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ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO
La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci “1 ottobre 2017” www.ilgibbo.it
CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO
(A. M. FANUCCI, PRO MANUSCRIPTO. LEZIONI ALLA LUMSA-GUBBIO, ANNO 1999 )
CAP. 8
NELL’ULTIMA PARTE DEL SECOLO LUNGO
UNA CHIESA CHE FA DUE PASSI AVANTI E UNO INDIETRO
(1870 – 1914)
S.PIO X
8.41. Pio X e il colonialismo italiano in Libia
Le correnti colonialiste che in Italia avevano avuto un certo peso nella seconda metà dell'Ottocento,
ripresero fiato ai primi delsec. XX, sulla scia della caccia alle colonie che impegnava tutte le grandi
potenze europee: e nacque il progeto di occupare la Libia ottomana. Tutti d’accordo: la borghesia
settentrionale vedeva nell'intervento militare un'occasione per schiudere alla propria industria nuovi
mercati, il proletariato agricolo del meridione, convinto (chissà da chi) ce la Libia era una terra molto
fertile, pensava che l'emigrazione, già in atto soprattutto oltre oceano, in Libia avrebbe dato ben altra
soddisfazione ai loro elementari bisognki..
8.41.1 Le spinte all’espansione
All'inizio del XX secolo l'industria italiana aveva incrementato l’esportazione dei suoi proddotti,
prevalentemente tessili; verso la Libia e l'Impero ottomano in genere; ma tra il 1908 e il 1911 proprio
in Libia avevano avuto luogo diversi tentativi di boicottaggio sia di prodotti inustiriali che di progettio
di investimento industriale: più d’unio aveva concusio che i libici meritavano una lezione. Anche la
Banca di Roma aveva di che lamentarsi: aveva investito moltonl 1907 in Tripolitania, il cui governo era
stato preso sotto la propria tutela dalla Turchia.
I liberali italiani, che in maggioranza erano stati contrari alle imprese africane di fine 800 in Eritrea e
in Etiopia, e che si eranoconcluse con il disastro di Adua, per i loro sacrosanti interessi economici in
occasione della prospettata campagna di Libia furono sostanzialmente a favore dell'intervento.
Soffiavano sul fuoco il neonato Partito Nazionalista di Corradini e soprattutto quei bellimbusti dei
futuristi, sempre favorevoli alla guerra, nella quale la loro povera visione strabica individuava la sola
igiene del mondo, al quale essi auguravano di cuore un grande bagno di sangue nero.
8.41.2 Giolitti
Giolitti era convinto che l’Italia non avesse né la vocazione né le forze per partecipare al brutale
saccheggio colonialista che vedeva sia la Francia che la Germania in gara con l’Inghilterra, che del
colonialismo aveva fatto quasi un compito assegnatole dell’Alto.
È questo il tempo in cui con la squadra ed il compasso vengono tracciati quegli
incredibili confini del tutto contro natura che apparvero a lungo sulle carte
geografiche dell’Africa, linee rette per centinaia di km e angoli a 90° esatti.
Ma la pacata prudenza di Giolitti in quel tempo esagitato era una mosca bianca: fu così che nel 1911,
anche se obtorto collo, non ebbe la forza sufficiente, anche in termini parlamentari, per resistere alla
pressione dei capitalisti italiani, che i loro …”risparmiucci” li avevano impegnati nell’industria delle
armi e di conseguenza avevano assoluto bisogno di venderle. Oltretutto era il cinquantesimo dell’unità
d’Italia: quale occasione migliore per festeggiarlo?
Il 7 ottobre 1911, in un discorso al Teatro Regio di Torino, Giovanni Giolitti definì la guerra una
fatalità storica: che voleva dire? Lo dirà nelle sue memorie: è intervenuto in Libia per evitare che, a
seguito dell'occupazione francese del Marocco, tutto il Mediterraneo meridionale divenisse un
condominio anglo-francese.
8.41.2 La guerra
La guerra di Libia si ridusse, in buona sostanza, ad una modesta serie di scaramucce, ma le trombe dei
nostri vati nazionali squillarono in maniera decisamente spropositata. Una tantum ci si cimentò anche il
Pascoli, in dolorosa guerra con la sua cirrosi epatica: quel suo poema La grande proletaria s’è mossa
voleva magnificare la storia, ma di storia non conserva taccia.
