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Classe dirigente liberale e fascismo a SienaUn caso di continuità
di Daniele Pasquinucci
La storia locale fornisce un osservatorio privilegiato per analizzare le trasformazioni subite dalla società italiana durante il Ventennio. Il presente saggio intende dare un contributo in questa prospettiva, analizzando la composizione di una classe dirigente locale e verificando la capacità degli homines novi di sostituirsi agli esponenti dello stato liberale.Nel caso di Siena la lotta per la conquista dei centri di potere ruota intorno all’amministrazio- ne del Monte dei Paschi. Tradizionale feudo dell’aristocrazia e della grande borghesia senesi, la banca ha sempre esercitato un ruolo decisivo nella vita sociale, politica ed economica della cittadina toscana. Si comprende, quindi, il durissimo scontro sorto negli anni venti per il controllo dell’istituto, perno di un articolato sistema di potere del quale facevano parte anche gli enti di beneficenza, i consorzi agrari, le tradizionali contrade e le altre istituzioni cittadine. Dallo spoglio della stampa locale dell’epoca, dai verbali inediti delle deliberazioni della deputazione amministratrice del Monte e dai documenti dell’Archivio centrale di Stato, emerge con chiarezza l’incapacità dei fascisti di proporre una nuova classe dirigente e l’inesistenza, a Siena, di una frattura nel passaggio dallo stato liberale al regime fascista.
Local history provides an opportune vantage point for analyzing the transformations o f the Italian society underwent during the twenty years o f Fascist rule. The aim o f this essay is to contribute to this view, analyzing the composition o f one local ruling class and verifying the ability o f the homines novi to take the place o f the representatives o f the liberal State.In the case o f Siena, the fight for conquest o f the power centers revolved around the administration o f the Monte dei Paschi bank. The bank, traditional domain o f the Sienese aristocracy and upper middle class, had always played a decisive role in the social, political, and economic life o f the Tuscan citizenry. The fierce struggle for control o f this institution that took place in the 1920s, then, is understandable; the bank played a pivotal role in a distinct power system in which public charities, agrarian societies, traditional districts and other civic institutions all took part. Examination o f the press o f the period, unpublished reports o f the deliberations o f the Monte administrative deputation, and documents in the State’s central archives clearly demonstrates the inability o f the fascists to propose a new ruling class and the nonexistence, in Siena, o f a break in the passage from the liberal State to the fascist regime.
Italia contemporanea”, settembre 1991, n. 184
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Una delle strade che si possono percorrere nel tentativo di dare una risposta al problema della interpretazione del fascismo consiste nell’analizzare la composizione della classe dirigente e le modificazioni che essa subì nel passaggio dallo stato liberale al regime fascista. In questa prospettiva — considerata anche la sostanziale povertà di studi sul fascismo a livello locale — la storia politica e sociale di Siena, pur non potendo essere considerata paradigmatica, offre tuttavia spunti assai interessanti. Il dato che immediatamente balza agli occhi è l’indiscutibile continuità con cui la classe dirigente liberale formatasi agli inizi del secolo resse le sorti di Siena durante il ventennio1. Il percorso storico compiuto in quel periodo dai ceti politicamente dominanti della cittadina toscana può essere letto come lo strenuo e vittorioso sforzo di annientare le leghe economiche socialiste e, successivamente, di infrenare nell’alveo della conservazione la carica potenzialmente rinnovatrice dell’ala più irrequieta del fascismo cittadino, quella sindacale e repubblicana, che si mise in luce soprattutto per velleitarismo e demagogia. Quanto avvenne nel caso senese sembrerebbe perciò confermare le tesi di chi ha voluto mettere in rilievo l’inconsistenza del cosiddetto “fascismo di sinistra”2.
La lotta politica a Siena nel primo dopoguerra
La difesa delle istituzioni. Fu questa la parola d’ordine, proclama incessantemente ri
petuto e allo stesso tempo programma ‘massimo’, attorno al quale si coagularono a Siena tutte le forze politiche moderate in opposizione prima al timore della “marea bolscevica”, ma in realtà alla straripante avanzata elettorale socialista, e poi ai fascisti, giudicati rozzi parvenus della politica.
Emblema di questa vocazione ‘bloccarda’, della testarda salvaguardia delle antiche mura senesi rispetto al nuovo, fu la linea politica espressa dalla sezione locale del partito popolare.
In questo senso è estremamente significativo quanto avvenne nelle elezioni amministrative del 1920.
Comunemente considerate come un fatto di grande importanza per la comprensione del fenomeno fascista3, tale appuntamento elettorale vide, nel comune di Siena, l’alleanza del Partito popolare italiano con i liberali, i radicali, i combattenti e le altre forze politiche e sociali della città al fine di opporsi ai socialisti, i quali erano riusciti a guadagnare la maggioranza in trenta dei trentacinque municipi della provincia.
Alla stregua di quanto avvenne in molte altre località, quindi, anche a Siena i cattolici infransero la linea di rigida intransigenza deliberata dal Consiglio nazionale del partito4, fermamente deciso ad impedire la partecipazione delle sezioni periferiche a quei blocchi moderati che “sotto l’etichetta della difesa dell’ordine si ispira[no] a un programma di reazione, o comunque con- trasta[no] con le legittime aspirazioni o ri-
1 Su questo aspetto si veda, oltre alla stampa locale dell’epoca, la composizione delle varie deputazioni ammini- stratrici del Monte dei Paschi, punto nevralgico nella mappa del potere senese, succedutesi durante il periodo fascista e riportate in Giuliano Catoni, Il Monte dei Paschi di Siena nei due secoli della Deputazione Amministratrice (1786-1986), Siena, Monte dei Paschi, 1986, pp. 63-66.2 Giampiero Carocci, Postilla all’ “Intervista sul fascismo”, in Aa.Vv., Fascismo e capitalismo, a cura di Nicola Tranfaglia, Milano, Feltrinelli, 1976, p. 207.3 Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, voi. V ili, La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l ’avvento del fascismo, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 346.4 Sulla partecipazione dei cattolici ai blocchi: Mario G. Rossi, Da Sturzo a De Gasperi, Roma, Editori Riuniti, 1985, p. 87 e pp. 146-148; Camillo Brezzi, Il cattolicesimo politico in Italia nel ’900, Milano, Teti, 1979, p. 85;
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vendicazioni popolari”5. Un “embrassons nous” che invece “Il Popolo di Siena” — organo di stampa del clero locale — spiegava e giustificava con la necessità “di impedire il deleterio prevalere massimalista che sarebbe morte e rovina di gloriose, benefiche, secolari istituzioni cittadine”6. Erano, non a caso, le stesse preoccupazioni manifestate dai liberali, per i quali “l’occupazione [socialista] dei comuni è molto più pericolosa della scalata degli incompetenti alla Camera dei Deputati”7, visto che ai primi erano legati i servizi pubblici, le opere di beneficenza, la distribuzione degli approvvigionamenti. Di fronte a questo possibile scenario a ben poco valsero i richiami di don Sturzo alla disciplina di partito; il 14 ottobre, a soli dieci giorni dalle elezioni, i popolari stabilirono di prendere parte con i propri candidati alla lista sorta sotto l’egida dell’Anc (Associazione nazionale combattenti) di Siena.
Appare chiaro come il controllo delle istituzioni costituisse una condizione irrinunciabile per il perpetuarsi della struttura sociale e politica esistenti. Ma la difesa di questo delicato assetto istituzionale implicava che l’alleanza tra le varie forze politiche che componevano il variegato spettro dei partiti dell’ordine non fosse solo occasionale, come dimostrano le elezioni politiche del 1921 allorquando popolari e repubblicani presentarono delle liste “aperte”, vale a dire con un numero di candidati inferiori a quello dei deputati da eleggere nella circoscrizione che comprendeva Siena.
Da parte dei cattolici si disse che ciò rispondeva a criteri di umanità, volendo risparmiare delusioni inutili a chi non sarebbe comunque riuscito a farsi eleggere8. In realtà una scelta del genere consentiva agli elettori popolari di assegnare il voto di lista allo scudo crociato e il voto “aggiunto” a uno o due candidati di altri schiera- menti. Essi utilizzarono ampiamente l’opportunità di moltiplicare i voti dei partiti dell’ordine, riversando le proprie preferenze su Gino Sarrocchi, agrario e leader indiscusso dei liberali locali9. Allo stratagemma in atto presero parte anche le autorità governative. Il 9 maggio il prefetto di Grosseto si rivolgeva a quello di Siena perché invitasse il vescovo di Montalcino a suggerire ai fedeli appartenenti alla sua diocesi, ma residenti a Grosseto, di dare il voto aggiunto ai candidati liberali di quella città10.
L’impressione che si ricava da questi avvenimenti è duplice. Da un lato si deve rilevare il verticismo delle scelte politiche, che ci rimanda nuovamente all’importanza del controllo di quegli organismi attraverso i quali era possibile indurre la maggioranza dei cittadini a provare estraneità o indifferenza nei confronti dell’amministrazione della città. Dall’altro va sottolineato come sia la dialettica e lo scontro politico tra i partiti costituzionali, sia le intese che in ultima analisi ne scaturivano rispondessero unicamente ad esigenze di propaganda. Tutto si riduceva a mero esercizio retorico a fronte del quale risalta l’accordo tra i massimi dirigenti dei raggruppamenti uniti dalla medesi-
Hmilio Gentile, Storia del partito fascista (1919-1922). Movimento e milizia, Bari, Laterza, 1989, p. 144; Paul R. Corner, / / fascismo a Ferrara (1915-1925), Roma-Bari, Laterza, 1974, p. 125. s “Il Popolo di Siena”, 10 gennaio 1920.6 Sf, Comunicato del Partito Popolare Italiano. Sezione di Siena, “Il Popolo di Siena”, 16 ottobre 1920.7 Sf, La lotta per le minoranze nelle amministrazioni comunali, “L’Era Nuova”, 24 settembre 1920.8 Sf, Impostazione popolare, “Il Popolo di Siena”, 23 aprile 1921.9 Gino Sarrocchi ottenne più di mille voti aggiunti, di cui ben 122 nel solo comune di Siena.10 Archivio di stato di Siena (da adesso Ass), Gabinetto di prefettura, fase. 174, b. 37.
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ma condizione sociale e magari anche dall’appartenenza alla massoneria, tradizionalmente potentissima a Siena, come vedremo in seguito. La posizione ‘frontista’ assunta da tali partiti politici esprimeva la volontà dei ceti dominanti di difendere i propri privilegi, mentre priva di fondamento è l’ipotesi che essa rappresentasse l’inevitabile mobilitazione a difesa dell’ordine sociale minacciato dai socialisti. Sembra quindi inapplicabile un modello interpretativo sulle origini del fascismo — inteso quale “paladino della borghesia e organizzatore dei ceti medi contro il pericolo bolscevico”11 — che ha riscosso un certo successo in alcuni esponenti della storiografia recente. Il dibattito in sede storica, sviluppatosi attraverso contributi successivi, ha infatti accertato l’inconsistenza della teoria che fa risalire ad una ipotetica “intransigenza socialista” ed al rischio della rivoluzione bolscevica il motivo dell’inasprimento della tensione sociale ed il conseguente avvento dello squadrismo. Del resto a Siena il gruppo dirigente socialista rivelò in più di una circostanza la volontà di mantenere la conflittualità delle masse entro i limiti della legalità. Esemplificativo di questo sforzo fu quanto avvenne nel luglio del 1919, quando a Siena — come in gran parte della penisola12 — scoppiarono dei tumulti dovuti al caro vita.
