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ISTITU TO D IISTR U ZIO NE SUPERIO RE LU IG IEIN AU D I M AG EN TA (M I) In viaggio d’istruzione con B IB B IA ED U C ATIO NAL percom prendere IL VA N G ELO DELLA SAG RADA FAM ILIA CLASSE 3^A PRO GRAMMATORI Prof.M ariolina Stoppa B arcellona 3-7 M arzo 2009

Progetto Sagrada Familia

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Sagrada Familia

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Page 1: Progetto Sagrada Familia

ISTITUTO DI ISTRUZIONE SUPERIORELUIGI EINAUDI MAGENTA (MI)

In viaggio d’istruzione con BIBBIA EDUCATIONAL per comprendere

IL VANGELO DELLA SAGRADA FAMILIA

CLASSE 3^A PROGRAMMATORI

Prof. Mariolina Stoppa

Barcellona 3-7 Marzo 2009

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Antoni Gaudí

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Gaudì: il più grande architetto in pietra del secolo XX, lo definì Le Corbusier.

L’unico architetto che in età moderna abbia dedicato la propria vita a un’impresa non più tentata da secoli: l’edificazione di una cattedrale, dedicata alla Sagrada Familia, costruita solo ed esclusivamente con le offerte “de los pobres”. E che morì, povero come loro, all’ospedale della Santa Croce, dopo tre giorni di agonia. Era stato investito da un tram, la linea 30, mentre percorreva la via che conduceva dal cantiere della “sua” chiesa al piccolo oratorio di San Filippo Neri, alle spalle della cattedrale gotica, dove lo aspettava il quotidiano colloquio col padre spirituale. Al suo funerale, migliaia di cittadini salutarono il feretro per le vie di Barcellona.

Nella cappella di quel piccolo oratorio, il pittore Llimona era stato incaricato qualche anno prima di rappresentare san Filippo Neri mentre celebra l’eucaristia e benedice i bambini. Il volto del santo non è altri che quello del vecchio Gaudí, con la barba bianca, e un azzurro acceso negli occhi.

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A quel tempo, Gaudí era certamente l’architetto più in voga nella Barcellona ambiziosa e avanguardista di inizio secolo.

Ma Gaudí, a partire dal 1910, rinunciò ad ogni altro incarico per dedicarsi esclusivamente all’edificazione della Sagrada Familia.

Una chiesa che non avrebbe potuto finire, che avrebbe dovuto lasciare in mani altrui, per un Cliente importante e paziente: «Mi cliente no tiene prisa», non ha fretta, ripeteva spesso.

Un’impresa che dura ancora, dal lontano 1883, anno in cui il giovane Gaudí rilevò il progetto dell’architetto Villar e assunse la direzione dei lavori.

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Nel 1915, quando i fondi per la costruzione della chiesa scarseggiavano, Gaudí arrivò a chiedere l’elemosina tra i ricchi borghesi di Barcellona per continuare l’opera. Stendendo la mano tra le strade e le case della città che lo aveva reso famoso, chiedeva «un centesimo, per amore di Dio».

Fiorirono così gli aneddoti e le leggende su un uomo che aveva rinunciato al denaro e alla fama, per un’impresa che molti giudicavano improba. Ma per lui non era così: «Nella Sagrada Famiglia» disse «tutto è frutto della Provvidenza, inclusa la mia partecipazione come architetto». E, per tagliar corto, aggiungeva: «Questo tempio verrà finito da san Giuseppe».

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Facciata della Natività

Gaudí volle cominciare con la facciata dedicata all’Incarnazione, perché i misteri dell’infanzia di Gesù sono quelli che parlano più direttamente al cuore del popolo.

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L’immagine rappresenta la Natività, che Gaudì definisce “Carità”. La massima carità di Dio verso gli uominiè quella donare il proprio Figlio al mondo.

I personaggi raffigurati sono Giuseppe, Maria e Gesù.Maria e Giuseppe accolgono con amore il nascituro; i loro volti esprimono gioia e stupore per la nascita di questo bambino.

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La nascita di Gesù secondo il vangelo

Mt 2,1-12 - Lc 2,1-20

“Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode.”

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La nascita di Gesù nel CoranoSura 19,23-40  23 I dolori del parto la condussero presso il tronco di una

palma. Diceva: «Me disgraziata! Fossi morta prima di ciò e fossi già del tutto dimenticata!».  

