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Racconti vol 1

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Vaniglia

Dopo quella notte per diverso tempo è calato il buio, poi...

Poi non so come e perché, ma adagio la mia vita ha ricominciato a

scorrere. Pian piano ho ripreso a parlare di altre cose, a uscire, a

lavorare, ad andare in vacanza, a dormire, a festeggiare, a fare

l’amore... Ora è tutto tranquillo, sotto controllo, normalizzato,

quella notte l’ho rimpicciolita in modo che potesse entrare in una

minuscola scatola che ho poi riposto con cura nell’angolo più

segreto e buio della mia memoria. Se ne sta lì, buona buona,

mentre io mi abbronzo al sole... fino a quando... solo se... basta

così poco... e maledico...

Maledico quell’odore dolciastro che mi stende al tappeto, che mi fa

stramazzare e mi lascia impietrita. Mi si inchioda nella testa, è

vaniglia. Un innocuo Arbre Magique che mi riporta lì, in

quell’istante per me crudelmente eterno. E allora capisco che è

stato tutto un bluff, con gli occhi sbarrati sento la scatolina

ingigantirsi, il suo contenuto lievitare fino a scoppiare e allora

tutto, ma proprio tutto, prende forma davanti ai miei occhi

terrorizzati e vedo...

Vedo con chiarezza incredibile, con la vista di un miope che si

rimette gli occhiali, tutti i particolari: l’auto veloce, il volante in

radica, i sedili di pelle, il luccichio del portachiavi in argento, le

lucette arancione del cruscotto, il tergicristalli che spazza via

l’acqua e sento...

Sento il rumore della pioggia, la voce di Ligabue quando arriva a

dire posso solo questo sogno scusa per la mia fantasia, la risata

familiare di Dario e avverto...

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Avverto il tocco delicato delle sue dita tra i miei capelli, il suo

sguardo dolce, l’armonia che ci legava e poi...

Poi vedo la strada impazzire, sento il boato scoppiarmi nella testa

e avverto la fine in un solo istante e allora...

Allora mi concentro, deglutisco con forza mandando giù l’amaro

boccone perché devo rassegnarmi a fare i conti con la realtà: solo

apparentemente si dimentica. Non serve a niente nascondere.

Puoi solo illuderti di poter racchiudere la memoria in una scatola.

Lei è lì, una bomba a orologeria, solo in attesa, ma programmata

per esplodere.

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La mia porta

Quando Simone, in questo grigio pomeriggio, me ne ha fatta

un’altra delle sue e mi ha scaricato come un pacco al bordo della

strada per correre da lei, il mio primo pensiero è volato a

Francesca. Così, mentre serro i pugni e cerco di cacciare indietro

le lacrime, mi incammino verso casa sua e già il mio cuore si

alleggerisce. Francesca mi capirà, mi lascerà sfogare, mi

consiglierà, consolerà, rassicurerà...

Ringrazio mentalmente quel giorno di circa dieci anni fa’, quando

per caso ci siamo conosciute. Siamo andate subito d’accordo,

abbiamo condiviso molte cose insieme, diverse esperienze che ci

hanno fatto crescere e cambiare, per poi dirottarci su strade

diverse. Ma comunque siamo sempre rimaste unite, anche quando

gli intervalli fra i nostri incontri sono passati da quotidiani a

settimanali e poi ancora più lunghi. Ma in fondo non importa il

tempo passato insieme, conta sapere che l’altra c’è, che c’è un

punto fermo nella propria vita. Francesca c’è sempre stata,

soprattutto nei giorni difficili e cioè da quando la mia storia con

Simone ha preso questa brutta piega per lei che è rientrata nella

sua vita, o forse sono stata solo io ad aver creduto che ne fosse

uscita. Francesca mi ha sentito cento volte lamentarmi, cento

volte piangere, cento volte disperarmi e cento volte urlare dalla

rabbia. In tutte le occasioni ha sempre avuto la parola giusta e

quando le parole non sono state sufficienti o comunque non in

grado di cambiare le cose, ha sempre avuto per me un gesto che

mi ha dato la forza e quel pizzico di serenità che nella mia vita con

Simone non c’è più... sicurezza. Sì, ecco cosa è Francesca,

rappresenta la sicurezza, lei così tranquilla, così dolce e

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premurosa. Figurarsi che non l’ho mai sentita fare commenti fuori

luogo nei confronti di Simone neanche quando se li sarebbe

davvero meritati, neanche quando mi vedeva distruggermi per lui,

mentre lui si dissolveva per lei. Una sola volta mi ha detto “Lori,

lascia stare”. Sapevo che aveva ragione, le ho sorriso, mi sono

lasciata abbracciare, ma poi non ho lasciato per niente stare e

quando il giorno dopo, senza accampare alibi, glielo ho detto, lei

non ha criticato la mia testardaggine. Ma soprattutto le sono grata

perché nemmeno nei suoi occhi leggevo il minimo rimprovero,

neanche quando, appena una settimana dopo, mi sono

ripresentata alla sua porta con la storia che si ripeteva, la vecchia

storia consumata, con parole già dette e dolori già provati.

Neanche allora nella sua espressione ho mai letto: ecco qui, ci

risiamo! oppure non dire che non ti avevo avvertita! o ancora non

chiedermi consigli se poi fai sempre come ti pare!

Allora è naturale, quasi scontato, che oggi, quando il richiamo di

lei nelle vene di Simone è stato più forte, al di sopra di tutto, io

sia arrivata sotto casa di Francesca. Ho bisogno che la mia amica

guarisca le mie ferite.

