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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna www.koreuropa.eu I LICENZIAMENTI COLLETTIVI DOPO LA RIFORMA 2012 ALLA LUCE DELLA DIRETTIVA N.98/59/CE Andrea Sitzia Ricercatore di Diritto del Lavoro nell’Università di Padova ABSTRACT: La legge n. 92 del 2012 ha apportato alcune modifiche alla disciplina dei licenziamenti collettivi, consistenti in una serie di cambiamenti alla procedura prescritta dalla legge n. 223 del 1991. Questa riforma riveste una portata rilevante in termini sia pratici che di sistema. Essa, infatti, da un lato, si colloca all’interno di un’ importante revisione degli ammortizzatori sociali, con abolizione, seppure non immediata, dell’indennità di mobilità, dall’altro interviene su due profili, oggetto di massimo interesse da parte del legislatore comunitario e molto significativi della regolazione: quello della correttezza dello svolgimento della procedura di informazione e consultazione e quello, strettamente complementare al primo, delle conseguenze sanzionatorie in caso di vizi della medesima P AROLE CHIAVE: Lavoro; Licenziamenti collettivi; Riforma 2012; Obblighi di consultazione 1. L’intervento del legislatore nella materia dei licenziamenti collettivi: profili generali La legge n. 92 dell’estate 2012, attraverso i commi da 44 a 46 dell’art. 1, ha apportato alcune modifiche alla disciplina dei licenziamenti collettivi, consistenti in una serie di ritocchi alla procedura prescritta dalla legge n. 223 del 1991. In particolare, la riforma ha inciso sui seguenti profili: 1) con riferimento alla fase iniziale della procedura di informazione e consultazione si consente ora espressamente la “sanatoria” di eventuali vizi della comunicazione di apertura della procedura medesima (art. 1, co. 45, che incide sull’art. 4, co. 12, della legge n. 223 del 1991); 2) con riferimento alla fase finale della procedura viene modificato il termine per l’effettuazione della comunicazione degli elementi prescritti dall’art. 4, co. 9 della legge n. 223 ai soggetti ivi previsti, assegnando ora un termine (non più contestuale) di 7 giorni dalla comunicazione dei licenziamenti (art. 1, co. 44, che incide appunto sul co. 9 dell’art. 4 della legge n. 223);

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La legge n. 92 del 2012 ha apportato alcune modifiche alla disciplina dei licenziamenti collettivi, consistenti in una serie di cambiamenti alla procedura prescritta dalla legge n. 223 del 1991. Questa riforma riveste una portata rilevante in termini sia pratici che di sistema. Essa, infatti, da un lato, si colloca all’interno di un’ importante revisione degli ammortizzatori sociali, con abolizione, seppure non immediata, dell’indennità di mobilità, dall’altro interviene su due profili, oggetto di massimo interesse da parte del legislatore comunitario e molto significativi della regolazione: quello della correttezza dello svolgimento della procedura di informazione e consultazione e quello, strettamente complementare al primo, delle conseguenze sanzionatorie in caso di vizi della medesima

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I LICENZIAMENTI COLLETTIVI DOPO LA

RIFORMA 2012 ALLA LUCE DELLA DIRETTIVA

N.98/59/CE

Andrea Sitzia Ricercatore di Diritto del Lavoro nell’Università di Padova

ABSTRACT: La legge n. 92 del 2012 ha apportato alcune modifiche alla disciplina dei licenziamenti collettivi,

consistenti in una serie di cambiamenti alla procedura prescritta dalla legge n. 223 del 1991.

Questa riforma riveste una portata rilevante in termini sia pratici che di sistema. Essa, infatti, da un lato, si

colloca all’interno di un’ importante revisione degli ammortizzatori sociali, con abolizione, seppure non

immediata, dell’indennità di mobilità, dall’altro interviene su due profili, oggetto di massimo interesse da parte

del legislatore comunitario e molto significativi della regolazione: quello della correttezza dello svolgimento

della procedura di informazione e consultazione e quello, strettamente complementare al primo, delle

conseguenze sanzionatorie in caso di vizi della medesima

PAROLE CHIAVE: Lavoro; Licenziamenti collettivi; Riforma 2012; Obblighi di consultazione

1. L’intervento del legislatore nella materia dei licenziamenti collettivi:

profili generali

La legge n. 92 dell’estate 2012, attraverso i commi da 44 a 46 dell’art. 1, ha apportato

alcune modifiche alla disciplina dei licenziamenti collettivi, consistenti in una serie di ritocchi

alla procedura prescritta dalla legge n. 223 del 1991.

In particolare, la riforma ha inciso sui seguenti profili:

1) con riferimento alla fase iniziale della procedura di informazione e consultazione si

consente ora espressamente la “sanatoria” di eventuali vizi della comunicazione di apertura

della procedura medesima (art. 1, co. 45, che incide sull’art. 4, co. 12, della legge n. 223 del

1991);

2) con riferimento alla fase finale della procedura viene modificato il termine per

l’effettuazione della comunicazione degli elementi prescritti dall’art. 4, co. 9 della legge n.

223 ai soggetti ivi previsti, assegnando ora un termine (non più contestuale) di 7 giorni dalla

comunicazione dei licenziamenti (art. 1, co. 44, che incide appunto sul co. 9 dell’art. 4 della

legge n. 223);

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3) con riferimento alla disciplina sanzionatoria in caso di licenziamenti collettivi

illegittimi viene riscritto l’art. 5, co. 3, della legge n. 223, raccordandone la regolazione alla

riforma dell’art. 18 St. lav.;

4) si prescrive l’applicazione del doppio termine di impugnazione del licenziamento

previsto dal testo, anch’esso novellato, dell’art. 6 della legge n. 604 del 1996 (art. 1, co. 46).

Nel loro complesso, queste correzioni di disciplina sono state giudicate per lo più1

“modeste”, ma a ben guardare, quale che sia la valutazione di impatto legislativo2, questa

parte della riforma riveste comunque una portata rilevante in termini sia pratici che di sistema.

Infatti, da un lato, si colloca all’interno di una profonda revisione degli ammortizzatori

sociali, con abolizione, seppure non immediata, dell’indennità di mobilità3, dall’altro

* Questo saggio è destinato al volume curato da CESTER, I licenziamenti dopo la legge n. 92 del 2012, di

prossima pubblicazione. 1Si veda al riguardo, in particolare, la valutazione del disegno di legge data da ICHINO in

http://it.paperblog.com/pietro-ichino-valuta-il-disegno-di-legge-sul-lavoro-1016855/ ove l’A. assegna un

punteggio di 4 su 10 in termini di valutazione circa la coerenza dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo

(espressamente posto dal legislatore) del superamento del dualismo tra lavoratori protetti e non protetti nella

direzione della c.d. flexsecurity; diversamente, lo stesso A., ritiene che la modifica potrà avere un “peso pratico”

significativo (in questo caso il voto assegnato è pari ad 8 su 10). Si veda, analogamente, MARAZZA, L’art. 18,

nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in Arg. dir. lav., 2012, 3, I, pp. 612 ss., qui pp. 634 ss. In senso

radicalmente difforme evidenzia un «gravissimo peggioramento della disciplina» ALLEVA, Punti critici della

riforma del mercato del lavoro, in http://www.paneacqua.info/2012/04/punti-critici-della-riforma-del-mercato-

del-lavoro/. 2 In letteratura esistono alcuni studi che ricercano le implicazioni che i costi del licenziamento possono avere

sulla produttività, sulle dinamiche occupazionali e sulle scelte delle imprese di rimanere o meno all’interno del

mercato; in particolare, la dottrina economica ha analizzato se la presenza o meno dell’art. 18 possa essere causa

di un minore o maggiore sviluppo dimensionale dell’impresa. Per un’analisi in chiave economica relativa all’art.