Ma chi si espose oltre ogni decenza fu naturalmente l’uomo dalle mille vite a dalle mille e cento bugie,
quel Gabriele D’Annunzio che con La gesta d’oltremare aveva definitivamente perso il senso del limite.
A doverosa distanza dei suoi ”vati”, Giolitti pensva la Libia come uno scatolone di sabbia al quale egli
non teneva affatto (allora nessuno poteva intuire quanto petrolio ci fosse lì sotto): voleva solo che i
morti di quella guerra fossero il meno numerosi possibile; e ci riuscì, perché essi furono poco più di
10.
E a malincuore lasciò che la Libia venisse ribattezzata coi pomposi nomi romani di Tripolitania e di
Cirenaica.
La Tripolitania è la parte occidentale della Libia, 350.000 km² centrati attorno alla città costiera
di Tripoli. La Cirenaica è la regione della Libia orientale corrispondente alla penisola che sporge
nel Mar Mediterraneo tra il Golfo della Sirte e il Golfo di Bomba
8.41.2 Gli interventi di Pio X
Anche nelle guerre coloniali dell’inizio del XX secolo1, come in quelle di fine del XIX secolo, le
maggiori potenze europee impegnate a scannare popoli indifesi (in attesa di scannarsi fra di loro)
hanno spesso utilizzato l'elemento religioso in modo tutto strumentale, per convincere le popolazioni
indigene sull'utilità e necessità storica dell'impresa, volta, si diceva, a importare in quei paesi la civiltà e
la grande visione cristiana del mondo, la cultura occidentale e i benefici economici e sociali legati ad
essa.
Anche i capi militari e civili italiani strumentalizzarono in Libia la religione cattolica come “superiore”
all’Islam, mentre in Patria l'impresa fu a volte interpretata da una parte del clero e da parte di una
certa cultura cattolica con i toni «infervorati» della guerra religiosa.
Pio X ebbe il merito di condannare energicamente questo atteggiamento: L'Osservatore Romano
pubblicò una nota di biasimo di quelle fuorvianti concezioni della missione della Chiesa; e richiamò, a
volte anche personalmente, alti prelati e vescovi ad usare maggiore moderazione nelle loro
esternazioni a sostegno della guerra coloniale, e a mantenere in tale delicata materia un atteggiamento
imparziale come si addice, commentava amaramente il Papa, a Pastori chiamati a pacificare e non a fomentare o
giustificare una guerra di conquista.
Ottimo. Ma da parte di un Papa che avesse piena coscienza della propia missione universale la Storia
(quella con la “S” maiuscola) chiedeva ben altro: chiedev la denuncia della guerra in genere e di
quella in particolare, l’orribile guerra causata dalla folle e ingorda corsa delle nazioni ad accaparrarsi
sempre nuove colonie.
8.42 La deflagrazione e la morte di S. Pio X
Nel 1914 l'attentato di Sarajevo, dove venne ucciso l’Arciduca Ferdinando, erede al trono d’Austria,
innescò la miccia; la deflagrazione, grazie al giuoco delle alleanze, travolse l’Europa intera.
L’Italia, che fin dal 1882 con la Triplice Alleanza s’era alleata con Germania ed Austria, inizialmente
rimase neutrale; poi, quando dall’Austria ebbe avuto le desiderate “risposte insoddisfacenti” in
merito alla legittimazione della futura annessione di Trentino e Venezia Giulia, si sentì autorizzata a
stipulare il Patto di Londra, che l’impegnava nella Triplice Intesa a fianco di Francia e Inghilterra.
E così, il 24 maggio 1914 l’Italia scendeva in Guerra.
Forse la prima vittima di quella guerra fu proprio lui, S. Pio X. Gli storici hanno definito “tragica” la
fine del suo pontificato. Al di là delle sue simpatie per l’Austria e per il buon governo del suo
amatissimo Veneto da parte di Francesco Giuseppe, lo angosciò il fiume di sangue che
s’intravvedeva e che per primo s’era portato via il prediletto arciduca Ferdinando.