E’ così che, quando suono alla sua porta e non mi risponde

nessuno, rimango sconcertata, quasi infastidita, tamburello il

piede a terra e ritento, ma devo rassegnarmi all’idea che non sia

in casa. Nella mia mente risuona un urlo: ma dove sei ora che ho

bisogno di te!? Tiro su con il naso, con il dorso della mano scaccio

via le lacrime e tiro fuori il cellulare. Un po’ nevrotica cerco nella

rubrica il suo numero, ma il suo telefono è spento. Provo a casa,

nella stupida speranza che chissà per qualche motivo non abbia

risposto alla porta. Niente da fare, non c’è, mi guardo intorno

disorientata e mi viene in mente che possa essere andata a

trovare quella sua amica dell’università! Chiaramente agitata mi

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sfugge il nome, me lo avrà detto un milione di volte, ma non l’ho

mai registrato nella mente, troppo presa come sono dai casini

della mia vita. Poi finalmente lo ricordo, velocemente dal mio

cellulare mi collego su internet e trovo il numero di casa. Un po’

impacciata chiedo di parlare con l’amica della mia amica e fatico

un po’ per fare capire all’amica chi io sia. Quando alla fine ci

riesco, mi dice però che Francesca non è nemmeno con lei e per

mia fortuna è una tipa molto loquace che non solo mi informa che

Francesca è uscita con Sandro, il ragazzo, ma mi da anche il

numero del suo telefonino. Chiamo Sandro e schiarendomi la voce

gli chiedo di Francesca, lui fortunatamente mi conosce, non bene

in verità, siamo usciti qualche volta in coppia, ma Simone e lui

non hanno mai legato. Presa come sono, non noto affatto il tono

della sua voce imbarazzato e quando mi dice che Francesca non è

neanche con lui, io scioccamente insisto e lui, forse pensando che

da brava amica io sapessi, mi dice che si sono salutati in malo

modo da quasi un’ora e che il loro chiarimento non è andato

affatto bene, lei non ha cambiato idea e perciò lo ha lasciato

definitivamente. Lì per lì pronuncio una frase sicuramente senza

senso, perché lui continua dicendomi che d’altronde erano mesi

che andava avanti in quel modo, che lui la ama ma non come lei

vorrebbe e che se anche l’ha tradita... Stordita, comincio a

balbettare e lui deve essere ancora più stordito di me per non

chiedermi: ma come?! Non ne sapevi niente! Mi vien voglia di

attaccare o meglio, rimpiango di aver fatto quella telefonata

perché il senso di vuoto che già provavo è aumentato e mi sento

male davvero.

Quando finalmente riesco a chiudere la telefonata, ancora

incredula, faccio un lungo respiro e mi guardo intorno smarrita.

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Con le mani che mi tremano, accendo una sigaretta e a passi lenti

mi incammino verso casa.

Nella mia mente sconvolta si scontrano rumorosamente due

pensieri. Non so da chi farmi consolare, con chi alleggerire

l’ennesima botta ricevuta da Simone? Sono sola, per lui ho

mandato tutti al diavolo... Ma questo pensiero per quanto

doloroso sia, svanisce in confronto all’altro, doloroso in maniera

diversa, che mi lascia un’amarezza così grande e profonda da

farmi sentire una persona spregevole. Dove sono stata in questi

mesi per non essermi mai accorta di quello che passava

Francesca? Troppo presa da me, troppo importante la mia non

storia con Simone, talmente importante da non lasciare spazio a

lei, tra le mie mille parole, per dirne una di sé, un sto male, Lori!

Allora dimentico i miei guai e le lacrime mi bagnano le guance: in

un’altra parte della città, a camminare su un’altra strada vuota,

c’è Francesca e mi chiedo da chi stia andando a farsi curare le

ferite.

Per quanto sia difficile ammetterlo, sarebbe una bugia se

affermassi che una volta giunta sotto casa mia, mi aspettassi che

la mia amica stesse lì, a bussare alla mia porta.

Ovviamente non c’è nessuno.

La mia è stata una porta che ho sempre tenuta chiusa.

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Il matrimonio

Questo non è un giorno come un altro. E’ uno di quelli che nel bene o

nel male ricorderò per il resto della vita: è il giorno del mio

matrimonio.

Oggi mi sposo e sono qui, in piedi davanti all’altare, vestito di tutto

punto... per la verità mi sento un pinguino. Ma non importa, non è

così che mi vedono gli invitati seduti tra i banchi di questa chiesa;

non è così che mi vedono i miei genitori; non è così che mi vedrà

Claudia. La domanda perciò è… “si è quello che si appare?”

Giro lo sguardo di qua e di là, vedo le facce di tutta questa gente e

provo a immaginare quello che pensano. Non sembrano felici per me.

I volti dei miei genitori sono tirati e nonostante mia madre provi a

sorridermi, la discussione di ieri sera ha lasciato il segno. Per mio

padre è diverso, con lui le discussioni ci sono sempre state, per lui

quello di adesso è un altro colpo di testa di cui pagherò le

conseguenze in futuro. Va bene, ma che ne sa lui in fondo? Che ne sa

del motivo per cui lo faccio? Cioè, lo sa eccome, o forse crede di

saperlo, così come i miei amici.

Sandro, Davide e Marco... ci sono anche loro. Ci conosciamo dalle

elementari, stessa scuola privata e privilegiata, così come tutto in

seguito, per noi, figli fortunati a cui non è mai mancato nulla, tranne

una mamma sorridente all’uscita della scuola. Ma per il resto abbiamo

sempre avuto tutto, il meglio, e il futuro assicurato. Sandro mi fa

l’occhiolino, cerca di tirarmi su, forse mi crede al patibolo, con il

sacerdote al posto del boia. In questi ultimi tempi, ossia da quando

ho deciso di sposare Claudia, si sono coalizzati contro di me, per il

mio bene. Hanno cercato in tutti i modi, come i miei genitori, a

dissuadermi da sposarla. Anche per loro sto facendo un grande

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errore, sto per dare l’addio a quello che sarebbe potuta essere la mia

vita. Ma che ne sanno loro?