24 Fu chiamata da sotto : « Non ti affliggere, ché certo il tuo Signore ha posto un ruscello ai tuoi piedi;  

25 scuoti il tronco della palma : lascerà cadere su di te datteri freschi e maturi.  

26 Mangia, bevi e rinfrancati . Se poi incontrerai qualcuno,di' : « Ho fatto un voto al Compassionevole e oggi non parlerò a nessuno».  

27 Tornò dai suoi portando [il bambino]. Dissero: « O Maria, hai commesso un abominio!  

28 O sorella di Aronne, tuo padre non era un empio né tua madre una libertina».  

29 Maria indicò loro [il bambino]. Dissero: « Come potremmo parlare con un infante nella culla?»,  

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La nascita di Gesù nel Corano30 [Ma Gesù] disse: « In verità sono un servo di Allah. Mi ha dato la Scrittura e ha fatto di

me un profeta.  31 Mi ha benedetto ovunque sia e mi ha imposto l'orazione e la decima finché avrò vita,  32 e la bontà verso colei che mi ha generato. Non mi ha fatto né violento né miserabile.  33 Pace su di me il giorno in cui sono nato, il giorno in cui morrò e il Giorno in cui sarò

resuscitato a nuova vita» .  34 Questo è Gesù, figlio di Maria , parola di verità della quale essi dubitano.  35 Non si addice ad Allah prendersi un figlio. Gloria a Lui! Quando decide qualcosa dice:

«Sii! » ed essa è.  36 «In verità, Allah è il mio e vostro Signore, adorateLo! Questa è la retta via».  37 Poi le sette furono in disaccordo tra loro. Guai a coloro che non credono, quando

compariranno nel Giorno terribile.  38 Ah, come vedranno e intenderanno nel Giorno in cui saranno ricondotti a Noi! Ma gli

ingiusti oggi sono in palese errore  39 Avvertili del Giorno del Rimorso, in cui sarà emesso l'Ordine, mentre essi saranno

distratti e non credenti.  40 Siamo Noi che erediteremo la terra e quanti che vi stanno sopra e a Noi saranno

ricondotti .

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La Natività in altre tradizioni artistiche

Giotto (1267-1337),

La nascita di Gesù e l’annuncio ai pastori, dalle Storie di Cristo (1303-1304), Padova, Cappella degli Scrovegni.

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Le fonti iconografiche usate da Giotto sono i Vangeli, arricchiti da particolari tratti dal Protovangelo di Giacomo [vangelo apocrifo] e dalla Legenda aurea di Jacopo da Varazze.  

Molta importanza assumono nella composizione delle scene le architetture e l'uso esperto della prospettiva. In questa, l'avvenimento che rievoca il famoso racconto della nascita di Gesù (“Maria pose il fanciullo nella mangiatoia e il bue e l'asino lo adorarono”, il vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo, 13-14) è proiettato in primo piano, dentro una capanna, ben inserita nello spazio. Tra le più originali per il taglio, che rinnova l'antica iconografia di origine bizantina, con l'asino che spunta a sinistra, le pecore e Giuseppe accovacciati, i pastori che dialogano con l'angelo, l'immagine diventa un modello per i seguaci di Giotto.  

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Intensi sono i ricordi di Giovanni Pisano, delle sue

dinamiche e solide figure, evidenti in modo particolare nella sagoma della Madonna tesa verso il Bambino. Si tratta di un brano di alta poesia, che interpreta con umanità e tensione affettiva il racconto sacro.  

Bella è l'espressione incantata e sognante di Giuseppe, vivacissimi gli angeli che ruotano e volano nel cielo.  

Chiaro e luminoso, studiato in rapporto all'architettura della cappella, è il colore, con sottili passaggi e accostamenti di tonalità, da vero mago.  

(M. Tazartes, Giotto. La vita e le opere. I capolavori, Rizzoli, Milano 2004, p. 144)  

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UN DOCUMENTO PER APPROFONDIRE… tratto da:

La vita quotidiana in Palestina al tempo di Gesù,

collana Uomini e religioni, Oscar Mondadori, Milano 1986, pp. 117-119.

di H. Daniel-Rops, scrittore, storico e saggista, accademico di Francia, scomparso nel 1965.

