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RENATO ROLLI E NICOLA POSTERARO1
Salute e chirurgia estetica: dialogo col diritto.
Legittimazione e sua terapeuticità.
Sommario: 1. Premessa.; 2. Tra chirurgia estetica e chirurgia plastica: definizione del
campo d’indagine; 3. Accettazione etico.giuridica della chirurgia estetica: problemi di
legittimazione e sua terapeuticità; 4. Superamento del problema; 5. Segue. Le prospettive
attuali.
1. Premessa.
Nella nostra società l’estetica prende piede e si mostra come fondante,
imprescindibile.
Essa diventa il mezzo (quasi l’unico) per raggiungere risultati ottimali nella
vita come nel lavoro, e guida le vite quotidiane di ciascuno nelle relazioni
con gli altri.
Si rende sicuramente opportuna, dunque, una valutazione critica che valga a
comprendere come (e se) il diritto debba coordinare queste evoluzioni
(involuzioni?) sociali: in che modo può esso in concreto agire per tutelare
soggetti costituzionalmente autonomi nell’ottica della nuova affascinante
(ma pericolosa) cd. “body changing culture”2?
1 Nonostante il presente lavoro sia frutto della collaborazione dei due autori, Renato Rolli è
responsabile dei §§ 2 e 5; Nicola Posteraro dei §§ 3 e 4. La premessa, invece, è da
attribuire a entrambi nella sua integrità. 2 Così la definisce BERER, Cosmetic surgery, body image and sexuality, in Reproductive
Health Matters, 18/35, 2010, pag. 4. “Vi sono nessi indissolubili e continuo scambio
spirituale di forze ed un’influenza costante, per cui il diritto si va materiando di idee
morali, e, con l’elevarsi della civiltà, questo lavoro di penetrazione e di assorbimento
cresce. Non è da dimenticare che, secondo lo sviluppo storico, il diritto rappresenta il
minimo etico che dalla gran massa delle forze sociali si è venuto distaccando ed elevando
per i bisogni supremi della convivenza degli uomini, acquistando forza coattiva con la
protezione sociale”, così, FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, 1, Roma, 1921,
pgg. 26 e ss.. Sulla stessa scia si è posto Gasparini, nel corso di una Lectio Magistralis
tenuta a Milano (Facoltà di Economia/Dipartimento di Sociologia) il 28 Marzo 2012 dal
titolo La bellezza – società, bellezza e valori nel mondo contemporaneo: “L’estetica
richiama inevitabilmente l’etica e pone, non da oggi, il problema di quale sia lo spazio da
assegnare alla bellezza rispetto ai valori in genere: uno spazio che, oltre che in termini di
scelte individuali, ci interessa considerare dal punto di vista delle sue espressioni nella
realtà del sociale, dunque in termini di spazio sociale”. Sulla importanza assunta dalla
chirurgia estetica nel contesto sociale, si vedano GHIGI, Per piacere, Storia culturale della
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Con un’analisi approssimativa delle principali problematiche che da sempre
hanno involto la chirurgia estetica a livello giuridico, cercheremo di scoprire
se è giusto che nello studio di questa branca della medicina vadano
operando criteri diversi di classificazione/definizione, ovvero se sia
opportuno ricondurre la problematica dell’approfondimento giuridico
dell’attività ad un unicum valutativo quale quello cui appartiene,
evidentemente, anche l’ambito della chirurgia cd. ordinaria.
Oggetto di questo lavoro, quindi, è un’indagine che valga a sottolineare il
tipo di rapporto esistente tra la chirurgia estetica (pratica diffusa) ed il diritto
(base della società), per capire fin dove possa spingersi la richiesta del
paziente nell’ottica della legittimazione.
La chirurgia estetica è un tipo di chirurgia diversa da quella cd. ordinaria?
Come può essere giuridicamente accettata? Quali sono gli appigli
normativi? Quale il percorso storico che ha condotto giurisprudenza e
dottrina a riconoscerne una importanza terapeutica?
Il diritto alla salute è un diritto fondamentale del singolo3. La sua tutela deve
essere in ogni modo assicurata. Così, laddove una pratica medica possa
soddisfarlo pienamente, sebbene in astratto sembri essere da motivi
terapeutici completamente slegata, è giusto che dialoghi positivamente col
diritto e che con esso trovi un punto d’incontro. Un punto, cioè, dove possa
attualizzarsi uno scambio positivo di influenze idonee ad assicurare la
valorizzazione del singolo ontologicamente e assiologicamente inteso4.
2. Tra chirurgia estetica e chirurgia plastica: definizione del campo
d’indagine.
Prima di iniziare ad analizzare i rapporti che legano la chirurgia estetica al
diritto, è opportuno procedere con delle distinzioni lessicali atte a
differenziare il nostro campo d’indagine da quello entro cui esso si colloca.
In genere, infatti, quando si parla di chirurgia estetica si creano delle
confusioni che, se non chiarite, vanno a ripercuotersi inevitabilmente (e
ingiustamente) anche su valutazioni di tipo prettamente giuridico.
chirurgia estetica, Bologna, 2008; GUIDANTONI, Chirurgia estetica, e culto della
bellezza nella società contemporanea, in. Med. Mor., 1, 59, 1995. 3 Per un approfondimento sul diritto alla salute in genere, sia consentito rimandare a
POSTERARO, Evoluzione del diritto alla salute e riconoscimento del paziente tra
tecnologia, spersonalizzazione e crisi valoriale, in Dike kai nomos, n. 4/2013, pgg. 115 e
ss. 4 Il significato dei termini assiologico e ontologico va inteso nel senso adoperato da
CALABRÒ-HELZEL, Il sistema dei diritti e dei doveri, Torino, 2011. La persona è
soggetto di diritto in quanto tale; essa è portatrice di valori, fulcro dell’ordinamento. Ogni
valutazione va condotta tenuto conto della sua importanza e centralità.