Ricordo ancora le parole di Davide quando, quella sera a casa sua, ho

annunciato che mi sarei sposato. Va bene, è incinta! Ma non sei

costretto a sposarla.

Ah, i matrimoni riparatori! Quanto fiato e idee sprecate su queste due

sole parole, terreno fertile per i benpensanti e gli ipocriti. Ricordo

anche un altro giorno, quando Marco mi prese in disparte; eravamo

tutti riuniti a casa mia con i rispettivi genitori e si respirava un’aria

davvero pesante. Marco e io siamo molto diversi e per questo motivo

il più delle volte ci scontriamo, ma una cosa la devo dire a favore di

Marco: non è ipocrita. Quello che deve dire, cioè quello che pensa, te

lo dice, volente o nolente, anche se ti fa male. Non si nasconde dietro

falsi moralismi e quel giorno mi tirò di lato e a brutto muso mi disse:

convincila ad abortire.

Aborto. Questa parola mi è girata per la mente solo per una frazione

di secondo, poi l’ho accantonata. Ho sollevato le spalle, ho sorriso e

ho detto no. Sono tornato dai miei e con pazienza e caparbietà ho

affrontato altre discussioni pesanti, altri silenzi ancora più pesanti,

altre minacce che sapevo non sarebbero mai state portate a termine.

Ad ogni modo non sono contrario all’aborto. Il mio no all’aborto non

era dovuto a chissà quale etica e principi di vita. E’ Claudia a essere

contraria all’aborto, lei ha i suoi saldi principi e non avrebbe mai

abortito.

La conosco bene Claudia e quando dice una cosa, non è tanto per

dire. Lei crede in quello che dice e stanne certo, farà come ha detto.

Be’, Claudia, piuttosto che abortire rinuncerebbe a tutto: alla

giovinezza, alla libertà, ai soldi, all’indipendenza, al lavoro, alla

bellezza... ma non metterebbe mai piede in una clinica per annullare

quel primo battito di vita. Ricordo ancora quando la sentii parlare

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così, la conoscevo da neanche un mese e da tre settimane uscivamo

insieme. Sono rimasto subito affascinato dalla sua personalità estrosa

ma al tempo stesso realistica, affascinato dai suoi giovani anni, solo

due meno di me, ma vissuti a pieno, anzi troppo a pieno. Le vanno

stretti perché a vederla sembra una bambina, ma se parla, se si

lascia conoscere, è tutta un’altra storia.

Il punto è che quando la sentii dire che era contro l’aborto, non era

ancora incinta, questo evento sarebbe accaduto solo due settimane

dopo. Eravamo a casa di amici e quell’argomento, uscito per caso,

provocò una lunga discussione che ci tenne inchiodati e ci rovinò gran

parte della serata. E mentre parlava, io la fissavo negli occhi e

vedevo i suoi brillare di quella luce di sincerità che è solo nello

sguardo di chi è convinto di ciò che dice. Io le credetti e un fremito mi

passò lungo la schiena.

Quando poi accadde e come in una premonizione rimase incinta di

mio figlio, non mi meravigliai per niente quando, dopo avermi dato la

notizia, disse: ma non abortirò. Sollevai le mani, come un uomo a cui

puntano contro una pistola e quell’argomento cadde così, chiuso per

sempre.

Quindi niente aborto, altra strada, consiglio di Sandro: sganciale un

assegno e che se la cavi da sola. Forse aveva parlato con mio padre,

si somigliano e si stimano e forse lui avrebbe voluto per figlio uno

come Sandro. Ma io non mi ci vedevo a staccare un assegno e a

liquidarla così, come un fornitore dopo una consegna di merci. E poi

sapevo già cosa Claudia avrebbe fatto. Probabilmente avrebbe

strappato l’assegno o forse ci avrebbe sputato sopra, ma sicuramente

mi avrebbe mollato un pugno ben assestato, un gancio degno di un

pugile alla mascella e poi mi avrebbe senz’altro cacciato via. No, non

sono stati i sensi di colpa a farmela sposare e neanche l’orgoglio.

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Altra ipotesi, consiglio di mia madre: aiutala durante la gravidanza e

poi date il bambino in adozione. E’ vero, poteva pure funzionare, ma

un’altra cosa che aveva detto Claudia quel giorno era: il bimbo lo

voglio tenere io. Va bene, ha continuato mia madre: allora aiutala,

non sarà la prima ragazza madre, aiutala moralmente e

finanziariamente, sarai padre, seguirai il bambino crescere e non farai

mancare ad entrambi niente. Poteva essere la soluzione ideale, anzi

se devo essere sincero credo che se avessi voluto, Claudia non

avrebbe potuto opporsi. Ma il bambino cosa avrebbe detto: già mi

mettete al mondo senza chiedermi se lo voglio o meno e in più mi

date una pseudofamiglia? Grazie tante!

E allora ecco qui il matrimonio, riparatore o no, conta solo che sia un

matrimonio e fra poco quando Claudia arriverà e varcherà la porta di

questa chiesa, verrà celebrato e anche questo capitolo sarà chiuso.