Ne morì, letteralmente, disse il suo medico. Ma purtroppo nessuno può dire che S. Pio X “fece
abbastanza” per combattere le cause della guerra che travolse anche lui.
Gubbio,12 /9/ 2017 don Angelo M. Fanucci, Canonico Penitenziere e Rettore di
Santa Maria al Corso
Comunità di Cpodarco dell’Umbria. Residenza per disabili “Pierfrancesco”, Via Elba 47, 06024
Gubbio (Pg) 075 922 11 50
1 Cfr GIOVANNI SALE, Libia 1911, Jaka Book 2016
DON MILANI, UN PROFETA 50 ANNI DOPO LA MORTE, 15
② I CONTENUTI DI LETTERA A UNA PROFESSORESSA
(Continua la PRIMA PARTE: LA SCUOLA DELL'OBBLIGO NON PUÒ BOCCIARE)
Statistica – La strage
sul piano nazionale - disadattato agli studi - il professore presuntuoso - Gianni è milioni - la piramide - insegnmento
1951 - prima elementare - mancato guadagno - i renitenti - i bocciati -sparare in un cespuglio - scuola elementare -
Pierino - pane amaro – le mamme – preti e puttane-frazioni di eguaglianza – assegni familiari
sul piano nazionale
A questo punto lei ci obietterà che siamo capitati a far gli esami in scuole particolarmente disgraziate.
Che per l'appunto anche da fuori ci son venute notizie tutte tristi. Che lei conosce decine d'episodi
veri quanto i nostri, ma che dimostrano il contrario.
Allora facciamo così: abbandoniamo noi e lei le posizioni troppo passionali e scendiamo sul terreno
scientifico.
Riprendiamo il nostro racconto da capo, ma questa volta in cifre.
disadattato agli studi
L'incarico delle statistiche l'ha preso Giancarlo. Ha 15 anni. È un altro di quei ragazzi di paese che voi
avete sentenziato disadatto agli studi.
Da noi carbura bene. Per esempio ora è quattro mesi che è immerso in queste cifre. Non gli pare arida
nemmeno la matematica.
Il miracolo educativo che abbiamo operato in lui ha una ricetta ben precisa.
Noi gli s'è offerto di studiare per uno scopo nobile: sentirsi fratello dí 1.031.000 bocciati insieme a lui
(è il numero dei bopcciati dalla scuola dell’obbligo nell’anno scolastico 1963-1964) e godersi le gioie
della vendetta per sè e per loro
il professore presuntuoso
Decine di Annuari Statistici, decine di scuole visitate, altre raggiunte per corrispondenza, viaggi al
Ministero e all'ISTAT (Istituto centyrale di Statistica) per i dati mancanti, giornate intere alla
calcolatrice.
Altri prima di noi avranno fatto lavori del genere. Ma son quei poveretti che poi non sanno tradurre i
risultati in lingua d'ogni giorno.
Noi non li abbiamo letti. Voi insegnanti nemmeno.
Così nessuno di voi ha un'idea chiara di quel che avviene nella scuola.
Si fece notare a un professore che era venuto in visita da noi. S'offese a morte: “È tredici anni che
insegno. Ho conosciuto migliaia di ragazzi e genitori. Voi vedete le cose dal di fuori. Non siete
addentro nei problemi della scuola”.
sul piano
nazionale
E allora è addentro lui che ha conosciuto solo ragazzi già selezionati. Più ne conosce e più vede
distorto.
Gianni è milioni
La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde.
La vostra «scuola dell'obbligo» ne perde per strada 462.000 l'anno. A questo punto gli unici
incompetenti di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli. Non noi che li troviamo nei
campi e nelle fabbriche e li conosciamo da vicino.
I problemi della scuola li vede la mamma di Gianni, lei che non sa leggere. Li capisce chi ha in cuore
un ragazzo bocciato e ha la pazienza di metter gli occhi sulle statistiche.
Allora le cifre si mettono a gridare contro di voi. Dicono che di Gianni ce n'è milioni e che voi siete o
stupidi o cattivi.
la piramide
Temendo che le tavole statistiche le restassero indigeste le abbiamo messein appendice. Qui nel testo
le riduciamo a misura umana.