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La errata coincidenza che più normalmente si vuole riconoscere è quella tra
la chirurgia plastica generale e la chirurgia estetica in senso stretto. Per
molti infatti, parlare dell’una o dell’altra non fa differenza: il chirurgo
plastico, in quest’ottica, sarebbe tanto quello che ricostruisce la mammella
dell’operato a seguito d’un tumore, tanto quello che gli rifà il naso.
In realtà, la distinzione esiste, ed è fondamentale: la chirurgia estetica,
infatti, è semmai un ramo della plastica largamente considerata e si pone nei
suoi confronti come la species di un genus molto più ampio che ingloba in
sé ben altri tipi di interventi plastici5.
La classificazione degli interventi plastici estetici normalmente riconosciuta
come valida e che, presa in prestito, ci può avallare in questa opera di chiara
differenziazione, è quella operata dal Bilancetti6.
Secondo l’autore, infatti, esistono:
a) interventi plastici che tendono a ricostruire una condizione somatica
preesistente, gravemente deteriorata da infortuni della più svariata eziologia
(sinistri stradali, infortuni sul lavoro, interventi menomativi o demolitivi per
curare gravi patologie, ecc., cd. chirurgia plastica riparativa)7;
b) interventi plastici resisi necessari per correggere imperfezioni
naturali, gravemente pregiudizievoli per la vita di relazione, per quella
affettiva e/o professionale, oltre che, a volte, anche per la salute
dell’interessato (cd. chirurgia plastica ricostruttiva)8;
c) interventi plastici fisicamente non necessari, rivolti a correggere
imperfezioni fisiche che per taluni sarebbero insignificanti -siccome
modeste- ma che per l’interessato sono motivo di disagio. Essi sono
5 “Il progressivo sviluppo della chirurgia plastica ricostruttiva è andato di pari passo con il
graduale differenziarsi, nell’ambito del particolare settore specialistico, delle pratiche di
chirurgia plastica classicamente dirette al trattamento di alterazioni anatomo-funzionali di
valore patologico, da quelle di chirurgia estetica, rivolte ad eliminare, o ridurre,
alterazioni somatiche di ordine essenzialmente morfologico”. Così BARALE, La
responsabilità del chirurgo estetico, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, pag. 1368. 6 Cfr. BILANCETTI, La responsabilità penale e civile del medico, Padova, 2010, pag. 162
e riportata dallo stesso a. in ID., La responsabilità del chirurgo estetico, in Riv. It. Med.
Leg., XIX, 1997, pag. 520. 7 L’esempio tipico è quello della ricostruzione mammaria a seguito di tumore: qui il medico
agisce per eliminare un tipo di patologia che prescinde da aspetti meramente voluttuari del
soggetto operato. L’intervento si completa, sì, con la plastica estetica di tipo ricostruttivo,
ma tale fase rimane comunque conseguenza d’un intervento a monte necessitato da aspetti
di cura salutare in senso stretto. 8 L’esempio classico è quello della labiopalatoschisi (cd. labbro leporino), malformazione
che interessa il labbro superiore ed il palato provocandone una fessura più o meno estesa; in
questo caso il sanitario si occupa di eliminare una naturale malformazione del soggetto
malato.
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essenziali per l’operato che voglia acquistare maggiore fiducia in sé e
maggiore sicurezza nell’ambito della sua -importante- vita di relazione9.
Quest’ultima specie, quindi, è quella della chirurgia plastica estetica in
senso stretto, quella chirurgia, cioè, che si occupa di modificare il corpo di
qualcuno sulla base delle richieste dell’interessato, operando con mezzi e
strumenti tipici dell’attività medica “classica” ma con presupposti (se non
altro d’urgenza) -apparentemente- diversi da quest’ultima.
Il quadro, in questo senso, è chiaro e limpido: una confusione tra i vari
livelli di chirurgia sarebbe inopportuna oltre che in alcuni casi fortemente
pericolosa in sede di valutazione di responsabilità10
.
Questo tipo di differenziazione, inoltre, risulta essere particolarmente
importante ai fini dello studio specifico di alcune problematiche che, da
sempre, pur avendo interessato dapprima tutta la chirurgia plastica
largamente intesa, si sono poi riferite specificamente a quella più
propriamente estetica.
Alludiamo, per esempio, a quei problemi di scarsa accettazione del nuovo
(in base ai quali si riteneva che la chirurgia estetica fosse una chirurgia di
minor rilievo sociale, sicuramente più invasiva rispetto all’ordinaria e
differente da essa sia nel presupposto operativo che nello scopo -risultato
finale- perseguito) ed a quelli -dal primo dipendenti- strettamente connessi
al momento valutativo della responsabilità del sanitario coinvolto in un
intervento di chirurgia estetica.
È del primo di questi aspetti che vogliamo più dettagliatamente occuparci
nel corso del nostro lavoro; ed è per questo che ci pare opportuno fin da
subito operare una tale distinzione concettuale proprio per evitare di trovarci
a discutere di problematiche assolutamente non generalizzabili poiché
specificamente riferibili alla chirurgia plastica estetica in senso stretto sub
c).