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Quando in una famiglia ebraica nasceva un bambino, la gioia era grande, i genitori esultavano. Il villaggio o il quartiere venivano informati del lieto evento e avvertiti che, secondo l'antica usanza, avrebbero avuto luogo ben presto dei festeggiamenti, a cui parenti, amici e vicini sarebbero stati invitati per fare baldoria. La più umile delle coppie faceva suo il possente grido di Isaia, carico di intenti messianici: «Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio!». (Is 9,5).  

Per gli israeliti i figli erano sempre stati una benedizione e una ricchezza. «I figli sono un'elargizione di Jhwh» diceva un Salmo «il frutto delle viscere è una ricompensa» (Sal 127 e Sal 128) e un altro paragonava il padre di una famiglia numerosa a un uomo la cui tavola è interamente circondata di teneri ulivi.  

Un gioco di parole allora molto in uso faceva dei figli, banim, i costruttori, bonim.  

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Le donne israelite si vantavano addirittura di partorire in fretta e bene: non come le egiziane! Dicevano (Es 1,19). Il che non impediva loro di soffrire, secondo la condanna pronunciata da Dio (Gn 3,16)  

Esse si facevano assistere da levatrici, esistenti già ai tempi dei patriarchi, che si servivano delle cosiddette «sedie da parto». Ma le donne ebraiche potevano anche fare a meno di qualsiasi aiuto, come, del resto, fece Maria nella stalla di Betlemme ((Lc 2,7).  

Tanto grande era il desiderio di vedere nascere i figli che i rabbini accettavano di fare una deroga alla regola sacra del riposo del sabato per assistere una partoriente, portarle una levatrice, legare il cordone ombelicale del neonato e addirittura, assicurava Rabbi Joses, tagliarlo.  

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In nessun caso il padre doveva assistere alla nascita; egli doveva aspettare che gli venisse annunciata: ciò per lo meno era quello che si deduce da un versetto del profeta Geremia (Ger 20,15) Appena avvertito, il padre arrivava sul posto e prendeva il neonato sulle ginocchia: con tale gesto il padre riconosceva il figlio come suo legittimo. Se era presente uno dei nonni, poteva capitare che questo privilegio venisse lasciato a lui, come era accaduto dei pronipoti del patriarca Giuseppe, «nati sulle sue ginocchia». (Gn 50,23).  

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Lavato, strofinato di sale per rassodargli la pelle,

avvolto in fasce, il neonato poteva essere mostrato ai presenti.

Le felicitazioni erano particolarmente calorose se si trattava di un maschio, mentre per una femmina erano più moderate

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La gioia era massima quando il primo figlio della coppia era un maschio. L'ebreo aveva una parola speciale per designare il «figlio primogenito», bekor; è questa la parola che l’evangelista Luca applica al Figlio della Vergine Maria (Lc 2,7). Luca non voleva affatto dire con questo che quel «figlio primogenito» sarebbe stato seguito da altri, come avrebbero sostenuto lo scettico Luciano e tutti gli avversari della teoria della verginità perpetua di Maria, ma solo che, «forza e primizia del vigore del padre» (Gn 49,3) futuro capofamiglia, con tutti i doveri che ciò avrebbe comportato, ma anche con tutto il prestigio (Gn 24,50; Gn 37,22; Gn 43,33). Egli avrebbe goduto del «diritto di primogenitura», vale a dire di una parte di eredità almeno doppia.  

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Maschio o femmina, primogenito o meno, il bambino, in ogni caso, veniva allattato dalla madre. Si trattava di un do- vere, che i rabbini facevano sempre presente alle donne d'Israele. Rare erano quelle, come le spose dei grandi personaggi, che si concedevano il lusso di una balia. L'allattamento durava a lungo, quando era possibile due o tre anni, per sottrarre il piccolo alle malattie dovute al clima, e in particolare alla dissenteria, frequente e spesso mortale.

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Un pasto gioioso, accompagnato da un sacrificio, contrassegnava il momento dello svezzamento, in ricordo della grande festa che Abramo aveva dato il giorno in cui suo figlio Isacco aveva cessato di succhiare il seno di Sara, sua madre (Gn 21,8). In quel momento però il bambino già da tempo era stato ammesso solennemente nella comunità religiosa, già da tempo era stato segnato dal sigillo di Dio.