18 (nel testo antecedente la riforma dell’estate 2012) cfr. SCHIVARDI, TORRINI, Identifying the effects of firing

restrictions through size contingent differencies in regulation, in Labour Economics, 2008, 15, pp. 482 ss.; si

veda altresì KUGLER, PICA, Effects of employment protection on worker and job fows: Evidence from 1990

reform, in Labour Economics, 2008, 15, pp. 78 ss., i quali, nell’esaminare la propensione di crescita, hanno posto

l’accento sulla variazione del comportamento delle imprese dopo la riforma del 1990. I risultati cui giungono gli

studi citati sembrano sottolineare che la propensione di crescita attorno al limite dimensionale diminuisce solo

del 2% e che anche in assenza del limite posto dall’art. 18 St. Lav. la struttura delle imprese italiane non

subirebbe un cambiamento sostanziale. 3 Per un’analisi critica delle ricadute della riforma dell’indennità di mobilità sulle procedure di licenziamento

collettivo cfr. FERRARO, Ammortizzatori sociali e licenziamenti collettivi nella riforma del mercato del lavoro, in

Mass. giur. lav., 2012, pp. 494 ss.; analogamente cfr.. SCARPELLI, I licenziamenti collettivi per riduzione di

personale, in FEZZI, SCARPELLI (a cura di), Guida alla riforma Fornero, 2012, in http://www.wikilabour.it, p. 92;

PELLACANI, Le modifiche alla disciplina dei licenziamenti collettivi, in PELLACANI (a cura di), Riforma del

lavoro, Milano,, 2012, pp. 267 ss., qui pp. 277s.; più in generale, sulla riforma degli ammortizzatori sociali di cui

alla seconda parte della legge n. 92 del 2012 cfr. VALLEBONA, La Riforma del Lavoro 2012, Torino, 2012 nonché

CINELLI, Gli ammortizzatori sociali nel disegno di riforma del mercato del lavoro, 2012, in

http://csdle.lex.unict.it/docs/generic/Il-dibattito-sulla-riforma-italiana-del-mercato-del-lavoro-/3206.aspx;

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interviene (per lo meno con riferimento alle modifiche apportate dai commi 45 e 46 dell’art.

1, sopra enumerate come prima e terza) su due profili, oggetto di massima attenzione da parte

del legislatore comunitario, molto significativi della regolazione: quello della correttezza dello

svolgimento della procedura di informazione e consultazione e quello, intimamente

complementare al primo, delle conseguenze sanzionatorie in caso di vizi della medesima.

Ragioni sistematiche inducono a ritenere preferibile anteporre all’analisi della riforma

del diritto nazionale una ricostruzione sintetica (e limitata ai profili rilevanti ai fini

dell’interpretazione delle norme interne oggetto dell’intervento legislativo) del parametro

comunitario di riferimento.

2. Il paradigma comunitario di riferimento: gli obblighi di informazione e

consultazione nella direttiva n. 98/59/CE

La direttiva n. 98/59/CE sui licenziamenti collettivi ha introdotto, come noto, una serie

di vincoli procedimentali all’esercizio dei poteri imprenditoriali4. Tali vincoli sono funzionali

alla predisposizione di un apparato di diritti di informazione e consultazione, a favore dei

SANDULLI, Il sistema pensionistico tra una manovra e l’altra. Prime osservazioni sulla legge n. 214 del 2011, in

Riv. dir. sic. soc., 2012, pp. 1 ss. Per una condivisibile critica all’impianto generale dell’intervento normativo in

materia di licenziamenti collettivi si veda FERRANTE, Modifiche nella disciplina dei licenziamenti collettivi, in

MAGNANI, TIRABOSCHI (a cura di), La nuova riforma del lavoro, in Le nuove leggi civili, Milano,, 2012, pp. 271

ss., il quale lamenta la totale assenza, nella novella, di un serio irrobustimento delle politiche attive di lavoro. 4 Al fondo della direttiva sui licenziamenti collettivi, così come delle direttive sui trasferimenti d’impresa (n.

77/187/CEE, modificata dalla dir. N. 98/50/CE e poi sostituita dalla direttiva n. 2001/23/CE), sui Comitati

Aziendali Europei (n. 94/45/CE, abrogata e sostituita dalla dir. n. 2009/38/CE) e di quella che istituisce un

quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori (n. 2002/14/CE), si pone

l’intendimento del legislatore comunitario di porre le premesse per una presenza sindacale non solo rivendicativa

ma anche propositiva; per un’analisi in questo senso cfr. ZOLI, La tutela delle posizioni strumentali del

lavoratore, Milano, , 1988, p. 78. Più di recente si veda LAULOM, Le cadre communautaire de la représentation

des travailleurs dans l’entreprise, in LAULOM (a cura di), Recomposition des systèmes de représentation des

salariés en Europe, Publications de l’Université de Saint-Étienne, 2005, p. 47; LO FARO, Le Direttive in materia

di crisi e ristrutturazioni di impresa, in SCIARRA, CARUSO (a cura di), Il lavoro subordinato, in Trattato di diritto

privato dell’Unione Europea dir. da AJANI e BENACCHIO, Torino, 2009, pp. 398 ss. Più in generale, in ordine al

tema della procedimentalizzazione dei poteri datoriali, si veda SUPPIEJ, CESTER, Rapporto di lavoro, voce del

Digesto, IV ed., Discipline priv., Sez. Comm., XII, Torino, 1996; con riferimento al licenziamento collettivo cfr.,

tra i tanti, TOPO, I licenziamenti collettivi, in CARINCI, PIZZOFERRATO (a cura di), Diritto del lavoro nell’Unione

europea, in Diritto del lavoro, Commentario dir. da CARINCI, Milano, Utet, 2010, pp. 714 ss.; PILATI, Le sanzioni

nei licenziamenti collettivi, in CARINCI (a cura di), Il lavoro subordinato, in BESSONE (dir. da), Trattato di diritto

privato, Torino, 2007, tomo III (a cura di S. MAINARDI), pp. 485 ss.; DE LUCA TAMAJO, BIANCHI D’URSO,

Licenziamenti individuali e collettivi nella giurisprudenza della Cassazione, Milano, 2006; SANTUCCI, I

licenziamenti collettivi tra questioni interpretative e nuove regole, Milano, Giuffré, 2005; TOPO, I poteri

dell’imprenditore nelle riduzioni di personale, Padova, 1996.

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rappresentanti dei lavoratori in azienda5, la cui attivazione è obbligatoria, per il datore di

lavoro, nell’imminenza di eventi, quali appunto il licenziamento collettivo, che possono

comportare mutamenti definitivi dei rapporti di lavoro.

3. L’oggetto e il fine della procedura di consultazione

L’art. 2 della direttiva 98/59 individua lo scopo e il contenuto minimo della

consultazione che il datore di lavoro deve avviare, «in tempo utile»6, ove preveda di effettuare

licenziamenti collettivi.

Lo scopo della consultazione è quello di «giungere ad un accordo» (art. 2.1) ed il suo

oggetto deve essere quello di esaminare «le possibilità di evitare o ridurre i licenziamenti

collettivi, nonché di attenuarne le conseguenze ricorrendo a misure sociali di

accompagnamento intese in particolare a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei

lavoratori licenziati» (art. 2.2).