Sono un po’ nervoso e continuo a sentirmi un pinguino, sento un

certo solletico dietro l’orecchio sinistro, sarà un tic? Claudia è in

ritardo già di dieci minuti e se non arrivasse? Se alla fine avesse

cambiato idea credendo di farmi un favore? Un favore forse lo farebbe

ai miei genitori, che certamente poi si darebbero da fare per farmi

rigare dritto dopo la stangata, dopo la grossolana figuraccia davanti a

tutti questi invitati.

Comincerebbero a cercarmi una consorte adatta per un matrimonio

“riparatore” del precedente fallito. E gli invitati si godrebbero

doppiamente lo spettacolo. Sai che sballo! Sarebbe come aver pagato

un biglietto e ricevere un giro di giostra gratis. Ipocriti!

Mi sorridono dietro i cappelli e le velette, tutti abbigliati a festa per la

grande occasione e nelle loro testoline gira una parolina, gira e rigira

con malignità. Incastrato. Si potrebbe scrivere un titolo in prima

pagina su questo: come incastrare un pollo farcito con il vecchio

trucchetto. E sotto a caratteri più piccoli: la scaltra figlia di un operaio

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cassaintegrato e di una alcolizzata si fa mettere incinta e fa bingo!

Doppiamente ipocriti, perché intanto mi sorridono, mi fanno le

congratulazioni e gli auguri di un sereno avvenire e poi sussurrano tra

loro, all’orecchio, gettando occhiate sull’unico banco della chiesa che

veramente trapela una gioia sincera.

Mi fanno un po’ tenerezza. Il cassaintegrato e l’ubriacona sono lì, in

pompa magna, ma sono gli unici onesti e forse è giusto che se la

godano. Non farò mancare nulla a Claudia e a loro, sono persone

semplici e magari quando la sera andremo a trovarli, guarderemo

insieme la TV in cucina, a Natale giocheremo a tombola e mio figlio

sarà senz’altro più fortunato di me e di Claudia, perché vedrà

entrambe le facce della medaglia. Questo pensiero mi conforta: lei

andrà a prenderlo sorridente a scuola e io gli insegnerò a tirare due

calci a un pallone nel giardino di casa e romperemo anche qualche

vetro, finalmente...

Finalmente il brusio di sottofondo si placa e attacca l’organo. E’

arrivata, che Dio sia lodato, non ci ha ripensato! Scampata la

stangata e la figuraccia. Vedo Claudia entrare, è sola, non ha voluto

essere accompagnata all’altare e da me. Cammina dritta, con la testa

alta e la sua andatura sicura è un gesto di sfida e sono gli altri a

dover abbassare lo sguardo al suo passaggio. Ha messo su qualche

chilo in questo ultimo mese, la sua snella figura si sta lentamente

arrotondando, ma è sempre soave e bellissima. Il suo viso è

luminoso.

Si avvicina e io le tendo le mani e quando sento la sua stretta, sorrido

gioioso. Incastrato!

Certo, lo ammetto. Sono stato incastrato, ma non la notte in cui sei

rimasta incinta e non perché il nostro è un matrimonio riparatore.

Sono stato incastrato il giorno in cui ti ho conosciuta in quel pub,

mentre portavi le consumazioni al tavolo dove ero seduto con i miei

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amici. Mi sono innamorato di te a prima vista e quando hai parlato è

stato bello e quando sono riuscito a convincerti a uscire con me,

ancora più bello. Il primo bacio splendido, la prima volta che ti ho

avuto tra le braccia, che ho sentito il tuo corpo stretto al mio, è stato

come nascere per la prima volta. La luce.

Poi tutto stava finendo, mi volevi lasciare, due mondi troppo diversi…

onestamente non ho capito perché doveva finire e non lo voglio

sapere neanche ora. Ciò che conta, Claudia, è che ho trovato il modo

e ora non potrai più andartene via. E’ stato facile quella notte, una

piccola disattenzione e ora, tu, per sempre mia.

Già, amore mio, incastrata.

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Lei che...

L’hai voluta... sai quanto l’hai voluta!

L’hai voluta perché ormai ti era impossibile farne a meno, perché da

quando l’hai conosciuta non sei più riuscito a togliertela dalla testa.

Per lei sei stato capace di rinunciare a tutto, niente ha avuto più

valore paragonato a lei. Hai fatto a meno di ogni cosa, ma se lei

avesse voluto di più, sai, come ormai lo so anch’io, che l’avresti

accontentata, senza ripensamenti, senza esitazioni, perché lei, lei...

Lei, bella, dolce... così candida, il tuo grande pensiero, il solo. Ti

dicevo di lei il contrario, ricordi? Ma tu mi rispondevi che era solo

perché non l’avevo mai conosciuta. E gli altri allora? Certo, dicevi che

come me si accontentavano di quello che si diceva di lei, senza

saperne veramente nulla.

Purtroppo però devo ammettere che l’hai amata, accettandone anche

i difetti che riuscivi a vedere solo quando ne eri lontano. Mi hai

confessato di averla conosciuta per caso, quando per te ero io a

essere lontana, ma hai capito subito che saresti stato suo. Ti era già

entrata nel sangue. E poi pian piano ti ha trasformato, reso una

persona diversa, ti ha cambiato la vita. Ma l’ha cambiata anche a me.

Cosa devo dire io che ho avuto la sfortuna di conoscerti prima? Di

innamorarmi di un ragazzo completamente differente da quello che

sei diventato attaccandoti a lei? Forse ti sei dimenticato, sicuramente

ti ha convinto che sei molto meglio ora e tu... tu le hai creduto. Certo,

i suoi metodi sono stati persuasivi e qualche volta, quando la rabbia

mi pervade, vorrei urlarle in faccia com’eri, anche se so già che

riderebbe di me e forse a buon ragione, perché sono rimasta solo io a

ricordare.

