’Istituto sindacale
europeo, viene ricordata la teoria SBTC, skill based technical change. La
teoria maliziosamente spiega la crescita delle disuguaglianze imputandola
al cambiamento tecnologico, cioè l’economia web 2.0, l’industria 4.0 e la
turbofinanza on line. Viene criticata l’idea che efficienza e efficacia con
l’apertura globale della domanda e dell’offerta, tutte cose esponenzialmente
aumentate dall’Ict e da Internet, abbiano innalzato produttività e quindi
salari e profitti ed abbassato prezzi e secche improduttive. Non perché
questi effetti non ci siano stati, anzi; ma perché in primis, hanno
avvantaggiato i territori nel mondo più predisposti politicamente a
coglierne i vantaggi. Quei paesi, cioè, che, democrazia o no, hanno sistemi
decisionali rapidi e coesione tra i diversi attori sociali. Un profilo che si
chiama dirigismo economico e che incredibilmente accomuna Obama,
Putin e l’appena eletto Presidente della Cina, Xi Jinping, segretario
generale del Partito Comunista Cinese e membro dei Taizi, i figli dei
"principi rossi", i protagonisti della Lunga Marcia del ’49. Usa, Russia e
Cina, con metodi diversi, intrecciano in un tutto unico nepotismo e
selezione, nomine politiche e manageriali, indirizzo politico ed economico;
elementi che in genere vengono presentati contrapposti con la Rete da una
parte e la Casta dall’altro. Invece gli Usa corrono di nuovo al 2% di
crescita, reinserendosi nel gruppo in ascesa di Mosca, Pechino ed i Brics,
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
sotto la bandiera della Casta 2.0. In secondo luogo viene più che criticato,
evidenziato il fatto che il cambiamento tecnologico premia il migliore, sul
piano competitivo, portando a grandi trust monopolistici, che vincono sulla
base dei prezzi più bassi, profitti ed investimenti più alti. Con buona pace
di tutta la nenia degli antitrust e posizioni dominanti, in tutti i settori si
assiste alla concentrazione dell’offerta economica in pochi gruppi, con una
miriade di imprese clientes, cui si rivolgono gruppi social di miliardi di
consumatori. In terzo luogo la turbofinanza usa le manignifiche possibilità
in tempo reale di allocazione ottimale dei soldi; crea banche e fondi sempre
più grandi; rende i valutatori di borsa dei decisori dei destini non solo delle
aziende quotate, ma di interi paesi e consegna ancora più potere ai grandi
istituti finanziari internazionali, quali Fmi e World Bank che a loro favore
possono sempre citare la crescita globale del mondo che è passata dal 4% al
2% ma che è sempre di segno positivo, anche in presenza della perdita in 6
anni di quasi 50 milioni posti di lavoro, denunciata dall’Oil,
l’Organizzazione internazionale del lavoro. Questo quadro tanto positivo
determina l’aumento di disuguaglianze tra settori economici diversi e le
loro persone, ed all’interno dei diversi gruppi sociali. Senza entrare nel
merito, la finanza cresce esponenzialmente a svantaggio di produzione e
burocrazia. Burocrazia e politica possono farsi finanziare solo dalla
produzione che ne viene ancor più stressata ed indebolita rispetto alle
imprese finanziarie. Gli effetti più interessanti si evidenziano nel mondo
del lavoro. Il quadro teorico disegna la realtà seguente. Le tecnologie
digitali incrementano la produttività dei lavoratori altamente qualificati ma
diminuiscono quella dei meno qualificati; riducono la domanda di lavoro
per mansioni di routine, distruggendo i relativi mestieri. Le fascie più
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
elevate di reddito tra i lavoratori ne risultano sempre più avvantaggiate,
anche perché la capacità autodidattica promossa da Internet rende
pleonastica la scala gerarchica e la carriera. Si riduce il numero di dirigenti
manager che si trovano a coordinare una rete di salariati sostanzialmente
pari grado mentre la stessa rete di salariati, grazie alla progressiva
automazione, diminuisce di numero. La realtà ha fortemente corretto la
teoria SBTC che, inizialmente con tratto non solo vagamente marxista,
prevedeva l’aumento della disuguaglianza in tutta la distribuzione dei
salari. Successivamente la SBTC ha voluto spiegare l’ascesa degli
specialisti, dei più skillati, quelli che un tempo venivano identificati negli
intermedi dell’aristocrazia operaia. (Quelli che nell’esperienza storica
italiana creavano le corporazioni o gilde, antenati del sindacato,
condannando i lavoratori senza competenze ad essere ciompi, senza paria e
senza organizzazione). In effetti è dato comune ed attuale la maggiore
crescita della disuguaglianza negativa per le fasce mediobasse impiegatizie;
come in generale è sempre vero che tra i migliori occupati c’è un più alto
numero di istruiti. Negli Usa i salari più bassi sono stati protetti da fattori
istituzionali statali, quali salario minimo e sindacalizzazione, evitando
ulteriore disuguaglianza. Fattori ancora più storici e ben presenti in Europa.
La SBTC ha spiegato bene la crescita dei salari più ricchi in tutti i settori,
avutasi fino al 2003 negli Usa, ma non il fatto che in Europa, con accesso
alle stesse tecnologie e fasce di salariati\stipendiati altrettanto alte per
reddito, non si assistesse allo stesso fenomeno. Successivamente in Usa
mentre Internet ed economia connessa facevano un grande balzo, i redditi
si sono alzati per le alte qualifiche, ma non per gli occupati della
rivoluzione informatica, come i programmatori. La retribuzione offerta ai
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
giovani laureati high-tech (come gli ingegneri) si è ridotta rispetto ai
laureati più umanistici. Gli aumenti salariali riservati ai dipendenti più
istruiti sono stati solo del 2%, troppo piccoli in un quadro prima di
stagnazione, poi di forte calo del livello medio d’istruzione. I lavoratori
digitali più preparati sono quindi risultati penalizzati rispetto ad altri pari
grado. Motivo del degrado, l’eccessiva offerta di lavoro tecnologica Ict che
ha triplicato i posti di lavoro, ma ridotto le retribuzioni. Questa fase in
Europa non è omogenea. Per esempio nella Finlandia, tecnologicamente
avanzata, dove Internet è diritto universale, malgrado la crisi di Nokia, non
ci sono stati aumenti della disuguaglianza. In Germania i redditi dei
salariati\stipendiati più ricchi sono cresciuti fino al 50% rispetto al livello
medio mentre il 15% più basso dei salariati è peggiorato ulteriormente. Per
alcuni ciò è avvenuto per la diminuizione di adesioni al sindacato ed alla
crescita del numero di contratti individuali. La Germania resta però un
paese sindacalizzato al 35% e la contrattazione ha avuto effetto solo sul
28% dei salari più poveri per i livelli più bassi e solo per l’11% su quelli
più ricchi. A sviluppo costante dell’innovazione tecnologica, c’è stata
l’accellerazione già vista negli Usa. L’Unione Europea si preoccupa oggi
sensibimentre della mancanza di quadri qualificat, tanto da aver lanciato la
Grande Coalizione, un programma di incentivazione al reclutamento di
450mila informatici l’anno. L’aumento della disuguaglianza è oggi dovuta
soprattutto alla vastità dell’offerta di lavoro qualificato. Il trend mondiale,
influenzato dagli Usa, sostiene più i quadri del lavoro connesso all’Ict che
quello delle tecnologie core; proprio perché la rivoluzione informatica ha
già in pancia le innovazioni ed ora vive la fase dell’applicazione pratica e
diffusa negli altri settori economici, nelle abitudini quotidiane e nella vita
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
urbana. L’Europa è poco dirigista, ostacola i suoi monopoli, non si difende
da quelli stranieri, non controlla la turbofinanza, consuma più che produrre
tecnologia. La sua domanda di lavoro qualificato tecnologico nasce solo in
parte in casa. Per far crescere l’offerta, l’Europa dovrebbe non
sensibilizzare i cittadini, ma offrire stipendi più alti; e può farlo solo in
parte perché non ha le grandi multinazionali blu stream, over the top. Il
lavoro tecnologico europeo è destinato, continuando così, non a crescere
ma a ridursi, nella decrescita delle grandi imprese e nella sopravivvenza
come lavoro autonomo e piccola impresa. Ci vuole sì una Grande
Coalizione, non di reclutamento ma di produzione tecnologica, il che è tutta
un’altra storia. La SBTC sembra condannare le disuguaglianze, indotte
dalle tecnologie. In realtà ricorda anche il più alto livello di ricchezza
globale reso possibile dalle tecnologie. Qui sta il punto: più che ad alzare il
livello di una fascia salariale rispetto all’altra, bisogna guardare
all’innalzamento generale, a più grandi opportunità di produzione e
vendita, a partire dai tanti settori abbandobati, dall’hardware alla Gdo
internazionale.
2013 Travetelecom e pagliuzza cinese
TelecomItalia è in crisi. Certo, lo si dice da sempre. L’8 maggio però
Bernabè e co., Zingales incluso, dovranno affrontare i peggiori risultati
economici da sempre. Certo, la crisi ci mette del suo ma la sussidiaria del
Brasile, che salvava la situazione, dopo che è stato esautorato l’indagato ex
Ad Luciani, è andata in bambola. Telecom ha appena avviato un
programma di chiusura sedi, di riduzione stipendi per solidarietà ma non
basta: le ultime idee lanciate sul mercato non hanno avuto successo, i
servizi non sono più migliori di quelli dei competitor, i prezzi sono restati i
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
più alti. La lunga politica antemontista di riduzione dei costi, di
abbassamento delle condizioni dei lavoratori, soprattutto dei livelli più
bassi, di vendita degli asset del Gruppo, di aiuto dall’erario statatale non è
servita. Il debito sta sempre lì a 28 miliardi ma per le Borse mondiali,
inclusi gli investimenti necessari, è anche più alto, giungendo a 40. Il
magnate di Hong Kong Li Ka-Shing che controlla H3G e quindi il quarto
operatore mobile 3Italia ha prospettato la fusione con Telecom per dare vita
ad una società da 18 miliardi. Ammesso che la società di Bernabè sia
valorizzata per 15 miliardi, bisognerebbe sottrarre il valore della rete fissa,
da scorporare per evitare che diventi cinese. La backbone nazionale, un
tempo valutata a 15 miliardi, potrebbe essere scambiata per 8-10. I cinesi
porterebbero in dote soldi ed azienda per 3,3 miliardi, un importo globale
tale da ripagare le azioni dei controllanti soci Telco all’ultima svalutazione
fatta a loro stessi, 1,2 per azione. Il doppio del valore di mercato che
comporterebbe comunque 2,2 miliardi di perdita rispetto all’esborso fatto
nel 2009 dai soci Telco. Questi ultimi, soprattutto la spagnola Telefonica
non ce la fanno più e quindi non vedono l’ora. L’operazione è però
soggetta a numerose variabili, a partire dallo scorporo che farebbe di Open
Access una nuova società con ca. 20mila dipendenti. Una Telecom, senza
rete, senza Telco con H3G, sarebbe la vecchia Tim, senza lo smalto dei
tempi migliori, con gli occhiuti partner Ericsson sulla rete. Varrebbe meno
di 10 miliardi, le resterebbero 18 miliardi di debito ed un surplus di 30mila
(+ i 5mila 3 Italia) dipendenti. A guidarla ci sarebbe il management
Hutchinson Samoa, finora proprietari di un’azienda da 1,5 miliardi, con
tanto di rete esternalizzata Ericsson. Sicuramente per rientrare, i nuovi
proprietari punterebbero a mettere la rete mobile Tim a fattor comune con
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
gli svedesi per poi cederla loro del tutto. Per par suo, il nuovo governo
Letta, Bassanini e Gamberale dovrebbero spendere 2 miliardi, caricarsene
10 di debito per acquisire il 30% di una newco sussidaria pubblica e la rete
fissa da 8-10 miliardi. L’operazione ha alcune caratteristiche evidenti.
Omaggia la neutralità della rete poichè tutte le telco sarebbero estranee alla
backbone nazionale. Peccato che in Francia, Germania, Norvegia, Olanda
non sia così e l’incumbent nazionale resti in un modo o nell’altro statale. In
secondo luogo, la newco Open Access-Cassa Deposito e Prestiti darebbe
tranquillità, come è stato per Sogei e Consip, ai suoi dipendenti, tornati
pubblici. Nella nuova Telecom-Tim verrebbero invece ridotti drasticamente
nel tempo i 35mila posti di lavoro ad un terzo. Le convergenze telefoniche,
informatiche, televisive e satellitari d’impronta nazionale morirebbero per
sempre, assieme al minimo di autorevolezza del comparto Ict italiano in
Europa. Sicuramente il nuovo managememt Hutchison Whampoa ridarebbe
smalto e fatturati alla vecchia Tim, al prezzo però della sistematica vendita
delle società rimaste, di licenziamenti, di scorpori di ramo d’impresa, a
partire del caring, dell’informatica della Tit e del call center Telecontact e
di esternalizzazioni tecnologiche strutturali. Amara i meno, l’operazione
comunque appare inevitabile dati i numeri negativi Telecom. Costituisce un
altro tassello dell’incapacità del vertice italiano di gestire uno dei mercati
Ict più ricchi del mondo, su cui si sono ben sistemati finora inglesi e russi e
sui i cinesi si apprestano a consolidarsi al massimo livello. In un mondo
normale, la prima cosa sarebbe esautorare il management che ha portato
Telecom fin qui. Yahoo, Nokia, Apple, Compaq, Microsoft, Rim nin
genere non hanno dubbi. Davanti ai cattivi risultati cambiano Ad e
management tra gli applausi dei sindacati. Solo in Italia si fischiano i
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
manager che fanno risultati e si applaudono quelli che amano il green ma
sotterranno le aziende. L’abitudine italica si è incrostata nell’idea che se le
cose vanno male, interverrà lo Stato a salvare tutto. I tempi sono cambiati
ma le croste hanno chiuso i cervelli. Verso il vertice che l’8 maggio
Telecom vorrebbe dire sì alla fusione con 3Italia, non ci sono proteste. Né
Grillo, né Di Pietro comiziano e pre i piccoli azionisti di Asati per una volta
sono contenti per i guadagni che faranno. Pochi, maledetti e subito.
Nessuno ha dire qualcosa verso un vertice di vecchi e di giovanotti che
devono loro acquiescenza; un gruppo di manager che fuori dallo stretto
circolo dell’incumbent, non è considerato; un vertice vecchio, messo lì
dalla politica di sinistra; che non ha mai nemmeno difeso l’onorabilità
aziendale, anzi che ha subito offerto teste sacrificali alle scorribande togate
che dalla privatizzazone in poi, hanno portato tutti i settori aziendali alla
sbarra. Si pensi che nel rapporto sui paradisi fiscali del giornalismo
investigativo europeo, esaltato dall’Unione, il caso Italia è rappresentato da
un collaboratore di Tavaroli che si faceva pagare in un conto cifrato
all’estero. Per anni assemblee, blogger e lavoratori davanti alle machinette
del caffè, hanno indicato come problemi Telecom, gli sprechi, le feste (stile
Casaleggio), le auto Bmw, gli alti stipendi dei manager, le segretarie
amanti, i business personali perseguiti fra le pieghe delle attività
istituzionali. Come se nelle blue chip di tutto il mondo e di tutti i settori
non ci fossero sprechi, feste, grosse cilindrate, superstipendi, amanti, conti
all’estero e difese ostinate dell’onorabilità, Nel business mondiale normale
queste brutte cose ci sono tutte. Basta che si mantengano ad un livello
minimo rispetto a profitti e investimenti alti, molto alti. Intanto l’Italia che
conta chiede un ministro o un sottosegretario per l’innovazione, magari per
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
dare un ruolo a Bernabè. Anche per Telecom dimostra che ha perso di vista
le proporzioni bibliche tra trave e pagliuzza.
2013 Alleanza digitale
Anche l’ampia filiera digitale in tempo d’elezioni si fa sentire. Un centinaio
di AD, più o meno importanti ed esperti il 22 gennaio u.s. alla Sala del
Garante della Privacy, presso il Capranichetta, ha, con Alleanza per
Internet, fatto le sue 3 proposte: un Ministro per il digitale, Wifi nei negozi,
stazioni ed aeroporti; e sviluppo di mobile-payment e coupon elettronici
nelle transazioni commerciali. Idee inviate ai leader politici (Berlusconi,
Monti, Bersani, Giannino, Grillo, Ingroia), scelti forse in base allo studio
della londinese MCC Worldwide Digital ed al suo punteggio sulla
rilevanza che il digitale ha nei programmi dei partiti (Pdl 18p., Pd 16p.,
Monti e Grullo 13p., Fare 12p., Ingroia p.5, Sel e Lega 3p.). Sotto la faccia
pulita dell’ex garante Privacy Pizzetti, l’Alleanza ha riunito manager
(Telecom, AT&T, Microsoft, NTT, Expo2015), docenti di 4 università,
consulenti, extra (Assodigitale e PR) e confindustriali (Anitec, Assintel) un
po’ di sociale (Censis, Consumatori), di istituzionale (Privacy, AgCom,
Cassa Depositi Prestiti), di stampa (Key4biz) ed il colore del khomemeista
comitato Rai del controllo sul corpo delle donne. Per i tanti soggetti
ufficiali ed ufficiosi del vasto Internet, proclami e manifesti non sono una
novità. Università e Smau, infoprovider e ForumPa, industriali, guru e
consulenti da 20 anni emettono magne charte destinate a rivoluzionare la
vita con le ultime innovazioni del momento. Gli appelli del passato, più che
analizzare i nodi tecnologici hanno accompagnato accademicamente
l’offerta innovativa del mercato globale. Anche la filiera digitale fa parte
del puzzle finanziario-industriale e della sua famiglia. Zingales (docente
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Usa liberista di Fare di Giannino) siede nel Cda TelecomItalia; Casaleggio
(cofondatore con Grillo del M5S) è cresciuto tra Olivetti, Telecom,
Logicasiel, Netikos, Webbeg, sedendo nello stesso Cda di Michele
Colaninno, fratello del responsabile Sviluppo Industriale Pd. Le tecnologie
uniscono le inconciliabilità dei grillini, giannini e postPci. Più nota per un
serial in cui recitava lo scomparso Taricone, la famiglia Gambardella è
protagonista anche nel business con Raffaele, capo Simest, ai tempi di
Telekom Serbia; Giovanni, decano di Ansaldo ed Ilva ed infine, il giovane
Luigi, lobbista Telecom a Bruxelles, presente in ogni board Europa
Confindustria, capo delle 41 telco europee di ETNO. Luigi c’è anche in
Alleanza per conto dell’ass. Puntoit, ma qui nessuno lo conosce come uomo
Confindustria. E’ fatto così il management Internet: un po’ dummy, un po’
ingenuo e svagato smanettone, isolato nel caos sociale, immerso nei
virtuali schermi puliti, sempre pronto ad indignarsi contro le scelte da lui
stesso prese. Potrebbe usare le aule magne universitarie, gli spazi
confindustriali, ma è più romantico e modernista assumere lo stile
assembleare da Barcamp, come se si fosse anora giovani, poveri e
barbudos. Il 47% degli italiani è in rete. Grande numero se si pensa
all’elevato tasso di anzianità. Gli internauti però non fanno partito né
impalpabile società civile. Non sono rappresentati dai burocrati Cnr della
sezione italiana dell’Internet Society (Isoc), nè dall’Internet forum (Igf), o
dagli Internet provider (Aiip), né dagli informatici titolati, né dalle 5
associazioni confindustriali e confcommerciali, nè dalle inhouse regionali
(Assinter) né da altre associazioni informali. La Sala del Garante non è la
Sala della Pallacorda anche perché mancano gli estrosi Stati generali
dell’Innovazione della Marzano. Ci si perde nelle sigle, tra cui solo Asstel
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
fa qualcosa di sostanziale. Sono sparite Authority, DigitPa e Agenzia
Innovazione. Agenda Digitale con in testa un ex Telecom dovrà affidarsi ai
fiscali contabili Sogei-Consip che ci hanno dato la leadership UE per l’e-
government identificando l’Internet pubblico in un esattore. Siamo all’alba
quando non c’era neanche l’informatica pubblica di Italsiel poi Finsiel;
come Olivetti non fosse mai nata. I partiti non pensano agli internauti.
Progetti come l’e-mail certificata -non obbligatori- procedono in ordine
sparso nei territori. Nessun partito ha una strategia digitale, inclusi i grillini
erroneamente pseudo partito web. Ogni volta si ricomincia da zero. Il
Ministro per l’Innovazione c’era, fino al ’06 era Stanca, di destra. Poi tutto
finì nel calderone Sviluppo Economico con Bersani che abrogando i costi
delle ricariche, aumentò la perdita di posti di lavoro Prima c’era stato
l’Osnaghi, di sinistra, capo e-government, Entrambi cercarono di
riunificare le reti dedicate PA e le connessioni a camera stagna; sforzi poi
sfociati nel codice dell’amministrazione digitale, i cui pregi oggi ancora
non si apprezzano. Sulla connessione Wifi gratis all’aria aperta, corre il
derby di generosità tra Roma Capitale di Alemanno e Provincia di
Zingaretti, che era in vantaggio grazie al suo network wifi di province.
Negli ultimi giorni il Campidoglio ha però offerto a tutti i romani 4 ore
gratis di navigazione. Non si vede che l’Italia prima in Europa per
broadband mobile e per smartphone in circolazione. L’intervento di ogni
ente pesa sulle tasse per qualche milione; che diventerebbero 100 in caso di
modello nazionale. Come per il wifi, il commercio può essere distributore
del pagamento col cellulare che aumenterebbe il numero, oggi basso, di 15
milioni di e-acquirenti; a patto di non tassare di più (meglio di meno), di
escludere costi accessori (come le carte di credito) e di non controllare i
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
comportamenti a fini redditometro. Le norme aggressive che producono il
nanismo massivo d’impresa italiana bloccano l’uso legale del digitale a
favore della pirateria su software, film e musica. Sono spariti i miliardi per
la banda larga chiesti dal rapporto Caio. Non sono più indispensabili,
dicono Governo e Cnel per il quale vanno ridimensionati broadband e tlc
mobili. L’Ict non dà tregua. Nuove tecnologie irrompono mentre non si
dispiegano tutte le potenzialità delle esistenti. Gli industriali guardano al
possibile scorporo della rete Telecom; alla nuova guerra fredda per i
national Internet segment, all’uso massivo di banda (100milai
petabytes\mese, milione di miliardi, 10 volte più che nel 2010). Le telco
europee vogliono la rete tlc continentale. Senza fondi pubblici vorrebbero
farla pagare ai monopolisti mondiali Usa (dai capitali asiatici) di social
network, apparati, webmail e streaming. Ecco Etno, cioè il giovane
Gambardella che forse oggi aspira al Ministero. Gli industriali gemmano
infinite associazioni di questo o quel patron pubblico\privato, reiterando la
sottopolitica dei trombati, inutile costo della politica corporativa di
un’innovazione passiva; succubi del dominio Usa, omaggiano la
propaganda dei futuri posti di lavoro creati dalla rete come nel convegno di
Montezemolo e Google. Gli spazi civili e parapolitici sono loro contesi dai
burocrati (e parte del sindacato) che esasperano strumentalmente digital
divide, inclusione, apporto democratico dei blog, frammentazione
decisionale. Insieme nascondono le grandi delocalizzazioni ed automazioni
in corso, la sconfitta concorrenziale di un’Italia ed un’Europa che
consumano ma non producono. Il grande deficit democratico del settore
desertifica lavoro, competenze ed opportunità, abbattendosi sul milione di
lavoratori, divisi tra lavoro autonomo e lavoro dipendente, a sua volta
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
frammentato tra PA, meccanico, commercio e comunicazione. La voce dei
lavoratori digitali, diffidenti delle forme tradizionali sindacali ma anche dei
reciproci rapporti è oggi usurpata a vario titolo da 3 Stati: Politica,
Industria, Bureau, cui la produzione digitale, questione centrale di
sopravvivenza, non interessa. Al destino del lavoro e produzione digitali,
possono pensarci solo i lavoratori da soli, riconquistando i luoghi della
partecipazione civile e sindacale. Agli altri come si vede, non interessa.
2013 Lavoratori digitali
Chiamata a gran voce, “l’eccezione culturale europea” ha per il momento
sottratto i “contenuti” al rinnovato accordo di libero scambio
euroamericano. Alti lai si sono alzati da parte di nomi prestigiosi della
cultura per il controllo allogeno dei networks che mette a repentaglio la
sostenibilità del sistema media e cultura. Si tratta delle medesime
preoccupazioni che sia in Telco per l’Italia sia nel Forum Asstel sono state
evidenziate a fronte del rapporto squilibrato tra gli operatori sopra la rete e
gli operatori della rete, cioè tra OTT e Telco. Uno squilibrio molto sentito
in Europa che è in difficoltà nei confronti sia dei Brics che delle altre aree
avanzate; eppure uno squilibrio strutturale che in tutto il mondo
contrappone l’economia materiale all’economia della rete. Le
preoccupazioni comuni dei detentori dei contenuti e delle reti di trasporto
dati nazionali sono relative alle caratteristiche sovranazionali e
ultrasettoriali dell’offerta dell’economia della rete. La filiera delle Tlc
incorpora le società delle infrastrutture apparati e servizi di rete (hardware
per le reti), terminali, software, gestione reti Tlc e call center. Il confine di
detta filiera non è dettato dalle attività o dal business ma dai confini del
contratto Tlc, nato attorno alle Telco. L’hardware per le reti è connesso,
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
senza soluzione di continuità, con altri settori, quali le reti di trasmissione
Tv e l’hardware e l’elettronica dei settori Ict metalmeccanici che contano
250mila addetti su un totale di 1,5 milioni di lavoratori. Tra questi gli
addetti software del metalmeccanico omogenei all’omonimo settore delle
Tlc. L’area delle vendite e dei call center, alla fine della filiera, prosegue
senza soluzione di continuità con il settore Ict del commercio. Tutta la
filiera è preceduta dai lavori di posacavi stradali e antecedente il settore dei
contenuti (media, pubblicità, design, e-government). Gli OTT sono società
di software ed in parte di hardware ma non sono considerate parte della
filiera Tlc poiché il loro business è incentrato nel settore dei contenuti. Nel
suo sviluppo l’economia della rete ha modificato il confine tra industria e
servizi, a favore di questi ultimi. Quando si dice che nel mondo il 75%
dell’economia è digitale, si ammette che la filiera della comunicazione va
ben oltre quella Tlc. A dirlo sono i ricavi la cui origine non è più
chiaramente divisibile come in passato. Nel mondo il cinema fattura 65
miliardi, di cui solo 30 dalle sale; il resto proviene da Tv e pubblicità. I
fatturati dei media in gran parte coincidono con quelli pubblicitari globali,
del valore di 500 miliardi. Dentro questa cifra ci stanno, in gran parte anche
i 5 miliardi del download musicale o i mille miliardi dell’e-commerce , che
solo nel ’99 valeva solo $ 110 miliardi. Quanta parte dei 1100 miliardi
dell’IT si confonde con la pubblicità, con l’e-commerce, con lo stesso
hardware, con la gestione Telco? I 30 miliardi di transazioni finanziarie
individuali mondiali sono IT, commercio o finanza? D’altra parte i fatturati
non sono realizzati dai settori economici ma da società che si muovono
senza rispettare i confini statistici. Nell’era Internet convivono le domande
ed offerte del web 1.0 della semplice ricerca, del web 2.0 delle applicazioni
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
in rete sostitutive di quelle di casa, del web 3.0 di tridimensionalità e di
contenuti interattivi degli utenti. Da un lato, le imprese, cioè la produzione,
in genere sono dovunque molto prudenti in questo cammino. In Germania,
che su questo fronte è il paese più avanzato in Europa, il 75% delle persone
fisiche fa uso della rete per ogni bisogno e svago, ma solo il 22% delle
imprese si integra nella rete. All’altro capo l’Internet finanziario corre oltre
la velocità della luce attraverso l’integrazione degli scambi tra le 40mila
multinazionali (su 37 milioni di società) ed i Fondi, fino ai $600mila
miliardi, 8 volte di più del Pil mondiale. L’economia digitale privilegia il
consumatore, i monopoli, la convergenza di hardware, software, trasporto
dati, tutti strumenti che abbassano prezzi e salari per unità di prodotto e che
unificano l’offerta in un mix di apporto tecnologico, di trasporto dati e di
contenuto. Nell’unificazione della filiera delle comunicazioni, guadagna
solo il driver di tutto il complesso, che è il soggetto informatico: oggi le
OTT, domani i proprietari degli store di gioco, video e servizi interattivi.