La direttiva introduce un vero e proprio «obbligo a trattare del datore di lavoro che,

partendo dai motivi addotti per “giustificare” i licenziamenti programmati, coinvolge sia la

ricerca di soluzioni, in tutto o in parte, alternative alla espulsione dei lavoratori eccedenti, sia

la predisposizione di misure atte a contenerne gli effetti sul piano sociale così come su quello

5 La cui definizione/identificazione viene demandata, ai sensi dell’art. 1.1, lett. b) della direttiva, alla normativa o

alla prassi in vigore negli Stati membri. La scelta di non intervenire nell’individuazione dei rappresentanti dei

lavoratori è una costante nel diritto dell’Unione Europea ed è funzionale, come evidenzia ampia parte della

dottrina, ad evitare di introdurre determinazioni eteronome in un settore così delicato e sensibile, in cui difetta

una prassi comune fra i diversi Stati membri (si veda, per una ricostruzione comparativa aggiornata a livello

europeo, Eurofound, Industrial Relations and Working Conditions Developments in Europe 2010, Publications

Office of the European Union, Luxembourg, 2011, consultabile alla pagina Web

http://www.eurofound.europa.eu/pubdocs/2011/50/en/1/EF1150EN.pdf). Per un’efficace sintesi di queste

problematiche cfr. ROCCELLA, TREU, Diritto comunitario del lavoro, V ed., Padova, Cedam, 2009, spec. pp. 425

ss. ed ivi ampli riferimenti bibliografici; LO FARO, Le Direttive in materia di crisi e ristrutturazioni di impresa,

cit., p. 399; CARABELLI, La gestione delle eccedenze di personale in Europa. Gli Studi-Paese a confronti: il

quadro giuridico, Documenti CNEL, Roma, 1995, p. 35. Per una critica all’approccio comunitario sul punto, cfr.

HEPPLE, Community measures for the protection of workers against dismissal, in Common Market Law Review,

1977, p. 491.

6 Si noti che il diritto all’informazione “in tempo utile” è stato inserito tra i diritti fondamentali sanciti dalla

Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea firmata a Nizza nel 2000 e adattata a Lisbona nel 2007. In

ordine all’interpretazione del vincolo del “tempo utile” la Corte di Giustizia si è pronunciata indirettamente nel

Caso Junk del 2005 (Corte giust., 27 gennaio 2005, causa C-188/03, Irmtraud Junk c. Wolfang Kühnel, in Foro

It., 2005, IV, col. 186 ss., con nota di R. COSIO, Il licenziamento collettivo nel diritto europeo: le precisazioni

della Corte di giustizia), con una sentenza relativa all’interpretazione della nozione di licenziamento la cui

validità è condizionata dal previo espletamento delle procedure previste dalla direttiva.

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individuale dei singoli lavoratori coinvolti (programmi di riqualificazione e riconversione)»7.

Sul datore di lavoro, più in particolare, grava l’obbligo di fornire ai rappresentanti dei

lavoratori «tutte le informazioni utili»8 affinché questi possano formulare «proposte

costruttive» (art. 2.3).

La tutela del lavoratore, in questo modo, si gioca sul piano del controllo e della

partecipazione delle rappresentanze sindacali dei lavoratori, atteso che la garanzia, per i

lavoratori, consiste nella possibilità (reale ed effettiva) attribuita ai loro rappresentanti di

conoscere, discutere e negoziare le motivazioni, le modalità ed i contenuti della decisione

aziendale di espellere, per ragioni tecnico-organizzative e produttive, parte dei dipendenti.

4. Il problema del rapporto tra procedura di consultazione e autonomia

delle scelte datoriali

L’art. 2.3, lett. b.i), come si è detto, impone al datore di lavoro di indicare per iscritto le

ragioni del progetto di licenziamento. Questo aspetto è di massima rilevanza, in quanto pone

il problema di capire se la direttiva intenda o no porre dei limiti alla libera determinazione

delle scelte datoriali.

A questo proposito è costante in dottrina l’affermazione secondo la quale la procedura

di consultazione non incide sull’an delle scelte datoriali ma è rivolta a valutarne e, ove

possibile, attenuarne, le conseguenze sul piano sociale e occupazionale. In altri termini, si

ritiene che la direttiva non ponga alcun limite alla libera determinazione

datoriale/imprenditoriale.

Questa conclusione viene dedotta dal fatto che la direttiva fornisce una definizione “a-

causale”9 di licenziamento collettivo, donde «qualsiasi decisione economico-organizzativa

7 Così GAROFALO, CHIECO, Licenziamenti collettivi e diritto europeo, in AA.VV., I licenziamenti per riduzione di

personale in Europa, Bari, 2001, p. 21. 8 La direttiva indica espressamente l’oggetto delle informazioni che il datore di lavoro deve fornire in forma

scritta ai rappresentanti dei lavoratori «nel corso delle consultazioni». In particolare, si tratta dei motivi del

progetto di licenziamento, del numero e delle categorie dei lavoratori eccedenti e di quelli abitualmente

impegnati, il periodo entro il quale si prevede di effettuare i licenziamenti e i criteri di scelta dei lavoratori, ove

questi siano per legge o per prassi nazionali determinati dal datore di lavoro, e infine il metodo per il calcolo di

eventuali indennità di licenziamento diverse da quelle previste dalla legislazione o dalla prassi nazionale. 9 L’art. 1.1, lett. a) della direttiva 98/59/CE definisce il campo di applicazione della medesima attraverso un

duplice criterio quantitativo e qualitativo. Sotto il profilo qualitativo, ai sensi e per gli effetti della direttiva, per

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dell’impresa legittima l’adozione di atti di risoluzione dei rapporti di lavoro»10. Detto questo,

occorre comunque evidenziare che di a-causalità può parlarsi «soltanto nel senso che qualsiasi

motivo non personale è idoneo a giustificare il licenziamento collettivo, non anche nel senso

di escludere la necessità di una verifica della veridicità ed effettività dei motivi giustificativi»;

«in altre parole al legislatore comunitario non interessa quali siano i motivi non personali che

inducono il datore di lavoro al licenziamento collettivo, ma interessa che essi esistano

effettivamente»11

. La direttiva, in sostanza, imponendo al datore di lavoro di comunicare ai

rappresentanti dei lavoratori (ed all’autorità pubblica competente) le ragioni del progettato

licenziamento, conferisce in qualche misura un rilievo al profilo causale dei recessi, nella

misura in cui il datore di lavoro è comunque chiamato a «certificare la non sussistenza di

motivi personali attraverso la dichiarazione della sussistenza di motivi non personali»12

.

Questo implica due conseguenze massimamente rilevanti, delle quali si dovrà tenere

conto nell’interpretazione della riforma effettuata dal legislatore italiano.

In primo luogo occorre chiedersi quale sia la conseguenza nel caso in cui, a monte del

licenziamento dichiarato “collettivo”, si pongano ragioni di carattere soggettivo. Qualora,

invero, le ragioni del recesso non siano inerenti alla persona del lavoratore, la direttiva

impone (in presenza dei prescritti, concorrenti, requisiti di tipo quantitativo) l’attivazione

della procedura di consultazione, che, diversamente, non è obbligatoria, con la conseguenza

che i recessi seguiranno le regole previste dagli ordinamenti nazionali per i licenziamenti

individuali.

Un eventuale ampliamento, da parte degli ordinamenti interni, del campo di

applicazione delle regole in materia di licenziamento collettivo, peraltro, è sì consentito, ma a

condizione che possa considerarsi come un trattamento “più favorevole per i lavoratori” (art.

5 della direttiva). La valutazione del carattere migliorativo o peggiorativo di una tale

operazione normativa dipende da una complessa operazione di confronto tra il livello di

licenziamento collettivo si intende ogni licenziamento effettuato da un datore di lavoro per uno o più motivi non

inerenti alla persona del lavoratore. 10 Così GAROFALO, CHIECO, Licenziamenti collettivi e diritto europeo, cit., p. 10. 11 Così CARABELLI, Relazione di sintesi sul tema «I licenziamenti collettivi», in Atti delle Giornate di Studio

dell’AIDLASS, Baia delle Zagare 25-26 giugno 2001 su «Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro», Milano,

Giuffré, 2002, p. 331. 12 CARABELLI, Relazione di sintesi, cit., p. 331.

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protezione riconosciuto (dall’ordinamento interno) al licenziamento individuale rispetto a

quello riconosciuto al licenziamento collettivo13.