9 BARALE, in op.cit., pag. 1360, riprendendo la tripartizione del Bilancetti, definisce
quest’ultima categoria come quella che “comprende tutti quegli interventi che nella norma
potrebbero essere evitati ma che sono richiesti per svariate ragioni, riconducibili
principalmente al desiderio (o al capriccio) di modificare il proprio aspetto per
trasformare una parte del proprio corpo ritenuta non conforme ad un certo standard di
bellezza, o piuttosto per cancellare i segni del tempo che, con intensità diversa, interessano
irrimediabilmente ogni individuo”. 10
“Una simile distinzione trova riscontro in diverse caratteristiche di impegno tecnico: ma
trova riscontro anche in non trascurabili differenze in aspetti giuridici e medico-legali, che
afferiscono alla responsabilità professionale del medico”. Così POZZATO, Aspetti di
responsabilità professionale nella chirurgia plastica e nella chirurgia estetica: il consenso
dell’assicurato, la colpa a livello di informazione ed esecuzione di trattamento, in AA.VV.,
Chirurgia plastica ricostruttiva e chirurgia estetica. Aspetti etici, giuridici e medico-legali,
Milano, 1988, pag. 41.
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3. Accettazione etico.giuridica della chirurgia estetica: problemi di
legittimazione e sua terapeuticità.
I problemi relativi alla legittimità dell’attività chirurgica estetica hanno
interessato, indistintamente, sia i profili etici, sia quelli più propriamente
giuridici.
Questi ultimi, all’inizio fortemente influenzati dalle valutazioni morali
effettuate dai più, sono riusciti a superare, col tempo, le problematiche in tal
senso affrontate; i primi, al contrario, rimangono ancora spesso reticenti nei
confronti della pratica in sé considerata (ovvero, per meglio dire, nei
confronti del suo attuale estremizzato utilizzo), boicottandone la concreta
applicazione11
.
“L’opportunità dell’intervento chirurgico a fini estetici, così liminale tra i
due ambiti, è sempre stata oggetto di un possibile conflitto rispetto ai codici
sociali, etici e politici vigenti. L’approvazione sociale attraverso il bisturi
non è mai scontata e, in qualche modo, va sempre conquistata12
”.
Le ragioni di questa tensione affondano le radici proprio nel modo in cui,
storicamente, medicina e bellezza sono state pensate e costruite nella
società: la prima è stata sviluppata sotto l’egida benevola della necessità, la
seconda, invece, è stata coltivata nel franoso terreno dell’inutilità o banalità.
La medicina, infatti, quando parlava di chirurgia estetica pareva volesse in
ogni modo escludere, a priori, un qualsiasi riferimento ad un profilo
patologico, riabilitativo e di recupero funzionale dell’individuo; era come se
volesse porre sempre, in primo piano, quale unico obiettivo della pratica
contestata, l’apparenza esteriore della persona, il suo perfezionamento
secondo individuali esigenze o canoni predeterminati.
Il concetto evocava, cioè, l’idea di mera voluttuarietà, di bellezza intesa
come strumento di autoaccettazione e autoaffermazione sociale; e, non da
ultimo, quello della terapia medica legata alla mera vanità o al(l’opinabile)
capriccio del singolo.
Sebbene simili problemi fossero sorti, paradossalmente, anche nei confronti
dell’attività plastica riparativa-ricostruttiva, bisogna dire che, in realtà, in
quel caso bastò poco tempo per riuscire a superarli completamente13
.
11
La tematica riprende il problema della cd. medicina dei desideri, per un approfondimento
etico-giuridico del quale sia consentito rimandare a POSTERARO, Evoluzione…, op. cit., e
ID., Il consenso informato. Problemi etico-giuridici di estremizzazione, in giustamm.it,
2013. Si veda, pure, HELZEL, Il rapporto medico-paziente tra principi etici e norme
giuridiche, in Le Corti Calabresi, 2007. 12
Cfr. GHIGI, op. cit., pag. 139. 13
I dilemmi etici con cui si sono misurati coloro che praticavano la chirurgia estetica
furono anticipati, addirittura, nel XVI-XVII sec.: c’era chi, per esempio, andava affermando
che si trattava di un’ars operatoria inaccettabile perché in essa lo svantaggio del mezzo e il
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Si ritenne quasi subito, infatti, che gli interventi di chirurgia plastica
ripartivo-ricostruttiva fossero tranquillamente equiparabili al ramo più
generico dell’attività chirurgica classicamente intesa. E che, dunque,
potessero essere giustificati sempre e comunque da pregresse situazioni
naturali, ovvero determinati sviluppi casuali, non chiaramente legati alla
mera volontarietà del soggetto interessato. Tali interventi erano riconosciuti
come obiettivamente finalizzati a curarlo nel momento della ricostruzione-
riparazione d’un sostrato fisico che, per natura, avrebbe dovuto essere
presente in un certo modo, ma che, per cause diverse (mancava a priori,
ovvero era venuto meno nel mentre della vita) si mostrava essere
funzionalmente scorretto14
.
L’unica specie della plastica che, quindi, sembrava non appartenere neppure
minimamente alle classiche operazioni necessitate terapeuticamente, era
proprio quella dell’estetica; quella chirurgia che, appunto, incidendo su di
un malato sano, lo avrebbe fatto, in quest’ottica, col solo fine di poter
soddisfare una sua estetica pretesa di bellezza15
.
dolore arrecato superavano il beneficio per cui veniva praticata, che non era quello di
salvare una vita né semplicemente di rimuovere un organo o ripristinarne il funzionamento.