I dirigenti della Camera del lavoro assunsero un atteggiamento di grande prudenza, evitando di strumentalizzare le agitazioni13. Al contrario essi, nell’evidente tentativo di placare gli animi, avanzarono richieste prive di qualsivoglia valenza rivoluzionaria: il ribasso dei prezzi, un controllo più rigido degli esercenti, la municipalizzazione degli spacci alimentari e l’espropriazione delle ricchezze ingiustamente accumulate durante la guerra14. Ancora più significativo appare l’atteggiamento degli organi direttivi socialisti, nella maggioranza massimalisti, in occasione dello sciopero generale proclamato nell’aprile del 1920 per protesta contro l’eccidio di Decima di Persiceto15. I redattori di “Bandiera Rossa” — giornale della Federazione provinciale del Partito socialista italiano — si affrettarono a tranquillizzare la borghesia cittadina, assicurando che nessun eccesso avrebbe turbato le pacifiche astensioni dal lavoro, poiché “il bel gesto gladiatorio a nulla serve, anzi può dare altri lutti e lacrime” . Nel contempo, con un improvvisato equilibrismo che mette in luce le difficoltà dei dirigenti socialisti di fronte alle spontanee iniziative popolari che essi stessi contribuivano, con un atteggiamento ambiguo, a generare16, si cercava di non contraddire lo stato d’animo esasperato de-
11 E. Gentile, Storia del partito fascista, cit., p. 65. A proposito del dibattito intorno al ‘revisionismo’ storiografi- co sul fascismo si veda, tra gli altri, Aa.Vv., Il fascismo e gli storici oggi, a cura di Jader Jacobelli, Laterza, Bari, 1988.12 Per un quadro generale sulle agitazioni del 1919: Gaetano Salvemini, Le origini del fascismo in Italia. Lezioni di Harvard, Milano, Feltrinelli, 1966, pp. 192-194.13 Le manifestazioni di protesta colsero di sorpresa gli stessi esponenti socialisti. Alla fine di giugno i rappresentanti della Camera del lavoro avevano infatti accettato di far parte di una commissione istituita dal prefetto al fine di evitare l’insurrezione. Ne uscirono subito dopo l’inizio delle dimostrazioni criticandone, significativamente, non la funzione o l’operato, ma la composizione (cfr. Sf, Siena e provincia protestano contro il caro vita, “Bandiera Rossa”, 12 luglio 1919). Sull’assenza, anche a livello nazionale, di ogni iniziativa socialista alle origini dei tumulti annonari del 1919 si veda Roberto Vivarelli, Storia delle origini del fascismo. L ’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma, Bologna, Il Mulino, 1991, vol. I, pp. 447-454.14 Sf, Il nostro comizio contro il caro viveri, “Bandiera Rossa”, 28 giugno 1919.15 Sugli scontri di Decima si veda G. Salvemini, Le origini del fascismo, cit., p. 263.16 Gaetano Arfè, Storia del socialismo italiano (1892-1926), Torino, Einaudi, 1965, pp. 274-286.
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gli scioperanti, asserendo con vena pedagogica che
il momento storico che attraversiamo ha un contenuto essenzialmente rivoluzionario, che sfugge anche all’osservazione di tanti nostri compagni. Molti di questi hanno provato e provano una certa delusione, perché non si è ancora fatta una rivoluzione, perché non si è ancora messo mano alle mitragliatrici, innalzato alla forca, messi alla lanterna i nostri avversari [...] Ma questa sarebbe stata reazione e non rivoluzione: sognare battaglie e spargimenti di sangue voleva dire “non capire cosa significa rivoluzione”17.
Questi episodi gettano un’ombra sulla tesi che vuole il clima politico e sociale di quel tempo irrimediabilmente condizionato ed inquinato dal timore di una rivoluzione alle porte. Piti del bolscevismo gli agrari temevano la diffusione dei principi democratici, 1’ “affermarsi — come ha giustamente messo in evidenza Carla Ronchi Bettarini — di un potere contrattuale organizzato e paritetico tra i contadini”18 e la conseguente politicizzazione delle masse.
Tutto ciò poteva infrangere il rapporto personale ed individuale — fondato sulla subordinazione e non scevro di paternalismo19 — che univa gli agrari ai coloni. La vera ragione della nascita e dello sviluppo del fascismo a Siena va quindi ricercata nella necessità degli agrari di difendere l’assetto sociale ed economico delle campagne.
Nella riunione dell’Associazione fra industriali, commercianti ed esercenti di Siena, tenuta nel dicembre del 1920 (proprio
mentre lo squadrismo iniziava la sua controffensiva), si affrontò il problema del controllo industriale da parte degli operai, sollevato per la prima volta dal gruppo torinese di “Ordine Nuovo”20. I membri dell’associazione si dimostrarono estremamente concilianti.
Se il controllo industriale significava la ripresa del lavoro e della produzione esso era ben accetto; “che venga effettuato questo controllo, con fede e buona fede e noi accoglieremo i nostri operai al nostro banco di lavoro”. Ma questa disponibilità da che cosa derivava se non dall’insussistenza dello sviluppo industriale in provincia di Siena?
Il controllo industriale veniva proprio per questo paragonato strumentalmente (e impropriamente) alla mezzadria, e di ciò si approfittava per accusare di malafede e miopia politica i comunisti, i quali “nel medesimo anno 1920 [...] predicano la mezzadria industriale e tentano di abolire la mezzadria terriera”21.
L’integrità dell’organizzazione mezzadrile era, d’altronde, il necessario pendant all’intangibilità delle istituzioni cittadine.
Attraverso queste ultime l’aristocrazia terriera e la borghesia senesi condizionavano lo sviluppo economico, legandolo inscindibilmente alle fortune dell’agricoltura.
Un ruolo fondamentale nella cristallizzazione dei rapporti di produzione fu svolto dal Monte dei Paschi, — i cui ‘tutori’ appartenevano agli ambienti sociali favoriti dallo
17 Sf, A posto, “Bandiera Rossa”, 7 aprile 1920.18 Carla Ronchi Bettarini, Note sui rapporti fra fascismo “cittadino” e fascismo "agrario” in Toscana, in La Toscana nellTtalia unita. Aspetti e momenti di storia toscana (1861-1945), Firenze, Unione regionale delle province toscane, 1962, p. 335.19 Frank M. Snowden, The fascist revolution in Tuscany (1919-1922), Cambridge University press, 1989, p. 15.20 Fra i numerosi studi su questo argomento si veda Paolo Spriano, L ’ "Ordine Nuovo” e i consigli di fabbrica, Torino, Einaudi, 1971.21 Raz. [5/c], Controlli industriali, “Bollettino dell’Associazione fra Industriali, Commercianti ed Esercenti in Siena”, dicembre 1920.
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status quo —, il quale rifiutò sempre il proprio sostegno agli industriali del distretto22. Ma anche le forze politiche cittadine si opposero all’avvio di un pur limitato processo di industrializzazione. L’assenza di un proletariato urbano emancipato e cosciente rispondeva agli interessi degli agrari e dei fascisti poiché facilitava l’esaltazione della condizione mezzadrile, intesa sia come modello di vita direttamente collegato a valori e vincoli sentimentali tipicamente conservato- ri, sia come ostacolo al diffondersi del pensiero socialista23. Il programma con il quale si insediò la nuova giunta comunale (1923), prevedeva la difesa e lo sviluppo del settore agricolo come unica via per la diffusione di un benessere sempre crescente tra i cittadini. Siena doveva abbandonare il sogno di trovare prosperità e ricchezza nelle industrie, che dovevano trovare collocazione in ambienti più adatti:Ve la immaginate la nostra città, la città dello spirito puro, assediata, soffocata, martoriata da quei grandi stabilimenti di mattone rosso, con i buchi dalle parti, con entro una folla di gente che per la maggior parte è tolta al lavoro utile e assolutamente necessario dei campi? La prosperità e la ricchezza di Siena [...] è nell’agricoltura24.
La sezione senese dell’Anc difese a più riprese la mezzadria, mentre a livello nazionale i combattenti spostavano la loro attenzione verso la cooperazione, intesa come ‘terza via’ tra l’individualismo capitalista e il collettivismo socialista25.
Sull’onda di un consenso sempre maggiore la Federterra di Siena — che nel 1920 era tra le prime d’Italia per numero di aderenti26 — e la Camera del lavoro — che durante il “biennio rosso” incrementò i propri soci da 1.750 a 11.58927 — ottenevano, nel dopoguerra, continue modificazioni dei patti colonici28, mettendo nel contempo in discussione il diritto esclusivo dei proprietari di dirigere l’azienda. Quando a questo si aggiunse il cambiamento delle maggioranze consiliari nei comuni della provincia, al quale corrispose un immediato e notevole aumento delle sovraimposte sui terreni29, gli agrari fecero apertamente ricorso alla violenza fascista.
L’omologazione del fascismo senese
Quanto detto sinora non deve tuttavia indurci a spiegazioni affrettate riguardo al controverso problema dei rapporti tra fascismo e classi sociali.
I proprietari terrieri ebbero indubbiamente una funzione determinante nello sviluppo dello squadrismo e non manifestarono remore nel riconoscerlo esplicitamente30.
Nondimeno appare inadeguato, qualora si voglia analizzare il livello e l’intensità del radicamento sociale del fascismo, identificare semplicisticamente i seguaci di Mussolini con gli agrari e gli squadristi da essi prezzolati. Una volta premessa l’impossi-
22 Archivio storico del Monte dei Paschi di Siena (da adesso abbreviato in Amps), Verbali delle deliberazioni della Deputazione amministratrice, 1920, adunanza del 24 giugno.23 C. Ronchi Bettarini, Note, cit., p. 368.24 Gino dello Rocca, Fra i contadini, “L’Intervenuto”, 10 luglio 1920.25 Giovanni Sabbatucci, I combattenti nel primo dopoguerra, Bari, Laterza, 1974, p. 272.26 Renato Zangheri, Lotte agrarie in Italia. La Federazione nazionale dei Lavoratori della Terra (1901-1926), Milano, Feltrinelli, 1960, p. 404.27 La Confederazione Generale del Lavoro, a cura di Luciana Marchetti, Milano, 1962, pp. 420-421, riportato anche in Aa.Vv., La formazione del partito comunista in Toscana (1919-1923). Elementi di una ricerca, Firenze, Istituto Gramsci, 1981, p. 243, tav. 47.28 Sf, Il patto colonico riformato, “Bandiera Rossa”, 2 agosto 1919.29 Sf, La nostra azione contro le sovrimposte eccessive, “11 Solco”, 3 febbraio 1922.30 Sf, Noi e il fascismo, “Il Solco”, 2 ottobre 1922.
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bilità di decifrare il fenomeno fascista e la sua capacità di aggregare consenso usando chiavi di lettura univoche, è necessario rilevare l’inconsistenza, a Siena, di un supposto fascismo-movimento quale pressione dei ceti medi emergenti che “tendono a fare una rivoluzione”31.
All’ombra della torre del Mangia il fascismo riscosse simpatie e proseliti soprattutto tra i reduci e gli universitari. I primi, tornati dal fronte, conoscevano le inevitabili difficoltà di reinserimento nella vita civile:Mano a mano che la smobilitazione ci ridava alle nostre famiglie, nelle città, nei sobborghi, nelle campagne, abbiamo dovuto notare come negli uffici, nei laboratori, ovunque i sopraggiunti combattenti venivano considerati come i terzi incomodi. Eravamo in ritardo. L’omnibus dell’attività, del lavoro [...] del benessere sociale portava il suo completo32.
La sezione senese delI’Anc fu, unitamente all’ateneo, uno dei due perni attorno ai quali si organizzarono le camicie nere senesi. Per i fascisti locali, dunque, ebbero importanza, più delle classi emergenti, i ceti socialmente spostati o colpiti dalla crisi economica postbellica33. Quanto agli universitari, quasi unicamente provenienti dalle famiglie benestanti, essi erano stati interventisti sin dagli anni del liceo, e vivevano con il problema di giustificare agli altri e a se stessi la guerra34. Il loro peso non diminuì con il trascorrere del tempo, e “La Scure”, foglio del fascio cittadino, alla fine del 1921 ricordava che “il nostro movimento è stato nutrito e animato dalla classe studentesca che ha por
tato a noi lo slancio della propria energia e del proprio intelletto” , mentre la classe borghese cittadina, “cioè quella opaca e miserabile, è stata indifferente al nostro movimento pur risentendone tangibilmente i benefici”35. Non è casuale che si facesse esplicito riferimento alla borghesia “cittadina” . Una delle peculiarità del fascismo locale, infatti, fu proprio la sostanziale estraneità della maggioranza dei senesi alle sorti del nuovo attore sociale e politico. Degli otto segretari federali fascisti che si alternarono sino al 1930, solo due erano senesi, e ressero la federazione per complessivi dieci mesi. Nemmeno i fondatori del fascio di Siena, Manlio Ciliberti, Nazareno Mezzetti, Adolfo Pieri, Giorgio Alberto Chiurco, erano nati nella città toscana. E il fenomeno non riguardava soltanto gli esponenti più in vista. Paolo Cesarmi, che visse di persona quegli anni, ricordava che per le spedizioni punitive da eseguire in città si doveva ricorrere “ai fascisti dell’Armata, che erano picchiatori temuti, o comunque della provincia”36. Dei 123 giovani che componevano la squadra universitaria solo ventitré erano nati dentro le mura. Spesso si trattava di giovanissimi. Dei diciannove avanguardisti mobilitati alla Casa del popolo in occasione della marcia su Roma, il più anziano aveva diciassette anni ed il più giovane era tredicenne37. Rino Daus, primo squadrista a cadere in uno scontro a fuoco con i socialisti, era ventenne. Né mancavano i delinquenti di professione, agganciati al carro fascista nella speranza di godere dell’impunità e della protezione delle forze dell’ordine38. È evidente l’i-
31 Renzo De Felice, Intervista sui fascismo, a cura di M. Ledeen, Bari, Laterza, 1982, p. 32.32 Sf, L ’Intervenuto, “L’intervenuto” , 5 ottobre 1919.33 G. Carocci, Postilla, cit., p. 207.’4 Mario Bracci, Quelli che non marciarono, in ld., Testimonianze su! proprio tempo. Meditazioni, lettere e scritti politici (1943-1958), a cura di Enzo Balocchi e Giovanni Grottanelli de’ Santi, Firenze, La Nuova Italia, 1981, p. 475.35 Sf, Il nostro movimento per i contadini, “La Scure”, 11 settembre 1921.36 Paolo Cesarini, Italiani cacciate il tiranno, ovvero Maccari e dintorni, Milano, Editoriale Nuova, 1978, p. 142.37 Giorgio Alberto Chiurco, Storia della rivoluzione fascista (1919-1922), Firenze, Vallecchi, 1929, vol. I, p. 335.38 Archivio centrale di stato (da adesso Acs. I documenti dell’Acs sono stati consultati, in copia, presso l’Istituto storico della Resistenza in Toscana, a Firenze), Div. aa.gg. e rr., Siena, 1921, cat. G l, b. 86 A.