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E a me? Mi hai amato? Sì, lo so, mi hai amato. Ma alla fine hai fatto

una scelta e la tua scelta ha escluso me. E’ logico quindi pensare che

tu abbia amato più lei, abbasso il capo e dico va bene. Forse ci hai

solo amate entrambe, lei più di me... di un amore diverso.

Pensi che stia parlando così perché mi sono sentita tradita? Hai

ragione, mi sono sentita tradita, sono stata tradita e non solo. Il tuo è

stato un tradimento strano, completo, difficile da capire e d’accettare.

L’ho mai fatto? Be’, l’ho dovuto fare e sottolineo dovuto, anche se c’è

voluto parecchio tempo e ancora adesso, quando ci penso... è un

peso sul cuore.

Come in ogni tradimento che si rispetti, sono stata l’ultima a saperlo,

mi è di consolazione il pensiero che non ti stavi divertendo alle mie

spalle. Era un affare serio, forse da principio preso sottogamba, ma

sapevi già che mi avrebbe fatto soffrire e quindi hai cercato di

mantenere segreta più a lungo possibile la tua doppia vita. Poi,

quando l’ho scoperta... una sola parola mi viene in mente ripensando

a quel giorno: inabissarsi. Ho visto in un solo istante la nostra vita

insieme, la tua vita e la mia vita, colare a picco. Una premonizione

che forse avrei dovuto accettare immediatamente, come una partita

di calcio persa al “golden goal”. E invece no, non è andata così, c’è

stata la lotta e la speranza e l’illusione e il dolore e la caparbietà e le

suppliche e le minacce... e la fine.

Certo, è naturale che la considerassi la mia nemica, ma anche su

questo ho sempre sbagliato e alla fine sono stata costretta a

ricredermi. Era peggio di un nemico. Un nemico è qualcuno con cui si

può combattere, con cui ci si può confrontare, si può usare

intelligenza, bellezza, carattere, sesso... Come potevo combattere

con lei, così astratta eppure così presente per te, per me e poi anche

fra noi? Non perché fosse più grande di me, anche se in fondo lo è

stata, lo devo ammettere, ma semplicemente perché come un

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richiamo, come un’ombra nei tuoi occhi, ha fatto diventare me una

persona impotente.

Sono delusa, amareggiata e certo, anche arrabbiata, ma solo con te.

E lei? L’ho odiata? A che sarebbe servito odiarla, sei tu che la cercavi

e la volevi e l’avevi. La sua colpa? Quella di esistere, di essere dolce,

di essere lei. Ma forse la sua colpa è solo la sua forza che poi è la tua

debolezza. La cosa più assurda è che lei ti trasmetteva veramente

la sua forza, artificiale e temporanea, ma eri un uomo solo dopo

essere stato con lei.

Anomalo il suo potere, bizzarro, da trasformare le canzoni in altre

canzoni che tuttora non riesco ad ascoltare senza vederci sempre

dietro lei. Lei che la puoi chiamare come vuoi, col suo nome che è

solo un bluff, oppure con quello inventato da te, che è come una

stazione e un treno che non partirà mai. Io non so darle un nome,

neanche voglio darglielo, per me resterà sempre unicamente la tua lei

che...

Mi è impossibile dimenticare e anche se le ferite si sono rimarginate,

rimangono pur sempre le cicatrici che, certo, sono in grado di

nascondere, ma che comunque mi hanno rovinato la pelle ed è

difficile stare al sole con quelle addosso. Ma questo tu non lo sai, o

forse non vuoi saperlo, perché credo sia più complicato riconoscerlo

per te di quanto lo sia stato per me. Se solo riuscissi a vedere il

passato, oppure oggi il presente, se solo ti fossero dati dei buoni

occhiali, sono certa che ne rimarresti annientato. Capiresti, per la

prima volta e tutto d’un colpo, il male fatto a me, ai tuoi familiari, ai

tuoi pochi veri amici abbandonati, ma soprattutto quello che hai fatto

a te stesso, cosa ti sei negato e cosa non sarai più.

Il fatto che qualche volta hai provato a lasciarla, non mi è di grande

consolazione. A volte ancora mi dico: ha tentato e un po’ ti giustifico.

Ma poi ci sono i fatti che smentiscono anche quest’ultimo alibi. Lei è

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più di te e di me, lo so, il suo richiamo è irresistibile, come il canto

delle sirene per i marinai nelle antiche leggende. Per non spezzare

quel canto il tuo nome è stato bugiardo, impostore, truffatore,

disertore... in ogni maniera ho avuto occasione di vederti. Mi hai

costretta ad amarti lo stesso e sinceramente non so quali armi hai

usato, come ci sei riuscito e come alla fine hai fatto a perdermi.

Adesso mi chiedo solo perché è dovuto durare così a lungo, perché

non hai deciso subito tu per me, che ne sapevi di più. Perché non me

lo hai mai detto chiaramente, non mi hai detto lascia stare ed hai

atteso che sia stata io a preparare le valige e a raccogliere quel poco

che restava di me e di noi e andare via.

Di tragico c’è che ti ho lasciato io, ma solo materialmente perché sei

stato tu a farlo diverso tempo prima. Di reale c’è che siamo stati

entrambi a perdere.

Del ragazzo che amavo è rimasta solo la sensazione un po’ amara nel

sogno che si dissolve e quando ancora di notte ti incontro e trovo i

tuoi familiari gesti, così nitidi, mi vengono in mente mille parole da

dirti e ti guardo negli occhi, sperando di non scorgere più traccia di

lei. Però rimango in silenzio, senza permetterti di voltarmi

nuovamente le spalle, me ne vado perché voglio essere io a tornare

sulla mia strada, quella di adesso. Ora lo so che non c’è più niente da

dire e più niente da capire.