A quell’epoca, quindi, poiché fin dal medioevo, sulla base del principio per cui ecclesia
abhorret a sanguine, la pratica operatoria era denigrata dalle altre autorità ecclesiastiche (e
talvolta dagli stessi accademici) in molti paesi europei la chirurgia era addirittura lasciata
nelle mani di uomini che si erano formati lontano dalle università e dalle scuole di medicina
(i cosiddetti chirurghi-barbieri, cd. chirurgiens-barbiers, il cui esempio più lampante è
quello dei fratelli Vianeo). Nel tempo, invece, le cose cominciarono a cambiare, e i medici
decisero di legittimare “il ricorso al bisturi estetico appellandosi alla nobiltà del corpo
come opera della natura; col passare del tempo l’hanno motivato riferendosi al
miglioramento delle condizioni psichiche del paziente oppure al suo pieno inserimento
nella società”. Così GHIGI, op. cit., pag. 139. Sulla storia della chirurgia plastica in genere
si rimanda fin da subito a HAIKEN, L’invidia di Venere, (trad. it. SONEGO), Odoya,
Bologna, 2011; ALASIA, La chirurgia plastica in Italia nel XX secolo, Milano, 2001. 14
“Alle pratiche di chirurgia plastica, dirette a ripristinare la funzionalità di determinati
organi o tessuti, rimediando, con ciò, a situazioni ad impronta patologica, è senz’altro da
riconoscere, ed è riconosciuta, una finalità terapeutica, e sono perciò assimilabili, per
quanto concerne gli aspetti giuridici e medico-legali di fondo inerenti alla responsabilità
professionale, alla generalità delle prestazioni chirurgiche”. Così POZZATO, op. cit., pag.
42. Cfr. a questo proposito anche RIZ, Il consenso dell’avente diritto, Padova, 1979, pag.
415. 15
Bisogna pur precisare che, in tal senso, non era soltanto la morale a condannare gli
interventi volti al mero miglioramento fisico.estetico del proprio corpo, e che la dottrina era
influenzata anche dalla rilevante giurisprudenza del tempo: quest’ultima, infatti,
considerava nulli i relativi contratti conclusi tra medico e paziente, sul presupposto della
loro indubbia contrarietà al buon costume (vedi al riguardo Trib. Lyon, 27 Giugno 1913, in
Gaz. Pal. 1913, II, pag. 506, nonché le osservazioni di SAIGET, Le contrait immoral,
Paris, 1939, pag. 103. In questa decisione, i magistrati francesi furono chiamati a risolvere
una controversia che, tenuto conto dell’epoca in cui fu contratta, presenta caratteri
particolari e specifici. Un’anziana donna aveva stipulato un contratto col quale si
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7
Il rifacimento del naso, piuttosto che l’ingrandimento d’un seno, così, non
sarebbero serviti ad evitare pericolose gravi malattie, ma sarebbero valsi
solo ad avallare l’inguaribile smisurata voglia di onnipotenza dell’uomo
desideroso16
.
Quest’idea generale e sociale fece sì che la medicina ordinaria potesse
essere definita e giuridicamente legittimata soltanto in relazione alla finalità
da essa perseguita (quella di curare le infermità e le malattie secondo una
concezione di forte matrice pubblicistica) e che la medicina estetica fosse da
considerare un’attività medicalmente ingiustificata, classificabile come
meramente cosmetica17
e, dunque, non curativa.
impegnava, in cambio di soldi, a concedere la sperimentazione sul suo corpo di interventi
chirurgici finalizzati esclusivamente al miglioramento del suo aspetto fisico. In particolare,
recita la sentenza, si trattava di un «méthod […] tendant à effacer les rides du visage et du
cou, et, plus spécialment, à dissimuler l’abaissement ou l’allongement des seins». Tuttavia,
il mancato raggiungimento dei risultati sperati, indusse la donna a ricredersi
dell’opportunità di simili interventi, e a ricorrere alla giustizia per evitare il pagamento
pattuito oltre che per pretendere un risarcimento dei danni per le sofferenze subite. Il
collegio giudicante, senza alcuna esitazione, appurando l’inutilità degli interventi dal punto
di vista della salute, li degradò a mere pratiques de vivisection sans utilité pour elle,
dichiarando per tali motivi la nullità della convenzione stipulata per illiceità della causa,
essendo quest’ultima contraria ai bones murs. MUSATTI, La chirurgia interdetta, in Riv.
Dir. Comm., XXVII, 1929, I, pag. 698, arrivava a commentare la seguente sentenza dicendo
che essa era “indubbiamente dominata da un giusto criterio. Qui un elementare ragione
morale doveva reagire come avvenne e ben giuridicamente contro l’efficacia di un tale
consenso, dato non per uno scopo di proprio diretto vantaggio, non per migliorare le
condizioni o la forma ddel proprio corpo a servizio proprio, ma per convertite in cosa da
pagare con pochi soldi l’integrità e la dignità della persona”. L’atteggiamento della
giurisprudenza francese nei confronti della chirurgia estetica viene definito da DEMOGUE,
Responsabilité pour opération de chirurgie esthétique, in RTD civ., 1929, pag. 420, come
un atteggiamento privo di indulgenza). In alcuni casi, poi, i giudici acuivano la differenza
tra cliente e terapeuta in generale e chirurgo praticante la chirurgia estetica, sottolineando
come: “si persegue in un caso la guarigione da una infermità, o quantomeno,
l’attenuazione delle manifestazioni relative; nell’altro, un miglioramento dell’aspetto
fisico, in vista di un migliore presentarsi nella vita di relazione e nella propria attività
professionale, quest’ultima caratterizzata anche dal tipo di attività svolta”, così Cass. Civ.,
sent. n. 4394/1985, in Foro it., 1986, I, pag. 121. 16
All’inizio del XX secolo, i chirurghi che si ritenevano rispettabili erano del parere che la
chirurgia estetica, poiché metteva a rischio la salute di pazienti sani, andasse contro i
capisaldi fondamentali della professione medica: la chirurgia della bellezza era
appannaggio di medicastri e ciarlatani. A loro avviso, i nasi importanti, il seno piccolo e le
rughe di ogni tipo erano una cosa naturale, e la dignità con cui venivano sopportati
testimoniava la forza di carattere del loro possessore. Tutto questo era un atto frivolo
finalizzato solo a “dilettar gli occhi”, alla spuria pulchritudo, alla bellezza effimera e falsa. 17
In dottrina l’operazione di chirurgia estetica è stata talvolta annoverata tra quegli
interventi che, pur avendo natura medica, “non assumono finalità terapeutiche, ma
riguardano piuttosto pratiche cosmetiche”, così BARALE, La responsabilità del chirurgo
estetico, in Riv. trim. dir. e proc. Civ., 4/2005, pag. 1361. L’espressione chirurgia
cosmetica veniva ripresa dalla dermatologia e già nel XIX secolo era per molti versi
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8
Qualcuno, per superare il problema della discrepanza tra i vari rami della
plastica, nel periodo d’una iniziale apertura verso l’ampia nuova
interpretazione della norma costituzionale sulla salute18
, cercò di ravvedere,
in alcuni casi, una finalità terapeutica quantomeno indiretta delle operazioni
di chirurgia estetica, proponendo un’equiparazione valida tra essa e la
chirurgia ordinaria. Questa parte degli studiosi sosteneva che, in quei
determinati casi, anche una anormalità morfologica somatica avrebbe
comportato di per sé la compromissione di totalità psicologica della
persone; e che, come tale, la pratica medica si sarebbe comunque rivelata
utile per porre rimedio a tale situazione patologica19
.