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nopportunità di ridurre il fascismo a intermezzo tragicomico messo in scena da sbandati, studenti esaltati e rifiuti di ogni ceto sociale39. Le classi medie non furono mai terreno di conquista per le ‘idealità’ fasciste. Esse, semmai, rimasero sempre sotto il controllo della classe dirigente liberale. Ecco l’importanza del controllo di istituti come il Monte dei Paschi; essa andava al di là dell’aspetto economico, pure non secondario. La vera forza delle ‘conventicole’ borghesi ed aristocratiche stava nella sostanziale acquiescenza — se non nel vero e proprio disinteresse — dei senesi nei confronti del loro operato. E questo stanco consenso, che politicamente si esprimeva nel favore accordato ai raggruppamenti politici tradizionali, meno dinamici ed aperti al nuovo (come dimostrano i risultati elettorali, che premieranno i liberali perfino nel 1924), non lo si otteneva casualmente, ma proprio manovrando le banche e gli altri organismi sociali, economici e culturali di cui Siena era ricchissima.
Gli enti di beneficenza, gli istituti per le case popolari, i consorzi agrari, rimarranno per tutti gli anni venti nelle mani delle classi abbienti. Persino le contrade, spesso scambiate superficialmente per semplici manifestazioni del folklore locale, erano parte integrante di un collaudato sistema di controllo sociale informale, attraverso il quale si condizionavano i comportamenti individuali, incoraggiando certi atteggiamenti ed impedendone altri. Come è stato notato, uno dei successi del regime fu proprio la costru
zione di un capillare sistema di controllo sociale, quale strumento di prevenzione e repressione del dissenso40. Nella città toscana questo era preesistente all’avvento degli uomini del duce, ed essi non riuscirono mai a sottrarne il comando alle famiglie nobili. Le conseguenze di ciò si rivelavano nel pavido silenzio del ceto medio, nel
borghesuccio senese liberal monarchico, pitocco, avaro, eternamente in malafede [...] che vive abbarbicato al passato e ai suoi dogmi, sapendo di aver potenza solo nell’ombra, sotto la vigile protezione del prete o del gran trentatré41.
Fu proprio grazie all’amministrazione di questi organismi ramificati nel tessuto della città che i liberali senesi poterono superare l’ostacolo costituito dalla mancanza di un partito borghese modernamente organizzato, mentre in altre località ciò impedì loro di misurarsi con i partiti di massa emergenti42.
A Reggio Emilia, per esemplificare, la nascita del partito popolare significò la dissoluzione del blocco agrario43. A Siena abbiamo invece visto come i cattolici si schierarono con i partiti moderati e conservatori, mentre l’importanza dei sindacati bianchi era del tutto irrilevante44.
Quanto all’ipotesi di un supposto fascismo-movimento (da distinguere dal fascismo-regime) come autonomo e spontaneo strumento dei ceti medi emergenti desiderosi di proporsi come protagonisti della vita politica45, vale, nel caso in questione, quanto è già stato detto a proposito del limitatissimo
39 E.[nzo] R.[onconi], Storiografia, industria culturale e incontri generazionali: il fascismo rivisitato, “In/forraa- zione”, anno II, maggio 1983.40 E. R.[onconi], Storiografia, cit.41 Sf, Siena bacata, “Il Selvaggio”, 26 gennaio 1924.42 Nicola Tranfaglia, Dallo Stato liberale al regime fascista, Milano, Feltrinelli, 1981,p. 129.43 Rolando Cavandoli, Le origini del fascismo a Reggio Emilia (1919-1923), Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 37- 39.44 Sf, Parole di sincerità, “Il Popolo di Siena”, 3 aprile 1920.45 R. De Felice, Intervista sul fascismo, cit., p. 30.
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margine di iniziativa politica di cui tali classi disponevano46. Se scorriamo la lista elettorale fascista per le amministrative del 1923, notiamo che quasi i tre quarti dei candidati appartenevano alla grande borghesia imprenditoriale e commerciale della città e all’aristocrazia terriera47.
Non si può non tener conto, inoltre, di due fattori fondamentali qualora si analizzi il comportamento dei ceti medi. Innanzitutto la loro stretta dipendenza da un quadro economico e finanziario le cui linee di sviluppo erano orientate dai gruppi politica- mente dominanti. Questa subordinazione causava, per di più, difficoltà insuperabili per ciò che concerneva la loro capacità associativa e quindi il loro potere sindacale48. L’assetto economico e sociale della città era condizionato, già allora, dalla presenza di un terziario abbastanza sviluppato, il cui riferimento naturale era rappresentato dal Monte dei Paschi. Nel 1920 a Siena si costituì una sezione della Federazione nazionale bancari, alla quale aderirono gli impiegati di tutti gli istituti di credito. Ne rimasero esclusi i dipendenti del Monte, per fermo proposito dei dirigenti della banca49. Tra le varie conseguenze della debolezza sindacale dei dipendenti del Monte ve ne sono due sulle quali vale la pena di soffermarsi. Nel 1922 tutti gli istituti bancari di Siena adottarono il cosiddetto “sabato inglese” , cioè festivo. Ancora una volta fece eccezione il Monte. Gli impiegati delle banche che avevano deciso di chiudere gli sportelli per il fine settimana si ritennero, giustamente, danneggiati, poiché nel giorno in questione la banca concorrente monopolizzava le operazioni di cre
dito. Per questo protestarono, riversandosi in massa negli ampi saloni di piazza Salim- beni, sede della banca50. Del problema si interessò anche il sindacato bancari fascista, il quale, richiamandosi ai deliberati della Confederazione delle corporazioni sindacali, invitò la deputazione amministratrice a mettersi in linea con le altre banche. Ma ancora una volta i desideri dei sindacati fascisti furono ignorati dai dirigenti e la richiesta venne respinta51. Nel 1926 la riforma del ruolo organico (di cui si interessò anche Edmondo Rossoni, segretario generale della Confederazione delle corporazioni fasciste) causò delle frizioni fra la direzione dell’istituto e la federazione provinciale dei sindacati fascisti, irritata dalla lentezza con cui procedevano i lavori della commissione incaricata della riforma52. A ciò si deve aggiungere il sorgere della vertenza per l’approvazione del regolamento disciplinare. Ratiglia, segretario provinciale delle corporazioni sindacali, ammise, di fronte ai deputati amministratori del Monte, di essere stato sconfitto. Quando poi lasciò intravedere la possibilità che la gestione del conflitto sindacale — trascinatosi per più di un anno — fosse tolta ai sindacati locali per essere demandata a Roma, la direzione risposte causticamente di non chiedere di meglio, dato che così la questione sarebbe stata risolta senza le pressioni locali53.
Il fascismo fu un efficace antidoto ai ‘virus’ socialista propagatosi nelle campagne. Del tutto improprio, invece, è interpretarlo come forza capace di proporsi autonomamente quale espressione e forma politica delle aspirazioni palingenetiche di quei ceti socialmente schiacciati tra aristocrazia, bor-
46 G. Quazza, Antifascismo, cit., p. 46.47 “La Fiamma” , 8 aprile 1923.48 G. Quazza, Antifascismo, cit., p. 46.49 Sf, Una sezione della federazione bancari, “L’Intervenuto” , 31 gennaio 1920.50 Amps, Verbali, à i., 1922, adunanza dell’8 giugno.51 Amps, Verbali, cit., 1924, adunanza del 29 febbraio.52 Amps, Verbali, cit., 1926, adunanza del 27 ottobre.53 Amps, Verbali, cit., 1926, adunanza del 24 novembre.
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ghesia e proletariato. Non si spiegherebbe, altrimenti, l’assoluta latitanza — come riconoscevano gli stessi fascisti — di un qualsivoglia indirizzo politico:
Forse sarà qualche cosa di realmente esistente, qualche cosa di particolarmente atto a determinati fini, ma Fumile gregario non è informato né sa nulla attorno a sé che promani dal partito, si domanda se questo si chiami appunto costruire54.
Una volta vinte le leghe socialiste la ragnatela delle vecchie camarille senesi soffocò facilmente anche l’ardore delle camicie nere. Con espedienti diversi si riuscì ben presto a rendere il fascismo cittadino incapace di restare forza estranea ai capillari sistemi di potere consolidati e di evitare l’abbraccio mortale delle consorterie nobiliari e borghesi, avvinte dal comune desiderio di appiattire ogni forma di vitalità, di ricondurre qualunque ribellione alla normalità. A questo scopo si ricorse all’infiltrazione di personaggi di antica e provata fede liberalmonarchica nel fascio di Siena e nella federazione provinciale, per normalizzarne i quadri dirigenti; alla corruzione di quell’esiguo numero di fascisti che riuscirono a farsi largo nella corsa ai gangli vitali della comunità senese; all’emarginazione dalla vita politica dei membri più combattivi dell’ala intransigente. Tra questi, due figure si distinsero su tutte: Giorgio Alberto Chiurco, gerarca e autore della Storia della rivoluzione fascista, ricostruzione tanto minuziosa quanto inattendibile dell’avvento di Mussolini55, e Mino Maccari, ideatore del “Selvaggio” e della corrente di “Strapaese” , una delle poche iniziative culturali interessanti di quel periodo.
Le spedizioni punitive delle camicie nere furono finanziate ed incoraggiate dai lati- fondisti56; ma quando l’obiettivo degli squa
dristi si fece più ambizioso, contemplando anche la possibilità di partecipare all’ammi- nistrazione della città, quegli stessi proprietari terrieri volsero loro le spalle. Lo scontro durissimo determinatosi nel 1921 tra la Camera del lavoro fascista guidata da Chiurco e Nazareno Mezzetti — ex socialista riformista, quindi interventista e combattente, in quel periodo ispettore del Monte e fondatore del giornale della sezione dell’Anc, “L’Intervenuto” — e gli agrari, dovuto al rifiuto di questi ultimi di collaborare fattivamente alla risoluzione del drammatico problema della disoccupazione agricola che intaccava la provincia, fu uno dei due versanti dai quali si dispiegò l’attacco concentrico contro la pretesa dei fascisti di partecipare alla gestione della cosa pubblica. L’opposizione nei loro confronti ci rimanda dunque al punto di partenza, vale a dire ai delicati equilibri che sorreggevano l’amministrazione delle istituzioni cittadine. L’immissione in forza di individui formatisi politicamente al di fuori degli schemi consueti e prevalenti all’epoca, difficilmente controllabili specie nelle frange più estremistiche, rischiava di ledere irreparabilmente la fitta trama di interessi faticosamente costruita sino allora. A tale proposito da non sottovalutare è il rilievo che ebbe, nel primo fascismo senese, la corrente repubblicana che faceva capo proprio a Mezzetti, nei cui confronti si scagliò la stampa liberalmonarchica cittadina. A ciò si aggiunga poi un aspetto solo apparentemente secondario, vale a dire il disprezzo dei ceti altolocati nei confronti della ‘manovalanza’ fascista e dei suoi gerarchi, rozzi provinciali, privi di istruzione e preparazione politica, generalmente ambiziosi e ossessionati dal rancore verso le classi agiate e colte57.