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L’originalità di GaudíGaudí ha sviluppato un’architettura originalissima, basata sull’imitazione delle forme naturali. «Il mio maestro è l’albero del giardino di fronte alla mia finestra» diceva. L’idea potente e semplice: ciò che è in natura è funzionale, e ciò che è funzionale è bello. L’originalità di Gaudí è tutta qui: «L’originalità» disse «consiste nel ritornare alle origini; originale è, dunque, ciò che con mezzi nuovi fa ritorno alla semplicità delle prime soluzioni». E che riflette la bellezza della verità. Non una stravaganza ricercata per ottenere “l’effetto”. «La bellezza è lo splendore della verità» ripeteva: «Siccome l’arte è bellezza, senza verità non c’è arte. Per conoscere la verità, si devono conoscere bene gli esseri del mondo creato».

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Le tre porte della facciata della natività rappresentano le tre virtù: la speranza a sinistra, con la strage degli Innocenti e la fuga in Egitto; a destra la fede, ma la carità è al centro, perché è la più grande virtù.

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Morte degli Innocenti

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Porta della Speranza

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Porta della Fede

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Etsuro Sotoo

Sopra l’immagine della Sacra Famiglia, gli angeli cantano, come racconta il Vangelo. Alcuni di questi sono opera di uno scultore giapponese, Etsuro Sotoo, che lavora al cantiere della chiesa da più di vent’anni.

«In Giappone Gaudí» spiega «fu portato da un professore di storia dell’architettura, Kenji Imai, che era stato qui a Barcellona nel 1926, pochi mesi dopo la morte del maestro. E per anni ha “raccontato” Gaudí ai suoi studenti senza una foto, senza un testo, solo ricordando quello che aveva visto.

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« Venni a Barcellona nel 1978. Non pensavo di fermarmi. Sarei dovuto andare in Germania per lavorare al restauro di alcune chiese. Ma poi rimasi affascinato dalla bellezza della Sagrada Familia e feci domanda per lavorare qui come scultore. I primi anni, mentre lavoravo, cercavo di entrare nello “spirito” dell’opera di Gaudí, e mi chiedevo come lui avrebbe realizzato quello che dovevo fare io. Ma le difficoltà non mancavano, c’era una distanza, non solo culturale. Cercavo di immedesimarmi in lui e “interrogavo” le pietre, “interrogavo” lo stesso Gaudí »

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«Per capire Gaudí, come del resto qualunque altro artista, bisognava sapere che cosa voleva fare con queste sculture, con quest’edificio tanto meraviglioso, che non è solamente un’opera d’arte. Bisognava scoprire quello che c’era dietro questa pietra». Sotoo, nel novembre del 1989, ha chiesto il battesimo. «Ho compreso che per capire fino in fondo il senso del mio lavoro e di quest’opera d’arte, non dovevo guardare Gaudí. Dovevo guardare dove guardava Gaudí». Dopo la conversione il suo modo di lavorare non è cambiato, ma è «molto più facile e sicuro». E così, si lavora «con gusto e libertà»: «L’architettura di Gaudí indica, non obbliga, è una cosa umana. E così è anche il cammino di Gesù. Gesù non ci obbliga a fare, però ci guida. E allora possiamo essere molto più felici e molto più sicuri».

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L’adorazione dei Magi

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Nella raffigurazione i Magi portano in dono a Gesù oro, incenso e mirra, cosi come è descritto nella tradizione religiosa cristiana.

La parte superiore della facciata è composta da un materiale ruvido e scomposto, come a esprimere movimento e dinamicità e sembra rappresentare il movimento del volo degli angeli che assistono all’evento.

Sono anche presenti dei musicisti che cantano la loro lode al Cristo Redentore, posti su due colonne per fare da contorno alla scena.

La scena suscita un sentimento di forte rispetto ammirazione. Gli sguardi e i gesti di sottomissione con i quali i personaggi

sono raffigurati comunicano passione e deferenza, quasi a suscitare un senso di ammonimento che fa prostrare l’osservatore al cospetto del Signore.

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I magi nel Vangelo 

Mt 2,1-12 • Lc 2,1-20Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: 2 «Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo». 3 All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4 Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. 5 Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:  6 E tu, Betlemme, terra di Giuda,   non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo   che pascerà il mio popolo, Israele.  7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella 8 e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».  9 Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10 Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. 11 Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.  

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I Magi in altre tradizioni artistiche

Adorazione dei Magi Arte etiope-eritrea

Artista: anonimo Dipinto moderno su

moduli antichi.