Paradossalmente crescono traffico dati e la fruizione di apparati di
comunicazione, di libri, media, video e pubblicità, ma per molti soggetti
della filiera calano i ricavi, soprattutto per le Telco sulle cui reti si muove
tutto. Peggio va per i lavoratori cui l’economia digitale chiede di
trasformarsi di volta in volta in venditori, impiegati pubblici,
metalmeccanici, commessi, informatici, operai, professionisti dei media;
cui chiede competenze tecniche tanto più specialistiche quanto volativi.
L’economia digitale chiede al 5% dei lavoratori di sostenere la
trasformazione del 75% della società, senza neanche rimpinguarne il
numero. La crescita dei posti di lavoro per cloud e smart cities non
recupera l‘occupazione persa in editoria, media, Tlc, elettronica, metalIct,
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
dall’Uk, alla Cina ed Usa. Corollario dell’efficienza digitale è infatti la sua
capacità di sostituire lavoro, non manuale ma skillato, con macchine e
processi IT. Non sono per ora spariti i mercati delle relazioni pubbliche e
personali, delle vendite all’asta, dei giornali, dei media e delle Telco le
quali ultime valgono da sole $1600 miliardi in una filiera totale da 3300, il
4% del Pil mondiale. La tendenza c’è se non si riporta al centro il
produttore (lavoratore e non) e non si cambia modalità di pagamento. Un
ticket flat omnicomprensivo di filiera all’ingresso nella rete per esempio.
Altrimenti i 20 milioni di lavoratori dell’intero digitale, meno dell’1% di
tutto il lavoro mondiale (a fronte del 4% dei ricavi) sono destinati a ridursi
sensibilmente.Con implicazioni addirittura sulla reale indipendenza degli
Stati nazionali
2013 Agcom, via il guru. Perchè non sostituirlo con un networker?
E’ dispiaciuto a tutti che per gravi motivi personali Decina abbia dovuto
abbandonare il suo posto all’Agcom. Se ne sono lamentati gli altri
commissari, Martusciello e Preto, in quota Pdl), Posteraro (in quota Udc), il
presidente Cardani.( in quota Monti ), il viceministro Catricalà, i principali
giornali. Onestamente augurando ogni bene al trentennale guru TLC , la
notizia sembra avere anche risvolti positivi. Decina ha sempre evidenziato
gli aspetti degenerativi dello sviluppo TLC, lo scarso spessore dei contenuti
web e dei social network, la colonizzazione culturale che ne sarebbe
derivata. Ultimamente ha previsto pericoli occupazionali a 5 cifre per il
mondo digitale italiano. Quando però si è trattato di consigliare la politica
che tanto si è adoperata per questi magri risultati, in un modo o nell’altro, il
professore si è trovato dalla parte dei distruttori. Forse è stato male
interpretato, o non capito, ma non si ricordano sue prese di distanza chiare
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
e forti quanto quelle prese sul pubblico TLC, considerato un insieme di
scimmie stupide, degne eredi del povero pubblico televisivo
nazionalpopolare. Ecco perché ora, alle sue dimissioni, si potrebbe
auspicare una svolta, soprattutto quando si tratta per l’Agcom di decidere
su cose importanti quali il diritto d'autore online ed i contenuti dello spazio
pubblico telematico . Senza Décina solo Preto si sta occupando di
Infrastrutture e Reti, prima regno incontrastato del professore ( agli altri
due vanno Servizi e Prodotti). Secondo un rigido manuale Cencelli, Decina
era all’Agcom, in quota componente dalemiana Pd, cui ora toccherà
nominare un sostituto, anche se sarà l’assemblea di Montecitorio a
nominare il nuovo commissario, senza limiti temporali. Papabili al
momento, senza al momento notizie renziane, sono, per la sinistra Pd\Sel,
Vita e Zaccaria, epigoni del MimandaRai3, di Articolo21, dei contratti in
Rai al ribasso voluti solo per questioni politiche, per non firmare con l’ex
direttore Lei. Sono gli uomini della par condicio e dell’odio per i mass
media che non siano sotto controllo ideologico. La Uil ne sa bene qualcosa,
dal trattamento subito in Rai, alla Fiat ed all’Ilva. Poi, in un secondo piano,
più sornioni ci sono il giornalista Rognoni, ex parlamentare PD, ex CdA
Rai, ora Presidente di un improbabile Forum Riforma TV e Sassano,
anch’egli da tempo docente universitario TLC di lungo corso, esperto
sopratutto di spettro e frequenze. Si tratterebbe, malgrado la sbandierata
indipendenza, di una nomina Telecom Italia dove Sassano ricopre il ruolo
di presidente della vigilanza su Open Access. In alternativa Bersani
vorrebbe un dirigente statale in aspettativa, il responsabile Pd dei diritti dei
consumatori Lirosi, una specie di Barca minor. Sembra che il destino
dell’Italia digitale e dei suoi lavoratori debba essere sempre nelle mani di
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
avvocati, dirigenti statali, professori e di ex. Ex Cda di qua, ex deputati di
là. Non potrebbe essere la volta di una persona della produzione digitale e
del lavoro digitale? Gambardella dell’Etno che tanto si è fatto sentire in
Europa ha la sua occasione. Non potrebbe venire una proposta dal Cnel, da
Confindustria Digitale, dai sindacati? I grillini vogliono un nome indicato
dalla rete. Viene da pensare per esempio che provengono dal settore TLC
sia Zucco il leader del Tea Party che il sindaco di Verona Tosi. Non
sarebbe meglio un nome proveniente dai luoghi di lavoro? Che magari
capisca meno tante frigide teorie che in nome della corda neutralità
impongono l’impiccagione ai settori digitali nazionali ma affronti le cose
con praticità? L’ultimo atto Agcom con Decina ha diminuito i costi
dell’accesso della rete con effetti disastrosi per Telecom senza un effettivo
vantaggio occupazionale per i concorrenti, senza effettivi positivi sugli
investimenti e sul divide che ormai divide non Nord e Sud ma l’Italia dal
NordEuropa e l’Europa agli Usa. I centinaia di milioni persi di ricavi hanno
anticipato la pronosticata perdita di posti di lavoro. Se l’Agcom deve
regolare il mercato, e non deprimerlo, cambi passo e candidature. I
sindacati devono affrontare il problema delle Authority, così affrontando
nell’insieme la questione finora non vista dei networkers.
2013 Unico EuroTlc e Napodigitali
C’è una strada nella Capitale, dove al turista come al cittadino, sembra
viaggiare nello spazio per trovarsi improvvisamente un centinaio di km più
a sud, in piena Napoli. Le espressioni, i gesti, gli abiti, le voci, i volti, i
movimenti delle persone che entrano negli uffici presenti su un lato della
via, fanno pensare di essere davanti a Palazzo San Giacomo, in piazza
Municipio, sede del Comune Partenopeo. L’altro lato della via, per odori,
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
colori e
forme
conferma
questa
impressione
. Ci sono
bar, ricchi
di leccornie
tipiche quali
babà,
pastiere e
sfogliatelle;
accanto,
sempre
nella stessa
atmosfera e
secondo i
suoi lati
migliori e
peggiori,
seguono
negozi, il
pulmino navetta, l’edicola ed i cassonetti. Questo pezzo di napolitanità si
trova in viale Marx, quartiere Talenti e non è un paradosso che il teutonico
filosofo dell’egualitarismo presti il suo nome a questo pezzo di
Sonnenland. Da Bordiga, Croce fino a Napolitano è l’ex capitale del regno
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
delle due Sicilie che, capta, ha conquistato e dominato l’incrocio tra
accademia e pubblica amministrazione nel dopoguerra. Sotto tali segni si
colloca qui da 20 anni la sede del Formez PA fatta propria da 3 lustri dal
suo inamovibile presidente, il romano Carlo Flamment, €232mila l’anno,
esempio di quei miracolosi grandi commis d’etat, capaci di collaborare
simpaticamente con Rutelli, Veltroni, Berlusconi, Brunetta, ecc. senza
perdere smalto, incarichi e presenze in svariati Cda. Il Formez è uno strano
oggetto, non privato, non pubblico, non locale, non centrale; è
un’associazione di associazioni di enti locali posta sotto il ministero senza
portafoglio della semplificazione. Sotto l’egida della Cassa del
Mezzogiorno e dell’Iri, sotto lo sguardo benevolo di Beneduce, Menichella
ed il fondatore cislino Pastore l’ente ha passato 40 anni di vita, prima, dalla
sede degli ex stabilimenti Olivetti di Napoli, a sostenere
l’industrializzazione del Sud, e poi la formazione meridionale; finchè nei
primi anni rossi ’90, con l’uomo della Cgil Stefano Patriarca arrivò nella
marxiana Roma come agenzia tecnica della Funzione Pubblica. Da tre
anni, un decreto legge ed un ordine del giorno dell’assemblea dei soci
hanno trovato nuovi compiti al Formez PA, tutti tesi a riformare e innovare
la PA. Per ribadire i quali, a fianco dei premises Formez, quasi in
contemporanea, vi sono state trasferite le pattuglie informatiche, sempre
più smilze e spettinate dell’ex Aipa, ex Cnipa, che durante il trasloco si
trovarono con il nuovo nome di Digit Pa. Questi ultimi arrivavano a capo
chino dai palazzoni di proprietà monancese della ben più elegante via
Isonzo, già sede della grande informatica pubblica (Italsiel e Finsiel), oggi
dati in affitto a super istituzioni quali Consob e Agcom che possono
permettersi di pagare €1,5 milioni l’anno. Nondimeno l’aria spensierata
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
della via partenopea ha presto migliorato l’atmosfera. I 150 informatici si
sono presto mescolati ai 415 formezziani, partenopei trasferiti, parte
pendolari, parte romani partenopizzati; hanno solidarizzato con loro quando
la creatura Formez Italia, nata per gestire concorsoni come quello del
Comune di piazza Municipio, è stata montianamente abrogata. Ugualmente
in cambio i formezziani hanno sostenuto l’animo abbattuto degli ex Digit
Pa, quando sono divenuti, assieme alla brunettiana Agenzia per
l'innovazione ed al Dipartimento PCM della Digitalizzazione, Agenda
Digitale- Agid e poi sono stati sdoppiati in Agid 1 e Agid 2, una comandata
dal montiano Ragosa e l’altra, di maggior livello, capitanata dal lettiano
Caio, con il problema di essere uno salernitano e l’altro napoletano, come
dire livornesi e pisani del Sud. Ridendo e scherzando sono passati un paio
di annetti tra i problemi innovativi di fare nuovi capi e nuove assunzioni
(28 bloccate dalla Corte dei Conti) risolti con una diarchia di consolare
memoria che dovrà dividersi il budget da 1 miliardo, in gran parte
impegnato per spese di personale e funzionamento. Ragosa firma ancora
come commissario e Caio parla sempre sulla base del famoso twitter
d’incarico. Come il resto delle riforme montiane, anche Agid è parte di
quei quasi 500 decreti attuativi che l’attuale governo deve far approvare a
colpi di fiducia e emergenza per snaltire il pregresso. Una delle priorità di
Caio ad esempio, la fatturazione elettronica, è legge da tempo, addirittura
da un lustro, ma se non viene regolamentata non si realizza. Inutile
ricordare che ogni regolamentazione viene rimandata perché porta con sé
necessità di risorse pubbliche e di nuovi oneri materiali e immateriali per le
imprese ed i cittadini. Malgrado il coinvolgimento di superimprenditori,
tutti intendono l’Agid come solo un pezzo dell’ammnistrazione pubblica.
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Così Pa ed Università la intendono come cosa propria mentre il mondo
del’impresa la vede come l’occasione di vendere qualcosa alla Pa. A questa
ammuina dal basso e dall’alto (bottom e top) corrisponde un uguale e
contrario caos europeo. Dopo lungo battagliare la commissaria Kroes, sulle
orme della predecessora Reading, ha imposto il suo pacchetto Tlc con
l’obiettivo del mercato unico digitale senza barriere, reti e ricavi nazionali,
a partire dalle chiamate internazionali da fisso. Per costruire l’eurorete
(fissa, mobile, satellitare) si può fare come per le grandi backbones
translantiche di Internet, che hanno proprietà azionaria frammentata ed
investimenti corrispondenti alla fee d’incasso (basta l’accordo tra le 5
euroTelco che hanno l’80% del mercato). Oppure si deve passare alla
guerra selvaggia degli operatori sui mercati altrui.. “Le fusioni” delle 160
telco fisse e mobili europee “non sono un fine in se stesse”, dice la Kroes.
Infatti il commissario alla concorrenza Almunia non le permetterebbe. La
scelta fatta della guerra delle comunicazioni e dei contenuti è invece un
assurdo. Una Telco tedesca o Uk che si impossessasse della maggioranza
delle reti europee; praticherebbe un’invasione ostile. In questo secondo
caso rientra il piano delle chiamate gratuite imposte, della neutralità della
rete, dello stop ai cosidetti contratti-capestro, dei piani tariffari a copertura
di 350 milioni di europei o di 10 stati. La democristiana olandese, venuta a
Roma a scaldarsi al facile applauso della piazza nostrana, ha invocato
guerra alle burocrazie, dopo aver creato regolatori grandi e piccini e
richiamato mille regole di privacy, difesa minori e sicurezza. In settimana
la maggioranza dei governi al consiglio europeo sul digitale si prepara a
contestare completamente la Kroes, sulla linea delle dichiarazioni della
confindustria digitale europea, l’Etno, che per bocca dell’italiano
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Gambardella ha chiesto marcia indietro, a parte le semplificazioni di
licenza, di spettro e prezziario per l’accesso alle vecchie reti. Il mercato
auspicabile unico Tlc da €110 miliardi l’anno si fa solo con fusioni e per
grossi fondi europei a sostegno della fibra ottica. Solo un paese si prepara a
sostenere l’olandese. Ovviamente l’Italia che oltralpe è sempre
supinamente governativa. Poiché una delle grandi Telco è ancora in Italia,
l’interesse nazionale vorrebbe il sostegno ad una politica di fusioni. Invece
si sosterrà il contrario. In Europa si cade nella contraddizione di prendere
ad esempio il mercato Usa per poi fare al contrario. In Italia si cade nella
contraddizione di sostenere in Europa che l’agenda digitale sia soprattutto
telecomunicazioni, impresa privata e Internet per poi a Roma farla
concidere con la Pa. Inoltre si sostiene a Bruxelles una piattaforma
antindustriale delle tlc, che poi si dovrà scontare in perdite economiche ed
in ammortizzatori sociali. Viene alla mente lo scontro vissuto quasi 20 anni
tra Rey, allora capo dell’Aipa, erede dell’Ict unitaria e pubblica, ed il
presidente dell’associazione imprese IT private, Anasin, Tripi che poi
avrebbe comprato l’informatica pubblica per ridurla Almaviva. Rey diceva
che per informatizzare la Pa non ci volevano soldi. Solo la Pa centrale
spendeva allora in informatica €1,84 miliardi l'anno. Ne bastava il 10% in
un piano centrale che adottasse dovunque gli stessi strumenti e db. Tripi
gridò all’orrore: “si rischia la gestione centralizzata di un nuova colossale
rete tlc, sacrificando potenzialita' e futuro delle imprese specializzate''.Si è
seguito il parere di Tripi: è stata creata l’Italia dei comuni It, delle decine di
migliaia dei piccoli centri di potere Ict, delle migliaia di stakeholder con
arte senza parte che piano piano si sono ridotti a vendere prodotti e servizi
asioamerucani, finchè arrivò Siniscalco, che trovando l’It italiana
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
moribonda, sancì che era inutile spenderci ancora tempo e soldi. Vediamo
di non seguire la stessa strada per Tlc e digitale. Agid sta abbandonando
anche gli azzurri suoli per andarsene all’Eur. Si spera che in epoca di
Marino e di ipotetiche destrutturazioni dei fori e luoghi imperiali non sia un
segno di disgrazia. Mai quanto il plauso e l’augurio rivolto a Roma dalla
Kroes a BerLetta. L’ultima volta che si era scorticata dagli elogi, l’aveva
fatto per Monti. Si consiglia al premier, come a tutti noi di andare nella
strada partenopea, parte napoletana per una buona somministrata di
reciproche pacche sulle spalle ed altrettanti segni propiziatori efficaci
quanto non descrivibili
2013 C’è Silvio e Silvio
I processi a carico dei due (Berlusconi e Scaglia) sono stati oggetto di un
indovinato calembour da parte del Renzi, candidato capo Pd, nella sua
amata Leopolda. Il qui pro quo da commedia dell’arte permette al sindaco
di Firenze, pur restando saldamente antiberluscones, di attaccare la
magistratura, la sua abitudine alla carcerazione preventiva ed alla guerra
agli imprenditori. Nei fatti il Renzi sottoscrive l’impianto accusatorio
messo in piedi da tempo da Mellini, Cicchitto e Ferrara. Un accusa
condivisa sottovoce dai grand commis ex Pci cui piaceva Mani Pulite
distruttrice degli avversari politici, ma che ormai tollerano a fatica la pura
antipolitica ed antimpresa dei procuratori. Fermarli ancora non si può, visto
che sono l’arma vincente per liberarsi dalla minaccia ancora latente del
leader del centrodx. Renzi promette, tra le righe, che dopo l’eliminazione di
Berlusconi si potrà ridurre a più miti consigli la magistratura; tanto più che
se ci sono Pm da sprofondare come quelli dell’anno di arresti subiti dal
fondatore Fastweb, ci sono anche giudici assolutori come Mezzofiore, da
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
esaltare come fa Vincino, nel suo istant ebook di vignette “Il caso Scaglia”.
Il secondo Silvio, all’indomani dell’assoluzione per la “Frode Carosello”
sulle truffe Iva telefoniche è divenuto assieme il casus belli ed anche,
improvvisamente, un santo. Già precedentemente un lungo corteo destro e
sinistro si era pronunciato a suo favore: da Riotta a Turani, da Tortorella a
Tramontano, da Luciano, Ostellino, Mingardi, Giannino a Feltri,
Debenedetti, Celli, da Caldarola, Annunziata a Battista e Belpietro.
Vincino, il disegnatore passato dalla satira sinistra de Il Male a feroci
attacchi destri per Il Foglio, è stato parte integrante dello staff del blog
“silvioscaglia,it” con il ruolo di “disegnatore a difesa”. Il fumettista
palermitano nelle sue vignette maltratta l’accusa del pm Capaldo e soci, “il
cui attacco all’innovazione italiana è fallito”; mettendo, udienza dopo
udienza, a nudo ferite putrescenti del processo e non solo. Quando parte,
nel 2010 Frode Carosello ha un grande impatto internazionale, poiché
coinvolge la telefonia mondiale, tanto che sotto il nome di Phuncards-
Broker spazia tramite cooperazione di Polizie tra Usa, Francia, Svizzera,
Lussemburgo, Uk, Romania, Dubai, Singapore e Hong Kong. coinvolgendo
pure Finmeccanica nell’intreccio di plusfatturazioni con le plusIva
telefoniche. Ed è dall’estero che giungono però i primi scricchiolii del
teorema. Le accuse all’ex manager Omnitel, Ebiscom, Metroweb e
Fastweb, 13° italiano più ricco con un miliardo tondo tondo, non
convincono. Pesano dalle colonne del Financial Times le parole di Betts
“..dopo 3 anni passati a setacciare i suoi conti, non c’è una prova solida”.
Certo, c’è grande tifo presso il giustizialismo di sinistra e dell’antipoltica
verso un quadretto che è il trionfo delle loro aspettative. Dal loro punto di
vista, la riunione dell’imprenditore truffatore, del mafioso ndranghetista,
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
del broker internazionale, dell’ex fascista golpista e del corrotto politico
costituisce un tutto unico, mille volte rappresentato, raccontato, evocato,
motivato per dare una spiegazione, altrimenti non accettabile, alla potenza
del voto moderato. il cattivo nemico da mettere alla gogna, da cui far
scendere tutti i mali. L’assoluzione, invece, rompe del tutto le dighe,
chiarendo l’assurdità di un’accusa per la quale un iperricco mette a
repentaglio tutto per pochi spiccioli; un’accusa peraltro che è un doppione
di quella fatta agli ex Ad Sip e Italcable nel ’94-’96. Si prospetta così un
secondo caso Gamberale, incarcerato da amministratore Tim e che segnò il
più grande indennizzo mai pagato dallo Stato. Sul martirio da carcerazione
preventiva si butta Renzi. I manager in coro scrivono “E’ demenziale che
un gruppo di Pm possa decidere della vita e della morte di un gruppo
industriale.” La debacle mediatica (che non significa processuale, poiché
siamo solo al primo livello di giudizio) diventa manifesta con l’autocritica
incredibile del Fatto, giornale del giustizialismo estremo, che si chiede
“come è potuto accadere?” e parla degli imputati come “di imprigionati
nella medesima odissea giudiziaria, tenuti per più di un anno tra patrie
galere e arresti domiciliari e poi assolti «per non aver commesso il fatto”.
Incondizionato, il rovesciamento del giudizio su quello che era definito
“l’inventore del più grande sistema di truffa mai escogitato in Italia” si fa
accusa per le mogli dei manager lasciate, nel sequestro dei conti, senza
soldi per il pane, per gli arresti domiciliari senza balcone o finestre aperte
in un fiume in piena, mai scorso per altri assolti o carcerati senza giudizio,
senza che si aprino veramente crepe in tante cattive coscenze. Per queste
ultime è duro scusarsi per i milioni di allusioni alla truffa telefonica, fatte
contro l’economia italiana, contro l’azienda della fibra, passata sotto
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
minaccia di commissariamento tutta sotto Swisscom, e di passaggio contro
il Pdl. Probabilmente se ne faranno altre, parlando di Scaglia come di
un’eccezione. Fatto è che il manager torinese, non per politica ma per
consequenzialità industriale, lavora con Caio (quello di Agenda Digitale)
ma lascia Omnitel quando arriva De Benedetti per fondare Fastweb. La sua
rete fissa basata su protocolli Internet, è una sfida alternativa alla rete
Telecom. Metroweb, l’idea di portare massivamente la fibra ottica nelle
case, a cominciare dalle nuove città-quartieri nasce sotto la benedizione
dell’allora sindaco ambrosiano Albertini, sta in quei profili imprenditoriali
e politici lombardi che da decenni spaccano in due il fronte industriale e
partitico. Il torinese Scaglia è un prodotto manageriale neolombardo; che lo
voglia o no, iscritto dagli antiberlucones, a partecipe dell’altro campo. Si ha
un bel dire che la Lombardia è tutta ndrangheta, oppure, come ha fatto la
Commissione UE, a farla sprofondare al 128° posto nella classifica delle
regioni europee più competitive. L’attivo lombardo da solo sceso sotto i 70
miliardi, vale più di quelli della Svezia, dell’Austria o del Belgio. Dal
commercio, trasporti e turismo a finanza e servizi alle imprese è dietro solo
all'Ile-de-France o a Londra mentre le supera, prima indiscussa
nell’industria. Regge il confronto con macroregioni come la Renania
Settentrionale-Vestfalia, la Baviera, la grande Londra, il Baden-
Wurttemberg, Resta inspiegabile allora perché Bruxelles voglia deprezzare
nelle sue statistiche questi dati proprio come rimane un mistero l’attacco
giudiziario alla nuova telefonia nata a Milano, dove Tronchetti portò
l’headquarter della stessa Telecom, dopo la storica Torino e poi Roma.
Obtorto collo, non si può non vedere la difesa strenua, fatta da soggetti
diversi fra loro, degli assetti economici tradizionali; i quali però hanno il
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
grave difetto di funzionare solo nella massima protezione. Da Firenze, dove
parlava Renzi, tutto è massimamente protetto, dai teatri salvati ex lege dalla
sua cattiva ammnistrazione, dalle coop monopoliste fino al business
tutistico, al quale si devono sacrificare le vite quotidiane degli abitanti.
Difendendo Scaglia e facendone un eroe, il possibile futuro segretario Pd
rende omaggio al modello ed al territorio economico che funziona e che ha
funzionato sotto un quadro politico antitetico al Pd. Ecco perché, il
calembour alla fine risuona amaro, Silvio con Silvio. Non c’è uno senza
l’altro.
2013 Tutti gli uomini del telelavoro
Il nuovo CCNL del settore telecomunicazioni, ipotizzato fra le parti il 1°
febbraio scorso (ora all’esame delle assemblee di 130mila lavoratori di 45
imprese), dopo una trattativa di 13 mesi ha introdotto una nuova modifica
al capitolo Telelavoro (art. 22). Invariati i primi 15 commi, nell’ipotesi
CCNL Tlc ‘13 viene introdotto un importante istituto bilaterale,
l’Osservatorio Nazionale sul Telelavoro. L’istituto viene buon ultimo
nell’ambito dei momenti di lavoro congiunto tra i rappresentanti datoriali e
dei lavoratori concordati in dieci anni di contratti Tlc, seguendo l’
Osservatorio Nazionale bilaterale paritetico sulla videosorveglianza;,
composto da sei rappresentanti sindacali e 6 imprenditoriali; il Forum
nazionale Ict/Tlc, l’Agenzia Bilaterale per la Formazione ed il Fondo di
previdenza integrativa Telemaco. Gli istituti bilaterali per la loro natura di
accordi sul campo tra le parti sociali, anche quando creati, possono avere
diverse velocità di funzionamento effettivo; corrispondono all’idea di
gestione congiunta delle attività industriali tra capitale e lavoro, che se da
un lato è l’opposto dell’ideologia del perenne conflitto distruggente tra le
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
parti, dall’altro lato, non è considerato obiettivo ultimo anche per una gran
parte del sindacato disposto alla collaborazione ed all’intesa di
compromesso tra gli interessi determinat dalla contrattazione. Sulla
previdenza il lavoro bilaterale è molto sviluppato, anche se fatica a
conquistare le adesioni delle ultime leve dei lavoratori. Sulla formazione,
l’istituto di settore, istituito ancora nel contratto 2008, stenta a decollare
anche per la fattiva attività, ad un livello più generale, di Fondoimpresa,
istituto bilaterale dell’intero mondo industriale. Attivo è stato il lavoro
bilaterale sul delicato tema della videosorveglianza che deve oggi
conciliare privacy, Statuto dei Lavoratori ed il presupposto stesso dello
sviluppo tecnologico delle smart cities, cioè la messa a Big data open di
ogni cosa e persona rientrante nei luoghi sensibili urbani. Risultato è stato il
Documento delle Parti sulle buone prassi in materia di controllo a distanza,
emesso dall’Osservatorio il 17 giugno 2011. Ora alla prova dei fatti sta il
nuovo Osservatorio. Nazionale sul Telelavoro. I suoi dodici membri, metà
sindacali, metà datoriali analizeranno, proporranno, si confronteranno con
esperti ed altri soggetti della filiera, se il loro “centro di competenze”
produrrà sviluppo. In quel caso si arriverà anche alla divulgazione dei
risultati dell’Osservatorio ed ad atti politici congiunti, l’ipotizzato “avviso
comune” rivolto alle istituzioni pubbliche. In caso contrario, l’istituto
resterà, come già avvenuto altre volte un’occasione perduta. Sui luoghi di
lavoro, non si è all’Università; non basta decantare le tematiche relative
all’utilizzo delle più moderne tecnologie ICT(Information &
Communication Technology). Le attività devono tradursi in fatturati e posti
di lavoro. L’Agenda e l’Agenzia Digitale approvate l’anno scorso, per
esempio hanno dato particolare attenzione al telelavoro, sia per il
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
coinvolgimento dei disabili, sia per obbligare la P.A. centrale e locale a
redigere sul proprio web un “piano per l’utilizzo del telelavoro“ed a
specificare i motivi dell’eventuale impossibilità dell’applicazione del
telelavoro. L’Ass. Stati Generali dell’Innovazione, un gruppo di docenti ed
appassionati, senza alcuna particolare rappresentanza, si è data il merito
delle modifiche all’uopo dell’art 4, L. 4/04. Gli SGI sicuramente hanno la
capacità, come tante altre associazioni di essere vicine ai decisori di turno.