Altri, al contrario, assai restii, continuarono ad accettare con reticenza
questo tipo di operazioni, tenendosi a debita distanza da un’accettazione
piena del loro esplicarsi e confutando con veemenza le ipotesi di
terapeuticità20
.
dispregiativa, tanto è vero che già il chirurgo tedesco Johann Friedrich Dieffenbach aveva
ribadito la legittimità della propria chirurgia plastica ed estetica rispetto a quella della
bellezza. 18
Per l’approfondimento di questo aspetto si rimanda a POSTERARO, Evoluzione…, op.
cit., pag. 120. 19
Quanto alla dottrina che ha individuato nel tempo un fine quantomeno indirettamente
terapeutico alla chirurgia estetica, si veda MANGILI-GRAFFURI, Sulla responsabilità
professionale nelle prestazioni chirurgiche a finalità estetica, in Arch. Med. Leg. e ass.,
1979, I, (in cui a pag. 131 si precisa che la persona umana deve essere considerata in un
senso non strettamente meccanicistico, bensì nella sua totalità psicosifica); CHIODI-
NUVOLONE, La responsabilità del chirurgo plastico negli interventi a finalità estetica,
Atti del III simposio di primavera su Chirurgia plastica e medicina elgale, Milano, 21-22
Aprile 1972; SCODITTI, Chirurgia estetica e responsabilità contrattuale, in Foro it., 1995,
in cui si mette in luce come non solo il discorso giuridico, ma anche il sentire comune
attribuisce un crescente peso alla componente psicologica nel concetto di salute. Conferma
a tale impostazione è la considerazione, negli stessi anni, in tema di danno biologico, del
danno psichico come risarcibile. In senso sostanzialmente contrario si veda BUZZI, La
responsabilità in chirurgia estetica alla luce di alcuni indirizzi giurisprudenziali della
Corte di Cassazione, in Riv. It. med. Leg., 1991, pag. 382, il quale ritiene che sia
“revocabile in dubbio che ogni e qualsivoglia carenza soggettiva di benessere corrisponda,
invariabilmente ed effettivamente, a disturbi francamente patologici e che il disagio che si
vuole vedere esplicitamente e implicitamente sotteso alla richiesta di una correzione
chirurgica delle proprie fattezze assume sempre un reale risalto clinico e nosologico. In
questo senso, la portata di un trattamento di chirurgia estetica, esercitato su di una
condizione di normalità biologica o, comunque, non patologica, è da ritenersi, in assenza
di finalità quantomeno indiretta, da porre in seria discussione, o da classificarsi senz’altro
come mera pratica cosmetica, tra i trattamenti medici senza alcuna finalità terapeutica”. 20
Cfr. FORNARI-BUZZI, Sulla valutazione della responsabilità professionale nell’ambito
dell’esercizio della chirurgia estetica, in Riv. It. Med. Leg., 1981, pag. 963. Gli autori,
ponevano in “seria discussione, soprattutto allorchè il discorso si svolge sull’aspro terreno
dle diritto, la terapeuticità degli interventi chirurgici a finalità estetica”. Ma contra, in
modo convincente, si veda B. E M. PANNAIN, Aspetti deontologici e psicologici degli
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4. Superamento del problema.
Tutto questo, come accennavamo più sopra, portava ad una vera e propria
dictomia tra la chirurgia ordinaria e chirurgia voluttuaria, e faceva sì si
andasse delineando la necessità di tenerle distinte soprattutto nella fase
della valutazione dei profili di responsabilità del medico: la medicina
meramente correttiva, in quest’ottica, andava necessariamente posta su di un
piano valutativo più rigoroso rispetto a quello classico21
, poiché in essa
variavano sia il contenuto della prestazione ex ante assunta dal medico, sia
l’estensione del dovere d’informazione gravante in capo al sanitario
coinvolto nei confronti del proprio (creditore) paziente.
Oggi, quest’idea assai riduttiva deve ritenersi essere stata ampiamente
superata dai vari processi interpretativi che hanno interessato lo sviluppo
socio.culturale della società: essi hanno fatto sì si guardasse all’aspetto
strettamente patologico in un modo nuovo, sicuramente meno riduttivo22
.
La chirurgia estetica è una chirurgia anch’essa curativa. È equiparabile, in
tal senso, agli altri interventi di chirurgia plastica ricostruttiva-riparativa e,
per riflesso, alla più generale chirurgia ordinaria di cui normalmente si
parla.