La seconda implicazione di quanto sopra rilevato è che la nozione comunitaria di

licenziamento collettivo presuppone (e autorizza) comunque una verifica delle ragioni

produttive e organizzative14 nel senso che l’esplicitazione delle stesse non solo «consente di

visualizzare con chiarezza il rapporto di corrispondenza e, in ultima analisi, di congruità tra

situazione dell’impresa, scelte dimensionali e tipologie dei rapporti di lavoro coinvolti nel

licenziamento progettato, ma ha anche un effetto di “autolimitazione” preliminare e, in certa

misura, essenziale per tutto lo svolgimento della procedura. Dichiarando i motivi e le altre

coordinate quantitative e qualitative del progetto di licenziamento, il datore di lavoro tipizza

(tra tutte quelle ascrivibili all’esercizio della libertà d’impresa) le rationes e gli effetti delle

proprie scelte dimensionali oggetto del confronto con i rappresentanti dei lavoratori, oltre che

dell’intervento dell’autorità pubblica competente. Sicché, ben può dirsi che la veridicità e la

completezza delle informazioni fornite costituiscono altrettanti requisiti formali del corretto

adempimento dell’obbligo datoriale di consultazione dei rappresentanti dei lavoratori, con la

conseguenza che ove non siano pienamente rispettati il meccanismo partecipativo risulterà

falsato e violato, facendo scattare le conseguenze sanzionatorie dell’art. 6»15.

Gli Autori citati ritengono che i requisiti di veridicità e completezza delle informazioni

fornite costituiscano requisiti “formali” dell’adempimento. Sul punto ci si permette di

distaccarsi parzialmente in quanto, per le ragioni sopra specificate, i requisiti predetti si ritiene

che assumano un carattere sostanziale.

13 Sul punto cfr. GAROFALO, CHIECO, Licenziamenti collettivi e diritto europeo, cit., p. 33 s., i quali mettono in

luce molto opportunamente che il confronto evidenziato nel testo presenta difficoltà estremamente significative

anche in considerazione delle profonde “diversità strutturali” che solitamente caratterizzano i due sistemi

normativi (il sistema di regolazione dei licenziamenti collettivi tende ad essere proiettato verso gli effetti sociali

e verso la valenza collettiva dei licenziamenti espressione della libertà d’impresa del datore di lavoro, mentre le

regole relative ai licenziamenti individuali sono solitamente racchiuse nella dimensione del rapporto individuale

di lavoro con conseguente verifica della giustificatezza dei licenziamenti stessi). 14 Questa verifica, peraltro, nella prospettiva comunitaria, è funzionale alla sola necessità di applicare le

procedure di informazione e consultazione, e non al controllo di legittimità dei licenziamenti sul piano della loro

giustificatezza; sul punto cfr. R. DEL PUNTA, I licenziamenti per riduzione di personale: un primo bilancio

giurisprudenziale, in Lav. Dir., 1993, p. 143. 15 Così GAROFALO, CHIECO, Licenziamenti collettivi e diritto europeo, cit., p. 24.

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5. Il meccanismo sanzionatorio previsto dalla direttiva

La procedura di consultazione non deve essere considerata dall’imprenditore quale

vuota formalità, ma deve essere presa sul serio. La Corte di Giustizia, nel 1994, con due

importanti sentenze16 a conclusione di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione

nei confronti del Regno Unito per non corretta trasposizione delle direttive in materia di

licenziamenti collettivi e trasferimento d’impresa, ebbe ad affermare che «qualora una

disciplina comunitaria non contenga una specifica norma sanzionatoria di una violazione delle

sue disposizioni o rinvii in merito alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative

nazionali, l’art. 5 del Trattato impone agli Stati membri di adottare tutte le misure atte a

garantire la portata e l’efficacia del diritto comunitario. A tal fine, pur conservando un potere

discrezionale quanto alla scelta delle sanzioni, essi devono vegliare a che le violazioni del

diritto comunitario siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in termini

analoghi a quelli previsti per le violazioni del diritto interno simili per natura ed importanza e

che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere di effettività, di

proporzionalità e di capacità dissuasiva»17.

L’art. 6 della direttiva 98/59 prevede che «gli Stati membri provvedono affinché i

rappresentanti dei lavoratori e/o i lavoratori dispongano di procedure amministrative e/o

giurisdizionali per far rispettare gli obblighi previsti dalla presente direttiva»18.

La direttiva n. 98/59 ha fissato, dunque, in caso di licenziamenti collettivi, una serie di

vincoli di tipo procedurale senza vincolare, sotto il profilo sostanziale, le scelte

16 Corte giust., 8 giugno 1994, causa C-383/92, Commissione c. Regno Unito e Corte giust., 8 giugno 1994,

causa C-382/92, Commissione c. Regno Unito. Per un commento si veda in particolare LORD WEDDEBURN OF

CHARTON, Il diritto inglese davanti alla Corte di giustizia. Un frammento, in Dir. rel. ind., 1994, 4, pp. 691 ss. e

LYON-CAEN, Il Regno Unito: allievo indisciplinato o ribelle indomabile, ivi, 1994, 4, pp. 679 ss. 17 Così il punto 40 della sentenza resa nella causa C-383/92, in tutto e per tutto analoga alla seconda. 18 Questa formulazione è risultata in seguito al non accoglimento della proposta della Commissione, che faceva

invece riferimento esplicito «all’annullamento dei licenziamenti collettivi, indipendentemente dalla esperibilità

di altre procedure». Cfr. al riguardo l’art. 5-bis della proposta modificata di direttiva del 31 marzo 1992, in

GUCE n. C 117/10 dell’8 maggio 1992. Il Comitato economico e sociale ebbe a rilevare, sul punto, che in

determinate circostanze non appariva adeguata la sanzione dell’annullamento e auspicava metodi diversi o

aggiuntivi per assicurare l’applicazione della direttiva.

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dell’imprenditore, che rimane libero di procedere ai licenziamenti19 e più in generale, di

organizzare la propria attività economica nel modo che ritiene più opportuno20.

6. Sulla natura individuale o collettiva dei diritti di informazione e

consultazione

L’ultimo aspetto su cui è necessario soffermarsi con riferimento alla disciplina

comunitaria richiede di verificare se il diritto all’informazione e consultazione è destinato ai

rappresentanti dei lavoratori o ai lavoratori considerati individualmente. Dall’impianto

letterale della direttiva emerge la prima soluzione (si vedano, in senso difficilmente

equivocabile, il decimo considerando e gli artt. 1.1, 2 e 39).

La natura collettiva del diritto all’informazione e consultazione deriva anche da una

interpretazione teleologica della direttiva, di recente chiaramente affermata dalla Corte di

Giustizia. L’informazione e la consultazione, invero, sono volte a consentire, da un lato la

presentazione di proposte costruttive in merito almeno alla possibilità di evitare o ridurre i

licenziamenti collettivi e di attenuarne le conseguenze nonché, dall’altro, la presentazione di

eventuali osservazioni all’Autorità pubblica competente; i rappresentanti dei lavoratori si

trovano quindi nelle condizioni più favorevoli al perseguimento dello scopo stabilito dalla

direttiva. La Corte di Giustizia ha chiarito che il diritto all’informazione e alla consultazione

va esercitato tramite i rappresentanti dei lavoratori21, atteso che il diritto è concepito a

vantaggio dei lavoratori intesi come collettività e presenta, pertanto, natura collettiva.