L’organizzazione che unificava la classe
54 Sf, L ’attività culturale del fascismo, “Il Selvaggio” , 23 marzo 1925.55 Luisa Passerini, Mussolini immaginario, Bari, Laterza, 1991, p. 120.56 G.A. Chiurco, Storia, cit., vol. IV, p. 89.57 Adrian Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Bari, Laterza, 1974, p. 275.
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borghese era la massoneria58. A Siena essa ebbe, durante tutto il periodo in esame, un considerevole potere d’interdizione. Un ruolo fondamentale nella composizione della lista radicale presentata a Siena per le prime elezioni del dopoguerra fu svolto dal venerabile maestro della loggia Battisti, Ruggero Favre. Nella lista figuravano Guglielmo Duranti, maestro della loggia aretina, e poi Arturo Luzzatto e Achille Sciavo, entrambi legati alla massoneria59. La presenza della “Fratellanza universale” si fece ancora più ingombrante nell’agone elettorale di due anni dopo, caratterizzato dalla presenza dei “blocchi nazionali”. Nel complesso, come rileva Renzo De Felice60, la costituzione di questi raggruppamenti non incontrò difficoltà serie, se si escludono alcuni casi particolari. Anche nel collegio che univa Siena ad Arezzo e Grosseto il felice esito delle trattative tra i “partiti dell’ordine” fu minacciato. L’ostacolo era rappresentato dalla volontà di Arturo Luzzatto e Alberto La Pegna di far parte del blocco, quali candidati del partito radicale. I liberali, i fascisti e i combattenti aretini furono i primi a prendere una posizione ostile nei loro confronto, a causa del “nittismo” di cui si erano macchiati i due deputati uscenti. Ciononostante la sezione valdarnese del partito radicale insisteva sul nome di Luzzatto61 e quella senese su La Pegna. Il 14 aprile si tenne un’importante riunione nella sede dell’Anc di Siena, tra le varie organizzazioni ed associazioni politiche interessate alla composizione della lista62. Al centro della discussione, naturalmente, i due nomi anzidetti. I più decisi a negar loro accoglienza si dimostrarono nuo
vamente i delegati aretini, che ben conoscevano Luzzatto e le sue trame poco limpide. Serafini, per i fasci d’Arezzo, dichiarò che il proposito principale del rassemblement in via di formazione era quello di evitare il ritorno di 156 deputati socialisti in Parlamento; pur- tuttavia non si poteva scordare l’altrettanto impellente dovere di rigenerare la vita politica della nazione, eliminando gli esponenti più compromessi del nittismo e dell’affarismo. Gino Sarrocchi, con un coup de théâtre tipico dell’uomo, abbandonò l’adunanza adducen- do motivi di correttezza, asserendo di non poter interloquire sui nomi da candidare poiché parte in causa. In realtà il leader del liberalismo senese non intendeva farsi coinvolgere in una decisione che si andava chiaramente delineando, cioè l’ostracismo verso i due radicali. Essa poteva avere, infatti, delle conseguenze di grande rilievo. Prima fra tutte la rinuncia alle risorse finanziarie di Luzzatto, che potevano risultare estremamente utili in una campagna elettorale lunga e dispendiosa come quella che si andava ad affrontare. Ma con la loro esclusione si profilava un rischio assai maggiore: la possibilità che si lacerasse irreparabilmente quella fitta rete di amicizie, connivenze, interessi che univa — anche nel nome della comune obbedienza al Grande architetto dell’universo — la borghesia e l’aristocrazia senesi.
Estremamente indicativo, a tale proposito, è il comportamento del Monte dei Paschi. Quando Sarrocchi tolse il veto all’inserimento di Luzzatto nel blocco — “con molta sorpresa di amici e pubblico”, come scrisse “Il Corriere della Sera” (La Pegna restò fuori dal giro per volontà di Giovanni Giolitti63) — la
58 Antonio Gramsci, Quaderni daI carcere, Torino, Einaudi, 1977, voi. Ili, quaderno 19, pp. 2075-2076; concetto ripreso da Paimiro Togliatti, Lezioni sul fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1970, p. 171.59 Sf, La composizione della lista massonica, “La Vedetta Senese” , 18-19 ottobre 1919.60 R. De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere (1921-1925), Torino, Einaudi, 1966, p. 81.61 IvoBiagianti, Sviluppo industriale e lotte sociali nel Valdarno Superiore (1860-1922), Firenze, Olschki, 1984, p. 388.62 Sf, L ’adunanza elettorale di ieri sera. I democratici si allontanano, “La Vedetta Senese” , 15 aprile 1921.63 Sf, Isocialisti e la partecipazione al voto. Le sorprese della lista. Un ’ecatombe di Deputati, “Il Corriere della Sera” , 24 aprile 1921.
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banca senese dette il proprio beneplacito all’operazione con le modalità più consone ad un istituto bancario, vale a dire accettando la domanda di dilazione presentata dalla società Ilva — alle cui sorti era legato il deputato radicale — per il pagamento dei suoi debiti64. D’altronde fu proprio un organo di stampa liberale, “Il Dovere” di Arezzo, ad accusare i partiti costituzionali e Sarrocchi di non aver saputo svincolarsi da trame poco chiare65.
Il fascismo, fagocitato dalle vecchie consorterie, non seppe opporsi efficacemente all’influenza della massoneria nella vita politica senese. Dopo l’uccisione del deputato fascista Armando Casalini, avvenuta il 12 settembre 1924, in tutta Italia le logge furono invase e devastate66. A Siena il corteo fascista formato per protestare contro l’omicidio del parlamentare passò davanti alla loggia massonica lasciandola intatta67. Il motivo di tanto rispetto, come denunciavano i Selvaggi di Colle Val d’Elsa, la corrente più intransigente del fascismo, era semplice. A Sienail fascismo è rimorchiato da una decina di “pezzi grossi” che hanno nelle loro mani i più importanti uffici e le cariche più influenti, che si valgono di vecchie amicizie e parentele, che fanno i filofascisti per poi fregarci secondo le direttive di Palazzo Giustiziani68.
La centralità del Monte dei Paschi
Tra le varie istituzioni un capitolo a parte merita il Monte dei Paschi, per il peso che ebbe nella vita sociale ed economica e per il
ruolo centrale da esso svolto nella cristallizzazione del sistema politico, governato, volendo usare una felice immagine assurta recentemente agli onori della cronaca, dagli uomini dell’ “eterno presente” . La storia della banca senese nel ventennio si riallaccia indissolubilmente alla figura del suo massimo dirigente, il provveditore Alfredo Bruchi, un avvocato grossetano stabilitosi a Siena, dove il padre aveva uno studio legale69. Egli riuscì a dominare, dall’alto della sua carica, gli eventi dell’epoca, amministrando le risorse della banca con criteri spesso poco trasparenti, ma comunque indirizzando sempre le proprie energie alla difesa degli interessi dei suoi protettori. Le famiglie nobili, monarchiche, benestanti, pur di inserire un uomo fedele alla guida dell’istituto non avevano esitato a provocare, nel 1916, l’allontanamento dell’allora provveditore Giuseppe Sonaglia, ex direttore della Cassa di risparmio di Parma70, a cui, nello stesso anno, seguirono le dimissioni della giunta comunale (che si trovò divisa sui criteri da adottare per procedere ad una nuova nomina) e poi l’annullamento del concorso attraverso il quale si era giunti ad una prima selezione dei candidati. Bruchi venne finalmente eletto nel 1917; in più di una circostanza l’avvocato grossetano ebbe modo di dimostrare la sua riconoscenza per chi lo aveva patrocinato.
Nell’immediato dopoguerra la situazione economica a Siena e nei comuni limitrofi era estremamente precaria. La popolazione disponeva di redditi molto bassi, insufficienti per fronteggiare il costante aumento dei prezzi di tutte le merci. Dalle relazioni stati-
64 Amps, Verbali, cit., 1921, adunanza del 28 giugno.65 Sf, Una lettera dell’On. Sarrocchi, “La Fiamma”, 31 dicembre 1921.66 R. De Felice, Mussolini il fascista, cit., p. 676.67 Sf, Perché?, “Il Selvaggio”, 9 ottobre 1924.68 A. [s/c] Nepi, A che gioco si gioca, “Il Selvaggio”, 9 ottobre 1924.69 G. Catoni, Bruchi, Alfredo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. XIV, Roma, Istituto Enciclopedia Italiana, 1972.70 Salvatore Donatini, ...Nel campo di Siena, 29 ottobre 1922, p. 72.
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stiche annuali per il 1918 e 1919 stilate dal segretario della Camera di commercio Cesare Tommi, si evince che tale aumento, iniziato già negli anni precedenti, toccò vette elevatissime, interessando i generi alimentari di prima necessità, i tessuti, il vasellame, gli arnesi da lavoro, le scarpe, i cotoni, le lane. AlPinizio del 1918 parve, per un breve lasso di tempo, che la commissione annonaria, alla quale spettava il compito di provvedere all’approvvigionamento e alla distribuzione delle merci, oltre che di fissare un calmiere dei prezzi, stesse operando efficacemente per tutelare gli interessi dei consumatori. Si trattava di un’illusione. All’inizio di settembre si verificò una nuova improvvisa accelerazione dei prezzi71. Le conseguenze furono avvertite esclusivamente dalle classi più deboli. Dall’altra parte i grandi proprietari terrieri e la borghesia cittadina seppero invece districarsi abilmente in più di un’occasione, sfruttando al meglio l’anarchia che regnava in campo economico durante la guerra. Più di un elemento ci induce a ritenere che da questa situazione di emergenza i due gruppi riuscissero a trarre benefici inaspettati, forse maggiori che in tempo di pace. Un esempio indicativo, al fine di comprendere la capacità speculativa di certi settori della società senese, fu il rapidissimo e apparentemente ingiustificato rialzo del prezzo dei bovini72. È curioso, e allo stesso tempo illuminante, notare come il segretario della Camera di commercio, di fronte ai rappresentanti dei commercianti, degli enti e delle associazioni interessati, ol
treché delle autorità, affermasse nella relazione del 1918 che “le ragioni intime di tale aumento ci sfuggivano. Questo provocò un guadagno, per quanto effimero, per i possidenti terrieri, che videro aumentare il valore del proprio patrimonio”. In un appunto allegato alla relazione, e presumibilmente scritto da Tommi stesso (ma non inseritovi e perciò rimasto sconosciuto) si rilevava invece amaramente che gli aumenti del prezzo dei bovini da lavoro, uniti a quelli della frutta e delle ortaglie,erano dovuti al desiderio smodato di guadagni che ha invaso le classi agricole, mai infrenate da disposizioni governative. Il rialzo dei prezzi [...] è dovuto all’ingordigia dei produttori, che non sanno trovare altre scuse al loro operato se non quella che vogliono essere messi in grado, coi maggiori guadagni, di supplire agli aumenti degli arnesi da lavoro, del vestiario, eccetera73.
Quello che era evidente agli occhi di tutti, e cioè una sperequazione crescente nella distribuzione del reddito, con una concentrazione della ricchezza nelle mani di una cerchia ristretta di persone, non poteva certo essere negato. E così nella stessa relazione si affermava, con una prosa che denuncia l’inconsapevolezza della gravità di una simile affermazione: “Tutto ciò sta a dimostrare che se molti ebbero a soffrire, a altri non mancò di utilizzare il denaro guadagnato, sia pensando al presente sia pensando all’avvenire” . Nel frattempo crescevano la rabbia e il malcontento della popolazione senese contro il carovita, che culmineranno nella rivolta del luglio 1919 con l’invasione di nego-
71 11 pane aumentò da cinque a undici centesimi al chilo, a seconda della qualità e della forma; il costo della carne di manzo ebbe un incremento, tra gennaio e novembre, di lire 1,50 al chilo; la farina tra settembre e novembre aumentò di tre centesimi. Nello stesso periodo anche il burro passò da 7,20 a 9,50 lire al chilo. La stessa sorte subirono la carne di agnello, di suino, lo zucchero e il latte. In misura ancora maggiore si gonfiarono, ovviamente, i prezzi delle merci non incluse nel calmiere ma sottoposte al libero gioco di mercato.72 Nel giro di soli tre mesi, da luglio a settembre, i bovini passarono da 2.900-3.000 lire per coppia a 14.000-15.000 lire, provocando una crescita enorme e artificiosa del valore del patrimonio dei proprietari e, conseguentemente, della loro capacità di ottenere credito dagli istituti bancari.73 Ass, Camera di commercio e industria, 1919, fase. n. 248, sez. Ili - serie I - cat. Il, Relazione statistica annuale 1918.