Questa visione restrittiva è venuta progressivamente meno anche alla luce
del prospettato pacifico e generale riconoscimento della salute intesa
nell’ampia accezione proposta dall’OMS23
: si riconosce, quindi, nel nostro
contesto, la necessità di una «armonia»24
evidente tra la psiche del singolo e
l’accettazione del proprio aspetto esteriore. Una discrepanza tra tali aspetti,
infatti, potrebbe provocare delle malattie psichiche non meno serie di quelle
concretamente invalidanti il corpo a livello fisico.
interventi a finalità estetiche, pag. 699, i quali ultimi già sottolineavano come andasse
rivisto in senso ampio il concetto di terapeuticità salutare. 21
“…cosìcchè si imporrebbe, nel valutare l’operato dei chirurghi estetici, il ricorso ad un
criterio più rigoroso […]”, così BARALE, op. cit., pag. 135. 22
In questo senso si veda quanto affermato da PETRELLI, Trattamenti sanitari, Chirurgia
estetica e tutela della salute dell’uomo, Camerino, 1999, pag. 21. 23
“Di sicuro la chirurgia estetica viene giustificata e legittimata giuridicamente e
socialmente dalla nota dilatazione e dinamicità del concetto di salute, ed in questa
inevitabilmente ampia visione della questione assume un rilievo fondamentale anche la
richiesta di modificazione di un quadro morfologico peraltro compatibile con la norma ma
comunque non gradito al soggetto, in un assolutamente personale ideale di bellezza, e
quindi come correzione di un difetto solo da questi valutabile come tale”, così RICCI-
FEDELI, La chirurgia estetica tra percezione sociale e modello eticodeontologico. Difesa
sociale, LXXXIII,2004, pag.116. 24
Così la definiscono CARUCCI-MACCIONI, La responsabilità penale del chirurgo
estetico, in Ventiquattrore avvocato, 10-2006, pag. 75, aggettivandola come “raggiunta,
costruita, conquistata”.
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10
In questo modo, possiamo dire che risultano così consentiti, senza alcun
dubbio, anche quegli interventi chirurgici che, in ossequio ad un più intimo
desiderio di miglioramento estetico, siano rivolti a ottenere soltanto una
modificazione del proprio aspetto esteriore; e che riescano ad incidere
positivamente, così, su di un disagio psichico, eliminandolo25
.
Anche la giurisprudenza26
, intervenendo sul punto, ha riconosciuto la
necessità di intervenire su di un soggetto apparentemente sano al fine di
lenire le sofferenze fisiche e psicopatologiche legate al proprio aspetto. Essa
ha chiarito che «è opportuno ribadire che la funzione tipica dell’arte
medica, individuata nella cura del paziente, al fine di vincere la malattia,
ovvero di ridurne gli effetti pregiudiziali o, quantomeno, di lenire le
sofferenze che produce, salvaguardano e tutelando la vita […] non esclude
la legittimità della chirurgia estetica, che a prescindere dalle turbe
psicologiche che potrebbero derivare da una dilatata considerazione degli
aspetti sgradevoli del proprio corpo, tende a migliorarne esclusivamente
l’estetica»27
.
In questo senso, quindi, anche gli interventi di chirurgia estetica, andando
incontro ad esigenze consensuali a questa peculiare condizione -bio-sociale-
che è pur di natura largamente ed imperscrutabilmente soggettiva,
«rientrano in questa amplissima dimensione nell’area sanitaria promossa
dall’O.M.S.28
»; e la dottrina non può fare a meno di riconoscere questa
novità in tema di accettazione giuridica.
Se, dunque, «l’intervento chirurgico attiene alla integrità fisica, con gli
inevitabili rischi», scrive Bilancetti29
, «non per questo la comparazione
deve essere circoscritta a quest’ambito, bensì deve comportare una
valutazione complessiva della persona in tutte le sue componenti somato-
psicologiche, comprensive quindi degli aspetti condizionanti il suo
equilibrio psichico, dovute anche a riflessi intersoggettivi della più varia
natura: affettiva, professionale, psichica e relazionale in genere, in tutti gli
aspetti nei quali, cioè, l’individuo, come persona, si realizza e quindi
25
“Avendo osservato come sia condizionante la realta sociale in cui ogni soggetto svolge la
propria vita relazionale, non possono non considerarsi lecite le pratiche medico
chirurgiche che determinano un miglioramento delle qualità strettamente fisiche delle
persone”, così RICCI-FEDELI, op. cit., pag. 123. 26
Cass. Civ. 25 novembre 1994, n. 10014, in Foro it., 1995, I, 2913. 27
“I miglioramenti di tipo estetico si ripercuotono oggettivamente nella fiducia e nella
sicurezza psicofisica dei soggetti in questione, sebbene apparentemente non abbiano
un’origine oggettivamente patologica”, così RICCI-FEDELI, op. cit., pag. 117. 28
Così BUZZI, La responsabilità…, op. cit., pag. 383 29
Cfr. BILANCETTI, La responsabilità del chirurgo…, op. cit., pag. 513.
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avverte e beneficia di quello stato ideale che viene definito benessere fisico
e psichico»30
.
5. Segue. Le prospettive attuali.
Superata la problematica rispetto alla riconosciuta terapeuticità e dunque
legittimità dell’intervento di chirurgia estetica, possiamo dirsi superata pure
quella relativaa al limite dispositivo del proprio corpo ex art. 5 c.c.
Se, infatti, l’intervento di plastica correttiva vale a tutelare la propria salute
–psichica-, l’atto dispositivo, anche se in astratto menomativo (e, in
concreto ricostruttivo) dell’integrità fisica, sarà giustificato dalla valenza e
dalla finalità curativa insite nell’operazione strettamente considerata. Esso
dovrà, perciò, ritenersi essere a tutti gli effetti valido anche se fuori dal
comune. Il caso tipico, ovviamente, lo si riscontra nell’intervento di
rettificazione del sesso: quest’ultimo è inteso come un intervento di
chirurgia estetica (perché volto a migliorarsi fisicamente cambiando i propri
connotati) demolitivo-ricostruttivo, ma giustificato, a monte, da un
atteggiamento psicologico malato del soggetto interessato che discolpa la
manomissione del proprio essere dall’esterno31
.