Queste mie parole non sono un patetico tentativo, una leggera

speranza e neanche un’ultima dichiarazione d’amore. Quello che

chiamavo amore si è disperso nel vento, è andato lontano. Sono

parole che dimostrano solo il punto, il risultato, la riga tracciata per

tirare la somma e mettere fine all’operazione. Non mi chiedo mai cosa

farei se tu tornassi, se tu venissi da me finalmente libero e con

promesse, parole, con lacrime e con sorrisi. Non faccio mai questi

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pensieri, perché tornare vuol dire solo essere andati via e le distanze

restano distanze e le gioie non vanno comprate con le ferite.

E ora, che sono passati degli anni e a volte succede senza preavviso

che l’orologio perde un colpo e tu, mio lontano amore, mi torni in

mente... non posso che chiudere gli occhi ed aspettare che l’istante

passi via.

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La chiave

Non chiedermi cosa ho mangiato a cena, dove sono andata sabato

sera, cosa ho visto ieri in TV, cosa ci siamo dette con Ale prima al

telefono, cosa indossavo alla festa di Simone, chi ho incontrato in

centro e chi della mia squadra ha segnato domenica allo stadio. Non

chiedermi cosa ho fatto a lavoro, quale giorno è il compleanno di

Federica e quali progetti abbiamo, quante pagine ha il libro che ho

appena finito di leggere, con che punteggio ho perso il torneo di

tennis e quanto pago di telefono. Non chiedermi quando c’è stato il

concerto di Ligabue, cosa ha cantato e come fa di preciso quella

strofa che mi gira nella testa, se la partita dell’altro giorno a Trivial

l’ho vinta io o Patrizia, se con Paolo devo incontrarmi alle nove

oppure alle dieci...

Non farmi mai queste domande perché mi metteresti in difficoltà, non

saprei come rispondere, potrei confondermi, dire una cosa per

un’altra e la mia memoria sarebbe un computer con i dati

danneggiati, un pesce dentro la boccia di vetro... silenziosa.

Se vuoi delle risposte da me, chiedimi invece se assaporo la tavola

quando sono con la mia famiglia, se di sabato quando alle ore piccole

poso la testa sul cuscino mi rammarico o sono felice di essere uscita,

se la TV è stata in grado di catturarmi, se la telefonata con Ale è

riuscita a colmare il desiderio di parlare con lei, se la festa di Simone

è stata anche la mia festa, se la passeggiata in centro è stata

piacevole e se domenica allo stadio ho giocato la partita dagli spalti.

Chiedimi se a lavoro ho provato e oltrepassato le mie capacità, se

con Federica vivremo insieme il giorno del suo compleanno, se il libro

che ho appena finito di leggere mi ha fatto essere, se la stretta della

mia mano all’avversario era comunque fiera e se il telefono è una

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vera bella invenzione. Chiedimi se il concerto di Ligabue è stata

un’esplosione di musica, immagini ed emozioni, se quando suono

quella strofa che mi gira nella testa mi vengono i brividi, se è stato

avvincente misurarmi con Patrizia a Trivial, se mi batterà ancora il

cuore quando scorgerò Paolo aspettarmi al solito posto...

Solo allora, quando mi farai queste domande, avrai usato la chiave

giusta e scoprirai i miei occhi illuminarsi, sentirai la melodia delle mie

parole e l’acqua traboccherà dalla boccia di vetro, perché la mia

memoria non è fatta di date, luoghi, informazioni...

I miei dati sono semplici sensazioni.

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Uno strano incontro

Con la schiena adagiata sul tronco della grande quercia, Lisa aprì il

vecchio libro di favole che teneva sulle gambe e cominciò a sfogliarlo

lentamente, soffermandosi a guardare le bellissime illustrazioni che

fin da piccola l’avevano affascinata. Aveva sempre amato quel grande

libro e per un attimo ricordò quando, non sapendo ancora leggere,

fantasticava solo sulle immagini e poi ancora quando, con la massima

concentrazione, leggeva lentamente con l’indice che scorreva sulle

righe per non perdere il segno. Ora che erano passati diversi anni e

non era più una bambina, non si stupì nel ritrovare le stesse

sensazioni di allora, solo apparentemente dimenticate: i disegni

avevano ancora lo stesso fascino e le fiabe erano ancora più belle di

come le ricordava. Fu un piacere ritrovarle, come se fossero rimaste

sempre lì ad attenderla pazientemente. Fu facile lasciarsi prendere

dalla voglia di rileggerle, dimenticare il resto ed entrare in un mondo

incantato.

L’usignolo... Il palazzo del principe-drago... I cigni selvatici... La bella

addormentata nel bosco... Il principe Kamar e la principessa Budur...

Il terribile guerriero... Biancaneve... Pollicina... Il dio del fiume... I

musicanti di Brema... Hänsel e Gretel... Il gatto con gli stivali... Pelle

d’asino... Le tre fate... L’acciarino magico... e poi

- E poi ci sono io.

Al suono di quella voce, Lisa sussultò dallo spavento e sollevò lo

sguardo dal libro. In piedi, a pochi passi da lei, si trovava una ragazza

della sua età, dai lunghi capelli biondi e dai lineamenti del viso

estremamente dolci. Aveva un’aria molto familiare, ma anche

continuando a fissarla intensamente, Lisa non riusciva a ricordare

dove l’avesse già incontrata.

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- Davvero non mi riconosci? - l’apostrofò la nuova arrivata, con un

sorriso simpatico dipinto sul viso.