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Alcuni elementi di rilievo :• la regalità di Maria (da notare il trono),  • la sua maternità (le sue ginocchia fanno da trono a Gesù

Bambino e la sua mano destra sulla spalla di Gesù, l’altra lo regge seduto e nello stesso tempo sembra offrirlo ai presenti);  

• la mano destra di Gesù benedicente con le dita ad indicare la Trinità (molto adorata e ricordata nella liturgia e nell’onomastica etiopica);  

• nella mano sinistra non c’è il rotolo (come nelle icone bizantine) ma un piccolo simbolo di autorità  

• i magi sembrano più di tre: ma i primi sono i magi (con i loro tre doni) e gli altri tutti i re e le autorità del mondo (le corone esprimono il loro potere); Gesù non ha la corona (forse perché si vuole indicare che il suo regno non è di questo mondo)  

• un tendaggio alle spalle certamente contestualizza l’ambiente regale (forse qualche evocazione del tempio?);  

• la stella che ha guidato i magi ormai è così piccola che è appena in bianco disegnata sul tendaggio (e non così in alto nel cielo come in altre rappresentazioni);  

i personaggi si incontrano tutti in uno sguardo reciproco, fisso negli occhi di ognuno verso l’altro (in questa arte gli occhi sono veramente il volto, l’intenzione e il messaggio della persona).  

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Nicola Pisano , Adorazione dei Magi, Pulpito del Battistero, Pisa, 1260.

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Di Nicola Pisano non si sa molto a livello anagrafico. In qualche documento lo si definisce Nicola da Apulia cioè proveniente dalla Puglia. La provenienza meridionale è importante perché Nicola rappresenta il collegamento tra la civiltà federiciana, basata sul recupero dell’antico, la tradizione di testi antichi e classici, una classicità internazionale che ha visto nascere Nicola Pisano. Si formò nell'ambito della cultura federiciana (di Federico II, lo stupor mundi) e si dedicò allo studio del mondo classico.  

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C’è una forte romanità nell’opera. Per esempio la Madonna con le ancelle sembra una matrona romana seduta sul triclinio, con un capo appoggiato sul gomito (tipica postura romana). Un edificio classico è sullo sfondo. Non si tratta però di una classicità fredda (algida), ripetitiva, congelata, calligrafica, ma viva. I magi sembrano principi dei basso rilievi romani che offrono doni ad una matrona romana.

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Facciata della passione

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Delle altre due facciate, quella della Passione e quella della Gloria, rimangono solo schizzi e disegni. La facciata della Passione è stata realizzata a partire dal 1956. Gaudí la disegnò a Puigcerdá, nel 1911, dopo aver visto la morte da vicino. Era in preda alle febbri maltesi. Durante la malattia, un religioso camilliano che lo accudiva gli aveva letto il Cantico Espiritual di san Giovanni della Croce. A questa meditazione si ispirò per il suo progetto. Disegnò anche le sculture, ma quando la facciata fu realizzata, lo scultore Subirachs decise di prendersi delle libertà. Eccessive, secondo l’architetto Almuzara: «Ad esempio, l’ultima cena, l’istituzione dell’eucaristia, è stata rappresentata in un angolo, mentre Gaudí la voleva al centro. Sotto la croce. Come nella facciata della Natività, è la carità che sta al centro, rappresentata dal portale centrale. E la carità, nella Passione, è l’eucaristia e la croce. Un uomo che andava a messa tutti i giorni non avrebbe mai approvato la scelta di relegare in un angolo l’eucaristia».

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Ultima cena

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Il bacio di Giuda

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Troviamo raffigurato in questo abbraccio il bacio del tradimento dell’apostolo Giuda.

Alle spalle la presenza di una tavola numerica

quadrata le cui righe e colonne danno sempre la somma di 33. Questo numero richiama la durata della vita di Gesù che la tradizione ha voluto stabilire in trentatre anni, facendo riferimento all’età di inizio del Suo ministero

(Luca 3,23) e al fatto che Giovanni ricorda tre Pasque: la prima all'inizio dei ministero, poco dopo il battesimo (2, 13); la seconda a metà della predicazione (6, 4); la terza in occasione della morte (12, 1).

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Il bacio di Giuda nei VangeliMt 26,47-56 • Mc 14,43-52 • Lc 22,47-53 • Gv 18,2-11

47 N Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. 48 Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». 49 E subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. 50 E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui 81 !». Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. 51 Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio.52 Allora Gesù gli disse: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. 53 Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? 54 Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». 55 In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. 56 Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.