La piramide che rappresenta il cammino che nell’anno scolastico 1963-1964 hanno compiuto poco
meno dki 500mila maschi e 450mila femmine l’abbiamo disegnata come un simbolo che s’imprime
negli occhi.
Dalle elementari in su sembra tagliata a colpi d’accetta. Ogni colpo una creatura che se ne va prima
d’essere uguale.
Erano quasi un milione i ragazzi e e ragazze che facevano la prima elemntare nel 1963.Alla laurea
utilizzando i previsti anni di corso, ne arrivano appena qualche decina, e tutti maschi,
inseguimento 1951
Ma la piramide ha il difetto che mette su di uno steso foglio ragazzi di 6 e di 30 anni
Mette su uno stesso foglio ragazzi di 6 e di 30 anni. Colpe vecchie e nuove.
Proviamo allora a inseguite una leva di ragazzi lungo gli otto anni della scuola dellì’obbligo.
Mancando dati più recenti seguiamo la leva ’51.
prima elementare
Entriamo il primo ottobre in una prima elementare. I ragazzi sono 32. A vederli sembrano eguali. In
realtà c'è già dentro 5 ripetenti.
A sette anni, col grembiulino e il fiocco, già segnati col marchio del ritardo che pagheranno caro alle
medie.
mancato guadagno
Prima di cominciare mancano già 3 ragazzi. La maestra non li conosce, ma son già stati a scuola.
Hanno assaggiato la prima bocciatura e non son più tornati.
Gianni è
milioni
Se fossero tornati sarebbero con lei. In un certo senso li ha persi. Come si dice perso un mancato
guadagno.
Anche nelle classi seguenti si ripeterà lo stesso fatto. Se fossimo cattivi potremmo contarvi ogni anno
il doppio di ragazzi persi: quelli che avete cacciato voi e quelli che vi mancano tra ripetenti.
Se foste buone sareste voi a contarli.
i renitenti
Quelli che non son mai venuti a scuola non li contiamo. Non ne esiste una rilevazione su scala
nazionale. Pare però che siano pochi. Per esempio qui in Mugello Giancarlo non ne ha trovati.
Comunque per loro non avremmo da rimproverarvi. Sarebbe colpa d'altri.
Soprattutto dei parroci che hanno presente tutto il popolo e possono convincere i
genitori o denunciarli.
i bocciati
A giugno la maestra boccia 6 ragazzi. Disobbedisce alla legge del 24 dicembre 1957 che la invita a
portarseli dietro per i due anni del primo ciclo.
Ma la maestrina non accetta ordini dal popolo sovrano. Boccia e parte per il mare
sparare in un cespuglio
Bocciare è come sparare in un cespuglio. Forse era un ragazzo, forse una lepre. Si vedrà a comodo.
Fino all'ottobre seguente non sapete cosa avete fatto. È andato a lavorare o ripete? E se ripete gli
farà bene o male? Si farà le basi per seguitare meglio o invecchierà malamente su programmi non
adatti pe
seconda elementare
A ottobre in seconda la maestra trova ancora 32 ragazzi'. Vede 26 visi noti e le pare d'essere di nuovo
trai suoi ragazzi cui vuoi bene.
Poi vede 6 ragazzi nuovi. Cinque sono ripetenti. Uno di loro ha già ripetuto due classi, ha quasi 9
anni.
Il sesto ragazzo nuovo è Pierino del dottore
Pierino
I cromosomi del dottore sono potenti.
Pierino sapeva già scrivere a 5 anni. Non ha avuto bisogno di far la prima. Entra a seconda a 6 anni.
Parla come un libro stampato.
Già segnato anche lui, ma questa volta col marchio della razza pregiata
te mamme
preti e puttane
41
pane amaro
Dei sei ragazzi bocciati, quattro stanno ripetendo la prima. Per la scuola non sono persi, ma per la
classe sì.
Forse la maestra non se ne dà pensiero perchè li sa al sicuro nella classe accanto. Forse se li è già
dimenticati.