Lisa aggrottò la fronte. - Ci conosciamo già?

- Certo - rispose l’altra con una risata cristallina. Poi sollevò un

braccio e immediatamente un uccellino azzurro le si andò a posare

delicatamente sulla mano.

Lisa non credette ai propri occhi e l’espressione sul suo viso fu

talmente stupita da diventare perfino ridicola. Abbassò lo sguardo sul

libro e voltò pagina. Guardò incredula la figura e poi riportò lo

sguardo sulla ragazza.

- Ma sei... sei...

- Sì.

- Cenerentola?! - esclamò Lisa deglutendo a fatica.

- In persona.

- No, no... dai... ti stai prendendo gioco di me.

- Perché dovrei?

Lisa non rispose e chiuse gli occhi contando ad alta voce fino a tre.

Quando li riaprì la ragazza era ancora lì e, facendo volare via

l’uccellino, le sorrise ancora.

- Credevi che sparissi?

- Be’, avresti dovuto... ora riprovo...

- Fatica sprecata, mia cara - la fermò l’altra. - Se non credi che sia

proprio io, voltati e ne avrai la conferma.

Lentamente Lisa girò il capo e per poco non cacciò un urlo dallo

spavento. A farle capolino da dietro la quercia, c’era niente meno

che... lui, il sogno di tutte le bambine.

- E tu sei...

Il principe sorrise e avanzò. - Lo so, non ho un nome e non sai

quanto me ne rammarico.

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- Io invece non l’ho mai sopportato! Cenerentola è l’unica che abbia

un nome e non mi è mai sembrato giusto!

Lisa si voltò di scatto e strabuzzò gli occhi: accanto a Cenerentola ora

c’era una signora vestita di scuro, con un’espressione sul viso per

nulla incoraggiante.

- La matrigna?! - domandò un po’ incerta.

- Ecco, non vedi come devo sentirmi chiamare? - La donna scosse la

testa indignata. - La matrigna!

- Almeno sei unica e quando si parla di te non c’è dubbio che sia

proprio tu. Pensa cosa dobbiamo provare noi, che siamo in due!

Lisa voltò il capo e vide due ragazze. - Le sorellastre? - chiese con

voce malferma.

- Passi pure per le sorellastre, ma la maggiore e la seconda mi

sembra proprio riduttivo - disse una delle due, avvicinandosi di

qualche passo.

- Se è per questo neanche io ho un nome.

A parlare era stato un uomo di mezza età, dall’aria vagamente

malinconica. Lisa stava per dire qualcosa, ma la matrigna non glielo

permise, dichiarando in tono sprezzante:

- Tu non conti, mio caro marito. In tutta la storia sei decisamente

irrilevante e quindi mi pare giusto che non ti abbiano dato un nome.

- Non è colpa mia se faccio questa parte!

- Una partaccia, visto come ti sei comportato con Cenerentola - lo

rimproverò il principe, serio.

- Non sono stato il solo - si difese l’uomo. - Mia moglie e le mie due

figlie non hanno fatto certo una figura migliore.

- Padre, a quali figlie ti riferisci? - domandò Cenerentola.

- Ma a noi naturalmente! - rispose per lui una delle sorelle. - Non hai

sentito che ha detto due? Se parlava di te avrebbe usato il tuo nome,

visto che ne hai uno.

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- E poi tu sei la santarella della combriccola, quindi non avrebbe mai

potuto parlare così di te - affermò l’altra sorella, con ironia.

- La mia reputazione me la sono guadagnata e a caro prezzo.

- Proprio caro non direi - si intromise la matrigna. - Visto che alla fine

sei stata tu a sposare il principe.

Lisa, sempre più pallida, non poteva fare altro che girare lo sguardo

da un personaggio all’altro, con la gola troppo secca per poter

intervenire.

- Se non ci fosse stata quella storia della scarpetta, l’avremmo

spuntata noi - asserì una delle sorelle.

- Certo - rincarò la seconda. - Il tuo caro principe, pur avendo ballato

con te per tre intere notti, se non fosse stata per la scarpetta, non ti

avrebbe mai riconosciuta. Vedi quanto gli eri rimasta nel cuore!

- Tanto da cercarmi per tutto il regno - affermò Cenerentola. - Non è

vero amore?

- Sì - annuì il principe andandole vicino e stringendola a sé. - Ti avrei

cercata per mari e per monti.

- Se però una delle mie figlie avesse avuto i piedi un pochino più

piccoli, avresti interrotto la ricerca senza pensarci due volte.

- Prima o poi mi sarei accorto che non era la mia Cenerentola.

- Ma sarebbe stato troppo tardi e zak! incastrato con una delle mie

splendide figliole! Poi una volta entrata a corte, una sistemazione per

l’altra l’avrei senz’altro trovata.

- Sei una calcolatrice senza scrupoli! - l’ammonì il marito.

- Ognuno si prende la parte che gli hanno affibbiato e per la mia,

stanne certo, ci ho messo il massimo impegno, quindi non fare il

moralista.

- Mamma ha ragione - disse la sorella maggiore. - Ma anche tu, papà,

non sei stato da meno: compari e scompari con più abilità dell’uomo

ombra.

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- Non ne vado fiero, è vero, ed è per questo che ancora oggi

continuo a sentirmi in colpa nei confronti di Cenerentola.

- Non devi, padre, non ti ho mai portato rancore.

- E ti pareva! - esclamò la seconda sorella. - Abbiamo di fronte la

perfezione fatta persona.

- Cenerentola ha un cuore d’oro e voi dovreste prenderla a esempio -

disse il principe, baciando la sua amata sulla fronte.