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zi di generi alimentari, di bar, caffè, pasticcerie, allo scopo di trafugarne la mercanzia.
La storia dell’Ente autonomo dei consumi, organismo sorto allo scopo di placare gli animi esasperati, e che finì poi per divenire ingombrante e fastidioso per i commercianti senesi, è esemplificativa riguardo al viluppo di interessi che univano grande borghesia e nobiltà, autorità cittadine e istituti bancari, con particolare riferimento al Monte dei Paschi. Costituito nell’ottobre del 1916, sull’esempio di consorzi simili esistenti in Emilia Romagna, l’ente autonomo aveva il compito di acquistare e produrre generi di prima necessità e di consumo quotidiano per distribuirli nel senese74. Ne facevano parte l’amministrazione provinciale, il comune di Siena, gli altri comuni della provincia e l’associazione consumatori. Il regolamento dell’ente stabiliva che per gli acquisti di merce si sarebbe avuto cura di eliminare la speculazione degli intermediari, avvicinandosi alla fonte diretta della produzione75. Presidente del consorzio fu nominato l’avvocato Salvatore Donatini, che ne conosceva il funzionamento, avendo avuto modo di studiare quello di Bologna. Socialista, in passato corrispondente dell’ “Avanti!”, amico personale di Mussolini76, Donatini aveva accettato l’incarico dopo alcune resistenze, essendo ben conscio delle difficoltà che avrebbe incontrato. In breve tempo l’ente ottenne il plauso e l’encomio dei cittadini, sollevando però la reazione degli esercenti, i quali furono appoggiati dall’influentissimo segretario comunale Enrico Stiatti77. Questi si trovava alla guida della
Commissione annonaria dal settembre 1918, e rappresentava il trait d ’union tra i grandi commercianti e l’amministrazione comunale. Stiatti cercò in ogni modo di ostacolare l’ente, poiché impediva alla grande borghesia commerciale di prosperare sullo stato di necessità. E lo fece con il sostegno interessato di Bruchi, il quale, sfruttando l’enorme forza finanziaria della banca che presiedeva, si adoperò fattivamente perché fallisse questa iniziativa, pericolosa per le consorterie senesi. Simulando di voler far finanziare la ‘creatura’ di Donatini dal Monte, Bruchi non solo si frappose alla concessione di finanziamenti da parte della sua banca, ma impedì persino che fossero eseguite operazioni di sconto a favore del consorzio presso altri istituti. A più riprese Bruchi negò di aver voluto scientemente danneggiare l’ente. Tuttavia non si può non rilevare la disparità di trattamento tra l’organismo suddetto, al quale fu concessa una fideiussione sino alla concorrenza di165.000 lire, e il Consorzio provinciale senese di approvvigionamento, di cui era presidente Mario Bianchi Bandinelli (membro anche della deputazione amministratrice), che potè usufruire dell’apertura di un conto corrente per l’enorme somma di cinque milioni di lire78, alla quale si doveva far fronte a metà tra la sezione cassa di risparmio del Monte e la filiale di Siena del Banco di Roma.
Le prime avvisaglie delle difficoltà a cui sarebbe andato incontro l’ente autonomo si ebbero già nel marzo 1918, ma Donatini riteneva che le voci sulla solidità dell’organismo fossero solo insinuazioni malevole arta-
74 Biblioteca comunale degli Intronati di Siena (da adesso Bei), Ente Autonomo dei Consumi. Statuto.75 Bei, Ente Autonomo dei Consumi. Regolamento.76 R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920), Torino, Einaudi, 1965, p. 34.ll Per comprendere il rilievo che ebbe questa figura a Siena, basti pensare che Mino Maccari e gli altri fascisti intransigenti, rispondendo con vena polemicamente ironica a chi sosteneva l’inutilità di un ras a Siena, affermarono che di ras nella cittadina toscana ne esistevano già quattro: Bruchi, Fragnito, rettore dell’università, D’Ormea, direttore del manicomio e, appunto, Stiatti: cfr. Sf, 4 punti interrogativi, “Il Selvaggio”, 9 settembre 1924.78 Amps, Verbali, cit., 1918, adunanza del 29 marzo.
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tamente messe in circolazione79. In effetti solo due mesi prima i deputati amministratori del Monte avevano potuto ascoltare la relazione dei sindaci revisori con la quale si constatava la perfetta corrispondenza tra le partite di attivo e di passivo, offrendo a Bruchi la prima opportunità di respingere le voci di una sua opera di sabotaggio, che già si andavano diffondendo80. Il fallimento dell’ente si stava tuttavia avvicinando con velocità sbalorditiva. Nel novembre dello stesso anno i tre sindaci revisori presentarono in blocco le dimissioni, ed un mese dopo il provveditore dava lettura dei risultati del controllo sulla gestione del consorzio, eseguito dagli incaricati dei principali enti che avevano prestato garanzia. Da esso emergeva una perdita di centomila lire, e il provveditore propose che gli spacci creati per vendere la merce dell’ente autonomo fossero assunti per intero dal comune81. Nell’ottobre del 1919 si verifica il fallimento e l’anno successivo viene aperta un’inchiesta sull’ente82. La commissione incaricata di accertare le ragioni del crack, e le eventuali responsabilità degli amministratori, fu abilmente manipolata da Bruchi83, preoccupato di occultare le responsabilità di Stiatti e quelle dell’avvocato Lino Bindi, la cui gestione era succeduta a quella di Donatini nella seconda metà del 1918. L’obiettivo di Bruchi era proprio Donatini, un personaggio scomodo per le camarille senesi in quanto a conoscenza dei retroscena più nascosti e dei legami tra istituzioni pubbliche e grandi famiglie84.
Da questi eventi trasse vantaggio la Commissione annonaria di Stiatti, istituita con
decreto luogotenenziale nel maggio 1917. La commissione sin dall’inizio — nel periodo, cioè, in cui era stata presieduta dal sindaco, Emanuello Pannocchieschi d’Elci — aveva mostrato tutta la sua incapacità nel tenere a bada i prezzi85. La pressione dei commercianti senesi sull’annona era dunque notevole, e l’impossibilità di limitarla è testimoniata dalla quantità innumerevole di manifesti, riportanti le successive modificazioni al calmiere, che coprivano i muri delle vie cittadine.
Intanto gli affari dei grandi commercianti prosperavano, e lo facevano con l’aiuto puntuale del Monte dei Paschi e della Commissione annonaria. Bruchi fece molto per sostenere Stiatti e gli interessi che rappresentava, concedendo l’apertura di un conto corrente di un milione di lire per l’approvvigionamento dell’olio86, ed un altro di centomila lire per la distribuzione di burro, salumi e petrolio87, tutti beni di cui poi non si vedevano tracce nelle rivendite; quindi accese un conto corrente di tre milioni e mezzo per l’acquisto di grano ed elargì un contributo di trentamila lire per aiutare il comune a sostenere l’onere della somministrazione di pane a prezzo di favore per le famiglie povere88. Successivamente si arrivò a chiedere che quest’ultimo contributo venisse destinato dalla banca non specificamente a tale destinazione, ma a quella più comprensiva di “servizi annonari in genere” , per agire con le mani più libere e senza l’obbligo di dovere rendere conto con precisione dell’utilizzo del denaro concesso89.
79 Lettera di Salvatore Donatini, “La Vedetta Senese” , 9-10 marzo 1918.80 Amps, Verbali, cit., 1918, adunanza del 23 marzo.81 Amps, Verbali, cit., 1918, adunanza del 23 dicembre.82 Amps, Verbali, cit., 1920, adunanza del 3 gennaio.83 S. Donatini, ...Nel campo di Siena, cit., p. 53.84 S. Donatini, ...Nel campo di Siena, cit., p. 66.85 “Il Libero Cittadino”, 1 giugno 1918.86 Amps, Verbali, cit., 1918, adunanza del 13 febbraio.8‘ Amps, Verbali, cit., 1918, adunanza del 9 aprile.88 Amps, Verbali, cit., 1918, adunanza del 10 luglio.89 Amps, Verbali, cit., 1919, adunanza del 2 aprile.
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Questo efficace intreccio tra affari ed istituzioni, manovrato sapientemente dai ‘grandi vecchi’ dell’aristocrazia e imperniato sul Monte dei Paschi, riuscì in breve tempo a svuotare il fascismo senese di quei pochi contenuti politici che aveva lasciato intravedere. Per questo a Siena il fascismo non può essere interpretato come malattia di un organismo sano, come dimostrò il ceto dirigente liberale locale. Questo organismo non solo non combattè il virus, ma ritirò i suoi anticorpi, favorendo prima il diffondersi dello squadrismo e poi, annientate le organizzazioni sindacali “rosse”, svolgendo un ruolo essenziale nella frantumazione del fascismo cittadino in mille correnti, o sarebbe meglio dire rivoli. Dilaniato da queste lacerazioni il Partito nazionale fascista di Siena non riuscì mai a proporre una propria autonoma classe politica in grado di sostituirsi a quella già esistente.
Il provveditorato ‘politico’ di Alfredo Bruchi
La ricostruzione storica della nascita e dell’avvento del fascismo a Siena non può prescindere dall’analisi dei suoi rapporti con il Monte. È anzi possibile affermare che molti degli argomenti su cui sovente si soffermano gli studiosi, come il patto di pacificazione, la marcia su Roma, il delitto Matteotti, la cui analisi risulta essenziale per avere un quadro complessivo di quegli anni, si rivelano di importanza secondaria per la piccola città toscana. Ciò che contava erano piuttosto le vere e proprie dispute per il controllo dell’istituto bancario. Questa contesa rispecchiò fedelmente anche la situazione delle campagne, dove il sindacalismo fascista combattè per un certo periodo contro i proprietari terrieri. La lotta per il controllo della deputazione amministratrice del Monte non è comunque affatto paragonabile a
quella che parallelamente si svolgeva nelle altre città italiane per il predominio nei diversi enti, istituti e associazioni locali,' secondo un rituale ineluttabile nei periodi di ribaltamento delle maggioranze governative. Piazza Salimbeni a Siena rappresentava, e rappresenta tutt’oggi, il ‘luogo fisico’ del potere. In quelle stanze non si discutevano la politica astratta, le direttive generali alle quali informare l’attività amministrativa (come avveniva, per intendersi, in comune), ma si prendevano le decisioni concrete, quelle che avrebbero interessato direttamente ed immediatamente ogni cittadino:A Siena, ciò che forse avviene in pochissime altre provincie, tutta la vita economica, sociale e politica è forzatamente nelle mani o comunque controllata da chi ha in mano il trisecolare istituto di credito del Monte dei Paschi. Non c’è azienda, non c’è iniziativa, non c’è interesse di qualche rilievo, potremmo dire non c’è famiglia che in qualche modo o per qualche riferimento non dipenda dal Monte dei Paschi90.
Le parole di Mezzetti, a lungo dipendente della banca, sono la miglior conferma dell’illimitata influenza di cui godevano i deputati amministratori. Ma fu soprattutto la carica di provveditore, detenuta per quasi tutto il ventennio da Bruchi, quella attorno alla quale si accesero i contrasti più aspri. La gestione di Bruchi, accentratrice ed individualistica, ma sempre sensibile agli interessi e ai desideri dell’aristocrazia senese, fu indubbiamente discutibile da un punto di vista finanziario e ‘tecnico’. Politicamente, tuttavia, si risolse in un successo indiscutibile, poiché egli riuscì a neutralizzare compieta- mente il tentativo fascista di rinnovare, seppur parzialmente, i quadri dirigenti della città (ed invero non era difficile, considerati gli strumenti di cui poteva disporre). La sua strategia fu accorta e non si limitò, per quanto lo riguardava, alla difesa della carica di provveditore e al mantenimento del Mon-
90 Amps, Fondo Mezzetti, Lettera di N. Mezzetti a Iti Bocci, 5 febbraio 1931.
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te all’interno della sfera di influenza della nobiltà terriera. Con abile regia riuscì a immettere uomini a lui fedeli, o che gli erano comunque legati, nella federazione provinciale del Pnf, nel fascio di Siena, nella sezione dell’Anc, nella Prefettura e in tutte le altre sedi dalle quali era possibile influire sulla vita politica. Quando non fu possibile inserirvi figure nuove, Bruchi non ebbe remore nel ricorrere alla corruzione degli elementi più in vista, come avvenne per alcuni membri della deputazione amministratrice. E i dissensi interni al fascismo tra i seguaci della ‘prima ora’ e i sopraggiunti — quelli che
volevano servirsi della nostra giovinezza pura e irrequieta, piegarci cogli applausi, sfruttare l’impeto della nostra via eppoi mandarci a letto per continuare a pappare e a tessere le fila delle loro camorre e delle loro clientele
secondo il grido di dolore di Maccari91 — a Siena furono originati dall’azione disgregatrice condotta da Alfredo Bruchi.