Per lei, che ne ha 32, un ragazzo è una frazione. Per il ragazzo la maestra è molto di più. Ne ha avuta
una sola e l'ha cacciato.
Gli altri due non son tornati a scuola. Sono a lavorare nei campi. In tutto quello che mangiamo c'è
dentro un po' della loro fatica analfabeta.
le mamme
In tutto sei mamme hanno già saputo cos'è la vostra scuola. Quattro si son viste il bambino sradicato
dalla sua classe e dai suoi affetti. Esiliato a invecchiare tra compagni sempre più giovani.
Due se Io son visto tagliato fuori per sempre.
Le mamme non sono sante. Non vedono più in là del loro uscio. È un difetto grosso. Ma il bambino
è di qua dall'uscio. Lui almeno non lo potranno mai dimenticare.
preti e puttane
La maestra invece è difesa dalla sua smemoratezza di mamma a mezzo servizio. Chi manca ha il
difetto che non si vede. Ci vorrebbe una croce o una bara sul suo banco per ricordarlo.
Invece al suo posto c'è un ragazzo nuovo. Un disgraziato come lui. La maestra gli s'è già affezionata.
Le maestre son come i preti e le puttane. Si innamorano alla svelta delle creature. Se poi le perdono
non hanno tempo di piangere. Il mondo è una famiglia immensa. C'è tante altre creature da servire,
È bello vedere di là dall'uscio della propria casa. Bisogna soltanto esser sicuri di non aver cacciato
nessuno con le nostre mani.
frazioni di eguaglianza
Alla fine delle elementari 11 ragazzi hanno già lasciato la scuola per colpa delle maestre.
« La scuola è aperta a tutti. Tutti i cittadini hanno diritto a otto anni di scuola. Tutti i cittadini sono
eguali ». Ma quegli 11 no.
Due hanno eguaglianza zero. Per firmare fanno una croce. Uno ha un ottavo di eguaglianza. Sa
firmare. Gli altri hanno 2, 3, 4, 5 ottavi di eguaglianza. Leggono un po' alla meglio, ma non leggono il
giornale.
assegni familiari
Neanche uno di loro è figlio dí signori. La cosa è così evidente che fa sorridere.
I contadini hanno avuto gli assegni familiari solo ora. Cinquantaquattro lire al giorno per figliolo. Gli
operai ne prendono 187.
SCOLASTICA
20,1% 145%
/77723,9%
Non sarà la maestra che ha messo queste leggi. Ma lo sa che ci sono. A ogni bocciatura ha messo i
poveri in tentazione d'andarsene. I ricchi no.
15.a contrinua
***************************************************************************************
DAL CONFLITTO ALLA COMUNIONE
Alla vigilia dell’anno 2017, cinquecentesimo anniversario dell’esplosione della Riforma, con
l’affissione delle famose 95 tesi, da parte di Lutero, sulla porta della Cattedrale di Wittenberg,
IL TESTO PRODOTTO
dalla
COMMISSIONE LUTERANA-CATTOLICA SULL’UNITÀ
in preparazione alla commemorazione del
500.MO ANNIVERSARIO DELL’INIZIO DELLA RIFORMA
CONCEZIONI COMUNI E CONCEZIONI DIVERSE
IL MINISTERO
Il sacerdozio dei battezzati
177. Si pone il problema di come i compiti specifici dei ministri ordinati sono posti correttamente in
relazione con il sacerdozio universale di tutti i credenti battezzati. Il documento di studio The
apostolicity of the Church (L’apostolicità della Chiesa) afferma: «Cattolici e luterani concordano sul fatto
che tutti i battezzati che credono in Cristo partecipano del sacerdozio di Cristo e sono perciò investiti
dell’autorità di proclamare “le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce
meravigliosa” (1 Pt2,9). Pertanto a nessun membro manca un ruolo da svolgere nella missione
dell’intero corpo» (The apostolicity of the Church, Lutheran University Press, Minneapolis 2006, 273).