Il risultato è una norma manifesto che costringerà le PA ad acrobazie
letterarie senza toccare l’organizzazione che allo stato attuale senza precisi
poteri cogenti istituzionali, non è obbligata ad alcunchè, malgrado le
osservazioni cui si ridurrà l’Agenzia di Ragone. Inutile citare l’americano
Telework Enhancement Act del 2010, che ha rafforzato un processo nel
quale il 5.24% dei 103mila lavoratori delle 78 Agenzie Federali sono
telelavoratori. In Italia siamo allo 0,002% e per cambiare ci vogliono un
accordo quadro Aran ( che fa monitoraggio sul telelavoro dal 2000)-
Pubblico Impiego ed il ritorno ad un centralismo organizzativo sugli altri
enti. Sarebbe preferibile cominciare a costruire una nuova PA digitle da
zero. Meglio va il settore privato dove i 95 CCNL che prevedono telelavoro
lo attuano per 55mila lavoratori, 7% della base firmataria. Media finale, il
5% di telelavoro dell’Osservatorio Smart Working Politecnico Milano. Il
confronto tra gli accordi sul telelavoro del dicembre ‘11 conclusi per il
settore Personale TelecomItalia e per Fastweb, evidenzia nel primo caso, il
riconoscimento del lavoro mobile accanto al tradizionale lavoro da casa
con il computer. L’accordo Fastweb ribadisce un Contratto individuale di
Telelavoro a Domicilio,con tutte le garanzie di revoca, di vita sindacale,
pari opportunità, specifiche dell’adeguamento dello spazio domiciliare
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
dedicato con le allegate regole di sicurezza e potere ispettivo bilaterale. In
quello Telecom c’è questa soluzione; ed in più c’è un’altra possibilità:
quella di gestire il lavoro in autonomia e mobilità con un giorno
settimanale di presenza aziendale. La complicata attrezzatura del passato
dedicata al telelavoro domiciliare, si semplifica nel portatile, già utilizzato
abitualmente. Le modalità di entrata\ uscita dall’orario si trasforma in
Sms\IM\email come le altre comunicazioni con la scala gerarchica, i
colleghi ed i clienti. I dati aziendali, tutti, sono sul cloud; gli strumenti di
analisi, di workflow e di programma, anch’essi sono in remoto ed i dati
utili individualmente sono sul palmare\notebook. Gli ambienti di lavoro,
casalinghi come di imprese terze sono dotati di connessione wireless.
Modalità elastiche e informali, da caratteristica dirigenziale si fanno pratica
diffusa, con + produttività, + tempo dedicato al lavoro, malgrado il
continuo venir meno dello straordinario (nell’ultimo contratto vi rinunciano
anche alcuni profili part time). Il lavoro mobile cresce con la maggiore
autonomia decisionale, imposta dal mondo Internet\Intranet e dalle attività
collaborative su rete, che hanno preteso nel settore Tlc ( ma non nei call
center) maggiore autonomia a tutti i livelli, minore necessità della lunga
catena di comando e l’appiattimento egualitario delle funzioni nelle diverse
aree. La conclusione è facile. Il lavoro mobile è necessario non per le smart
cities o l’ambiente, ma per eliminare drasticamente la mobilità e le
migrazioni; per i risparmi (se non c’è opposizione impiegatizia). Pone
problemi esistenziali al senso delle carriere e dei livelli professionali; rende
liquida l’organizzazione del lavoro. Confonde il controllo a distanza
aziendale con quello territoriale, ponendo anche la persona dentro l’Internet
of things. Richiede nuovi diritti. la difesa più che della privacy, della
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
libertà di comportanento. Chiede un sindacato virtuale a fianco di quello
reale. Finora, all’italiana, il lavoro mobile è stato affidato ai tantissimi
passati dal lavoro dipendente a quello autonomo, senza sindacato, senza
diritti, poca privacy e diritto ad una magra evasione fiscale. Perché si
imponga in azienda, ci vuole una volontà politica sociale bilaterale se non
trilaterale, prima ancora che politica.
2013 Tlc sotto custodia partitica
Concretezza vuole che l’Agenda Digitale e lo sviluppo dell’economia
digitale, ormai di assoluta preminenza mondiale su tutti gli altri settori, non
possano trascendere dalle sorti del comparto telefonico (Tlc) e della sua
principale impresa, Telecom Italia, l’unica rimasta nazionale (e solo in
parte). Non possono perché conditio sine qua non del digitale è la velocità
di trasmissione e di accesso ai dati Tlc. Se i consumi sono per valore metà
digitali e metà materiali, sono maggioritarie le componenti digitali di
produzione, commercio e servizi. Non esiste la sbandierata arretratezza
italiana nel settore; la terza economia europea si nutre di consumi digitali.
Manca, come in tutt’Europa la produzione. Gli europei, però di fronte
all’aggressione asioUsa, hanno usato gli aiuti pubblici esattamente come
avvenuto per energia, banche, auto, ecc. In Italia, salvate Finmeccanica,
Enel, Eni, Poste, auto e le banche, si sono lasciati alla deriva, per scelte
partitiche, produzioni, come chimica, acciaio e Tlc. Malgrado ciò, proprio
la leadership d’innovazione ha retto soprattutto quando per un decennio le
sconfitte sul lato hardware e software sono stati annullati dalla vittoria del
gsm europeo sugli standard Usa. Oggi il digital divide italico non sta nella
sua economia duale, che è un dato assoluto di tutta l’economia ma è la
somma dell’assenza di intervento pubblico (con le eccezioni ottime del
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
piano digitale lombardo) con le aggressioni giuridica e partitico-finanziaria
alle Tlc. Anche qui, i guai giurisprudenziali non sono un caso isolato. Con
Telecom e le altre telco sono alla sbarra, Desio, Unicredit, Mps, Rcs, Ilva,
Sai, Intesa, Finmeccanica, ecc. ecc. : una compagnia così ampia da
suscitare dubbi sulle accuse stesse. Nelle Tlc c’è la particolarità dell’uso
interno della giustizia nella lotta interna al managenent, secondo una
pratica, si può dire, centenaria, della sinistra. Non a caso Sip è divenuta
Telecom con la messa in stato di accusa dell’ex numero uno dell’ex
azienda Iri e sulla stessa falsariga pende eterna la questione delle sim Tim
false, stranamente pubblicizzata dall’azienda medesima. Si è concluso il
processo sullo spionaggio Tovaroli, la gravità dei cui famosi dossier
potrebbere non sembrare dissimile dalle solite intercettazioni sfuggite o dai
consueti gossip Dagospia o dai libri di Travaglio, Gomez e Stella. Telecom
e la dignità dei politici e giornalisti di sinistra sono state risarcite, anche a
spese di un giornalista di Famiglia Cristiana, e di altri comprimari che
dovranno pagare milioni allo Stato, sempre che non li salvi la prescrizione.
Dopo 5 anni, per il caso Iva telefonica, riciclaggio internazionale da €2
milioni, sono stati chiesti 7 anni cad. di galera, al fondatore Fastweb
Scaglia ed all’ex Ad di Sparkle, società dell’internazionale Telecom,
Mazzitelli. Prove documentali sul primo non ce ne sono, quanto al secondo,
subito cacciato con ignominia, ha riavuto indietro nel 2012 immobili, conti
e titoli, già sequestrati, perché non legati a profitti derivanti dalle accuse.
Scaglia con tanto di vignette di Vincino si difende a spada tratta, Telecom
no. Nel frattempo Fastweb è divenuta svizzera, Sparkle è decaduta e
Telecom ci ha rimesso 500 milioni. Il nuovo capo all’internazionale
Telecom, successore di Mazzitelli, l’ex veltroniano capo Acea Andrea
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Mangoni, si è appena dimesso da AD Tim Participacoes e da Tim Brasil,
forse per le eccessive promesse di investimenti in Brasile. La partecipata
brasiliana, l’unica che aumenti l’utile nel Gruppo Telecom, è sempre più
autoctona, con un management carioca, dopo le dimissioni imposte dalla
giustizia dell’altro chief, Luciani. Coincidenza vuole che le idee di sviluppo
dei manager considerati vicino al centrodx, li abbia portati in tribunale.
Oggi vengono scaricati anche quelli del centrosx, forse per le scelte
scellerate (ed assenza di giustizia) dell’indebitamento addossato a Telecom
da Colannino nel ’99. forse per evanescenza ed incapacità. Adesso al posto
di Mangoni, a capo della finanza Telecom c’è il montiano figlio dell’ex
ministro Cancellieri, garanzia, in un’azienda già spremuta fino all’osso, di
ancora maggiori risparmi, di aggressivi tagli di costo che non potranno che
pesare sul conto dei lavoratori e sull’impoverimento dell’indotto, del
comparto in generale e quindi di tutta l’Agenda Digitale. L’altro vulnus è
partitico-finanziario. Il 1° febbraio è stato firmato il nuovo contratto Tlc,
con un aumento base in 2 anni di 135€, ora all’approvazione dei 160mila
lavoratori del settore. Subito Moody's ha ribassato il rating Telecom a Baa3
con outlook negativo, vuoi per i risultati 2012, vuoi per il taglio del
dividendo del 54% agli azionisti, chiamati per la seconda volta a sacrifici
comuni dopo gli accordi di solidarietà. L’azionariato si divide tra le banche
italiane e la spagnola Telefonica della controllante Telco (22,4%) e
430mila azionisti, italiani per il 26,6% e stranieri per il 50,1%. Telco è
blindata fino al 2015, con possibilità però di recesso nel 2013. Per
scongiurare quest’ipotesi il titolo Telecom verrà svalutato da 1,5 a 1,2€,
riducendo le perdite a 100 milioni cad. per Mediobanca e Intesa, a 300 per
Generali e 400 per Telefonica. Il debito, il peccato originale Telecom e
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
quindi delle tlc italiane, anche dopo la cura triennale da cavallo messa in
campo da Bernabè, resta oltre i €28 miliardi che tra i 16 di investimenti
preventivati ed i 3 del nuovo prestito dei bond ibridi appena emesso,
suonano alle orecchie dei mercati come un rosso da €43 miliardi. Il debito
originario di Colannnino, con il sostegno del centrosinistra, fu di £61mila
miliardi, cioè €31,5 miliardi. Dopo 13 anni, è aumentato di 12 miliardi, al
netto della vendita di gran parte delle attività internazionali, degli immobili,
della distruzione dell’informatica e del calo dei dipendenti Telecom,
passati, come ricorda, Ugliarolo della Uilcom, in 10 anni da 120mila a
48mila. Il debito costringe Telecom a vendere di corsa La7 alla Cairo
Communication dell’omonimo presidente del Torino calcio, sua
concessionaria pubblicitaria. L’offerta di Urbano Cairo di 90 milioni (oltre
200 di debito della Tv di Mentana) è inferiore ai €300 milioni offerti dal
fondo Clessidra che puzzava troppo di berlusconismo. ma lascia a TiMedia
i remunerativi 3 multiplex sul digitale terrestre del valore di €350 milioni.
Come il debito anche su questa vendita pesa la partitica, con l’improvvisa
proposta di una cordata montista di Della Valle, già azionista Rcs -
Corrierone e dalla trasfigurazione de La7, divenuta in 2 anni una seconda
Rai3, esempio di televisione militante giustizialista di sinistra. Dopo aver
paventato l’acquisto de La7 da parte del leader Pdl, ora per Mentana anche
Cairo appare “vicinissimo a Berlusconi”. La filiera tlc parte dalla fibra
posata sotto terra, dalle backbones sui fondi oceani, dai satelliti nello spazio
e dagli hotbox urbani; si sviluppa per apparati di rete e data center, tlc
mobili, fisse, voip, hw e sw in tutte le varianti, apparecchi individuali,
contenuti digitali, dalla pubblicità all’editoria e cinema. Come si vede,
moltissime cose, che sono un’unica cosa e che muovono oggi verso
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
l’interiorizzazione negli oggetti stessi del web. Dopo la scomparsa, colposa
o meno, di Cecchi Gori, l’impossibilità di partnership con la Rai e
Murdoch, il mercato Tv, parte cruciale del digitale, si identifica in
Mediaset, gruppo europeo presente in Italia ed Spagna, mentre Google ha
già superato in pubblicità la Rai. Telecom non ha imboccato, se non in
modo raffazzonato con cubovision, la via del futuro interattivo della Tv
web-connessa. Dietro l’alibi del debito c’è stata la soggezione alla partitica,
ad un modello in cui non è Internet che si espande negli schermi televisivi,
ma la è la Tv dei parashow parapartitici che viene riproposta pari pari sul
web. L’arretratezza dei vertici manageriali e politici ripropongono lo stesso
errore fatto nel ’97 all’epoca della madre di tutte le privatizzazioni, quando
non l’informatica, oggi rappresentata da Facebook e dagli Over The Top,
venne posta alla guida delle Tlc, come avveniva nel mondo, ma avvenne il
contrario. I nemici ideologici del consumismo di Internet sono sempre al
vertice, confermati con Decina all’Agcom. Si rivede un copione già scritto:
l’informatica mondiale domina sulle tlc, ma l’IT italiano è finito. Domani
l’Internet mondiale dominerà sugli schermi televisivi anche nostrani. La Tv
e l’audiovisivo italiani finiranno come Sanremo, ridotto ad un festival Arci.
La partitica cui gli imprenditori di Alleana per Internet si rivolgono
passivamente solo per avere commesse, si muove contro l’evoluzione
tecnologica e contro il mercato senza peraltro sostenerli. Come si vede dal
dibattito attorno al La7, alla classe dirigente non interessano le eventuali
secche dell’innovazione. Il suo metro di giudizio è il manuale Cencelli
applicato alla custodia cautelare dei mercati tecnologici, da conservare per
sé e amici, anche dovessero morire di asfissia. A pagarne il fio saranno in
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
parte i consumatori, del tutto i lavoratori e le competenze indipendenti della
società.
2013 Digital Compakt
L’idea proposta da Parisi di Confindustria Digitale al suo Forum del 21
ottobre è stata quella di spingere a qualsiasi costo sull’acceleratore per
centrare gli obiettivi dell’Agenda Digitale europea. Fare il digitale anche
con la forza, con un Digital Compact assimilabile al Fiscal Compact che ha
imposto all’Italia politiche di rigore con un rientro da 30 miliardi l’anno
fissato in Costituzione. L’idea porta ad un primo interrogativo: è possibile
fare politiche di sviluppo in modo coercitivo, nelle condizioni già restrittive
in cui versa la libertà dello Stato di impiegare i fondi che ha a disposizione?
La risposta di Confindustria è che un piano coercitivo di sviluppo digitale
si ripaga da sé, grazie all’aumento di Pil del 2% atteso. Quest’aumento di
Pil è stato da tempo, già dal 2009, sventolato ogni volta come la terra
promessa da parte dei fautori degli investimenti per la banda larga. In cosa
consistono i fattori che garantiscono una crescita annua da 30 miliardi,
equiparabili a quelli dovuti pr il rientro del debito pubblico? In primo luogo
l’aumento degli internauti italiani che sono il 53% della popolazione e
devono diventare il 75%, passando da 31 milioni a 45. L’aumento di 14
milioni di consumatori di web si può ottenere solo con prezzi più bassi,
con più possibilità di accesso , cioè con più investimenti e con vaste
campagne pubblicitarie e soprattutto con obblighi normativi relativi
all’identità, alla fiscalità ed alla sanità digitali. A parte la reazione negativa
a nuovi obblighi per cittadini e imprese, gli altri fattori rappresentano
immediati nuovi costi a fronte di sperati nuovi incassi. L’aumento degli
internauti garantisce più pubblicità, ma non l’aumento dell’e-commerce che
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
è la chiave di volta dell’aumento di Pil. L’aumento di internauti è collegato
alla fornitura di banda larga. Dopo i passati trionfalismi, ora
Confindustria mostra la maschera più mesta, con un magro 14% a fronte
del 54% europeo. In realtà la banda larga mobile italiana collega già il 57%
della popolazione. Il problema del digital divide, cavallo di battaglia
egualistarista, cozza col dato di fatto del dualismo produttivo italiano. Dove
l’impresa non c’è, non cè richiesta di banda larga. Né l’arrivo di banda
larga crea un omogeneo numero di nuove imprese. L’ input obbligatorio di
portare dovunque i 30M\s, alle Telco italiane, in primis, Telecom, in temi
di grave calo dei ricavi, senza aiuti nazionail o europei C’è poi l’aumento
dell’uso dei servizi di egov, che dovrebbe passate dal 19% al 44%. Nel
2011 l’Italia conquistò il podio dei servizi pubblici online (99% su 82%
media Ue ) grazie alla digitalizzazione di dichiarazione dei redditi,
sicurezza sociale, ricerca di lavoro, registro automobilistico, licenza edilizia
e di nuova impresa, certificati (albo pretorio online), iscrizione a scuole,
servizi sanitari, contributi sociali, appalti pubblici. Non è però corrisposto
un effettivo uso dei servizi, come hanno dimostrato i casi Pec e Cicklavoro.
Adesso più di un miliardo è stato impegnato per il back office dei 3000
data center (da ridurre a 300) e per gli enti locali impegnati nelle smart
cities. Grande lo sforzo per digitalizzare la scuola e l’università senza per
ora passare del tutto all’e-book. L’impegno di Caio su due punti (tra i 3
considerati prioritari) di Identità Digitale e Anagrafe Unica rimette al
centro la CAD che a suo tempo era stata criticata per eccessiva fretta e
autoritarismo. Per fine 2013 si dovrebbe realizzare solo la digitalizzazione
delle anagrafi delle Province. Finora ha funzionato solo ciò che è stato reso
obbligatorio. Il digitale è mandatorio solo per l’impresa, sia che faccia le
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Giuseppe Mele 2014
dichiarazioni dei redditi anche dei cittadini, sia nel caso del certificato di
malattia telematico, sia per le comunicazioni di bilancio, Inps, Inail. Ben
difficile resta digitalizzare per legge l’assunzione. Il 3° impegno di Caio,
quello della fatturazione elettronica, sarà il prossimo obbligo per l’impresa.
Perché i cittadini in massa usino i servizi egov, si attende la completa
digitalizzazione di sanità, catasto e anagrafe; i ritardi di alcuni territori
giocano a rimandare i tempi di tutto il meccanismo, che non è sostenuto da
gran favore tra la cittadinanza. Il massivo impiego delle forme di e-
democracy potrebbe portare più entusiastica adesione. Finora però la
trasparenza necessaria, con dati sensibili ed open data, è andata avanti a
macchie di leopardo. Inoltre la monotona applicazone della democrazia
elettronica spegnerebbe molte velletarie illusioni di comitati minoritari, che
sul vituale avrebbero lo stesso peso che hanno nella vita reale, cioè ben
poco. Anche qui un egov fattivo e di massa richiede molti costi e la
progressiva trasformazione della PA, non chè un suo dimagrimento
economico. E’ prevedibile che solo il turn over con la trasformazione
generazionale dei dipendenti porti all’obiettivo. I risparmi nel frattempo si
possono ottenere solo con più balzelli e con il blocco di molti servizi, a
causa di documentazioni insufficienti. Sicuramente l’aumento dell’uso
dell’e-gov non garantisce l’aumento dell’ecommerce in acquisto da parte
dei cittadini, oggi in Italia al 17% mentre in Europa è del 45% (obiettivo
2015, 50%). Lo potrebbe garantire una convenienza di prezzo e fiscale.
Purtroppo oggi non ci sono né l’una né l’altra, anzi. Lo sconto spesso
ottenibile in negozio sul web non c’è. Le campagne web sconto fatte per
esempio da Buffetti sono spesso disconosciute nelle sedi fisiche della
catena. Per il fisco, qualunque oggetro in rete è software, così l’ebook ha
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Giuseppe Mele 2014
l’Iva al 22% mentre un libro fisico gode del 4%. Senza parlare della
pirateria che disinvoglia da qualunque interesse di mercato. L’utente si
abitua a fruire prima dell’enorme parco di ciò che è gratis, legalmente o
illegamente e fa uso delle preferenze dentro quest’ambito che gode di
un’enorme vantaggio competitivo. Il business principale sulla rete, come
già è stato per la Tv è la pubblicità, un classico business to business cui
l’utente resta direttamente estraneo. Ci sono molti ambiti, dal commercio al
turismo, dove si intrecciano opportunità materiali e virtuali; queste
potrebbero ingigantirsi grazie al combinato disposto dei dati raccolti dalla
videosorveglianza e dell’Internet delle cose, il che è prossimo ad avvenire.
Non sarà però né la politica di sviluppo, né l’Ue, né la partitica a far
esplodere l’e-commerce, sia in offerta che in domanda, da parte di cittadini
e da parte delle Pmi, che oggi è al 4% contro il 14% europeo ed il 33%
dell’obiettivo 2015. L’uso del pagamento mobile via cellulare\smartphone
insieme alle tecnologie di prossimità e di riconoscimento digitale delle cose
porterà improvvisamente cittadini e Pmi ad aderire all’e-commerce, a
prescindere da tutte le altre condizioni. Un trend tecnologico mondiale, che
come già avvenuto in altri campi, travolgerà l’insieme politico e mercantile
europeo, rendendo obsolete molte discussioni. Fin qui, non si vede come
l’insieme di più banda larga, Internet, e-gov ed e-commerce garantirebbe
l’aumento dei famosi 30 miliardi di cui sopra. Secondo l’idea di
Confindustria, l’agenda digitale dovrebbe supportare la crescita delle
imprese, aumentare la presenza Internet, dare quindi più lavoro ai giovani;
poi dovrebbe ridurre il deficit pubblico, grazie alla maggiore efficacia ed
efficienza Pa, con minori sprechi ed un maggior ritorno dalla lotta
all’evasione fiscale. Anche Caio ha parlato di un possibile recupero fiscale
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
per 15 miliardi, grazie alla fatturazione elettronica, alla sanità digitale, al
cloud computing, all'eProcurement ed ai pagamenti elettronici. In un paese
che ha perso dal 2007 1,2 milioni di lavoratori e, nell’ultimo anno, circa
mille imprese al giorno, fa sorridere che una stretta delle spese pubbliche
(già in atto), di obbllighi per le Pmi , della ristrutturazione dei servizi possa
far fruttare più incasso fiscale. Sarà semmai minore. Alcuni sprechi, come
noto, sono dovuti alla frammentazione degli enti ed alla mancanza di costi
standard PA, questioni che dipendono non dai risparmi ma da riforme degli
enti medesimi. Infatti il primo mercato a non essere unico è proprio quello
delle Pa, tutt’oggi divise in migliaia di data center e di centri di spesa. Più
Internet può aiutare l’impresa come metterla ancora di più sotto una
maggiore concorrenza. E’ sicuramente nel giusto Confindustria quando
parla di maggiore occupazione giovanile se la si associa ad un saldo
complessivo occupazionale negativo. Infatti tra le righe del piano si
intravvede la necessità di espellere molti lavoratori non giovani dal mercato
proprio per poter accellerare l’innovazione organizztiva delle imprese e
delle Pa. Restando uguale all’attuale il sistema degli ammortizzatori sociali,
dovrebbe così aumentare ulteriormente la spesa relativa che ha raggiunto
negli ultuni due anni l’importo di un miliardo. Con coraggiosa sincerità
Parisi sul tema non si è tirato indietro, chiedendo a chiare lettere una
liberalizzazione da lacci e lacciuoli del mercato del lavoro dalla filiera
digitale. Il premier Letta ha ribadito queste parole, anche per rendersi più
accetto nel sostegno all’agenda digitale europea della commissaria Kroes.
In realtà Confindustria, adattandosi al contesto, punta almeno e soltanto
alla fornitura di servizi digitali per la Pa, essendole preclusa qualunque
altra sfida nel settore, in presenza dell’occupazione stabile da parte dei
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
grandi monopoli mondiali di quasi tutti i segmenti della filiera digitale e
della comunicazione. L’AG europea, assieme al pacchetto di norme
riformatrici delle Tlc, che Letta è corso a sostenere, in grande solitudine,
non è centrata come in Italia sulla Pa. E’ basata sul mercato privato, a
partire dal famoso mercato unico Tlc e quindi sulla forza delle Telco che
devono diventare capaci di offrire servizi ( tra cui e-gov, e-commerce,
banda larga) a tutto il continente, ed in prospettiva al mondo. Si tratta di
una prospettiva inconcepibile per il Belpaese dove le Telco devono vendere
a prezzi sempre inferiori, perdono sempre più ricavi e sono tutte straniere.
Dove l’ex incumbent è allo sbando, pronta a vendere gli ultimi stabili che
ha (data center e centrali), ed è al bivio tra andare sotto il controllo della
spagnola Telefonica, oppure tornare ad una vagheggiata e impossibile
proprietà pubblica o diventare una improbabile public company, in mano
alla ex Cirio ed a sconosciuti fondi d’investimento, ciascuno con il 5% di
proprietà, provenienti dai quattro angoli del pianeta. Solo una fusione
pesata tra le grandi Telco europee continentali ( e tra i loro debiti)
salverebbe insieme le prospettive digitali italiane e le possibilità europee di
competere com i giganti digitali del mondo, Oggettivamente a
Confindustria Digitale non si può chiedere tanto, avendoci pensato a farlo
l’Etno a livello confimdustriale europeo. Politica e sindacato, strettamente
sulla difensiva, attendono gli eventi, sperando non siano i più terribili. E
fanno finta nel frattempo di credere che l’Agenda Digitale italiana sia la
stessa di quella europea.
Antefatti della cronaca dell'assemblea Telecom 1
Antefatti della cronaca dell'assemblea milanese di Telecom Italia del 20
dicembre. Le grandi banche, il management proprietario della rete
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
telefonica italiana, espressione della leadership del Gsm e della
confindustria di settore europei, assieme a Telefonica, colosso dei due
mondi ispanici delle Tlc, tutti assieme nel 22,4% della scatola finanziaria
Telco, sono in trepidazione. Aspettano con ansia di capire quanti dei fondi
d’investimento, azionisti minori ma detentori di più dell’80% di Telecom,
di solito sparpagliati e astensionisti, saranno presenti. Più saranno (si
vocifera di affluenza record al 60%) e più il CdA rischierà la sfiducia. Uno
stato di cose ai limiti dell’incredibile, determinato dal giudizio di mercato.
Le azioni Telecom, un tempo quinta al mondo, sono ormai spazzatura o
speculative e le società consulenti Iss e Glass Lewis che solitamente
orientano il voto dei fondi, hanno pronuciato pollice verso invitando a
votare contro il CdA. Il caos dell’azienda è figlio dello stato confusionale
in cui versa il suo feudatario, l’ambito partitico di Pd e dintorni. Qui si
muovono in direzioni contrarie l’ex giornalista del Corrierone, fresco
onorevole democratico, Muchetti ed i centristi Pd, da Boccia a quelli di
Agcom, vicini al premier sia in Aspen che nel think tank Vedrò. L’ex firma
del Corrierone, assieme a Matteoli di FI, con un emendamento presentato a
più riprese, ha oganizzato la rivolta politica contro l’operazione di
Telefonica che con 700 milioni si è garantita il controllo di Telco facendo
rientrare dall’esposizione debitoria le partner banche italiane. Al grido di
Olimpia humanum (la scatola finanziaria del 2001 di Tronchetti Provera.
Benetton, Gnutti con Banca Intesa e Unicredit), Telco diabolicum, il
neonorevole chiede al Pd di cambiare pagina. Sotto gli occhi di un
silenzioso neosegretario Renzi, il premier Letta ondeggia, richiama la
golden share in una norma ad hoc, la riduce al solito specchietto per le
allodole, poi, giusto prima dell’assemblea, rigetta la mozione che avrebbe
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
costretto gli spagnoli a pagare, in un’Opa, per i 15 miliardi di effettivo
valore di Telecom. Gliel’aveva detto a Muchetti, in un colloquio riservato,
Galateri, già presidente Telecom, ora delle Generali, 2° azionista Telco, di
lasciar perdere. Avesse voluto, con uno stop alle banche, Letta avrebbe
evitato di far precipitare gli eventi. Non lo ha fatto per le banche o per
indicazioni europee che spingono, nel nuovo regolamento pacchetto del
“continente connesso”, la competizione tra le grandi Telco con l’intento di
diminuirne il numero? Inutilmente Muchetti rende pubblici gli avvertimenti
ricevuti e sostiene a spada tratta, per la prima volta anche in Tv, le tesi di
Asati, l’associazione dei piccoli azionisti Telecom, cui mai è stata data
possibilità di intervenire sulle sorti aziendali, grazie ad un ferreo controllo
esercitato, come si fa nella cucina politica di tipo proporziale, attraverso
accordi di controllo conclusi fuori mercato e fuorionda. La situazione è
precipitata anche per i pesanti interventi decisi mesi prima dall’Agcom,
authority di regolamentazione delle Tlc e non solo. Il suo commisario
Decina, guru di sinistra per le tlc, ha appena denunciato ad un convegno
Asati i rischi per l’occupazione digitale di 150mila posti di lavoro.
Telecom, in calo di ricavi, rischia di precipare con sé anche i piani di
Agenda digitale e di banda larga. Agcom risponde al bocconiano Cardani,
fedele di Monti, appena messo alla sua testa, ma non è indifferente al
potere del suo ex presidente calabrese Calabrò, che in auge dai tempi di
Moro è passato dal settennato Agcom al governo. Telecom sta cercando di
ricapitalizzare e diluire la presenza ingombrante di Telefonica e banche.
Spera nel sostegno di Agcom che invece a luglio gli abbassa del 6,47% (da
quasi €10 a 8.68) il prezzo dell’affitto della rete Telecom alle altre Telco.