19 Corte giust., 7 settembre 2006, cause riunite da C-187/05 a C-190/05, punto 35. 20 Così Corte giust., 7 dicembre 1995, causa C-449/93, Rockfon c. Specialarbejderforbundet i Danmark, acting

on behalf of Søren Nielsen et alii, punto 21. Diversamente, parte minoritaria della dottrina ritiene che l’art. 6

della direttiva, se pure non prescrive espressamente le sanzioni prefigurate dalla proposta di direttiva, richiede

pur sempre sanzioni effettive. Richiamando le sentenze del 1994 questa dottrina afferma che la norma

sembrerebbe «evocare sanzioni di tipo reintegratorio piuttosto che meramente risarcitorio. Invero, poiché i

vincoli procedimentali introdotti dalla direttiva devono poter operare prima dell’attuazione delle “libere” scelte

dimensionali dell’impresa, sembra ragionevole ritenere che l’obbligo di assicurarne il rispetto (ex art. 6) possa

risolversi nell’imporre agli stati membri l’introduzione di meccanismi sanzionatori idonei a rimuovere i

licenziamenti collettivi intimati in violazione dei diritti di informazione e consultazione dei rappresentanti dei

lavoratori ovvero senza il corretto svolgimento della fase amministrativa di confronto» (in questo senso

GAROFALO, CHIECO, op. cit., p. 35). 21 Corte giust., 16 luglio 209, causa C-12/2008, Mono Car Styling SA c. Odemis et aa., in Giur. it., 2010, pp.

1338 ss., con nota di BRIZZI, Procedure di informazione e consultazione del personale in caso di licenziamenti

collettivi: l’interpretazione della Corte di giustizia, nonché in Dir. rel. ind., 2009, 4, pp. 1157 ss., con nota di

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7. La Riforma della legge n. 223 del 1991: la possibile “sanatoria” dei vizi

della comunicazione di apertura della procedura

Si è anticipato che l’art. 1, co. 45, della legge n. 92 del 2012 ha integrato l’art. 4, comma

12, della legge n. 223 del 1991, attribuendo ad un, non meglio identificato22, «accordo

sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo» lo specifico potere

di sanare gli eventuali vizi della comunicazione di apertura della procedura.

Questa modifica intende disattivare la “trappola procedurale”23 costituita

dall’interpretazione più rigida dell’art. 4, commi 2 e 3, della legge n. 223 del 1991, secondo

cui l’omissione della comunicazione contenente l’indicazione dei motivi dell’eccedenza, e di

tutti gli altri elementi prescritti dal co. 3 dell’art. 4, non può dirsi sanata dall’accordo

sindacale comprensivo dell’individuazione dei lavoratori da licenziare24, con conseguente

riconoscimento della sanzione, azionabile anche da parte dei singoli lavoratori25,

dell’inefficacia della procedura.

COSIO, Procedure di informazione e consultazione in caso di licenziamento collettivo; sul tema cfr. anche COSIO,

I licenziamenti collettivi, in FOGLIA, COSIO (a cura di), Il diritto del lavoro nell’Unione Europea, Milano, 2011,

pp. 281 ss.; in precedenza si veda, analogamente, Corte giust., 18 gennaio 2007, causa C-385/2005,

Confédération générale du travail et a. e Corte giust., 8 giugno 1994, causa C-383/92, Commissione c. Regno

Unito. 22 La legge non chiarisce alcunché in ordine ai caratteri che l’accordo sindacale deve avere per poter dispiegare il

previsto effetto “sanante”. Una lettura complessiva dell’art. 4 della legge n. 223 del 1991 (anche inseguito alla

novella legislativa) non sembra consentire altra interpretazione se non quella per cui l’accordo in parola debba

essere quello, gestionale, già previsto e disciplinato dalla norma medesima. In questo senso ANGIELLO,

Licenziamenti collettivi, in CARINCI, MISCIONE (a cura di), Commentario alla Riforma Fornero, in Dir. prat. lav.,

2012, Suppl. al n. 33, p. 86. 23 Così la definisce ICHINO, in http://it.paperblog.com/pietro-ichino-valuta-il-disegno-di-legge-sul-lavoro-

1016855, cit. Per un approccio critico nei confronti dell’intervento legislativo sul punto cfr. SCARPELLI, I

licenziamenti collettivi per riduzione di personale, cit., p. 96. 24 Cfr. al riguardo Cass., 18 luglio 2001, n. 9743 nella motivazione della quale si evidenzia che le comunicazioni

prescritte dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991 servono a consentire alle rappresentanze sindacali una

partecipazione con efficacia adeguata al ruolo loro assegnato nell’ambito di una vicenda dalla quale esce mutata

la stessa struttura dell’azienda (cfr., analogamente, Cass., 6 aprile 2012, n. 5582, in FI, 2012, I, col. 1734; Cass.,

16 settembre 2011, n. 18943, in LG, 2012, 4, pp. 367 ss., con nota di GALLOTTI, CUSMAI, Obbligo di correttezza

e trasparenza nella comunicazione dei motivi di apertura di mobilità; Cass., 2 marzo 2009, n. 5034, in Riv. it.

dir. lav., 2009, 3, II, pp. 768 ss., con nota di MARINELLI, La Corte di Cassazione e l’obbligo di comunicazione

nella procedura di mobilità; Cass., 9 settembre 2003, n. 13196, in Riv. giur. lav., 2004, II, pp. 752 ss.). Per una

critica all’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato si veda, da ultimo, MAZZOTTA, voce Licenziamento

collettivo, in Enc. Dir. annali, Vol. V, Milano, 2012, pp. 778 ss. 25 La legittimazione del lavoratore licenziato ad agire in giudizio per far valere omissioni o inesattezze delle

informazioni rese alle rappresentanze sindacali è stata riconosciuta più volte dalla giurisprudenza di legittimità;

si veda di recente Cass., 21 settembre 2011, n. 19233 in Foro it., 2011, I, col. 2963 ss. Sul tema, in dottrina, si

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Ampia parte della giurisprudenza, peraltro, già nel regime normativo precedente alla

riforma dell’estate 2012, ammetteva un temperamento, ritenendo che sufficienza e

adeguatezza della comunicazione di avvio della procedura andassero valutate in relazione alla

finalità di corretta informazione delle rappresentanze sindacali, con la conseguenza che il

raggiungimento in concreto di un accordo gestionale rilevasse per valutare la completezza

della comunicazione iniziale26

.

Nella citata prospettiva giurisprudenziale non si tratta propriamente di una “sanatoria”

dei vizi della procedura, ma dell’attribuzione di rilevanza interpretativa al successivo accordo.

Si ritiene, in sostanza, che il giudice debba verificare comunque l’adeguatezza dell’originaria

comunicazione di avvio della procedura, non potendo escludersi che questa possa risultare

non di meno insufficiente ove il sindacato non sia stato posto in condizione di partecipare alla

trattativa con piena consapevolezza di ogni rilevante dato fattuale per l’obiettiva insufficienza

o reticenza di tale comunicazione27.

Il testo dell’art. 1, comma 45, della legge di riforma risolve il problema solo

parzialmente. La norma invero, se pure riconosce espressamente all’accordo sindacale la

possibilità di sanare eventuali vizi della comunicazione di avvio della procedura28, non

veda FOGLIA, Diritto di informazione e consultazione nella procedura di licenziamento collettivo, in Arg. dir.

lav., 2005, 1, pp. 169 ss.; critico VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, cit., p. 66. 26 Cass., 11 gennaio 2008, n. 528, in Guida Dir., 2008, 7, p. 22 ss., con nota di TATARELLI, Le carenze di apertura

della procedura sono sanate con un accordo sindacale; Cass., 8 novembre 2007, n. 23275, in Riv. it. dir. lav.,

2007, II, pp. 432 ss., con nota di GALARDI, Sull’obbligo di comunicazione nei licenziamenti collettivi; Cass., 11

luglio 2007, n. 15479; Cass., 2 agosto 2004, n. 14721, in Riv. it. dir. lav., 2004, II, pp. 475 ss., con nota di SITZIA,

Licenziamento collettivo, cassa integrazione guadagni e vizi procedurali: un significativo contrasto fra sentenze

di cassazione; Cass., 5 giugno 2003, n. 9015, in Riv. it. dir. lav., 2004, II, pp. 105 ss., con nota di BONI,

Licenziamenti collettivi e oneri procedurali: verso una svolta giurisprudenziale?; Cass., 20 novembre 1996, n.