Il Monte dei Paschi rimase senz’altro estraneo alla nascita e allo sviluppo del primo fascismo senese. Il fatto che gli agrari finanziassero le squadracce anche grazie ai mutui e ai prestiti che ottenevano dalla banca non modifica la sostanza del discorso. Personalmente Bruchi si rifiutò di aiutare il movimento fascista e, nel 1921, ebbe anche a dichiarare che, per lui, le camicie nere non erano altro che delinquenti92. Ben presto iniziarono ad arrivare alla deputazione e alla Cassa di risparmio — una delle quattro sezioni del Monte, insieme a quella centrale, al credito fondiario e al Monte Pio — le richieste di sussidi da parte dei fascisti. E finché fu possibile l’istituto cercò di non esaudire tali richieste. Alla fine del settembre 1922 il consiglio della Cassa di risparmio rifiutò di
accogliere l’istanza di un fascio di combattimento della provincia poiché, confortato anche dal parere della direzione, e cioè di Bruchi, ritenne contraria alle disposizioni statutarie la concessione di elargizioni a istituzioni aventi carattere politico. Subito dopo la marcia su Roma Bruchi si vide costretto dagli eventi ad affrontare, di fronte al consiglio della Cassa di risparmio, la spinosa questione. Le domande di sussidi si erano fatte, con il passare del tempo, sempre più insistenti. Nel contempo non si contavano più le richieste di elargizioni provenienti dalle sezioni del Pnf, che le varie dipendenze del Monte inviavano alla sede centrale, come voleva il regolamento della banca. Davanti ai consiglieri, allo scopo di riceverne il consenso e per non portare solamente sulle proprie spalle il peso di una responsabilità che iniziava a farsi notevole, il provveditore ricordò di aver sempre rigettato, in passato, le richieste delle sezioni fasciste, in ossequio allo statuto, secondo il quale gli utili potevano essere erogati soltanto per scopi di beneficenza o di pubblica utilità. Purtuttavia di fronte alle domande sempre più pressanti egli chiese se si ritenesse opportuno modificare l’atteggiamento sino ad allora tenuto. La risposta dei consiglieri, unanime, lo incoraggiò a perseverare lungo la via maestra dell’intransigenza, motivata dallo scrupoloso rispetto di principi apparentemente inderogabili. Ma durante la gestione Bruchi la coerenza e la rettitudine, oltreché il senso di una doverosa imparzialità verso la sfera politica, erano virtù alle quali ci si richiamava strumentalmente, nel momento del bisogno, e non caratteristiche alle quali improntare la propria condotta. Due anni prima, nel pieno dello svolgimento della campagna elettorale per le elezioni amministrative, il Monte, con
91 Mino Maccari, Rispetto, “La Scure”, 20 gennaio 1924.92 Amps, Fondo Mezzetti, Memoriale anonimo sulla situazione del fascismo senese, inviato al vicesegretario del Pnf I. Bacci.
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una decisione di cui certo non si trovano tracce nei verbali del tempo, aveva finanziato la nascita de “La Fiamma”, organo di stampa dei giovani liberali senesi, e de “L’Intervenuto”93. E soltanto un anno prima, in occasione delle elezioni del 1919, il prefetto di Siena, commentando la decisione di Bruchi di non lanciarsi in prima persona nella sfida elettorale, ricordò che comunque l’avvocato grossetano rappresentava “un elemento ed una forza assai importanti per le prossime elezioni”94. Parole quanto mai esplicite, ennesima testimonianza di quanto il Monte avrebbe potuto fare per irrobustire il fragile tessuto del fascismo senese, se non avessero prevalso la volontà e la necessità di puntellare la classe dirigente liberale.
D’altronde i membri del consiglio della Cassa di risparmio erano tutti personaggi noti a Siena, legati a Bruchi e decisi a chiarire subito le proprie intenzioni nei confronti di Chiurco e compagni. Tra di essi spiccavano Alessandro Sergardi Biringucci, presidente dell’Associazione liberale riformatrice, a lungo membro della deputazione; Enrico Falaschi, altro personaggio molto conosciuto a Siena, già a capo della Federazione liberale monarchica, membro della Giunta provinciale dal 1890 al 1893, sindaco nel 1896 e a lungo consigliere comunale, presidente della deputazione dal 1922 al 1925; e quindi Guido Pisaneschi, eletto in comune nel 1920 con la lista formata sotto l’egida dei combattenti, che farà parte della deputazione dal 1921 al 1923. Presidente del consiglio era Tito Corsini, in lista con il partito popolare nelle elezioni del 1921. Quanto a Guido Barbi, alla testa dell’Associazione mutilati, possiamo dire che si trattava di una
vera e proprio ‘creatura’ del provveditore.L’appello ai principi statutari, quindi,
aveva offerto a Bruchi una scappatoia formalmente ineccepibile per aggirare i desideri dei gerarchi fascisti. Per lui, d’altronde, non era necessario il paravento della rispettosa applicazione delle norme per evitare di concedere il suo sostegno al Pnf. Con una deliberazione del 21 agosto 1923, dopo che si era risolta da poco la crisi dell’amministrazione comunale originata dalle mancate nomine per la deputazione (crisi che aveva reso necessario l’invio a Siena del commissario prefettizio Bartolomeo Andreoli), l’istituto concesse a Bruchi la possibilità di elargire direttamente, senza nessun controllo, sussidi a enti o associazioni che ne avessero fatta richiesta. Egli si avvalse di questa facoltà con discrezione, e tra il 1923 ed il 1924 concesse contributi per un ammontare complessivo di quasi ventiseimila lire. I sussidi non superavano mai le duecento lire, ma l’esiguità dei singoli contributi non diminuiva l’enorme potere di influenza di cui l’avvocato grossetano si trovò a disporre. Delle ventiseimila lire totali, soltanto seicento furono devolute a sezioni o comitati fascisti95. La cifra non crebbe nel 1925, mentre l’anno seguente duemilaottocento delle quasi ventisettemila lire erogate presero la direzione delle sezioni e delle avanguardie care al duce d’Italia.
I primi attacchi del governo fascista all’autonomia del Monte furono larvatamente portati sin dal 192396. L’anno successivo il ministero dell’Economia nazionale fece pervenire alla direzione una lettera con la quale si rilevava la scarsità delle riserve della sezione Cassa di risparmio e si sosteneva che, qualora si fosse voluta applicare rigidamen-
93 Sf, Le sorprese deI blocco... al pomodoro e i denari del Monte dei Paschi, “Bandiera Rossa”, 13 ottobre 1920.94 Ass, Gabinetto di prefettura, 1919, fase. 165, b. 19, Relazione del Prefetto, in data 22 dicembre 1918.95 Amps, Elargizioni concesse dal Provveditore.96 II culmine di questi attacchi sarà poi rappresentato dallo statuto del 1936, la cui approvazione causò le dimissioni del podestà Fabio Bargagli Pétrucci, preoccupato dal fatto che parte della deputazione venisse nominata da Roma, togliendo così il controllo dell’istituto alla comunità senese. Su questo episodio si veda G. Bargagli Pétrucci, Mio padre buttò sulla scrivania dei Prefetto le sue dimissioni, “11 Nuovo Campo di Siena”, 5 maggio 1989.
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te la legge, si sarebbe potuto sciogliere il consiglio e nominare un commissario. Desiderio del ministro era di trasportare il Monte sotto il dominio della legge sulle Casse di risparmio, mentre la direzione dell’istituto e l’amministrazione comunale preferivano incorporare la Cassa di risparmio stessa nella sezione centrale. L’interessamento del ministero allo stato di salute della banca senese era sorto in seguito ad una lettera di Donati- ni con la quale l’ex presidente dell’Ente autonomo dei consumi tratteggiava a fosche tinte la figura del provveditore. Questi fu costretto a recarsi a Roma, il 10 giugno, per smentire le accuse che gli venivano portate e per ribadire al ministro la necessità di non ledere l’autonomia del Monte. Le insinuazioni di Donatini erano, disse Bruchi, “argomento ormai vecchio”97. Ma non riguardavano esclusivamente l’azione sabotatrice nei confronti dell’ente, bensì anche la gestione finanziaria del Monte. Il rilievo più grave concerneva il bilancio del 1920, il quale, sempre secondo Donatini, era grossolanamente falso:
malgrado il grande riserbo in cui sono tenute le condizioni dell’istituto [...] invece di un bilancio di chiusura attiva, al 31 dicembre 1920, il Monte dei Paschi doveva dare una situazione passiva, per cui gli utili erogati, in oltre tre milioni, erano inesistenti98.
Con ogni probabilità la situazione finanziaria della banca era stata drammatizzata
da Donatini, ma qualcosa di vero doveva comunque esserci. Nel 1926 il bilancio doveva ancora essere approvato, e Latino Carli, uno dei due revisori designati, dette le dimissioni dall’incarico e venne sostituito da Enrico Casini. Tutto questo lascia supporre che il documento in questione non possedesse tutti i crismi della legalità. Del resto alla metà degli anni venti l’istituto si lanciò in molte operazioni che poi si rivelarono disastrose. A cadere in vere e proprie disavventure fu soprattutto la succursale di Roma, fortemente voluta da Bruchi, nonostante il parere contrario di molti, perché era attraverso essa ed il suo ufficio sconti che si aiutavano i gerarchi fascisti e gli uomini politici più in vista, ottenendone in cambio la protezione99.
All’inizio del 1923 lo Zuccherificio viterbese di Max Bondi — uno speculatore avventuriero unito a Luzzatto100 — si trovò sull’orlo del fallimento. La banca senese, attraverso la succursale della capitale, aveva verso di esso ingenti crediti che non potè più esigere101. Nel tentativo estremo di salvare Bondi dal fallimento, Bruchi, dopo una discussione animatissima, ottenne che gli venisse concesso un prestito di 1.200.000 lire. Agostino Bassi ebbe parole di fuoco contro le operazioni della sede romana, e per protesta abbandonò la seduta. Ma gli affari poco fortunati non si esaurirono con il finanziamento dell’impresa creata da Bondi102. Dalla capitale si erano concesse sovvenzioni alle società Simec, Satos e Said, anch’esse in
97 Amps, Verbali, cit., 1924, adunanza del 15 giugno.98 S. Donatini, ...Nel campo di Siena, cit., pp. 78-79.99 Amps, Fondo sull’epurazione in seno all’istituto, fase. Piero Valiani, b. B17/62. Sulle esattorie di Roma e Napoli del Monte, e sulla necessità di epurarle, si pronunciarono anche “L’unità” e “l’Avanti!” sin dai primi giorni della liberazione di Roma.1(10 Sui legami tra Bondi e Luzzatto si veda Valerio Castronovo, Giovanni Agnelli, Torino, Utet, 1971, p. 183.101 Amps, Verbali, cit., 1923, adunanza del 27 luglio.102 Ciò che appare sconcertante, a prima vista, è la leggerezza con cui venne finanziato un personaggio così poco affidabile come Bondi. Per avere un’idea della sua superficialità, basti pensare che nella seduta del 28 agosto la deputazione venne informata che Bondi aveva impiantato la sua azienda, uno zuccherificio, in una zona priva di acqua e di produzione bietolifera. Di fronte a tanta colpevole inettitudine non è malignità supporre che la succursale di Roma concedesse finanziamenti sulla base di interessi poco chiari, che comunque esulavano dalle considerazioni di opportunità finanziaria e di corretta gestione delle risorse.