Se la psicologia intaccata dal disagio non fosse rilevante ai fini della
manomissione del proprio corpo, allora verrebbe meno la specificità
dell’articolo 32 e della salute largamente intesa. Ché, riconosciuta la
impossibile applicazione dell’articolo 5 ai casi in cui il soggetto stia
disponendo del proprio essere ai fini della propria salute, non sarebbe
accettabile ritenerlo invece come operante nel caso in cui qualcuno stia
disponendo della propria fisicità non soltanto per evitare ulteriori problemi
fisici ma, anzi, per evitarne di altri quali quelli psichici32
.
30
Una sorta di “precursore” dell’apparato ideologico e culturale che, in tal senso, giustifica
oggi la chirurgia estetica, fu Jacques Joseph (chirurgo estetico tedesco): egli capì che la
chirurgia estetica non era che una ramificazione della plastica ricostruttiva, fondante la
propria opportunità su benessere mentale anziché sulla funzionalità; una certa specifica
malformazione, nella sua ottica, per quanto non disabilitante, poteva essere causa di
un’autentica infelicità nell’interessato, e questo era sufficiente a dare legittimità etica e
professionale all’intervento. 31
“In questo ambito viene legittimato anche l’intervento demolitivo e sicuramente
pregiudizievole della integrità fisica quando risponde al fine di un miglioramento
complessivo delle condizioni di salute del paziente”, così BILANCETTI, La responsabilità
penale e civile del medico, op. cit., pag. 162 e ss. 32
“Con l’ammissibilità della vasectomia, del transeussalismo, della sperimentazione
terapeutica, nonché della chirurgia estetica e plastica”, scrive Bilancetti, op. cit., pag. 512,
“siamo arrivati a consentire interventi chirurgici con possibili ripercussioni sulla propria
integrità fisica che una lettura formale della norma (art 5 c.c.) renderebbe altrimenti
incompatibile: si tratta di un chiaro esempio di quello che, con espressione entrata nell’uso
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«Non mi pare dubbio», scriveva Pennasilico, anticipando la questione, «che
chiunque possa legittimamente compiere atti di disposizione del proprio
corpo, sia a scopi strettamente terapeutici, ma anche solo a scopi estetici,
soprattutto considerato che il cosiddetto scopo estetico è in realtà scopo
terapeutico, in quanto serve a determinare un benessere psicofisico33
».
Dopotutto, se si volesse ancora necessariamente differenziare -
negativamente- la chirurgia estetica dagli altri tipi di chirurgia, isolandola
completamente e ritenendola come non legittimata dall’ordinamento, si
eviterebbe erroneamente di riconoscere la legittimazione giuridica e la
terapeuticità completa di certe pratiche mediche che, al contrario, si
collocano sì nell’ambito della medicina più classicamente curativa, ma lo
travalicano, pure, nel momento in cui si arricchiscono anche di profili
prettamente estetici tipici dell’attività correttiva34
.
Insomma, eliminare dal novero delle attività legittimate quella prettamente
estetica vorrebbe dire giustificare curativamente a metà certe attività che,
pur prescindendo da essa in astratto, sono in realtà ad essa strettamente
relate poiché in essa trovano effettivo completamento.
Alludiamo, ovviamente, ai casi dell’ortognatodonzia, ovvero a quelli della
chirurgia bariatrica, dove la cura del corpo, relata ad un atteggiamento
psicologico di malattia, si contempera con la cura della salute genericamente
intesa.
In questo senso, dunque, sulla base della valutazione giuridco.sociale anche
l’etica ha genericamente superato i problemi d’accettazione d’una tale
corrente, viene definito il diritto vivente, diritto cioè che sorge dall’interpretazione
giurisprudenziale, talora poi recepito dalla norma giuridica”. 33
Cfr. PENNASILICO, Liceità giuridica ed etica professionale, in AA.VV. Chirurgia
plastica ricostrutiva e chirurgia estetica, Milano, 1988, pag. 78. L’a. continua la propria
dissertazione, evidentemente antecedente al riconoscimento della legittimità/terapeuticità
dell’intervento di chirurgia plastica, scrivendo che, anche laddove si volesse parlare in tali
casi di interventi privi di finalità terapeutica, l’articolo 5 comunque non verrebbe a limitare
la disposizione del proprio corpo così come civlisticamente intesa, in quanto l’intervento, a
monte validato dal consenso dell’avente diritto, non andrebbe comunque contro l’ordine
pubblico, né contro il buon costume, essendo gli interventi di chirurgia estetica ormai
considerati dall’uomo comune come “non contrari né all’uno, né all’altro”. Sul tema della
disposizione del proprio corpo si veda, ROMBOLI, La libertà di disporre del proprio
corpo, Bologna-Roma, 1988; ID. (a cura di), Atti di disposizione del proprio corpo, Pisa,
2007. 34
C’è una linea sottile tra estetica e chirurgia plastica che spesso è sfocata. A volte un certo
intervento chirurgico può essere necessario per ripristinare il normale funzionamento,
sebbene abbia anche una componente estetica volta a migliorare l’aspetto. Nei casi citati,
per esempio, il soggetto decide di intervenire su di un proprio aspetto fisico per curarsi ed
evitare ripercussioni in senso salutare, ma pure, spesso, per migliorarsi nell’ottica
dell’estetica generale.