- Con un simile paragone è impossibile solo pensare di riuscire

simpatici, quindi tanto vale fare i cattivi - dichiarò la matrigna.

- Però perché solo Cenerentola doveva essere buona - si lamentò una

delle sorelle. - Avremmo potuto essere tutti simpatici... A me non

piace proprio l’espressione sul viso dei bambini quando si parla di noi.

- E i commenti! Ci mancava pure che la Walt Disney ci facesse il film!

- esclamò l’altra sorella. - Senza parlare poi di come mi hanno fatto

brutta, quando nella favola originale mia sorella e io siamo “belle a

vedersi”... è scritto nero su bianco, lo possiamo provare.

- E allora la fatina? - ribatté la matrigna. - Neanche esisteva e invece

l’hanno inventata appositamente con il risultato di fare apparire me

ancora più cattiva e maligna di quanto lo sia veramente.

- Va bene, hanno cambiato un po’ di cose per rendere la storia più

bella - disse il principe.

- Sì, ma hanno solo guardato gli interessi tuoi e di Cenerentola.

Addirittura a te hanno abbuonato le due notti di ballo precedenti a

quella in cui lei ha perso la scarpetta, per non farti fare la figura dello

svampito.

- Per non parlare del trucco della colla - rincarò la sorella più piccola.

- Veramente un’idea degna di un genio quella di spargere di colla le

scale del palazzo per rallentare la corsa di Cenerentola... infatti nel

film l’hanno abolita.

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- Però è servita allo scopo - si difese il principe. - Ho ottenuto la

scarpetta che mi ha permesso di smascherarvi. Inoltre, se proprio

vogliamo parlare di intelligenza, cosa dire della bella pensata di

vostra madre di farvi tagliare il pezzo di piede di troppo, per farlo

entrare nella scarpa? E voi che le avete dato anche retta!

- Era un’idea come un’altra - commentò la matrigna con superficialità.

- E infatti tu, da bravo ingenuo che sei, c’eri cascato in pieno!

- Secondo me invece... - iniziò Lisa, ma quando tutti si voltarono

verso di lei per sentire cosa avesse da dire, l’emozione le fece morire

le parole in gola.

- Coraggio, puoi parlare - la rassicurò Cenerentola.

Lisa deglutì e poi con un lungo respiro, disse: - Secondo me non

dovreste lamentarvi per come siete stati creati, oppure di quello che

avete fatto, anche se può far sorridere. E’ solo grazie a questo che è

stato possibile raggiungere lo scopo. Voi e le vostre decisioni siete

stati solo i mezzi, capite? Insomma, voglio dire, dovreste essere

contenti lo stesso.

- E quale sarebbe questo scopo? - domandò la matrigna guardinga. -

Che l’amore trionfa su tutto?

- Non solo. Vedete, ognuno di voi ha avuto una parte importante, sia

bella o brutta, sia che siate stati buoni o cattivi. Senza gli uni non

avrebbero avuto motivo di esistere gli altri.

- Non ci hai ancora spiegato però qual è stato lo scopo - le rammentò

la sorella maggiore. - Perché non ho sposato io il principe?!

- Perché non sarebbe stato giusto. - Lisa scosse il capo, non riusciva

a trovare le parole adatte per farsi capire. Si morse il labbro e dopo

qualche secondo sorrise. - E’ per questo che esistono le favole,

perché riescono a far capire con la massima semplicità, ciò che nella

vita è più difficile da afferrare.

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- Nella vita reale ci sono persone come noi? - domandò la sorella

minore.

- Altroché! Con la differenza che voi sapete ciò che siete, mentre è

più facile che le persone camuffino il loro essere e soprattutto che

non lo ammettano.

- Vuoi dire che ci sono padri come me?

- E madri e sorelle e amici e amori come voi.

- Ci sono anche delle Cenerentole? - chiese il principe.

Lisa ci rifletté un su, poi scoppiando a ridere ammise: -

Effettivamente sono rare, diciamo che è un miracolo incontrarne una!

- E tu a chi somigli di noi? - domandò dolcemente Cenerentola.

- Io? E’ difficile... ci devo pensare.

Lisa chiuse gli occhi e si concentrò cercando di capire in chi di loro si

riconoscesse, anche solo in parte. Quando un minuto più tardi li

riaprì, rimase un attimo interdetta, perché davanti a lei non c’era più

nessuno. Si guardò intorno disorientata: ma dove erano andati a

finire? Solo quando scorse sull’erba il libro scivolatole dalle mani e

vide il sole scomparire lentamente all’orizzonte, si rese conto che

mentre leggeva si era addormentata e che Cenerentola con la sua

chiassosa compagnia, erano stati solo un sogno.

Alzandosi si stirò pigramente, con le ossa indolenzite per la scomoda

posizione nella quale era stata per tutto quel tempo. Chinandosi

raccolse il libro e stringendolo al petto si avviò lentamente verso

casa, con la sensazione del sogno ancora incredibilmente viva dentro

di sé. Era così reale, si disse, talmente reale che ricordo tutto

chiaramente...

Fermandosi si voltò verso la quercia e anche se sapeva che era solo

frutto della sua immaginazione, le sembrò di vedere i personaggi

della fiaba allontanarsi nella direzione opposta.

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- Ehi! - li chiamò a gran voce, ridendo. - Io sono svampita e ingenua

e anche romantica come il principe… e mi capita di avere certe idee

così sciocche, da far apparire le sue geniali! Ecco chi sono.

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Elenco racconti by StellaRobi

1. Vaniglia

2. La mia porta

3. Il matrimonio

4. Lei che…

5. La chiave

6. Uno strano incontro

 

 

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