Decina indica in ca. 200 milioni i mancati ricavi per Telecom e si dimette
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
da commissario. La decisione destabilizza l’azienda provocando,
agitazione, pessimismo e confusione tra i lavoratori la fuga dei possibili
nuovi partner, l’accantonamento della riorganizzazione, la messa a rischio
degli investimenti, l’ascesa di Telefonica, la fuga delle banche, le
dimissioni del presidente Bernabè, la vendita precipitosa di Telecom
Argentina, l'indebolimento del management a rischio processo e sfiducia
assembleare. Prima dell’assemblea, con grande ritardo, l’euroCommissione
pretende che l'Agcom riporti il prezzo a €9.16, accusando Agcom di
violazione dell'art. 8 della direttiva del 2002, di calcoli erronei, alla luce
della comparazione con i valori utilizzati in Spagna, Portogalo ed Eire e di
scoraggiare gli investimenti e le decisioni degli operatori. L’Agcom, però è
in un momento di deliro di onnipotenza. A dicembre non ha ancora accolto
il nuovo commissario, in quota Pd, Nicita eletto da un mese a sostituto di
Decina. Ha emesso il 12 dicembre un regolamento sul copyright in rete che
scavalca Parlamento e codici. Con il sostegno del regolatorio europeo,
Berec, va dritto allo scontro di competenza e alla vertenza giudiziaria con
la Commissione, non riconoscendone l’autorità. Il giorno prima
dell’apertura dell’assemblea Telecom, l’Autorità conferma il suo prezzo.
Gli eventuali investitori su nuove reti fanno due conti e vedono tutto lo
svantaggio di operare in Italia rispetto ad altri mercati dove i Roi
parametrati dalla Commissione sono migliori. Così Telefonica quasi finisce
per meritarsi l’aureola. Il primo ed unico sostegno offerto da Bruxelles a
Telecom appare del tutto teorico, giusto un buon argomento offerto
all’autodifesa del CdA. Se Agcom ha il consenso del premier, è meno
chiaro chi e cosa sostengano Muchetti. Il mondo managerialaccademico,
professionale e professorale, gramscianamente egemonizzato, quello da
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
almeno 5 incarichi a testa, epigone per 20 anni delle public company
innovative, ora senza reticenze, ammette gli errori di visione e gestione.
Non ha solo abbandonato l’ex presidente Bernabè due volte innalzato e due
volte cacciato, il suo giovane erede Ad Patuano ed il management
Telecom; li ha gettati alle ortiche. I loro ultimi 7 anni fatti di spending
review interna, di salasso e di affidamento alla tabula rasa delle procure,
tanto premiati e lodati un tempo, ora vengono definiti “cattiva gestione
aziendale”. Si ammette che Telecom è stata, dall’inizio della
privatizzazione, malata di politica e di Pd; vittima del muro di Milano,
secondo il quale, le Tlc devono essere un fedudo di sinistra, perché la Tv lo
è di destra e l’editoria è divisa a metà. E se Telecom è un’affaire del Pd,
deve essere di sinistra anche Internet, ridotta alla demagogia degli slogan
della democrazia dal basso, del digital divide e null’altro. Non c’è bisogno
di chiedere da quale follia di pensiero derivi poi una norma come la Web o
Google Tax. L’autoflagellazione professorale, però, non è una resa. E’ solo
una manovra di alleggerimento, dovuta all’urgenza del mea culpa
rigeneratore voluto da Renzi; all’effetto dell’assoluzione Scaglia, seguita,
nell’ombra, dal proscioglimento anche dei Mazzitelli e degli uomini della
Telecom internazionale, a lungo proscritti dai loro stessi colleghi e mai
degnati di un cenno di scusa. E’ l’ammissione delle giuste ragioni, in via di
principio di Muchetti, e con lui di Matteoli; ed è insieme, con un gigantesco
e furbesco colpo di coda del mondo gramsciamanageriale, la flautata
scoperta che purtroppo quelle ragioni non potranno avere più conseguenze
pratiche. Tra le righe, si suggerisce anche ai Muchetti, e forse ai Renzi che
il disastro della visione e delle decisioni Pd hanno portato troppo in là,
ormai; che sia meglio mollare le difese, lasciar perdere l’italianità perché in
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
fondo non vale più la pena di difendere Telecom, neanche dalla scalatina
spagnola di 700 milioni che punta a prendersi 15 miliardi di valore
aziendale. Uno sconsolato discorso, che in apertura d’assemblea, offre al
giornalista politico d’assalto la medaglia al merito per avere difeso l’onore
del Pd, per aver evidenziato che anche nelle file che hanno deciso il peggio
per le Tlc italiane, ci sia qualcuno con attenzione agli investimenti fatti con
i danari degli italiani. Dato al Giacchetti digitale il suo onore al merito ed a
Renzi ampie assicurazioni, che malgrado giudizio e intedimenti del
mercato internazionale, sono stati presi gli accorgimenti necessari per
evitare la clamorosa revoca e perdere quanto resta del controllo politico
sulla baracca, lo scontro finisce in un bicchiere d’acqua. In alto mare
restano le sorti della produzione digitale italiana, ma non si può avere tutto
del resto.
2013 Assemblea Telecom 2
Puntata precedente. Verso l’assemblea degli azionisti di Telecom Italia del
20 dicembre. Le banche nazionali, Intesa Sanpaolo, Unicredit e Generali,
tanto sostenute dal governo e dalla Bce, invece di supportare l’azienda,
l’hanno scaricata, accettando per un premio esclusivo di consegnare il
controllo all’incumbent spagnolo Telefonica. Silenziosamente e
sornionamente il governo Letta ha soffocato l’indignazione del neo
onorevole democratico Muchetti e, con essa, le illusioni sindacali che a
qualcuno interessi il destino del lavoro digitale. Agcom a voce dell’incrocio
tra Pd e finanza, ha dettato una condanna per l’azienda, anche contro
l’aiuto ritardario e inatteso di Bruxelles. Poteri forti e governo sostengono
nei fatti l’acquisizione della rete telefonica da parte degli spagnoli. La
grande platea dei piccoli azionisti ha però ancora il mercato dalla sua. Il
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
mondo finanziario invita a cacciare dalla stanza dei bottoni il capitalismo di
relazione italiano, per evidente gestione fallimentare. Per le strade
camionisti, contadini, piccole imprese, allevatori, artigiani, senza uno
straccio di copertura politica, sono scesi a reclamare la possibilità di
sbarcare il lunario e di vedere pagato il proprio lavoro. Hanno richieste così
elementari e antiche che gli hanno dato un nome da movimento
medioevale, quello di forconi, in una rinnovata voglia delle jacqueries
contadine di gettare a fuoco carte burocratiche ed i loro estensori. Anche
nell’assemblea azionaria della principale impresa del settore più
innovativo, c’è una forca o tridente; è il simbolo del bluetooth, sofisticato
dialogo senza fili tra telefonini, apparati ed accessori. Anni fa, l’assemblea
Telecom era andata in diretta per ogni dove, per evidenziare, proprio su
wifi e wireless, improbabili incompetenze del management. Bisognava dare
largo spazio allo show di Grillo (nel cui orecchio sussurrava Casaleggio, ex
piccolo manager Telecom) e Di Pietro, ad usum Santoro, per divertire gli
azionisti e ridicolizzare i manager di destra, Tronchetti, Ruggiero, Buora,
Luciani. Allora una lava concentrata di terrore puro di forze, grandi e
piccolissime, dalla magistratura a Grillo e samizdat interni, si era rovesciata
sul manager Pirelli Al suo settennato si imputavano oltre gli errori propri,
anche quelli antecedenti ed i successivi. La sua eresia però è la violazione
del muro di Milano, secondo il quale, le Tlc devono essere un fedudo di
sinistra, perché la Tv lo è di destra e l’editoria è divisa a metà. Tronchetti,
però, malgrado le apparenze non è il manager di Berlusconi; da buon
interista è più organico al Moratti che alla cognata Letizia ed Arcore.
Quando cerca di fondere Tv e Tlc, cerca Murdoch e non Mediaset. Viene
demolito per le vendite degli asset patrimoniali di un’azienda indebitata
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
allo sfinimento dai precedessori, loro sì, organici al Pd. Sulle vendite
successive degli asset strategici di ricerca e di know how non una voce, se
non negli ultimi mesi (“non c’è più know how”nell’incumbent Tlc, se non
quello ipermaturo dell’infrastruttura di rete, pealtro disastrata”) ed anche
questa ipocritamente spesa solo per facilitare l’abbandono dell’azienda.
Nemmeno attorno all’assemblea del 20 dicembre c’è il muro ostile dei
grandi talk-show, nesssun richiamo al povero destino dei call center.
Sull’assemblea non c’è traccia di ironia, non una scenetta della solita satira
che si guarda bene dal toccare l’argomento. Nessunm clown stavolta, non si
ride questa volta, in un’assemblea in cui la piccola forca sul display
richiama la rivolta in corso degli azionisti Telecom, che è la stessa rabbia
dei forconi, delle proteste, degli assembramenti, dei blocchi stradali. Tutti
uniti dalla consapevolezza, più o meno chiaramente informata, dello spreco
e dell’imbroglio che insidiano il risparmio, le capacità, le tasse, le ricerche,
le scoperte, in una parola il lavoro e le aziende, minacciati dalle scorciatoie,
dalle svendite, dagli accordi sottobanco fatti dai primi della classe. I colossi
finanziari hanno cercato di premunirsi dal destino incombente di
quest’assemblea dove per la prima volta, si va alla conta senza risultati
certi, senza la retorica della nova innovazione, dell’agenda digitale, della
public company, del web che ci rende liberi. Se c’è uno che non è adatto a
fare il capopopolo, a saper incendiare gli animi, costui è proprio Fossati,
l'ex patron del doppio brodo Star, uno che riesce a farsi sentire e capire dai
più a fatica, anche nel più religioso silenzio. Gli imprenditori medi in
genere sono così; il loro campo è il fatturato, non la politica, neanche quella
alla Confindustria. Fossati di Findim, dal basso del suo 5% da secondo
azionista, con Asati (piccoli azionisti Telecom) vuole sfiduciare le grandi
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
banche ed il feudo politico, azzerando il Cda. Vuole cacciare Telefonica
dalla scatola di comando Telco. Senza retorica, parla di “valore aziendale”,
reso stantio da pubblicità e mielosa propaganda antimafia, intendendo veri
danari versati a investimento, da non sprecare, truffare o minusvalenziare.
Senza retorica, solo il fatto che sia in condizione di sfidare i giganti,
dimostra che quest’ultimi hanno piedi d’argilla. Va così in onda un
incredibile numero di conflitti di interessi, di quelli veri, però. Nessuno
nega che Telefonica e Telecom siano avversari in due mercati chiave
sudamericani, Brasile e Argentina. O meglio lo erano perché a poche
settimane dal controllo spagnolo, Telecom Argentina e Personal mobile
sono state svendute. Fossati chiede perciò che gli spagnoli non votino, tanto
più che i loro posti in Cda sono deserti per imposizione del regolatorio
brasiliano. Dovrebbe fare da presidente l’ennesimo bocconiano, Provasoli,
cooptato nel Cda apposta. Invece rinuncia. E’ già presidente Rcs, che
finisce l’anno sotto di 200 milioni ed è impegnata con tanto di referendum,
a dimissionare 60 giornalisti anziani di Repubblica. Così facente funzioni
dell’ex presidente dimissionario Bernabè, lo farà Minucci. Ex consigliere
dal ’95 al 2011 di Generali, è visto con sospetto. Generali infatti, è sul
banco degli imputati: non solo per la resa a Telefonica. ma anche per la
partita di giro argentina che ha liberato l’azienda triestina da debiti in loco.
Minucci non dovrebbe far votare la sua ex azienda, né Telco. Se non lo fa
sa che la delibera finale verrà impugnata. Nemmeno vuole agevolare un
ribaltone. Non dovrebbe far votare nemmeno il gigante dei fondi
internazionali, Blackrock, un fatturato doppio del Pil italiano. Chiamato da
Telefonica in soccorso, il fondo è stato così precipitoso da acquistare il
10% delle azioni senza nemmeno avvisare la Consob. Alla testa
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
dell’organo di vigilanza non c’è più però l’amico Spaventa che non mosse
ciglio all’illegale creazione del più grande debito mai imposto ad
un’azienda sana, nell’Opa a debito di Colannino. Ora c’è Vegas che non ha
perso tempo e mandato le carte in tribunale. Non è chiaro di quanti voti
disponga Blackrock, che, vista la mala parata, si è liberata di un po’ di peso
ed ha dichiarato che si asterrà. Anche Assogestioni si dichiara
indipendente. L’associazione però è controllata, guarda un po’, da Intesa
Sanpaolo, Unicredit e Generali. Il presidente Siniscalco è fornitore di se
stesso. La sua Morgan Stanley ha fatto laute commissioni emmettendo unl
prestito obbligazionario da 1,3 miliardi a conversione obbligatoria in azioni
a favore di Telefonica e Blackrock. Un altro aiutino appena prima
dell’assemblea, che Fossati, escluso dal giro premiale, indica come
ennesima dimostrazione dell’eterodipendenza aziendale. Fondi e banche
sono azionisti sia di Telecom che di Telefonica, due colossi dal debito
complessivo di 70 miliardi. Salotti vasocomunicanti, che al contrario della
borsa inglese, dello stato francese e della banca tedesca, a tutto pensano
fuorchè al famoso “valore”. Conflitti d’interesse mai visti, mai denunciati,
mai giudicati di bocconiani, associazioni, gestori, fornitori, iperfondi,
azioni supplettive e presidenze blindate sono scesi in campo, con evidente
spirito liberista e capitalita, per arginare le indicazioni del mercato
internazionale. A questo punto tutto dipende dalla partecipazione dei
piccoli fondi, proprietari dell’80% di Telecom. Dopodichè comincia la
telecronaca, anzi la twittercronaca dell’assemblea Telecom, fissata a
Milano per le 11 del 20 dicembre.
2013 Twittercronaca dell’Assemblea
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Telecronaca, anzi la twittercronaca dell’assemblea Telecom, Milano ore 11
del 20 dicembre. Puntate precedenti: Le banche nazionali sostenute dal
governo e dalla Bce, hanno scaricato l’azienda rientrando di metà del
debito, consegnandone il controllo per pochi soldi all’incumbent spagnolo
Telefonica che subito ha incamerato uno dei due mercati sudamericani
dove controllante e controllata sono accaniti concorrenti. Agcom agevola, il
governo non si oppone ed un pezzo del Pd ne salva l’onore sbracciandosi in
una inutile opposizione. L’autodistruzione della prima impresa digitale
nazionale non è una novità ma l’accellerazione provoca la condanna del
mercato internazionale, tanto da dare la forza a Fossati di Findim ed agli
altri piccoli azionisti di chiedere la sfiducia degli amministratori. Per
metterci una pezza, bocconiani, associazioni, gestori, fornitori, iperfondi,
azioni supplettive e presidenze blindate si esibiscono nel campionario di
conflitti d’interesse di cui solitamente non si parla, con quello spirito
liberista e capitalita fatto per arginare le indicazioni del mercato
internazionale. Dopodichè sperano che non ci sia la vociferata
partecipazione in massa dei piccoli fondi, proprietari dell’80% di Telecom,
cui le indicazioni istituzionali internazionali dettano di mandare a casa il
CdA espresso da Telco, primo azionista con il 22%. Il gruppo di comando
ha ricorso nelle ultime ore a 1,3 miliardi di azioni in più di un convertendo
ad hoc per sventare la revoca del Cda dell’Ad Patuano. Da parte sua Fossati
nella revoca, ha proposto 5 nuovi candidati: Gamberale, Castellano capo
della Sace, l’ex manager Telecom di Genova, Lombardi di Asati,
associazione dei piccoli azionisti Telecom e la Mainini del Consiglio
Nazionale Anticontraffazione, in un CdA sempre a 15 amministratori. Non
c’è atmosfera da avanspettacolo del 2007 quando in un’altra assemblea
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Grillo prese per i fondelli il management nemico dei Tronchetti già beffato
dallo sgambetto delle promesse e del loro ritiro da parte del governo Prodi.
Quando alle 11.12 Minucci, vicepresidente in quota Telco, apre
l'assemblea. è presente solo il 54,26% dell’azionariato. L’Ad Patuano si
sente sotto accusa da parte dell’opinione pubbica e finanziaria e comincia
la difesa:“Non siamo in crisi né di idee né di strategie. Abbiamo liquidità
per 5,3 mld; ridotto il debito di 9 mld tra 2007 e 2013 (inferiore ai 27 mld a
fine 2013). e raggiunto nel 2013 i 23,5 mld di fatturato (16,2 in Italia) con
4,3 mld di investimenti, (21 mld tra 2007 e 2013). Il giovane Ad non si
pente di nulla (avremmo dovuto vendere prima La7, sempre in rosso ed
anche l’Argentina), ostenta sicurezza (Abbiamo portato il 3G al 90% degli
italiani. Il CdA ha sempre rispettato principi e regole della corretta gestione
e la comunità finanziaria non vuole vedere che il debito è ampiamente
sostenibile, con l’obiettivo di limitarlo ai 21 mld) e si trincea dietro una
naive ignoranza degi eventi (“Non ho nessun rapporto diretto con Telco.
Difficile sapere quante azioni abbia in assemblea BlackRock. Mai ricevuto
anticipazioni del dettaglio del passaggio di quote” in Telco, società che
detiene il 22,4% di Telecom e nella quale Telefonica ha acquisito la
maggioranza per le cessioni di Intesa, Generali e Mediobanca; il
convertendo in azioni, preassembleare, a vantaggio di Telco e BlackRock e
discapito Findim "è avvenuto senza alcun extra-valore ai sottoscrittori").
Patuano vorrebbe finire in crescendo (Il downgrade dell’azienda che deve
ridursi su se stessa non è truffaldino ma motivato dal contesto competitivo
e macroeconomico negativo) vantando che grazie al suo piano le azioni
siano in crescendo. Non ha finito di parlare che cominciano le contestazioni
dal pubblico. “Le azioni risalgono in prospettiva della vendita dell’ultimo
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
gioiello, Tim do Brasil”; Che successo! Il titolo è salito da 0,47 a 0,70!;
“Dove avete creato valore per i soci?”; “Anche TIMedia è stato un
successo, che grande vendita!”; “Questa Blackrock porta male..”; “Visto
che siete inidonei a decidere, almeno abbiate la dignità di far prendere
all'assemblea certe decisioni”. Tra la marea di voci negative in
un’assemblea che non sentirà un intervento a favore del CdA, alle 13.04
prende la parola l’oppositore Fossati di Findim che chiede “a tutte le
minoranze di votare per revocare tutti indistintamente i singoli
amministratori del Cda ad esclusione di Luigi Zingales",. Le sue parole
mandano in onda gli ultimi eventi, ma anche il film di una lunga
dissipazione. Passano nelle menti di tutti i fotogrammi dei “danni
patrimoniali, dubbia trasparenza, scarsi risultati, scelte dubbie,
informazioni negate e privilegiate, amministratori Telco non indipendenti.”
Scintillano fulmini “Non polemiche, ma puntualizzazioni sugli scarsi
risultati aziendali e gravi erosioni patrimoniali”, fino al tuono: “Da quando
c'è Telco il titolo ha perso 70% del valore.” Il teorema di Fossati è il
tradimento dell’azienda, eterodiretta da Telefonica. Accusa che non ci
siano progetti, se non il prolunganento delle svendite. Viene fuori il punto
centrale, la sorte che avrà Tim do Brasil che garantiva 500 milioni di
revenues al tempi del famigerato Luciani, ridottesi nel tempo alla metà.
Patuano si è sgolato: "La controllata in Brasile è strategica" e Fossati lo
incalza: " Se davvero non c'è controllo di Telco su Telecom allora non
saremo costretti a vendere Tim Brasil, giusto? Spero che tra Natale e
l'Epifania non arrivi un'offerta che non si può rifiutare. Cosa farà
Telefonica? Esce o vende la sua controllata Vivo in Brasile?” Finchè, nel
ragionamento sembra arrendersi all’ineluttabile: “Se proprio dobbiamo
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
vendere il Brasile almeno facciamo bene i conti, vale molto di più...”.
Minucci toglie la parola a Fossati e l'assemblea insorge chiedendone
l’entrata nel CdA. Patuano è subito d’accordo, quasi a trovare la soluzione
unitaria di compromesso ( “Fossati ha un’esperienza interessante”) ma
l’oppositore si schernisce: “ Sono più efficace fuori da CdA, per
intercettare capitali (alternativi). Il presidente di Asati, Lombardi minaccia
Minucci: “Verificherà la Consob sulla sua indipendenza.” Sono passate
sette ore e mezza di tortura per il gruppo di comando che non vuole più
dibattito ma solo votare. Non a caso, c’è solo metà del capitale a votare,
pesa il 5,15% di BlackRock che non lascia l'assemblea e la revoca appare
sconfitta. Poi correranno le smentite sul ruolo determinante del colosso
Usa. Minucci si scatena, prega, urla ai piccoli azionisti, sbotta: “Chi c'è
c'è..Fateci votare, il mondo ci aspetta, l'Italia ci guarda, tutti vogliono
sapere il destino della società” Anche le scritte in sovraimpressione
sull’ultima navetta disponibile che parte in ‘30 invogliano a chiudere.
Finchè alle 18.41 si vota nel silenzio dopo 8 ore di assemblea. Voti e conti
non tornano, il televoto, come per la Florida nel 2000, Xfactor o il Festival
di Sanremo, va in tilt; qualcuno parla di riconteggio. In mezz’ora alle
19.15, i risultati: il CdA è assolto dal 42,3% dei presenti, il 7,4% si astiene.
Fossati sfiora il 23% e blocca solo le entrate in Cda dei soliti prodiani,
Tantazzi (bocconiano, Banca popolare EmiliaRomagna, Il Mulino, Univ. di
Bologna, ex consigliere del governo degli anni prodiani) e Bariatti (Univ.
di Milano. avv. in Cassazione, consulente esterno di Ue ed euroParlamento
dal 2005). Il CdA resta a 11 senza spagnoli e nuovi prodiani. Su di lui
ancora diverse spade di Damocle: l’impugnamento della delibera,
l’assemblea di rinnovo Cda con approvazione del bilancio di aprile e
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Gamberale, un tempo alla testa di Tim, che non entrato in Cda questa volta,
assedia sempre l’azienda nelle trattative con Cassa Deposito e Prestiti per
lo scorporo di rete.
2012 Parisi ci riprova
Parisi ci riprova e da Presidente di Confindustria Digitale, lancia l’Internet
che cambia l’Italia. Un paio d’anni fa Stefano Parisi, da presidente di
Asstel, l’associazione confindustriale della telecomunicazione, aveva
provato l’accelerazione sul piano di fibra ottica e banda larga. Si era per
forza di cose appoggiato troppo al governo Berlusconi, a Romani e ai
progetti del romano Borghini, tesi a costringere Telecom Italia ad accettare
un piano di gestione collettiva, tra pubblico e tutte le telco private, di
passaggio da rame a fibra. Non è che l’appello per la banda larga d massa
fosse una grande novità. L’anno prima ancora c’era stato il piano Caio, a
sua volta successivo a tanti progetti tesi a modernizzare la rete telefonica,
assicurandone anche la neutralità, cioè il non utilizzo a proprio vantaggio
da parte di Telecom Italia, contemporaneamente proprietaria della rete e
operatrice sul mercato TLC, sulla carta uguale agli altri. Per una di quelle
strane coincidenze temporali, che nessuno mai vorrà notare, successe di
tutto, cioè la magistratura s’interessò dell’Ict. Parisi si ritrovò a dover dare
spiegazioni in diretta al conciliatore Tv Vespa e alla sua piccola giuria
popolar-giornalistica; poi a cambiare azienda, diventando Swisscom;
intanto l’inventore di Metroweb e Fastweb Silvio Scaglia inaugurava la
detenzione prima carceraria, poi domiciliare oggi sempre in corso, giunta ai
363 giorni. Al secondo tentativo, Parisi promosse la filiera digitale,
cercando il fattore comune di tutti i mondi che ormai girano strettamente
attorno alla produzione del tecnosistema Internet, dagli impianti sottoterra e
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
dalle antenne in cielo, alle infrastrutture di cabine e data center, fino a
telefonia, software, telemarketing, applicazioni con la volontà di includere
le nuove facce digitali di editoria e Tv. Qui, affrontando una delle evidenze
più sottovalutate, vale a dire quanto Internet abbia cambiato il lavoro, le
sue gerarchie, i rapporti tra persone e aziende e relative mobilità e logistica,
Parisi suo malgrado finì in rotta di collisione con quello che avrebbe
dovuto essere un alleato, quel Brunetta, autore del Codice
dell’Amministrazione Digitale, rappresentante delle necessità innovative
della Pubblica Amministrazione. Il ministro amava poco la concertazione
però; la filiera sbandò mentre aziende e associazioni iscritte cominciavano
a dubitare dell’efficacia di rapporti istituzionali in cui lo Stato, driver
fondamentale per l’Ict, tirava diritto su norme e scadenze senza consultare
professionisti e fornitori. E ora Parisi, passato al livello più alto e rarefatto
di Confindustria Digitale, dai confini infiniti ed evanescenti ci riprova,
cercando di agganciare l’Agenda Digitale del governo. In un grande
kermesse davanti ad un migliaio di Professional, non più al destrorso
Residence di Ripetta, ma al sinistrorso Auditorium, dove brilla il brand
falce&martello occasionale logo di un concerto di Shostakovich,
l’intervento fiume di Parisi propone l’aspirazione di sempre, l’Ict al potere,
un Ict che non segua le fisime della Pubblica Amministrazione ma che al
contrario la possa cambiare secondo le esigenze di codex, apps, storage,
workflow e tablet. Il tecno inglese, latinorum di categoria, scorre a go-go
sulle bocche dei De Biase, ventennale tecnogionalista del Sole, che ha
l’onestà di riconoscere in Confindustria il suo editore; e dei Befera che
mette in campo il pezzo PA che su efficacia e interoperabilità dei database,
ha fatto passi da gigante in Sogei, Agenzia delle Entrate ed Equitalia;
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
soprattutto sulle bocche delle star, il ministro Passera (con il collega
Profumo) e la commissaria per l’Agenda Digitale europea Neelie Kroes.
Non c’è voce dissonante, nell’unanimismo confermato dall’assenza di
Formigoni. Passera promuove con i complimenti Parisi; non ha nulla da
aggiungere ai cinque punti di Confindustria Digitale: più Venture capital e
più domanda pubblica e privata online, banda larga, riforma del diritto
d’autore, formazione digitale. Esce la coda di paglia, qui e là, della paura
recessiva. Lo Stato digitale, gli acquisti online familiari, il cloud, la fine del
copywrite promettono tutti risparmi, che in fondo sono minori fatturati. E
tutti a consolar che non è vero. Parisi chiede oggi l’Iva al 4% per gli e-book
come ieri chiedeva qualcosa dei quattro miliardi dell’asta frequenze; o
almeno che le Poste non facciano pagare il bollettino online il 35% in più
che allo sportello. Sa che non sarà esaudito, ma almeno prova; sempre con
lo spirito di ieri rivendica la leadership tecnologica italiana che per la
stampa, ferma all’allarme digital divide, non esiste. Passera plaude alla
positività, ai sogni che danno forza, al potere centrale che imponga
d’autorità carta d’identità elettronica, acquisti online, email certificata e
stigmatizza la disunità di camere stagne che senza collaborare, fanno le
stesse cose in migliaia di associazioni, enti centrali e locali. Ricordando
l’esperienza da AD Poste, cerca di essere le visage humaine del governo
fiscale. Sembra, però, che la soluzione sia obbligare gli anziani, quei 16
milioni di pensionati, a internettizzarsi. Il discorso batte sempre sul lato del
consumo, mai sulla produzione che nelle varianti, solide e virtuali, non ha
sostegni o strategie. Il trevigiano Donadon, un Rosso dell’ICT, racconta di
tecnoincubatori sparsi nella campagna di fronte a Venezia e al fiume Sile;
enfatizza territorio ed export ma è l’unico. Agli altri interessa come
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
comprare, a costi inferiori, o finanziare. Il lombardo Maccari annuncia la
fibra entro dicembre per gli ultimi 700 comuni mancanti. I ministri
annunciano call da due miliardi, che in realtà stanno dentro i fondi
strutturali. La Kroes, venuta a seguire da vicino l’Agenda italiana e i
“ministri che ci mettono la faccia” plaude all’uditorio, non pastasciuttaro e
paziente fino all’ora di pranzo, ma ribadisce che gli italiani adulti non sono
digitali e critica i tentennamenti sulla posa della fibra. Ammicca
continuamente con fare sbarazzino, un “lo dico solo tra di noi”, in completo
contrasto con il tailleur dai grandi baveri bordati goeringhiani; difatti non
accenna all’inchiesta in corso contro le grandi telco. Mentre ripete la
visione ottimistica che dal ’94 Bruxelles sciorina sui futuri milioni posti di
lavoro creati dal digitale e si raccomanda “Tenetevi questo governo”,
nemmeno sente la triste battuta di De Biase: “Speriamo che un giorno un
americano le scriva un messaggino tipo twitter usando una piattaforma IT
europea.” Bei sogni. Il Parisi ter ci riprova con il nuovo establishment che
sembra promettere sogni senza sorprese da incubo. Almeno finché non ci si
sveglia.