10817, in Riv. it. dir. lav., 1997, II, pp. 625 ss., con nota di MARINO, Procedure di consultazione sindacale nei

licenziamenti collettivi e omissione delle formalità previste dalla legge. Sulla questione si veda FOGLIA, Diritto

di informazione e consultazione nella procedura di licenziamento collettivo, cit., p. 171 ss.; ANGIELLO, La

violazione degli obblighi di comunicazione nel licenziamento collettivo, in Lav. giur., 2004, pp. 1121 ss.; ICHINO,

Il contratto di lavoro, vol. III, Tratt. CM, Milano, Giuffré, 2003, pp. 543 ss.; MONTUSCHI, Procedure e forme:

comunicare è bello?, in Arg. dir. lav., 2000, pp. 651 ss.; MARINO, Sulla violazione dell’obbligo di

«comunicazione» in caso di licenziamento per riduzione del personale, in Giust. civ., 1999, II, pp. 2477 ss.;

ZOLI, La procedura di licenziamento collettivo e il sistema delle fonti nel diritto del lavoro, in AA.VV., I

licenziamenti collettivi, in Quad. dir. lav. rel. ind., 1997, pp. 310 ss. 27 Cass., 11 luglio 2007, n. 15479, cit. 28 In dottrina è stato sottolineato che la norma che attribuisce all’accordo gestionale forza “sananate” è

certamente espressione di un “rafforzamento” dell’accordo sindacale in sede di procedura per licenziamento

collettivo, ma deve leggersi come iscritta nell’ambito dell’obiettivo di flessibilizzazione perseguito dal

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chiarisce se ai fini dell’efficacia sanante basta il mero fatto della stipula di un accordo

gestionale (ex art. 5 della l. n. 223 del 1991), oppure se è, invece, necessaria, in linea con la

giurisprudenza sopra richiamata, un’esplicita manifestazione della prevista “sanatoria”,

consapevolmente espressa dalle rappresentanze sindacali.

La soluzione della questione richiede di tener conto del sistema comunitario di

riferimento in materia di diritti di informazione e (seria, trasparente ed effettiva) consultazione

dei lavoratori nel caso di licenziamento collettivo, sistema che, in ragione di quanto

evidenziato sopra al riguardo, non consente che siano sanate le carenze o reticenze

informative più rilevanti, mentre certamente consente una integrazione di informazioni

inizialmente carenti, nel corso della procedura.

Per ragioni di coerenza con il modello comunitario, dunque, si può ritenere che la norma

nazionale riformata debba interpretarsi nel senso che la stipulazione di un accordo sindacale29

non ha tuttora, di per sé, efficacia sanante30: la norma, invero, attribuisce alle parti31 la

“possibilità” di stipulare uno specifico accordo “di sanatoria” dei vizi di cui abbiano avuto

consapevolezza e che intendono espressamente superare32. Del resto, l’attribuzione di un

legislatore. In questo senso si veda CESTER, Licenziamenti: la metamorfosi della tutela reale, in CARINCI,

MISCIONE (a cura di), Commentario alla Riforma Fornero, in Dir. prat. lav., 2012, Suppl. al n. 33, pp. 547 ss. 29 Si ricorda, incidentalmente, che la novella incentiva la stipula dell’accordo sindacale anche attraverso la

previsione di un contributo addizionale a carico del datore di lavoro nel caso in cui l’accordo non venga

raggiunto. Nello specifico, in tutti i casi di recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato (dal 1° gennaio

2013) il datore di lavoro è tenuto a versare all’INPS una somma pari al 50% del trattamento mensile dell’Aspi

per ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni. Questo contributo non è dovuto, fino al 31

dicembre 2016, nei casi in cui sia dovuto il contributo di cui all’art. 5, co. 4, della legge n. 223 del 1991. Dal

2017, in caso di licenziamenti collettivi senza accordo sindacale, il contributo di licenziamento sarà moltiplicato

per 3 (cfr. art. 2, commi 31, 33 e 35 della legge n. 92 del 2012). Si veda in proposito, PELLACANI, Le modifiche

alla disciplina dei licenziamenti collettivi,cit., p. 269. 30 Efficacia sanante che può riguardare solo i vizi relativi al contenuto della comunicazione (completezza,

specificità, termini) e non altri vizi che riguardino l’espletamento e la conclusione della procedura. 31 I soggetti, cioè, di cui al comma 2 dell’art. 4 della legge n. 223 del 1991 (cfr. sul punto CARINCI, Complimenti,

dottor Frankenstein: il disegno di legge governativo in materia di riforma del mercato del lavoro, Relazione

tenuta al Convegno “La Riforma del mercato del lavoro”, 13 aprile 2012, Roma, Facoltà di Giurisprudenza,

Università Roma Tre, reperibile in http://csdle.lex.unict.it/docs/generic/Il-dibattito-sulla-riforma-italiana-del-

mercato-del-lavoro-/3206.aspx). 32 L’affermazione di cui al testo è supportata anche da un argomento letterale atteso che la legge specifica che i

vizi sono sanati non dall’accordo purchessia, ma “nell’ambito di un accordo”, il che lascia ritenere che la

sanatoria può operare solamente nel caso in cui i dati non comunicati nella dichiarazione di apertura della

procedura vengano comunicati e discussi nel corso dell’esame congiunto e l’accordo sia conseguentemente

raggiunto nella piena consapevolezza anche di detti dati. In questo senso CESTER, Il progetto di riforma della

disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, in Arg. dir. lav., 2012, 3, I, pp. 547 ss., qui p. 582; analogamente

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“potere” alle parti lascia intendere che la sottoscrizione dell’accordo collettivo non abbia di

per sé efficacia sanante33.

Resta da chiedersi se l’accordo in parola debba necessariamente essere un accordo

specifico, diverso e separato rispetto all’accordo di chiusura della procedura, oppure se possa

essere incluso nell’ambito di quest’ultimo. Un’interpretazione, anche letterale, della norma

dovrebbe consentire di ritenere potenzialmente ammissibili entrambe le soluzioni atteso che il

legislatore richiede soltanto che l’accordo sia concluso “nel corso” della procedura (e quindi

non successivamente ad essa)34.

8. (Segue). La Riforma della legge n. 223 del 1991: la nuova disciplina

sanzionatoria per il caso di licenziamento collettivo illegittimo

Il co. 46 dell’art. 1 della riforma dell’estate 2012 concerne la materia sanzionatoria. La

novella può essere schematizzata come segue:

1) ove il licenziamento collettivo sia intimato senza l’osservanza della forma scritta, si

applica il regime sanzionatorio di cui all’art. 18, co. 1, St. lav. come riformato;

2) in caso di violazione delle procedure richiamate all’art. 4, co. 12, della legge n. 223

del 1991, si applica il regime di cui al terzo periodo del settimo comma del predetto art. 18;

3) in caso di violazione dei criteri di scelta si applica il regime reintegratorio di cui al

quarto comma del medesimo art. 18.

Al fondo dell’intervento del legislatore può leggersi l’obiettivo di realizzare un

riavvicinamento delle diverse fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo

(individuale e collettivo)35, con il conseguente abbandono del precedente regime

MARESCA, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’art. 18 Statuto dei

Lavoratori, in Riv. it. dir. lav., 2012, 2, I, pp. 452 ss.; VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, cit., p. 66;

TATARELLI, Il licenziamento individuale e collettivo, IV ed., Padova, 2012, p. 460; ANGIELLO, Licenziamenti

collettivi, cit., p. 85. 33 Cfr., per una valutazione critica della norma sul punto, FERRANTE, Modifiche nella disciplina dei

licenziamenti collettivi, cit., p. 279. 34 Si veda, sul punto, ANGIELLO, Licenziamenti collettivi, cit., p. 86 il quale, condivisibilmente, ammette che

l’accordo con efficacia sanante possa essere incluso nell’accordo conclusivo della fase di consultazione. 35 Secondo Cass., 7 novembre 1998, n. 11251 (in Riv. crit. dir. lav., 1999, pp. 82 ss., con nota di MUGGIA) «il

discrimine tra il licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo e il licenziamento per

riduzione di personale dipende unicamente dall’elemento numerico e non invece dalla diversa tipologia delle

ragioni dell’impresa». La giurisprudenza di legittimità, peraltro, pare essersi definitivamente assestata nel senso

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sanzionatorio unitario per il licenziamento collettivo, che viene ora raccordato con la

articolata disciplina prevista per i licenziamenti individuali36.