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Il tradimento di Giuda in altre tradizioni artistiche

Maestro dell’Accademia del Crocifisso (fine XII secolo) detto Crucifix

Il tradimento di Giuda

(particolare dal Crocifisso con scene della passione), fine XII secolo, Museo Nazionale di San Matteo, Pisa.

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In questa scena i personaggi sono quattro: Gesù, Giuda l'Iscariota, Pietro e «una gran folla con spade e bastoni». Con i loro gesti e le loro espressioni ognuno di loro rivela che cosa pensa di Gesù Cristo. Osservate quante mani si posano sul braccio destro di Gesù; infatti il Vangelo dice che questi uomini «si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono».

Siamo nell’orto del Getsemani e ciò che accade è raccontato da tutti e quattro gli evangelisti: Mt 26,36-25; Mc 14,32-52; Lc 22,40-53; Gv 18,1-11.

Il pittore non trascura di rappresentare un episodio molto espressivo e significativo anche nelle tradizioni popolari: “Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. (Gv 18,10) “Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate, basta così!». E toccandogli l'orecchio, lo guarì. (Lc 22,51).

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Colonna della Flagellazione

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Pilato si lava le mani

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Ecce Homo

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La Veronica

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In questa scena viene mostrata la crocifissione di Gesù Cristo; come si nota dall’immagine il suo viso non è scolpito.

Oltre a Lui, ai piedi della croce viene raffigurato un teschio che definisce il luogo, il Golgota (luogo del cranio); inoltre vengono rappresentate due donne, tra cui Maria, e il suo discepolo più devoto, Giovanni.

Questa scena ci comunica sofferenza, ci fa immaginare il dolore che Gesù provò al momento della crocifissione e il dolore dei presenti e delle persone a lui care per la perdita di un uomo unico e importante.

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CROCIFISSIONE E MORTE DI GESU’ NEI VANGELIGv 19,17-22 • Mt 27,31-38 • Mc 15,20-27 • Lc 23,33-38

17 Essi allora presero Gesù (nota 1) ed egli, portando la croce (nota 2) , si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota (nota 3) , 18 dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo. 19 Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». 20 Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. 21 I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». 22 Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto».

Luca 23,33-34 • Mt 27,35-38 • Mc 15,25-28 • Gv 19,17-24 (nota 4) 33 Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due

malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. 34 Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno».

Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte .

Note: 1: Qualche testimonianza aggiunge: “e lo condussero”, altra ulteriore aggiunta “al pretorio”.2: I condannati dovevano portare essi stessi l’asse verticale della croce fino al luogo dell’esecuzione.3: è una collinetta vicino alla città.4: Il confronto tra Marco e Matteo mostra come Luca abbia fatto passare sul Calvario un tocco di

dolcezza: la folla è più curiosa che ostile, e infine pentita; Gesù non pronunzia le parole di apparente disperazione: “ Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, continua sino alla fine a esercitare il suo ministero di perdono, e spira “rimettendo il suo spirito nelle mani” del “Padre”.

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CROCIFISSIONE E MORTE DI GESU’ NEL CORANOSura 19,33-34 33 Pace su di me il giorno in cui sono nato, il giorno in cui morrò e il Giorno in cui sarò resuscitato a nuova vita» . 34 Questo è Gesù, figlio di Maria, parola di verità della quale essi dubitano. Sura 3,55 55 E quando Allah disse: "O Gesù, ti porrò un termine e ti eleverò a Me e ti purificherò dai miscredenti. Porrò quelli che ti seguono al di sopra degli infedeli, fino al Giorno della Resurrezione" . Ritornerete tutti verso di Me e Io giudicherò le vostre discordie. Sura 4,155-158 155 In seguito [li abbiamo maledetti perché] ruppero il patto, negarono i segni di Allah, uccisero ingiustamente i Profeti e dissero:" I nostri cuori sono incirconcisi ". E' Allah invece che ha sigillato i loro cuori per la loro miscredenza e, a parte pochi, essi non credono, 156 [ li abbiamo maledetti] per via della loro miscredenza e perché dissero contro Maria calunnia immensa , 157 e dissero: "Abbiamo ucciso il Messia Gesù figlio di Maria, il Messaggero di Allah!" Invece non l'hanno né ucciso né crocifisso, ma così parve loro . Coloro che sono in discordia a questo proposito, restano nel dubbio: non hanno altra scienza e non seguono altro che la congettura. Per certo non lo hanno ucciso 158 ma Allah lo ha elevato fino a Sé. Allah è eccelso, saggio.