2012 E-alamein
Paradossalmente la voce grossa fatta dal Presidente a difesa dei marò
sequestrati in India, nel giorno solenne che ricorda la più importante delle
scarse vittorie militari dell’Italia moderna non poteva apparire più debole e
chioccia. Nessuno, tranne quel gianburrasca del grillo parlante, ci ha
troverà da ridere. Analogamente se la sarebbe dovuto cavare il ministro
della Difesa De Paola, allo start dei giorni ottobrini celebrativi nel 70° della
battaglia di El Alamein sul fronte africano dove morirono in 4mila
paracadutisti e 35mila caddero prigionieri. De Paola ha usato le stesse
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
parole di Napolitano ma contro di lui si sono scatenati, senza ritegno, gli
animi esasperati e divisi dell’Italia attuale. Cori, fischi e insulti di militari,
ex militari, militanti, amici e parenti dei soldati, degli uccisi e deitraditi, in
30 anni di missioni di pace e guerra, hanno zittito il ministro da destra, fin
al suo ritiro negli spogliatoi allo stadio di Pisa, stretto tra base Nato e
caserma della brigata Folgore. Quasi un arbitro in fuga davanti a spalti
inferociti. Fuori per le strade pisane sgombrate dai cassonetti, per timore
che venissero incendiati, lo attendeva, da sinistra, l’immancabile corteo
anarchico e pacifista a contestare la celebrazione di un evento militare, a
prescindere, e poi nello specifico, il ricordo di un evento militare della
guerra fascista. Il corteo è potuto arrivare trionfante all’Università pisana,
che reca allegra nei muri antistanti un allegro Berlusconi muori e dove per
contestare i festeggiamenti era stata occupata la facoltà di Scienze
Politiche. El Alamein, in effetti, è indicativa della mentalità italiana. La
battaglia decidette le sorti dell’occupazione o meno, da parte dell’Asse
italotedesca, dell’Egitto inglese e quindi del Medio Oriente, e del sogno
nazista di portare il conflitto nell’Asia sovietica e britannica. L’orgoglio,
italiano, mal e mai confessato tra le righe, sta in questa prospettiva di ruolo
proattivo e mondiale, che nei fatti all’epoca della battaglia era già molto
ridimensionato, dipendendo l’italo fronte dall’arrivo e dall’avanzata dei
panzer tedeschi nel deserto. Questo pensiero, molto nascosto negli strati
profondi del subconscio, confessa anche che molto antifascismo e tutta una
serie di accuse antiregime, dal razzismo al liberticidio, dalle mistiche alla
repressione e persecuzione dei rivali politici, si riducevano spesso ad una
sola e insindacabile condanna, identificabile nella sconfitta, con tutte le
conseguenze dei disastri dei bombardamenti, della fame, delle occupazioni
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
e della guerra civile. Per l’Italia moderata e nazionalista, El Alamein,
ultima luce di una possibile vittoria, prese nel dopoguerra un valore
positivo, di esemplare eroismo della Pavia, Folgore e delle altre divisioni
immolatesi in Africa. A pensarci bene, il peso romantico delle ipotesi di
ruolo e vittoria prevalsero anche sull’antinazismo, facendo scordare che i
germanici di El Alamein non erano meno nazisti di quelli della successiva
occupazione d’Italia. Il riferimento al valore e coraggio militari resta, come
il sacrario costruito in Egitto, un monumento sostanziale, lucente nella
memoria storica in paragone al tracollo istituzionale, sociale, psicologico e
morale che si concretizzò con la sconfitta. Malgrado i marmi ed il rispetto
dovuto, anch’essi in realtà contano poco davanti alla condanna ideologica:
gli skill militari dei serbi o dei pasradan non valgono ad affievolire la
condanna universale nei loro confronti. La questione svela molto della coda
di paglia italica nelle questioni belliche. Russi, tedeschi ed angloamericani,
come un tempo, i piemontesi, si giudicano da sé, senza esigenza di
complimenti altrui. L’insicurezza nazionale, in guerra ed in diplomazia,
fortissima anche oggi, come evidenzia la stessa vicenda dei marò,
evidenzia una distanza tra istituzioni ed una società capace di produrre una
forte industria bellica ed un imponente sforzo logistico e finanziario nelle
tante missioni ingrate fatte al servizio altrui. In genere, in un contesto come
la Pisa rossa nell’ancor più rossa Toscana, buropolitica e cortei pacifisti
viaggiano insieme, in genere sui pullman messi a disposizione dalle
prefetture per poter berciare con comodo contro l’indifferente campo Nato
di Tirrenia. In questi casi il sindaco deve momentaneamente divorziare
dagli studenti. Il ministro non a caso ha ringraziato per il sostegno il
sindaco Filippeschi che da parte sua ha voluto apprezzare il senso civile e
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
civico dei “nostri militari”, i quali insomma, non importa quanto siano
bravi a fare la guerra, sistanzialmente sono ottimi a non buttare carte in
terra. E’ una fortuna che il sacrario di El Alamein stia al di là del Mare
Nostrum; fosse stato di qua, avrebbe impegnato milioni nella ripulitura dai
continui atti vandalici. Pisa aveva 90mila abitanti nel ’61, venti anni dopo
toccava i 104mila. Altri anni; ormai è un decennio che perde abitanti. La
presenza studentesca, quasi tutta meridionale, massa di 50mila giovani, è
quasi la metà di una città vecchia che campa di pensioni, stipendi pubblici e
affitti. Porto senza mare, imperiale senza impero, borghese senza
borghesia, centro militare ma pacifista, capitale dell’informatica italiana
senza aziende Ict di peso, a Pisa non si festeggia solo El Alamein, ma
anche la sconfitta della Meloria che segnò la fine della terza repubblica
marinara e che fece sparire anche gli autoctoni, sostituiti dai fiorentini
colonizzatori. Ad inizio ottobre tutto il rassemblement delle istituzioni
locali, un grande monocolore Pd, ha festeggiato il suo Festival di Internet,
ovviamente lasciandone la gestione a Milk e Sistema, società culturali
messe in piedi a Firenze per il locale festival della creatività. I creativi
fiorentini, per omaggiare Internet, si sono inventati sul Ponte di Mezzo un
percorso pedonale di megaschermi con filmati di personahgi urlanti, una
perfomance da anni ’80, quando almeno si usavano laser ed ologrammi, un
inno all’interattività degno dei nostri giorni: auspicata e non applicata.
Hanno individuato i grandi della tecnologia: in Googleo Galilei, Steve J.
Marconi (area Maker), Mark Gutenberg (area Teller), e Obamo Lincoln
(area Citizen), dedicando loro le 4 giornate, i 104 eventi, i 200 relatori e le
12 location tra esposizione della smart card dei servizi, rigorosamente
comunale e Stati generali dell’innovazione che aspettano sempre una
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
propria pallacorda. Nei giorni della morte della carta stampata per mano
della rete e della fine dell’open source a causa della ownerhip IOS Apple, è
divertente notare come l’identificazione tra storia dell’informatica ed
informatica giochi brutti scherzi. D’altronde tutt’oggi nel giovanilistico
Internet governance forum ci sono i retecrati che frequentarono nel 1969 il
primo corso di laurea in informatica o che collegarono nel 1986 la prima
connessione nazionale ad Internet. Non vanno a vedere certamente filmacci
di serie b come “Il cacciatore di vampiri”nel quale il terribile repubblicano
Abramo Lincoln va a caccia di vampiri che non sono altro che l’esercito dei
sudisti, i nonni del partito democratico Usa. Con grande strafalcione
storico, i professori pisani, pur di tifare Obama, hanno fatto delll’alto e
ossuto presidente Usa uno di Dixieland. Evidenziando anche l’incapacità di
avvicinare le masse giovanili agli eroi patri, come fanno invece
continuamente negli Usa. Avessero voluto provarci, c’era facile facile una
applicazione da distribuire su smartphone e tablet: E-lalamein. Un
compendio di storia, geografia, ideologia, militaria e psicodramma
nazionali con tantissime valenze distributive e cognitive e con possibilità
audio infinite, dalle grida di dolore ai rombi di cannone, dagli applausi ai
pianti, dai fischi ai cori, storia di decenni ridotta a cronaca infinita, mai
chiusa nella condivisione. Più interattiva di così. Troppo per la città
simbolo dell’informatica italiana, un’informatica, che in realtà non c’è più,
fantasma, come i militi ignoti di E-lalamein.
SMAU e FORUMPA.
Le principali fiere dell’informatica e delle tecnologie includono, campioni
bel contesto privato e pubblico, Smau e FORUM PA. Il primo, Salone
Macchine e Arredamenti per l'Ufficio, tiene la sua principale edizione
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
dedicata all'Information & Communications Technology (ICT), dalla sua
nascita nel lontano 1964, a Milano in autunno con una media di 50mila
presenze. Il secondo festeggerà la 23° edizione a Roma dal 16 al 19
maggio, nell’evento clou tecnologico della Capitale, con una media di
300mila visitatori, 15mila al giorno, un pieno di visite di interessati, ma
anche praticamente comandate per consulenti e fornitori PA come
sull’onda dei crediti formativi per il personale pubblico. Il Forum, che ben
esprime le modalità di approccio di gran parte del paese alle innovazioni,
venne partorito ai primi ’90 nell’epoca della riforma Bassanini della PA, e
dell’instaurazione della cosiddetta comunicazione pubblica. Quest’ultima,
un tempo solo Rai e veline prefettizie, dovette uscire dall’aura di
riservatezza, per decenni giudicata omertà pubblica e si trasformò in uno
strano centauro, mix di pubblicità, propaganda, uffici stampa, uffici di
gabinetto riservati, management, portavoce e fiduciari della grande
burocrazia centrale e locale. Da questo milieu, molti che un tempo
trovavano posto nell’ampia pubblicista par accademica partitica e
sindacale, sono saliti ai vertici di Agenzie, Authority, Centri culturali e
Fondazioni, in quello che voleva essere un processo di innovazione
selettiva della classe dirigente e che invece si è evoluta nell’ingrassamento
del suo peso sul paese. Due le colonne del ForumPA : il primo è il portale
con gli eventi promossi o accompagnati; il secondo è l’evento di maggio.
Molti lo credono parto dell’innovazione pubblica mentre in realtà non è né
cosa pubblica, e neppure cosa privata, ma solo un marchio, cosa di
immediata comprensione se si pensa al nome originario, Romacasaufficio,
assai simile all’acronimo Smau. Lo gestisce l’Istituto Mides, che malgrado
il nome non è un istituto culturale, sotto le sapienti cure del presidente
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Carlo Mochi Sismondi. Il portale, lungi dal vantare gli effettivi meriti
fieristici, in nome della neutralità della buona innovazione, di auto
conferite competenze pro bono di e-government e democrazia elettronica
che verrà, ha sempre attaccato unilateralmente tutte le attività nel settore
del centrodestra, da Stanca a Borghini a Brunetta, ridicolizzando con la
Lega anche le best practises lombarde Le veline hanno lasciato il mondo
pubblico per ridefinirsi in quello privato ma le tessere no, contavano ieri
come oggi. Non a caso Osnaghi, campione dei piani ICT di Prodi di 2
decadi fa viene ora riproposto da Di Pietro. Il prossimo ForumPA, senza il
fiato sul collo del concorrente convegno brunetiano della Siav Accademy,
cambia linea sul Cad, Codice dell’Amministrazione Digitale,
improvvisamente divenuto all’altezza di quella leadership italiana nei
servizi di egoverment che, certificata dal’Europa, i nostri esperti non sono
mai in passato riusciti a spiegare. Per il resto si preannuncia il peana per
Agenda Digitale, titolo dell’evento fieristico oltre che dell’iniziativa del
governo Monti. A marzo lo Smau ha fatto a sua terza puntata romana con
5.600 presenze, anche se l’AD Smau Pierantonio Macola sottolinea gli
8.500 i registrati. Lontano il successo dello Smau Mediterraneo 2000, i
16mila visitatori ed i 130 espositori di allora. Gli espositori sono stati gli
stessi 80 del 2011 con 13 regioni rappresentate, a parte la ditta danese di un
gentile manager emigrato trevigiano. Su 500mila lavoratori del settore,
Roma ne ha di più: 80mila nella Capitale e 73mila a Milano. A Roma è
presente il 24,3% delle imprese della telefonia, il 19,3% dell’IT e meno del
10% dei servizi di informazione, a Milano rispettivamente il 16,5%, il
18,2% ed il 12,7%. Il Lazio, dice Zanchi di NetConsulting, ha più banda
larga nelle imprese della media nazionale (84, 3% vs.83,1), è 1° nei
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
progetti europei di ricerca, 2° solo alla Lombardia per impiegati in ricerca.
I distretti industriali delle Marche a sorpresa risultano i più digitalizzati. Da
Roma Digitale a Roma Wireless e Roma Wifi, il coinvolgimento
competitivo di Comune, Provincia, Regione, Confindustria,
Confcommerc
io e le
innescabili
attività del
consorzio del
Distretto
Ict&audiovisi
vo e della
Fondazione
FMD del
Comune,
dell’E-lait regionale, del Cattid de La Sapienza testimoniano attenzione alle
tecnologie. Lo stand Confcommercio, in assenza del suo guru Gatti, avendo
Smau Roma scelto l’infoprovider rivale, Nextconsulting, come relatore di
maggioranza, portava in bella vista la scritta Provincia di Roma Capitale. Il
lapsus, più che alla scarsa conoscenza delle riforme costituzionali, è
l’ammissione della leggerezza pubblicitaria con cui gli stessi professionisti
prendono ormai i progetti tecnologici di ampio respiro. A Smau Roma non
c’erano gli Alemanno, Polverini, Zingaretti, non parliamo del governo. La
VI° inchiesta sull’ICT nella Capitale, lavoro Comune- La Sapienza è stato
presentato dall’assessore al commercio, molto noto ad Ostia, meno in
Internet. dell’Opificio Telecom Italia sull’Ostiense. Nebbia no comment su
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Giuseppe Mele 2014
Roma Capitale Digitale, il fiore all’occhiello 2009 di cablaggio in fibra di
tutte le case romane entro il 2013, impegno da 600 milioni di telco ed
Unindustria romana. Telecom ha cablato Prati, Belle Arti, Appio e
Pontelungo; alla collina Fleming ci hanno pensato Fastweb, Wind e
Vodafone. Poi Telecom ha troncato il budget. Difficile che Alemanno
cerchi soluzioni alternative mentre gli mancano 2 miliardi per le semplici
spese correnti. Ci penserà il nuovo presidente di FMD Gennaro
Sangiuliano? Lo Smau punta tutte le sue carte sulla tecnologia distribuita
nelle città, valvola di sfogo e profitto per le Pmi a partire dalla
videosorveglianza. Il partner dovrebbe essere l’Anci, l’associazione, iper
disomogenea, dei Comuni che in passato ha già registrato il fallimento
dell’Ancitel. L’applicazione delle tecnologie può solo volare basso e
territorialmente. Appena il quadro si fa generale pesano i costi dell’ICT
politico, che molti non conoscono e su cui gli addetti ai lavori stendono un
velo pietoso, dove sfuggono i reciproci confini delle tante sigle associative
imprenditoriali private, pubbliche, miste. Confindustria Servizi Innovativi -
Tecnologici, Confindustria Digitale, Confindustria Cultura, Anie,
Assinform, Assintel, Assinter sono come tanti partiti, con i loro consulenti,
la quadriglia di concetti e slogan, ripetuti da anni, a prescindere dagli
eventi. IBM ed Engineering ne sono uscite fuori, gli installatori di Astel
sono andati nel metalmeccanico Anstall. Sopravissuti pezzi di ItaliaLavoro,
la romaniana Infrascom aspettano ala finestra il grande piano di fibra ottica
che sulla carta l’Agcom dell’ex ufficio stampa Calabrò dovrebbe guidare.
La retorica, tra modello ForumPa e Smau , vince tra giovani e vecchi. Per
Lucarelli di Confindustria Servizi Innovativi -Tecnologici, “Non c'e più
tempo da perdere: urgono investimenti in innovazione e regole più
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
semplici”. La Confindustria Digitale di Parisi vuole realizzare l’Agenda
digitale del paese. Stesse parole al World Wide Rome all’Acquario
Romano, per gli artigiani, creativi digitali, magari anche indignati,
dell’economia della Rete, ora innamorati del nuovo guru Chris Anderson (
che non è il protagonista di Matrix ma un Deleuze con tablet). Dice
Mondello, Tecnopolo Spa, c’è il “bivio: o spazio ai giovani makers o è
tardi per l’innovazione”. Chissà se i makers sanno che Tecnopolo è
un’azienda praticamente pubblica di Camera di Commercio, Comune,
Filas, Regione. Al paludato “Oltre le nuvole. Italia protagonista web” si
confondono i minori costi della Nuvola con i vantaggi effettivi per il nostro
tecno sistema. Palludati o scapigliati tutti d’accordo nel sognare
l’impossibile finanziamento pubblico di un ICT democratico e no profit,
concetto in nuce opposto e contrario ai motivi e metodi dell’affermarsi
mondiale del VI° potere, Internet. Malgrado l’evidenza si riesce a plaudire
a Lessig del Creative Commons ed a remare al contrario. L'Ict crea il 5%
del Pil europeo (€660 miliardi) con il 2,6% dei lavoratori (4,7 milioni), ma
dal 2010 le sue revenue calano, mentre sulle telco europee, accusate di
cartello, pesa un meno 10 del valore azionario. La politica europea non se
ne accorge e blinda i prezzi della telefonia al ribasso per legge, caso unico
in tutti i mercati. Nessuno ha da ridirne. In Italia l’ICT, un milione di
lavoratori, ha dimezzato il fatturato precrisi del 4% e mentre sogna le apps
e òa Tv taggata, esternalizza molte attività di qualità. E’ il trionfo del
modello ForumPa, ricopiato dai colorati Working e Barcamp. Ha ragione
Macola. Quando il cameriere usa il tablet per farti ordinare la pizza, in
campana. E’ l’ICT piccola e possibile in azione, l’unica possibile, che costa
meno di quanto fattura.
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
13 gennaioI 2010 I blogger, più vecchi che mai
2 febbraio 2010 Gentiloni dà ragione a Cicchitto: il si al broadband è un no a Telefonica
Il “Costruiamo l’autostrada della conoscenza” del 22 gennaio scorso di
Fabrizio Cicchitto è una risposta a “L’Italia in rete” di Paolo Gentiloni del
20 maggio 2009. Ieri come oggi, allo stesso tavolo politici, col Pdl al posto
del Pd, tutti i nomi delle telecomunicazioni in una sala affollata dai
dirigenti del settore, da Fastweb a Vodafone e Telecom ( manca solo
Francesco Caio). Ieri era vigilia di elezioni europee, oggi di quelle
regionali. Ieri il problema Telecom, oggi pure; ieri come oggi la questione
barda larga, per la quale gli appelli di tanti, da
Di Cola della Uilcom a Calabrò della Agcom
sono andati inascoltati. Finite le somiglianze,
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
la maggioranza mostra più concretezza. A cominciare dal vigoroso vento
positivo della celebrazione riabilitativa craxiana che spinge le vele della
fondazione di Cicchitto, Rel – Riformismo e Libertà –alla sua prima uscita
pubblica dopo la nascita, mentre Gentiloni registra il vuoto attorno dei
cattolici in fuga dal suo partito. Il 2009 è stato l'anno degli studi di Caio e
Scajola ne approfitta sia per dare al Governo “uno dei molti meriti, quello
di aver portato la Banca Larga al centro del dibattito”, sia per annotare che
preprivatizzazioni le tlc italiane erano in testa.. Nel maggio il Pd difendeva,
per principio e per ciccia, sia le scelte prodiane del management Telecom e
l’ assetto azionario sia il Piano Caio che pure faceva un quadro impietoso
delle tlc nazionali. Con la Cgil doveva contraddittoriamente difendere un
Bernabè capace di migliaia di licenziamenti e di colpevolizzare l’utenza
insensibile ai servizi avanzati, nella speranza che il denaro pubblico e la
nuova neutralità della rete all’inglese sistemassero le cose. Tanto le colpe
erano sempre della gestione Tronchetti e Ruggiero, del digitale terrestre di
Gasparri e di Mediaset.. Ora Gentiloni ammette: la spagnola Telefonica era
un terzo di Telecom, ora ne è il doppio. Le cose sono peggiorate per
l’incumbent tlc italiano, al di là delle ultime 78 sedute di borsa al ribasso,
del calo di fatturato ed utili. Un vero pugno nello stomaco sono state le
dettagliate informazioni date alla stampa sulla pratica Telecom di gonfiare i
dati di mercato delle schede telefoniche mobili, sulla responsabilità di
dirigenti citati per nome e cognome come delinquenti per quanto non ci sia
traccia di azione penale contro di loro, infatti sono apparse con grande
risalto sulla stampa. L’enorme cifra di 5 milioni di sim false, garantita da
documentazione aziendale e dalle dichiarazioni di Bernabè, può scusare dei
cattivi risultati, ridimensionare i valori delle precedenti gestioni, ma è una
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
nuova mazzata tremenda, dopo la questione intercettazioni per lavoratori,
collaboratori e fornitori ed in ultima analisi, con buona pace della
concorrenza, per tutte le tlc italiane. Se l’affaire intercettazioni sostenuto
con energia da D’Avanzo su La Repubblica, rientrava nel clima
dell’aggressione contro gli accordi tlc-tv Tronchetti-Murdoch, questa
nuova delegittimazione di Telecom, puramente suicida, non trova
giustificazione apparente. Il retro pensiero di Cicchitto allinea gli ultimi
eventi: dal rafforzamento a sinistra dovuto all’entrata del neo Cfo Mangoni
all’uscita Benetton dal capitale, fino al sorprendente rifiuto opposto
all’ingresso nella sua società internazionale dei fondi della Cassa depositi e
prestiti. Dice l’ex socialista lombardiano: in 15 anni le tlc, dal monopolio a
tecnologia stabile ad una concorrenza a rapidissima innovazione, con
ampliamento dell’offerta e diminuzione dei prezzi, ora determineranno la
reale digitalizzazione della PA portando a realtà i sogni dei Piani Osnaghi e
Stanca. A questo servono larga banda e fibra ottica più che cambiare il
digital divide o alzare i fatturati di un settore che anche con la crisi non è
andato in rosso. Insieme a mezzo governo e Parisi di Fastweb recita il de
profundis per la rete in rame e per una PA impermeabile al web, che rende
Internet non indispensabile e dunque senza sviluppo. Esalta la rete di
Telecom “che è una delle più redditizie d’Europa” e che può sopportare 8
anni per il ritorno sull’investimento di 10 miliardi di euro per una rete in
fibra ottica, ricorda rifacendosi a Caio il capogruppo Pdl alla Camera,
anche perché il governo è pronto ad aiutare., D’altronde era stato proprio
Bernabè a dire che la banda larga Usa ad altissima velocità è una realtà,
grazie al regolatorio che ha permesso un adeguato ritorno degli
investimenti”. C’è però il delitto delle modalità di privatizzazione ed il
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
peso dei 37 miliardi di debito. Altro che Tronchetti ed intercettazioni: il
paese deve pagare le scelte dalemiane. Cicchitto fa dunque un invito chiaro
a Bernabè: di ritrovare la crescita e seguire “la strada sulla quale tutte le
aziende di tlc si misurano”, malgrado il peso debitorio. E se non ce la fa
non si ostini a rifiutare l’ingresso di altri capitali, non dica no ad una nuova
mini Iri di settore. Il discorso di Cicchitto è tempista: l'esecutivo Telecom
ha appena preparato l’allungamento di un anno del piano industriale per il
Cda del 25 febbraio. Senza licenziamenti e vendite, con Bancaintesa
desiderosa di uscire dopo gli effetti globali delle ultime norme finanziarie
Usa, si prospetta la fusione Telefonica Telco e l’inglobamento
dell’incumbent italiano in quello spagnolo. Non c’è parità tra i due ex
monopolisti, dopo l’effetto negativo avutosi in Sudamerica e quindi
Cichitto chiosa, portando le motivazioni per cui con impressionante
compattezza Romani, Sacconi, Borghini, Scajola, ma anche Uil e Cisl
giudicavano la presenza di Telefonica elemento critico: ''Sarebbe grave
vedere il nostro paese arretrare non per motivi di nazionalismo, ma per
motivi strategici e aziendali''. E Gentiloni si allinea: è insostenibile privare
Telecom della Rete, ma non credo sia giusto rassegnarsi all'inevitabile
'male minore' costituito dalla fusione con Telefonica''. Telecom faccia
entrare Cassa Depositi e prestiti. Mentre il Fatto dipietrista denuncia
l’aggressione berlusconiana a Telecom, anche il Pd si allinea a Cichitto.
Forse è troppo tardi però per fermare la guerra di imprese che dopo
vent’anni vive ormai di vita propria. Non nuovo alle proposte di fusione,
Bernabè potrebbe vederne il secondo fallimento come fu con Deutsche
Telecom
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
2010 6 agosto Questa volta meglio Telecom che Fiat, anche per PIRANI, segrettario UIL
Dopo 20 giorni e 23 ore di trattativa ininterrotta, alla fine nella notte, nella
migliore tradizione delle relazioni industriali, per la seconda volta in tre
anni, Telecom Italia è stata fatta recedere dall’intenzione di licenziare
migliaia di dipendenti. Paolo Pirani, responsabile in Uil del settore tlc, non
può fare a meno di trasmettere la sua soddisfazione, perché mentre un
fronte composito di Fiat .ed estremisti puntano allo sfascio di ogni
contrattazione collettiva, “L'accordo raggiunto con Telecom Italia''e'
positivo: sconfigge la logica dei licenziamenti e ripristina un buon sistema
di relazioni industriali tra sindacati e azienda''. Mentre Unicredit sembra
voler seguire il picconatore Marchionni, al Ministero del Lavoro, l’accordo
conferma innanzitutto il ritiro dei licenziamenti annunciati formalmente a
inizio luglio da Corso d’Italia per quasi 4mila dipendenti. Ora molte voci,
in stile dipietrista, irrideranno l’intesa come scontata ed annunciata, un
altro passo indietro del sindacato. Lobbies di azionisti e dirigenti giocano al
massacro interno dell’azienda, agganciandosi alla protesta diffusa che in
fondo considera le trasformazioni intervenute dal ’93 in poi pura illegalità.
Il contesto non era semplice ed anche i principali sindacati si erano
presentati alla trattativa in ordine sparso, quasi più conflittuali tra loro che
con l’azienda. La Cisl tutta impegnata a mostrarsi come la trade union anti
Cgil; quest’ultima, affaccendata a stampare un comunicato dietro l’altro per
attaccare il governo e la sua funzione mera notarile. In questo contesto la
Uilcom laicamente ha cercato di depoliticizzare il tavolo, di mantenervi
unita la più ampia rappresentanza dei lavoratori e di trovare forme moderne
di soluzione. Dice il segretario nazionale Bruno Di Cola: “La Uilcom ha
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
fortemente spronato l’azienda ad usare la formazione come strumento
efficace e come ammortizzatore sociale per riqualificare migliaia di
lavoratori non depauperando l’immenso patrimonio professionale di cui
l‟azienda dispone”. Con lui Pirani, ha apprezzato il ruolo del Governo. Agli
uomni della Uil non basta però: il discorso si completa con gli investimenti
sulle reti di nuova generazione, asset strategico per il rilancio dell'intero
settore delle tlc in Italia. Appunto la questione è quella di invertire la
tendenza akl downsizing presa da Telecom Italia e dalla depressione
interna indotta anche dalla caccia alle streghe degli ultimi mesi ed anni.
L’accordo si basa
sul mantenimento
dell’attuale
occupazione e su
nessuna
esternalizzazione.