Il riallineamento, però, non è totale in quanto, mentre con riferimento alla violazione

della prescrizione della forma scritta per il licenziamento individuale e collettivo è prevista la

medesima sanzione dell’inefficacia, assistita dalla tutela reale piena di cui al primo comma

del nuovo art. 18 St. lav., le conseguenze per il caso di sussistenza degli altri vizi sono

diversificate.

Nel caso di violazione della procedura sindacale la sanzione (che in passato era quella

della tutela reale) è ora quella indennitaria forte (da 12 a 24 mensilità) del comma 5 dell’art.

18, cioè il terzo livello di tutela, mentre, nel licenziamento individuale per motivo oggettivo,

la violazione della nuova procedura preventiva, da svolgersi avanti la Direzione Territoriale

del Lavoro, comporta la tutela indennitaria debole del comma 6 (da 6 a 12 mensilità, una

tutela indennitaria dunque dimidiata rispetto a quella operante per il licenziamento collettivo).

Il maggior “costo” della violazione procedimentale nel licenziamento collettivo esprime

una valutazione del legislatore in termini di maggiore gravità, stante, in questo caso, la diversa

funzione della procedura. Una tale diversa graduazione delle tutele dovrebbe consentire una

tenuta della riforma in termini di legittimità costituzionale, considerato che la tutela reale non

può dirsi imposta né dalla Costituzione37

, né (per le ragioni viste al superiore § 2.3 di questo

capitolo) dal diritto comunitario, che impone esclusivamente una sanzione efficace, quale

verosimilmente può dirsi quella introdotta dalla novella.

di riconoscere al licenziamento collettivo la natura di istituto autonomo (cfr. Cass., 22 novembre 2011, n. 24566,

in Riv. it. dir. lav., 2012, II, pp. 618 ss., con nota di CALAFÀ, Sul definitivo assestamento della nozione di

licenziamento collettivo). Sul tema, amplius, prima della riforma, GAROFALO, Eccedenze di personale e conflitto:

profili giuridici, in Dir. lav. rel. ind., 1990, pp. 235 ss.; MAGRINI, Licenziamenti individuali e collettivi:

separatezza e convergenza delle tutele, ivi, 1990, pp. 313 ss.; con riferimento alla novella FERRANTE, Modifiche

nella disciplina dei licenziamenti collettivi, cit., pp. 272 ss. 36 In dottrina l’operazione legislativa è stata criticata in ragione del fatto che alle violazioni di tipo formale viene

attribuito rilievo superiore rispetto a quelle di tipo sostanziale. In questo senso PAPALEONI, Prime considerazioni

critiche sul progetto di riforma del mercato del lavoro: “Mons tremuit, etmus parietur”, 2012, in

http://csdle.lex.unict.it/docs/generic/Il-dibattito-sulla-riforma-italiana-del-mercato-del-lavoro-/3206.aspx.

Critiche sono espresse anche da SCARPELLI, I licenziamenti collettivi per riduzione di personale, cit., p. 97. 37 In questo senso VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, cit., p. 68; altra dottrina ha evidenziato che «a fronte

dei licenziamenti c.d. economici, individuali o collettivi, la reintegrazione – che non sia consensuale – non ha

molto senso» (così GHERA, Il ruolo dei giuristi e la riforma dei licenziamenti, in

http://www.pietroichino.it/?p=22113&print=1).

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Non solo. Il sistema normativo italiano, per la verità, continua a consentire una tutela (di

fatto) “reale” per il caso di violazione della procedura di informazione e consultazione, ma

questa tutela risulta oggi di prerogativa esclusiva delle Organizzazioni sindacali tramite lo

strumento di cui all’art. 28 St. lav.38: ciò in quanto la revisione operata dalla novella riguarda

solamente le tutele azionabili dai singoli lavoratori e non l’art. 28 St. lav., che resta immutato.

Questo effetto della riforma, se certamente rappresenta una netta inversione di tendenza

rispetto al passato, non sembra porsi in contrasto con la sistematica del diritto comunitario,

atteso che, per le ragioni sopra evidenziate (cfr. § 2.4 di questo capitolo), la giurisprudenza

comunitaria ha affermato la natura collettiva dei diritti di informazione e consultazione39.

Fermo quanto sopra, restano da esaminare due ulteriori, rilevanti, profili.

Il regime sanzionatorio di cui si è detto viene definito dal legislatore attraverso il rinvio

al “terzo periodo” del settimo comma dell’art. 18 St. lav., che a sua volta rinvia al comma 5.

Un simile “giro di parole” (il significato etimologico del termine periodo è, appunto, girare

intorno), se pure consente di ritenere chiaramente individuata la sanzione indennitaria forte

del comma 540, non sembra essere il semplice effetto di una imprecisione lessicale/strutturale

dell’impianto normativo. In dottrina, invero, è stato evidenziato che «sorge il sospetto che

questa complicazione letterale nasconda in realtà l’intento di escludere che anche la totale

omissione della procedura – un vizio che, come dire, comporterebbe la totale inconsistenza

del licenziamento collettivo come tale – possa in qualche modo determinare l’applicazione

della tutela reintegratoria»41.

Il problema si pone in quanto il richiamo del solo terzo periodo del settimo comma può

essere letto nel senso di esprimere la volontà di escludere dal rinvio la restante porzione del

medesimo comma 7. Se così fosse, il sistema acquisterebbe questo significato:

38 Nel testo si parla di tutela sostanzialmente “reale” per riferirsi all’ordine di rimozione degli effetti che può (e

continuerà a poter) essere disposto dal giudice ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 28 St. lav.; in questo senso

anche SCARPELLI, I licenziamenti collettivi per riduzione di personale, cit., p. 98; FERRANTE, Modifiche nella

disciplina dei licenziamenti collettivi, cit., p. 282, il quale, nel concordare in ordine alla sopravvivenza del

sistema reintegratorio consentito all’azione collettiva, manifesta qualche perplessità sul piano della coerenza

concettuale del sistema normativo così come risulta dal mancato coordinamento delle due, diverse, tutele. 39 Cfr. Corte Giust., 16 luglio 2009, Mono Car, cit. 40 Cfr. MARAZZA, L’art. 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, cit., p. 634. 41 Così CESTER, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, cit., p. 584.

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a) la violazione della procedura non dovrebbe permettere al lavoratore licenziato (al di

fuori dell’ipotesi della violazione dei criteri di scelta) di chiedere ed ottenere la reintegra nel

posto di lavoro, nemmeno, sembrerebbe, per il caso in cui il giudice dovesse accertare che il

fatto posto a base del licenziamento non sussiste (parrebbe trattarsi dell’ipotesi di non

effettività della riduzione o trasformazione di attività o lavoro che determina la situazione di

eccedenza, da comunicare alle rappresentanze sindacali).

La possibilità di chiedere ed ottenere la caducazione del licenziamento in caso di

violazione della procedura diventa (o meglio resta), per i motivi già evidenziati, prerogativa

esclusiva delle Organizzazioni Sindacali ex art. 28 St. lav.;

b) il giudice del lavoro non sembrerebbe essere abilitato neppure, nel caso di

licenziamento collettivo, ad accertare il carattere disciplinare o discriminatorio del

licenziamento.