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Il crocifisso in altre tradizioni artistiche

Il Cristo giallo di

Paul Gauguin (1048-1903), pittore di origine francese.

Crocifissione, 1930, Musée Picasso di Parigi, dipinto ad olio su legno di cm 50 x 65,5

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E’ tutto giallo. Sembra che il giallo del maturare dei campi abbia effuso il proprio colore sul corpo del Crocifisso. Sarebbe sufficiente questa indicazione cromatica per dare almeno un’attesa a questa morte in croce. Questo è un Cristo più che cosmico naturale: la natura intorno a lui non si oscura come dicono gli evangelisti (cfr. Mt 27,45: “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra.”). Nemmeno le stagioni coincidono con i racconti evangelici (primavera secondi i vangeli, mentre qui sembra estate quando la terra dona i suoi frutti: Gesù crocifisso sembra il chicco di grano che sta morendo per dare altra vita: “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.” Gv 12,24) Qui sembra il giallo dell’aurora o al massimo di un tramonto. La creazione riserva la vita che apparentemente questo crocifisso sembra aver espirato. Risorgerà con la forza del Creatore che ha dato vita alla creazione. E’ come se per il momento la creazione-natura custodisse come un tabernacolo l’energia divina che farà risorgere questo morto in croce. La connotazione del corpo ovviamente non ha niente di realistico né di verista: il corpo non è livido di morte, non è grigio di cadavere, affumicato dalla mancanza del respiro vitale. E’ un corpo luminoso. Lo stesso sguardo del crocifisso è inclinato non appeso, il suo corpo è diritto sulla croce senza pendere come un corpo morto pende dal sostegno delle mani o dei polsi inchiodati. E le presenze di donne intorno è quasi di attesa, mesto e non triste, con quelle mani poste in riposo, come solo le donne sanno fare, stanche di tanta storia fino ad allora vissuta. Ora nel loro cuore è sera, ma presto quel Crocifisso donerà a loro il privilegio di essere le prime (come le mirofore del vangelo) a vedere il Maestro e ad annunciare la sua risurrezione (Mt 28,9 e passi paralleli di altri evangelisti).

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UN DOCUMENTO PER APPROFONDIRE:

LA CROCE

AUTORI:L. Choenen, E. Beyreuther, H. Bietenhard, biblisti.

Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento, Edizioni Dehoniane, Bologna 1976, pp. 408-412.

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La parola croce deriva dal termine stauros Stauròs è un palo piantato diritto (palo a punta).La prassi del diritto penale ha conferito, tanto al sostantivo che al verbo, significati particolari, e tuttavia anche piuttosto differenti. Si deve perciò andar cauti nell’associare a questi vocaboli quei particolari che la tradizione cristiana collega alla morte di Gesù. Il verbo significa sempre appendere (in pubblico). A seconda del tipo di applicazione penale cui si fa riferimento, può significare impalare; appendere, per disonorare una persona uccisa o per l'esecuzione capitale; assicurare allo strumento di tortura; crocifiggere. Era una pratica usata in Oriente ma non in occidente. Come anche indicano i casi più frequenti in cui è usato il verbo, staurós può quindi significare il palo (a volte appuntito in alto) al quale viene abbandonato un ucciso, quasi a significare una pena aggiuntiva, in segno di vergogna, sia appendendolo che infilzandolo; in altri casi si tratta del palo usato come strumento di esecuzione capitale (per strangolamento o altro). Inoltre staurós è il legno del supplizio, grosso modo nel senso latino di patibulum, una trave assicurata sulle spalle; è infine, come strumento di supplizio, la croce, formata da un palo perpendicolare e da una trave orizzontale, in forma di T (crux commissa) o di † (crux immissa).

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I vocaboli staurós e (ana)stauróô, quindi, non sono di per sé sufficienti per stabilire esattamente come avvenisse tecnicamente l'esecuzione della pena e quale significato avesse. Per meglio determinare il significato dei vocaboli occorre perciò chiarire ogni volta in quale ambiente e da quale autorità la pena viene eseguita, e qual è il punto di vista dell'autore che descrive l'esecuzione di una pena con questi vocaboli.