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pessime acque, per un ammontare superiore ai quindici milioni. Soprattutto le ultime due erano in condizioni preoccupanti, tanto che i due consiglieri Bernini e Corsini ne chiesero la liquidazione, il che avrebbe causato comunque ingenti perdite al Monte103. I due consiglieri non si limitarono a questo, e chiesero a Bruchi, senza avere risposta, per quale motivo la succursale di Roma poteva concedere conti correnti senza limite a differenza della sede e delle altre dipendenze. Inoltre avanzarono il sospetto che l’amministrazione della Said fosse tenuta irregolarmente. Il 25 settembre la deputazione, riunita per analizzare la situazione, decise di procedere alla costituzione di una commissione per la sistemazione degli affari della succursale di Roma. Durante la seduta Bassi e Bruchi vennero a diverbio. Il provveditore cercò di minimizzare la portata degli avvenimenti romani, ricordando anche un suo colloquio con il direttore di una delle sedi principali della Banca d’Italia, dal quale aveva appreso che tutti i principali istituti bancari della penisola avevano delle difficoltà. Quando Bassi replicò che le osservazioni dell’interlocutore del provveditore non avevano alcuna attinenza con l’andamento economico della succursale di Roma, Bruchi mostrò tutto il suo nervosismo e rispose “con eccitazione”, come si legge sorprendentemente nei verbali solitamente scevri di puntualizzazioni del genere. Secondo Bruchi, quando nel luglio 1916 egli era entrato a far parte del consiglio, le riserve erano di circa tredici milioni, mentre in quel momento ammontavano esattamente al triplo. La sua difesa era chiaramente debole, e l’argomento scelto mirava in modo abbastanza goffo a confondere le acque. La relazione della commissione venne affidata a Martini, e fu presentata ai deputati nell’adunanza del 31 dicembre 1924. Appare indicativo, riguardo alla serietà con cui si intendeva dibattere l’indagine svolta,
che si fosse stabilito di mettere all’ordine del giorno — la cui compilazione spettava al provveditore — una relazione di tale importanza nell’ultima seduta dell’anno, in pieno clima di smobilitazione e con due consiglieri alla fine del mandato. Prima della lettura del documento Bruchi volle precisare che il consiglio della succursale era di sua intera designazione, primo fra tutti il direttore, il conte Gustavo Caprini. Tra i consiglieri vi erano il senatore Cencelli, agrario ex presidente della deputazione provinciale della capitale; il professor Calisse, consigliere di Stato; il principe Chigi, che “godeva di simpatie e aderenze in tutti i campi”, vice presidente della cassa di risparmio di Roma; il principe Torlonia, presidente dell’Associazione agricoltori e commercianti, “persona ben vista in ogni campo”; l’onorevole Bren- ciaglia, “persona molto ragguardevole e ottimo agricoltore” ; l’avvocato Santangelo, “che molto influì sulla legislazione e sulla concessione dei mutui per l’acquedotto e la fognatura”; l’avvocato Ciuffelli, figlio di un ministro, “giovane ma serio e stimato” e quindi il ragionier Agliata, proposto dal senatore Cencelli.
Il conte Caprini ammise di fronte a Martini i gravissimi errori compiuti dal consiglio. Il principale fu quello di
finanziare società [...] che non offrivano la garanzia di un capitale azionario considerevole e di una sufficiente pratica e organizzazione, le quali ricorrevano al credito non per procurarsi il capitale circolante, ma per procurarsi i mezzi per iniziare a svolgere la loro attività.
Le parole del primo consigliere erano molto gravi e confermano il sospetto che la sede romana fosse un potente strumento nelle mani di Bruchi per finanziare allegramente le spericolate iniziative dei possidenti terrieri, della borghesia spéculatrice e della parte più corrotta del mondo politico. Doveva
103 Amps, Verbali, cit., 1923, adunanza del 13 maggio.
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essere questo il pensiero recondito di Martini quando calcò la mano sul fatto che i componenti del consiglio direttivo della succursale erano allo stesso tempo consiglieri delle società finanziate dal Monte dei Paschi. E quando il provveditore cercò di minimizzare questo aspetto della vicenda, indubbiamente il più indecoroso, Martini replicò che a suo parere i consiglieri non avevano tutelato a sufficienza gli interessi del Monte.
Nel frattempo gli effetti di una gestione improntata al malcostume ed alla corruttela iniziavano a vedersi. Nel primo quadrimestre del 1924 la banca aveva guadagnato ottocen- tomila lire, una somma non solo inferiore a quella dell’anno precedente, ma intollerabilmente esigua rispetto alla massa dei depositi104. Ma nonostante ciò la posizione di Bruchi in seno al Monte rimase ben salda grazie alla protezione politica di cui egli godeva.
Il Monte dei Paschi e la disgregazione del fascio di Siena
In quest’ottica, vale a dire nel tentativo di scalfire l’autorità indiscussa di Bruchi, si mosse il fascio di Siena. La battaglia intrapresa contro di lui assunse le sembianze di un vero e proprio scontro di potere di fronte al quale persino gli aspetti politici della questione passarono in sott’ordine. Nella speranza di scalzare Bruchi dalla poltrona di piazza Salimbeni si unirono persone un tempo divise da inimicizia feroce, come Remigio Ruga- ni, segretario politico del fascio cittadino e Fabio Bargagli Pétrucci, podestà di Siena, e si mobilitarono tutti i fascisti della ‘prima ora’, tra i quali Chiurco, Aliquò Mazzei e lo stesso Mezzetti. Quest’ultimo, in particolare, pur ormai lontano da Siena, non rinunciava all’ambiziosa prospettiva di sostituire Bruchi nella prestigiosa carica. Addirittura, il consi
glio comunale, per ferma volontà dei fascisti intransigenti, designò Avanzati Bernardi quale membro della deputazione per il biennio 1925-1926. Si trattava di un proprietario terriero decisamente ostile al fascismo, tanto che agli albori dello squadrismo si era rifiutato di aiutare le camicie nere. “Il Selvaggio” , resa nota la nomina, sostenne con insistenza che la sua nomina era un favore reso ai socialisti. Ma per i fascisti di Siena, e soprattutto per Rugani, Avanzati Bernardi aveva il merito di essere un feroce, irriducibile nemico di Bruchi e, considerata la posta in palio, vale a dire l’amministrazione di ‘illimitate’ risorse economiche, il suo passato politico risultava trascurabile. Anche perché il Monte dei Paschi iniziava ad avere un’influenza che si estendeva ben oltre la città d’origine e le località nelle quali avevano sede le dipendenze, esercitando un ruolo di rilievo nella vita economica di tutto il centro Italia. Per chiarire questo punto è sufficiente pensare che nel 1925 il ministero dell’Economia — su pressione, tra gli altri, di Marchi, Sarrocchi e Serpieri — superando la vivace e comprensibile ostilità di molti altri istituti, assegnò al Monte l’esercizio del credito fondiario per tutta la Toscana105.
Le schermaglie tra Avanzati Bernardi e Bruchi iniziarono ben presto, e divennero sempre più frequenti nel 1926, quando al nuovo eletto si affiancò Rugani. I due deputati eseguirono una disamina critica attenta, dettagliata, puntuale della gestione Bruchi, evidenziandone soprattutto le gravi manchevolezze nella politica finanziaria e contestando aspramente l’insostenibile autoritarismo con cui il provveditore governava, atteggiamento che gli veniva permesso dalla sostanziale acquiescenza della deputazione. Tuttavia i due si trovarono quasi sempre isolati durante le vivaci discussioni con Bruchi e i loro intenti polemici si rivelarono spesso ste-
1114 Amps, Verbali, cit., 1924, adunanza del 3 luglio.105 Amps, Verbali, cit., 1925, adunanza del 2 settembre.
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rili e improduttivi. Come era possibile che in una deputazione nella quale vi erano, nel 1926, fascisti come Enzo Viscioni e Serafino D’Antona, un combattente come Romolo Semplici, un rappresentante dell’Anmig (Associazione nazionale mutilati invalidi di guerra) come Barbi, fosse prona ai desideri di un solo uomo? E come è possibile che camicie nere e reduci non riuscissero ad allontanare dalla carica di provveditore un personaggio così scarsamente condizionabile come Bruchi? La spiegazione risiede nella fitta trama di interessi nella quale Bruchi avvinse a sé molti degli elementi di spicco del fascismo e del combattentismo locali. Alla fine del 1929 Iti Bacci, vicesegretario del Pnf, ricevette un memoriale anonimo106, comunque attribuibile a Chiurco e agli altri fascisti intransigenti, ormai ai margini della vita politica. Si trattava di un vero e proprio dossier sull’operato di Bruchi. Le parole iniziali erano estremamente esplicite, tali da non lasciare dubbi riguardo al silenzio cui furono costrette le frange più estreme del fascismo senese:Noi sottoscritti, vecchi squadristi della provincia di Siena, segnaliamo la penosa condizione quivi creata e l’operato di chi ha voluta e mantenuta tale condizione [...] La situazione senese, oggi come nel passato, è dominata dall’istituto bancario di cui Siena è dotata, il Monte dei Paschi. Quello che per Siena dovrebbe essere un privilegio e una ricchezza, perché il Monte dei Paschi con le sue grandi possibilità potrebbe ricercare, aumentare e potenziare le infinite latenti ricchezze della nazione, è invece una cappa di piombo che addormenta e opprime. Ciò non avverrebbe se i dirigenti, soprattutto il Provveditore, che impersonifica l’Istituto, anziché seguire l’impulso della propria sfrenata ambizione, limitando i favori a poche conventicole e camarille, fossero dei veri fascisti e degli esperti amministratori, preoccupati esclusi
vamente di servire il regime e il Monte. Se ciò fosse la situazione senese, politica ed economica, potrebbe diventare uno dei più saldi puntelli del fascismo.
Tra i responsabili, oltre a Bruchi, vi erano alcune importanti ‘figure di secondo piano’, attraverso le quali il provveditore controllava a piacimento la vita politica locale. Tra questi i fratelli Ciliberti: “di modestissima famiglia in pochi anni sono riusciti a crearsi una floridissima posizione economica attraverso il fascismo” . Ferruccio Ciliberti, fascista solo dopo la marcia su Roma, era a capo, alla fine degli anni venti, dei combattenti senesi, benché fosse stato al fronte solo pochi giorni. Sotto l’alta protezione di Bruchi ottenne la nomina di presidente della deputazione amministratrice, dopo di che divenne dirigente della Cassa di risparmio della Banca toscana e amministratore della Tenuta del Cavallino, entrambe di proprietà del Monte. Assieme al fratello Manlio, avvocato, primo segretario, in ordine di tempo, del fascio di Siena, trattava operazioni di mutuo per i propri clienti, e grazie alla carica in seno alla deputazione ne raccomandava il buon esito, ottenendo in cambio percentuali elevatissime. Addirittura alcune richieste di mutuo pervennero alla banca senese su carta intestata dello studio legale dei fratelli Ciliberti107. Su di essi, del resto, aveva avuto espressioni molto dure “Il Selvaggio” , per il quale i due non si potevano nemmeno definire fascisti108. L’avvocato Manlio, secondo gli anonimi squadristi, non prese mai parte ad azioni violente e nel 1921 aveva dato le dimissioni dal partito. Ciononostante per otto anni era stato, ad intervalli, membro della Federazione provinciale fascista, vicesegretario della stessa e direttore
106 Amps, Fondo Mezzetti, Memoriale anonimo, cit., inviato da I. Bacci a Nazareno Mezzetti in data 7 gennaio 1930.107 Acs, Dir. Gen. di Ps., AA. GG. e RR., Situazione politico economica della Provincia di Siena, cat. G l, b. 21, Lettera di Antimo Pescatori ad Achille Starace, 16 novembre 1929.108 Sf, Icombattenti, “Il Selvaggio”, 13 febbraio 1925.
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de “La Scure” . All’epoca in cui venne redatto il memoriale deteneva la carica di presidente della Provincia ed era il segretario del Patronato “con laute prebende mensili in ossequio al suo divisamente — più volte manifestato — di farsi una posizione col fascismo” . Insieme ad Adolfo Baiocchi, federale dal 1923 al 1928 e deputato al Parlamento, fu responsabile della distrazione di alcune somme di denaro dalla cassa del giornale fascista. Se attraverso i Ciliberti Bruchi controllava i combattenti e la Federazione provinciale fascista, nell’Associazione mutilati godeva della fedele amicizia di Barbi. Questi divenne membro della deputazione nel 1924, benché non avesse la tessera del Pnf, che prese solo due anni più tardi. La sua nomina, voluta da Bruchi, era in realtà illegittima, dato che la sua qualità di impiegato delle poste era incompatibile con la carica di deputato al Monte. Il fatto non sfuggì al ministero delle Comunicazioni che procedette solertemente a richiamare ai propri doveri Barbi, costringendolo a rassegnare le dimissioni dal consiglio della banca, nonostante Bruchi avesse interposto i propri uffici al ministero per la revoca del provvedimento. Questa premura insospettì Avanzati Bernardi, il quale rilevò come spettasse al comune e non alla banca far valere le proprie ragioni a Roma109. Tre mesi dopo la presentazione delle dimissioni Barbi non era ancora stato sostituito nella speranza di vedere annullata l’incompatibilità. Tale omissione provocò di nuovo l’ira di Rugani e di Avanzati Bernardi, che denunciarono l’ostruzionismo degli altri deputati, tesi a rimandare il più possibile ogni decisione110. Ma le amicizie di Bruchi e l’influenza di cui godeva ebbero ragione ancora una volta, e nell’adunanza del 17 marzo 1926 egli potè annunciare l’annulla
mento dell’incompatibilità sancita dal ministero, che gli consentiva di mantenere in seno alla deputazione un alleato prezioso. Nei confronti di Barbi e dell’aiuto che sistematicamente gli provenne dal leader dei mutilati nelle tumultuose sedute del consiglio, Bruchi si dimostrò riconoscente. Nel 1929 la deputazione stabilì di organizzare un ufficio fidi e rischi che doveva essere affidato a un funzionario con il grado di segretario di prima classe. La stessa deliberazione stabiliva che il posto di segretario sarebbe dovuto essere conferito per chiamata, cosicché nel luglio dello stesso anno Barbi potè essere nominato segretario. Contro questa decisione insorsero il fiduciario della federazione nazionale sindacati fascisti bancari e la segreteria interprovinciale della federazione stessa, facendo rilevare l’illegittimità di tale procedura, che andava contro lo statuto della banca111.