L’origine divina del ministero
178. Nella comprensione del ministero ordinato vi è una convinzione unanime riguardo alla sua
origine divina: «Cattolici e luterani affermano insieme che Dio stesso ha istituito il ministero e che
esso è necessario per l’esistenza della Chiesa, dal momento che la parola di Dio e la sua
proclamazione pubblica nella parola e nel sacramento sono necessarie perché la fede in Gesù Cristo
sia suscitata e preservata e, insieme a questo, perché la Chiesa si formi e sia preservata come insieme
dei credenti che formano il corpo di Cristo nell’unità della fede» (The apostolicity, 276).
Ministero della Parola e del sacramento
179. The apostolicity of the Church identifica la proclamazione del Vangelo come il compito fondamentale
dei ministri ordinati, sia per i luterani che per i cattolici: «I ministri ordinati hanno un compito speciale
all’interno della missione della Chiesa nel suo complesso» (The apostolicity 274). Sia per i cattolici sia per
i luterani, «il dovere e l’intento fondamentale del ministro ordinato è il servizio comunitario della
parola di Dio, il Vangelo di Gesù Cristo, che il Dio uno e trino ha incaricato la Chiesa di annunciare a
tutto il mondo. Ogni ministero e ogni ministro devono essere valutati in rapporto con questo
incarico» (The apostolicity, 274).
180. Questo accento sul compito ministeriale dell’annuncio del Vangelo è comune ai cattolici e ai
luterani (cf. The apostolicity, 247, 255, 257, 274). I cattolici pongono l’origine del ministero presbiterale
nell’annuncio del Vangelo. Il decreto conciliare sul ministero e la vita dei presbiteri (Presbyterorum
ordinis) dichiara: «Il popolo di Dio viene adunato innanzitutto per mezzo della parola del Dio vivente,
che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti. Dato infatti che nessuno può essere salvo
se prima non ha creduto, i presbiteri, nella loro qualità di cooperatori dei vescovi, hanno anzitutto il
dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Dio» (PO 4, in EV 1/1250, citato in The apostolicity, 247). «I
cattolici dichiarano anche che è compito dei ministri ordinati radunare insieme il popolo di Dio per
mezzo della parola di Dio, e annunciarla a tutti così che essi possano credere» (The apostolicity, 274).
Similmente la concezione dei luterani è che «il ministero ha il suo fondamento e il suo criterio nel
compito dell’annuncio del Vangelo all’intera comunità in modo così convincente che sia risvegliata e
resa possibile la certezza della fede» (The apostolici- ty 255).
181. Luterani e cattolici concordano anche sulla responsabilità della guida da parte del ministero
ordinato riguardo all’amministrazione dei sacramenti. I luterani affermano che «il Vangelo conferisce a
coloro che presiedono alle Chiese l’incarico di annunciare il Vangelo, perdonare i peccati e
amministrare i sacramenti » (The apostolicity, 274). I cattolici dichiarano inoltre che i sacerdoti hanno il
compito di amministrare i sacramenti, che essi considerano «strettamente uniti alla sacra eucaristia» e
orientati a essa in quanto «fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione» (PO 5, in EV 1/1253, citato
in The apostolicity, 274).
182. The apostolicity of the Church commenta inoltre: «È degna di nota la similarità che c’è tra le
descrizioni delle funzioni ministeriali dei presbiteri e quelle dei vescovi. Lo stesso modello del triplice
ufficio – annuncio, liturgia, guida pastorale – è usato per vescovi e presbiteri, e nella vita concreta della
Chiesa proprio questi ultimi pongono in atto l’esercizio ordinario di queste funzioni mediante le quali
la Chiesa viene edificata, mentre i vescovi hanno la funzione di supervisione sulla dottrina e di cura
della comunione tra le comunità locali. I presbiteri esercitano, comunque, il loro ministero in
subordinazione ai vescovi e in comunione con essi» (The apostolicity, 248).
Rito dell’ordinazione
183. Riguardo all’ordinazione a questo speciale ufficio esiste la seguente consonanza: «Il conferimento
dell’incarico di questo ministero avviene per mezzo dell’ordinazione, nella quale un cristiano è
chiamato e investito dell’autorità, mediante la preghiera e l’imposizione delle mani, di esercitare il
ministero della pubblica predicazione del Vangelo in parola e sacramento. Tale preghiera è una
supplica di ricevere lo Spirito Santo e i doni dello Spirito, elevata nella certezza che sarà ascoltata» (The
apostolicity, 277).