Garantiti i lavoratori
già posti in mobilità,
che si sono visti
slittare in avanti la
data di
pensionamento, per
i quali i periodi
eventualmente
scoperti avranno il
90% della
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
retribuzione. La nuova mobilità per 3900 (e non quasi 7mila) nel biennio
2010-2012 sarà solo volontaria e riservata a coloro che raggiungeranno i
requisiti pensionistici; prorogati per due anni i contratti di solidarietà del
”1254” cui si assoceranno 450 lavoratori dell’azienda informatica, SSC; i
50 professionisti della formazione dell’ex Tils, vittime del fallimento di
Bracciali, saranno riassunti in nella società del gruppo HRS. La
formazione, assieme al telelavoro, che secondo Sacconi è il grande
strumento del futuro per accompagnare e superare le crisi occupazionali
verrà usata per garantire quei 1100 lavoratori senza protezioni sociali di cui
Telecom voleva disfarsi. Molti degli impegni su formazione, informatica e
internazionalizazione non sono nuovi, ma il 4 agosto presenta alcune
novità: la garanzia terza data dal governo e un il tavolo sindacale
finalmente unitario, in cui la la presenza formale Ugl non è stata contestata
da Cgil. La categoria tlc di quest’ultimo, la Slc partita con gli accenti Fiom
tesi a promuovere un taglio tutto politico, ha finito per seguire le proposte
iniziali della Uilcom, che ha svolo un ruolo di cucitura di tutte le posizioni
dei lavoratori, attaccato selvaggiamente fuori dal Ministero, ma considerato
utilissimo alla tratativa sindacale. Si chiude positivamente quest’ennessima
puntata delle lettere del mondo Telecom. Le lettere di licenziamento
aziendali vanno nel cestino. Con quelle anche la lettera dei 2200
informatici Telecom a Bernabè, apparsa a pagamento, pag.34 sul Corriere
della Sera di mersi fa dopo che Repubblica si era rifiutata di pubblicarla. di
ieri, a pag. 34, campeggiava un annuncio con una lettera indirizzata della
società Franco Bernabè. I dubbi "esternati” dei lavoratori allora a rischio
uscita dall’azienda, erano stati criticati anche dai grillini perchè scritta in un
oscuro linguaggio sindacalese-informatico. Il consiglio era stato di affidarsi
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
ai pubblicitari; superare il pregiudizio ideologico anti comunicazione ed
impararne la logica. In realtà già nel passato le speranze legate alle lettere
pubbliche agli AD sono sempre andate vane; ed il più delle volte hanno
mostrato inquietanti strizzate d’occhio dei più estremisti proprio a quegli
uomini d’azienda considerati più di sinistra. La realtà è che la riduzione del
costo del lavoro per un’azienda come Telecom non ha un grande significato
contabile; ma le serve per afferrare il gradimento di Borsa ed azionisti e
rilanciare l’idea di una società snella. L’assemblea aziendale quest’anno ha
approvato per un pelo i risultati e soprattutto i benefits, tra richieste
risarcitorie e dubbi sul declino delle atività internazionali. In silenzio
cubovision e suo inventore si ritirano alla chetichella e torna in Cda il guru
nostrano TiM Mauro Sentinelli, l’inventore del prepagato, che forse, dopo
tanti abbandoni guiderà un management speso giovane, spaesato, confuso
tra i tanti trend. L’auspicio quando all’alba ci si alza dal tavolo è che finisca
in Telecom la fase destruens.
Parisi, il pacificatore tlc
Da quando le telecomunicazioni si sono impanate sulla banda larga, , lo
schema è questo: in primavera c’è il convegno d’area Pd che sostiene le tesi
dell’incumbent Telecom e guarda verso il deserto dei tartari in attesa di
vedere il fantasma dell’azienda nemica, Mediaset, avvicinarsi al settore.
Poi in autunno è la volta del meeting area Pdl - governo che chiede
prefigura svolte mentre si infittiscono i gossip su cui sostituirà Bernabè.
Deinde, come il deus ex machina, arriva il terremoto, giornalistico e
giudiziario che inchioda tutti ai loro posti fino all’anno nuovo.. Lo sfondo
come il cielo sereno dei desktop berlusconiani non è immobile solo in
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Italia. In Europa, bancomat da programmi quadro, con tanto di raffiche di
slogan, si è rinunciato alla guerra al mercato in nome del mercato solo per
non toccare Apple, che fa radical chic. C’è chi tira le uova ai sindacati,
mentre nè servizi Ovi né il ritorno all’utile bastano a Nokia. per non
cacciare 1.800 lavoratori. La società finlandese ha silurato l’AD Kallasvuo
sostituendolo con l’ex Microsoft Elop davanti alla minaccia Google che ha
già battuto gli smartphone Microsoft e Blackberry. Solo i terminali Android
fr
uttano a Google come tutto il fatturato Nokia. Per fare gli stessi soldi,
Vodafone venderebbe dopo la presenza in Cina, anche quelle in Egitto,
Australia, Francia, Polonia, India ed Usa. Grazie all’eliminazione di un
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
paio di miliardi di fatturati roaming ed alla delocalizzazione virtuale del
cloud, ora le telco europee sono sotto scacco degli alieni Google, Apple,
Facebook. Alle nostre telco mobili europee i soldi sul traffico dati resta una
chimera annunciata da un decennio. (in media, il fatturato dati è poco sopra
il 10%). Le telecom europee, impastoiate da privacy e copyright,
arretratezza politica e veti macroindustriali, non possono nemmeno
appoggiarsi su hardware e handsets. Con accuse di corruzione in Germania,
suicidi in Francia, prezzi imposti in Finlandia, no deregulation in Europa, le
telco europee imboniscono ai giovani le favole della ricerca nel garage
sotto casa; in re
altà l’innovazione è oggi un vortice incontenibile di acquisizioni, dove
Apple, Oracle, HP, Ericsson, Google, IBM comprano ogni idea buona, con
una liquidità, negli Usa in crisi, che vale 5 finanziarie italiane. Un tempo le
europee compravano fuoricontinente, ora Telefonica non riesce in Brasile,
mentre a Wind la russonorvegese Vimpelcom sostituisce l’egiziano
Sawiris; e subito fallisce quella che era Stet Hellas. D’altronde chi si è
accorto che Hansenet, passata a Telefonica, ha licenziato metà del
personale? Il settore più innovativo e più ricco perde colpi. Nel 2006-09 ha
perso €3 mlrd, nel 2010 il -2,3%. €1,3 in meno nel quadriennio anche per
gli apparati di rete. Il miliardo degli smartphone non ha salvato dal crollo
degli altri modelli. Non c’è da meravigliarsi, se al convegno delle telco di
Asstel di Stefano Parisi, il settore era ammaccato. Assinform in crisi dopo
l’uscita di Ibm ed Engineering, in litigio sul valore del calo IT con Assintel
(-7 o - 2%?). L’Agcom umiliata dal ritiro degli operatori dal suo Comitato
Broadband, dalla diatriba con Telecom sulla data d’avvio dell’offerta dei
100M e dalle perplessità europee sui costi all’ingrosso d’accesso alla rete
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Telecom. Il governo appannato dopo il tira e molla per dare a Romani il
Minsviluppo, senza neppure soldi da giustificare la lunga guerra tra
Telecom ed il gruppo capitanato da Fastweb per la banda larga. Eppure
Parisi è riuscito a presentare Asstel come la rappresentante della filiera tlc
ad auspicare l’unione dei contratti; a concordare con Telecom, il cui AD
Bernabè ha compiuto un’inversione ideologica a U, smettendola di
contrapporre rame a fibra, dichiarandosi contro l’ambientalismo
dell’antielettrosmog, contro l’ottusa UE che non sostiene le infrastrutture di
rete e contro Google, parassita degli investimenti altrui.. Proprio l’asta per
le frequenze televisive prefigurando grandi incassi statali rimette oggi pace
fra tutti. In Germania l’asta ha fruttato 4,2 mld. Per Romani "Il problema "
sono “le risorse da investire", per Parisi il prezzo spuntato all’asta dovrebbe
restare nel settore. Solo su questa scommessa Telecom e l’alleanza
Fastweb, Wind, Tiscali si accorderanno sul futuro della rete Telecom.
Parisi esce dal meeting d’autunno come il pacificatore, lui che solo sei mesi
fa doveva subire il processo in diretta da Vespa, nell’accusa di
triangolazione truffaldina portata a Fastweb e TI Sparkle. Il processo che
conta, mediatico è finito; si aspetta solo l’abbraccio Scaglia-Valentino
Rossi. Il processo in aula rimanda di un mese. Sta nella cartella inused links
sul desktop tra le cose che da non vedere, come le intercettazioni, figlie tlc;
oppure le rendite minacciate dai server di Miami. Certo, sentir dire alla
Marcegaglia che il copyright non c’entra nulla con le tlc o che Confidustria
lancerà un’agenda digitale, come nella sua associazione non si affollasse
tutto e di più, da Assinform a Serv.Inn, da Aiip fino al vertice di Asstel,
non tranquillizza. Resta il Parisi bipartisan che fa un passo politico di
appoggio alla bilateralità con i sindacati, grazie all’introduzione
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
contrattuale della costituzione del forum ad hoc, voluto fortemente dalla
Uilcom. Il risultato è che Brunetta ascoltato il segretario Slc Cgil, ne fa le
lodi assieme ai sindacati del privato. Bernabè, reduce dall’avere ottenuto
con i contratti di solidarietà, un taglio delle buste paga uguale al suo
aumento di stipendio, volta le spalle a Gentiloni e magistrati; ringrazia con
la speranza di conferma per aprile. 180mila lavoratori del settore, 350mila
del comparto sognano di invertire il destino del calo continuo. Parisi?
Profumo? Quien sabe. Presto prima che il rame non valga niente del tutto
nel paese europeo, l’Italia, che ha già - e chi l’avrebbe detto? - più fibra
ottica di tutti
2012 Web o Press
Alcune organizzazioni europee per la tutela dei diritti digitali hanno aperto
il sito RespectMyNet per invitare gli utenti a denunciare gli operatori tlc
che operino discriminazioni su contenuti o servizi web. Al di là delle
apparenze gli organizzatori non rappresentano gli utenti, non possono
mettere su giurie, né processi., limitandosi a minacciare di adire le autorità
europee in caso discriminatorio. Quelle europee, perché nella mentalità
degli organizzatori, i governi nazionali sono sicuramente collusi con le
telco, tutti impegnati a bloccare la comunicazione in rete. L’accusa, talvolta
anticipatoria della realtà, si riferisce alla volontà francese di bloccare il
P2P, alle direttive delle Agcom sul diritto d’autore ed ovviamente
all’eventuale ricaduta sul mondo blogger delle norme in discussione in
Italia sulle intercettazioni telefoniche. A guardare però il lungo elenco, già
pubblicato dai difensori dei diritti umani digitali, dei reclami, che
coinvolgono praticamente tutte le telco dal Belgio, alla Germania, al
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Canada a Francia ed Italia e molti produttori di apparati, vi si trova un
cahier de doléances degno più che di un tribunale, di un semplice help desk
aziendale. Difficoltà di accesso, reti mal funzionanti, tipologie di hardware
che non si interfacciano con servizi web, impedimenti a connettersi a reti
virtuali private nascoste in altre reti virtuali private, senza passare per
connessioni base. Le restrizioni ad Internet sono una cosa chiara, applicata
in alcuni paesi mediorientali dove per uno scritto offensivo si fanno mesi di
galera o come in Cina dove è consueto bloccare determinati IP come è
avvenuto a Google. Curiosamente però i paesi più censori possono
diventare Brasile e UK quando si consulti la particolare lista curata da
Google sulle richieste ricevute di eliminazioni di video su You Tube per
motivi di copyright. Anche Google e Facebook sono state accusate di
violazione della privacy per un uso augmented dei dati privati liberamente
immessi nei social network dagli utenti privati. Dietro tanta confusione, c’è
voglia di gridare alla censura a prescindere. Con un gesto clamoroso
Wikipedia Italia aveva già annunciato l’intenzione di chiudere se anche
blog e siti web avessero dovuto riportare considerazioni e smentite ricevute
da quei soggetti che si fossero considerati offesi. Quella di Wikipedia Italia,
firmata erroneamente a nome dei suoi utenti, che difficilmente sono stati
interpellati, era una boutade esagerata anche prima che l’intenzione di
estendere gli obblighi normali dei media cartacei al web venisse meno. Pur
solo annunciata e per di più senza motivo, moltissimi sui social network
hanno voluto dare credito alla chiusura dell’enciclopedia web libera. Che
poi libera non è, essendo ben orientata politicamente con drastiche censure
sul pensiero no correct. Più realisticamente qualche denuncia ha messo
sull’orlo di una vera chiusura il Legno Storto mentre Nonenciclopedia,
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
versione satirica non politicamente orientata di Wikipedia, ha dovuto
sospendere il servizio per aver preso in giro Vasco Rossi ultimamente
molto attivo su Facebook. Infatti la satira ha i suoi limiti ben recintati.
Alcuni possono essere travolti ed offesi al di là dell’immaginabile, altri
toccati e punzecchiati, altri sono intoccabili. Ci vuole un mostro sacro come
Striscia la Notizia, forte di incassi super al botteghino e di campagne sul
campo antisprechi per osare lo sfottò nei confronti di Repubblica o delle
campagne più o meno femministe. L’associazione delle telco italiane,
Asstel, di fronte al rincorrersi di voci incontrollate ha diffuso una nota per
negare che gli operatori intercettino o mantengano copia delle telefonate o
sms intercorsi, se non nei limiti voluti dalla magistratura. La mobilitazione
per la neutralità della rete, per la sua libertà va dunque di pari passo con le
campagne volte a soccorrere la libertà di stampa in pericolo. Le une e le
altre appaiono fuorvianti e schizofreniche: Assange, Strauss-Kahn e
Berlusconi sono stati quest’anno arrestati o travolti da campagne di
denigrazione con l’accusa di reati sessuali, in una ridda di notizie partite
dalla stampa e pedissequamente seguite e stravolte in peggio dal web. Il
loro eventuale ridimensionamento non elimina i danni politici. Se ci sono
giornali perquisiti, giornalisti e direttori sospesi, sono tutti di una parte
politica precisa, quella del populismo di destra. Contro il quale
imperversano, non da oggi, le intercettazioni a fondamento di giornali e
processi. In controtendenza le autorità inglesi si sono vendicate dopo molto
tempo seguendo il noto motto spagnolo. La chiusura di "News of the
World" ed il barcollio di Murdoch per intercettazioni private seguono un
decennio di massacri sul filo del telefono per la monarchia e
l’establishment Uk, quando l’unico che si salvava, malgrado i falsi
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
spionistici su Saddam, era Blair. E’ solo accattivante il titolo del festival
della diplomazia (a Firenze e Roma fino al 14 ottobre) “Dopo Wikileaks”,
perché i documenti svelati, appunti, messaggi, opinioni in libertà non
raccontano nulla di nuovo. Non a caso la biografia appena uscita a Londra
del Wikifondatore finora ha fatto flop. La stralibertà di stampa, satira e web
regna sovrana a sostegno del pensiero progressista, della grande finanza e
di grandi realtà monopolistiche mondiali. Grande in tutto il mondo il
cordoglio per la dipartita a 56 anni di Steve Jobs il creatore di Apple. La
sua filosofia però dal Mac dell’84 all’Ipad 2 è stata di software ed hardware
proprietari, brevettati, chiusi, d’eccellenza e snob, molto cari e che legano
a sé gli utenti, al punto che le ultime ricerche parlano di rapporto d’amore
tra proprietario e iphone. Jobs lascia una Apple monopolista su apparati e
applicazioni nel mondo e che solo per un pelo non è riuscita a brevettare
per sé la tecnologia touchscreen. Questo non è un problema per i netizen
della libertà sulla rete. A loro basta rilanciare quanto passa su tv e stampa,
chiedere libero accesso a prodotti in vendita e criminalizzare gli operatori
europei, sempre più deboli, magari chiedendo la nazionalizzazione “perché
la rete è di tutti”. Solo a tempo debito però, quando lo stato tormerà nelle
mani giuste.
2012 IT, cause & casualità Il blog di Antonio Romano
L’analista di mercato di Information Technology, l’infoproviding è
un’attività che sta tra la statistica, le scelte nodali strategiche delle aziende
e la previsione magica. Quello che è stato la Scienza della guerra di von
Clausewitz e di Sunzi, la Scienza della politica di Macchiavelli, Mosca e
Pareto, nell’era di Internet e dei computer è l’information providing, nel cui
nome sono divenute star Negroponte, Talbot e Lessig. Sviluppatesi accanto
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
ai colossi dell’informatica e dell’hardware USA, le grandi società di
consulenza, di analisi di mercato e di infoproviding hanno analizzato e
guidato le tendenze dell’applicazione tecnologica nella vita dell’impresa ed
in quella quotidiana dei cittadini. Assai più di molte ideologie, hanno
cambiato comportamenti, mentalità, modo di lavorare e relazioni tra
individui, inponendo un american style anche ai più formibadibili nemici
dell’America.. Hanno formato negli Usa un secondo mondo intellettuale,
fiancheggiatore dell’università, ma non accademico, che tutt’oggi nel
melting pot tipico d’oltreatlantico del profit misto al no profit , governano
Internet come cosa propria. In Europa come in Italia, escluso ovviamente
l’UK, strategia, consulenza, alta visione non sono riusciti ad uscire
dall’Accademia, che si tiene ben lontana dall’applicazione pratica del
mercato. Nomos Consulting, dove cominciò a lavorare nel 1988 Romano, è
stata acquisita da Gartner Group e la società di Cuneo si è fusa in Bain &
Company Nella città dell’informatica sognata da Fermi, nella città del
Cnuce e dello Iei, Pisa il business più importante restano i vetri della Saint
Gobain, gli affitti agli studenti, le vespe della Piaggio ed il wet blue delle
pelli conciate inquinanti a Santa Croce sull’Arno. Slogan terzomondisti
ancora risuonano nelle sale che inventarono ed usarono Internet nell’88
senza la minima idea che potesse essere cosa interessante per il pubblico.
Imperversano sempre dai lontani anni ’80 Decina, politecnico di Milano e
Saracco, del Future centre Telecom Italia. Per Decina,in particolare
considerato il più grande esperto italiano di telecomunicazioni, i social
network ed i famosi UGC, i contenuti generati dagli utenti, sono “una
foresta digitale senza fine di mediocrità creata da milioni di scimmie
esuberanti " Il mondo attuale di Internet probabilmente evidenzia una
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
grande mediocrità che non si vergogna di se stessa, ma è lei in sella e
soprattutto lo è grazie all’esoansione qualitativa e quantitativa della rete. Il
mondo intellettuale italiano ed europeo ha così finora disprezzato o
ignorato le tecnologie dell’IT oppure l’esaltate quando per pura casualità
queste sono risultate in linea con ideali o battaglie considerate
politicamente corrette. Ad un livello più basso gli analisti sono
sopravvissuti come cortigiani dei professori universitari e delle sempre
nuove organizzazioni corporative che usano i loro studi come fiori
all’occhiello oppure occasioni di polemiche trasversali. Memorabili le lotte
per accaparrarsi lo studio dell’Eito o i numeri contrastanti tra i diversi pezzi
di Confindustria che si occupano di IT, o tra questi e
Confcommercio.Antonio Romano Nato nel marzo del 1967, specializzato
in marketing internazionale, dall’ottobre 1999 membro della Accademia
Teatina delle Scienze (Chieti) Antonio Romano ha il pedigree dell’analista
di mercato, attività cominciata nell’88 in Nomos (poi acquisita da Gartner
Group) e proseguita dal ‘95 come research analyst in IDC Italia, parte di
IDG , primo gruppo mondiale privato di consulenza ed editoria
specializzati sull’IT. Dal 2001 è stato in IDC Italia, VP Research Southern
Europe dell’area ricerca e consulenza, poi VP Sales Southern Europe; ed
infine General Manager Spain, poi di General Manager IDC Italy and
Iberia Region. Prima di uscire da IDC, è stato President e General Manager
IDC EMEA (Europe, Middle East, Africa). Oggi è partner del gruppo
GMT. Antonio Romano è un’analista IT cresciuto intellettualmente in un
brand e con ottica americani. Semplice, concreto, empirista, non scorda mai
come e quanto sia importante lo sviluppo di It e di Internet, né perché
queste si siano tanto imposte in una società come quella italiana che
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
sembrerebbe esserne impermeabile. Segue l’Intervista concessa sull’ICT
European Forum di Giuseppe Mele (ottobre 2007 ) Il suo blog comincia
con un’analisi dell’azione Agenda digitale avviata dal governo Monti
1 ottobre 2007 Intervista a Antonio Romano /ICT European Forum
Il giovane guru della ICT italiana Antonio Romano torna dalla Spagna,
dalla cui capitale ha diretto le attività di IDC nella penisola iberica per
quasi un lustro. A Milano ha ora la Direzione generale per il Sud-europa
del primo infoprovider ICT mondiale.
La comparazione tra Italia-Spagna?
La macro-economia dice che la Spagna, con 504 kmq contro i nostri 300 ed
una popolazione di 40 milioni contro i nostri 60, ha un PIL uguale al 60%
di quello italiano. Questo rapporto si ripete in tutti gli indicatori dal numero
di imprese fino al livello del mercato delle famiglie. La crescita economica
fa la differenza.
Gli spagnoli sono i primi della classe, noi gli ultimi, con una differenza nei
tassi di crescita che va oltre il 50% a nostro sfavore. Concretamente cosa
significa?
Le prime 100 aziende ICT sono al 45 filiali locali multinazionali e al 55
aziende locali. Anche in Italia il mix è analogo, 48/52. Le filiali spagnole
multinazionali sono presenti nei tre settori principali del mercato ICT
(quindi hardware, software, servizi) e sono la seconda o la terza filiale
europea, in un settore come l’ICT dove la Spagna è 3 a 5 volte più piccola
di Francia, UK e Germania.
In Italia si assiste ad una stasi apparente del mercato tecnologico, sostenuto
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
soprattutto da servizi. Probabilmente la ICT sta in gran parte confusa nel
settore telefonico per le vicende che hanno visto la trasformazione di quelle
che erano i marchi della informatica italiana, sia pubblica che privata.
Poi molto mercato ICT in Italia oggi vive nelle progettazioni della PA
locale. Come si vede ci sono differenze sostanziali di trend. Comunque in
Spagna si ha grande considerazione verso il nostro paese, preso a modello
di riferimento dalla moda al modello legislativo.
Perchè?
L' onda spagnola dei “favolosi anni ‘90” post-Franco che corrispondono al
nostro Boom, non da segno di finire. Gli spagnoli hanno saputo veramente
usare l' Europa come un “nuevo Mundo”, un eldorado cui hanno dato poco
e preso tanto, nel rispetto delle regole, attirandosi la ostilità francese.
Qual è la situazione per l’ICT in Spagna?
L’ICT in Spagna sta a 18 miliardi di euro rispetto ai circa 30 degli italiani,
un 70%, rapporto maggiore rispetto a quello tra PIL. Qui la crescita
spagnola negli anni 2000 è stata fino a 5 volte superiore rispetto alla nostra.
La grande impresa spagnola spende in ICT un budget superiore rispetto alla
GI italiana; la PMI inferiore a quella italiana.
Le imprese informatizzate hanno un fatturato superiore a quello italiano. In
Spagna la maggiore consapevolezza del ruolo indispensabile dell’ICT per
l’innovazione ha creato un rapporto cliente-fornitore fluido. Si sa cosa si
vuole, si procede speditamente; si ascolta il cliente e si ricercano offerte
adeguate.
In Italia picchi di spesa ICT dopo l'esplosione del cambio del millennio Y2
non ci sono stati. Forse ci fu esagerazione in quegli anni. In Italia la spesa
consumer ICT complessiva ha un primato europeo. Forse si assiste a troppa
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
prudenza tra gli operatori che in questo decennio hanno perso i livelli di
crescita cui erano abituati.
Non scordiamo che come trend economico gli anni novanta sono stati
favolosi anche per noi.
E il mercato Sudamericano?
Poi esiste la storia. Anche in Spagna la colonna dorsale dell’economia sono
le piccole medie imprese, ed il settore economico di maggiori dimensioni
resta quello turistico, ma esiste la grandezza della presenza spagnola nel
mondo. Decenni di isolamento non hanno privato la Spagna dell'egemonia
sull’America Latina che ha, con l’eccezione del Brasile, nella Spagna e non
gli USA, il partner di riferimento.
Quindi un esempio per noi?
Le leadership di TIM e FIAT sono state loro di esempio in mercati come
quello brasiliano, corrispondendo ad un posizionamento di immagine
migliore di quello presente in patria. Negli anni bui malgrado la presenza
radicata non abbiamo sostituito in Sud-America Madrid, vuoi per l'identità
della lingua, dato forse insormontabile.
Marchi come Repsol, Telefonica iberia Inditex / brand Zara (petrolifero,
telefonico, aereotrasporto, tessile), anche senza copertura omogenea da
grande impresa, hanno costruito aree di eccellenza a livello europeo.
Telefonica si è indebitata in questi anni, ma per comprare ed oggi è
presente in tutta Europa.
Ha investito e come le altre ha usato al meglio la disponibilità offerta dal
sostegno europeo. Tutte queste società hanno usato il mercato della
Ispanidad, il continente sudamericano, a sostegno delle performance
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
economiche. Hanno avuto ed hanno una rete finanziaria ed economica che
fa da riserva.
La Spagna, un paese unito nel crescere?
La Spagna ha avuto divisioni tremende. Oggi non ha avuto paura di fare
propri i modelli di successo implementati all’estero. I governi sono stati
costantemente alla ricerca del sostegno dell'investimento tecnologico. Non
hanno fermato mai il mercato, più dinamico del nostro, non hanno
permesso una tensione competitiva accesa quanto in Italia.In Italia si oscilla
tra grandi perfomances e grandi divisioni che spesso vanificano i risultati
raggiunti e possibili. Tempo fa dicevo che il sistema paese Italia doveva
prendere spunto dalla Spagna per ridisegnare modelli e trovare stimoli per
una crescita virtuosa e governo del cambiamento.
Gottfried Wilhelm von Leibniz nel 1685 immaginò un'epoca nella quale
ogni operazione matematica potesse essere effettuata dalle macchine.
L'espressione ICT intesa come associazione di produttori di computers e
tablots Usa risale al 1959. Più recentemente lo spagnolo Manuel Castells o
Olivan, classe '42, ha inventato l'espressione “Network Society” da lui
corretta nel 2000 in “Information Society”.
Anche Toni Negri è tra i padri dell'ICT, quando parla di società capitalista
immateriale, anticipando il nome dato alla corrente era economica?
Chiunque sia stato, è sempre ancora avanti a noi. Personalmente sono
convinto che dopo i greci la filosofia abbia dato tutto quello che poteva. A
parte questo. Abbiamo i dati, che sono la materia prima della analisi. Da
questi traiamo l'informazione. Misuriamo il dato, lo classifichiamo e lo
rimisuriamo in mesi, giorni, secondi. Qualcuno arriva e sostiene che
bisogna misurarlo in nani secondi. Il dato continua ad essere quello e tranne
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
il caso dei fotoni, non cambia da una settimana all'altra. Esiste un problema
di coraggio. Il dato deve essere misurato nelle quantità corrette, per una
informazione percentualmente valida. Non nei modi e nelle misure utili ad
altri scopi o tagliati per organizzazioni esistenti. Fatto questo si arriva ad
efficientare il processo, cosa che si fa maxime. Il coraggio maggiore lo si
ha quando si interpreta l'informazione facendone conoscenza. In Italia ed in
Europa, a parte il mobile, tutti si sono sempre fatti sorprendere dai
cambiamenti diciamo pure umanistici della ICT, di Internet, del peer to
peer. Si parla solo di sicurezza. La sicurezza oggi pervade giustamente le
nuove tecnologie. Cresce garantendo la diffusione e lo scambio del
networking ma non impedendolo. Altrimenti decade lo sviluppo, la crescita
ed il motivo della sicurezza. Arriva un momento in cui bisogna usare le
informazioni per fare conoscenza. Non ci sono macchine per questo. Oggi
la discontinuità corre di 3 mesi in 3 mesi. Un progetto ICT deve dare ritorni
in 3 mesi. In questo modo si ottimizza l'esistente e non si partecipa ai cambi
strategici. Dal Corporate Social Networking di Don Tapscott al Forum sul
nuovo governo di Internet del Campidoglio. Gli Internet rights sono
importanti e nessuno come il popolo della mass collaboration del web 2 li
pretende meglio. Ricordiamo che l-Icaan sta negli USA perche il 90% della
vita Internet corre lungo le backbones fino ai server di Miami. Nella ICT si
trova la versione quasi vicina al mercato teorico, quello dove il
consumatore, l'utente, l'attore possono inter-scambiarsi. Questo modello
offre in prospettiva molti e nuovi rights che nessun accordo
intergovernativo o gestione burocratica potrebbe dare.
ICT, L’Europa e la necessità di un regolatorio unico
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Il mercato europeo delle tlc è frammentato e in crisi perde colpi. Un
regolatorio unico potrebbe contribuire ad armonizzare la situazione.
Milano- Luigi Gambardella si è tolto il cappello di capo associazione di
Alleanza per Internet e ha ripreso quello, più veritiero, di presidente di
Etno, l’associazione delle aziende di telecomunicazioni europee,
incontrando in questa veste Antonio Tajani vicepresidente Commissione
Ue.Come mai questa improvvisa necessità? Gambardella l’ha buttata
sull’ottimistico: le comunicazioni digitali europee (Tlc, It, Tv, editoria)
valgono €680 miliardi e possono contribuire allo sviluppo del vecchio
Continente.Detta cosi’ fa pensare a un buon samaritano, che mentre va tutto
bene, non pensa altro che ad aiutare il resto dell’economia derelitta.