Al tempo di Gesù in Palestina, la condanna alla crocifissione e l'esecuzione di questo tipo di pena erano praticate soltanto dalla potenza occupante romana [...] La pena della crocifissione era quindi intesa più come deterrente che come espiazione, come strumento di ordine al fine di mantenere il dominio vigente. È quindi del tutto logico che lo strumento del supplizio venisse eretto in un luogo ben esposto [...] Una cosa comunque è sicura, che i romani hanno fatto ampio uso di questo tipo di esecuzione. È estremamente probabile che lo strumento di supplizio adottato, lo staurós,comportasse un pezzo di legno incrociato e quindi avesse la forma delle due travi in croce. Le fonti profane non permettono di dire quale fosse esattamente la forma, se di crux immissa (†) oppure di crux commissa (T).

Nel caso specifico della croce di Cristo, non vi è alcuna incertezza — secondo quanto si legge nei Vangeli — sul fatto che tale croce fosse provvista di un titulus. Doveva trattarsi perciò di una croce dalla forma tradizionale, crux immissa (†). Quanto all'altezza, la croce non doveva superare di molto la statura di un uomo.

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Il titulus Era il cartello riportante la causae penae, l'iscrizione che attestava il crimine: • Mt 27,37: “Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: «Questi è Gesù, il re dei Giudei».” • Lc 23,38: “C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.” • Gv 19,19-20: “Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». […] “era scritta in ebraico, in latino e in greco.” • Mc 15, 26: “E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei.”

La crocifissione Lo svolgimento della crocifissione secondo il procedimento romano doveva essere pressapoco il seguente: dapprima avveniva la condanna legale; solo in circostanze straordinarie poteva aver luogo un procedimento sommario sul luogo stesso dell'esecuzione; se l'esecuzione doveva avvenire in un luogo diverso da quello della condanna, il condannato stesso portava la trave trasversale (patibulum) nel luogo fissato, per lo più fuori le mura cittadine. E' qui che ha la sua origine il detto «portare lo staurós», tipica espressione per indicare la punizione di uno schiavo. Sul luogo dell'esecuzione il condannato veniva spogliato e flagellato (non è certo se soltanto qui); la flagellazione è un elemento costante nella crocifissione, tra la condanna e l'esecuzione vera e propria. Il condannato veniva legato a braccia tese sulla trave, che forse poggia sulle sue spalle. Solo in casi sporadici si parla di inchiodatura; non si sa con certezza se anche i piedi venissero inchiodati, oltre che le mani. La morte del condannato, appeso al palo verticale con la trave trasversale sopra, subentrava lentamente e tra sofferenze indicibili, probabilmente per sfinimento o per soffocamento. Il cadavere poteva essere abbandonato sulla croce alla decomposizione oppure a essere divorato dagli uccelli rapaci o divoratori di carogne. Sono attestati anche casi in cui il cadavere veniva poi consegnato ai parenti o conoscenti.

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Dopo essersi divise le Sue vesti le tirarono a sorte. Luca 23, 34-35

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Il soldato Longino

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La facciata principale, quella della gloria, ancora manca alla Sagrada Familia.

I tempi sono lunghi come quelli del cantiere di una cattedrale medioevale.

Ma Gaudí non se ne sarebbe preoccupato. Sapeva di non poter legare il suo nome all’opera finita: «Non vorrei terminare io i lavori, perché non sarebbe conveniente. Bisogna sempre conservare lo spirito del monumento, ma la sua vita deve dipendere dalle generazioni che se la tramandano e con le quali la Chiesa vive e si incarna». Quanto al resto, «nessuno può gloriarsi» disse una volta «perché tutto è dono di Dio; molto spesso Egli si serve di un infelice qualunque. Un giorno stavo dirigendo i lavori della Sagrada Familia, quando un ragazzo piuttosto sciocco, che passava di lì, mi disse: “Guardi, vede quell’impalcatura, si è rotta una fune e cadranno tutti!”. Apprezzai molto l’avvertimento di quel giovane. Crediamo che spettino a noi la gloria di ciò che è buono e i meriti che ognuno di noi, con il suo talento, si è guadagnato realizzando qualcosa di importante; in realtà la si deve a un’anima sconosciuta che prega per la riuscita di una persona più nota».

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Le foto sono state effettuate dagli alunni della classe, altre foto sono state tratte da:http://it.wikipedia.org/wiki/Sagrada_Familia

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