Tornando al memoriale degli squadristi, esso fu inviato successivamente a Mezzetti, ormai divenuto un elemento di spicco nel panorama del sindacalismo fascista, per informarsi sulla fondatezza delle insinuazioni che vi erano contenute. La risposta di Mezzetti non lasciò dubbi di sorta112: ciò che era stato scritto
sulla situazione del fascismo senese e contro l’attività politica e personale e di direttore del grande istituto senese dell’On. A. Bruchi e dei suoi pochi e per giunta cattivi compari è per gran parte della suddetta esposizione anche a mia conoscenza, e quindi indubbiamente vera.
La lunga mano di Bruchi, secondo Mezzetti, arrivava non solo nella federazione fascista, nella sezione dell’Anc e nell’Associazione mutilati, ma anche nella prefettura, oltreché, naturalmente, nella deputazione del Monte. In quest’ultima, oltre ai già men
109 Amps, Verbali, cit., 1925, adunanza del 16 dicembre.110 Amps, Verbali, cit., 1926, adunanza del 10 marzo.11 Amps, Fondo sull’epurazione in seno all’istituto, fascicolo Guido Barbi.12 Amps, Fondo Mezzetti, Lettera a I. Bocci, 5 febbraio 1931.
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zionati Ciliberti e Barbi, sedevano D’Anto- na, che da “consigliere di Amministrazione del Monte passa a dirigere il giornale della Federazione fascista”; Carlo Mocenni “che da direttore amministrativo della Società elettrica Valdarno fa contemporaneamente il Deputato del Monte”; Alessandro Sergar- di Biringucci “che non volle mai, anche quando i liberali passarono al fascismo, quale presidente dei liberali stessi, iscriversi al nostro partito” . Il dominio di Bruchi era totale.
Un elemento che poteva far da remora ad una tale situazione avrebbe dovuto essere la Prefettura di Siena. [Ma] Qui da anni si verifica un fenomeno veramente straordinario. Al contrario di quanto avrebbe dovuto avvenire ed avviene normalmente gli alti impiegati di Prefettura sono senesi e da oltre vent’anni irremovibili impiegati della Prefettura di Siena. Avv. Francioni, Avv. Gigli [...] Avv. Franci [...]. Costoro [...] sono tutti legati all’On. Bruchi. Si sono succeduti a Siena molti Prefetti, ma il Prefetto di Siena, nel senso alto e nobile del fascismo, cioè il capo assoluto della situazione, dubito che sia mai esistito, perché contornato da uomini che, in ogni caso, partigianamente, hanno prospettato le situazioni. Basti dire che l’On. Bruchi si permette di redarguire Questori e di rimproverare ad un Prefetto le informazioni che questo aveva trasmesso al superiore Governo! [...] Non parliamo dei giornali, perfino della [agenzia] Stefani, il cui rappresentante senese ha precedenti penali che lo farebbero allontanare da qualsiasi gentiluomo, ed è invece il consigliere ed il reporter al servizio dell’On. Bruchi, nonché corrispondente della “Nazione” da Firenze (sig. Rondini).
La gravità della situazione della città senese e della sua banca, “che deve ancora essere fascistizzata nell’anno IX dell’era fascista” , spinse Mezzetti a richiedere l’intervento delle massime gerarchie del partito. Ma anche queste erano in qualche modo legate a Bruchi e la domanda che si ponevano le camicie
nere di Siena, vale a dire come si potesse ritenere intangibile un uomo come Bruchi, risultava abbastanza ingenua. A tale proposito si ricordava, per esempio, che egli era stato “bastonato in pieno giorno durante lo svolgimento di una solenne cerimonia dagli stessi fascisti” , fatto che avvenne il 21 aprile 1930 per volontà di Antimo Pescatori, ex segretario federale, e di Chiurco. Quando Ru- gani, Bencini, Chiurco, Aliquò Mazzei si recarono a Roma per parlare con i dirigenti del partito a proposito delle camarille che ruotavano intorno al Monte, le loro dichiarazioni furono assunte alla presenza di giovani dattilografe, nonostante la delicatezza dell’argomento di cui si parlava.
La confidenza di Bruchi con il segretario nazionale del Pnf Augusto Turati era, in realtà, notevole. Già alla fine del 1926 era stata avviata un’inchiesta, da parte del Pnf, sull’avvocato grossetano, che era stata stroncata proprio per volontà del segretario, che Bruchi, sono parole di Mezzetti, “affermava pomposamente di avere in mano, pronunciando nei di lui riguardi frasi tutt’altro che benevole” . Quello che è certo è che alla fine del 1929 Bruchi scrisse una lettera a Turati con la quale, dopo aver ironizzato sulla nuova veste di storico del fascismo di Chiurco (che proprio in quell’anno aveva dato alle stampe la nota opera sulla ‘rivoluzione’ fascista - qui vedi nota 37) propose il nome di Aldo Sampoli quale nuovo segretario della federazione provinciale di Siena113. Per quale motivo Bruchi indicò il nome di questa figura di secondo piano, di scarsissima cultura e di inesistente preparazione politica? Ancora una volta la risposta va ricercata nelle stanze del Monte dei Paschi. Nel 1926 il Consiglio della cassa di risparmio deliberò la nomina di Sampoli a commesso d’ordine. Sottoposta alla ratifica della deputazione la deliberazione raccolse tre voti a favore e tre
113 Acs, Dir. Gen. di Ps, AA.GG. e RR., Situazione politico economica della provincia di Siena, cat. G l, b. 21, Lettera del 22 novembre 1929.
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contrari. Secondo la giurisprudenza introdotta dall’avvocato Enrico Falaschi, a lungo presidente del consesso, i partiti giudicati a parità di voti non potevano essere considerati approvati, mancando la manifestazione di volontà dell’ente deliberante. La proposta di Bruchi di ripetere la votazione trovò la decisa contrarietà di Remigio Ru- gani e Avanzati Bernardi, i quali minacciarono di abbandonare la seduta e di provocare così la mancanza del numero legale. Avanzati Bernardi si espresse con molta franchezza, ed ebbe a dire che quello che si cercava di fare rappresentava “una violazione delle norme [...] e che si tenta di far passare per la finestra anziché per la porta alcuni elementi”114. Tuttavia l’atteggiamento sprezzante e per nulla rispettoso delle consuetudini e dei regolamenti a cui si atteneva Bruchi, con l’ossequioso avallo della maggioranza dei deputati, fece sì che il deliberato fosse ripresentato “essendosi venuto a creare un fatto nuovo” — vale a dire la rinuncia della deputazione a resistere riguardo a qualunque decisione in ordine alle promozioni ed alle nomine, a causa del ritardo dell’approvazione del nuovo ruolo organico— e stavolta la designazione di Sampoli fu approvata115.
Per assicurarsi che la gratitudine non venisse meno con il passare degli anni — ne erano trascorsi tre dal conferimento dell’impiego quando Bruchi scrisse a Turati per chiedere l’investitura di Sampoli a federale— il munifico provveditore concesse al padre del suo nuovo protetto, che esercitava la professione di commerciante di carbone, un fido, che la maggioranza giudicò spro
porzionato. Sampoli avrebbe dovuto sostituire Antimo Pescatori, acerrimo rivale di Bruchi. Il provveditore non doveva essere estraneo alle diffamazioni anonime che giungevano a Roma riguardo alla persona di Pescatori — diffamazioni che Chiurco cercò vanamente di smentire116 — e che contribuirono a costringere l’allora segretario federale alle dimissioni, presentate alla fine del 1929.
La lotta per la sostituzione del provveditore determinò delle gravi conseguenze, oltre che nella vita politica cittadina considerata nel suo complesso, anche all’interno del fascismo senese, diviso in due correnti inconciliabili. Da un lato Bruchi e i fratelli Ci- liberti, dall’altro uno schieramento a propria volta suddiviso in tre tronconi. Il primo era quello dei ‘ruganiani’, nei quali si riconosceva Mezzetti, il quale, tra gli avversari di Bruchi, era il più fastidioso, perché dotato di una certa cultura e preparazione politica, tanto che Turati si prese personalmente il disturbo di invitarlo a non occuparsi più delle faccende senesi117. La seconda corrente si riconosceva in Chiurco, mentre la terza era formata dagli ex nazionalisti capitanati dal podestà Fabio Bargagli Pétrucci, anch’egli “mal considerato dalla maggioranza dei fascisti”118. Per cercare di fare un po’ di chiarezza il partito decise di sostituire Antimo Pescatori con il commissario marchese Ridolfi. Quest’ultimo era parente di Sergar- di Biringucci, membro della deputazione del Monte. Sergardi Biringucci ebbe la tessera fascista solo nel 1927, “grazie all’aiuto di Bruchi per non perdere la carica di amministratore del Monte dei Paschi” , secondo
14 Amps, Verbali, cit., 1926, adunanza del 10 settembre.13 Amps, Verbali, cit., 1926, adunanza del 26 dicembre.
116 Acs, Dir. Gen. di Ps, AA.GG. RR., Pnf, Situazione politico economica della provincia di Siena, Cat. G l, b. 21, Lettera di Chiurco a Turati, 22 novembre 1929.117 Acs, Pnf, Situazione politico economica della provincia di Siena, cit., Lettera di Turati a Mezzetti, 2 luglio 1930.118 Acs, Pnf, Situazione politico economica della provincia di Siena, cit., Relazione de! Console della Mvsn, 22 maggio 1931.
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quanto scritto in una lettera anonima inviata al segretario politico nazionale del Pnf119. A lui i fascisti non perdonarono di aver fatto “lega, dopo la marcia su Roma, con i conservatori senesi, i quali ritenevano il fascismo un movimento di violenti che avrebbero dovuto soccombere sotto la reazione della nazione” e gli rimproveravano l’atteggiamento “quartarellista” tenuto nell’estate del 1924. Ma molto più importante dei vincoli di sangue con l’esponente liberale era il fatto che Ridolfi fosse legato da amicizia con Bruchi e per cifre cospicue di debito al Monte dei Paschi120.
Allontanato Pescatori, Bruchi, come denunciò Mezzetti, ebbe via libera:
a Siena vi sono poco più di una ventina di [...] uomini al comando, ma non vi è più attivo e fattivo il vero fascismo. Questo fenomeno si è ripetuto naturalmente in molti paesi della provincia, ove mi è stato fatto presente che tutti i posti di comando vengono a mano a mano occupati da fidi dell’On. Bruchi, quasi sempre impiegati o parenti di impiegati alle dipendenze del Monte.
E durante la sua reggenza il marchese Ridolfi, che nel giugno del 1930 fu sostituito da Aldo Sampoli — secondo i voleri del provveditore del Monte —, completò “l’opera di assoluto dominio del Bruchi sul fascismo senese” .
Daniele Pasquinucci
119 Acs, Dir. Gen. di Ps, AA.GG. e RR., Situazione politico economica della provincia di Siena, Cat. G l, b. 21.120 Amps, Fondo Mezzetti, Lettera di N. Mezzetti e I. Bocci, 5 febbraio 1931.
Daniele Pasquinucci (1965), laureato in scienze politiche nel 1989 all’università di Siena con la tesi Società politica a Siena dal 1918 al 1920. La classe dirigente tra resistenza e omologazione al fascismo. Collaboratore del notiziario “In/formazione”, cultore della materia presso la cattedra di storia contemporanea dell’Università di Siena, facoltà di giurisprudenza (corso di laurea in scienze politiche).
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