BUONGIORNO CAMPO DI FIORI

Preview:

DESCRIPTION

LIBRO FOTOGRAFICO DI ADRIANO SIMONELLA

Citation preview

Ho 12 anni e vivo in campagna, frequento la classe terza e sul registro, accanto al nome di mio padre c’è scritto possidente. Stiamo abbastanza bene, però, spesso mi tocca aiutare mia madre nelle faccende domestiche. A scuola le maestre sono molto severe, e se ci debbono punire, ci fanno vergognare di fronte a tutta la classe.

E’ aprile e molti dei miei compagni non frequentano più la scuola per vari motivi.

Antonio vive lontano, in una zona paludosa che non rende niente, per questo il suo aspetto è così gracile. Suo padre è andato a fare il bracciante, Luigi non viene più perché non ha le scarpe, Maria aiuta la madre che fa la sarta, Mario è partito per l’America e Giovanna fa la domestica. Guerrino non verrà più perché è morto di tifo.

Nella mia classe sono più numerosi i maschi, le tasse per loro sono più basse, e poi, una ragazza deve imparare soprattutto ad essere una donna di casa!

La scuola comincia alle otto, ma io che sono la più grande, mi devo alzare alle sei, prima devo dare a mangiare agli animali (che per fortuna sono nostri), poi, dopo aver aiutato i fratellini e mangiato un pezzo di pane, posso partire.

Certo, una volta arrivati in classe, non faccio certo una bella !gura:pulizia è la parola d’ordine, ma non è facile essere sempre ben puliti e profumati, la fonte è lontana e le brocche pesano.

Anche domani mi prenderò una punizione per via del sudiciume…

Luisa MattettiScuola Elementare Monterubbiano dal 1916 al 1941

98

Dovevo correre più veloce, perché mio padre mi veniva dietro con la pala in mano. La scuola stava ad un chilometro da casa mia, lo so, non è tanto, ma la strada di breccia in salita era faticosa, soprattutto quando mio padre mi correva dietro per darmele di santa ragione. Lui non voleva che andassi a scuola perché la scuola era per i ricchi e gli intellettuali. Lui voleva, piuttosto, che lo aiutassi a lavorare nei campi, perché, tanto, il mio destino era quello.

Ma io ci volevo andare, mi piaceva scrivere, leggere, imparare l’aritmetica e le regioni del regno d’Italia.

Erano le otto e come sempre i miei amici stavano nel cortile della scuola: eravamo sedici e sei di noi erano ripetenti, compreso me.Io, secondo la maestra, ero un asino ma ci mettevo la buona volontà.I compagni più bravi mi schernivano, allora io li picchiavo a sangue,come facevano i miei genitori con me.

C’era chi faceva la spia e allora la maestra mi punì.

Mi fece mettere in ginocchio sopra i ceci e mi dava le botte sulla schiena, ma io non piangevo perché ero abituato alle botte del babbo che erano più forti.

Quando tornai a casa mangiai il mio pezzo di pane e andai a sdraiarmi sull’erba.I campi non erano della mia famiglia, erano di un uomo alto che veniva ogni due mesi a prendere metà del raccolto.

Mi addormentai sul prato col mio quaderno di italiano e quando mi svegliai il sole non c’era più.

Il babbo mi portò a casa, prese il mio quaderno e lo buttò nel fuoco, come tutti gli altri libri e quaderni che già ardevano nel camino, poi mi riempì di lividi.

Da quel giorno non andai più a scuola e questo quaderno è l’unico ricordo di quei giorni spensierati.

Francesco Profumati, Scuola Elementare Monterubbiano dal 1916 al 1941

100

Ogni frazione aveva la sua Scuola Elementare e una parte dell’edi!cio era destinata ad abitazione per la maestra.Nella stessa aula e con la stessa insegnante erano insieme alunni di classi diverse e a volte anche ragazzi di dodici o tredici anni, ripetenti, che continuavano ad essere bocciati !no a quando abbandonavano la scuola per andare al lavoro nei campi o, in qualche caso, ad imparare un mestiere.Un giovane maestro partiva ogni mattina da un paese sull’altro versante della collina. Lasciava la motocicletta vicino alla casa di una famigliache abitava nei pressi del !ume, indossava lunghi stivali di gomma, attraversava l’Aso e, sempre a piedi, andava alla Cuma, una frazione di Monterinaldo, dove insegnava nella Scuola Elementare. Per frequentare la Scuola Media bisognava andarea Montalto. Per tanti che vivevano in campagna diventava faticoso e disagevole percorrere ogni giorno tanta strada a piedi, soprattutto nei mesi invernali. Al mattino non passava il pulmino e le famiglie non avevano ancora la macchina.L’unico modo per continuare gli studi, all’età di undici anni, era andare in collegio dai Frati Salvatoriani e frequentare la scuola pubblica oppure,non sempre per vocazione, entrare in Seminario e sostenere l’esame da privatista alla !ne dell’ultimo anno. La disponibilità di denaro in quelle case era poca e la retta era modesta.

Per le ragazze la strada da fare era spesso solo quella di casa.

Gli italiani sono stati un popolo di emigranti ma non tutti diventarono lo zio d’America che aveva fatto fortuna e in tanti ‘mangiarono pane e disprezzo’come scrive Gian Antonio Stella nel libro L’Ordache ha per sottotitolo quando gli albanesi eravamo noi.

Vi sono raccontate storie commoventi e drammatiche anche di tanti nostri bambini che spesso erano venduti a sfruttatori e girovaghi e che il più delle volte venivano fatti espatriare illegalmente ‘oltre le Alpi e gli oceani’per essere mandati a lavorare nell’inferno delle miniere o delle vetrerie francesi e, i più fortunati, nelle fabbriche e nei cantieri.

Altri nostri piccoli italiani, tanti con meno di dieci anni, facevano i suonatori di organetto a manovella,gli spazzacamini o i mendicanti.

Ragazze, in qualche caso addirittura dodicenni, venivano adescate e ingannate con la promessa di un onesto lavoro e !nivano poi nelle case di tolleranza di mezzo mondo.

116

Vive quel signore che all’apprestarsi di un temporale si recava, ogni volta, al camposanto, sulla tomba della !glia.Era morta bambina sotto le bombe.Apriva l’ombrello e la riparava dalla pioggia.

E vive quell’uomo consapevole che stava vivendo i suoi ultimi giorni.Aveva il sorriso rassegnato del vintola mattina che disse di aver sognato che era guarito.E scelse con a"etto e con cura la fotoper vivere ancora.

Recommended