Ministero locale e regionale
184. Luterani e cattolici possono affermare insieme che differenziare il ministero «in uno più locale e
uno più regionale nasce di necessità dall’intenzione e dal compito del ministero di essere un ministero
di unità nella fede» (The apostolicity, 279). Nelle Chiese luterane il compito dell’episkope è inteso in varie
forme. Coloro che esercitano un ministero a livello più ampio rispetto alla comunità locale vengono
indicati in alcune regioni con titoli diversi da quello di «vescovo», come ad esempio eforo, presidente
di Chiesa, sovrintendente o pastore sinodale. I luterani ritengono che il ministero dell’episkope sia
anche esercitato non solo individualmente ma pure in altre forme, come i sinodi, a cui partecipano
insieme membri sia ordinati che non ordinati.
Apostolicità
185. Anche se i cattolici e i luterani intendono in maniera differente le proprie strutture ministeriali
come preposte a trasmettere l’apostolicità della Chiesa, essi concordano sul fatto che «la fedeltà al
Vangelo apostolico ha la priorità nell’interazione di traditio, successio e communio» (The apostolicity, 291). Gli
uni e gli altri concordano sul fatto che «la Chiesa è apostolica sulla base della fedeltà al Vangelo degli
apostoli» (The apostolicity, 292). Questo accordo ha delle conseguenze per il riconoscimento cattolico
del fatto che le persone «che esercitano l’ufficio della sorveglianza che nella Chiesa cattolica romana è
attuato dai vescovi» hanno anche «una speciale responsabilità nei riguardi dell’apostolicità della
dottrina nelle loro Chiese», e perciò non possono essere escluse dalla «cerchia di coloro il cui
consenso è, secondo la visione cattolica, il segno dell’apostolicità della dottrina » (The apostolicity, 291).
Il servizio alla Chiesa universale
186. I luterani e i cattolici concordano sul fatto che il ministero è al servizio della Chiesa universale. I
luterani «presuppongono che la comunità radunata per il culto stia in una relazione essenziale con la
Chiesa universale» e che questa relazione sia intrinseca alla comunità che celebra il culto, non qualcosa
di aggiunto a essa (The apostolicity, 285). Anche se i vescovi cattolici romani «esercitano il loro governo
pastorale sopra la porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre Chiese né
sopra la Chiesa universale», ogni vescovo è tenuto «ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine»
(LG 23; EV 1/339). Il vescovo di Roma in virtù del suo ufficio è «pastore di tutta la Chiesa»
(LG 22; EV 1/337).
Differenze nella comprensione del ministero
L’episcopato
187. Permangono differenze rilevanti riguardo alla comprensione del ministero nella Chiesa. The
apostolicity of the Church riconosce che per i cattolici l’episcopato è la forma piena del ministero
ordinato e, di conseguenza, il punto di partenza dell’interpretazione teologica del ministero ecclesiale.
Il documento cita Lumen gentium, n.21: «Insegna il santo Concilio che con la consacrazione episcopale
viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine (…) [che] conferisce pure, con l’ufficio di
santificare, gli uffici di insegnare e governare, i quali però per loro natura non possono essere
esercitati se non nella comunione gerarchica col capo e colle membra del collegio» (EV 1/335, citato
in The apostolicity, 243).
188. Il Concilio Vaticano II ha riaffermato la concezione «che i vescovi per divina istituzione sono
succeduti al posto degli apostoli, quali pastori della Chie sa: chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li
disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo» (LG 20; EV 1/333). Nondimeno è
dottrina cattolica «che un singolo vescovo non sia in successione apostolica in virtù del suo essere
parte di una catena storicamente documentabile e ininterrotta di imposizioni delle mani attraverso i
suoi predecessori risalendo fino a uno degli apostoli», ma che sia invece «in comunione con tutto
l’ordine dei vescovi il quale, nel suo complesso, succede al collegio apostolico e alla sua missione» (The
apostolicity, 291).