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pratica chirurgica35
, recependo la necessarietà dell’intervento in tutti quei
casi in cui gli inestetismi che condizionano la vita sociale, affettiva e
lavorativa siano in concreto suscettibili di una effettiva modificazione in
positivo per il soggetto e la sua vita36
.
Trovano così piena motivazione, anche in tale ambito, tutti quegli interventi
per finalità estetiche che riescono a correggere il disagio psicologico sentito
dai soggetti che non vivono favorevolmente la propria corporeità37
.
se il trattamento di chirurgia estetica raggiunge questo difficile fine,
riducendo o eliminando quel malessere che si ripercuote negativamente in
ambito comportamentale e sociale, l’opera del medico ha raggiunto il suo
obiettivo, che rimane quello di migliorare lo stato di salute del proprio
assistito (e non diventa quindi, in quest’ottica, quello esclusivo di fargli
raggiungere l’agognata bellezza)38
.
Il problema sorge, in realtà, laddove l’intervento risulti essere voluto ed
effettuato a prescindere dai problemi psicologici che l’eventuale difetto
estetico può in concreto comportare.
La chirurgia estetica è legittimata perché terapeuticamente orientata ex art.
32 Cost.
Essa non contrasta con l’art. 5 c.c. proprio perché, a monte, svolge finalità
terapeutica. Né può essere condannata eticamente perché vale a risolvere
problemi psicologici che, se non eliminati, inciderebbero negativamente su
socialità e vita di relazione/quotidianità del soggetto malato.
35
Diciamo genericamente perché capita che qualcuno, ancora, vada soggettivamente
escludendo l’ipotesi della chirurgia estetica su se stesso, condannando chiunque ne faccia
uso –anche corretto- nel mentre della propria vita; “la difesa della dignità della persona e
l’associazione di disturbi nevrotici o complessi di minorazione”, scrive GUIDANTONI,
op. cit., pag. 85 “giustificano sicuramente una pratica medica sul piano legale, ma non
possono accontentare l’eticista e lo stesso medico: si tenga presente che nessuno può
raggiungere la felicità con il bisturi, e neppure garantirsi l’amore”. 36
Si potrebbe citare una decisione molto lontana nel tempo adottata dalla Corte di Appello
di Lione il 27 Maggio 1935, ma molto moderna nel suo contenuto, laddove si afferma che
“certe anomalie fisiche che non alterano la salute possono avere gravi influenze sulla vita
sociale e sullo stato mentale dei soggetti […]. è giustificato un intervento chirurgico, anche
se non del tutto esente da rischi, richiesto da un bisogno morale, lecito in quanto pone
riapro ad una infermità dello spirito danneggiato quanto lla malattia fisica”. 37
Chiaramente esulano da ogni indicazione di tipo medico quegli atti di chirurgia estetica
che hanno il solo fine di alterare parti del corpo in maniera esagerata e con fine di
spettacolarizzazione, dovendosi invece condannare e qualificare come eticamente e
deontologicamente censurabile ogni intervento di chirurgia estetica finalizzato a forme di
Body Art e di Carnal Art. 38
“La dottrina giuridica italiana riconosce come trattamento medico.chirurgico quello che
ha per scopo il miglioramento della salute fisica e psichica o della stessa bellezza, tenendo
conto dell’integrità e della totalità della persona”, Così GUIDANTONI, op. cit., pag 72;
ma in tal senso si veda anche DE PIETRO, Il consenso dell’avente diritto e il consenso del
paziente, Napoli, 1988, pag. 380.
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Ma laddove la necessità psicologica manchi, allora, l’intervento di chirurgia
estetica da cosa risulterebbe essere legittimato, giuridicamente? Il
presupposto dell’articolo 32 Cost. verrebbe meno. Ed il limite della libera
disposizione del proprio corpo troverebbe nuovamente la sua applicabilità:
disporre senza motivo di cura d’una parte del proprio corpo per
manometterla modificandola, rischiando che nel corso della modifica questa
vada perdendo la funzionalità cui naturalmente è preposta, costituisce
sicuramente un atto giuridicamente vietato.
Come può, quindi, il legislatore restare inerme dinanzi a certe
estremizzazioni?
L’utilizzo spasmodico della pratica chirurgica, insieme all’incidenza della
moda sulla sua accettazione, comporta una vera e propria sofferenza per il
diritto.
E la costruzione etica, pure, dal canto suo, risente di questo estremizzato
ricorso alla pratica: l’identità risulta essere falsata; la responsabilità perde
d’importanza. La medicina dei desideri sconvolge l’assetto salutare. E la
tecnologicizzazione ci assoggetta al pericoloso meccanismo del desiderare-
chiedere-volere-pretendere-ottenere39
.
39
“La troppa familiarità con i prodotti della tecnica fa sfumare, così, la necessaria
distinzione tra ciò che è naturale e ciò che, invece, è artificiale; e se finora il medico è stato
guaritore, ora è un artista del corpo, un magico artefice dei sogni con scopi non certi, ma
«da definirsi». Tutto ciò conduce ad una visione estremamente estetizzante della vita ed
una totale deresponsabilizzazione dell’uomo che mal si adatta alla legge morale insita in
ciascun essere: l’esigenza del volere prevale su quella del semplice potere; ed il modello
mediatico-tecnologico è l’unico, moralmente, che può aiutarci a riconoscerci nel mentre
del nostro desiderio pieno”, così POSTERARO, Evoluzione…, op. cit., pag. 129. A questo
proposito, HELZEL, in La valorizzazione-mercificazione del corpo tra Etica ed Economia,
in L’etica del mercato, SEPULVEDA, (a cura di), Milano, 2011, pag. 72, scrive che «la
tecnica ha accorciato, se non del tutto azzerato, i tempi della natura, un tempo ciclico in
cui non c’è futuro che non sia la pura e semplice ripresa del passato che il presente
ribadisce».
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