L’incontro in realtà manifesta un grido di dolore: i primi cinque mercati
telico europei fatturano oggi circa €123 miliardi di euro (meno della metà
del 2007!); i ricavi del settore sono scesi, nel 2012, dello 0,7% e nel 2013 è
previsto un calo del 3,8%. Mentre le telco americane crescono (fra il 6e il
9%) quelle europee vanno in senso inverso e perdono (tra il tre e il 5%.)
Eppure, almeno concettualmente, l’Europa ha condiviso il mito della
rivoluzione digitale ereditata dall’espansione Usa del ventennio ’80-’90.
L'America pero' ha sempre guardato al mondo digitale come un unico
grande mercato da conquistare a tutti i costi e, nonostante il periodo di crisi
finanziaria e i debiti, ha aggredito l’enorme mercato digitale mondiale con
una partnership, sia di filiera sia di capitali, con gli asiatici. Il fronte asio-
Usa presenta oggi una decina di centri monopolistici, capaci di raggiungere
qualunque utente mondiale, dotato di moneta. Invece i lavoratori europei
Tlc e IT sono in calo dal 2009 e anche i loro stipendi continuano
tendenzialmente a diminuire. I nostri due si saranno detti che senza telico
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
l’Agenda 2020 resta un libro di sogni; che la riduzione dei costi delle nuove
reti è un pannicello caldo e che con i soldi di tanti bandi europei si
realizzerebbe subito la fibra ottica europea garantendo il diritto a Internet a
livello universale. Difficile che si siano chiesti quale sia il senso dei
Regolatori che garantiscono tutti (operatori, consumatori, investitori,
ricercatori), tranne i produttori. L’ultima grande Authority, l’Ag Com
(subissata dalle critiche dopo l’uscita di Calabro) è chiamata a interpretare
un nuovo scenario: occorre, per esempio, regolare le tante sigle che
avanzano proposte e Manifesti sul futuro digitale (Coalizione digitale,
Alleanza per Internet, Isoc, Internet Governance Forum, Stati generali
dell’Innovazione, Assinform, Assintel, Assinter, Confindustria Digitale,
Servizi Tecnologici.) Dovrebbe parlare, e con un ruolo preciso, solamente
chi assume le responsabilità di firma. E soprattutto c’è da considerare la
voce dei lavoratori digitali, che sono l’unico patrimonio del sogno Ict
dell’Europa di Delors. Un regolatorio unico europeo potrebbe farlo, a patto
di nascere con un consiglio di sorveglianza interno.
2012 Scorpora et impera
Telecom Italia ha resistito per anni all’idea di scorporare la sua rete
telefonica, ereditata dall’azienda pubblica, del valore di €15 miliardi. Lo ha
fatto contro Agcom ed Europa, contro l’oggettiva impossibilita’ di fare da
sola gli investimenti necessari per portarla alla velocita’ della larga banda,
contro un messo di un governo che sulla questione quasi cadde mandando a
gambe all’aria anche l’AD aziendale del tempo, contro le proposte di
partenariato giunte nel tempo da interlocutori diversi come Chirichigno,
Borghini e Bassanini, sostanzialmente identiche nella sostanza, contro la
logica tecnologica, difendendo le virtu’ del rame oltre ogni limte e contro la
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
logica organizzativa, mostrando per l’inclito di avere gia’ adottato uno
scorporo interno, blindato e neutrale dal nome open access . Ed ora
contrordine compagni, lo scorporo della rete e’ all’improvviso ben visto,
considerato, spiegato in veline confidenziali passate alla stampa
confindustriale ed amica, posta all’ordine del giorno del consiglio
d’amministrazione. Come dire, cosa da fare, cosa gia’ decisa. Uno scorporo
di ramo d’impresa gigantesco, coinvolgente tra i 18mila ed i 23mila
lavoratori, con un incasso presumibile di 4 miliardi, poco piu’ dei 3,4 di
capitalizzazioni e prestiti interni ed esterni appena ricontratti. Perché
scorporare la rete tlc fissa nazionale ora che wifi e tv connected la riportano
alla ribalta? Perché discutere di fibra ottica ora che anche l’Europa sta
capendo che è di vitale importanza? Perché vendere il terzo polo televisivo
ora che cresce sul mercato dopo aver fatto segnare rosso per anni? Perché
ritrovarsi con il problema di cosa farsene dell’IT mentre tutti dicono di
avere bisogno delle competenze informatiche? Perché disfasi delle
piattaforme di social network mentre tutti gli investimenti vanno in social e
comunicazione ? E come mai costruire un recinto per il 187, tanto premiato
dopo essersi disfatti del 1254 mentre tutti richiedono customer experience
di alta qualità? Perché, perché, perché? Inutile cercare le risposte tra i
liberisti e sul mercato: le telco non rispondono a quella logica. Inutile
appellarsi al merito. L’antico guru Decina l’ha detto: tra manager, guri e
professori, abbiamo sbagliato tutto. Non per questo ce ne sia uno che se ne
vada, anzi. Nemmeno si può dare la colpa alla politica. La partitica, inclusi
i giornalisti, è fatta da vecchi, che vedono la tecnologia come un fattore
accessorio, un altro tipo di cena, comizio, manifesto, microfono.
L’occasione per raccontare quanto siano strane le americanate e le
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
cineserie. E nascondere il fatto che tira più la pubblicità di Google che
quella del carrozzone Rai o del circo Ambra Iovinelli per le pubblicità
Telecom. I politici non capiscono la tecnoogia, la odiano se non quando si
tratta di fare delle nomine. Allora non ci sono risposte? Non c’è dove
cercarle? Certo che c’è. Le risposte si trovano nell’altissima e rarefatta
politica dei gruppi finanzieri ed imprenditoriali, cui rispondono o si
collegano i partiti maggiori. Il loro dibattito e lotta vive su un piano dove
lavoro e sviluppo sono variabili indipendenti. Perché non è mai importante
cosa si fa, si tiene o si scorpora, ma soltanto chi lo fa e con chi. Anche e
soprattutto in assenza di quel peso che sono i lavoratori.
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Stampa
2014 Ordine dei Giornalisti, irriformabile ma deformabile
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha partorito
l’autoriforma della Legge 69 del 1963 istitutiva dell’OdG. Ad ottobre la
popolata assemblea del Consiglio, forte dei suoi 150 membri (o meglio 144
cui si aggiungono 12 consiglieri di disciplina, cui la legge ha assegnato il
ruolo di tribunale d'appello per le violazioni deontologiche, un tempo
affidato al Consiglio) aveva demandato all'unanimità ad una commissione
il compito di redarre una proposta condivisa tra i diversi gruppi. L’idea era
di presentarla al Parlamento; a novembre era già pronta la bozza da
discutere per l’approvazione finale a gennaio. Se la tempistica è stata
rispettata, e la segreteria dell’Ordine sta preparando per la diffusione il
testo approvato, sono già partite polemiche brucianti. Infatti al momento
del voto, il 21 gennaio, oltre la proposta della commissione incaricata della
riforma, è spuntato fuori il testo alternativo del gruppo "Liberiamo
l'informazione" che pure era presente anche nell’altra commisione con 3
membri (Verna, Vitucci e Ricci). La commissione voleva mantenere la
divisione degli attuali elenchi di professionisti e pubblicisti, mentre il testo
alternativo ne chiedeva la fusione in un unico elenco, appoggiato anche da
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
gruppi quali Albo Unico e Senza bavaglio. A voto segreto, è prevalsa la
divisione, appoggiata anche dalla segreteria OdG: 74 voti su 108 votanti, 3
nulle, 2 bianche vs i 49 favorevoli a LI del coordinatore Giancarlo Ghirra.
Come raccontano i consiglieri, il dibattito del parlamentino giornalistico ha
caratteristiche abbastanza frustranti. Tutto si concentra per motivi di
risparmio nel poco tempo dei giorni di convocazione e senza pause.
Ciascuno può prendere la parola su un argomento, ma, per sentire tutti, non
sono permesse discussioni tra due o pochi di più, come non ci sono
riunioni dei diversi gruppi per decidere modalità di presentazione delle idee
comuni. “Si perdono ore ed ore a parlare singolarmente senza una reale
discussione perchè non si può parlare fra di noi, non si può ribattere o
controbattere o parlare due volte. Si fanno delle semplici dichiarazioni di
pensiero che alla fine lasciano il tempo che trovano. Si può solo esprimere
il proprio pensiero. E poi tutti velocemente al voto.” In queste condizioni,
più il tempo assembleare passa, più scattano i nervi. Tra i magnfici 150 non
corre peraltro buon sangue, e non solo magari per le opinioni politiche e
professionali diverse se non opposte. C’è sempre contrapposizione tra
pubblicisti e professionisti, che qualche volta assomiglia alle polemiche tra
ragionieri e dottori commercialisti; c’è quella tra i pubblicisti pensionati
nemici delle innovazioni proposte dai colleghi giovani, contro i quali si
muovono anche i pubblicisti che accusano i modernisti:"ci volete far
perdere il lavoro". Strisciante, largheggia la reciproca disistima. “L'Ordine
professionale dei giornalisti si è di fatto consegnato, forse definitivamente,
ai 50mila e passa pubblicisti che di regola non fanno i giornalisti di
professione ma altri mestieri, coltivando nel tempo libero la passione per la
scrittura; oppure, come purtroppo sempre più spesso accade, iscritti ad altri
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
ordini professionali che solo perchè sono riusciti ad avere il tesserino da
pubblicista vengono a dettare le regole in casa nostra, a chi il giornalista lo
fa di mestiere. “ Ci si guarda in cagnesco, ci si fanno i conti in tasca. Quello
è un funzionario pubblico ipergarantito che sulla scorta della lg. 150 vuole
pure i privilegi del giornalista. Quell’altro, un pensionato che lavora ancora
bene e paga pure la metà dell’iscrizione annua quando un precario o un
disoccupato deve pagarla intera. Quell’altro non scrive un pezzo da
vent’anni ma è sempre affaccendato attorno alle casse previdenziali e di
assistenza sanitaria, oppure alle corti del sindacato, dell’Ordine, della
Federazione della stampa. Si ostinano a rimarcare ogni due righe la propria
professionalità, dentologia, etica, ma i primi pronti all’autodelegittimazione
sono gli stessi giornalisti. Il secondo giorno di dibattito, mercoledì 22, dopo
tante stentoree declamazioni oratorie che spaziano dallo stile dannunziano
al postmoderno freaketton-cinico, i nervi crollano sulla proposta di
revisione della composizione del Consiglio Nazionale, presente all'articolo
5. L’hanno detto tutti che 150 eletti sono troppi, ricordando che per
esempio l’esercito dei 200mila avvocati ha un parlamentino del proprio
Albo di soli 24 consiglieri. La legge del '63 fissa il rapporto di presenza tra
professonisti e pubblicisti a 2 a 1: cento eletti tra i primi e 50 tra i secondi.
La nuova proposta, rapporto di 3 a 2 tra professionisti e pubblicisti (90 e
60), fa gridare allo scandalo. Per qualcuno i pubblicisti hanno preso il
potere. Per tanti pubblicisti, sconfitti sull’albo unico senza distinzione, è
vero il contrario, tanto che alcuni di loro di Milano, Torino e Napoli
emendano, cancellando qualunque riferimento alle proporzioni categoriali,
demandato a futuri regolamenti. Eiminare però il riferimento dal testo
rischia di autorizzare il legislatore a pensare che gli stessi giornalisti non
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
intendano voler cambiare le quote attuali. Si alzano i toni, le urla, le offese,
le dissociazioni, anche nella stessa Commissione che finisce per andare
sotto sul punto 7 -voto per l'elezione degli Organi regionali e nazionali. Si
vorrebbe tutelare le liste minoritarie, limitando le preferenze esprimibili. In
48.dicono però no. Astensione dopo astensione, abbandono dopo
abbandono, tra delusi e contrariati, il testo di riforma viene via via mutilato
in un elenco di rinvii a future decisioni. Alla sera lo scrutinio segreto salva
il testo ormai senza padri dichiarati, con 59 voti favorevoli e 57 contrari sui
121 votanti e 10 astenuti. Il testo finale, approvato di un soffio, piace poco
anche al regista dell’operazione, il capo OdG Enzo Iacopino: “Volevo
essere il Presidente che portava l'Ordine ad una Riforma (ma) non è quella
che ho voluto. Il clima che si respira non mi piace”. In cauda venenum: LI
di Ghirra, dopo la sconfitta, annuncia la raccolta di firme presso Ordini
regionali e le redazioni per rovesciare l’esito del voto; ed accusa, con
Visani di Voltapagina e l’immancabile Articolo 21, l’OdG di Iacopino,
vittorioso alle elezioni interne del 2013, con ben 8 sostenitori eletti sui 8
dell’esecutivo, di essere “controllato da una maggioranza sostanziamente di
centrodestra monopolizzata dai pubblicisti”. Con buona pace della lista di
destra L’Alternativa (Non siamo un “altro” sindacato; non ci riconosciamo
nell’attuale gestione del sindacato unico e unitario dei giornalisti italiani)
che non ha eletti nel CN. Da par suo il Presidente dei giornalisti ha alluso ai
“professionisti dei multi-incarichi negli enti di categoria” parlando della
“sinistra” giornalistica, “un’”area “politica (che) ha gestito per anni gli
organismi, preoccupandosi di tutelare un’élite di garantiti”; “che ha
osteggiato la legge sull’equo compenso, (che) anche recentemente si è
tentato di vanificare”. I due campi non se la mandano a dire ed entrambi
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
accusano l’altro di distruggere l’OdG. All’offensiva “di sinistra”dei
professionisti, a febbraio risponderà l’ottuagenario Falleri, leader
incontrastato del voto pubblicistico nella Capitale con gli Stati generali dei
Pubblicisti. Si dirà che gli Stati sono “per chi questo mestiere lo fa per
davvero e non certo per chi scrive un pezzo ogni tanto per un giornaletto, o
per le schiere di avvocati, commercialisti e geometri che affollano Albo e
Consiglio nazionale”?. Perché non chiamarli allora Stati dei professionisti?
Alla fine del dibattito, c’è chi fa notare che la lg. 69/63 non autorizza
l’OdG ad autoriformarsi, dato che dipende da MinGiustizia, unica
istituzione abilitata a proporne cambiamenti al Parlamento. La corsa alle
autonomie però potrebbe superare la lettera della legge, già tante volte non
tenuta troppo in conto dalla politica. Il panorama è il Corrierone che vende
la sua sede storica, il crollo della stampa, la minaccia al fondo per
l’editoria, il diritto d’autore normato dall’Agcom nella passività
parlamentare, i confini sbiaditi tra blogger e professionista come tra
copyright e creative common o tra finte Iva e free lance, il dribbling Siae
tra copia privata ed equo compenso. Giornalisti e poligrafici licenziati
insieme all’Adn Kronos, Espresso, Rcs e Messaggero, non riescono a
fidarsi gli uni degli altri; insieme, timorosi e distratti dalle vicende
dell’orda montante della marea di autori e giornalisti sfruttati da ogni forma
di media, come da quelle dei non autori che invece incassano milioni dai
diritti d’autore. I rappresentanti dei giornalisti si sbranano sull’idea che
ciascuno ha dell’Ordine; un organismo che ormai ha poteri solo sulla
formazione, ovvero sul business (da condividere con le Università) del
percorso formativo da imporre ai neogiornalisti. Da quest'anno, peraltro, è
obbligatoria la famosa formazione continua anche per pubblicisti e
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
professionisti. Formati o no, non è chiaro quanto i giornalisti eletti ed
elettori siano consapevoli del percorso cui li obbliga la trasformazione
tecnologica dei media. O forse si attaccano a formazione e deontologia,
come si farebbe con il bicchiere di vino, per dimenticare. Dimenticare la
tecnologia, questo orco che distrugge le belle cose della vita d’antan:
burocrazia, politica, giornalismo.
2014 Forbice ex cattedra scorrettamente loquente
La Rai è un’azienda vecchia. Non ha un giornalista sotto i 30 anni, il 75%
ha più di 50 anni e 278 sono oltresessantenni. Le cose, nella prima azienda
della cultura e della comunicazione italiana, non sono diverse per operai e
impiegati. Ovviamente l’età avanzata ha contribuito a segnare un alto
numero di caballeros dirigenziali, ben 622 (manager e giornalisti), uno ogni
18 degli 11.378 dipendenti. Più di tutti i dirigenti di Mediaset, Sky e Ti
Media.. In una vita anche gli stipendi sono cresciuti (4 sul milione, 13
intorno al mezzo milione, 58 sui 300mila, 463 su 200mila) fino a toccare
più di 120 milioni, che, comunque vada, difficilmente i rispami gubitosi
potranno toccare. Nel quadro disegnato dal direttore Gubitosi nelle
comunicazioni ufficiali al Parlamento la promessa è stata 70 milioni di
risparmio con i pensionamenti, oltre alla minaccia di chiudere le sedi
regionali (cosa per la quale ci vuole l’abrogazione di una legge ed il
consenso delle regioni). In effetti sono usciti a metà 2013 100 giornalisti (e
330 dipendenti), poi ulteriori 40 prepensionati, al costo di 51 milioni di
incentivi. Alcuni come il caporedattore friuliano Marzini sono stati felici a
59 anni di staccare la spina. In par condicio, sono usciti sia Minoli che
Freccero, accolti a braccia aperte dal Sole e dal Fatto. Tra i Galeazzi,
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Canciani, Scardova, altri come Borrelli e Scaccia per ripicca hanno scritto
uno un libro contro il Tg1, l’altro contro l’avventura occidentale di Libia.
Due redattori Rai hanno scoperto che si poteva resistere e manu iure
militari hanno ottenuto di lavorare anche se pensionati fino a 70 anni; così
il quirinalista del Tg3 Fraschetti resterà ancora un lustro. D’altra parte, pur
di cacciare Minzolini il Tg1 venne affidato ad un pensionato. Dalle stesse
comunicazioni gubitose, che ribadiscono il rosso da 200 milioni (salutato
come grande successo), si deduce che il risparmio allora è a rischio. Non
solo è scaricato su incentivi e pensioni pagate dall’erario ma si amplia nell
conseguente consulenza. L’indimenticato e indimenticabile Badaloni
prende la pensione dal 2011 ma fa il corrispondente Rai da Madrid. E’ in
buona compagnia in una Rai piena di pensionati, 70enni ed 80enni (da
Bevilacqua a Bisiach da Vespa a Sorgonà, da Raveggi a Ravel, da Onder a
Donat Cattin ed Angela). Anche il catanese Forbice, cresciuto alla
redazione de l’Avanti!, ideatore della trasmissione radiofonica Zapping, era
in pensione dal 2007 ma proseguiva la sua trasmissione forte di 5.000
puntate per un’audience da 700mila ascoltatori. Nel 2012 con Gubitosi se
ne è proprio dovuto andare; paradossalmente in nome del risparmio,
proprio lui che aveva lanciato la campagna sui costi della politica,
racogliendo senza neanche un’apparizione Tv, in 2 mesi, 530.000 adesioni.
Certo Forbice non era indigesto solo per quest’ultima avventura; lo era per
le campagne sulla Cina, sull'Iran, sul filonuclearismo, sulla denuncia
dell’arricchimento politico di Grillo che con i 5 stelle ha toccato il cielo da
4 milioni l’anno. Forbice è uno dei pochi giornalisti Rai che non ha mai
alimentato il mito del caso Ilaria Alpi, i cui segreti dovrebbero svelare
chissà quale mistero; uno dei pochi che non ha chinato il capo davanti al
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
mito ambientale, femminile o diversamente tale. Contro di lui i grillini nel
2011 lanciarono una campagna di fango, accorpandolo alla
criminalizzazione dei berlusconiani. Il rossobruno Pardi chiese la sua testa.
32 fra direttori di testata, opinionisti e docenti universitari si sono appellati
alla Rai perché gli facessero compiere i 20 di anni di Zapping. Inutile, il
corpo Rai l’ha infine più che epurato, espulso come un corpo estraneo.
Zavoli, ex socialista di diverso stampo rispetto a quello di Forbice, si limitò
a dire che Zapping discreditava la politica. Così il nostro si è trovato
estraneo all’orientamento prevalente, quello dell’Europa bancaria, del
partito Rai3 e Repubblica che si preoccupa di selezionare accuratamente i
nuovi entranti da Perugia e seleziona le teste canute in entrata ed in
permanenza. Forbice è una voce di quel popolo progressista moderato che
escluso dai cinici del potere, si è trovato per forza di cose vicino al
centrodx, senza esserne però mai parte integrante. Infatti, alla sua
defenestrazione, l’unico a testimonargli solidarietà è stato Storace che il
giornalista nemmeno conosceva. Al posto dell’ideatore ora il direttore di
Zapping, è Loquenzi, come dire, un loquenzi per tutte e stagioni. Una
sostituzione da manuale cencelli che sostituisce un giornalista considerato
destro con un altro destro. Non basta però l’etichetta a cambiare l’acqua in
vino. Loquenzi, pannelliano direttore di Radio Radicale nei primi anni ’80,
percorse nei primi ’90 il tragitto Torre Argentina- Palazzo Grazioli ed a
destra ha galleggiato senza lasciare traccia, tra Foglio, ufficio Stampa del
Senato, Occidentale e Magna Charta. Malgrado milioni di veline ferrariane,
periane, quagliarelliane, non gli si può attribuire una posizione e non
rischia l’odio che ancora richiama a sinistra il nome di Capezzone. Sempre
giovane ma ormai 50enne, il Loquenzi è il tipico non quadro di non
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
comunicazione, prediletto da Forza Italia; abilissimo nei corridoi Rai, dove
sottrasse la conduzione di Ultime da Babele a Dell'Arti, prima di ripetersi
con Forbice. Senza infamia e senza lode è uno di quei costi della politica
pannelliana (ormai volgente al disio) che il centrodx si è caricato
inutilmente. Adesso Forbice, in collaborazione con la Uil Unsa e la
Federazione Scrittori Italiani lancia un corso di scrittura creativa ispirato ai
diritti umani e civili, titolato significativamente a“Ignazio Silone” Lo
accompagnano in questa avventura il collega Lorenzetto de Il Giornale, i
noti Veneziani e Malgieri, il socialista Covatta, Fertilio (fondatore con
Bukovskij dei Comitati per le Libertà Gulag), il poeta Maffia e il naturalista
Quilici. A maggio comiceranno i corsi da 100 ore finalizzati alla tutela dei
diritti umani e civili,così trascurati nella scuola, università, media e
letteratura. Nel grigiore delle candidature attuali, il richiamo a Silone, già
maledetto dall’intellighenzia, di Forbice evidenzia quanto la sua sarebbe
stata un’ottima candidatura alle europee. Nessuno ci ha pensato però.
Contiamo sul fatto che il giornalista nella sua iniziativa dedicherà tempo
all’anticonformismo ed al politicamente scorretto; che quando si hanno
cultura e grinta, sono quanto mai eloquenti.
2013 Mi manda Ciccone
Perugia è da un po’ di tempo una città tormentata.Stabile fortezza di
impieghi pubblici, monasteri e di affittuari di camere pergli studenti
internazionali, al capoluogo dell’Umbria non mancava nulla, né
unbell’hotel antico il Brufani, con piscina etrusca sotterranea, né
quattrofestiival, due belle vie, due gran palazzi e grifoni in pietra, non i
suoi 30consiglieri regionali per quasi 900mila abitanti, nemmeno un quadro
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
politicostabilissimo, ribadito in questi giorni dalla mostra (San) Francesco
nel cuoredella regioni e dal sito nuovissimo del “dizionario biografico
umbrodell'antifascismo e della resistenza”. La crisi internazionale èperò
arrivata anche qui, fin dal novembre 2007 nellevesti
dell'omicidio dellastudentessa inglese Kercher,per il quale caso è partito il
solito processo decennale italiano, fatto dicondanne, assoluzioni e
annullamenti a ripetizione con l’onnipresente Bongiornoche qui già aveva
concionato a lungo per la difesa di Andreotti. I grigi cielidella crisi
economica si sono fatti ancora più plumbei per gli studentistranieri e
soprattutto per le loro famiglie, preoccupate da tante dicerie disesso
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
criminalgotico. Ultimamente è andata incrisi anche un altro saldo bastione
di studi cittadino: la Scuola di Giornalismodi Perugia. Tutto parte ancora in
estate, quando la Rai di Gubitosi si accordaper 70 nuove assunzioni con
l’Usigrai. Il sindacato sinistro corporativo dei giornalisti Rai,dopo aver
bloccato ogni intesa contrattuale con l’ex Dg Lei per motivi politici,teneva
molto a questa intesa, unica rivalsa positiva delle tornate contrattualicon il
nuovo Dg e la presidente Tarantola. In prima battuta vengono assuntiinterni
precari: 40 giornalisti che, a tempo determinatoo autonomi o collaboratori,
da un lustro passavano per aiuto regista, autoretesti e programmisti. Scelta
nominativa senza richiesta né di un curriculum, né di un titolo, con lottedi
sbandamento di gruppi di tessere sindacali, intorno. Sul blocco di
provenienzadalle scuole di giornalismo, c’è un qui pro quo: per Gubitosi
c’è la “prassi aziendale” Rai, di coltivarsi i proprivirgulti alla scuola di
Perugia, donde arivò Floris e da dove effettivamente aluglio, arrivano, su
chiamata diretta allesedi regionali Rai 35 ex allievi perugini, qualcunocon
tanto di appartamento aziendale. Per gli altri la beffa asettembre di un
improbabile concorso, affidato all’agenzia Praxi, condomande quiz, vaghe
oppure sbagliate, addirittura invalidate in corso d’opera.La commissione,
presieduta da l’ineffabile Sorgi, appurato che il programmaOdeon non era
dell’86 ma del ’76, abbozza, si complimenta, poi seleziona pergli orali (a
porte chiuse) senza criteri 100 aspiranti, tra i quali anchegiornalisti
concorrenti come il capo redattore Radio Vaticana. Finisce conGrillo e il
presidente Commissione Rai Fico, che assediano a via Mazzini,Gubitosi, il
direttore HR Flussi e Di Trapani (Usigrai); con tutti al Tar edsulle pagine
Facebook di protesta, chiamate “Come loro”, alludendo ai perugini,e dopo
le censure, ridenominate “35 come loro”. All’Ordine dei giornalisti,escluso
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
dalla kermesse, Jacopino versa olio sul fuoco postando i retroscenasulle
pagine blu e scrivendo indignato a Rai, Fnsi e Usigrai a difesa dellealtre 11
scuole ( Luiss, Lumsa) che sulla carta sono uguali per il gli “indirizzi” Rai
e che se non lo fossero metterebbero in difficoltàOrdine, Università e corsi
da €20mila l’anno. Abituati alle barricate, questavolta Articolo 21, Usigrai
e Cerratodella Casagit fanno i pompieri, ribadendo che Perugia è canale
privilegiatoRai. Contro invece si schiera un loro amico storico, il blog La
valigia blu diArianna Ciccone, un nome che a Perugia conta. La ragazza
con la «valigiablu» è la napoletana bassina Ciccone, 42enne, con tanto di
sorella ed exprofessore di inglese, ora compagno, l’alto 49nne angloUsa
Christopher Potteral seguito. In 6 anni è riuscita sotto la presidente
regionale decennale (2000-10) Maria Rita Lorenzetti, edil locale Odg
Ciliani (“non è un Festival autoreferenziale”) a costruire ungigantesco
evento internazionale del giornalismo, senza direttori artistici,con decine di
migliaia di presenze, centinaia di giornalisti accreditati,eventi, dibattiti,
libri, documentari, interviste, relatori. Tutti a discerneremedia e libertà di
stampa, gratuita, innovativa, i temi del precariatogiornalistico, della nuova
etica web, della lotta tra l’odiata tv, editori eblogger. Espertissimi di una
cosa che non hanno mai fatto(“Il giornalismo restauna passione extra
lavorativa”), Arianna-Chris riescono a ottenere per la lorosrl €522.500 dalla
Regione, 62mila dal Comune, 86mila dalla Camera di Commerciosenza
contare contributi a latere, come location, affitti, auto blu e navettegratuiti
(ca. €40mila euro) e gli sponsor indirizzati dalla Presidente(Unicredit, Tim
Enel, Sky). L’edizione 2011al colmo della campagna sullarepressione
antistampa, finisce in crescendo con Mauro, Concita, Rossi e Stellauniti in
coro accanto ad una raggiante Arianna, la cui mascella alla Totògiganteggia
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
soddisfatta, nella rientranza dentaria commovente e minacciosainsieme.