189. Questa prospettiva sul ministero, che comincia con l’episcopato, rappresenta un cambiamento
rispetto all’accento che il concilio di Trento aveva posto sul sacerdozio e sottolinea l’importanza del
tema della successione apostolica, anche se la Lumen gentium poneva in evidenza l’aspetto ministeriale
di questa successione senza negarne la dimensione dottrinale, missionaria ed esistenziale (The
apostolicity, 240). È per questo che i cattolici identificano la Chiesa locale con la diocesi, ritenendo che
gli elementi essenziali della Chiesa devono essere la Parola, il sacramento e il ministero apostolico
nella persona del vescovo (The apostolicity, 284).
Sacerdozio
190. I cattolici differiscono dai luterani nella loro interpretazione dell’identità sacramentale del
sacerdote e del rapporto tra il sacerdozio sacramentale e il sacerdozio di Cristo; essi affermano che i
sacerdoti sono «resi partecipi in modo speciale del sacerdozio di Cristo [in modo che] nelle sacre
celebrazioni agiscono come ministri di colui che ininterrottamente esercita la sua funzione sacerdotale
in favore nostro nella liturgia » (PO 5; EV 1/1252).
Pienezza del segno sacramentale
191. Per i cattolici, le ordinazioni luterane sono prive della pienezza del segno sacramentale. Secondo
la dottrina cattolica, «la pratica e la dottrina della successione apostolica nell’episcopato è, insieme al
triplice ministero, parte della struttura integrale della Chiesa. Questa successione viene realizzata in
una maniera collegiale in quanto i vescovi vengono assunti all’interno del collegio dei vescovi cattolici
e quindi hanno il potere di ordinare. Di conseguenza, è dottrina cattolica anche che nelle Chiese
luterane il segno sacramentale dell’ordinazione non sia pienamente presente perché coloro che
conferiscono l’ordine non agiscono in comunione con il collegio episcopale cattolico. Perciò
il Concilio Vaticano II parla di un defectus sacramenti ordinis (UR 22) in queste Chiese» (The apostolicity,
283).
Il ministero universale
192. Infine i cattolici e i luterani differiscono sia negli uffici che nell’autorità del ministero e della guida
pastorale esercitata al di sopra del livello regionale. Per i cattolici il romano pontefice ha sulla Chiesa
«una potestà piena, suprema e universale» (LG 22; EV 1/337). Anche il collegio dei vescovi esercita
una potestà piena e suprema sulla Chiesa universale «insieme col suo capo il romano pontefice, e mai
senza di esso» (ivi). The apostolicity of the Church osserva che vi sono varie concezioni tra i luterani
riguardo alla «competenza degli organi di direzione oltre il livello delle singole Chiese e alla forza
vincolante delle loro decisioni» (The apostolicity, 287).
Considerazioni
193. Nel dialogo si è spesso rilevato che il rapporto dei vescovi con i presbiteri agli inizi del XVI
secolo non era inteso come fu inteso successivamente dal Concilio Vaticano II. L’ordinazione
presbiterale al tempo della Riforma dovrebbe quindi essere considerata in riferimento alle condizioni
di quel periodo. È significativo anche il fatto che i compiti dei titolari cattolici e luterani di un ufficio
coincidessero ampiamente tra loro.
194. Nel corso della storia l’ufficio ministeriale luterano è stato in grado di adempiere al suo compito
di mantenere la Chiesa nella verità, così che quasi 500 anni dopo l’inizio della Riforma è stato
possibile attestare un consenso cattolico-luterano sulle verità fondamentali della dottrina della
giustificazione. Se, secondo il giudizio del Concilio Vaticano II, lo Spirito Santo si serve delle
«comunità ecclesiali» come mezzi di salvezza, sembra si possa dire che quest’opera dello Spirito abbia
delle implicazioni per un qualche riconoscimento reciproco del ministero. Pertanto l’ufficio del
ministero presenta a un tempo sia notevoli ostacoli a una comprensione comune, sia anche
prospettive incoraggianti per una riconciliazione
Caro lettore, la mia Comunità di Capodarco dell’Umbria è in drammatica difficoltà
economica, grazie alla mia collaudata insipienza gestionale, ma anche (anche) a
comportamenti di natura vessatoria da parte di settori dell’Ente Pubblico.
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