In relazione al primo profilo l’effetto sopra sottolineato sembra essere in linea con il già

rilevato intendimento del legislatore di fare salvo il principio di insindacabilità delle scelte

organizzative del datore di lavoro, consentendo a quest’ultimo la possibilità di realizzare

comunque la scelta riduttiva, confinando l’operatività della tutela reintegratoria reale di cui al

novellato comma 4 (azionabile dai lavoratori), solamente al caso della violazione dei criteri di

scelta. In relazione a quest’ultimo profilo (attinente alla violazione dei criteri di scelta), parte

della dottrina42 ha evidenziato che la grande discrezionalità valutativa rimessa al giudice in

materia di criteri di scelta sposterà su questo piano le incertezze operative oggi gravanti sul

datore di lavoro in relazione ai vizi di carattere formale43. La, condivisibile, notazione circa il

rischio di contenzioso sui criteri di scelta, impone di rilevare che un’efficace meccanismo di

disinnesco della criticità posta in evidenza si rinviene nella nuova disciplina sulla revoca del

42 ANGIELLO, Licenziamenti collettivi, cit., p. 89, il quale ritiene che, si affermerà, verosimilmente, la prassi di far

seguire alla procedura di mobilità una conciliazione individuale con i singoli lavoratori licenziati. 43 Analogamente, nel senso indicato nel testo, FERRARO, Ammortizzatori sociali e licenziamenti collettivi nella

riforma del mercato del lavoro, cit. In senso contrario, esprime un giudizio positivo con riferimento a questa

disposizione della novella SCARPELLI, I licenziamenti collettivi per riduzione di personale, cit., p. 98.

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licenziamento, ammessa dal co. 10 dell’art. 18 St. lav., il cui tenore letterale non sembra

consentire di escluderne l’applicazione ai licenziamenti collettivi44.

Diverso problema si pone invece con riferimento al secondo profilo posto in evidenza,

concernente il mancato richiamo del sistema sanzionatorio generale di cui al nuovo art. 18 St.

lav. nel caso della (accertata) sussistenza di ragioni disciplinari o discriminatorie del

licenziamento intimato. L’interpretazione letterale della norma (che sembra dunque stabilire

una inibizione del richiamato potere al giudice), rischia di provocare una scopertura del

sistema normativo capace di porre il nostro ordinamento in contrasto con i principi generali

costituzionali e comunitari, sia per l’evidente disparità di trattamento che si verrebbe a

determinare, sia per la violazione dei diritti fondamentali in caso di licenziamento

discriminatorio e violazione dei principi di cui all’art. 13 del Trattato dell’Unione Europea,

dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e della direttiva n. 2000/78/CE.

Inoltre, l’intenzione, che appunto sembra emergere dalla novella, di operare una

scissione del licenziamento collettivo rispetto alla sua struttura causale tipica (caratterizzata,

nel sistema comunitario, dall’assenza nel recesso di ragioni soggettive) sembra porre

concretamente la questione sopra anticipata al § 2.3 di questo capitolo, anche in termini di

coerenza dell’ordinamento rispetto all’art. 5 della direttiva di riferimento.

Posto quanto sopra, si tratta di capire quale regime sanzionatorio debba essere applicato

dal giudice nel caso in cui quest’ultimo accerti la natura disciplinare o discriminatoria del

licenziamento qualificato come collettivo dal datore di lavoro. La lettera della legge può

condurre a due diverse soluzioni.

In una prima prospettiva, valorizzando la ricostruzione proposta da autorevole dottrina,

secondo cui le previsioni dei periodi finali dei commi 6 e 7 dell’art. 18 St. lav. sono parziali e

superflue45, il problema potrebbe agevolmente essere risolto stante l’autonoma rilevanza dei

diversi vizi, sempre, gradatamente azionabili, dal lavoratore ricorrente.

44 Sulla revoca del licenziamento si vedano, in questo volume, i contributi di CORSO e di BARRACO. Resta inteso,

evidentemente, che, per quanto concerne la materia dei licenziamenti collettivi, la revoca è da ritenersi ammessa

esclusivamente con riferimento ai singoli licenziamenti individuali intimati a conclusione della procedura. 45 Così VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, cit., pp. 56 ss.; analogamente ANGIELLO, Licenziamenti

collettivi, cit., p. 88, il quale ammette che il lavoratore possa sempre chiedere al giudice, anche in caso di vizio

formale, una pronuncia sulla sostanza.

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Diversamente, qualora si ritenesse di valorizzare la lettera e la (apparente) volontà del

legislatore risultante dal nuovo comma 3 dell’art. 5 della legge n. 223 del 1991 (che sembra

escludere, per i motivi sopra specificati) la possibilità di farsi applicazione dei commi da 1 a 4

dell’art. 18 St. lav.), dovrebbe potersi ammettere una residua operatività, nel caso in parola,

della sanzione della nullità di diritto comune.

9. (Segue). La Riforma della legge n. 223 del 1991: il termine per

l’effettuazione delle comunicazioni finali e l’applicazione del termine di

impugnazione di cui al novellato art. 6 della legge n. 604 del 1996 (rinvio)

La novella dell’estate 2012 ha apportato due ulteriori ritocchi alla disciplina dei

licenziamenti collettivi.

Primo. Viene istituito un termine di 7 giorni, sostitutivo dell’originaria previsione di

contestualità ex art. 4, co. 9, della legge n. 223 del 1991, per la comunicazione finale della

procedura, contenente l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità con l’indicazione, per

ciascun soggetto, del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di

inquadramento, dell’età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle

modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’art. 5, co. 1, della legge n.

223 del 1991. Detto termine di 7 giorni decorre dall’intimazione dei licenziamenti. La

formulazione normativa pone un problema operativo in quanto non si comprende da quale

licenziamento il termine debba correre nel caso in cui i licenziamenti non avvengano in

un’unica soluzione. In dottrina si ritiene che la norma vada interpretata attribuendo rilievo al

primo licenziamento46.

Questa modifica normativa intende superare definitivamente la lettura meramente

cronologica della “contestualità” fatta propria da ampia parte della giurisprudenza47.

46 In questo senso cfr. TATARELLI, Il licenziamento individuale e collettivo, cit., p. 460. 47 In giurisprudenza veniva riconosciuta l’illegittimità dei licenziamenti nel caso di un intervallo di pochi giorni

tra l’intimazione e la successiva comunicazione finale. In questo senso si vedano, fra le tante, Cass., 1° dicembre

2010, n. 24341, in Foro It., 2011, I, col. 1135; Cass., 28 gennaio 2009, n. 2166, in Mass. giur. lav., 2009 pp. 465

ss.; Cass., 23 gennaio 2009, n. 1722; diversamente Cass., 8 marzo 2006, n. 4970 aveva ritenuto che la norma,

non specificando la misura cronologica della contestualità fra le comunicazioni, non esigesse che le

comunicazioni avvenissero nello stesso giorno.

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La regola della contestualità, peraltro, come evidenziato in dottrina, non costituiva il

mero portato di una imposizione burocratica ma serviva a «cristallizzare, in un reciproco

confronto, criteri di scelta dei licenziandi e scelte concrete, così da non lasciare troppo spazio,

dopo la comunicazione dei licenziamenti, per un adattamento dei criteri a misura di scelte già

compiute»48.

Secondo. L’ultima modifica attiene ai termini per l’impugnazione (stragiudiziale e

giudiziale) del licenziamento collettivo, che sono stati ricondotti interamente al sistema

vigente (anch’esso novellato) per il licenziamento individuale, con superamento della

precedente regola sul termine per l’impugnazione stragiudiziale, contenuta nell’art. 5, co. 3,

della legge n. 223 del 1991, che era pur sempre analoga a quella operante per il licenziamento

individuale.

48 Così CESTER, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, cit., p. 584, il quale in

ogni caso rileva che la novella, sul punto, è coerente con lo spirito generale della riforma. La maggior parte della

dottrina si è comunque espressa in senso favorevole alla riforma di cui al testo. Si veda al riguardo VALLEBONA,

La riforma del lavoro 2012, cit., pp. 67 s. nonché ANGIELLO, Licenziamenti collettivi, cit., p. 85.