Dal 2012 però i fondi calano, dai170mila, ai 120mila (con costi totalida
400mila), fino a miseri 75mila prospettati per il 2014. Il clima è
cambiato,al potere nn c’è più il bau bau repressore della libera stampa, la
crisi incombee tutti vogliono stabilità. Le 2 ultime presidentesse regionali,
Lorenzetti e Catiuscia Marini si sono fatte registrarementre si avvisavano
reciprocamente delle intercettazioni della magistatura. Laprima, da capo
Italferr (FFSS) è stata arrestata e liberata in un’indagineantiTav fiorentina
che lambisce pericolosamente i territori renziani. Laseconda, messa la
dovuta attenzione ai telefonini, è passata agli incontridiretti. In uno di
questi, con Arianna-Chris, ha garantito fondi a volontà,impegnandosi senza
l’oste, l’anziano assessore alla cultura Bracco che soldi non ne ha. Non
l’avesse mai fatto. Accantoalle polemiche sulla scuola giornalistica,
esplode la rabbia della Ciccone chenon intende ridimensionarsi ed annuncia
in una conferenza stampa- assembleastile TeatroValleoccupato ma lussuosa
-il solito Brufani- che il prossimoFestival non ci sarà, sicuramente non a
Perugia. Siamo in piccoli posti, doveci si conosce, si parla, non si litiga.
Come racconta l’assessore comunaleCernicchi, ci si mette d’accordo
davanti ad un piatto di formaggi, anche sel’interlocutore Chris, stranamente
sorseggia succo di frutta e mastica muffin.Non si ci aspetta il coro di urla
che le erinni - stile Guzzanti - sono capacidi evocare. L’idea che il Festival
non ci sia più, fa partire un roboante“vergogna” dall’Espresso per poi
venire reiterato in tutto il red network nei 5continenti, fino alla
convocazione a Roma dal premier. Addirittura.Comprendendo di avere di
fronte forze superiori alle proprie, gli enti locali, sudettato della Catiuscia
preparano la nota spese da €120.mila. Al Comunecalcolano di trovarne altri
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
30mila e di raggiungere la promessa cifra di€200mila. Nessuno ferma però
l’Ariannache ne ha in realtà chiesti 600mila. Al quartier generale del
Brufani, gremitodi giornalisti, blogger, commercianti, cittadini, qualche
sponsor, nell’assenzadei politici, ribadisce che “A sostegnodel festival sono
scesi in campo i big internazionali e i più grandigiornalisti che definiscono
il festival the best. In 7 edizionisiamo passati da 50 ospiti a 500, nonostante
il budget molto contenuto. Il Roisul territorio vale 3 volte i fondi pubblici
elargiti. Troppo tardi, proveremocon le nostre forze. I finanziamenti
saranno reperiti attraverso ilcrowdfunding (offerte libere da parte dei
cittadini)”. La minaccia è di portarela kermesse a Prato. La napoumbra
scatenata attacca sui soldi sprecati persagre da 4 soldi o per una mostra di
giovani autori a Palazzo della Penna chenon si capisce se sia costata 140 o
190mila. In una conferenza stanpa da quasi2 ore, nandata in web streaming
per trasparenza, sudatissimo il giovaneassessore comunale, ricordate le
ospitalità perugine dei cileni, quando non eranato, dimostra tutta la forza
dei novi Pd ricordando che al duo anglonapoletanoaveva affidato l’incarico
(da 5mila) della rassegna stampa ed implora che lakermesse resti a casa. Il
regionale prof.Bracco non fa una piega, tiene nelfrizer i 120mila promessi.e
controbatte il Guardian sul Trasimeno Festival(costo 8mila) agli
arianneschi Reed, il tecnologico di Obama e Bernstein delWatergate. Come
tutto si è gonfiato, tutto si sgonfia. Alla fine il Festival,anzi l’Ijf
(International Journalism Festival) resterà dove è nato. Glisponsor,
malgrado i loro problemi ed i loro lavoratori metteranno il
contantemancante. Restano i buoni, il giovane Cernicchi (“Verodispiacere.
Quasi dolore. Nottata insonne”), il sindaco Boccali, ilsottosegretario
Legnini. Cattivi Bracco e le istituzioni. Così due partiti deimedia Pd, in
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
tempi di comgresso, si fronteggiano in quel dell’Umbria:l’evento-filiale de
La Repubblica e la scuola-filiale Rai; qualche voltainsieme, qualche altra
contro; ci sono poi altre correnti, è ovvio, glialbergatori, la Pa, il tapis
roulant che tiene lontani gli immigrati dellastazione da Wladimiro e
Catiuscia, dai bei dibattiti introdotti da Potter: «Lacittà è nel bel mezzo di
una rivoluzione culturale. Proprio come ilgiornalismo». Tutti su “Il Filo di
Arianna”, l’agenzia di comunicazione srl,fondata dalla nostra, con tanto di
confusione con la più nota associazione peradozioni, e con le domande
fatidiche “Gli sponsor che sovvenzionano il noprofit contribuiranno con Iva
o senza?” Ed i 20 giornalisti, che tengono vivoil sito tutto l’anno, rientrano
nei 190 che fanno a gara per essere volontari?Chiedetelo ad Arianna,
ribelle del IJF, futura docente alla Scuola Rai. Semprea Perugia.
2013 Il voto vecchio dei giornalisti
Le elezioni dei giornalisti sono a metà guado. Il 19 ed il 20 maggio c’è
stata la prima scrematura. Chi ha superato il 51% è stato eletto. Per gli altri,
selezionati secondo un numero doppio rispetto alle poltrone contese, si va
al ballottaggio del 26 e 27 p.v.. Questo è il sistema elettorale previsto
dall’Ordine, anacrostico, defatigante e scoraggiante. Non si può votare on
line, bisogna indicare nome e cognome, ci si deve recare, anche nelle
grandi città, in un’unica sede. Per i padroni sindacali del corpo
professionale dei media, sicuramente – è stato detto tante volte – si tratta di
scoraggiare il voto. Risultato, al primo turno ottenuto: i competitori su
elenchi di decine di migliaia di elettori prendono centinaia di voti; vincono
e perdono per decine di preferenze. Sui 10mila pubblicisti nel Lazio, vanno
a votare in mille. La battaglia al Consiglio regionale del Lazio è solo tra
due liste: Autonomia e Responsabilità, Giornalisti Uniti, detta anche
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
ContrOrdine e la lista governativa Indipendenti per la Riforma Costruiamo
il futuro, che suona come il nome della Fondazione del ministro Lupi.
ContrOrdine ha piazzato tutti e 6 i suoi candidati con la prima votata Paola
Spadari dell’Ansa(voti 650), Silvia Resta de La7 (voti 629), Maria Lepri
della Rai (603), Marco Conti de Il Messaggero (577), Carlo Picozza de La
Repubblica (593), Mario Forenza di Rainews (527). Gli Indipendenti del
presidente dei giornalisti di Roma e Lazio Bruno Tucci (voti 598) e degli
attuali consiglieri Odg Lazio, come Filippo Anastasi (voti 476) e del
tesoriere Claudio Rizza (Il Messaggero, già all’ufficio stampa di Palazzo
Chigi, v.421) sono stati surclassati. Coinvolti nella debacle gli altri della
lista ( Sebastiano Messina de La Repubblica v.372, Marida Lombardo
Pijola de Il Messaggero v.319 e Francesca Romana Gigli della Rai v.272).
Stessa musica per il voto al Consiglio Nazionale. Tra gli Indipendenti, se
Tucci è arrivato quarto al regionale, il presidente nazionale Odg Enzo
Iacopino è arrivato addirittura solo sesto con v. 518, sotto quelli di
ContrOrdine (Carlo Bonini de La Repubblica v.682, Roberta Serdoz del
Tg3 v.623, Giannetto Baldi Ansa v.544, Chiara Longo Bifano 544
RadioRai, Guido D’Ubaldo Corriere dello sport v.533, Fabiola Paterniti
freelance v.531). Con gli altri (Maria Zegarelli de l’Unità v. 506, Cristina
Cosentino freelance v.502, Laura Trovellesi dell’ufficio Stampa Senato
v.489, Nadia Monetti della Rai v.484, Roberto Mastroianni 483, Pietro
Suber di Mediaset v.482, Sonia Oranges freelance v.480, Loris Gai506
della Rai v.472, Ester Palma del Corrierone v.452, Adalberto Baldini de
La7 v.447) in tutto i ContrOrdine sono 16 come lo sono gli Indipendenti
che ora contano di rifarsi al ballottaggio. (gli altri sono Pierluigi Roesler
Franz attuale consigliere v.475, Paolo Conti del Corrierone v.397,
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Alessandra Longo de La Repubblica v.305, Raffaella Cosentino free lance
v.292, Adriana Pannitteri Rai v.287, Monica Paternesi Ansa v.279,
Alessandro Banfi Mediaset v.258, Antonio De Florio Il Messaggero v.246,
Vincenzo Miglietta Radio IlSole24h242, Dania Mondini Rai v.241,
Emiliano Scalia Sky v.231, Giulio Cesare Valesini Ballarò v.220, Gianluca
Gizzi Rds v.217, Antonella Giuli exLiberal v.212, Maria Micaela Fagiolo
Popoli e missioni v.194). Se il voto non cambierà, ContrOrdine batte
Indipendenti 14 a 2. Sono invece rimasti fuori, a soglia 120 voti cadauno, i
candidati di Fnsi L’Alternativa che schieravano per il Lazio Michele
Arnese di Formiche.net, Barbara Li Donni di Mediaset, Luigi Monfredi del
Tg1, Pierangelo Maurizio di Tg5, Maria Serra dell’ufficio Stampa Cotral e
Massimo Signoretti Pensionato; e per il Nazionale, Stefano Campagna del
Tg1, l’auore del famoso libello contro Bianca Berlinguer. Con lui il
pensionato Lino Ceccarelli, Paolo Corsini del GRRai, Valter Delle Donne
de Il SecoloD’Italia, Tommaso Della Longa del CRI, Marco Ferrazzoli
dell’uff. stampa CNR, Patrizio Li Donni free lance, Alan Patrizio Patarga
del Tg5 e Michele Ruschioni di NoiRoma.it. Tutti poi si rivedrano ai primi
di giugno per l’elezione dell’assemblea CASAGIT, dove L’Alternativa
candiderà fra gli altri Maurizio Pizzuto di Cultural News e poi a novembre
per le elezioni di Stampa Romana. Come si vede non si smette mai di
votare. Contrordine ha messo lo zampino anche tra i pubblicisti, sostenendo
la Sfragasso (v.222), appoggiata anche da Stampa Romana, espressione
nell’OdG capitolino della Fnsi, il sindacato giornalisti. SR, reduce dalla
partecipazione allo scontro tra il presidente Tucci ed Eracito Corbi,
direttore de Il Corriere Laziale, ha oscillato tra sostenere la lista Albo
Unico di Russo e Pizzuto, i candidati Contrordine e gli uscenti come Coros
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
consigliere di SR (v.151). Dominatrice è stata però la lista dei Pubblicisti
Unitari Stampa Romana del capocomponente Gino Falleri, attuale
vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti laziale, presidente nazionale
Giornalisti Uffici Stampa e del Dipartimento Uffici Stampa Fnsi. Unico
eletto, tra pubblicisti e professionisti, al primo turno con la maggioranza
assoluta dei voti con 709 preferenze, l’85enne Falleri ha condotto la volata
per il regionale anche all’attuale consigliere Genco (v.358) ed al capo
stampa ispettorato generale corpo forestale Cazora (v.281), che dirige la
rivista Il Forestale, con in redazione Flavio Rosati e che punta a sostituire
l’attuale consigliere Franco Rosati, presidente Giornalisti Agricoli regionali
(Arga). 10 i consiglieri uscenti falleriani al ballottaggio: Rossi, Armati e
Corsetti, segretario, tesoriere e vicepresidente Angpi e Eapo
(rispettivamente v.423, 370 e 266), De Vincentiis free lance (v.331),
Esposito (298) e De Renzis (v.261), Nota Cerasi (249), Davoli (227)
Solinas (141) e la sarda Palmisano (245); più altre 4 new entries del patron
(Mattoni del CNR v.297, Scarsi free lance v.257, Naddeo dell’Autority
vigilanza contratti v.213 e Berlingeri uff. stampa Presidenza Consiglio 158.
In lizza per Albo Unico nel regionale la Palmieri, SaiTv (v.159) e nel
nazionale Molina(167), Panei (165), Maiella uff. stampa Inps (v.152),
Calaci (141), Carnevali (141), Di Felice (140) e Cannata Cgil(139). Se
Contrordine e Stampa Romana sono di sinistra, Indipendenti di centro con
tendenza morotea alla sinistra ed Alternativa, come SenzaBavaglio di
destra, il gruppo Falleri è ondivago. Nato nel 2010 all’interno del centrista
Rinnovamento, si è poi inserito in Autonomia. Le liste come Albo Unico,
di fronte a tanta liquidità, fanno fatica ad opporsi ad una gestione
plurudecennale. Possono puntare sulla freschezza di candidati nuovi, ma
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
non sulle idee. Falleri assomiglia tanto ai vecchi Dc che raccomandavano
prudenza (e che nel caso specifico sconsigliano ai pubblicisti di passare
professionisti), ma a sorpresa a votarlo trovi il tesorerie radicale De Lucia,
come il neo consigliere regionale Tortosa ( passato dai socialisti di destra a
Di Pietro ai socialisti di Nencini). Anche Stampa Romana lo supporta, in
nome forse dell’occupazione burocratica in coabitazione dei palazzi di
governo della stampa. Domenica, al voto si rinnova. O forse si invecchia.
2012 Resamanifesta
Il mondo prevede la fine della stampa cartacea per il 2017. Quest’anno
sono più di mille i giornalisti considerati in esubero mentre i fatturati,
sostenuti da più di un finanziamento pubblico tremano all’idea di scendere
sotto i 3 miliardi, dai 4,8 del 2004, con una perdita di 100 milioni l’anno.
La vendita dei quotidiani è di 4,7 milioni di copie, al livello anteguerra. Gli
accessori (libri, DVD, francobolli, modellini) dal miliardo sono scesi a 350
milioni. I 168 distributori locali del 2004 sono oggi un centinaio e le
edicole, cinquemila in meno, 30.500. La pubblicità va per il 60% in
televisione e solo per il 19% sulla stampa (10% ai periodici, 8,5 ai
quotidiani, 0,67% ai giornali free); a seguire il 4,8%, sul web, ca 200
milioni. La corazzata Rai, Tv di Stato, si è fatta superare dalla Google
nazionale nela raccolta pubblicitaria. Si pensi che per la Rai lavora,
direttamente o no, lo stesso numero di persone che in Google è la somma
dei dipendenti in tutto il mondo. Nella crisi le spese di lettura sono tra le
prime a crollare ed in un anno si sono persi tre quarti di milione di lettori in
un paese che già ha sempre letto poco. Agli italiani non piace la stampa
nostrana interessata dell’interfaccia partitica e mai degli acquirenti. Come i
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
politici sono sentiti
lontani, così i principali
editorialisti ed opinion
makers non rappresentano
che se stessi. Non a caso
ampie masse
maggioritarie di elettori
non hanno voci forti
editoriali a rappresentarli.
In Italia vale più
l’espressione di Ignacio
Ramonet "I giornalisti hanno perduto il monopolio dell’informazione e la
società ha accettato l’idea che ormai tutti sono giornalisti".Questo nel
nostro piccolo. Poi più in generale press, editoria ed altre forme di lettura
sono destinate ad essere voci del fatturato delle telecomunicazioni. Inutile
attendersi granchè dall’acquisto on line di libri o newspaper. La lettura on
line sui diversi portali può essere pagata solo da consumo o abbonamento
tlc mobile o fissa. Prima di accettare la ristrutturazione della catena
commerciale, passerà molto tempo, di cui l’adversiting on line approfitterà.
Non a caso negli Usa hanno chiuso 166 testate dal 2008. Nella grillina
Parma a fronte della chiusura di Parmanews24, "Sera di Parma" e “La
Cronaca”di Cremona e Piacenza, i 180mila parmensi godono del record di
19 siti di news sul web. L’area culturale antagonista comunista,
ampiamente sopravvalutata rispetto al suo consenso reale ed alla risacca
della storia, che l’avrebbe voluta morta e sepolta da più di 20 anni ha subito
più delle altre. Hanno chiuso Terra dei verdi, Liberazione, Il Riformista,
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
l’Avanti, City, free press Rcs, le
testate di Emergency (PeaceReporter
ed E-il mensile) con un positivo “Ci
arrendiamo al mercato”. Intanto
Celentano chiedeva la chiusura ope
legis de l’Avvenire. Per sopravvivere ad un mondo in cui il comunismo si è
fatto dirigismo economico, l’altra faccia bifronte fascista, raggiungendo i
migliori risultati capitalistici, la stampa rossa nostrana si è fatta
giustizialista. In questo contesto brilla l’anacronismo perfetto del dibattito
de Il Manifesto, soldato giapponese sopravvissuto a se stesso. Quotidiano
moribondo che malgrado le vendite in crollo, ha sempre puntato più in alto
con più costi, più copie, più inserti, più lussi, aiutato da manine insperate
(banche e vecchie solidarietà) di 4 milioni tra ‘06 e ’09. I 40 mila lettori del
‘90 si sono però ridotti agli odierni 15mila. Il giornale si è trovato con stop
delle attività e pratiche fallimentari già avviate. La “vera istituzione del
giornalismo italiano” si è ribellata. Qualcuno ha ricordato che nel ’70
Pintor
promise il
coinvolgimen
to dei lettori.
Detto solo
ieri,
insomma. I
lettori sul
territorio si
autotassano, vogliono diventare gli editori, ma la redazione non li capisce.
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
Noblesse oblige, il governo da destra storica in carica salva tutti: 36 tra
giornalisti e poligrafici, intoccati e 34 in cassa integrazione. Lo
psicodramma è però in atto. La redazione ammette “grandi sacrifici per
rispettare condizioni molto pesanti nella gestione corrente dei bilanci” (sic).
I circoli di Padova, di Pietrasanta, di Bologna e della Sardegna, rivendicano
il loro diritto di naturali “editori”, in linea con l’ideologia prefissata, con
lettere mandate on line “ per paura di non essere pubblicati. La redazione
rifiuta sia l’acquirente borghese illuminato: “questo mai”, che la reductio a
25 ed accusa come “nemici dei lavoratori” i circoli che chiedono
l’autoriduzione a 35 dipendenti. Tutti tirano per la giacchetta la Rossanda,
ragazza del secolo scorso, che si chiede “ma perché ero comunista?" e che
“pare abbia pessima opinione di “cos’è il Manifesto”. Cosa pensi Magri
non si sa, ha anticipato la sua creatura l’anno scorso, con il suicidio
assistito. Come Minerva ad Ulisse, Parlato parla ai circoli: “ho superato gli
80, Molto è cambiato. Breznev, il cambio nome del Pci, la lotta di classe
dei padroni, la patrimoniale la voleva anche Einaudi. Dovremo costituire
una nuova cooperativa… fare ricorso all'azionariato”). Nelle assemblee
scoppiano gli interessi contrapposti di redattori, collaboratori, lettori-
sotenitori, ovviamente tutti comunisti. Finisce in forse l’ipotesi “di
proprietà collettiva, unica evoluzione in linea con la sua storia”.
L’amministrazione controllata preme ma ferve il dibattito su “statuto,
regole rapporto proprietà e redazione nell'autonomia di quelli che ogni
giorno fanno il giornale.” Così dopo 40 anni muore il Manifesto fuori di
testa tra vecchi e lavoratori angosciati per il loro futuro. La colpa è
ovviamente degli operai che non lo comprano e dello Stato che non lo
mantiene. Nato nel ’69 come dazibao maoista contro il Pci in un dibattito
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
bordighista già decrepito allora, partito e giornale, il Manifesto aveva il
rispetto di tutti, degli intellettuali indipendenti, organici e quello ipocrita
degli altri. Avrebbero dovuto dirgli, come si fa alla vecchia che vuol fare la
sciantosa: basta, sei ridicola. Nel suo modo cinico il Pd l’ha fatto
appropriandosi al terzo trasloco, della sede di via Tomacelli de Il
Manifesto, destinata a Bersani e ed al tesoriere Misiani. Botteghe oscure è
in disuso, l'acquario del circo Massimo lasciato, Tritone e Botteghino in via
di abbandono. Il più del Pd che ha bisogno di 5mila mq resta in via
Sant’Andrea delle Fratte al Nazzareno, in affitto al fantasma Margherita.
C’è tutto il tempo perché anche al Manifesto restino solo ragnatele. “Ci
arrendiamo al mercato”
2011 Gadmentana
Mentana sta in un avallamento sulla via da Roma tra Tivoli e
Monterotondo. Il paese dove Garibaldi si scontrò con l’avanzata tecnologia
francese del suo tempo è come insaccato tra colline alle spalle e monti fra
cave di fronte. Anche l’Enrico un tempo detto macchinetta a La7 è come in
una valle, ben più tosta e assai più concava. Prima del suo TG c’è tutto un
giorno da dimenticare e subito dopo a raffica le dure roccie Gruber-
Bignardi o Gruber-Lehner. Appena arrivato, Mentana con fare spigliato
cercava il dialogo presentativo con la Lilly il cui programma seguiva al suo
TG, così da creare un caldo trait d’union, poi un po’ i silenzi gelati , un po’
osservazioni taglienti dirette l’hanno fatto desistere. La piccola belva
tedesca che “non fa niente per nasconderlo” l’ha addentato ad una gamba in
ascensore ed Enrico ha abbozzato. Ora giorno dopo giorno affronta una
lenta opera d’assorbimento che lo adatti del tutto all’ambiente, che lo
sbianchi e lo faccia trasparire dentro e lungo le strisce verdi blu ferrovie
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
dello stato che ha di consueto alle spalle. Nel luglio dell’anno scorso il suo
arrivo a La 7 è stato un po’ come quello di Rolando nell’Inter di qualche
anno fa. Al debutto al timone del Tg Mentana fece uno share del 7,3% con
ca 1,5 milioni di ascolti, un record per una rete che di solito sta sotto della
metà. Poi ha proseguito per116 sere consecutive, stabilizzandosi sui 2
milioni di ascolti. Arrivava dalla rottura del 9 febbraio 2009, avvenuta in
malo modo con l’ambiente considerato suo naturale, Mediaset e Canale 5,
dove aveva più che diretto creato il primo Tg nazionale non
Rai. Mentana non è però Baudo, Costanzo o Rossella; non è mercenario ora
in Rai ora in Mediaset. Dopo quel 2009 che seguiva già alla prima
defenestrazione del 2004 quando gli era stato tolto il TG per la direzione
editoriale, Mentana resta alla finestra. Quando rientra, molti si attendono il
dente avvelenato, l’attacco alle reti del cavaliere. Invece no, macchinetta,
nick dovuto alla velocità dell’eloquio,che giurano sia assai più rapido dal
vivo rispetto allo studio tv, resta se stesso, attento al paese reale
dell’antipolitica diffusa, ponderato, veritiero nel ritrarre vizi e virtù degli
uni e degli altri. Nel club La7 è un’affondo terribile che svela pochezza e
cortigianeria della faziosità strillata a diversi decibel da Lerner, Bignardi,
Piroso e Gruber. Anche solo pacate introduzioni ai temi di queste talk show
politici, finiscono per imbarazzare i piccati conduttori. Bisogna capirlo
Mentana. In un tempo lontanissimo fu partecipe, o meglio vicepresidente
della giovanile socialista e direttore del relativo organo ufficiale Giovane
Sinistra e come era naturale passò al canale Rai di riferimento, il secondo
ed al suo telegiornale ancora garibaldini e forieri di speranze coi loro pochi
anni. Milanese di prima generazione di famiglia immigrata Mentana ci
dava dentro d’impegno e d’acume. Poi grazie alla Maglie da vicedirettore
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
TG2 approdò più che alla direzione alla fondazione del neonato TG5: era
l’anno ’92 e qui le date pesano come macigni. Mentana in Rai avrebbe
potuto sopravvivere e senza neanche finire nei sottoscala come toccò a
Pirrotta. Avrebbe dovuto però uniformarsi allo stile dell’epoca. Oggi le
cotonature, le mise scollate, gli sguardi languidi delle nostre tele giornaliste
nel frattempo divenute telecommentatrici non devono trarre in inganno. Nei
primi anni ’90 in tuta stile hamas erano delle guerrigliere, tricoteuses
dell’epurazione soprattutto antisocialista. Mentana i cui ricci ricordavano
Martelli e lo sguardo diretto e un po’ bovino Rho e Tognoli era proprio un
tipico prodotto della Milano libertaria riformista. A Cologno finiva per
restare a casa sua. L’informazione della corazzata Mediaset l’ha costruì lui
in un ambiente che a sua volta lo formò indissolubilmente. E’vero che per
molti la vera informazione, la meno politica e per questo più politica di
tutte a canale 5, l’ha sempre fatta Striscia la Notizia. Il Tg di Mentana però
fin dall’evento della morte di Falcone superò la concorrenza Rai uscendo
del tutto dalle distinzioni lottizzatrici. Mentana non è né riesce ad essere un
fan del premier a cui in fondo offre un sostegno non fideistico basato
sull’imparzialità, secondo il percorso comune di milioni di laico
progressisti che da subito si sono schierati per il Cavaliere. Ad un certo
punto nell’incandescenza dello scontro, anche Berlusconi coi Tg ed i
giornali, incoraggiato da Feltri e Lega è passato alla lottizzazione piena, al
carrismo mediatico usuale per il centrosx da Telekabul ad oggi. In questo
Afghanistan inquisitorio è finita anche La7 che come Tv dell’incumbent
Internet sembrava rivolta ad altri lidi, già dal’impostazione bipartisan della
trasmissione post 11 settembre di Diario di Guerra condotto da Ferrara e
Lerner, poi divenuto Otto e mezzo. Messo di fronte al realismo degli
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
eventi, data la superiorità intellettuale dell’elefantino, Lerner se la diede per
creare una tv inquisitoria in cui l’ex abituè Agnelli e Torino bene, l’ex
fallito stroncatore della Lega, poi gran adulatore di Tronchetti, celebra un
suo processo in genere, costituito da mille contro uno del centrodx preso a
capro espiatorio. Pochi però riescono a dire la propria, perché le domande
di Lerner sono j’accuse, in cui sempre più il giornalista si diverte a
trasformarsi in un ebreo errante, vittima simbolo cui dunque tutto è
concesso. Come fare una trasmissione tutta a sostegno Pisapia senza
intrralci, esattamente come fece Santoro per Vendola. Dietlinde Gruber,
proveniente da un paesino tedesco, già cronista per il DC Adige, sostenuta
da Vespa e Ghirelli in Rai contro i quali capeggiò la rivolta del Tg1
redazionale, invece secondo Pansa e Grasso adotta “metodo del due contro
uno. Per vincere, la Gruber assieme all’anti-Cavaliere di turno, colpisce il
terzo ospite, di centrodx.” Come per Santoro l’esperienza in politica è stata
un disastro, come il libro sull’Irak che è tra i più economici all’autogrill.
Invece nelle lotte redazionali è eccezionale. Così appena arrivata si è
liberata del partner Guiglia. D’altronde bisogna piacere al vertice Telecom
ed a quello de La7, cioè a Stella, fratello del giornalista moralizzatore de La
Casta. Ovviamente i due fratelli sono partecipi della casta al massimo
grado, il primo come vip manager, il secondo come giornalista, E’ il
metodo Celli che consiste nel denunciare esattamente le cose che si fanno.
La7 è uno strano essere; non è mai stato chiaro come arrivò da Cecchi Gori
che diceva di non essere stato pagato, a Colannino. D’altronde a
quest’ultimo dx e sx hanno fato a gara a quasi regalare aziende primarie.
Colannino e Tronchetti pensavano comunque di convergere servizi Internet
e Tv, prospettiva inevitabile ma finora procrastinata. Con Bernabè la7 si è
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
collocata nell’tifoseria mediatica ed ha scelto il partito ex Ulivo; poi poiché
il prodismo è evaporato, è divenuta una Rai3 più aristocratica, coi risultati
drammatici che avevano fatto pensare ad una sua vendita Mentana il
salvatore le ha ridato respiro. Purtroppo però nel suo avallamento ed a sua
insaputa anche Mentana sta divenendo un ebreo errante, lui che ancor più
laico
del
poco
religios
o Gad.
La
posa, la
giacca,
il
capello
lo
stanno
trasfor
mando
in un
Gad
Mentan
a. Se
non
potrà
far
Renzaurazione
Giuseppe Mele 2014
passare un po’ d’aria fresca, la7 tornerà ai suoi standard imprigionandoci
anche l’Enrico il cui unico cedimento al berlusconismo è la moglie più alta
di lui